Gesualdo da Venosa

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FASTI DIMENTICATI DI UN PRINCIPE DEL RINASCIMENTO GESUALDO DA VENOSA

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FASTI DIMENTICATI DI UN PRINCIPE DEL RINASCIMENTO

Fasti dimenticati di un principe del Rinascimento

A cura di Orsola Tarantino Fraternali e Kathy Toma Con un saggio di Claudio Abbado Contributi di Adriano Cavicchi Tonino Garzia Paolo Mascilli Migliorini Armando Montefusco Giuseppe A. Pastore Antonio Tosini

INRODUZIONE

GESUALDO DA VENOSA


FASTI DIMENTICATI DI UN PRINCIPE DEL RINASCIMENTO GESUALDO DA VENOSA

Con il patrocinio di Regione Campania Provincia di Avellino

PROVINCIA DI AVELLINO

Fondazione Carlo Gesualdo

Il nostro più sincero ringraziamento al maestro Claudio Abbado Si ringraziano I Direttori degli Archivi di Stato di Napoli, Modena, Mantova, Avellino e il Prefetto dell'Archivio Segreto del Vaticano; ed inoltre: Salvatore Abita; Angelo Andreotti; Raffaele Balsamo; Ermanno Bellucci; Maria Grazia Bernardini; Giuseppe Bettalico; Lorella Bigoni; Carlo Bertelli; Vanni Borghi; Marco Borella;Vito Bozza; Marcello Brusegan; Annamaria Cafazzo; Alessandra Chiappini; Petrica Codori; Pier Giorgio Dall'Acqua; Nicoletta D’Arbitrio; Francesco d'Avalos; Raffaele Della Vecchia; Rita De Lucia; Ezio Del Guercio; Cipriano De Meo; Guido Di Capua; G. Di Lorenzo; Generoso Di Meo; Christine Duvauchelle; Benito Finazzer; Francesco Fornaro; Domenico Fraternali; Giuseppe Galasso; Cristina Garilli; Euride Fregni; Roberta Iotti; Alessandro Lai; Carlo Lanzoni; CrépinLeblond; Isabelle L'Hoir; Massimo Maisto; Danilo Malagoli; Gian Ludovico Mazza; Marina Minozzi; Armando Montefusco; Denise Morax; Giuseppe Muollo; Francesca Nardulli; Enrico Paltrinieri; Carmine Petruzzo; Marie Poulain; Stefania Ricci; Valentina Ricetti; Alberto Ronchi; Claudio Salsi; Bruno Santi; Gaetano Sateriale; Eirene Sbriziolo; Fernando Selvitella; Jana Sedlácková; Serena Sogno; Nicola Spinosa; Claudio Strinati; Lenka Svobodová; Flavio Toma

Violaf; Piero Tosi; Filippo Trevisani - Fondazione CRUI; Alessandro Veronese; Glenn Watkins; Giuseppe Zampino; Carmine Zarra. Le Collezioni Private Thyssen-Bornemisza, Zurigo; Kreuzlingen, Ch; Borromeo, Isolabella, Stresa. I Musei Civiche raccolte d’Arte Applicata e incisioni, Milano; Musei Civici di Arte Antica, Ferrara; Museo di Konopiste, Rep. Cecoslovacca; Museo del Louvre, Parigi; Musée National de la Renaissance, Château d'Ecouen; Museo degli Strumenti Musicali, Milano; Museo Poldi Pezzoli, Milano; Rijksmuseum, Amsterdam. Le Soprintendenze Per il Patrimonio Storico, Artistico, Etnoantropologico di Modena e Reggio Emilia, di Napoli e Provincia, di Brescia, Cremona e Mantova, di Potenza, di Avellino e Salerno, di Lucca e Massa Carrara. Le Soprintendenze speciali per i Poli Museali di Napoli, di Firenze, di Roma Le Biblioteche Ariostea Civica di Ferrara; Ambrosiana, Milano; Bibliothèque de France, Parigi; Estense di Modena;

con il sostegno di

GRUPPO BPER

GRUPPO BPER

Nazionale Marciana, Venezia; Nazionale, Napoli; S. e G. Capone, Avellino. Un particolare ringraziamento: al Comune di Venosa; al Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Basilicata, Attilio Maurano; alla Principessa Bona Borromeo; a Lucia Giorgi per i ritratti delle famiglie Lobkovicz, Pernstein, de Lara, Acquaviva e dei Gonzaga di Castiglion delle Stiviere; a Cristina Acidini, Soprintendente del Polo Museale di Firenze. La nostra particolare gratitudine, inoltre, va a Mario Bologna, Lucio Napodano, Edgardo Pesiri, Barbara Vacca, Cecilia Valentino.


Biblioteca Comunale Ariostea, Ferrara; Biblioteca Marciana, Venezia; Casa Editrice SKIRA; Casa Editrice S.P.E.S, Firenze; Castello Pirro del Balzo, Venosa; Chiesa di San Domenico Maggiore, Napoli; Chiesa del Gesù Nuovo, Napoli; Chiesa di S. Nicola di Bari, Summonte; Convento di Sant’Antonio, Ischia; Collezione Privata ThyssenBornemisza, Zurigo; Collezione privata, Kreuzlingen, Ch; Fondazione Querini Stampalia onlus, Venezia; Galleria Borghese, Roma; Galleria Estense, Modena; Galleria Palazzo Ducale, Mantova; Galleria degli Uffizi, Firenze; ITIS, A.Righi, Napoli; Museo del Louvre, Parigi; Museo Poldi Pezzoli, Milano; Museo degli Strumenti Musicali, Castello Sforzesco, Milano; Musei Civici di Arte Antica, Ferrara; Museo di Capodimonte, Napoli; Museo Nazionale del Palazzo Venezia, Roma; Museo degli Argenti, Firenze; Museo Nazionale del Bargello, Firenze; Museo Nazionale di Palazzo Mansi, Lucca; Museo di Konopiste, Repubblica Cecoslovacca; Musée National de la Renaissance, Château d’Ecouen; Palazzo Borromeo, Isola Bella, Stresa; Rijksmuseum, Amsterdam; Soprintendenza per i Beni

Pur avendo compiuto ogni sforzo per rintracciare i proprietari delle immagini presenti nel volume, l’editore resta a disposizione degli eventuali aventi diritto per le fonti iconografiche non identificate

Consulenza e supervisione scientifica, editoriale e iconografica Luciano de Venezia

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Architettonici ed il Paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico, Demoantropologico di Napoli e Provincia; Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Basilicata; Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Modena e Reggio; Soprintendenza per il Patrimonio Artistico ed Etnoantropologico di Brescia Cremona e Mantova; Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici di Salerno e Avellino; Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio, per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico per le Province di Lucca e Massa Carrara; Soprintendenze Speciali per i Poli Museali di Napoli, Firenze e Roma;

FERRARA CITTA’DEL

RINASCI MENTO

Consulenza scientifica Claudio Meo Giovanna Silvestri Progetto grafico Luciano de Venezia Impaginazione Studio de Venezia Valeria Figliolia, Luca Daniele Stampa Arti Grafiche Sud, Salerno Finito di stampare nel mese di marzo 2009 a cura di Luciano de Venezia, Via Casale 20 83100 Avellino Printed in Italy www.gesualdodavenosa.it

INRODUZIONE

Referenze fotografiche Michele Calocero: 8, 217, 218, 219, 220, 227, 228, 229, 230, 233, 235, 249, 250, 254, 255; Giuseppe Elefante: 194, 198, 199, 201, 202, 203, 204, 210; Gianni Genova: 68, 74, 75; Eduardo C. Grimaldi: 50, 51, 214. Enzo Papa: 140, 141, 142, 146, 147, 148, 149; Archivio dell’Arte Luciano Pedicini: 33; Flavio Toma Violaf: 26,27, 221.


GESUALDO DA VENOSA

14 FASTI DIMENTICATI DI UN PRINCIPE DEL RINASCIMENTO


1.

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Il principe tra i principi, il principe musico 22 Orsola Tarantino Fraternali

1.1 Alla scoperta di Carlo Gesualdo I ritratti di Carlo noti [Scheda], Kathy Toma 1.2 I primi anni 1.3 L'ambiente, la famiglia e i genitori 1.4 La formazione musicale 1.5 Il prestigio della musica a Napoli 2. Carlo e Maria d’Avalos Orsola Tarantino Fraternali

40

7. Una galleria di personaggi Orsola Tarantino Fraternali

161

8. I luoghi di Carlo: Venosa Orsola Tarantino Fraternali

193

8.1 Brevi cenni storici sulla costruzione del castello 8.2 Ipotesi di un percorso 214

56

Il Castello di Taurasi [Scheda] Paolo Mascilli Migliorini

80

4.1 Iconografia tra fiaba e mondo reale 4.2 Amori, legàmi e potere: i gioielli raccontano 5. Carlo e Leonora d’Este Orsola Tarantino Fraternali, Kathy Toma

7

9.1 Carlo nel castello di Gesualdo Il Castello di Gesualdo [Scheda] Paolo Mascilli Migliorini 9.2 Ipotesi di un percorso

3.1 Fasti dimenticati 3.2 Il tempo dei divertimenti 3.3 Nuove tendenze e innovazioni nella moda femminile 3.4 Percorso della moda maschile 4. I gioielli di casa Gesualdo Kathy Toma

140

6.1 Lo spettro della morte, la musica come testamento 6.2 L’erede Emanuele

9. I luoghi di Carlo: Gesualdo Orsola Tarantino Fraternali

2.1 È tempo di dar moglie a Carlo Il volto di maria tra leggenda e storia [Scheda], Kathy Toma 2.2 È in atto la tragedia 2.3 La famiglia d'Avalos 3. La moda, palcoscenico del mondo Orsola Tarantino Fraternali

6. Estinzione di un casato Orsola Tarantino Fraternali, Kathy Toma

98

5.1 La solitudine di un principe 5.2 «Negotii» per un secondo matrimonio 5.3 Leonora d’Este, il suo ambiente di vita, la musica Veri e falsi ritratti di Leonora [Scheda], Kathy Toma 5.4 Il soggiorno ferrarese Un’armatura per Carlo [Scheda] Kathy Toma, Orsola Tarantino Fraternali, Antonio Tosini 5.5 Carlo, Leonora e Alfonsino

De soni e voci, l’angoscia come contrappunto Kathy Toma

256

Approfondimenti Il Mito europeo di Carlo assassino, Kathy Toma Il Fileno, Kathy Toma Note storiche su Venosa, Tonino Garzia Gesualdo a Ferrara, Adriano Cavicchi

273

Appendici Inventari d’archivio, Orsola Tarantino Fraternali

305

Alberi genealogici delle famiglie Gesualdo, d’Avalos, Este Armando Montefusco Indice dei nomi

INRODUZIONE

Per Gesualdo da Venosa Claudio Abbado

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Indice


GESUALDO DA VENOSA

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INRODUZIONE

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GESUALDO DA VENOSA

22 FASTI DIMENTICATI DI UN PRINCIPE DEL RINASCIMENTO


FASTI DIMENTICATI DI UN PRINCIPE DEL RINASCIMENTO

“Carlo, il vostro leon c'ha nero il vello” [T. Tasso, Rime]

23 CAPITOLO I

I


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1.1 / Alla scoperta di Carlo Gesualdo È ancora valido il giudizio di G.F. Malipiero, secondo il quale «è assolutamente necessario non pensare a Carlo Gesualdo principe di Venosa uomo, se vogliamo ascoltare serenamente i suoi madrigali»?1 Chi scrive condivide poco questa affermazione, le pagine di questo volume sono dedicate innanzitutto all’uomo Gesualdo, al suo quotidiano e alla (ri)scoperta di una vita densa di genialità, gioie e grandi drammi, come di immensa solitudine e sofferenza. Una vita principesca, vissuta a cavallo tra il ‘500 e il ‘600, in una cornice di grande fasto, da un uomo che era prima di tutto un aristocratico, fiero di sé e, quel che più conta, ben conscio del suo genio musicale, deciso a coltivarlo oltre ogni evento della propria esistenza. Ricchissimo, forse il nobile più ricco dell'intero Regno di Napoli, proprietario di uno Stato con moltissimi (cento) feudi tra il Principato Ultra, il Principato Citra e la Basilicata, Gesualdo era l’unico discendente di Roberto il Guiscardo, Grande di Spagna, nipote di papa Pio IV e di cardinali potenti, imparentato con tutte le famiglie nobili del Regno di Napoli, d’Italia e perfino di Boemia, tuttavia personaggio dal carattere introverso, isolato nello smisurato orgoglio del suo casato, in preda a tensioni esistenziali che troveranno unica risoluzione nella musica. Ammirato dai suoi contemporanei come musicista2, fu quasi del tutto ignorato nei secoli successivi, salvo poche eccezioni3. Vilipeso da una letteratura morbosa e decadente,

sull’uomo è stata tessuta una lunghissima tela di cattiverie e di offese, oltre che di clamorose inesattezze storiche, dalla quale non è stato facile uscire. I miti, si sa, hanno vita lunga. Drammaturghi, cineasti, narratori, si sono lasciati prendere dal fascino distorto del principe uxoricida-perversodemoniaco, perfino dedito a pratiche magiche. Nel corso dei secoli si è preferito indugiare sulla morbosità, anziché sulla genialità. Poca l’attenzione alla sua musica, certo più difficile da comprendere dal vasto pubblico4, pochi, ancora oggi, i dettagli sul suo privato. È pur vero che Carlo ha lasciato poche tracce tangibili di sé e della sua vita. Una spessa coltre ricopre la sua figura storica e quelle dei suoi familiari, poche e scarne notizie si hanno delle Accademie, dei suoi concerti, della sua musica reservata. La stessa corrispondenza, le lettere scritte di proprio pugno e quelle affidate ai suoi segretari, hanno un’impronta di formalità e una riservatezza che non aprono alcuno spiraglio sui suoi veri sentimenti (particolarmente significativa è la difficoltà nel conoscere il suo volto e nel reperire suoi ritratti noti, come raccontato nelle pagine successive). Dar colore a questo “mondo in bianco e nero” è, dunque, l’obiettivo di questa ricerca, che intende ricostruire, anche visivamente, un’atmosfera credibile della sua vita, mettendo in luce tanti elementi trascurati dalla storia e dal tempo, sulla base di fonti archivistiche, immagini, ritratti, cercando di dissipare, almeno in parte, la spessa nube di piombo che da secoli si è abbattuta sul principe e la sua breve vita.

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25 CAPITOLO I

Il principe tra i principi, il principe musico

capitolo 1 Orsola Tarantino Fraternali


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I ritratti di Carlo noti Kathy Toma

Nonostante non sia stata mai effettuata una seria ricerca iconografica che restituisca la vera fisionomia del principe di Venosa, fatta eccezione per la Pala del Balducci, il suo volto viene individuato, da sempre, in stampe e quadri che corredano le biografie ufficiali.

Giovanni Balducci (Firenze 1560-?) La Pala del Perdono (1609) Chiesa del convento di Santa Maria delle Grazie, Gesualdo

La grande pala oratoriale del Balducci suscita emozione perché contiene l’unico ritratto finora riconosciuto di Carlo Gesualdo. I precedenti studi la attribuivano a Silvestro Bruno (o Buono), o a Girolamo Imparato, che avrebbero affrescato il Castello di Gesualdo, ipotesi sfatata dopo la pulitura-restauro della pala nel 1989, che restituiva il nome dell’autore e la sua datazione. Il Balducci fu, d’altronde, un pittore molto stimato dal cardinale Alfonso Gesualdo, zio di Carlo, che gli commissionò affreschi per il duomo di Napoli ed il suo stesso ritratto. Nella pala di Santa Maria delle Grazie il principe appare nella parte inferiore a sinistra, di tre quarti, avvolto in un grande mantello nero alla spagnola sormontato da una candida gorgiera. È in ginocchio, le mani giunte, sotto il braccio protettore dello zio Carlo Borromeo, che lo indica alla Corte Celeste, verso la quale si eleva la preghiera di Carlo e quella di sua moglie Leonora, sul lato destro del quadro, per un atto di clemenza che salvi le loro anime dalle vanità del mondo. In alto, la Corte Celeste completa la grande composizione, con la figura della Maddalena che è l’unica a rivolgere lo sguardo verso gli oranti, mentre di fronte sta Santa Caterina, gli occhi fissi alla luminosità del Cristo, cui fanno

corona San Francesco e San Domenico, l’arcangelo Michele e la Vergine Maria. Al centro della composizione un bambino si libra con le sue angeliche ali, lontano dalle fiamme purgatoriali. Potrebbe essere il piccolo Alfonsino, figlio di Carlo e Leonora, morto nel 1600 a soli cinque anni. Un’altra versione, che non ha mai trovato riscontro, vorrebbe che il bambino rappresentato fosse il frutto dell’adulterio di Maria d’Avalos, prima moglie di Carlo, ma è assolutamente certo che le due vittime, Maria d’Avalos e Fabrizio Carafa, non ebbero nessun figlio illegittimo. Un’ulteriore versione popolare ha voluto vedere nella pala la riconciliazione di Carlo con il figlio Emanuele che, fino ad allora, gli era stato ostile per averlo privato dalla madre. È opportuno segnalare una differenza di stile fra la parte superiore della pala, di raffinata fattura, e la parte inferiore, probabilmente dovuta al fatto che spesso in quell’epoca le opere venivano portate a termine dai collaboratori di bottega.

“Volan quasi farfalle Ai vostri almi splendori Bella, donna, pargoletti amori [...]” [C. GESUALDO, Madrigali, VI, 18]


CAPITOLO I

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.................................... Autore ignoto Ritratto di Carlo Gesualdo Collocazione ignota Tratto dal libro di Cipriano de Meo: La città di Gesualdo, p. 113, il Calamaio, Roma 1996 In questo dipinto il principe è rappresentato di tre quarti, fino alla vita, con le mani che si appoggiano su un tavolo, reggendo un libro semichiuso.

In questa tela il viso si staglia su una gorgiera bianca, portata su un giubbone semplice, di velluto nero. Dalle maniche escono lunghe candide mani, incorniciate da un semplice e corto polsino bianco. La figura è disposta su di uno sfondo color verde acqua, recante in alto a destra la dicitura: Dominus Carolus Gesualdus Venusii Princeps Compsae Comes VIII. La parte destra del quadro sembrerebbe tagliata o ricoperta, un tempo, da una cornice che ne nascondeva un pezzo. Infatti la lettera u della scritta Gesù, come il ps alla fine di princeps, spariscono e l'estremità della mano sinistra e la parte superiore del libro sono tagliate. L'insieme dei lineamenti contribuisce a restituire un’espressione aristocratica, risaltano il pallore del principe e l'espressione malinconica, già notati nel 1594 dal conte Fontanelli, quando lo vede per la prima volta, il 18 febbraio. Gesualdo è leggermente stempiato, porta i baffi e la barba accuratamente tagliata, che fa da cornice a un personaggio pallido, saturniano, con la presenza del libro tra le mani che indica l'intellettuale, o il musicista. Per quanto offra un ritratto più dettagliato e una maggior nitidezza sui lineamenti del principe Carlo, nulla si sa di questo dipinto. Se ci si basa sui quadri elencati nell’inventario del castello di Gesualdo, troviamo un’indicazione di: «Dui ritratti delli […] mi pad.ni a mezzo busto, cornice intagliata et indorata […]». Questo potrebbe essere uno dei due.

.................................... Autore ignoto Stampa allegorica del XVII secolo. Tratta da A. Consiglio, Gesualdo ovvero Assassinio a cinque voci, Arturo Berisio, Napoli 1967 La stampa allegorica del XVIII secolo riprodotta nel libro di A. Consiglio presenta tre figure dentro ovali sormontati da lauro. Gesualdo «Prin. della Venosa» ci appare in compagnia di due altri musicisti: Guido d'Arezzo e Benedetto Gio. Miers, un fiammingo. Carlo è di profilo, a mezzo busto come in una medaglia, con un davantino a sbuffi e una giacca dai grossi bottoni. .................................... Francesco Mancini Ritratto (1875) Conservatorio San Pietro a Majella, Napoli Il ritratto, chiaramente inspirato alla stampa allegorica del XVIII secolo, è segnalato da Cecil Gray e Philip Heseltine, con un commento di Salvatore Di Giacomo che mette in dubbio che si tratti di Carlo. Ulteriore menzione viene fatta da Glenn Watkins con lo


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stesso dubbio che si possa trattare del principe musico. Il personaggio paffuto con baffi ed uno strano pizzetto non ha nulla a che vedere con la fisionomia di Carlo ritratta sulla pala di Gesualdo. Stilisticamente il vestito e la pettinatura hanno qualcosa di post napoleonico.

CAPITOLO I

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.................................... Autore ignoto Madonna della Neve, XVI secolo Chiesa di San Nicola, Gesualdo [Archivio Soprintendenza BAPPSAE - Salerno e Avellino]

“Ave Dulcissima Maria” [C.GESUALDO, Sacrae Cantiones, I, 3] Al di sotto della Madonna con il bambino, circondata da putti alati, Carlo è rappresentato in piedi sulla destra, con le mani giunte, al seguito di una processione guidata dal papa Sisto V e dal cardinale Alfonso Gesualdo. Accanto ha la sua bionda sposa, sulla cui identità ci si soffermerà più avanti, con il volto inclinato sotto un leggero velo azzurro, avvolta in un mantello orlato di ermellino. Entrambi assistono al miracolo della Madonna della Neve. Carlo qui appare con i capelli lunghi divisi sulla fronte, senza barba ma con un pizzetto sottile. Porta una gorgiera semplice, su un giubbone e brache nere con calze in tinta violacea, armonizzate col colore delle scarpe. In petto una croce d'oro, nel cinturino viene mantenuta una spada da fianco, il cui pomo è dorato e cesellato. Il dipinto offre l'immagine di un giovanissimo uomo. Considerando la data di morte di Sisto V (1590) si dovrebbe poter datare il quadro

prima del 1590, Carlo avrebbe avuto tra i 20 e 24 anni e la fisionomia corrisponde a quella età. Osservando attentamente il viso di Carlo rappresentato sulla pala di Giovanni Balducci, si scorgono delle grandi similitudini nell'espressione e nei lineamenti della fisionomia: stessa bocca molto piccola, naso fine e lungo e stesso arco delle sopracciglia. .................................... Altri ritratti di Carlo Secondo alcuni sarebbe esistito un busto raffigurante Carlo Gesualdo, citato da Catone nel 1840, da Cecil Gray e Philip Heseltine nel 1926, di cui si è persa traccia. Altri individuano Carlo anche con il re Davide, circondato da musici, raffigurato nello stucco del soffitto del coro del S.S. Rosario di Taurasi, luogo della sua infanzia. La tesi sarebbe avvalorata anche dalla ricorrenza dell’immagine del Re David in altri luoghi legati alla memoria del principe, primo tra tutti il suo monumento funebre nella Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli.


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1.2 / I primi anni “Alta prole di regi eletta in terra[…]” [T. TASSO, Rime] Carlo nacque a Venosa, l’otto marzo del 1566, da Geronima Borromeo e Fabrizio Gesualdo5, VI conte di Conza. Fu il terzo ed ultimo principe del casato, dopo la morte del fratello primogenito Luigi, nel 1584, e del padre, nel 1591: con la sua scomparsa e quella della nipote Isabella, figlia di Emanuele e sua ultima discendente, il casato si estinse. La sua famiglia disponeva di un vastissimo territorio di feudi che, grazie ad un’abile politica matrimoniale, divennero, soprattutto nel XV secolo, un vero e proprio Regno, con uno Stato feudale che si estendeva tra l’Irpinia, il Salernitano e la Basilicata. Nel XVI secolo il già imponente complesso feudale del Regno si ampliò ulteriormente con l’acquisto del possedimento di Venosa. Il nonno di Carlo, Luigi IV, che aveva sposato la ricchissima Isabella Ferrella, acquistò la città e, nel 1561, fu investito del titolo di principe di Venosa, trasmissibile agli eredi, per disposizione di Pio IV e del re Filippo II di Spagna.

Merito di tanto onore fu dovuto sopratutto al matrimonio tra Fabrizio Gesualdo e Geronima Borromeo, nipote di papa Pio IV, nonché sorella di Carlo, futuro santo. Lo stesso Alfonso Gesualdo, fratello di Fabrizio, fu ricompensato con la porpora cardinalizia, a soli ventuno anni, per aver portato a termine una simile unione. I Gesualdo erano ormai entrati a far parte dei casati più illustri del territorio italiano. L’infanzia e l’adolescenza di Carlo restano poco note, né è possibile ricavare dalla corrispondenza la minima informazione sul trascorrere della sua vita quotidiana. Le sue lettere ebbero sempre un tono assolutamente formale, fatto di un linguaggio criptico che non ha consentito a nessuno di penetrare nel suo mondo. Molto lavoro resta ancora da fare negli archivi per tentare di acquisire conoscenze che facciano finalmente luce sul periodo infantile, sui suoi precettori, i suoi ambienti di vita e la sua formazione, dal 1566, anno della nascita, alla prima data di cui si ha notizia, il 15856. Di certo la prima infanzia del principe fu vissuta tra l’Irpinia, Napoli e Roma. Sappiamo che a pochi mesi dalla nascita, nel dicembre del 1566, Carlo era nel castello di Taurasi con la mamma, come si rileva da una lettera del padre Fabrizio a Carlo Borromeo, nella quale il principe rassicurava suo cognato sullo stato di salute di Geronima e dei bambini7. La famiglia era ritornata da Venosa, dove i rapporti tra Fabrizio e suo padre Luigi si erano fatti notevolmente tesi. Anche il maestoso ed imponente castello turrito di Calitri aveva accolto il principe Fabrizio, Geronima ed i bambini, tra il verde delle montagne e delle valli altirpine, ed è qui che da piccolissimo Carlo imparò ad amare i cavalli e la caccia. La famiglia Gesualdo disponeva, infatti, di una ricchissima cavallerizza8 accanto al castello, oltre alle altre scuderie dei castelli di Gesualdo, Taurasi e Venosa, in Basilicata. Il nonno Luigi IV e suo padre Fabrizio amavano selezionare prestigiose razze di cavalli come tante famiglie principesche italiane, anche per donarli o scambiarli con membri di famiglie nobili con cui si andavano imparentando. Carlo continuerà ad arricchire gli allevamenti di famiglia con i puledri delle razze più pregiate. Perfino nel suo testamento ribadì con grande fermezza la volontà che mai venisse venduta o alienata «la sua stalla di giovenche», e che i «polledri et cavalli» venissero salvati e conservati «per memoria della famiglia», come già suo padre aveva stabilito prima di lui.


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La morte della madre, nel 1573 , segnò profondamente l’esistenza del piccolo principe e lo consegnò, a soli sette anni, allo zio cardinale Alfonso, che lo portò a Roma insieme al fratello Luigi10, affidando entrambi alle cure di precettori di fiducia nei seminari del Vaticano, verosimilmente maestri di musica e di lettere di grande prestigio, che circondavano l’alto prelato. Fu da Roma che il piccolo scrisse al fratello della madre, Carlo Borromeo, per informarlo sulla sua «edu11 cazione alla virtù» ed è presumibile che entrambi gli zii abbiano vigilato attentamente alla formazione dei due nipoti.

CAPITOLO I

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1.3 / L’ambiente, la famiglia e i genitori La mamma, Geronima Borromeo, nipote di papa Pio IV , nacque nel 1542, da Margherita de' Medici e Giberto Borromeo, nella Rocca di Angera sul Lago Maggiore12, come i suoi due fratelli, Carlo, cardinale, poi arcivescovo di Milano e futuro santo (1538-1584) e Federico (1535-1562). Geronima, rimasta orfana della mamma in tenerissima età, fu destinata dai fratelli alla monacazione, e visse in convento nella più rigorosa obbedienza, soprattutto al fratello cardinale. Fu ancora per obbedire alla volontà dei fratelli che sciolse i voti per sposare, con una sontuosa cerimonia a Roma, tra cardinali e dame dell’alta aristocrazia, Fabrizio Gesualdo, noto per il «Gran Cognome» e per le sue sterminate ricchezze nel Regno di Napoli. Era il 16 maggio 1562. Il suo “sacrificio”, il matrimonio, l’abbandono del convento e del suo mondo milanese, furono determinanti nell'ascesa sociale dei Gesualdo, che furono investiti del titolo di principi di Venosa. Geronima si dedicò, tra Venosa, Taurasi e Napoli, alle cure dei figli Luigi, Carlo, Isabella e Vittoria. Diede loro una severa formazione cristiana e una solida disciplina morale e seppe legarli di un profondo affetto con lo zio Carlo, prelato di grande spiritualità, riformatore della disciplina del clero romano, che seppe assicurare il successo della Controriforma in Italia. Geronima mantenne una fitta corrispondenza col fratello, sognava di poter un giorno mandare il suo Carlo a Roma affinché «da lei potesse pigliar quel esempio di virtù che fa meravigliar il mondo, per che stando qui mi temo che non riuscirà molto a suo contento pur c'atenderò con ogni diligencia»13 e questi le faceva recapitare dei testi spirituali per alimentare la sua fede religiosa e confortarla nella sua solitudine14. Un profondo legame si instaurò tra il giovane

Gesualdo e la famiglia dei Borromeo, imparentata, grazie ad una oculata politica matrimoniale, con le famiglie più potenti e ricche d’Italia come i Gonzaga, i Colonna, i della Rovere, gli Hohenems. La morte della madre accentuò ulteriorente il rapporto di affetto e intensa spiritualità con lo zio Carlo Borromeo, al quale fu legato tutta la vita. All’indomani della sua scomparsa si spese intensamente per riceverne una reliquia, manifestando l’intenzione di erigere una cappella facendo pressanti richieste al cardinale Federigo. Ed infatti una cappella dedicata al Santo la si trova annotata e descritta nei tre apprezzi del castello di Venosa, eseguiti dai Tavolari nel 1635, 1696 e 1713.15 Ma l'uomo che più di tutti si occupò del destino dell’ultimo fragile erede del gran casato dei Gesualdo fu lo zio Alfonso, anch’egli personaggio di primo piano nella gerarchia ecclesiastica dell’epoca. All’ombra della protezione di papi come Pio IV, Pio V, Gregorio XIII (Ugo Boncompagni, fonda-


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tore del Collegio Romano e riformatore del calendario) Sisto V, Gregorio XIV e Clemente VIII, fece una brillante carriera: cardinale diacono, sin dal 1561, poi cardinale con berretta cardinalizia; arcivescovo di Conza nel 1563 e, più tardi, cardinale decano del Sacro Collegio e protettore del Regno di Napoli, in rappresentanza della Spagna. Nominato arcivescovo di Napoli da Clemente VIII, nel 1596, si impegnò con grande rigore nell'applicazione dei decreti tridentini16. Fondò il Pio Monte della Misericordia, nel quale è ancora oggi custodita la splendida opera di Caravaggio Le Opere della Misericordia. A tal proposito non c’è da stupirsi se nell’inventario del castello di Gesualdo troviamo registrato un quadro del Salvatore di Caravaggio; è probabile, infatti, che un legame esistesse tra i Gesualdo e il grande pittore italiano. Il clima ecclesiastico di casa Gesualdo ha lasciato supporre ai vari biografi che Carlo fosse destinato, in quanto cadetto, alla vita religiosa, ma il principe non prese mai i voti, né fu mai cardinale perché fece della musica la sua dottrina teologica ed in questa riversò tutto il suo mondo interiore, le sue riflessioni sulla condizione dell’uomo e la sua fragilità nel nuovo clima della Controriforma. Forse è proprio nella sua musica che si può leggere una visione dell’uomo nuovo che non ha più dogmi e per il quale le parole-chiave sono: solitudine, incertezza, impotenza, secondo la poetica che Vittorio Sermonti17 e Luca Francesconi pensano di poter riscontrare in lui. Certamente il soggiorno romano consentì a Gesualdo di conoscere i molti musicisti al seguito dello zio e di ascoltare musica in un ambiente di grandissimo prestigio come quello del Vaticano.

1.4 / La formazione musicale “Ne reminiscaris Domine delicta nostra” [C. GESUALDO, Mottetto, 1585] Pur mancando notizie approfondite sulla formazione musicale giovanile di Gesualdo, sappiamo per certo che l'ambiente napoletano fu ricchissimo di stimoli e occasioni di crescita. Lo stesso padre Fabrizio, secondo Jean de Macque dotato «della perfetta cognizione della Teoria Musicale, oltre tante scienze, et greche et latine», fu grande amatore di musica, al pari di altri principi italiani e stranieri, o dei nobili della sua città, organizzatori di una vita culturale intensa, nella quale la musica fu parte fondante nelle feste, nei banchetti, nei tornei. Non di rado personaggi di spicco dell’aristocrazia del tempo furono soliti mantenere delle vere e proprie corti di musicisti, una propria cappella e luoghi di produzione ed esecuzione musicale. Carlo visse un intenso periodo di formazione musicale nel palazzo grande di Napoli acquistato dal padre, che oggi purtroppo non esiste più, nel quartiere di Santa Maria La Nova, situato in uno dei Seggi più prestigiosi di Napoli, quello di Nido18. Il clima culturale e musicale che Fabrizio seppe creare nelle relazioni della vita quotidiana, a cui non furono estranei i viceré come Pedro Giron de Ossuna e Juan de Zuñiga, conte di Miranda, nel cuore del centro storico della città, dove abitavano le grandi famiglie del Regno di Napoli, dai Carafa ai Gravina, ai Bisignano, ai Filomarino, influì moltissimo sulla formazione umana e culturale del figlio giovanetto, consentendogli di


Kathy Toma

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“De Soni e Voci” L’angoscia come contrappunto. Carlo Gesualdo o la voce del silenzio

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“[…] che nel silentio ancor son voci e prieghi” [C. Gesualdo, Madrigali, II, 6]

Anche se date mescalina o hascisc ad una qualsiasi persona, non si metterà a scrivere come Henri Michaux o come Baudelaire; non è per via della follia che Van Gogh arriva all’espressività tumultuosa e vulcanica del colore, e non è perché Gesualdo ha assassinato la bella moglie traditrice che diventa un geniale musico. Artista si nasce e le vicende umane possono tutt’al più approfondire la ferita iniziale da cui sgorga ogni creazione, quel «pianto – di cui parlava Modigliani – per l’impossibilità di poter raggiungere le stelle». Gli artisti contemporanei di Carlo hanno riconosciuto la sua grande originalità e le loro dediche lo evidenziano ampiamente: quelle di un Luzzaschi o del Nenna, gli apprezzamenti di un Monteverdi, di Emilio de’ Cavalieri1, di Scipione Cerretto 2 , del Blancanus 3 , come l’amicizia dell’Arlotti4 e quella del conte Fontanelli5. La notevole dedica al principe di Venosa di un trattato di acustica del 1594 (De Soni e Voci)6 da parte di Vincenzo Rondinelli da Lugo, allorché Carlo si recò a Ferrara per sposare Leonora d’Este, da cui si è preso il titolo per questo nostro studio, è molto significativa della grande considerazione di cui godeva il principe e ci ricorda l’ambiente colto e raffinato nel quale viveva, il suo interesse per la filosofia e le scienze, oltre che per la poesia e la musica. La ricerca di Gesualdo di una musica al di là del suono, continua ad affascinare gli artisti ancora

oggi nel XXI secolo pur con molte vicissitudini attraverso i secoli. Come fa notare Glenn Watkins7 nell’epilogo di Gesualdo The man and his music, la critica si è praticamente focalizzata nel tempo solo su sei madrigali. Il miracolo è che, nonostante questo, la fama del compositore ha attraversato i secoli per giungere fino a noi, mentre la sua musica sacra era caduta nel più completo oblìo. Dobbiamo la riscoperta di Carlo Gesualdo a Stravinskij e appunto al musicologo Glenn Watkins, che fece un lavoro pionieristico con la sua fondamentale pubblicazione su Gesualdo e realizzò insieme a Wilhelm Weissmann l’impresa gigantesca dell’edizione dell’Opera Omnia di Gesualdo, oggi purtroppo fuori stampa. A due riprese, nel 1956 e nel 1959, Stravinskij, affascinato dal compositore gesualdino, effettuerà dei “pellegrinaggi” proprio nella terra di Carlo, a Gesualdo 8 e negli altri luoghi a lui cari.


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L’introduzione al libro di Watkins, scritta di suo pugno, non a caso è ricca di informazioni sia sulla vita di Carlo che sulle sue opere: dopo aver completato parti mancanti a tre “mottetti” del Gesualdo (Illumina nos, Da Pacem e Assunta est Maria), nel 1960 compone inoltre il Monumentum pro Gesualdo, utilizzando tre madrigali di Carlo (Asciugate i begli occhi, Beltà poichè t’assenti e Poichè l’avida sete). Questa opera strumentale doveva commemorare i quattrocento anni dalla nascita di Gesualdo, che si pensava fosse avvenuta nel 1560, invece che nel 1566, l’8 marzo a Venosa, come hanno invece rivelato documenti scoperti recentemente9. Più vicino a noi, nel 1999, il compositore Salvatore Sciarrino realizzerà, nella sua opera Le Voci sottovetro, delle trascrizioni di brani del Gesualdo, in particolare: Gagliarda del Principe di Venosa, Tu m’uccidi o crudele, Canzon francese del Principe, Moro, lasso, al mio duol. Lo stesso compositore, nella musica per i pupi siciliani dello spettacolo Terribile e spaventosa storia del Principe di Venosa e della bella Maria, riprenderà anche Tu m’uccidi, o crudele. Pure Pino Daniele citerà Carlo nel suo CD Medina, mentre Tino Tracanna e Corrado Guarino offriranno rivisitazioni in chiave Rock e Jazz di varî madrigali di Carlo, nel loro CD intitolato Gesualdo.

Le note basse o curve melodiche discendenti con ritmi più lenti, da lamento, diventeranno le protagoniste espressive del dolore e della tristezza, mentre gioia e luce si esprimeranno su una tavolozza chiara di suoni più alti e con successioni di note più rapide, in salita. Saranno i compositori fiamminghi scesi in Italia, come Willaert e Cipriano De Rore, a conferire a questa forma poetica e musicale un carattere colto, mettendo in risalto l’espressività del testo, in funzione delle inflessioni dell’affettività, ampliandola grazie alla loro raffinata arte polifonica. Ferrara – con la presenza di questi musicisti fiamminghi insieme a Giaches de Wert, Marenzio e Luzzaschi – si trova nel cuore della produzione madrigalistica, come Venezia, che diventa, attorno al 1540, il centro più importante per l’edizione dei madrigali. Con Giaches de Wert (che frequenterà la brillante corte irpina di Maria de Cardona) si assiste ad una specie di crescendo dell’espressività: è stato lui ad aver spinto la forma del madrigale verso una forma di espressionismo con contrasti ritmici in funzione del significato dei sentimenti espressi, alterazioni e progressioni cromatiche10. Ed è molto probabile che l’influenza della polifonia fiamminga sia giunta fino a Carlo Gesualdo in un modo molto diretto, tramite Jean de Macque che era stato alla corte di suo padre Fabrizio11.

Cenni sul madrigale Il madrigale, una delle prime forme di musica polifonica profana, nasce a Firenze dalla tradizione dei canti carnascialeschi del medioevo e, nella cerchia dei Medici, acquista attorno al 152030, sotto l’influenza del petrarchismo, la sua importanza anche nella sfera della nobiltà. La sua forma musicale – convergenza del mottetto (di origine sacra) con la frottola (composizione popolare a due o tre voci) – evolverà successivamente, tra il 1500 e il 1600, sotto l’influsso della polifonia fiamminga, diventando il campo di esperimenti vari. Sul piano della metrica e dell’organizzazione strutturale, assume delle forme di una grande libertà, che possono oscillare tra otto e quattordici versi, inizialmente endecasillabi, in alternanza, più tardi, con settenari, spesso in terzine rimate. Nel madrigale rinascimentale si assiste allo sviluppo dell’effusione personale attraverso nuove relazioni fra parola e suono, come già negli scritti del Bembo, in cui si esprime l’individualismo rinascimentale: l’uomo si libera dai suoi affetti, la musica diventa “visiva”.

Il madrigale nell’opera di Carlo Gesualdo All’epoca di Carlo Gesualdo, la musica è riservata ad una élite che spingerà la tradizione madrigalesca in particolare, anche se nutrita di fonti popolari come la frottola, la villotta, la chanson parisienne, a delle vette musicali di estrema sofisticazione, nell’ambito della “Musica riservata”, come messo in evidenza da Wilhelm Weismann12, e sarà Carlo a spingere “la forma madrigale” alla sua dissoluzione13. Gesualdo è considerato, da molti musicologi e musicisti, all’apice di una lunga evoluzione. Come afferma Hubert Meister14: «Dopo di lui, né il contrappunto, né l’armonia, né la declamazione melodica e ritmicamente elaborata, né l’ampiezza dello spazio sonoro, né la condotta delle parti nella loro elasticità o nei salti bizzarri usati in funzione espressiva, né l’arte della variazione continua, e neppure la possibilità di contrasti, saranno suscettibili di un’ulteriore intensificazione». Attraverso i sei Libri di madrigali prodotti da Carlo, si assiste ad un crescendo dell’espressività e delle dissonanze. Interessante constatare che


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Le edizioni Fra il 1594 e il 1611, Carlo compone 125 madrigali raccolti in sei Libri e segue personalmente la loro edizione. Nel 1594 vengono pubblicati a Ferrara, da Vittorio Baldini, il II e il I Libro dei Madrigali a cinque voci, a cura di Scipione Stella, musico di Carlo che dal Sud lo aveva accompagnato a Ferrara per il suo matrimonio con Leonora d’Este. La dedica di Stella ci rivela l’esistenza di un’edizione precedente dovuta a Gioseppe Pilonij16, di cui purtroppo se ne è persa traccia. Strano anche che il II Libro fosse stato stampato prima del I Libro. Sempre dal Baldini, verranno pubblicati il III e il IV Libro, rispettivamente nel 1595 e nel 1596, a cura di Ettore Gesualdo17. Quando Carlo, accompagnato dal fedele Fontanelli, riparte da Ferrara per ritornare nei suoi feudi, passa prima a Venezia (maggio-giugno 1594), uno dei centri italiani più importanti nel campo dell’editoria. Sarà l’occasione per allacciare contatti col Gardano che, dopo il Baldini, stamperà molte sue opere, in particolare i Madrigali a cinque voci, facendo un’inversione tra il I e il II Libro (edizioni del 1603, 1607, 1613 ed edizioni postume). Sarà con i tipi del napoletano Costantino Vitale che pubblicherà invece, nel 1603 – anno della

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morte dello zio, il cardinale Alfonso Gesualdo –, le Sacrae Cantiones (in due volumi composti da diciannove “mottetti sacri” a cinque e venti “mottetti” a sei e sette voci). Un’anno dopo, nel 1604, lo stesso Costantino Vitale pubblicherà una ristampa dell’edizione del Baldini di Ferrara del Secondo Libro dei Madrigali a cinque voci. Mentre nel 1611, sarà nella stamperia itinerante di Giovan Giacomo Carlino, installata nel castello di Gesualdo, che Carlo, assistito da Don Gio. Pietro Cappuccio, farà stampare i due ultimi Libri dei Madrigali a cinque voci, il V e VI, e la sua ultima opera sacra, i ventisette Responsoria et Alia ad Officium Hebdomadae Sanctae Spectantia a sei voci. La pubblicazione della Partitura delli Sei libri de’ Madrigali a cinque voci, stampata dal Pavoni a Genova a cura dell’organista Simone Molinaro, avviene nel 1613, e dunque finora non è stato possibile sapere se Carlo ne avesse ancora preso conoscenza prima della sua morte. Fra le edizioni postume dei Madrigali, si segnala quella di Ambrosio Magnetta di Napoli, del 1626, una raccolta di solo madrigali a sei voci di cui è rimasta solo la parte del Quinto, con la commovente dedica di Muzio Effrem a Leonora18. Attraverso questo percorso delle edizioni delle opere di Gesualdo, si assiste all’affermazione sempre più forte del destino del compositore e della consapevolezza dell’opera che sta creando: sintomatica l’installazione nel castello della stamperia del Carlino, un atteggiamento molto moderno da parte di Carlo. Si può immaginare il piacere fisico e intellettuale del principe nel sentire materializzate sulla carta, con l’odore fresco dell’inchiostro, le voci che echeggiavano nella sua mente. Nel 1585, circa dieci anni prima di dare alle stampe i suoi primi due Libri dei Madrigali a cinque voci, Carlo aveva già avuto il piacere di vedere un suo componimento pubblicato in una raccolta del Felis, che gli dà dell’«Illustrissimo». Si tratta di un’opera sacra, un “mottetto” (Ne reminiscaris Domine delicta nostra), cosa che costituisce un vero onore per un giovane compositore di diciannove anni19. Le musiche profane e sacre di Carlo sono prima di tutto vocali, con una predilezione per una configurazione a cinque, sei e sette voci come nelle Sacrae Cantiones. Nei Libri dei Madrigali a cinque voci, ci sono alcuni pezzi a sei voci e nell’ultimo Libro, il VI, ci sono addirittura 18 madrigali a sei voci raggruppati alla fine del Libro. Questa scelta compositiva permette a Carlo di esprimere una complessità che si addice proba-

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la struttura del madrigale viene conservata immutata dal I fino al VI Libro, come osservato da Weismann15. All’apparente felice spensieratezza del I Libro, fa seguito un infittirsi progressivo della densità espressiva; a partire dal III Libro si diradano sempre di più i testi allegri fino ai gridi strazianti lanciati negli ultimi Libri (V-VI). Luci serene e chiare del IV Libro, su una poesia dell’Arlotti costruita su tre terzine, costituisce una luminosissima eccezione a questa drammatica progressione, un momento di grazia, di felicità, forse dovuta alla presenza di Leonora d’Este, come l’ultimo madrigale a sei voci in chiusura di questo IV Libro: Il sol qualor più splende, meravigliosa dedica d’amore. Conviene anche segnalare, nel IV Libro, la presenza impressionante di un “unicum”, l’unico madrigale sacro di tutta la raccolta, Sparge la morte al mio Signor nel viso, premessa alle composizioni sacre che seguiranno: i “mottetti sacri” delle Sacrae Cantiones e i Responsoria. Questi cenni permettono di capire la cura con la quale viene elaborata tutta la raccolta, in un modo architettonico in cui tutti gli elementi concorrono all’effetto generale.


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bilmente meglio al suo tipo di espressività, alla sua visione, al suo universo sonoro. È come un pittore che “vede” l’opera quando la concepisce in un certo formato: è una questione di visione creativa. Carlo ha anche fatto delle composizioni a tre voci, come ci testimonia il conte Fontanelli che lo accompagna a Gesualdo. È molto probabile che sotto l’influenza del soggiorno ferrarese e del Concerto delle Dame Principalissime ivi suonato20, volesse sperimentare anche questa forma per dedicarla a loro o forse per riprodurre anche nella sua corte di Gesualdo gli stessi topoi. Del resto, abbiamo una lettera dell’Arlotti, che accompagnò Alessandro d’Este a Gesualdo nel 1601, che evoca uno di questi concerti21. Due canzonette, già segnalate dal Watkins, sono inserite nell’VIII Libro di madrigali di Pomponio Nenna22, e vari musicologi stanno elaborando nuove attribuzioni come, per esempio, a proposito di una canzonetta/madrigale a tre voci l’Amoroso Delfino23. Si può immaginare e sperare che forse altri tesori possano essere ancora scoperti, forse anche della musica strumentale? È poca, infatti, la musica strumentale di Carlo Gesualdo pervenuta fino a noi: sono le già citate Canzon francese e la Gagliarda24. Bisogna anche ricordare le pratiche di trascrizioni dal canto agli strumenti. Carlo stesso è un grande interprete: canta, suona la chitarra, il liuto, l’arciliuto, il cembalo e l’archicembalo, forse anche la tiorba, che troviamo elencata nell’Inventario di Casa Gesualdo. Il reportage del conte Fontanelli, mandato in missione dal duca Alfonso d’Este per accogliere Carlo ad Argenta nel mese di febbraio del 1594, è ricco di particolari sul modo di suonare di Carlo e sulla sua passione per la musica. Per Carlo la musica è come respirare, è una necessità vitale ascoltarla, suonarla e anche parlarne. Lo fa con una passione tale da scoraggiare tutti coloro per i quali la musica è solo un divertimento, e il sua professionalità è considerata quasi fuori posto per un principe: è addirittura scandaloso voler essere altro che un “dilettante”. Piccole frasi di Fontanelli nelle lettere da Venezia o da Gesualdo evocano la frenesia della composizione che abita in Carlo, in un periodo felice della sua vita: «ha già scritto tre madrigali», riferisce il conte. Carlo, in altre parole, ha le idee pronte e scrive alla svelta. Parola e musica Nei due primi Libri di madrigali di Carlo Gesualdo, è importante l’influenza del Tasso, significativa

anche l’assenza assoluta del Petrarca e la predilezione di Carlo per dei testi brevi, che gli farà preferire poeti minori, ferraresi ed altri, di cui spesso rimaneggia le rime o l’ordine della frase, cambiando certe parole. La riscrittura “in negativo” della celebre poesia di Alfonso D’Avalos (il nonno di Maria che scrisse anche Il bianco e dolce cigno, musicato da Arcadelt) è significativa. “Anchor che col partire/ Io mi senta morire,/ Partir vorrei ogn’hor ogni momento,/ Tant’è il piacer ch’io sento/ De la vita ch’acquistònel ritorno./ Et cosi mill’e mille volte il giorno/ Partir da voi vorrei./ Tanto son dolci gli ritorni miei”.

diventerà, nella riscrittura gesualdiana: “Sento che nel partire/ Il cor giunge a morire/ Ond’io misero ogn’hor, ogni momento/ Grido: “morir mi sento”, /Non sperando di far a voi ritorno;/ E così dico mille volte il giorno:/ “Partir io non vorrei/ Se col partir accresco i dolor miei”25.

Anche se l’uso della parafrasi è frequente all’epoca del Gesualdo, come indicato dal ricchissimo studio testuale e musicale di Elio Durante e Anna Martellotti26, la trasformazione non è un puro gioco formale: è molto sintomatica e personale. Carlo fa suo il testo con una scansione del verso che è già musica; la drammatizzazione comincia subito con la parola sento, parola chiave, personalizzazione della confidenza. L’effusione apre il poema e entra l’altra parola-chiave: il cor; il dolore diventa fisico, fino al crescendo del grido morir mi sento. La tematica si rivela tipicamente gesualdiana nell’impiego delle parole: morir, usata due volte, dolor, misero. Il paragone tra i due ultimi versi delle due versioni, ci mostra che essi sono agli antipodi. Gesualdo ha rovesciato la situazione con l’espressione di un dolore senza fine, con il valore simbolico forte della parola partir. Questo esempio mostra la libertà estrema che Carlo può prendere con un testo, fino ad un lavoro di rielaborazione che evidenzia la lucidità e l’originalità delle sue scelte poetiche; e forse non sembra illegittimo attribuire al Gesualdo stesso la paternità di un certo numero di testi cosiddetti anonimi. Poeti come l’Arlotti, Annibale Pocaterra, Orsina Cavalletta, Orazio Ariosti, Alessandro e Battista Guarini saranno le fonti più utilizzate da Carlo, come rivela lo studio già citato di Elio Durante e Anna Martellotti, che indicano anche da quali altri compositori sono stati musicati i madrigali scelti da Carlo.


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