Luca Zanatta Graphic Design Portfolio

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55 Biennale Arte

esposizione internazionale d'arte contents

Marisa Merz

Marino Auriti

Massimiliano Gioni © Collezione Jacorossi, Roma

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Maria Lassnig

Paolo Baratta © Eredi Luigi Ghirri

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padiglione santa sede

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padiglione italia

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leone d’oro alla carriera Marisa Merz

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leone d’oro alla carriera Maria Lassnig

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il palazzo enciclopedico arsenale

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il palazzo enciclopedico giardini

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interview with Massimiliano Gioni

interview with Paolo Baratta

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© 2009 Foundation of the Works of C.G. Jung, Zürich.

il palazzo enciclopedico

(Codogno, Lodi, 1966. Vive e lavora tra Milano e New York) I suoi lavori rivolgono alla realtà contemporanea uno sguardo anticonvenzionale, animato da empatia, umorismo e ironia. Le performance e le installazioni coinvolgono in modo imprevedibile lo scenario urbano, riattivando situazioni e comportamenti quotidiani e ibridandoli con la memoria personale e l’immaginario collettivo. Animated by empathy, humor, and irony, his works turn an unconventional eye to contemporary reality. His performances and installations involve the urban scenario in unpredictable ways, reactivating situations and everyday behaviors and hybridizing them with personal memories and the collective imagination.

Thoth Tarot, Atu XII - The Hanged Man, 1938-40 © Ordo Templi Orientis

1876 Saint-Pierre-les-Auchel, Francia – 1954 Burbure, Francia

Emma Kunz

Maria Lassnig

Augustin Lesage

Evgenij Kozlov

1919 Kappel am Krappfeld, Austria

1982 Praga, Repubblica Ceca

1955 San Pietroburgo, Russia

1892 Brittnau, Svizzera – 1963 Waldstatt, Svizzera

René Iché

Eva Kotátková

Roger Hiorns

1975 Birmingham, UK

Carl Gustav Jung

1875 Kesswil, Svizzera – 1961 Küsnacht, Svizzera

1897 Sallèles-d’Aude, Francia – 1954 Parigi, Francia

Guo Fengyi

Domenico Gnoli

1933 Roma, Italia – 1970 New York, USA

Tacita Dean

1942 – 2010 Xi’an, Cina

Peter & David Fischli & Weiss

1952 Zurigo, Svizzera / 1946 – 2012 Zurigo, Svizzera

Enrico David

1966 Ancona, Italia

1954 Ronse, Belgio

1965 Canterbury, UK

Varda Caivano

1971 Buenos Aires, Argentina

Oliver Croy and Oliver Elser

Aleister Crowley / Frieda Harris

1875 Royal Leamington Spa, UK – 1947 Hastings, UK 1877 Londra, UK – 1962 Srinagar, India

KP Brehmer

Roger Caillois

1913 Reims, Francia – 1978 Kremlin-Bicêtre, Francia

Geta Bratescu

James Lee Byars

1926 Ploiesti, Romania

1932 Detroit, USA – 1997 Il Cairo, Egitto

1938 a Berlino, Germania – 1997 Amburgo, Germania

1924 Livorno, Italia

Gianfranco Baruchello

Graphic Works of Southeast Asia and Melanesia, Hugo A. Bernatzik Collection 1932–1937

Uri Aran

Morton Bartlett

leone d’oro alla carriera Marisa Merz

(Firenze, 1967. Vive e lavora a Savigno, Bologna) Dopo la Laurea in Storia Orientale all’Università di Bologna, prende parte al Link Project (1995- 2001). La sua ricerca sintetizza innovazione, memoria e tradizione, recuperando la creatività artigianale dell’operare artistico, che si concretizza nella fisicità di luoghi reali, ma, al contempo, spazi mentali animati dalla memoria. After graduating in Oriental History at the University of Bologna, he participated in the Link Project (1995-2001). His art synthesizes innovation, tradition, and memory, restoring the artisanal creativity of an artistic work that takes shape in the physicality of real places that are, at the same time, mental spaces animated by memory.

(Peja, Kosovo, 1970. Vive e lavora tra Bruxelles e New York) Nel 1988 Sislej Xhafa lascia il Kosovo per trasferirsi a Londra, dove rimane qualche tempo, prima di stabilirsi a Firenze per frequentare l’Accademia di Belle Arti. In Italia consolida un linguaggio che si manifesta attraverso diversi media: video, performance, fotografie e installazioni. Tramite espressioni diversificate Xhafa mette a fuoco con ironia e intelligenza la complessità dei temi legati all’immigrazione e alle profonde differenze politiche e culturali dei paesi che ha attraversato. In 1988, he left Kosovo to move to London, where he remained for some time before moving to Florence to attend the Academy of Fine Arts. Through diverse expressions – video, performance, photographs, and installations – Xhafa focuses with humor and intelligence on the complexity of issues related to immigration and the deep political and cultural differences of the countries through which he has passed.

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7 Piero Golia

(Napoli, 1974. Vive e lavora a Los Angeles) Attraversando una varietà di linguaggi e modalità differenti - dall’installazione alla performance e la scultura - la sua ricerca mira alla costante messa in discussione dei confini tra realtà e immaginazione, possibile e impossibile, realtà e finzione, e si distingue per un approccio dal carattere ironico e acuto. Using a variety of different languages and forms – from installation to performance and sculpture – his art seeks to constantly question the boundaries between reality and imagination, possible and impossible, reality and fiction, and is distinguished by an approach that is ironic and sharp.

Leone d’Oro alla Carriera Marisa Merz

Marisa Merz, Senza titolo, 2004 Collezione privata, Courtesy Fondazione Merz, Torino Photo Paolo Pellion, Torino

With eyes closed

Sislej Xhafa

he only female artist of the Arte Povera movement in the 1960s, Marisa Merz has always defended and proved her individuality conferring upon her work an original cut that made it distinct from other artists her contemporaries. She came out of the rigor and coldness of Minimalism with her use of materials more specifically associated with women’s work, like knitting, and which gave her sculptures and installations the strong artistic personality for which she has always been recognized. Merz made her debut in 1966 in her studio in Turin where she exhibited some aluminum sculptures. Two years later, she took part in the collective Arte Povera + Azioni Povere, organized by Germano Celant at the Arsenals of the Ancient Republic of Amalfi. On that occasion, Marisa Merz presented some works carried out with such humble materials as nylon, copper, and scotch tape that were straight out of the “povera” philosophy yet which referred to her own life, past, and daughter’s childhood. Her work has always been rich not only of her personal but also of her artistic past: re-presenting works already offered before has often constituted an important mark of her artistic approach. For example, in 1972, at the 36th Biennale, she proposed Ad occhi chiusi, gli occhi sono straordinariamente aperti (With eyes closed, the eyes are surprisingly open), which consisted of several sculptures that had been created up to eight years before. Personal and social memory, private and public dimension: these ingredients are always alive in her work and have made her the star of all her work while, at the same time, providing us with an almost intimate way of interpreting her works. Returning to the Biennale in 1980 at the invitation of Harald Szeemann, Marisa Merz began an exhibition career consisting only of great artistic opportunities. That year she was awarded the Golden Lion for the singularity of her artistic observation dedicated to the female space, to the painting, sculpture and drawing that combine contemporary and archaic in her work and to the vocation of solitude that invites us to look at her work “with eyes closed”. Tr. Brenda Stone

nica donna artista della corrente dell’Arte Povera negli anni ‘60, Marisa Merz ha sempre difeso e dimostrato la propria individualità conferendo al suo lavoro un taglio originale che l’ha distinta dagli altri artisti suoi coetanei. È emersa dal rigore e dalla freddezza minimalista con l’utilizzo di materiali propri delle lavorazioni artigianali più specificamente femminili, come il fare a maglia, e che conferivano alle sculture e alle installazioni quella forte personalità artistica che le è stata sempre riconosciuta. Esordisce nel 1966 nel suo studio a Torino con l’esposizione di alcune sculture in alluminio e due anni dopo partecipa alla collettiva Arte Povera + Azioni Povere, organizzata da Germano Celant negli Arsenali dell’Antica Repubblica di Amalfi. In questa occasione Marisa Merz propone alcune opere realizzate con materiali propri della filosofia ‘povera’, quali il nylon, il rame e lo scotch, ma che rinviano alla sua propria vita, al suo passato e all’infanzia della figlia, introducendo quel taglio giocoso che la allontana maggiormente dal rigore minimalista. Il suo lavoro è sempre stato ricco del suo passato, non solo personale ma anche artistico: riproporre lavori già presentati in precedenza ha sovente costituito una marca importante del suo fare artistico. Come nel 1972 quando, alla 36. Biennale propose Ad occhi chiusi, gli occhi sono straordinariamente aperti, composto da diverse sculture realizzate fino a otto anni prima. Ricordo personale e ricordo sociale, dimensione privata e dimensione pubblica, sono ingredienti sempre vivi nei suoi lavori e la rendono grande protagonista di ogni suo lavoro fornendo a noi, al contempo, un modo quasi intimo di interpretare le sue opere. Tornata alla Biennale nel 1980 su invito di Harald Szeemann, Marisa Merz inizia la sua carriera espositiva fatta solo di grandi occasioni artistiche come, di poco successiva, fu quella a Parigi al Pompidou e a Roma al Palazzo Delle Esposizioni. Dalla partecipazione a Kassel nel 1982, inaugura invece un modo dialogico di esporre mettendosi in diretto contatto con i lavori a lei attigui in mostra. Molte sono state le mostre personali che le sono state dedicate negli anni successivi, tra cui da ricordare sono quella al MADRE di Napoli, ad Amsterdam, in Svizzera e nuovamente a Parigi al Pompidou. Dopo il premio speciale assegnatole nel 2001, quest’anno le è stato conferito il Leone D’Oro proprio per la singolarità della sua riflessione artistica riservata allo spazio femminile, per la pittura, la scultura e il disegno che nel suo lavoro combinano arcaico e contemporaneo e per la vocazione alla solitudine che invita a guardare il suo lavoro ‘ad occhi chiusi’.

Non ho chiesto agli artisti di fare esercizi di immaginazione attiva o di essere junghiani. C’è un continuo confrontarsi con la dimensione interiore, questo sì. Ciò che la mostra racconta è questo continuo contrapporsi tra l’immagine che è dentro di noi e le immagini che sono attorno a noi, le immagini artificiali. Da un lato l’immagine che ci portiamo in testa, l’immagine che sogniamo, il

Gianfranco Baruchello

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mapping giardini

Massimiliano Gioni T Curatore della 55. Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia Curator of the 55th International Art Exhibition – la Biennale di Venezia U Foto: Giorgio Zucchiatti Courtesy: la Biennale di Venezia

(Livorno 1924. Vive e lavora tra Roma e Parigi) Conosce Marcel Duchamp nel 1962. Tra le collaborazioni figurano Felix Guattari, David Cooper e Jean-François Lyotard. Si avvicina dai tardi anni Cinquanta alle più aggiornate correnti americane ed europee, mantenendo una ricerca indipendente. Oltre al video e al film – di cui è precoce sperimentatore – la sua ricerca si esprime attraverso il disegno, la pittura, l’activity, l’editoria e l’installazione, allontanandosi progressivamente dai linguaggi tradizionali. He met Marcel Duchamp in 1962. He has worked with Felix Guattari, David Cooper, and Jean-François Lyotard, among others. Since the late 1950s, he has been interested in the latest American and European trends yet has continued his own independent artistic explorations. In addition to videos and films – of which he was an early experimenter – he has expressed his artistic vision through drawing, painting, printed matter, and installation, gradually moving away from traditional languages.

Nei video di Victor Alimpiev, elementi di diverse discipline – dalla pittura al teatro, dalla danza alla musica – si fondono nell’immagine in movimento. Al centro delle sue opere sta l’uomo, che di rado compare come individuo, quasi sempre come gruppo, folla, ‘massa’ plasmabile: i personaggi diventano così sculture viventi nello spazio. L’artista esplora le possibilità della messinscena teatrale e il carattere performativo del nostro agire quotidiano. In Victor Alimpiev’s video, images in motion combine elements of diverse disciplines – painting, theatre, dance, music. The center of his work is the human being, rarely appearing as an individual, more often as group, crows, malleable ‘mass.’ His characters are living sculptures in space. Alimpiev investigates the potentials of the theatrical mise en scène, and the performative character of our everyday lives.

The Dove, no. 12, Series UW, 1915 Courtesy The Hilma Af Klint Foundation

1909 Chicago, USA – 1992 Boston, USA

Carl Andre

Nikolaj Bakharev

1946 Mikhailovka, Russia

1977 Gerusalemme, Israele

Ellen Altfest

1935 Quincy, USA

Levi Fisher Ames

1843 Sullivan, USA – 1923 Monroe, USA

Hilma af Klint

1973 Mosca, Russia

1970 New York, USA

Victor Alimpiev

Biennale Arte

Victor Alimpiev

Cresciuto in una famiglia devotamente cristiana, dopo la morte del padre predicatore evangelico Crowley si libera di qualsiasi inibizione, ripudiando la sua educazione. Libertà sessuale, passione per l’occulto, che lo porterà addirittura a fondare una sua religione, Thelema, radicalmente liberale e antigerarchica. Nel 1938, Crowley iniziò quello che sarebbe diventato il suo ultimo progetto importante: con l’aiuto della pittrice Frieda Harris intraprese una revisione del tradizionale mazzo dei tarocchi. Crowley e Harris avevano un’attenzione ossessiva per i dettagli e il progetto finì per durare oltre cinque anni. Raised by a devout Christian family, after the death of his father, an Evangelical Minister, Crowley freed himself of all inhibitions and repudiated his education. His sexual freedom and fascination for the occult drove him to found a radically liberal, non-hierarchical new religion, Thelema. In 1938, Crowley started to work on his last important project: a revision of the traditional Tarots in collaboration with Frieda Harris. Crowley and Harris shared an obsession for details, and the project eventually took five years.

Flavio Favelli

Ad occhi chiusi

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1862 Solna, Svezia – 1944 Djursholm, Svezia

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(Roma, 1966. Vive e lavora a Roma) Con riferimenti alla tradizione culturale politica e artistica del Novecento, come pure ai temi controversi della contemporaneità, l’opera di Elisabetta Benassi percorre uno spazio difficile, quello del nostro presente. Sullo sfondo dei suoi lavori appare sempre una domanda sulla condizione e l’identità attuali. With references to the twentieth century’s political and artistic cultural tradition as well as to the controversial themes of contemporaneity, Elisabetta Benassi’s work traverses the difficult space of our times. The question of the present-day condition and identity always appears against the background of her work.

The Red Book [page 63], 1915-1959 © 2009 Foundation of the Works of C.G. Jung, Zürich. First published by W.W. Norton & Co., New York 2009

Jung’s Red Book (Liber Novus) is a curious book yet curious does not explain the complexity of this work that is more similar in size and typeface to an expensive art exhibition catalog. It is a refined and bizarre book that can be seen as the transcription into words and images of the dreams and visions that populated its author’s “voyage of exploration to the other pole of the world”, a symbolic copy of “another” universe whose driving force is in the “secret”. At the same time, these interior images are filled, like a shamanic universe, with dangerous, salvific powers, sharing equally the qualities of artistic and psychological experimentation. In the guise of a restored medieval illuminated manuscript, it fulfills an existential plan, one that comes from that “creative illness” in which Jung’s unconscious engaged in an internal, almost hand-to-hand struggle, with the most profound images. This process, which Jung called “active imagination”, is the unprecedented tool he used to “resurrect” the archetypal content, objectifying them in images via interior meditation, writing (handwritten manuscript), and painting, with a rich iconographic legacy of phantasmagorias and virtuosities. They are memories or sightings of energies operating in the realm of the invisible, they are collected, evaluated in a speculative manner, and stripped bare in an attempt to make them visible. This is an impossible map to negotiate, which inhabits the asymptotic line of allusion. It is not a maze, but rather an attempt to look at the ever moving shadows on the wall of one’s own mind. Between movement, contents, and container a contrast, an oxymoron is created that re-views what exists “between”, in the gap between the imaginary world of ideas, fantasies, delusions, and hallucinations, and the so-called real world. But is this not the same evanescent world that contemporary art populates? Tr. B.S.

The Red Book [page 655], 1915-1959 © 2009 Foundation of the Works of C.G. Jung, Zürich. First published by W.W. Norton & Co., New York 2009

Tr. Brenda Stone

Sislej Xhafa

Massimo Bartolini

Marcello Maloberti

Giulio Paolini

(Genova, 1940. Vive e lavora a Torino) La sua ricerca artistica verte su tematiche che indagano lo statuto dell’opera d’arte, la sua essenza e il suo manifestarsi nello spazio. Frequentemente associati al movimento dell’Arte Povera, i lavori dell’artista si caratterizzano per un grande rigore concettuale e per un linguaggio che si serve di espedienti quali la citazione, la frammentazione e la duplicazione, per mettere in scena la natura tautologica del fare artistico e le dinamiche del rapporto autore-opera-spettatore. His quest for artistic exploration has hinged on topics that explore the statute of a work of art, its essence, and its manifestation in space. Frequently associated with the Arte Povera movement, the artist’s works are distinguished by a formidable conceptual rigor and a language that uses such devices as quotation, fragmentation, and duplication that stage the tautological nature of making art and the dynamics of the relationship between the artist, the work, and the viewer.

Elisabetta Benassi

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(Cecina, 1962. Vive e lavora a Livorno) La poetica dell’artista si articola attraverso linguaggi differenti che danno vita a opere sempre in stretta connessione con il luogo in cui si trovano. Tramite l’utilizzo di elementi diversificati, Bartolini agisce nello spazio distruggendo le classiche coordinate spazio-temporali e creando dimensioni Francesca Grilli nuove e inaspettate. (Bologna, 1978. Vive e lavora ad Amsterdam) This artist’s poetics are articulated through diverse La sua ricerca esplora l’ambito del suono, languages that give life to works that are always nelle sue molteplici implicazioni espressive closely connected to the place in which they are e percettive. Prediligendo il linguaggio found. Using a broad range of elements, Bartolini performativo, i lavori muovono da elementi undertakes in this space to destroy the classical privati e personali per incontrare lo spazio time-space coordinates in order to create new and d’azione dello spettatore, coinvolgendolo in un unexpected dimensions. territorio incerto e perturbante. Her art explores the range of sound in its manifold expressive and perceptual connotations. Preferring the language of performance, her works move through private and personal elements to encounter the viewer’s space of action, drawing him into an ambiguous and disquieting territory.

Francesca Grilli

Luca Vitone

VEDUTA/ LUOGO

120 Brochage 210x260 mm Italien/Anglais

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Elisabetta Benassi

Massimo Bartolini

pages reliure format langue

(Roma, 1956. Vive e lavora a Roma) La sua pittura è frutto di un complesso processo intellettuale che, partendo dalla registrazione di dati reali, arriva a distillare forme pure e allusioni spaziali e luminose. L’analisi della relazione tra forma - sempre in bilico tra riconoscibilità e astrazione - e luce è così assunta come punto di partenza per l’indagine delle possibilità e dei limiti della percezione. Presente per la prima volta alla Biennale di Venezia nel 1982. His painting is the result of a complex intellectual process that starts by recording actual data which is then distilled into pure forms and luminous spatial allusions. His analysis of the relationship between form – always poised between recognizability and abstraction – and light is thus the starting point for an investigation of the possibilities and limits of perception. He exhibited for the first time at the Venice Biennale in 1982.

PROSPETTIVA/ SUPERFICIE

Francesco Arena

(Genova, 1964. Vive e lavora a Berlino) Elemento centrale della ricerca dell’artista è l’indagine sui rapporti che legano l’uomo contemporaneo al suo luogo d’origine e all’ambiente in cui esso agisce. Attraverso un linguaggio che si lascia contaminare da altre discipline, quali la sociologia, la geografia, la letteratura popolare, Vitone avvia una vera e propria ricerca sulle tracce lasciate dall’uomo nell’ambiente e sullo stratificarsi di tradizioni e culture differenti. The central element of the artist’s vision is an investigation of the relationships that bind contemporary man to his place of origin and to the environment in which he operates. Through a language that is influenced by such other disciplines as sociology, geography, and popular literature, Vitone has begun research on the traces man has left on the environment and on the stratification of different traditions and cultures.

Francesco Arena

(Torre Santa Susanna, Brindisi, 1978) Gli episodi di carattere storico, politico e sociale che hanno caratterizzato la cronaca italiana dei decenni appena trascorsi sono il punto di partenza della sua ricerca. Da un meticoloso studio su archivi e documenti e dall’indagine sul rapporto tra storia e individuo prendono vita progetti che si materializzano in forme scultoree sintetiche, spesso realizzate con tecniche artigianali, e in performance che propongono nuove chiavi di lettura e di interpretazione degli eventi. Recent historical, political, and social events drawn from Italian news are the starting point for his art. Projects are given life through a careful study of archives and documents as well as an examination of the relationship between history and the individual. They take shape as synthetic sculptural forms that often make use of craft techniques and performance to offer new interpretations of these events.

Gianfranco Baruchello

Luca Vitone

Fabio Mauri

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CORPO/ STORIA

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(Scandiano, 1943-Roncocesi, 1992) Nel 1975 viene nominato Discovery dell’anno nel TimeLife Photography Year. Nel 1979 pubblica Kodachrome e il CSAC di Parma gli dedica una mostra e un catalogo che segnano una svolta nella fotografia italiana. Nel 1982 si apre alla rappresentazione del paesaggio e dello spazio urbano e viene segnalato come uno dei venti autori più significativi della storia della fotografia del XX secolo. Nel 1984 cura la mostra e il catalogo Viaggio in Italia e nel 1989 pubblica Paesaggio italiano e Il profilo delle nuvole. I paesaggi da lui fotografati evocano atmosfere metafisiche, quasi irreali; raramente abitate direttamente da figure umane, ma sempre testimoni della presenza dell’uomo nello spazio. In 1975, he was named Discovery of the Year in Time-Life’s Photography Year. In 1979, he published Kodachrome and the CSAC of Parma devoted an exhibition and a catalog to him. In 1982, he expanded into portraying landscapes and urban spaces. He is considered one of the twenty most important artists in the history of twentieth century photography. In 1984, he curated the exhibition Viaggio in Italia and edited its catalog. In 1989, he published Paesaggio italiano and Il profilo delle nuvole. The landscapes he photographed evoke a metaphysical, almost unreal world; seldom inhabited directly by human figures, but always witnesses to the human presence in their space.

SUONO/ SILENZIO

Luigi Ghirri

(Roma, 1926-2009) Autore di un’articolata ricerca artistica: teatro, performance, installazione, pittura, teoria, insegnamento sono elementi di un unico luogo espressivo. I suoi primi monocromi e Schermi risalgono al 1957. Negli anni ‘70 Mauri rivolge l’attenzione alla componente ideologica dell’avanguardia linguistica, proponendo opere quali Ebrea (1971) e Che cosa è il fascismo (1971). Ha partecipato alla Biennale di Venezia del 1954, 1974, 1978 e 1993 dove espone il Muro Occidentale o del Pianto. La sua intensa attività è raccolta nel suo ultimo lavoro editoriale Io sono un ariano e continua attraverso lo Studio Fabio Mauri. The creator of multifaceted artistic visions: theater, performance, installations, painting, theory, teaching are elements of a unique expressive location. His early monochromes and Schermi (Screens) date back to 1957. In the 1970s, Mauri turned his attention to the ideological component of the linguistic avant-garde, offering works such as Ebrea (Jewess) (1971) and Che cosa è il fascismo (What is Fascism) (1971). He participated in the Venice Biennales of 1954, 1974, 1978, and 1993, where he exhibited the Muro Occidentale o del Pianto (The Western or Wailing Wall).

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Piero Golia

Marco Tirelli

Fabio Mauri

padiglione italia vice versa

Luigi Ghirri

Biennale Arte

Più di centocinquanta artisti provenienti da trentasette nazioni con opere che spaziano dall’inizio del secolo scorso a oggi, con molte nuove produzioni. Come ha costruito la ‘formazione’?

Marcello Maloberti

Le ossessioni e il potere trasformativo dell’immaginazione. Gli artisti chiamati rispondono ai requisiti richiesti dall’“esercizio di immaginazione attiva”, pratica che Jung teorizzò come strumento di scoperta ed analisi dell’inconscio? Il Libro Rosso di Carl Gustav Jung che apre l’esposizione al Padiglione Centrale ai Giardini è ‘solo’ la chiave di lettura della mostra o può considerarsi più in assoluto come uno dei punti chiave di partenza della trasformazione contemporanea?

Come è riuscito a dipanare attraverso i bellissimi spazi a disposizione la sua ‘summa dellarte’? Premessa fondamentale: Il Palazzo Enciclopedico di Auriti si chiama enciclopedico, ma è la cosa più distante possibile dalla sistematizzazione e catalogazione illuministe. Il Padiglione Centrale presenta un percorso improntato al principio dell’associazione, libera associazione di contrasti, continuo dialogo a distanza tra artisti di oggi e artisti di ieri. Un vero e proprio zig zag attraverso la storia, che cerca di riprodurre il modello proprio della società dell’informazione, dipanandosi più per contrasti e associazione, che per linearità. L’Arsenale, anche per motivi legati alla sua particolare struttura architettonica, accoglie un percorso concettualmente più lineare, anche se vi sono continui rimandi tra presente e passato. C’è inoltre un elemento di novità rispetto alle scorse edizioni: lo spazio è più costruito, viene scandito e quasi annullato nella forma. Ho cercato di combattere l’orizzontalità di questi spazi rendendo il percorso più simile ad un labirinto che al consueto sviluppo teatrale della vastità dell’Arsenale. Ho cercato di costringere lo spettatore a girarsi, ad andare a destra e a

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The obsessions and transformative power of the imagination. Have the invited artists met the prerequisite of an “active imagination exercise”, a technique Jung conceived as a tool for discovering and analyzing the unconscious? Is Carl Gustav Jung’s Red Book, which opens the Central Pavilion exhibition in the Giardini the “only” key to the show or can it be considered more as one of the key starting points of the contemporary transformation? I didn’t ask the artists to do active imagination exercises or to be Jungians. There’s most definitely, however, a constant comparison with the inner dimension. What this exhibition describes is the continuous contrast between the image that we have inside and the artificial images all around us. On the one hand, there is the image we carry in our heads, the image we dream: in short, the so-called imaginary. On the other hand, there are the exterior images. I invited the artists to furnish their own vision of the contemporary and this has necessarily involved a more intimate conception of each one’s image, their more hidden and interior sides. As regards Jung’s Red Book, in this case as well, like for the Encyclopedic Palace, I tried to take a cue from tangible objects: a volume painted for sixteen years by hand that is also the story of a continuous obsession, an object produced by an “amateur”, another key theme of the exhibition that invites us to think about the differences between professional and amateur, the amateur and the autodidact. Therefore, the Red Book is not necessarily a key to understanding. Indeed, I hope that the exhibition, although entitled The Encyclopedic Palace, is not meant to offer absolutist positions at all, but rather to pursue and express the cult of the exception. The idea of an individual who tries unaided

Flavio Favelli

Il senso del tempo nell’arte contemporanea e nella sua Biennale. C’è un bel libro di Kurt Vonnegut, La freccia del tempo, riferendosi alla freccia spezzata del tempo. In un certo senso la mostra racconta il continuo andirivieni nel ‘900 che corrisponde, secondo me, ad una condizione molto contemporanea. L’aspetto che contraddistingue maggiormente la mia generazione in particolare e il presente più in generale è la possibilità di accedere a una quantità infinita di informazioni, potendo mettere i piedi contemporaneamente in più scarpe. Volevo che la mostra riflettesse questo, la capacità di saltare di palo in frasca dal punto di vista temporale, cercando di sfruttare al massimo le potenzialità che il tempo presente offre. È la Biennale stessa, con la mostra internazionale ma anche con i Padiglioni nazionali, a esemplificare al meglio la poliedricità di dirsi contemporanei. Non modalità di sviluppo diverse, ma compresenza di tanti modi di essere ‘il presente’, in Cina piuttosto che in Costa d’Avorio, in Kosovo anziché in Italia. Un senso del tempo prevalentemente orizzontale, più che lineare.

There is a fine book by Kurt Vonnegut called Broken Arrow, referring to the broken arrow of time. In a sense, the exhibition tells the comings and goings during the 20th century that, in my opinion, correspond to a very contemporary condition. The aspect that most distinguishes my generation in particular and in general is this ability to access an infinite amount of information, being able to juggling many things simultaneously. I wanted the exhibition to reflect this ability to jump about from a temporal point of view, trying to exploit the full potential offers by the present time. It is the Biennale itself, with the international exhibition but also with the national pavilions, that best exemplify the multifaceted nature of said contemporaries. Not different ways of development but simultaneous presence of many approaches to ‘the present’, in China rather than in Côte d’Ivoire, in Kosovo instead of in Italy. A primarily horizontal, rather than a linear sense of time.

Il Libro Rosso (Liber Novus) di Jung è un libro insolito. Ma insolito non rende ragione della complessità di questo volume più simile, anche per dimensioni e veste tipografica, ad un prezioso catalogo di una mostra d’arte. Libro raffinato e bizzarro che può essere visto come una trascrizione in parole ed immagini dei sogni e delle visioni che hanno popolato il «viaggio di esplorazione verso l’altro polo del mondo» da parte del suo autore. Una riproduzione simbolica di un universo ‘altro’ che ha nel ‘segreto’ la sua forza propulsiva. Si tratta di immagini interiori che si caricano, come nell’universo sciamanico, di poteri salvifici e pericolosi al tempo stesso. Condivide le caratteristiche sia della sperimentazione artistica che di quella psicologica e sotto la veste di un rinnovato manoscritto miniato medioevale adempie ad un progetto esistenziale. Progetto che deriva da quella ‘malattia creativa’ in cui l’inconscio di Jung ha ingaggiato una lotta interna, quasi un corpo a corpo, con le proprie immagini più profonde. Questo processo, che Jung chiamerà «immaginazione attiva», è appunto lo strumento inedito di cui egli si servì per ‘resuscitare’ i propri contenuti archetipici ed oggettivarli in immagini attraverso la meditazione interiore, la scrittura (manoscritto in testo calligrafico), e la pittura, con un ricco corredo iconografico di fantasmagorie e virtuosismi. Sono ricordi o avvistamenti di energie che operano nella sfera dell’invisibile, vengono raccolti, valutati in modo speculativo e messi a nudo nel tentativo di renderli visibili. È questa una mappa impossibile da percorrere, che abita la retta asintotica della allusione. Non si tratta di un labirinto, quanto piuttosto del tentativo di uno sguardo delle ombre mai ferme sul muro della propria mente. Tra movimento, contenuto e contenitore si viene a creare un contrasto, un ossimoro che ri-guarda quello che esiste ‘tra’, nell’interstizio tra il mondo immaginario delle idee, fantasie, deliri e allucinazioni ed il mondo cosiddetto reale. Ma non è questa la stessa evanescente realtà che popola l’arte contemporanea? Luca Caldironi

FAMILIARE/ ESTRANEO

The Encyclopedic Palace is a utopian summa, the dream of a universal and all-encompassing knowledge. Where did it start and where has it led? I got the idea from The Encyclopedic Palace, the dream and the visionary design of a self-taught Italo-American artist named Marino Auriti. Although this is a show about imagination, I really liked the idea of starting from a real object. I wanted the exhibition to be rooted in an object, while referring to the free flight of the artist’s imagination. Focusing on the artist’s willingness to attempt a complete understanding of the real and an intimate awareness of how, at an absolute level, this understanding is impossible to achieve. The story naturally ends in Venice, in some ways, closing a circle, alighting, of course, at the Biennale, a place that tells of the same infinite desire for knowledge and, at the same time, of the impossibility of its being completely understood. The Biennale is itself born from a cultivation of this universalist desire, every two years reminding itself and the public that the universal is impossible and utopian and it is precisely this diversity of detail that makes it extraordinary.

È un percorso organico, in cui spero si possa ravvisare come in un anno e mezzo di lavoro ci sia stata una parabola di apprendimento che ha interessato tanto me quanto la Biennale, con un percorso di costruzione attento anche all’apprendimento del pubblico, a corrisponderne il più possibile le potenziali attese. È un percorso organico che non restituisce però puntualmente tutti i presupposti progettuali del concept. Io costruisco le mostre ‘in levare’; dopo aver ipotizzato (e successivamente scartato) tante ipotesi di percorsi possibili, mano a mano individuo e solidifico dei punti cardine. Tre sono state le pietre angolari che si sono delineate per la realizzazione dell’impianto finale dell’esposizione: Il Palazzo Enciclopedico, il Libro Rosso di Jung e Apollo's Ecstasy, opera di Walter De Maria. Si parte da Auriti e Jung e poi si finisce a parlare con gli atri artisti, in maniera più o meno esplicita, del presente, della società dell’immagine, della società dell’informazione. Ci sono moltissime cose che non conoscevo quando ho iniziato a lavorare al progetto, che poi ho appreso e sviluppato grazie ai contributi degli artisti. La mostra, in un certo senso, è articolata su tre livelli: opere storiche, che ho scelto personalmente; opere di artisti più affermati o più maturi, ai quali ho chiesto degli oggetti in particolare e alla cui richiesta hanno reagito proponendone talvolta altri, altre volte gli stessi; lavori di artisti giovani, ai quali ho chiesto la realizzazione ad hoc di un’opera che sviluppasse le atmosfere connotanti la mostra.

TRAGEDIA/ COMMEDIA

Il Palazzo Enciclopedico come summa utopica, come sogno di una conoscenza universale e totalizzante. Da dove è partito il suo scavo e dove infine l’ha condotta? Sono partito puntualmente proprio da Il Palazzo Enciclopedico, sogno e progetto visionari di questo artista autodidatta italo-americano di nome Marino Auriti. Pur trattandosi di una mostra sulle fantasie, mi piaceva molto l’idea di poter prendere spunto da un oggetto concreto. Volevo che l’esposizione fosse radicata in un oggetto, pur riferendosi alla fuga libera delle fantasie degli artisti. Concentrare l’attenzione sulla volontà, da parte degli artisti, di effettuare uno sforzo teso alla massima comprensione del reale e alla intima consapevolezza di quanto questa comprensione a questo assoluto livello sia impossibile da conseguire. Il racconto finisce naturalmente a Venezia, chiudendo per certi versi un cerchio, approdando, va da sé, alla Biennale, luogo che racconta lo stesso desiderio infinito di conoscenza e allo stesso tempo l’impossibilità di un suo assolvimento compiuto. La Biennale nasce di per sé coltivando questo desiderio universalista, ricordando ogni due anni a se stessa e al pubblico che l’universale è impossibile, utopico, e ciò che lo rende bellissimo è proprio la diversità del particolare.

Non ho chiesto agli artisti di fare esercizi di immaginazione attiva o di essere junghiani. C’è un continuo confrontarsi con la dimensione interiore, questo sì. Ciò che la mostra racconta è questo continuo contrapporsi tra l’immagine che è dentro di noi e le immagini che sono attorno a noi, le immagini artificiali. Da un lato l’immagine che ci portiamo in testa, l’immagine che sogniamo, il cosiddetto immaginario, insomma, dall’altro le immagini esteriori. Ho invitato gli artisti a fornire la propria visione del contemporaneo e questo ha necessariamente coinvolto la concezione più intima dell’immagine di ognuno, il suo versante più nascosto e interiore. Per quanto riguarda il Libro Rosso di Jung, anche in questo caso, come per Il Palazzo Enciclopedico, ho cercato di prendere spunto da oggetti concreti; un volume dipinto a mano per sedici anni che è anche la storia di un’ossessione continua, un oggetto prodotto da un ‘dilettante’, altro tema-chiave della mostra che ci invita a riflettere su quali possano essere le differenze tra professionista e dilettante, tra l’amatore e l’autodidatta. Quindi, il Libro Rosso non è necessariamente una chiave di lettura; anzi, spero che la mostra, che pur intitolandosi Il Palazzo Enciclopedico non intende proporre affatto posizioni assolutiste, persegua e sappia esprimere il culto dell’eccezione. L’idea dell’individuo che prova da solo a trovare il suo percorso nel mondo. In fondo anche il libro di Jung è un racconto di un viaggio interiore, un viaggio fatto da un individuo libero dalla rassicurante, quanto improbabile, certezza di regole universali. Altro aspetto che è di sicuro ben rappresentato dal Libro Rosso, ma che ricorre anche in altre tracce ispiratrici della mostra, è l’idea del medium; un topos ricorrente nell’immaginario di moltissimi artisti del ‘900, qui presente soprattutto all’inizio della mostra, che dichiaravano di essere arrivati alla pittura dopo aver colto un invito divino e universale; una sorta di contatto con il sovrannaturale che li chiamava ad impegnarsi in prima persona nell’arte. La ripresa di questa idea del medium esprime non tanto un’intenzione di romanticizzare la figura, il ruolo dell’artista, quanto invece il tentativo di dimostrare come in ognuno di noi ci possano essere le capacità per farsi strumento di rielaborazione delle immagini; siamo in definitiva tutti dei medium! Nell’era del digitale mi piaceva ribadire come il più immediato medium delle immagini non siano tanto il telefonino o il notebook, quanto in primis l’essere umano stesso.

Marco Tirelli

ella storia ultracentenaria della Biennale è il più giovane curatore atteso alla prova Biennale. Inserito nella lista dei potenti dell’arte secondo «ArtReview», Massimiliano Gioni, non senza timore ed eccitazione, ci presenta Il (suo) Palazzo Enciclopedico. Il suo mantra è: «immagine, immaginazione, immaginario»; il suo tempo assolutamente senza confini cronologici; il suo spazio un labirinto di idee ed emozioni; il suo obiettivo ambizioso e visionario: restituire all’arte la sua forza primigenia. Il risultato... da non perdere!

Giulio Paolini

N

n its ultra-centenarian history, he is the youngest curator to be put to the Biennale test. Listed in ArtReview as one of the most influential people in the world of art, Massimiliano Gioni, with a degree of apprehension and excitement, introduces us to The Encyclopedic Palace, whose mantra is “image, imagination, the imaginary”, a time absolutely without chronological boundaries, and a space that is a maze of ideas and emotions, with the ambitious and visionary objective of returning art to its primeval force. The result is not to be missed!

The sense of time in contemporary art and its Biennale.

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Hilma af Klint, pioniera dell’arte astratta, filosofa e mistica, fu una figura chiave del gruppo The Five, un collettivo tutto al femminile che condivideva un nuovo e preciso sistema di interpretare la filosofia e il misticismo. Influenzato dallo spiritismo, dalla teosofia e dall’antroposofia, il lavoro di Hilma af Klint si basa sulla convinzione personale e la consapevolezza dell’esistenza di una dimensione spirituale dell’essere umano. I suoi dipinti sono il frutto di una coscienza superiore che guida l’artista, parlando e agendo a suo nome. L’artista ha prodotto più di mille dipinti, disegni e acquerelli, in mostra la serie Svanen (Cigno) e Duvan (Colombo). A philosopher, a mystic, and a pioneer of abstract art, Hilma af Klint was a leading figure of The Five, a female art collective who shared a new, precise interpretation of philosophy and mysticism. Hilma af Klint’s work, influenced by spiritism, theosophy, and anthroposophy, is based on the personal belief in the human being’s spiritual component. Her paintings are the product of a superior consciousness driving the artist’s hand, who speaks and act in its name. Klint realized more than one thousand paintings, sketches and watercolor drawings. The exhibition consists of her series Svanen (Swan) and Duvan (Dove). The artist herself had decided not to expose them publicly until the moment in which humanity would be ready to comprehend the profound significance of her work and research.

Thierry De Cordier

Massimiliano Gioni Curatore della 55. Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia Curator of the 55th International Art Exhibition – la Biennale di Venezia Foto: Giorgio Zucchiatti Courtesy: la Biennale di Venezia

I

Aleister Crowley e Frieda Harris

Hilma af Klint

il palazzo enciclopedico giardini

1970 Kitzbühel, Austria / 1972 Rüsselsheim, Germania

Biennale Arte

Carl Gustav Jung

SISTEMA/ FRAMMENTO

We are the image of the universe

12

55

interview with Massimiliano Gioni

Siamo l’immagine dell’universo

Biennale Arte

Interview with Massimiliano Gioni

55

Chiara Casarin

Marisa Merz con Living Sculture, Torino, 1966

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È un percorso organico, in cui spero si come in un anno e mezzo di lavoro ci s parabola di apprendimento che ha inte tanto me quanto la Biennale, con un pe costruzione attento anche all’apprendim pubblico, a corrisponderne il più possib attese. È un percorso organico che non però puntualmente tutti i presupposti p


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