Diventiamo Cittadini Europei

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Diventiamo Cittadini Europei

EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA. EUROPEA. PROGETTI, SPERANZE, OPINIONI SU QUELL’EMBRIONE CHE CHIAMIAMO COMUNITÀ EUROPEA. 1


INDICE INDICE INDICE

Classe 3째E Moia Stefano, trattato personale di un giovane studente

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Passera Alessandro, scacchi europei

Pag. 13

Obezzi Franco, camminando lontano

Pag. 43

Classe 4째E Luca Mario, No Euro? Euro!

Pag. 59

Sottilotta Giulia, transito transeuropeo

Pag. 91

Boggiani Ludovica, migrazioni

Pag. 100

Classe 5째E Contartese Matteo, viaggio

Pag. 111

Faletti Stefania, Razza? Umana!

Pag. 117

Matino Erica, Mediterranea ossessione

Pag. 129

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MOIA MOIA MOIA

TRATTATO PERSONALE DI UN GIOVANE STUDENTE Parte prima: Il Principio di tutto. ―Immigrato, clandestino, extracomunitario, ...‖ Quante volte abbiamo sentito e sentiamo tuttora queste parole, a volte usate ingiustamente o temute perché ricondotte a precetti negativi, tutte legate a un problema molto sentito di questi tempi, come la migrazione? A volte mi torna in mente ―Notre Dame de Paris‖, di Victor Hugo, e la ―Corte dei Miracoli‖, il gruppo di ―bohemien‖ di Esmeralda. Questi avevano subito un trattamento di sfavore ed erano stati maltrattati, esclusi, denigrati, alcuni anche uccisi, con una buona motivazione (oltre a quella di essere la ―città‖ di Esmeralda): furto, inganno,... Una buona motivazione? Forse erano uomini malvagi, che derubavano e ingannavano la ―buona gente‖ di Parigi. Forse erano semplicemente poveri che cercavano di sopravvivere con le poche possibilità lasciate loro dalla ―buona gente‖. Tratterò di questo più tardi, ma ora mi soffermo a pensare che sono passati più di cinquecento anni, e a volte sembra proprio che sia cambiato poco. I. Definizione storica dei termini Però è d'obbligo riflettere un attimo su cosa siano stranieri, extracomunitari e clandestini. Facilmente si può pervenire ad una definizione, ma è meno scontato ricordare la storia di questi concetti. Straniero, extracomunitario erano concetti che esistevano già anticamente: essi erano i Barbari, per i greci, i romani, i cinesi, i giapponesi, insomma, per tutti i popoli. Coloro che venivano da altre terre, che minacciavano la propria vita o che non parlavano la stessa lingua erano ―barbari‖. Nelle città-stato greche, come ad Atene, gli stranieri erano definiti ―meteci‖, e non avevano diritti politici. Lo stesso valeva per la plebe romana, costituita da popolazioni estranee, i non-patrizi. Dopo diverse trasformazioni, si comincia ad avere un concetto simile a quello odierno 3


con la creazione vera e propria dei primi stati nazionali, nel XIV e nel XV secolo, periodo in cui in Europa si creano diverse potenze territoriali di media estensione con propria lingua, legislatura, moneta, religione, esercito, frontiera. Chi non era nato in quel territorio, era uno straniero, e se ci viveva, era disprezzato per il solo fatto di essere nato qualche miglio troppo avanti. Col passare del tempo la figura dello straniero, subendo modifiche e inflessioni linguistiche, diventa quella odierna, a volte negativa, altre volte meno, ma che contiene in se un concetto di ―strano, estraneo, diverso‖: in poche parole, discriminato. Tuttavia ―straniero‖ sta acquistando man mano il significato di ―persona arrivata dall'estero con regolare permesso di soggiorno‖, e purtroppo ―benestante‖, per distinzione da ―extracomunitario‖. ―Extracomunitario‖, che deriva strettamente da ―straniero‖ essendo un concetto europeo di ―persona che arriva dall'esterno dell'UE‖, grazie ai media acquista oggi un valore dispregiativo, riferendosi alle categorie di immigrati poveri o in condizioni peggiori delle nostre. ―Clandestino‖ è una parola che ha origine nella società latina, e deriva da un avverbio, clam, la cui traduzione è ―di nascosto‖. Questo vocabolo non ha subito cambiamenti nel

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tempo, ma si è arricchito di concetti, e ora è maggiormente utilizzato per indicare avvenimenti svolti di nascosto o illegali, oggetti o persone che si trovano in situazioni nascoste o illegali. In particolare, prendendo in considerazione il significato di ―persona che ha passato una frontiera illegalmente ‖ si scopre che è un arricchimento recente: infatti l'azione di passare la frontiera e stabilirsi in un territorio illegalmente è dovuta all'assenza del ―permesso di soggiorno‖, documento introdotto solo dopo la Prima Guerra Mondiale. E' inevitabile, in questi tempi, un legame mentale tra questo termine e quello di extracomunitario, perciò al suo valore dispregiativo, ma questo porta a scordarsi che non sono solo i poveri a essere clandestini, anche se questi sono la maggior parte. II. Storia della migrazione e il Sogno Europeo Al contrario, il termine ―migrazione‖ ha una storia molto particolare e lunga alle spalle. Dalle sue origini, l'uomo ha continuato a viaggiare per il mondo, spostandosi il più possibile verso territori abitabili dove la vita sia più semplice, più vantaggiosa, più bella. Senza queste migrazioni, non si sarebbero neanche create le diverse specie di ―homo‖, e probabilmente oggi vivremmo tutti, sebbene pochi, in uno stretto territorio consumato, tutti uguali. Ma la storia è disseminata di spostamenti, a volte minori, altre volte di massa. Ne abbiamo un esempio con la Grande diaspora ebraica, le grandi migrazioni ―barbariche‖ del IV e del V secolo provocate dagli Unni, le migrazioni di comunità ebraiche. Molte volte i flussi migratori avvenivano sotto forma di deportazioni: basti pensare di come l'economia Romana e Greca si basasse su questi afflussi per avere schiavi. Molti altri avvenivano sotto forma di spostamento di popolazioni nomadi: Rom, Zingari, Kalè, ... sono popolazioni che hanno la caratteristica di spostarsi nel mondo, costretti ad uno stile di vita miserabile. Ancora ora i flussi migratori hanno caratteristiche simili, e non sembrano attenuarsi. Nella storia c'è stato un periodo in cui anche noi europei eravamo discriminati, poiché immigrati: Il XIX secolo vede infatti una grande emigrazione di europei verso le Americhe, e di Italiani anche verso il resto dell'Europa. Queste grandi migrazioni, addirittura il più grande flusso migratorio della storia, erano state causate dal processo di industrializzazione europea e dall'entrata di questi territori nell'orbita capitalistica in un periodo di aumento demografico, e furono riassorbite solo quando l'industrializzazione stessa riuscì a richiedere molta manodopera, abbastanza da trattenere le persone. La grande fuga dall'Italia, in quel periodo di incertezza e instabilità caratterizzato anche dal Risorgimento, compromise il processo industriale italiano, ritardando la sua realizzazione, e quindi favorendo la fuga stessa, in un processo quasi autorigenerante, verso l'Argentina, il Brasile, il Canada e gli Stati Uniti. Molte volte gli emigrati non riuscirono a fare fortuna, e subirono molte delle condizioni 5


che oggi subiscono i clandestini in Europa. E' questo un esempio di come la storia, a volte non riesce ad insegnare a migliorare il nostro presente. In massa le popolazioni seguivano un'idea a quel tempo straordinaria, della ricerca di uno stile di vita migliore, della propria indipendenza, della propria realizzazione, insomma, della felicità: era questo l'American Dream, il Sogno Americano di successo. Tuttavia oggi sembra che all'American Dream si stia sostituendo il Sogno Europeo, sogno di una vita migliore nel territorio dell'UE basato, tra l'altro, sulla secolare convivenza delle persone nelle società, società in cui si aspetta uno stile di vita migliore, più libertà e diritti politici, più ricchezza, ma il tutto legato alla comunità, che lavori insieme a questo progetto. Ovviamente il lavoro da svolgere è molto e comunitario, ma è già aiutato sin d'ora dalla globalizzazione. III. La Globalizzazione E' questo il processo storico probabilmente più controverso e più discusso: da una parte il miglioramento generale dello stile di vita, della comunicazione, del mercato mondiale, della cultura, della mobilità di persone; dall'altro, lo scotto da pagare, la perdita di particolari condizioni territoriali e Statali, la perdita di lingue, cultura e storia di società minori, l'afflusso dei maggiori guadagni nei territori più ricchi, America del nord ed Europa, che acquistano la potenza e l'influenza maggiore, discorso particolarmente favorevole agli Stati Uniti grazie alla loro organizzazione politica di Stato Federale. Non c'è quindi da stupirsi se si possono trovare molti personaggi tra le file dei ―pro‖ e altrettanti tra le file dei ―contro‖. Il ruolo dominante che l'Europa e gli USA in particolare si ritrovano ad avere in questo processo ha come conseguenza indiretta l'aumento di afflusso di persone in cerca di una vita migliore, facilitate dal miglioramento di forme di mobilitazione temporanee e non. Però, data la posizione geografica, l'aspetto negativo di confederazione, ovvero la lentezza e la singolarità nel produrre una reazione adatta oltreché il dovere di passare oltre la propria cultura, e il modello di vita offerto, l'Europa si trova maggiormente ad affrontare questo problema che, se ben sfruttato e aggiustato, potrebbe portare a guadagni netti sia per l'UE, sia per gli immigrati, se mal sfruttato potrebbe portare addirittura a un collasso sociale. Anche se la globalizzazione ha ―aperto le porte‖ grazie ai viaggi, oggi non mancano i viaggi clandestini, segreti e pericolosi. IV. La morte di nessuno e la schiavitù dei sopravvissuti Infatti proprio verso l'UE si deve tristemente ricordare che molti clandestini, che iniziano ad avere questo nome nei viaggi vero le terre di speranza, perdono la vita proprio in questi tragitti, data la loro pericolosità. Chi deve viaggiare di nascosto, nei barconi o appeso ai carrelli aerei, deve fare conto con la fame, la sete, la condivisione di stretti spazi con altre persone, quindi un possibile contagio, l'ibernamento e a volte la morte. 6


Questi sconosciuti, poveri, rifiutati da tutte le società, diventano per il mondo ―nessuno‖. Ma i loro sono rischi inevitabili: non possono denunciare queste situazioni, dato che hanno da temere la legge più della pericolosità a cui vanno incontro. Alcuni sopravvissuti non hanno una sorte molto migliore: si parla di chi, arrivato in UE, viene sfruttato in condizioni di schiavo. Si parla di tratta di prostitute e bambini prostituiti, di badanti, dei cosiddetti ―lavoratori coatti‖, di persone che si ritrovano a lavorare in piccole stanze buie, soffocanti, immersi nella loro sporcizia, con ritmi di lavoro di più di 12 ore giornaliere, o di lavoratori in nero con una paga bassissima, nessuna assicurazione medica né protezione sul lavoro, e turni che normalmente sarebbero illegali. Si parla di persone che devono subire lo status imposto perché temono la giustizia e la legge più dei loro sfruttatori. E a volte, questi schiavi trovano la morte sul posto di lavoro. Sono pochi, pochissimi i clandestini che riescono a raggiungere un livello di vita accettabile. Molti, proprio per la loro situazione, sono costretti a vivere illegalmente di nome, il nome di clandestini che si portano dietro, e di fatto, dovendo sfiorare l'inciviltà per la sopravvivenza, rubando e spaventando, minacciando e vivendo malamente, sempre con la compagnia della violenza, della legge della giungla. V. L'impatto psicologico del fenomeno Ma a cosa porta questa giungla? Tutto ciò che accade intorno a noi ci condiziona interiormente, condiziona il nostro modo di pensare, di vivere, di comportarci. Il primo impatto è sugli immigrati: chi ce la fa, comincia a venerare la terra d'arrivo disprezzando la patria lasciata; i molti che non riescono ad avere ciò che si aspettavano, visto svanire il loro sogno, si ritrovano nel terrore: sono arrivati in un posto sconosciuto, ostile, non hanno la protezione della giustizia, anzi, devono schivarla, devono trovare il modo di sopravvivere senza aiuti. In una situazione del genere, l'essere umano torna a vivere come animale, in un habitat ostile: proprio come nella giungla. E proprio come nella giungla si ritrovano a lottare per la sopravvivenza, e la violenza e l'inganno fanno la ragione. Anche la popolazione locale ha diverse reazioni emotive e psicologiche all'arrivo di immigrati, anche se per loro il discorso è più complesso. Infatti, confluiscono su di loro diversi tipi di fattori influenzanti: da un lato quelli istantanei, vere e proprie scintille, dovute all'impatto personale con immigrati (di basso rango) o con azioni fatte da questi, dall'altro quelli permanenti, processi lenti che si instaurano col tempo, come la Xenofobia dovuta all'azione dei media, ad ambienti familiari chiusi, alla vera e propria paura dell'altro, del diverso, oppure l'accomunazione di caratteristiche, spesso negative, di un solo individuo a tutti i suoi simili, creando uno stereotipo. Con queste premesse, non ci si deve stupire se la discriminazione razziale invece di diminuire, aumenti ogni giorno, alimentando un clima di terrore e di tensione. 7


Purtroppo in molti paesi i governi, invece di lenire queste idee, ne sfruttano l'onda emotiva per ottenere potere, aumentando le discriminazioni e lo stato di conflitto psicologico tra le parti, magari sfruttando come capro espiatorio gli indifesi. Questo accadeva e accade tuttora, da molte parti. Ma noi, che ci definiamo società moderna, profondamente cambiata, più aperta, più sviluppata, possiamo permetterci questo trattamento simile a quello dedicato alla ―Corte dei Miracoli‖?

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Parte seconda: La soluzione dell'Europa L'Europa si trova a dover gestire una situazione molto difficile, e non sempre le scelte fatte aiutano l'intera comunità. Ma in ballo c'è il futuro della Confederazione, il futuro di noi giovani che saremo costretti ad affrontare i problemi tralasciati dalle generazioni precedenti. VI. Come gli stati stanno affrontando il problema Come agiscono o hanno agito queste generazioni? Bisogna considerare alcuni provvedimenti attuati dai governi degli stati del'UE. In Spagna, si è instaurata una politica di protezionismo dei lavoratori autoctoni, salvando l'economia ma calpestando i diritti umani: gli immigrati sono sfavoriti attraverso diversi mezzi: chiusura delle frontiere a questi, ottenimento del permesso di soggiorno a specifiche e difficilmente realizzabili condizioni, raccolta in numerosi Centri di accoglienza da cui essere poi espatriati. In Austria, l'integrazione è stata moderata con il rilascio di un massimo numero annuo di permessi di soggiorno, modificabile solo secondo una decisione del Ministro Federale dell'Interno. In Italia, da molto tempo vista come ―porta aperta per l'Europa‖, che raccoglie molti immigrati e clandestini, molti di questi sono raccolti in Centri di accoglienza, da cui saranno accompagnati alle frontiere verso il loro paese natale, alcuni vengono direttamente deportati. Gli stranieri possono ottenere un permesso di soggiorno solo se hanno un lavoro certo e alla perdita di questo, è immediata la perdita del permesso. Purtroppo il lavoro nero e lo sfruttamento avvengono con facilità, ma non si riesce a reagire a questo avvenimento in maniera abbastanza forte. In Grecia si è deciso di controllare l'afflusso via mare con la sorveglianza delle coste, in Danimarca si controlla l'afflusso intero con una selezione di ceto, attraverso diversi doveri tra i quali una tassa mensile di 500 € circa, la conoscenza della lingua e un lavoro stabile. VII. La soluzione possibile? Purtroppo, in quella che dovrebbe essere una confederazione per eccellenza, si nota di quanto i diversi stati agiscano sul proprio territorio in modi dissimili, ma soprattutto prendano decisioni autonomamente. La soluzione non è nella gestione di piccole porzioni di territorio o di singoli stati, ma parte dall'affrontare con mentalità diversa questa situazione, mentalità aperta alla comunità. Proprio attraverso un lungo lavoro comunitario, a costo di una parte della propria sovranità, è possibile gestire questo problema in modo che diventi risorsa, attuando diversi provvedimenti in vari campi. Il primo provvedimento non possibile, ma addirittura obbligatorio, è quello di iniziare a 9


distruggere stereotipi negativi e combattere contro le idee xenofobe e razziste nella società. La psicologia è uno strumento tanto potente quanto fragile, che utilizzato in maniera corretta può portare miglioramenti nel modo di pensare di questa società. Attraverso i media, mezzi di comunicazione che ogni giorno sfruttano questo strumento, e l'educazione culturale, si può iniziare un processo di accettazione dello straniero. Un secondo provvedimento necessario, anzi indispensabile, è proprio smettere di comportarsi autonomamente davanti a questo problema e di gestirlo come comunità, come grande comunità, come confederazione. Oggigiorno con questi provvedimenti singoli, la migrazione sta diventando, se non è già, un ―lancio della patata bollente‖: per esempio, se uno stato controlla l'afflusso con una selezione dei ceti sociali più alti, il resto degli extracomunitari, di estrazione più bassa, si rifugia in altri territori vicini; se uno stato blocca interamente l'afflusso, gli stranieri si rivolteranno nei territori vicini o facilmente raggiungibili; se in un solo stato arriva la maggior parte di clandestini e di immigrati perché meno ―chiuso‖ degli altri, questo dovrà affrontare una situazione troppo vasta da gestire, col risultato che molti immigrati si sposteranno in tutta Europa. Bisogna iniziare a decidere e provvedere comunitariamente a questo problema, sacrificando una parte di sovranità per garantire uno svolgimento efficace del risanamento del problema. Un'altra soluzione potrebbe essere quella di impegnarsi, sempre comunitariamente, a cercare di creare negli stati caratterizzati da forte emigrazione una società, una condizione accettabile abbastanza da evitare la fuga verso la ―terra promessa‖, con risorse massicce. Insomma, attuare una ridistribuzione dei capitali, economici e umanistici. Purtroppo, in un mondo fortemente capitalista, è un'idea quasi eretica, senza contare le situazioni di conflitto difficilmente risolvibili o di stati che non vorrebbero essere ―aiutati‖. Sarebbe un faticoso, lento, dispendioso lavoro, che solo a lunga scadenza potrebbe dare i suoi frutti. E in un‘era frenetica, è una soluzione poco considerata. 10


Una buona soluzione è quella che alcuni stati hanno utilizzato e utilizzano: l'erogazione di un numero fisso di permessi di soggiorno all'anno, selezionando i migliori candidati per questi in tutta la Comunità. Anche perché molte persone sono ipocrite: non capiscono che gli extracomunitari, purtroppo o per fortuna, sono indispensabili. Essi vanno a svolgere tutte le mansioni medio -basse, i ―lavori coatti‖ che gli europei non svolgono più, credendoli degradanti. Basta osservare le cifre Italiane: del milione e 300 mila di immigrati operanti, quasi la totalità ha un lavoro di basso livello, nonostante le alte qualificazioni e l'istruzione che più della metà di loro hanno. In una società capitalista, lo sfruttamento degli stranieri è necessario ad essere concorrenziali. E questa, ammettiamolo, non è una cosa positiva, anzi, è una malattia. Noi abbiamo ricreato una società simile a quella romana di patriziato e plebe: se la nostra nuova plebe, le persone sfruttate, dovessero venire a mancare, noi saremmo probabilmente persi. E purtroppo o per fortuna, non se ne sono ancora accorti. Quindi la soluzione migliore sarebbe quella di lavorare comunitariamente all'accoglienza di immigrati, investendo anche abbastanza risorse, per migliorare lo stile di vita dei primi mesi in questi territori, che verrebbero poi ripagati sotto forma di lavoro, aiutando i bisognosi anche culturalmente. Però è sempre d'obbligo lavorare comunitariamente. Certo, non tutti gli stati, non tutte le comunità avrebbero il massimo dei guadagni, ma bisogna cominciare a pensare oltre le piccole comunità per il bene della grande Comunità a cui ormai oggi apparteniamo, che secondo il Sogno Europeo è il nostro futuro. Protagora, filosofo sofista del V secolo a.C., sosteneva che non ci fosse una verità assoluta, ma che una verità poteva avvicinarsi ad essa più persone riusciva a comprendere. Questo è l'obbiettivo che bisogna imporsi, sia per fronteggiare il problema delle migrazioni, sia per ogni altra ―sfida‖, per un futuro migliore, delle nuove generazioni, nostro.

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Fonti

Bibliografia Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, traduzione di Clara Lusignoli, Einaudi, 1996 Dizionario di Italiano DeMauro G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna VI, 1871-1896, Feltrinelli, Milano, 1978 Jeremy Rifkin, Il Sogno Europeo, Mondadori, Milano, 2004 Gabriele Carchella, 2007 anno nero. Morti 1.861 migranti in mare, ―il manifesto‖, 10 gennaio 2008 Costituzione Italiana Costituzione Spagnola Costituzione Austriaca

Sitografia http://sergiobontempelli.wordpress.com/2008/05/08/allorigine-delle-politichemigratorie-italiane-piccola-storia-del-permesso-di-soggiorno/ http://it.wikipedia.org/wiki/Passeggero_clandestino http://www.indire.it/erasmus/schede_paesi/Danimarca.htm http://www.ismu.org/ISMU_new/index.php

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PASSERA PASSERA PASSERA

SCACCHI EUROPEI Il Parlamento Europeo è l‘unica istituzione sovranazionale, i cui membri sono eletti democratica- mente a suffragio universale diretto da tutta la popolazione. Perciò questo, eletto ogni cinque anni, rappresenta i popoli degli Stati membri. Tra le istituzioni della CECA, ossia Comunità Economica del Carbone dell‘Acciaio, fondata il 18 aprile 1951 a Parigi, da Italia, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, si trovava già l‘antenato dell‘attuale Parlamento Europeo, l‘Assemblea Comune, avente la funzione di controllo democratico sulla CECA, in un settore particolare quale quello carbo-siderurgico. L‘Assemblea Comune si riunì per la prima volta a Strasburgo il 10 settembre 1952. Composta da settantotto rappresentanti, tra cui una sola donna, l‘olandese Marga Klompe, prescelti dai Parlamenti nazionali, su indicazione diretta dei rispettivi governi, rivestiva un ruolo fondamentale come portavoce di quella parte di opinione pubblica, che sosteneva la costruzione europea come esigenza fondamentale per la pace, l‘economia e la società. Il primo Presidente dell‘Assemblea fu il democristiano belga Paul Henri Spaak, uno dei padri fondatori dell‘Europa. Con la formazione il 25 marzo 1957 a Roma della CEE, Comunità Economica Europea, e dell‘Euratom, Comunità Europea dell‘Energia Atomica, l‘Assemblea Comune venne fusa con il Comitato Economico e Sociale, formando una nuova Assemblea Parlamentare, composta da centoquarantadue membri. Questa nuova Assemblea tenne la prima sessione costitutiva il 19 marzo 1958 a Strasburgo. L‘Assemblea Parlamentare Europea fu presieduta per la prima volta da Robert Schumann, un altro tra i padri fondatori dell‘Europa.Il 30 marzo 1962 l‘Assemblea Parlamentare Europea cambiò nome in Parlamento Europeo. Il Parlamento Europeo era allora formato dai rappresentanti dalle popolazione, eletti però sempre dai Parlamenti nazionali. Fino al 22 aprile 1970, data del Trattato di Lussemburgo, i poteri del parlamento Europeo consistevano nella funzione di controllo politico e consultivo. Con questo trattato al Parlamento Europeo fu dato un potere di controllo anche sul bilancio comunitario, fun13


zione finalmente sancita il 22 luglio 1975 a Bruxelles. Con l‘ingresso nel 1973 di Danimarca, Irlanda e Regno Unito, il Parlamento Europeo passò da centoquarantadue e centonovantotto membri. Numerose furono le critiche all‘Assiste di Strasburgo di non avere alcun legame con i cittadini, legame che peraltro tuttora risulta ancora essere molto flebile e sottile e che sarà obiettivo dei prossimi eurodeputati accrescere. Il 20 settembre 1976 a Bruxelles venne firmato il testo, che prevedeva le elezioni a suffragio universale per il Parlamento Europeo, che entrò in vigore con l‘approvazione finale, effettuata nel 1977 a Palazzo Barberini a Roma dal Consiglio Europeo. Dal 7 al 10 giugno 1979 si andò a votare per la prima volta il Parlamento Europeo, eletto così democraticamente dalla popolazione. I deputati della prima legislatura furono quattrocentodieci, in carica per una durata quinquennale. In Italia l‘affluenza alle urne fu del 84,90%, una delle percentuali più elevate in Europa. Il Parlamento Europeo così eletto pendette a favore delle forze di centro-sinistra , guidate dal gruppo socialista con centoventiquattro deputati, seguito dal partito popolare europeo. A guidare l‘Assisi di Strasburgo dal vecchio sistema di elezione dei delegati dei Parlamenti nazionali a quello a suffragio universale fu il democristiano italiano Emilio Colombo, che rivestì la carica di Presidente del Parlamento dal 1977 al 1979, data in cui gli successe alla presidenza il liberale francese Simone Veil. Con l‘ingresso della Grecia nel 1981 il numero di parlamenti passò a quattrocentotrentaquattro. Il 19 giugno 1983, con l‘approvazione della Dichiarazione di Stoccarda, il potere di controllo politico del Parlamento Europeo sulla Commissione aumentò ampiamente, soprattutto attraverso la nomina del Presidente della Commissione e del voto di fiducia sul programma di questo. Dal 14 al 17 giugno 1984 si andò nuovamente a votare con un‘affluenza alle urne del 61%. La maggioranza relativa dei seggi venne attribuita sempre ai socialisti, seguiti dai popolari. Con l‘ingresso, nel 1986, di Spagna e Portogallo, il numero dei seggi salì a cinquecentodiciotto. Nel 1987 l‘Atto Unico Europeo, ispirato al progetto, elaborato nel febbraio 1984 dall‘eurodeputato Altiero Spinelli, rafforzò considerevolmente i poteri del Parlamento Europeo, affidandogli il diritto di esprimere un parere conforme per gli accordi di associazione e di ammissione nella Comunità di un nuovo stato, per la stipulazione di accordi internazionali, per il diritto di soggiorno dei cittadini dell‘Unione, per l‘organizzazione degli obiettivi dei fondi strutturali e del Fondo di coesione, per individuare i compiti e i poteri della futura Banca Centrale Europea, la BCE, sui quali venne assunta una decisione, secondo il principio di maggioranza. Il Parlamento detenne così anche il diritto di partecipare non più passivamente a tutte le attività, riguardanti la cooperazione politica tra i paesi membri della CEE e tra quest‘ultima ed i paesi esterni. In campo legislativo fu istituito il primo prototipo di procedura di cooperazione tra il Parlamento Europeo e il Consiglio Europeo. Dal 15 al 18 giugno 1989 si andò a votare per il rinnovo del Parlamento Europeo con l‘affluenza del 58,5%. La maggioranza relativa si confermò ai socialisti, mentre i popolari persero seggi. Con il Trattato Maastricht, firmato il 7 dicembre 1992, in cui venne sancita la creazione dell‘Unione Europea e della moneta unica, al Parlamento 14


Europeo venne conferito il diritto di iniziativa, ossia la possibilità, in caso di maggioranza dei deputati, di richiedere alla Commissione Europea di presentare adeguate proposte sulle questioni per cui il Parlamento Europeo reputi la necessaria elaborazione di un atto della Comunità ai fini dell‘attuazione del trattato CEE. L‘Assise di Strasburgo acquisì così il diritto di sollecitare la Commissione ad occuparsi di alcuni problemi, che sarebbero stati affrontati con una legge. Con il Trattato di Maastricht la procedura di codecisione del Parlamento Europeo venne estesa alle norme di esecuzione per i fondi sociali regionali, all‘ecologia, agli aiuti allo sviluppo, agli aiuti pubblici e alla politica dei trasporti. Con il medesimo Trattato venne introdotta la procedura di conciliazione, che concedeva al Parlamento Europeo il diritto di veto su questioni specifiche, quali l‘ambiente, la libera circolazione dei lavoratori e dei servizi, la protezione dei consumatori, il mercato interno, la cultura e l‘educazione. In caso di mancato accordo su uno di questi punti si stabilì la creazione di un comitato di conciliazione, costituito dai membri del Parlamento Europeo e da quelli del Consiglio dei Ministri. Al Parlamento Europeo venne affidata anche la possibilità di costituire una Commissione temporanea d‘inchiesta, per esaminare eventuali trasgressioni nell‘applicazione del diritto comunitario e la possibilità di designare un mediatore, a cui i cittadini potranno rivolgersi. Dal 9 al 12 giugno 1994 si votò per la quarta volta, con un‘affluenza del 56,8%. Il Partito socialista venne ancora confermato quale primo partito, avvicinato però dal partito popolare. Nel 1996 con l‘ingresso di Austria, Svezia e Finlandia, il numero degli europarlamentari aumentò a seicentoventisei. Con il Trattato di Amsterdam, stipulato il 2 ottobre 1997 venne estesa la procedura di cooperazione ad altri campi. Dal 10 al 13 giugno 1999 i cittadini europei tornarono alle urne, con un’affluenza del 49,8%, di poco inferiore alla metà, affidando la maggioranza relativa al partito popolare che, per la prima volta, superò il partito socialista. Con la stipulazione della Costituzione Europea al Parlamento Europeo vennero affidate congiuntamente al Consiglio dei Ministri la funzione legislativa, la funzione di bilancio, le funzioni di controllo politico e consultive. Con il Trattato di Nizza del 2001 furono ulteriormente aumentati i settori delle competenze, in cui il Parlamento Europeo esercita la procedura di codecisione con il Consiglio. Dal 10 al 13 giugno del 2004 si andò a votare per il rinnovo del Parlamento Europeo con un‘affluenza del 45,5%. La maggioranza relativa rimase sempre in mano ai popolari, seguiti dai socialisti. Nel 2004 con l‘ingresso di Estonia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Ungheria, Slovenia, Polonia, Malta e Cipro i deputati al Parlamento Europeo diventarono 732, numero accresciuto ulteriormente nel 2007 con l‘ingresso di Romania e Bulgaria fino a settecentottantacin-que. Con il Trattato di Roma del 2004 venne fissato a settecentocinquantuno il numero dei deputati al Parlamento Europeo per le elezioni del 2009. Il Parlamento Europeo è l‘istituzione democratica per eccellenza, eletta a suffragio universale diretto. Ogni Stato membro stabilisce autonomamente le modalità della vota15


zione, applicando tuttavia alcune regole comuni, come il diritto di voto a diciotto anni, la parità tra uomini e donne e la segretezza del voto, ma anche l‘universalità del suffragio diretto, la regola della proporzionalità e la durata quinquennale del mandato. La ripartizione dei seggi è di norma proporzionale alla popolazione di ogni paese, passando da un massimo di novantanove per la Germania ad un minimo di cinque per Malta. Negli ultimi anni si è assistito ad un continuo aumento della rappresentanza femminile al Parlamento Europeo, per cui oggi circa un terzo dei deputati sono donne. L‘attività degli eurodeputati si svolge a Bruxelles, a Strasburgo e nelle circoscrizioni elettorali. I deputati al Parlamento Europeo percepiscono attualmente la medesima retribuzione dei deputati del paese, in cui sono stati eletti, tuttavia nel settembre 2005 è stato approvato lo Statuto dei deputati, che eliminerà le disparità di trattamento economico dal 2009, assicurando una maggiore trasparenza. I deputati esercitano il loro mandato in maniera indipendente benché siano raggruppati in funzione delle loro affinità politiche e non in base alla nazionalità. Attualmente al Parlamento Europeo vi sono sette gruppi politici e precisamente: - gruppo del Partito popolare europeo (democratici cristiani) e dei democratici europei (PPE-DE) - gruppo del partito socialista europeo (PSE) - gruppo dell‘Alleanza ei democratici e dei liberali per l‘Europa (ADLE) - gruppo Unione per l‘Europa delle nazioni (UEN) - gruppo Verdi / Alleanza libera europea (Verdi / ALE) - gruppo confederale della sinistra unitaria europea / Sinistra verde nordica (GUE / NGL) - gruppo Indipendenza / Democrazia (IND / DEM) I gruppi politici provvedono alla loro organizzazione interna, eleggendo uno o due presidenti ed un ufficio di presidenza e dotandosi di una segreteria. In aula i seggi sono assegnati ai deputati in base alla loro appartenenza politica, da sinistra a destra, previo accordo con i capigruppo. Un gruppo politico è composto da un minimo di venti deputati e deve rappresentare almeno un quinto degli stati membri. Un deputato non può aderire a più gruppi politici, ma può non aderire a nessuno, diventando un non iscritto. Prima di ogni votazione in aula, i gruppi politici esaminano le relazioni, elaborate dalle commissione parlamentari, presentando emendamenti. La posizione adottata dal gruppo politico è definita mediante una concertazione in seno al gruppo, che però non può rappresentare un‘indicazione di voto obbligatoria. 16


Il Parlamento Europeo presenta tre poteri fondamentali: -

il potere legislativo;

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il potere di bilancio;

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il potere di controllo.

Il Parlamento Europeo condivide il potere legislativo equamente con il Consiglio dei Ministri, avendo la facoltà di adottare le leggi comunitarie. Approvandole, modificandole o respingendole. In seno ad una Commissione parlamentare il deputato elabora una relazione su di una proposta di testo legislativo presentata dalla Commissione, la quale ha il monopolio dell‘iniziativa normativa. La commissione parlamentare vota su tale relazione, eventualmente modificandola. Il Parlamento Europeo vota poi in Aula il testo una o più volte in base al tipo di procedura e in base al raggiungimento o meno dell‘accordo con il Consiglio. Per l‘adozione degli atti legislativi, si distinguono la procedura legislativa ordinaria o di codecisione, che pone il Parlamento Europeo allo stesso livello del Consiglio, e le procedure legislative speciali, in cui il Parlamento Europeo svolge solamente un ruolo consultivo. Purtroppo attualmente sono ancora troppi e troppo importanti i settori, su cui si eseguono le procedure legislative speciali o procedure di consultazione. Obbiettivo dei prossimi eurodeputati sarà quello di abolire quest‘ultimo tipo di procedura, portando l‘uguaglianza tra Parlamento Europeo e Consiglio dei Ministri, poiché ora il Parlamento, per le questioni cosiddette sensibili, quali la fiscalità, la politica industriale, la politica economica, la politica agricola e parte della politica estera, può esprimere solamente un parere consultivo. Nelle procedure di consultazione il Consiglio ha la facoltà di adottare una decisione autonomamente. La procedura di codecisione, introdotta dal Maastricht ed ampliata dal Trattato di Amsterdam è ora la procedura legislativa ordinaria, che conferisce al Parlamento Europeo ugual potere rispetto al Consiglio di Ministri in ambiti, quali una buona parte della politica estera, la politica ambientale, la protezione dei consumatori, i trasporti e le infrastrutture, l‘educazione e la salute. Procedura di codecisione Il Parlamento Europeo insieme al Consiglio dei Ministri costituisce l‘autorità di Bilancio dell‘Unione Europea, che stabilisce annualmente le entrate e le uscite. Per quanto riguarda le spese obbligatorie, spetta al Consiglio la decisione definitiva, su quelle non obbligatorie al Parlamento Europeo. La procedura di Bilancio risulta essere abbastanza complessa, per i numerosi passaggi tra commissione, Consiglio e Parlamento. E‘ il presidente del Parlamento che approva definitivamente il Bilancio dopo possibili interventi. Proprio il settore del bilancio è uno dei più importanti per il Parlamento Europeo. I futuri eurodeputati dovranno perciò essere esecutori di una politica ponderata ed accorta, 17


che permetta all‘Unione Europea oltre che a giungere in parità, anche di avere un disavanzo, che potrebbe essere usato negli anni successivi per varie iniziative, nei campi della solidarietà o per aiuti umanitari. Il Parlamento Europeo dispone anche di un importante potere di controllo sulle attività dell‘Unione Europea. Gli strumenti di controllo del Parlamento Europeo sono: -

il diritto di petizione dei cittadini;

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le inchieste;

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il diritto di ricorso del Parlamento Europeo dinanzi alla Corte di Giustizia;

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il controllo finanziario.

I nuovi eurodeputati dovranno dimostrare molta attenzione al diritto di petizione dei cittadini, essendo mediatori tra i reclami dei singoli cittadini e le istituzioni comunitarie, per giungere ad una soluzione amichevole. Da parte loro i cittadini usare in modo attento ed intelligente il diritto di petizione, avendo il coraggio di usarlo nei momenti giusti ed avendo la coscienza di non usarlo se può danneggiare l‘apparato istituzionale ed i principi costituzionali. I futuri eurodeputati dovranno essere inoltre molto rigidi nella facoltà di istituire commissioni di inchiesta in caso di infrazione o di applicazione scorretta del diritto comunitario nei confronti degli stati membri, cercando però sempre di mediare e di riportare i paesi membri a rischio di sanzione sulla corretta via. Con il diritto di ricorso alla Corte di giustizia i nuovi eurodeputati potranno accrescere i poteri del Parlamento Europeo. Questi dovranno usare i potere di controllo finanziario della banca Centrale Europea in modo oculato e diligente, scegliendo per l‘elezione del Comitato esecutivo della BCE, persone capaci ed abili, siccome il campo economico e monetario è il fattore trainante della politica europea e proprio in questo ambito devono essere eletti le persone più esperte. Il primo grande tema, che dovrà essere affrontato al prossimo dibattito politico per le elezioni al Parlamento Europeo, è sicuramente l‘economia, settore in cui l‘Assise di Strasburgo esercita solo il potere consultivo. Il mondo intero è stato investito da una crisi, che partita dagli Stati Uniti ha colpito l‘Europa, la cui economia però si è dimostrata efficiente, attutendo il duro colpo. I nuovi eurodeputati dovranno favorire una politica di aiuto ai cittadini, colpiti dalla crisi, alle industrie ed alle banche, assicurando la copertura dei conti correnti della popolazione, travolta da una crisi veramente imponente. Molti sforzi dovranno essere compiuti dai nuovi eurodeputati in questo senso, per cercare di abbreviare sempre più la crisi, pur una risoluzione rapida. Oltre a cercare di remare questa crisi, i nuovi eurodeputati dovranno cercare di gettare le fondamenta per una prossima economia più sicura, che tuteli soprattutto i cittadini, un‘economia sostenibile per il futuro, specialmente in ambiti quali l‘agricoltura e la pesca. I cittadi18


ni,da parte loro, dovranno cercare di risparmiare sulle spese superflue ed inutili, senza però fermare del tutto l‘economia, la cui ripartenza sarà difficile e ardua. Benchè il Parlamento Europeo possegga pochi poteri in ambito economico, i nuovi eurodeputati avranno forti responsabilità su questo tema, problema ora primario per tutti i cittadini, in particolare per quel ceto medio, che rischia di essere schiacciato e di perdere i soldi risparmiati, depositati in banca. I nuovi eurodeputati dovranno aiutare i cittadini, in particolare coloro che hanno contratto un mutuo a tasso variabile sulla casa e che ora non sanno più come pagarlo. Presento ora un articolo tratto dal sito ufficiale del Parlamento Europeo che presenta degli ottimi consigli da seguire sia da parte degli europarlamentari che da parte dei cittadini. Momenti di crisi.. Più educazione finanziaria per evitare crisi future L'onda lunga della crisi finanziaria, dopo i crack degli istituti finanziari e delle banche, ha raggiunto i piccoli risparmiatori che avevano investito parte dei loro risparmi. Conoscenza limitata dei prodotti e trend finanziari difficili da seguire hanno mietuto vittime fra la gente comune, con conseguenze pesanti sull'intera società. È per questo che l'eurodeputata bulgara Malinova Iotova del gruppo socialista (PSE), nella sua relazione d'iniziativa adottata in commissione parlamentare affari economici il 7 ottobre scorso, propone nuove misure per contrastare il fenomeno con corsi d'apprendimento e formazione adeguati, a partire dalle elementari. Educazione finanziaria "Occorre partire con l'istruzione finanziaria sin dalle elementari, puntando in particolare su gruppi specifici d'età, ritiene la deputata, ed è per questo che proponiamo un sostegno finanziario di 1,5 miliardi di euro per il 2009" per programmi d'apprendimento. "Dobbiamo inoltre adottare principi comuni a livello europeo, lasciando l'implementazione ai singoli Stati membri". E sensibilizzare la gente sui rischi del mercato? "Sono convinta che una simile opera sarebbe stata positiva prima della crisi, mi riferisco ai livelli d'indebitamento, in particolare negli USA. Malinova Iotova ritiene però che in Europa la situazione non vada molto meglio: "Troppi crediti concessi e pochi rimborsati". 19


Un altro fenomeno preoccupante per la deputata bulgara sono i prestiti per i ragazzi, magari per internet o simili, incontrollabili dai genitori, o i mutui per le case, con clausole complicate e difficili da decifrare. "Pur se può sembrare assurdo, questa crisi è arrivata giusto in tempo e avrà affetti salutari, azzarda la deputata, molti cittadini capiranno quant'è grave tale problema, troppo indebitamento e troppa sicurezza dimostrano ancora una volta la necessità di più istruzione in questo campo". Qual è il suo consiglio ai cittadini? Oltre a rivedere cosa si fece negli Stati Uniti nel 1920, consiglio di fare attenzione alle nostre spese, ad esempio per l'elettricità, il cibo, il riscaldamento....abbiamo veramente bisogno delle cose che compriamo? Dobbiamo essere più cauti con il nostro denaro ed educare i bambini a risparmiare". "Sono certa che anche questa crisi passerà, i risultati della riunione dei ministri della zona euro mostrano un nuovo intento di solidarietà. Coloro che osteggiano l'Unione europea e il Trattato di Lisbona possono ora toccare con mano perché é necessario avere una Comunità europea". L‘altro grande tema che dovrà essere trattato nelle discussioni politiche per le elezioni del Parlamento Europeo è indubbiamente la politica estera , su cui però l‘Assiste di Strasburgo esercita la procedura di codecisione solo in alcuni settori, quali gli accordi internazionali, la globalizzazione, i diritti del‘uomo e gli allargamenti. Il Parlamento Europeo viene comunque consultato dal Consiglio sugli aspetti e le scelte fondamentali della politica estera e di sicurezza comune, detta PESL, e può rivolgere al Consiglio interrogazioni e raccomandazioni. Il Parlamento Europeo è in contatto attraverso la commissione per gli affari esteri, detta AFET, con l‘alto rappresentante dell‘Unione Europea per la politica estera e di sicurezza, nonché con il Commissario Europeo, incaricato alle relazioni estere. I futuri eurodeputati, soprattutto quelli eletti nell‘AFET, che dovrebbero essere i più capaci ed esperti, dovranno confrontarsi coni grandi temi della politica estera mondiale e precisamente: -

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la situazione arabo-israeliana, inserita nel contesto del Medio Oriente; i conflitti e le guerre civili che interessano ancora moltissimi Stati, specie in Asia ed in Africa; il terrorismo; la situazione di crisi tra Russia ed Ucraina per gli approvvigionamenti di gas all‘Europa; 20


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il nucleare iraniano;

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la situazione in Georgia;

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le nuove forme di pirateria, specialmente attorno al Corno d‘Africa.

Per quanto concerne la situazione arabo-israeliana i nuovi eurodeputati dovranno con forza portare avanti le trattative fra le due parti opposte, muovendosi in due direzioni: verso una pace momentanea, che permetta l‘affluenza di soccorsi umanitari ai palestinesi, e verso la costruzione di una pace duratura fra due popoli divisi da cinquant‘anni di guerre sanguinose e violente. Proprio con questo problema verrà a confrontarsi la forza del nuovo parlamento Europeo in polita estera. La nuova offensiva israeliana ha ricordato una situazione in Israele troppo trascurata da molti Stati, ma non da Karen Koning Abu Zayd, Commissario Generale delle Nazioni Unite dello UNRWA, ossia l‘Agenzia delle nazioni Unite per il soccorso e l‘occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente, che eroga servizi, quali educazione, sanità, socialità e aiuti urgenti ai profughi palestinesi nella striscia di Gaza, in Cisgiordania, in Libano ed in Siria. A questo punto inserisco un‘intervista di Karen Koning Abu Zayd, che ritengo molto interessante ed attinente perché descrive le condizioni di vita di Palestinesi rifugiati prima dell‘offensiva israeliana. In questo articolo la donna propone delle linee guida, che dovranno essere seguite dai nuovi eurodeputati per migliorare la situazione araboisraeliana. La Commissione delibera un ruolo, che dovrà essere seguito dal nuovo Parlamento Europeo, ossia quello di mediatore ed equilibratore, fra le due parti. "Bisogno di svolta in Palestina e Israele" Relazioni esterne - 13-11-2008 - 18:23 Abbiamo chiesto alla Commissaria Generale delle Nazioni Unite dell'UNRWA, Karen Koning AbuZayd, di raccontarci le condizioni di vita dei Palestinesi del West Bank, di Gaza e di quelli rifugiati negli Stati limitrofi. Signora Abu Zayd, nell'incontro con gli eurodeputati dell'AFET ha parlato delle misere condizioni di vita dei Palestinesi in West Bank e Gaza. Quanto drammatica è la loro situazione? La situazione, specialmente a Gaza, é tremenda ed in continuo peggioramento a causa del muro e dell'embargo israeliano. È consentito l'accesso a sempre a meno prodotti, agli stessi aiuti umanitari - cibo e medicine - viene permesso l'ingresso in minima e non sufficiente parte. La popolazione ha vissuto di una scarsa razione giornaliera per 8 lunghi anni a scapito della loro salute. La gente è privata di praticamente tutto, dalle medicine all'elettricità, dalla benzina all'acqua. Stiamo facendo il possibile per riuscire a offrire almeno un'educazione primaria e un'assistenza sanitaria di base a due terzi della popolazione. 21


Qualcosa inaspettato e contro tendenza - per un popolo attaccato alla propria terra quale quello palestinese - sta avvenendo in quest'ultimo periodo: i rifugiati palestinesi vogliono abbandonare i campi profughi, in particolare per la salute dei loro figli, per poter donargli un futuro; disperazione, frustrazione e rabbia per quello che non possono offrire alla loro prole; ci sono padri che non riescono a mettere cibo nei loro piatti e che non hanno ne trovano lavoro. È una situazione preoccupante ed in continuo peggioramento. Per quanto riguarda i rifugiati Palestinesi negli altri paesi del Vicino Oriente, come è la loro situazione? Pensa che la comunità internazionale sia coinvolta abbastanza per, ad esempio, riuscire a migliorare la situazione dei rifugiati in Libano, terra di un conflitto armato nel 2006-2007? La situazione in Libano è da sempre stata delle peggiori, ai rifugiati palestinesi fu da subito impedito di lavorare, a noi di migliorare le condizioni di vita dei loro campi profughi. Dal 2005 la situazione è però cambiata notevolmente: i 30.000 rifugiati, che sono scappati a causa del conflitto con Israele, vivono nelle case prefabbricate che gli abbiamo fornito ed alcuni di loro lavorano, anche se il tasso odierno di disoccupazione è aumentato esponenzialmente. I rifugiati in Siria e Giordania, paesi non dilaniati da conflitti, hanno trovato da subito accoglienza e riconoscimento, godendo degli stessi diritti di un cittadino: lavoro, università, cure e alloggio. Non vivono in campi profughi, sono integrati nella società. Riuscendo a prendersi cura da soli di se stessi, il nostro lavoro in quelle aree è per fortuna minimo. Che sviluppi vede del conflitto tra Israele e Palestina, adesso che un nuovo Presidente Americano è stato eletto? Speriamo che ci siano positivi sviluppi, Obama ha promesso, in campagna elettorale, che se avesse vinto avrebbe prestato attenzione al problema. Noi gli ricorderemo questa promessa! Speriamo che nominerà almeno qualcuno di altissimo livello ad occuparsi, a tempo pieno, del grave conflitto tra questi due popoli. Penso che sia importante. Che cosa può fare l'Europa per aumentare il suo contributo al processo di pace nel Medio Oriente? Oltre ad aiutarci economicamente, continuare nel ruolo intrapreso di mediatore, di equilibratore. Abbiamo bisogno di aiuti finanziari, siamo molto preoccupati che in un momento di crisi finanziaria mondiale siano gli aiuti ai più deboli a venire meno. 22


L'apporto europeo è stato fondamentale negli ultimi anni, non solo economicamente, ma nel dialogo grazie al fatto che l'Europa può parlare con entrambe le parti senza esserne influenzata. Riteniamo che gli europei siano campioni in campo di diritti umani e di diritto internazionale umanitario; pretendano molto in materia dagli altri Stati ed anche da noi. Abbiamo bisogno di un processo di pace globale che sia basato sui diritti, i diritti dei palestinesi e quelli degli israeliani. Riteniamo che gli europei siano nella posizione migliore per essere in grado di spingere questo tipo di approccio e questo è quello che chiediamo.

Nel caso in cui i nuovi eurodeputati riuscissero ad ottenere una pace temporanea, non dovranno mai dimenticarsi della situazione arabo-israeliana, continuando a far affluire aiuti economici, che dovranno cercare di aumentare anche in un periodo di crisi, poiché la risoluzione di questo problema influirà sicuramente su tutto il Medio Oriente. I nuovi eurodeputati inoltre dovranno cercare di favorire l‘instaurazione di un governo arabo moderato e non integralista in Palestina ed in ogni altro Stato del Medio Oriente. Da parte loro i cittadini dovranno farsi partecipi negli aiuti ad una realtà, che sembra così distane, ma che in verità si affaccia sul Mar Mediterraneo. I futuri eurodeputati dovranno impegnarsi molto anche nella risoluzione dei conflitti e delle guerre civili in Africa ed in Asia, favorendo la stabilizzazione di governi democratici ad ampio consenso. Una delle prime guerre civili che i nuovi eurodeputati dovranno affrontare è quella nello Sri Lanka, che si sta risolvendo in questi primi giorni di gennaio, facendosi portavoce delle formazioni di un governo democratico, al cui interno militi una rappresentanza delle regioni nord-occidentali, ora ancora in guerra. Gli stessi dovranno altresì cercare di mediare in ogni conflitto per il raggiungimento di una pace condivisa e duratura, che assicuri la libertà e i diritti umani, trascurati nei Paesi in guerra. Il nuovo Parlamento Europeo avrà anche un ruolo centrale sul terrorismo, problematica sorta con la globalizzazione e che sarà obbiettivo dei prossimi eurodeputati risolvere con un dialogo aperto e rispettoso con l‘Islam moderato. I nuovi eurodeputati dovranno comunque dimostrare forza e autorità nei confronti delle frange integraliste, collaborando con gli altri Stati democratici mondiali ed in particolare modo con gli Stati Uniti del nuovo Presidente Barack Obama, la cui politica ponderata e di equilibrio porterà sicuramente a dei risultati positivi. Risultati che dovranno arrivare anche dalle trattative del nuovo Parlamento Europeo con il Presidente iraniano Mamhud Ahmadinejad riguardo il nucleare. Anche in questo ambito i nuovi eurodeputati dovranno favorire così una politica lungimirante ed equilibrata, per la pace tra l‘Iran e gli altri Stati. Un‘altra questione centrale per l‘Unione Europea è la risoluzione del problema tra Russia ed Ucraina, riguardo al gas naturale. La situazione tra Russia ed Ucraina nasce dal lontano tempo quando, con la caduta dell‘Unione Sovietica, la nuova Russia iniziò ad esportare il suo gas verso i Paesi europei, diventanti poi i maggiori acquirenti, e non più solo verso gli 23


ex paesi comunisti, tra cui l‘Ucraina. Questa rimase comunque rifornita al 100% dalla Russia a prezzi assai vantaggiosi, concedendo però a Gazprom, società monopolista russa per il rifornimento di gas, di far passare un gasdotto verso l‘Europa, che avrebbe trasportato l‘85% degli approvvigionamenti di gas. In questi ultimi anni Gazprom ha tentato non di riallineare, ma almeno di riequilibrare il prezzo del gas venduto all‘Ucraina con quello venduto agli altri Stati. L‘Ucraina ha sempre rifiutato un aumento del prezzo, facendo leva sulla possibilità, illegale peraltro, di interrompere il transito di gas dalla Russia all‘Europa , sequestrandolo. La Russia ha così deciso di interrompere l‘approvvigionamento di gas all‘Ucraina, finché non pagherà il gas dello scorso anno. Questa situazione si riacutizza in ogni inverno, minacciando il rifornimento di gas all‘Europa. I nuovi eurodeputati dovranno confrontarsi con ambo le parti, cercando di portarli ad un accordo stabile e duraturo. I maggiori lavori saranno da svolgere con l‘Ucraina, per cercare di convincerla a pagare il gas al costo dell‘anno scorso e per convincerla che un aumento del prezzo è inevitabile. Sarà però anche compito dei nuovi eurodeputati trattare con la Russia e con la Società Gazprom, affinché rivedano l‘aumento del prezzo, eventualmente dilazionandolo. L‘accordo tra Russia ed Ucraina sud sarà obbiettivo primario dei prossimi eurodeputati per far partire i negoziati in modo da concluderli con l‘arrivo del prossimo inverno. Riporto qui un articolo, tratto da ―La Stampa‖ del 3 gennaio 2009, che, analizzando lo stallo fra Ucraina e Russia, propone dei rimedi proprio per il Parlamento Europeo, che sarà bene ascoltare. Articolo Un altro problema per i prossimi eurodeputati sarà la questione georgiana. Gli eurodeputati non dovranno dimenticare questo problema sollecitando in merito anche i cittadini; dovranno sorvegliare l‘arrivo e la ripartizione degli aiuti umanitari in Georgia, come negli altri territori in emergenza, perché non vadano persi. Questi dovranno così vigilare in modo attento e responsabile, cercando di stabilizzare ulteriormente la situazione, in modo che non si evolva con conflitti latenti, che scoppino in una guerra improvvisa. Ulteriore tema di politica estera di grande rilevanza , che dovrà essere affrontato dal Parlamento Europeo è sicuramente quello degli allargamenti, poiché in questo ambito è prevista la procedura di codecisione tra Parlamento , Consiglio e Commissione, infatti senza il parere favorevole dell‘Assise di Strasburgo non si può dare il via alle varie fasi di allargamento, uno degli strumenti politici più efficaci dell‘Unione Europea, favorendo gli interessi strategici in termini di stabilità, sicurezza e prevenzione dei conflitti, le possibilità di crescita economica e l‘apertura di nuove rotte di trasporto ed energetiche. I candidati al Parlamento Europeo dovrebbero interessarsi molto di questi processi, futuro per l‘Unione Europea. Momentaneamente l‘allargamento interessa la Turchia ed i paesi dei Balcani occidentali, con in testa la Croazia. Gli eurodeputati dovranno comun24


que far percepire alla popolazione l‘importanza degli allargamenti, la cui politica però deve essere rigida e rigorosa nel rispetto dei criteri di adesione, decisi nel 1993 a Copenaghen, ossia: -

la presenza di istituzioni stabili, che garantiscano la democrazia , lo Stato di diritto, i diritti umani, il rispetto delle minoranze e la loro protezione;

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la presenza di un‘economia di mercato funzionante, capace di far fronte alle pressioni della concorrenza e delle forze di mercato interne all‘Unione Europea;

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la capacità di soddisfare gli obblighi, derivanti dall‘adesione, contribuendo a perseguire gli obiettivi dell‘Unione Europea;

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la presenza di un‘amministrazione pubblica in grado di applicare la legislazione comunitaria.

Gli eurodeputati dovranno inoltre valutare con molta cautela le proposte di adesione all‘Unione Europea, aventi la base giuridica nell‘art. 49 del Trattato sull‘Unione Europea, che recita ―ogni Stato europeo che rispetti i principi sanciti dall‘articolo 6, paragrafo uno (principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto), può domandare di diventare membro dell‘Unione Europea ….‖, poiché l‘allargamento a più di trenta Stati potrebbe creare dei problemi nella capacità dell‘Unione di funzionare e di adottare congrue decisioni, occorrendo, per l‘approvazione di una norma, la totalità dei voti in Consiglio ed in Commissione. Gli eurodeputati farebbero pertanto bene prima ad esaminare e trovare una risoluzione per il problema dell‘approvazione di un nuovo sistema a maggioranza dei tre quarti o due terzi, perché altrimenti uno Stato da solo può bloccare qualsiasi norma. Risolta questa spinosa questione , il nuovo Parlamento Europeo, avendo in questo ambito il potere di co25


decisione con gli altri due organi legislativi, per affrontare le problematiche principali, dovrà cercare di continuare ad usare al meglio i suoi strumenti di preadesione, tra cui dal gennaio 2007 l‘IPA, strumento finanziario, concentrato sulla priorità delle riforme, per la formazione di uno Stato con un buon governo sia dal punto di vista istituzionale che amministrativo. Inoltre il Parlamento Europeo dovrà usare gli aiuti finanziari non rimborsabili a favore dello sviluppo del settore privato e degli investimenti infrastrutturali con intelligenza ed accortezza, per non sprecarli in modo infruttuoso. In ambito di allargamenti i temi trattati dovranno riguardare le questioni fondamentali, come le priorità in materia di riforme, attinenti alla costruzione dello Stato, alla Governance, in particolar modo allo sviluppo istituzionale, alla riforma giuridica ed amministrativa, alla prevenzione della criminalità organizzata ed alla lotta alla corruzione, ed alle riforme macroeconomiche. Gli eurodeputati, anche grazie all‘IPA, dovranno sorvegliare meticolosamente e rigidamente la situazione fiscale preadesione, favorendo le riforme economiche. Un altro tema in quest‘ambito sarà le cooperazione regionale ed il mantenimento di buone relazioni con i paesi vicini, favorendo così lo sviluppo d infrastrutture e trasporti, oltre che la pace e numerosi vantaggi economici, sotto forma di accelerazione di crescita e di aumento di investimenti esteri. Gli eurodeputati avranno l‘incombenza di rassicurare le popolazioni circa gli effettivi vantaggi che si potranno raggiungere con le nuove adesioni. Questo traguardo si potrà raggiungere con l‘appoggio dei cittadini in favore dell‘allargamento, dopo averli ascoltati, preso in considerazione le loro preoccupazioni, fornito loro informazioni chiare e certe. Da parte loro i cittadini dovranno cercare di percepire l‘opportunità a loro concessa e l‘importanza dell‘allargamento, dei vantaggi che potrebbero ricavarne, specialmente in ambito di crescita economica, di espansione del commercio e degli investimenti, facendo diventare l‘Unione Europea più che mai competitiva per poter meglio affrontare le sfide della globalizzazione. Un particolare tema, non inerente alla politica estera di allargamento, ma conseguente , è la salvaguardia dell‘identità della cultura e delle tradizioni nazionali, in particolare della lingua. Al Parlamento Europeo tutte le lingue infatti hanno pari importanza, per cui tutti i documenti parlamentari sono pubblicati in tutte le ventitre lingue ufficiali, numero assai elevato, che richiede un‘imponente opera di traduzione, rispetto alle prime quattro lingue della CEE. originarie: tedesco, francese, italiano e olandese, e per cui tutti gli eurodeputati hanno il diritto e, a mio parere, il dovere di esprimersi nella loro lingua., per garantire e tutelare la trasparenza e l‘accessibilità ai lavori da parte dei cittadini, che dovrebbero però sempre di più essere attenti ed interessati ai lavori europarlamentari, lavori che peraltro non vengono trasmessi dalle reti televisive italiane. Qualora l‘attività del Parlamento Europeo fosse divulgata dai mezzi televisivi si otterrebbe una migliore comunicazione con i cittadini, ancora troppo trascurati dalle istituzioni europee, in particolar modo dall‘Assise di Strasburgo, eletto proprio a suffragio universale dal popolo. Gli eurodeputati dovrebbero perciò difendere il multilinguismo, massi26


ma garanzia del funzionamento democratico del Parlamento Europeo. In seno alla politica estera un altro importantissimo tema, che dovrà essere al centro del dibattito politico, è la globalizzazione, altro settore su cui il Parlamento Europeo possiede la procedura di codecisione. Lo stesso infatti prende parte attiva nelle discussioni sulla globalizzazione, seguendo da vicino i lavori dell‘OMC, Organizzazione Mondiale del Commercio, in cui vengono definite le regole, che disciplinano il commercio internazionale da parte degli Stati contraenti. Il Parlamento Europeo dà il suo parere conforme sul risultato dei negoziati, condotti dall‘Unione Europea, esponendo delle raccomandazioni. Gli eurodeputati dovranno così continuare a difendere l‘interesse del cittadino nel conteso attuale della globalizzazione. Inoltre, la richiesta della creazione di un‘assemblea parlamentare all‘OMC dovrà essere portata avanti con forza e decisione dei nuovi eurodeputati con il fine di consentire al cittadino di capire le decisioni adottate dall‘OMC, favorendo la trasparenza. Gli eurodeputati dovranno così cercare di arrivare ad una globalizzazione civile, che garantisca una giustizia sociale ed una democrazia planetaria. Il Parlamento Europeo deve far valere le sue posizioni sulle regole economiche mondiali. Quest‘aumento del potere del Parlamento in politica estera potrebbe essere ancora di più accresciuto se vi fosse l‘introduzione di un unico rappresentante presso l‘ONU e l‘OMC, che così , avendo alle spalle quasi mezzo miliardo di cittadini, potrebbe farsi valere sempre di più in ambito mondiale. Ulteriore funzione importante del Parlamento Europeo in seno alla politica estera consiste nella creazione di delegazioni, che intrattengono rapporti con i Parlamenti di Paesi non membri dell‘Unione Europea. Attualmente esistono trentaquattro delegazioni, ognuno delle quali composte da circa quindici deputati, divise in quattro categorie: -

le delegazioni interparlamentari, incaricate di mantenere rapporti con Paesi non membri dell‘Unione Europea e non candidati all‘adesione;

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le commissioni parlamentari miste, che curano le relazioni con i Parlamenti dei Paesi candidati all‘adesione dell‘Unione Europea e degli Stati associati alla Comunità;

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la delegazione del Parlamento Europeo all‘Assemblea paritetica ACP-UE, composta da eurodeputati e da parlamentari da: Africa, Caraibi e Pacifico;

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la delegazione del Parlamento Europeo all‘Assemblea parlamentare euromediterranea.

Le delegazioni del Parlamento Europeo contribuiscono in maniera significativa allo sviluppo del ruolo dell‘Unione Europea in politica estera e nel mondo. Perciò la loro composizione dovrebbe prevedere l‘eccellenza degli eurodeputati. 27


Un importante tema di politica estera sarà quello degli accordi internazionali, dove il Parlamento Europeo ha pieno potere, in particolare il suo Presidente, attualmente Hans Pottering, eurodeputato del PPE – DE. Il Presidente rappresenta infatti il Parlamento Europeo all‘estero e nelle relazioni con le altre istituzioni comunitarie. Il Presidente, insieme alla Conferenza dei presidenti, di cui fanno parte i presidenti dei gruppi politici, organizza il lavoro in Aula ed intrattiene le relazioni estere, mentre insieme all‘Ufficio di Presidenza, di cui fanno parte quattordici vicepresidenti, si occupa del funzionamento interno del Parlamento Europeo. Obbligo dei nuovi eurodeputati sarà quello di eleggere come Presidente il deputato migliore, più abile, capace ed esperto. Il nuovo Presidente dovrà occuparsi attivamente per firmare nuovi accordi internazionali, che provvedevano alla sicurezza dei cittadini europei anche nel mondo. La sicurezza internazionale deve essere l‘obbiettivo dei futuri eurodeputati, in particolar modo del Presidente. Il nuovo Parlamento Europeo dovrà con vigore impegnarsi in questo ambito spinoso e difficile, per assicurare un futuro di pace. In ambito di politica estera un altro tema di particolare rilevanza, che dovrà essere trattato nella discussione politica dai candidati al Parlamento Europeo, è quello della difesa dei diritti umani, in cui l‘Assise di Strasburgo presenta la procedura di codecisione. Questo tema risulta essere ancora più importante per il Parlamento Europeo, poiché la Commissione per gli affari esteri è il primo interlocutore europeo all‘estero per la difesa dei diritti dell‘uomo. Ogni anno il Parlamento Europeo presenta una relazione sui diritti dell‘uomo nei Paesi membri e anche in quelli non membri. Inoltre il Parlamento Europeo può decidere la sospensione degli accordi internazionali con uno Stato estero, in caso di infrazione dei diritti dell‘uomo per poterli tutelare. I nuovi eurodeputati dovranno difendere in maniera rigida i diritti dell‘uomo, soprattutto nei dibattiti parlamentari mensili sui casi di violazione dei diritti dell‘uomo, della democrazia dello stato di diritto, richiedendo una serie dei risoluzioni verso i governi responsabili di violazioni , come la Cina, uno dei maggiori Stati mondiali per importanza e potere, ma molto deficitario nel campo dei diritti, come affermato dall‘eurodeputato dell‘ALDE, Dirk Sterckx, presidente della delegazione per le relazioni con la Repubblica popolare cinese, che ha affermato: ―L‘Europa però non farà concessioni sui diritti umani e sulle norme internazionali‖. Il Parlamento Europeo ha istituito nel 1988 il premio Sacharov per la libertà di pensiero, uno dei diritti dell‘uomo, che viene attribuito ogni anno ad una personalità o ad un‘organizzazione internazionale distintasi nel settore dei diritti dell‘uomo, come il fisico nucleare Andrej Sacharov, premio Nobel per la pace nel 1975. Per il Parlamento Europeo è purtroppo sempre molto arduo scegliere un solo vincitore, in quanto la situazione mondiale si presenta assai negativa. Con la nomina a vincitore nel 2007 del premio Sacharov del dissidente cinese Hu Jia si è ancora potuto riscontrare il danneggiamento dei diritti dell‘uomo da parte della Cina. Il premio Sacharov viene ogni tanto assegnato anche ai giornalisti, in particolare a quelli che lavorano in Stati non democra28


tici, in guerra oppure sotto censura, poiché essi cercano di sostenere la libertà di stampa e di informazione. Sui diritti dell‘uomo si è espressa anche Navanethem Pillay, nuovo responsabile delle Nazioni Unite per i diritti dell‘uomo in un incontro con gli eurodeputati in occasione delle celebrazioni per i sessant‘anni della Dichiarazione Universale. Pillay ha dichiarato: ―I difensori dei diritti dell‘uomo sono spesso in prima linea per monitorare il rispetto dei diritti umani e rafforzare lo stato di diritto sino al sacrificio della vita‖. I nuovi eurodeputati dovranno così confrontarsi con il tema dei diritti umani, richiedendo a tutti gli Stati uno sforzo maggiore in questo ambito. Gli stessi dovranno ricordare ai cittadini l‘importanza dei diritti dell‘uomo, non violati nello Stato in cui si abita, ma in numerosi altri paesi del mondo. Da parte loro i cittadini non dovranno mai dimenticare la vera anima dell‘Europa, ossia i diritti dell‘uomo, evolutasi in millenni, partendo dall‘agorà greca, ai fori romani, dalle abbazie alle Università, dalle biblioteche ai parlamenti nazionali, attraverso le due Guerre mondiali ed i campi di concentramento come Auschwitz – Birkenau, dove la dignità dell‘uomo è quasi andata persa. I cittadini devono sentirsi fieri di essere europei, perché credono nei diritti dell‘uomo e sanno che non basta proclamarli, ma bisogna anche attuarli per tutti. Questo sarà il compito dei nuovi europarlamentari attraverso l‘intervento dei giudici in caso di violazioni, ma soprattutto attraverso la realizzazione concreta, perché tutti possano goderne. Con la Carta dei diritti fondamentali dell‘Unione Europea, approvata definitivamente il 7 dicembre 2000, sono stati sanciti i diritti fondamentali dei cittadini europei e dei residenti sul suolo europeo,conferendo alla cittadinanza europea un valore morale nei diritti dell‘uomo, quali dignità, libertà uguaglianza, solidarietà, cittadinanza stessa e giustizia. Dal 2001 il Parlamento Europeo presenta ogni anno una relazione consuntiva, che esamina il grado di rispetto dei diritti enunciati dalla Carta. I nuovi eurodeputati dovranno così intensificare il loro lavoro sui diritti della Carta, dimostrandosi ferrei e rigorosi con chi non li rispetta. I nuovi eurodeputati dovranno inoltre battersi per l‘inserimento dei diritti della Carta nella futura Costituzione Europea, che, entrando in vigore, porterà agli Stati membri l‘obbligo giuridico di rispettarli. Questa iniziativa sarà difficile, ma sarà uno dei punti più dibattuti nelle prossime sessioni plenarie. Con la Carta dei diritti fondamentali dell‘Unione Europea è stato anche creato lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, che dovrà essere valorizzato dai prossimi eurodeputati. In ambito di politica estera, ma anche interna, tra Stati e Stato dell‘Unione Europea, un altro tema che dovrà essere affrontato nel dibattito politico, è la solidarietà, stretta conseguenza della politica sui diritti dell‘uomo. Infatti, con l‘avanzamento dei diritti dell‘uomo i nuovi eurodeputati dovranno sostenere una politica di forte solidarietà sociale. Questi dovranno ricordare ai cittadini che il binomio fra diritti fondamentali e doveri di solidarietà è di fondamentale per una politica che cerchi di creare equilibri e di ridurre il gap tra Paesi ricchi e poveri all‘interno dell‘Unione Europea. I nuovi eurodeputati dovranno farsi fautori di una politica di solidarietà per recuperare settori econo29


mici gravemente colpiti, specie dopo la crisi, La politica di solidarietà dell‘Unione Europea si basa sul trasferimento di fondi dai paesi ricchi a quelli poveri, che li useranno per la riconversione industriale delle zone in declino, per l‘inserimento professionale dei disoccupati di lunga durata e dei giovani, per la modernizzazione delle strutture agricole e per lo sviluppo delle regioni rurali sfavorite. I nuovi eurodeputati dovranno porsi tre obiettivi: -

le convergenze, ossia l‘aiuto alle regioni ed ai Paesi più arretrati e poveri per recuperare rapidamente il ritardo rispetto alla media dell‘Unione Europea, grazie ad una crescita economica, ad una diminuzione della disoccupazione e ad un miglioramento nel settore amministrativo;

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la competitività regionale e l‘occupazione, ossia l‘accrescimento della competitività, regionale e dell‘occupazione, con la promozione dell‘innovazione e dei cambiamenti sociali ed economici;

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la cooperazione territoriale europea, ossia il rafforzamento della cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale e una politica per trovare soluzioni comuni e condivise ai problemi, quali lo sviluppo urbano, rurale e costiero, lo sviluppo di relazioni economiche e la creazione di reti di piccole e medie imprese.

I nuovi eurodeputati si dovranno sforzare di trovare nuovi fondi specifici per queste politiche. Inoltre dovranno proporre una politica di solidarietà rivolta ai giovani, che usufruendone potranno risolvere parte dei problemi globali, quali il terrorismo, le immigrazioni, il contrasto lacerante fra Paesi ricchi e poveri, l‘esigenza di uno sviluppo sostituibile con i suoi riflessi su energia, ambiente, fame, sete e salute, e la minaccia nucleare. La nuova Europa dei cittadini, basata sul binomio di diritti umani e solidarietà potrà contribuire a risolvere i problemi in una logica umana, basta sulla centralità delle persone,origini del sogno europeo. Un particolare tema, che dovrà entrare nella prossima discussione politica, è sicuramente quello dell‘approvazione di una Costituzione europea da parte di tutti gli Stati membri. I nuovi eurodeputati dovranno così impegnarsi a favore di una risoluzione comune di questo problema, che potrebbe immobilizzare le istituzioni comunitarie. Da parte loro i cittadini, qualora fossero chiamati in causa con un referendum, non dovranno farsi influenzare dal‘ideologia nazionale. L‘approvazio-ne di una Costituzione europea comune è infatti una priorità assoluta per le istituzioni comunitarie. Un altro tema, che dovrà essere trattato nel dibattito politico, è quello dell‘immigrazione, dove però il Parlamento Europeo esercita solo un potere consultivo e 30


no dico decisione. Comunque i nuovi eurodeputati dovranno farsi fautori di una politica comune e compatta, perché l‘immigrazione è un problema di tutti e non può essere affrontata solo dai Paesi del primo approdo, come quelli nel Mediterraneo, con in testa l‘Italia, ma deve essere affrontato da tutti gli Stati, anche da quelli non direttamente interessati, come per esempio l‘Irlanda. I futuri eurodeputati dovranno così favorire una politica indirizzata ad un‘immigrazione sorvegliata e sicura, poiché gli immigrati sono una grande risorsa per l‘Europa, occorre che stipulino accordi con gli Stati da cui partono, appunto per regolare i flussi migratori, che dovranno poi convogliare anche verso altri Stati europei e non solo verso i primi. In sostanza i futuri eurodeputati dovranno sostenere una politica migratoria comune di controllo e di regolamentazione, cercando di non far favorire il cosiddetto ―lavoro in nero‖, colpendo e sanzionando i datori di lavoro. Inoltre dovranno lottare accanitamente contro le politiche nazionali sulle migrazioni, come quelle di Malta, che non si adoperano per risolvere il problema, ma lo passano ad altri Stati, in questo caso l‘Italia. Altresì dovranno favorire un fronte comune , sapendo che non si possono fermare le migrazioni, ma che con durissimi sforzi si possono controllore. Da parte loro i cittadini dovranno combattere le paure per l‘immigrato e per il diversi, battersi per politiche di regolamentazione presso il Parlamento Europeo. Atra tematica di rilevante importanza da prendere in considerazione da parte dei nuovi eletti è la sicurezza dei prodotti, in particolare quella dei prodotti alimentari, settore in cui il Parlamento Europeo esercita la codecisione. La sicurezza alimentare è priorità fondamentale per i cittadini, sancita definitivamente nel 2000 con il Libro Bianco della sicurezza alimentare, poi aggiornato, ma sempre base concreta della sicurezza alimentare. I futuri europarlamentari dovranno impegnarsi, favorendo: - l‘adozione di una legislazione alimentare comune a tutti gli Stati membri; - l‘incentivazione dell‘Autorità europea per la sicurezza alimentare, EFSA; - la creazione di reti ufficiali di controllo degli alimenti, con la loro verifica periodica ed il potenziamento del sistema di allarme rapido; - l‗introduzione del principio di rintracciabilità in tutte le fasi di produzione, trasformazione distribuzione; - l‘adozione di norme sulla sicurezza dei prodotti comune; - il ricorso a consulenze scientifiche qualificate ed indipendenti, per escludere o ammettere prodotti; 31


- l‘applicazione delle regole varate con il controllo delle procedure fissate; - il rafforzamento dell‘informazione ai consumatori sui potenziali rischi e sulle azioni intraprese per ridurli al minimo; - l‘assunzione di un‘impostazione globale integrata, che consideri tutti gli aspetti della catena di produzione alimentare.

Essi garantiranno così la sicurezza alimentare, alla base della qualità e della salute. Dovranno anche aumentare i fondi all‘EFSA, Alta Autorità Europea per la sicurezza alimentare, che si occupa di fornire pareri scientifici ed assistenza tecnica ai settori di sicurezza alimentare,costituendo una fonte d‘informazione per i cittadini sicura ed imparziale su produzione, lavorazione e commercializzazione di cibi e mangimi. I nuovi eurodeputati dovranno sempre attuare in campo di sicurezza alimentare il principio di precauzione, che prevede il dovere di assumere decisioni restrittive momentanee nei confronti di un prodotto alimentare , su cui sono stati scoperti effetti potenzialmente nocivi. I nuovi eurodeputati dovranno insistere e proporre delle politiche che impediscano la commercializzazione di prodotti pericolosi, aumentando i controlli in modo capillare. Dovranno porre molta attenzione alla tracciabilità dei prodotti alimentari, ossia alla capa-cità di rintracciare il percorso dei prodotti lungo tutta la catena di produzione, trasformazione e distribuzione dei prodotti alimentari. Sarebbe opportuno che velocizzassero il sistema di allarme rapido per alimenti e mangimi, il SARAM, cioè il sistema che, attraverso internet, avvisa i cittadini della nocività di un elemento messo in commercio. Inoltre i nuovi eurodeputati, in accordo con la commissione, dovranno subito fermare la commercializzazione e l‘utilizzo dei prodotti nocivi, anche l‘importazione nel caso in cui i prodotti giungano dal di fuori dell‘Unione Europea. Dovranno anche, con molta rigidità, sorvegliare sull‘uso delle etichette. I cittadini, da parte loro, devono capire l‘importanza delle etichette , leggerle sempre e porre attenzione prima di procedere ad un acquisto, poiché l‘etichetta tutela il cittadino. I nuovi eurodeputati devono assicurarsi che sull‘etichetta vi siano le informazioni essenziali riguardanti la composizione del prodotto, sul produttore, sui metodi di preparazione e di conservazione in magazzino, la denominazione di vendita, l‘elenco degli ingredienti e la loro quantità percentuale, la data di scadenza, l‘indicazione della presenza di prodotti che possono provocare allergie o intolleranze alimentari, il marchio di qualità se presente e la percentuale di ingredienti OGM,Organismi Geneticamente Modificati. Proprio sugli OGM i nuovi eurodeputati dovranno portare avanti una politica garantista e prudente, attendendo i numerosi studi dell‘EFSA sull‘argomento. Obiettivo dei prossimi eurodeputati sarà quello di garantire la sicurezza alimentare dei prodotti provenienti sia dai Paesi membri dell‘Unione Europea ed maggiormente su quelli provenienti dai Paesi esteri, soprattut32


to la Cina. Per concludere si può dire che hanno il compito di garantire la sicurezza di tutti i prodotti e dei servizi di consumo, in base alle disposizioni comunitarie. Sarà compito loro investire fondi per il controllo della marcatura CE sui prodotti industriali, togliendo dal mercato quelli che ne sono privi e punire i produttori e rivenditori colpevoli. I nuovi eurodeputati dovranno sottoscrivere politiche che: -

incoraggino la produzione di apparecchi elettrici ed elettronici, che facilitino il riciclaggio dei rifiuti da loro prodotti ed il reimpiego;

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adottino misure per la raccolta separata di questi rifiuti;

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predispongano sistemi di trattamento e recupero di questi rifiuti.

Così facendo garantiranno ai cittadini la sicurezza dei prodotti. Occorrerà che presteranno attenzione anche all‘acquisto on-line dei prodotti, puntando sull‘innovazione tecnologica mediante:

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la documentazione del venditore on-line;

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la ricevuta della conferma scritta del proprio ordine d‘acquisto;

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il diritto di recesso dell‘ordine entro il termine di dieci giorni lavorativi;

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la possibilità di rifiuto del pagamento dei beni non richiesti;

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il diritto a ricevere il prodotto entro trenta giorni dall‘ordinazione;

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la tutela della carta di credito. In questo caso però anche i cittadini devono usare prudenza nell‘acquisto di prodotti on-line.

Per ricapitolare il concetto è che la tutela della sicurezza dei prodotti, in particolare di quelli alimentari, deve essere alla base delle attività dei futuri eurodeputati. Uno dei temi, che dovranno essere trattati nella prossima campagna elettorale per le elezioni del Parlamento Europeo, è sicuramente l‘ambiente, con i tutti i problemi ad esso collegati, quali cambiamenti climatici e innalzamento della temperatura. Il problema dell‘ambiente sarà poi centrale nelle discussioni europarlamentari, perché proprio in questo ambito è presente la procedura di codecisione del Parlamento Europeo. La protezione dell‘ambiente sarà uno dei temi fondamentali della discussione politica, influenzando fortemente la qualità della vita. Merito degli eurodeputati eletti finora è stato quello di sensibilizzare i cittadini sull‘importanza della protezione dell‘ambiente, fatto, che dovrà essere trattato anche dai futuri eurodeputati. In ambito ambientale gli euro33


deputati dovrebbero farsi portavoce della lotta contro i cambiamenti climatici. I comportamenti dell‘uomo hanno sempre avuto un peso rilevante sul clima, specialmente con l‘avvento dell‘epoca dell‘industrializzazione, basata sull‘utilizzo di quantità elevate di petrolio, benzina e carbone, con effetti e rischi di mutamenti assai considerevoli, come peraltro dimostrato dai recenti disastri ambientali. Il cambiamento climatico è ormai recepito da tutti come un problema moderno e globale da risolvere in fretta e con urgenza. Di questo fatto ne ha preso coscienza anche la Russia, i cui Membri della DUMA e rappresentanti del governo si sono incontrati con la commissione temporanea del Parlamento Europeo contro il cambiamento climatico, denominata CLIM, istituita nel maggio 2007, composta da sessanta deputati e da un presidente , l‘italiano Guido Sacconi del PSE. Esistono tre tipi di commissioni e precisamente:

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le commissioni permanenti;

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le sottocommissioni;

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le commissioni temporanee.

Tutti i tipi di commissioni parlamentari sono composte da un minimo di ventotto ad un massimo di ottantasei deputati, rappresentanti la composizione politica del Parlamento Europeo. Le commissioni hanno lo scopo di preparare il lavoro del Parlamento Europeo in aula, con elaborazioni e modifiche di leggi, che saranno successivamente votate dall‘Assise di Strasburgo. Le commissioni parlamentari rimangono incarica per tutti i cinque anni, deliberando però sempre solo su temi specifici. Mentre le sottocommissioni e le commissioni temporanee vengono nominate in caso di problemi specifici, quali quello climatico. E‘ proprio quest‘ultima la tipologia della commissione CLIM, che possiede la specifica funzione di formulare proposte sulla futa politica dell‘Unione Europea in materia di cambiamento climatico, di coordinare la posizione del Parlamento Europeo 34


nell‘ambito dei negoziati internazionali dopo Kyoto e di proporre delle azioni adeguate in materia, tenendo conto dell‘impatto finanziario. I futuri eurodeputati, in particolare quelli eletti nella commissione CLIM dovranno portare avanti un lavoro di negoziato con altri Paesi, in particolare Cina, Brasile, India, Russia, Giappone e Stati Uniti, per convincerli a diminuire l‘inquinamento atmosferico, e cercare di pianificare una maggior diminuzione dell‘emissione dei gas dell‘effetto serra. Inoltre dovranno accelerare la creazione di un fondo europeo per il clima. Nei confronti dei cittadini dovranno cercare di attivare una campagna d‘informazione più mirata al fine di incoraggiarli a ridurre le loro emissioni per poter avere anche un risparmio economico. I cittadini, da parte loro, dovranno dimostrare la massima cura e tutela delle risorse disponibili, mediante un uso consapevole e responsabile delle stesse, per poter giungere ad un cambiamento dei comportamenti individuali e collettivi. Nello specifico i cittadini dovrebbero: -

assicurare che i sistemi naturali conservino il loro equilibrio;

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ridurre il rischio di inondazioni, tutelando il patrimonio dei boschi e foreste utilizzando correttamente i terreni agricoli, per non correre il rischio di perdere questo importante patrimonio;

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rispettare i mari ed i fimi, evitandone l‘eccessivo sfruttamento, il danneggiamento e l‘inquinamento con petrolio e sostanze chimiche;

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vigilare sulla salvaguardia dei boschi e delle foreste.

(PROF. pensa di aggiungere qualcosa?) In ambito di politica estera questi eurodeputati dovranno far capire la globalità del problema climatico, che, influenzando molti sistemi fisici e biologici in tutto il pianeta con conseguenza mondiali disastrose, come la diminuzione della possibilità di eccesso alle risorse idriche,al cibo, l‘aumento della carestia, degli eventi meteorologici estremi con conseguente aumento delle malattie infettive e l‘estinzione di numerose specie animali. Gli eurodeputati dovranno così impegnarsi per permettere una transizione rapida da un‘economia mondiale ad alta emissione di carbonio ad una a bassa. In questo tentativo di cambiamento, l‘Unione Europea sarà probabilmente aiutata da due fronti: Stati Uniti e Russia. L‘eurodeputato del PSE, Dorette Corbey, è fermamente convinta della futura politica ambientale che adotterà il neoeletto Presidente americano Barack Obama , di cui dice: ―Obama è stato molto chiaro durante la sua campagna elettorale sul fatto che abbiamo bisogno di una politica energetica e che i problemi, legati al cambiamento climatico necessitano di tutta la nostra attenzione‖. Sempre l‘eurodeputato Corbey assicura anche per la Russia un pieno impegno in ambito ambientale, dicendo : ―Hanno sempre detto che il cambiamento climatico non li coinvolgerà e che qualche grado in più in Siberia sarebbe stato il benvenuto. Ora riconoscono realmente il proble35


ma.‖ I prossimi eurodeputati dovranno perciò impegnarsi per convincere la Cina, Il Brasile e l‘India che il riscaldamento climatico è un problema globale e che bisogna fare qualcosa subito, prima che sia troppo tardi. Per quanto concerne i negoziati internazionali è stata fondamentale la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico iniziata il primo dicembre 2008 a Poznan in Polonia. A questa Conferenza hanno partecipato le delegazioni di centottantanove Paesi, tra cui quella dell‘Unione Europea, per cercare di trovare un accordo sul protocollo internazionale, successivo a quello di Kyoto. Nella Conferenza sono stati trovati degli accordi sulle fonti di energia rinnovabile, sulle emissioni di anidride carbonica e sulla qualità dei carburanti. Sarà però alla Conferenza di Copenaghen del dicembre 2009 che verrà stipulato l‘accordo definitivo. Perciò dovere dei nuovi eurodeputati sarà quello di formare delle delegazioni esperte e ferrate, con la possibilità di presentare proposte lungimiranti in ambiente climatico, ricordando che, come ha detto Karl – Heinz Florenz del PPE-DE ―la lotta contro il cambiamento climatico è e resterà la priorità dell‘Unione Europea, anche in questo momento economicamente difficile‖. A favore di un‘‘alleanza globale contro il cambiamento climatico, investendo nelle tecnologie verdi, per prevenire future recessioni, è stato l‘eurodeputato svedese del PPE-DE, Andres Wijkman, che dice: ―Si riconoscono gli effetti nefandi del cambiamento climatico sui Paesi in via di sviluppo, in particolare su quelli con redditi molto bassi‖. Andres Wijkman prevede così catastrofi climatiche con perturbazioni violente, inondazioni, difficoltà in agricoltura, innalzamento del livello dei mari. L‘eurodeputato critica soprattutto l‘esiguità dei fondi messi a disposizione dell‘Unione Europea e la pessima condizione delle iniziative Wijkman ha così tracciato ed indicato una via da percorrere ai futuri eurodeputati, che dovranno impegnarsi per ricercare fondi per l‘ambiente e per meglio coordinare le iniziative dei vari Stati. In ambito di cambiamento climatico Parlamento Europeo ha deciso di diminuire le sue emissioni del 30% entro l‘anno 2020, riducendo i bisogni quotidiani di energia, aumentando l‘efficienza energetica e ricorrendo ad energie rinnovabili. Il Parlamento Europeo, che, essendo dislocato in tre luoghi diversi per non concentrare in un unico Stato il potere ha pertanto bisogno di utilizzare molte energie producendo elevate emissioni di gas serra, ha adottato l‘uso di pannelli solari, di termo energia del suolo e di riscaldamento a biomassa, dotandosi di un sistema da 145.000 litri per l‘acqua piovana da riutilizzare, di rilevatori di presenza negli uffici per la luce, il riscaldamento e la ventilazione e di macchine ibride. L‘eurodeputato Gerard Onesta ha dichiarato: ―La situazione odierna non è delle migliori, purtroppo più viaggi e più consumi. Siamo solo all‘inizio della rivoluzione verde, ma presto saremo un esempio da imitare‖ Proprio i cittadini dovranno imitare queste nuove tecnologie nelle loro case, per poter sempre di più risparmiare energia. Sempre nel contesto dell‘ambiente un altro tema che dovrà essere trattato nei dibattiti politici è sicuramente la conservazione delle risorse naturali, con uno sviluppo sosteni36


bile. I nuovi eurodeputati dovranno così confrontarsi con una sfida difficile da vincere, poiché contemporanea- mente dovranno assicurare: -

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un equilibrio tra protezione dell‘ambiente, progresso economico e sviluppo sociale; migliorare le qualità della vita; proteggere l‘ambiente in modo tale da salvaguardare i diritti e le speranze di progresso delle generazioni future.

I futuri eurodeputati dovranno inoltre farsi da portavoce di un‘informazione chiara e affidabile, facendo capire ai cittadini che l‘ambiente è un bene comune, accessibile a tutti e perciò facilmente deteriorabile qualora non si eserciti una cura capillare e diffusa. Da parte loro i cittadini dovranno impegnarsi di più nelle loro scelte di consumo, sia in veste di singoli cittadini, sia in qualità di aziende o enti. I nuovi eletti dovranno altresì favorire dei progetti per la conservazione e l‘uso responsabile e oculato delle risorse rinnovabili del pianeta, quali acqua, aria, legname e patrimonio ittico, che sono in rapido esaurimento, ed ancora di più delle risorse non rinnovabili, quali metalli e minerali. Inoltre in molti casi questi ultimi due materiali sono fortemente inquinanti, come ha detto l‘eurodeputato dell‘ALDE, Vittorio Prodi: ―Potrebbe essere nell‘interesse comune di passare gradualmente dal combustibile fossile alle fonti di energia rinnovabili.‖ I nuovi eurodeputati dovranno anche favorire i progetti sul riciclo dei rifiuti, mediante una più adeguata informazione ai consumatori, uno stimolo alla ricerca tecnologica, l‘imposizione fiscale sul consumo di risorse naturali e degli sgravi fiscali sull‘utilizzo di energia pulita e rinnovabile. I cittadini dovranno riciclare sempre di più per scongiurare che si verifichino ancora situazioni come quella denunciata a Napoli. Nello sviluppo sostenibile i quattro aspetti maggiori sono: -

la gestione urbana;

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i trasporti urbani;

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l‘edilizia;

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la progettazione urbana.

I nuovi eurodeputati, a riguardo di tutti e quattro gli aspetti dovranno integrare le questioni dell‘ambiente urbano nei vari livelli amministrativi, definire degli indicatori comuni europei per il monitoraggio dello stato ambientale nelle città. Lo sforzo effettuato, in ambito di sviluppo sostenibile, dalle migliori città andrebbe premiato e divulgato. Analizzando il primo aspetto della gestione urbana i nuovi eurodeputati dovranno farsi 37


promotori per la creazione di un piano di gestione ambientale per ogni città, in cui l‘insieme degli edifici, delle infrastrutture, dei trasporti, dell‘energia, dei rifiuti, possa assicurare un idoneo impatto ambientale. Dovranno altresì valutare con rigore e lungimiranza soprattutto punti quali: -

la qualità dell‘aria;

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la percentuale di rumori;

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il livello di cooperazione fra le varie città;

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la continuità della linea politica coi primi precedenti.

Analizzando il secondo aspetto dei trasporti urbani, i nuovi eletti dovranno favorire la creazione di piani a breve, medio e lungo termine di trasporti urbani sostenibili, che incentrino l‘acquisto di veicoli meno inquinanti e a minor consumo energetico, magari con carburanti alternativi. Prendendo in esame il terzo aspetto dell‘edilizia i nuovi eurodeputati dovranno proporre piani per un‘edilizia sostenibile e a basso consumo di energia e inquinamento, poiché per la costruzione di edifici si producono elevate quantità di rifiuti e si spende troppa energia. Per quanto concerne il quarto ed ultimo aspetto, i nuovi eurodeputati dovranno favorire piani che prevedano il recupero di terreni industriali dismessi e di immobili vuoti, il contenimento del fenomeno di proliferazione urbana a vantaggio della concentrazione urbana, la salvaguardia dell‘ambiente preesistente e la pianificazione avveduta dell‘uso dei terreni. Con la convenzione Aarhus, firmata nel 1998 ed approvata il 17 febbraio 2005, è stato previsto di: -

assicurare l‘accesso al pubblico alle informazioni sull‘ambiente, di cui dispongono le autorità europee;

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favorire la partecipazione dei cittadini alle attività decisionali sull‘ambiente;

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estendere le condizioni per l‘accesso alla giustizia in materia ambientale.

Questa convenzione ha conferito perciò ai cittadini numerosi diritti, ma anche doveri attinenti all‘ambiente. Tra i diritti vi sono:la possibilità di informazione sulle varie tematiche ambientali e di venire a conoscenza dell‘iter delle leggi sull‘ambiente. Tra i doveri vi è quello di rivolgersi alla giustizia in caso di infrazione delle disposizioni legislative ambientali nazionali, che dovrebbero essere europeizzate dai futuri eurodeputati. Proprio qui i cittadini dovrebbero avere il coraggio di intentare atti giudiziari contro chi danneggia l‘ambiente, poiché questo influisce particolarmente sulla salute, ossia sullo stato di benessere fisico, mentale e sociale. Infatti l‘inquinamento ambientale è 38


all‘origine di alcuni gravi danni alla salute dell‘uomo, dall‘allergia all‘infertilità, dal cancro alla morte prematura, dall‘asma ai disturbi del rumore quali stress, disturbi del sonno e malattie cardiovascolari. I futuri eurodeputati avranno l‘incombenza di legiferare in materia di prevenzione dei rischi e precisamente: -

incoraggiare la ricerca di un sistema sempre più affidabile per l‘uso di sostanze chimiche, senza però rinunciare all‘uso;

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rafforzare le norme vigenti sulla tutela della salute e sull‘uso delle risorse idriche, secondo criteri di sostenibilità;

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sensibilizzare le autorità pubbliche nazionali.

Altro argomento che dovrebbe essere preso in considerazione nella prossima discussione politica è la tutela della biodiversità. Occorrerebbe che venisse valorizzata come patrimonio, non solo europeo, bensì mondiale. Ultimo argomento inerente l‘ambiente, non per questo di minor importanza, che andrebbe valutato, discusso ed approfondito è l‘innovazione tecnologica con la ricerca. I nuovi eurodeputati dovranno presentare leggi che accelerino la ricerca di tecnologie verdi per il nostro futuro. Una tematica al quale il nuovo Parlamento Europeo dovrà porre particolare attenzione è quella dei trasporti e delle infrastrutture, poiché in questo caso lo stesso esercita la procedura di codecisone. Sarà obbligo dei nuovi eurodeputati cercare di ottimizzare i trasporti in Europa ed i collegamenti in tutto il mondo, offrendo ai cittadini servizi rapidi ed affidabili, in concorrenza con quelli degli altri Stati mondiali. I nuovi eurodeputati dovranno anche migliorare la sicurezza dei trasporti con norme severe, che però no vadano ad intaccare la possibilità dei cittadini di spostarsi per lavoro e di viaggiare in un‘economia sempre più globale, in cui i trasporti sono servizio essenziale per la popolazione. Accanto ad una politica di miglioramento dei trasporti, i nuovi eurodeputati dovranno portare avanti una politica di ammodernamento, di rinnovamento e di nuova edificazione delle infrastrutture, poiché è necessario arrivare a garantire una buona funzionalità. I nuovi eurodeputati dovranno così prevedere l‘aumento dei fondi per le infrastrutture, spendendo però meglio i fondi già stanziati, che troppo spesso si perdono in progetti fantasiosi e irrealizzabili. Dovranno scegliere le imprese più esperte a cui affidare gli appalti, con un occhio di riguardo anche alla risistemazione delle infrastrutture già esistenti. Ritengo giusto che, accanto ad una politica di costruzione di nuove infrastrutture, debba esserci anche un‘opera di ammodernamento, miglioramento e sistemazione di quelle infrastrutture già esistenti, che, in alcuni casi, sono state trascurate e abbandonate sino alla dismissione. Anche i cittadini dovranno svolgere la loro parte, accettando le decisioni adottate dal Parlamento Europeo, non dico in modo di farlo in 39


modo incondizionato, ma essendo anche propositivi con idee innovative ed alternative, in questa maniera l‘apporto dei cittadini avrà un valore in quanto possono essere espresse proposte più rispettose dell‘ambiente e accorte verso la realtà locale in ambito economico e sociale. L‘aiuto dei cittadini dovrà essere così costante e durevole. I nuovi eurodeputati dovranno tenere sempre in considerazione il parere e le proposte dei cittadini, cercando di mediare e raggiungere il meglio per il settore delle infrastrutture. Questi dovranno perciò puntare su trasporti e su infrastrutture efficienti ed all‘avanguardia, futuro dell‘Unione Europea per la comunicazione mondiale. Un altro tema che dovrà essere preso in considerazione nella prossima discussione politica è l‘educazione e le politiche giovanili, dove il Parlamento Europeo possiede l procedura di codecisione. I futuri eurodeputati dovranno dirottare verso l‘educazione il maggior numero di fondi, in quanto l‘educazione dei giovani è il futuro dell‘Europa. Dovrebbero essere anche sensibili agli scambi culturali con ulteriori progetti come ERASMUS, che consentano ai giovani di aprire i loro orizzonti al di fuori del loro Stato, che magari dovranno lasciare al termine degli studi per andare alla ricerca di un lavoro. I nuovi eurodeputati dovranno insistere sullo studio delle lingue straniere, in particolare dell‘Inglese, essenziale per viaggiare. Dovranno favorire anche politiche giovanili che aiutino i futuri adulti ad inserirsi nella società in modo attivo ed interessato, sapendo che sarà loro il compito di governare la futura società. Da parte loro i giovani dovranno impegnarsi di più su questi temi, troppo trascurati dall‘opinione pubblica. E‘ auspicabile inoltre che un buon numero dei nuovi eurodeputati non sia di età avanzata, in modo da poter rappresentare bene i giovani, i quali dovranno essere sempre più presenti, ricoprendo anche ruoli politici di controllo del potere. Un altro tema che dovrà essere trattato nella prossima campagna elettorale è la salute, settore in cui il Parlamento Europeo esercita la procedura di codecisone. I nuovi eurodeputati dovranno proporre politiche sanitarie sempre più efficienti, che vadano a coprire tutta la popolazione. La nuova sanità dovrà dimostrarsi superiore a quelle mondiali, poiché dopo aver allungato la vita bisogna anche migliorarla. Molti fondi dovranno essere investiti per la sanità pubblica, che non dovrà lasciare lunghe liste d‘attesa, soprattutto per le urgenze. I futuri Eurodeputati dovranno anche cercare di abbattere la corruzione che vi è in alcuni settori, e le spese superflue e sbagliate, per economizzare. Il risparmio però non deve essere realizzato sulla pelle dei pazienti. In conclusione i candidati al Parlamento Europeo dovranno presentare progetti concreti e non utopistici. Dovranno formulare concetti chiari, comprensibili ai cittadini. Altresì dovranno sempre sentirsi europei e non rappresentanti solo della propria nazione, in modo da conquistare la fiducia di tutti i cittadini. Sarebbe auspicabile che informassero il più possibile le popolazioni. 40


I cittadini, da parte loro possono e devono contribuire alla costruzione di un governo democratico dell‘Unione Europea, recandosi alle urne, per decidere così il futuro della nostra Europa. Sarà anche loro compito documentarsi, informarsi e porre attenzione, prima di esprimere la loro scelta. Proprio a tal riguardo allego un articolo, tratto dal sito ufficiale del Parlamento Europeo, che invita i cittadini ad andare a votare; spesso si ha la sensazione che le elezioni europee siano inutili al fine della vita quotidiana nostra e del nostro Paese, ma invece sono fondamentali per il futuro democratico dell‘Europa, che dovrà essere capace di affrontare i grandi problemi irrisolti sul suo territorio e nel mondo. La scelta di non votare preclude qualsiasi possibilità di criticare l‘operato altrui. Elezioni 2009: non lasciamo gli altri decidere al nostro posto! Istituzioni - 09-12-2008 - 12:23 Il Parlamento europeo è l’organo democratico per eccellenza. Eletto dai cittadini di tutti gli stati membri, esso ne rappresenta la volontà e gli interessi. Se oggi possiamo viaggiare liberamente in tutta Europa, usufruire di prodotti di qualità a prezzi inferiori e avere una migliore qualità di vita è grazie all’azione dei nostri rappresentanti a livello europeo i quali traducono in iniziative concrete quelle che sono le nostre preoccupazioni ed esigenze. Allora perché sempre meno cittadini europei si recano alle urne? Dal 1979, anno delle prime elezioni europee, il livello di partecipazione alle elezioni si è abbassato progressivamente. E’ passato dal 62% nel 1979, al 45,5% nel 2004, anno in cui si è registrato il livello più basso di affluenza con Polonia e Slovacchia campioni dell'astensionismo, nonostante la allora recente entrata nell'Unione. Mancanza d’informazione? Il 1° maggio 2004, dieci nuovi paesi, appartenenti in gran parte al blocco est, entrarono a far parte dell’Unione Europea. Un mese dopo si tenne la sesta elezione del Parlamento europeo con una chiamata alle urne di più di 300milioni di persone. Solo la metà esercitò il proprio diritto di voto. I livelli più bassi di affluenza alle urne si registrarono in Polonia (21%) e in Slovacchia (17%). Abbiamo chiesto per voi ai deputati di questi due paesi di spiegarci la loro ricetta per invertire questa tendenza in vista delle elezioni europee del giugno 2009. “Gli slovacchi all’epoca non erano davvero informati sulle problematiche europee. Ci fu un vero problema d’informazione da parte dei media nazionali”, ha sostenuto l’eurodeputata 41


slovacca Zita Pleštinská (PPE-DE). Sullo stesso tono le dichiarazioni del collega compatriota Mririslav Mikolášik (PPE-DE): “ Il problema era che il popolo slovacco non credeva che con soli quattordici deputati, il loro paese avesse delle concrete possibilità di far sentire la sua voce a livello europeo.” Mancanza di conoscenza delle istituzioni europee e del loro ruolo, poca comunicazione e informazione sui soggetti “europei”, campagna negativa condotta contro l’Unione europea questo il mix di elementi che, secondo il deputato polacco Mieczyslaw Jonowski (UEN), ha determinato il risultato così negativo di affluenza polacca alle urne. Come invertire la tendenza? L’eurodeputato Mikolášik si aspetta, in Slovacchia, un tasso di partecipazione importante alle elezioni del 2009: “ Il mio ruolo è di assicurare ai miei elettori il sostegno alle politiche come quella di coesione, che ha un ruolo primordiale per lo sviluppo del mio Paese”. Dove si vota di più e dove di meno? Il livello di partecipazione alle elezioni europee è più alto nei Paesi in cui il voto è obbligatorio (Belgio, Grecia, Lussemburgo). In Italia e a Malta, il tasso di partecipazione è tradizionalmente elevato. I livelli più bassi di affluenza alle urne si registrarono in Polonia (21%) e in Slovacchia (17%) nel 2004 L’Onorevole Janowski è molto ottimista sul livello di partecipazione elettorale nel suo Paese: si aspetta almeno il 40% di partecipanti. Per arrivare a tale risultato “il Parlamento dovrà essere più vicino ai suoi cittadini. (...) I cittadini dei nuovi stati membri hanno avuto modo di rendersi conto, in questi anni, degli effetti positivi che le politiche europee hanno avuto nei loro paesi e sicuramente parteciperanno alle prossime elezioni con molto più entusiasmo”. Anche per il deputato estone Toomas Savi (ALDE) i nuovi paesi si avvicineranno alle prossime elezioni in modo più maturo: “Dopo cinque anni nell’Unione europea, gli estoni hanno una maggiore comprensione dell’Europa e del funzionamento delle istituzioni”. Bart Staes (Verdi) rappresenta un paese controtendenza, il Belgio dove il voto è obbligatorio, il cui tasso di partecipazione alle scorse elezioni è stato del 91%. Il suo consiglio per incoraggiare i cittadini a votare è racchiuso in una sola parola: comunicare. “La democrazia consiste nel discutere continuamente, nel trovare dei compromessi in caso di conflitti e di disaccordo. Allora discutiamo sempre e ancora..”. Tra pochi mesi il verdetto finale, a voi la scelta di scegliere! 42


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CAMMINANDO LONTANO LE CAUSE DELLE MIGRAZIONI. Non è sempre facile lasciare il proprio Paese di nascita, la propria famiglia e le abitudini quotidiane, però, l‘impossibilità di trovare lavoro, il rischio per la propria incolumità sono alcuni dei motivi che inducono molte persone ad emigrare in quei Paesi dove i diritti umani possono e sono garantiti. Varie sono le cause che provocano il fenomeno dell‘immigrazione: Motivi familiari: i ricongiungimenti familiari sono una delle cause con maggior incidenza nell‘immigrazione proveniente dall‘America Centro Meridionale; Motivi di lavoro: la maggior parte degli stranieri che si trasferiscono in altri paesi per cercare maggiori possibilità di lavoro provengono dall‘Africa occidentale (Senegal 65%) e da quella settentrionale, principalmente Egitto e Tunisia; Motivi religiosi: in molti paesi lo stato non permette di praticare un culto religioso diverso da quello che viene considerato come religione di stato. Motivi culturali ed economiche: il livello di cultura dei Paesi del sud si è senza dubbio accresciuto ma questo non vuol dire che corrisponde ad un miglioramento delle possibilità di lavoro e per di più qualificato alle prestazioni che uno può dare, per questo motivo molti laureati e diplomati cercano lavoro nei paesi del nord fiduciosi soprattutto in un miglioramento delle proprie condizione di vita ed economiche. Per di più i mass-media intensificano il modello culturale ed economico dell‘occidente facendolo sembrare come l‘unico meritevole di stima di essere raggiunto e per essere ―riconosciuti ufficialmente‖ partecipi della realtà economica vincente. La maggior diffusione delle informazioni, il crescente turismo innescano una crescente aspettativa in quelle persone che sono in parte abbattuti dall‘assenza di alcuna possibilità di futuro nei propri paesi e che hanno in 43


mente l‘immagine di quei paesi industrializzati aperti a culture diverse, con disponibilità di posti di lavoro; Motivi politici e rifugiati: molti paesi del sud del mondo erano o si trovano retti da dittature o regimi militari che restano al potere mettendo in atto delle repressioni molto dure verso la popolazione facendola così emigrare. Una volta finita la guerra, inoltre, furono fatte scoppiare guerre fratricide con parvenze religiose o etniche, che alla fine si rivelarono lotte di potere e di supremazia economica "utili" fra l'altro ai paesi industrializzati per far "affari" con la vendita delle armi e per investire nella ricostruzione. Tutto ciò provoca la partenza di migliaia di famiglie spaventate in cerca di un rifugio per salvare la propria vita. Per poter essere riconosciuti come rifugiati politici bisogna possedere il passaporto che supera, però, le possibilità finanziarie di questi sfollati. Lo status di rifugiato viene generalmente riconosciuto ai sensi della Convenzione di Ginevra (art.1) che lo applica a coloro che: "avendo ragione di temere di essere perseguitati per la propria razza, la propria religione, la propria nazionalità, la propria appartenenza ad un gruppo sociale, o per le proprie opinioni politiche, si trovano al di fuori dal Paese d'origine e non possono o non vogliono, per paura, chiedere protezione al proprio Paese; o a chi non avendo nessuna nazionalità e trovandosi fuori dal Paese di abituale residenza, in seguito a gravi avvenimenti, non può o non vuole, sempre per paura, ritornarci". Circa un decimo degli emigrati sono rifugiati che, per l‘85% , si dirigono nei paesi in via di sviluppo, mentre nei paesi ricchi sono di meno. Il continente con il maggior numero di rifugiati è l‘Asia, seguita dall‘Africa e dall‘Europa, in particolare dall‘Unione Europea. Questi dati influiscono sul fenomeno migratorio in paesi come Asia e Africa, che continuano ad accogliere una quantità maggiore di persone, rispetto alle risorse economiche e produttive che posseggono. Tutto questo provoca la naturale migrazione di chi è impossibilitato economicamente a sopravvivere. Esempi eclatanti sono i 2 milioni di Ruandesi in fuga nei paesi limitrofi a seguito delle lotte tribali tra Hutu e Tutsi avvenute tra il 1990 e il 1994. Per queste situazioni le organizzazioni internazionali creano dei centri di raccolta dove i rifugiati soffrono della perdita d‘identità, dovuta alla disgregazione del tessuto sociale in cui erano abituati a vivere. La perdita di una patria comporta anche la perdita dei diritti che quella patria garantiva. I profughi e i clandestini diventano, così degli apatridi; Un altro motivo che è conseguenza di emigrazioni sono i disastri naturali come tsunami, tornadi e terremoti. 44


LA STORIA DELLE MIGRAZIONI E LE PRINCIPALI LEGGI A RIGUARDO. La migrazione è il fenomeno più complesso e grandioso della nostra era, quello che produce e produrrà le trasformazioni più profonde e i mutamenti più radicali nei vecchi assetti del mondo. Bisogna ricordare che anche noi Europei siamo stati i protagonisti di questi fenomeni migratori, infatti, tra il 1821 e il 1924 gli Europei che emigranti oltreoceano sono stati circa 55 milioni e di questi quasi 34 negli Stati Uniti. Dal 1885, a conquistare il primato di questi spostamenti furono gli Italiani. Motivo di ciò erano le disagiate condizioni di vita nella quale si trovavano i contadini per esempio del Veneto e delle regioni meridionali che spingevano i nostri cittadini a emigrare in altri paesi. Negli ultimi decenni dell‘800 si registravano circa 80.000 partenze all‘anno, nel 1900 erano salite a circa 240.000 raggiungendo il punto di massima intorno al 1913 con 873.000 emigrati. Nel periodo delle due Guerre Mondiali tali flussi diminuirono radicalmente. Alla fine tra il 1876 e il 1925 abbandonarono l‘Italia più di 9 milioni di cittadini diretti principalmente verso gli Stati Uniti e i paesi dell‘America Latina. Quasi altrettanti lasciavano la penisola per raggiungere altri paesi europei. Nei primi anni del ‗900 gli Stati Uniti, l‘Argentina e l‘Australia vedevano nei nostri emigranti una risorsa, perciò sollecitavano le masse dei contadini e dei diseredati europei a raggiungere il loro paese. Erano accompagnati dal desiderio di far fortuna nell‘industria americana nascente o di colonizzare nuove terre. La migrazione avveniva via mare ed era tenuta sotto controllo dagli ufficiali di polizia. Non bisogna dimenticare oggi più che mai visti i grandi influssi provenienti dai neo entrati dell‘Unione Europea e dall‘Africa e del fatto che anche i nostri antenati furono oggetto di discriminazioni, ma che ora sono integrati perfettamente nella società americana perché sono riusciti ad abbattere le barriere dell‘odio. IL CAMBIAMENTO DI SCENARIO. Gli scenari mondiali dopo le guerre cambiarono: ci furono avvenimenti economici e politici che fecero si che il flusso si invertisse: La decolonizzazione: con essa sono nati nuovi stati e i confini di quelli già nati in precedenza si modificarono cosicché molte popolazioni vennero cacciate e obbligate ad abbandonare le proprie terre; Il collasso dell‘Unione Sovietica e la disarticolazione della Jugoslavia: questi due fatti hanno ―provocato‖ una messa in moto dei popoli dell‘Est; Le cosiddette piccole Tigri asiatiche hanno visto una notevole crescita economica; Nel 2004 sono entrati a far parte dell‘Unione Europea altri nuovi 10 stati e 45


nel 2007 Bulgaria e Romania il che ha fatto si che la mobilità aumentasse. Come conseguenza del mutato contesto mondiale le migrazione avvenute dal 1950 a oggi sono molto diverse da quelle del secolo precedente: 1- sono cresciute le masse emigranti, 2- le migrazioni, ad eccezione di quelle transcontinentali, si svolgono spesso via terra, 3- non sono più gli Europei ad emigrare, ma sono i popoli di tutti i continenti che si spostano tra i vari paesi. Gli antichi flussi si sono perciò invertiti, e nel 1990 il flusso immigratorio nelle società occidentali aveva quasi raggiunto, in termini numerici, l‘emigrazione degli Europei nel secolo scorso che ammontavano a 55 milioni. Questo imponente afflusso di immigrati in Europa è stato possibile perché dal1950 al 1974 l‘Occidente ha attraversato un periodo di crescita economica. Per rimediare, perciò, alla mancanza di manodopera si mostrarono disponibili nei confronti dell‘immigrazione (oggi invece gli immigrati sono visti come ladri di lavoro). Queste migrazioni furono rese ancora più rapide dalla diffusione dei mezzi di trasporto. C‘è infine da notare che la localizzazione degli immigrati nello spazio europeo è una conseguenza della storia coloniale perché in genere gli emigranti si dirigono verso il paese che aveva un tempo colonizzato la loro terra d‘origine. Alla fine degli anni Ottanta il clima nei riguardi dell‘immigrazione è cambiato. Mutamenti economici hanno determinato in Europa alti tassi di disoccupazione che diffondendosi hanno determinato preoccupazioni per il futuro. Questa incertezza si è sommata ai disagi provocati in alcune aree urbane, dal flusso crescente di immigrati. Ad essi si sono mescolati individui in cerca di facili guadagni, disposti a tutto. La presenza di malviventi ha finito per mettere in cattiva luce tutti gli immigrati. Hanno perciò iniziato a manifestarsi paure e ha cominciato a mostrarsi lo spettro dell‘intolleranza. Le fobie sono infine sfociate in episodi di violenza e sono perfino ricomparsi casi di antisemitismo. Già a partire da quegli anni, in tutti quanti gli Stati dell‘Unione Europea, le politiche inerenti l‘immigrazione avevano preso le medesime direzioni. Da un lato, limitazioni restrittive a nuovi arrivi: organizzazione dei flussi, regole e procedure per l‘ingresso, incoraggiamento al rientro volontario nei paesi di origine. Dall‘altro, un orientamento più liberale rispetto alle leggi per la naturalizzazione degli immigrati di lunga permanenza o di seconda generazione. LE LEGGI A RIGUARDO DELL’IMMIGRAZIONE. Da subito i cittadini dei terzi stati furono esclusi dall‘integrazione comunitaria, perché soltanto un terzo dei lavoratori migranti dell‘epoca presenti nel territorio provenivano da quelle zone. Questa situazione, però, si modificò poichè gli extracomunitari cercarono sempre più di partecipare allo sviluppo sociale ed economico dell‘Europa. Per questo motivo priorità dell‘Unione divenne quella di una regolamentazione comune dell‘immigrazione. Il secondo Trattato sull'Unione Europea, firmato ad Amsterdam il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio 1999, contiene materie che determinano il 46


passaggio dal metodo intergovernativo all‘applicazione del diritto comunitario "sovranazionale". Ne consegue un rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo e della Corte europea di giustizia. Questo Trattato stabilisce una comunitarizzazione della politica migratoria e un limite di cinque anni affinché gli stati membri arrivino ad avere una politica comune in materia di immigrazione. Nel corso di questo periodo il Consiglio Europeo dovrebbe adottare misure in materia di condizione di soggiorno e di ingresso dei cittadini dei paesi terzi fissando requisiti e vincoli in base ai quali cittadini dei paesi terzi, legalmente residenti in uno stato membro, possano eventualmente spostare la residenza in un altro stato membro. Al testo del Trattato di Amsterdam è allegato un Protocollo sull'integrazione dell'acquis di Schengen nell'ambito dell'Unione Europea. Negli Accordi di Schengen sono presenti un gran numero di procedure normative e amministrative per l‘attraversamento delle frontiere. Il 15 luglio 1990 gli stati membri hanno firmato la Convenzione di Dublino. Esso permette di determinare la competenza per l'esame delle domande d'asilo presentate in uno degli stati membri dell'Unione. Agli inizi del 2000 si è prodotto un mutamento negli animi della popolazione e nelle politiche immigratorie dei governi europei. In Germania il governo ha modificato l‘articolo della costituzione che garantiva asilo a chiunque fosse ― perseguitato per motivi politici‖ e ha ridotto i benefici per chi chiedeva asilo. La Gran Bretagna ha ridotto la quota annuale di immigrati e i permessi di soggiorno per i rifugiati sono scesi.

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UNO SGUARDO SUL NOSTRO PAESE La legge n. 91 del 5 febbraio 1992 (che ha sostituito la vecchia legge n. 555 del 13 giugno 1912) prevede diverse modalità di acquisto della cittadinanza. Il riconoscimento della cittadinanza può avvenire: per nascita, riconoscimento o dichiarazione giudiziale della filiazione, adozione, discendenza, acquisto o riacquisto da parte del genitore, matrimonio, nascita e residenza in Italia, naturalizzazione. Alcuni ipotesi di acquisto della cittadinanza sono automatici come la nascita sul territorio italiano (ius soli o diritto di suolo), l‘avere genitori ignoti o apolidi, oppure genitori stranieri che non trasmettono la propria cittadinanza al figlio secondo le disposizioni della legge dello stato di appartenenza. Il riconoscimento della cittadinanza italiana può anche essere configurato come un diritto oltre a ciò può essere richiesto al giudice ordinario, sia direttamente sia dopo aver chiesto e non ottenuto il riconoscimento da parte dell'autorità amministrativa. Riguardo agli stranieri che non possono esercitare le libertà democratiche nel proprio paese ha diritto a chiedere asilo politico e non può essere espulso per motivi politici. La legge n. 40 del 6 marzo 1998 sull'immigrazione fissa indirizzi, obiettivi e regole, mentre affida al Governo e dell'amministrazione, tramite delegificazione, l'attuazione. Per l‘ingresso e il soggiorno per motivi di lavoro subordinato, stagionale, e di lavoro autonomo, sono state previste quote di ingresso che sono stabilite annualmente con uno o più decreti che tengano conto dei dati di occupazione. Verranno inoltre apposite liste cui potranno iscriversi i lavoratori stranieri che intendono fare ingresso in Italia per motivi di lavoro. Un ulteriore novità è quella di garantire allo straniero che vuole soggiornare in Italia la possibilità di lavoro. Contro l‘ingresso e il soggiorno sgradito sono previsti due istituti che sono l'espulsione e il respingimento. con il respingimento si intende impedire l'ingresso nel territorio dello stato allo straniero che si presenti alle frontiere senza i requisiti richiesti o che cerchi di introdursi clandestinamente. Per questo scopo vengono posti a carico del vettore che trasporti uno straniero alcuni obblighi e sanzioni; nel caso in cui lo straniero sia stato accettato come passeggero senza documenti legittimanti l'ingresso in Italia, il vettore è obbligato a riprenderlo in carico per ricondurlo nello stato di provenienza. Il 30 luglio 2002 è stata varata dal Parlamento italiano la Legge Bossi-Fini che è la modifica del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. La legge prende il nome dal leader di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, e da quello della Lega Nord, Umberto Bossi, primi firmatari della legge, che nel governo Berlusconi II ricoprivano, rispettivamente, le cariche di vicepresidente del Consiglio dei ministri e di ministro per le Riforme istituzionali e la Devoluzione, per regolamentare le politiche sull'immigrazione e sostituisce ed integra la precedente modifica, la c.d. Legge Turco-Napolitano, ovvero la legge 6 marzo 1998, n. 40, 48


confluita poi nel predetto Testo Unico. Cosa prevede la legge: Espulsioni con accompagnamento alla frontiera; Permesso di soggiorno legato ad un lavoro effettivo; Inasprimento delle pene per i trafficanti di esseri umani; Sanatoria per colf, assistenti ad anziani, malati ed handicappati, lavoratori con contratto di lavoro di almeno 1 anno; Uso delle navi della Marina Militare per contrastare il traffico di clandestini . Le sottocategorie principali sono le seguenti: Ingresso Il diniego del visto di ingresso non deve essere più motivato, salvo alcune eccezioni. La presentazione di false atte stazioni o documentazione falsa comporta l‘inammissibilità della domanda oltre responsabilità penali. Permesso di soggiorno Verrà concesso solo allo straniero che già possiede un contratto di lavoro e durerà due anni. Se l‘immigrato resta senza lavoro dovrà tornare in patria. Impronte digitali Agli immigrati che chiedono il permesso di soggiorno verranno rilevate le impronte digitali. Espulsioni Lo straniero senza permesso di soggiorno viene espulso per via amministrativa. Se privo di documenti viene portato in un centro di permanenza per sessanta giorni. Nel caso non venga identificato al clandestino viene intimato a lasciare il territorio entro tre giorni (prima erano quindici). Lo straniero espulso che rientra nel nostro paese senza permesso commette un reato. Sportello unico In ogni provincia verrà istituito presso la prefettura uno sportello unico per l‘immigrazione responsabile dell‘assunzione dei lavoratori stranieri. Colf e badanti Ciascuna famiglia potrà regolarizzare una sola colf, nessun limite per le badanti di persone handicappate, anziane e malate 49


Ricongiungimenti familiari Il cittadino extracomunitario, ovviamente in regola con i permessi, può chiedere di essere raggiunto dal coniuge, dal figlio minore o dai figli maggiorenni purché a carico e a condizione che non possano provvedere al proprio sostentamento. Ricongiungimenti sono previsti anche per i genitori degli extracomunitari a condizione che abbiano compiuto i 65 anni e se nessun altro figlio possa provvedere al loro sostentamento. Per quanto riguarda i minori non accompagnati da parenti ammessi per almeno tre anni ad un progetto di integrazione sociale e civile di un ente pubblico o privato avranno il permesso di soggiorno al compimento del diciottesimo anno. In questi anni l‘Unione Europea ha emanato nuove leggi nei confronti dello straniero la principale delle quali è il decreto-legge 23 maggio 2008 n. 92, convertito in legge 24 luglio 2008 n. 125 e facente parte del c.d. pacchetto sicurezza varato al fine di "contrastare fenomeni di illegalità diffusa collegati all’immigrazione illegale e alla criminalità organizzata". Le principali nei confronti degli stranieri sono: ―Art. 235: il giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero sia condannato alla reclusione per un tempo superiore ai due anni‖; ―Art. 312: Il giudice ordina l'espulsione dello straniero ovvero l'allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, oltre che nei casi espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero dell'Unione europea sia condannato ad una pena restrittiva della libertà personale per taluno dei delitti preveduti da questo titolo‖; In entrambi i casi il trasgressore dell'ordine di espulsione od allontanamento pronunciato dal giudice è punito con la reclusione da uno a quattro anni. ―Art. 495: chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l'identità, lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona e' punito con la reclusione da uno a sei anni. La reclusione non e' inferiore a due anni: 1)

se

si

tratta

di

dichiarazioni

in

atti

dello

stato

civile;

2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali e' resa all'autorità' giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta 50


sotto falso nome‖; ―Art. 495-ter: chiunque, al fine di impedire la propria o altrui identificazione, altera parti del proprio o dell'altrui corpo utili per consentire l'accertamento di identità o di altre qualità personali, e' punito con la reclusione da uno a sei anni. Il fatto e' aggravato se commesso nell'esercizio di una professione sanitaria‖.

LA CONCEZIONE DEL TERMINE STRANIERO ATTRAVERSO LA STORIA: EVOLUZIONE O INVOLUZIONE? Se i rapporti tra le varie persone fossero equilibrati oggi, la parola ―straniero‖, con i suoi vari sinonimi, quali migrante, immigrato, extra-comunitario, e le flessioni nazionali (rom, cinese) sarebbe una parola neutrale, ma per nostra sfortuna non lo è. Nelle società antiche lo straniero era il nemico principale della patria e poteva essere depredato e privato della vita. Vi era, infatti, il presupposto di un‘umanità divisa in comunità separate, naturalmente ostili l' una verso l' altra. Lo straniero, in quanto longa manus di potenze nemiche, era da considerare e perciò trattare come nemico. La società cristiana ha poi dato una mano a far perdere nitidezza all‘idea di cristianesimo e alla fine l‘ultima spinta è arrivata dall‘universalismo umanistico. Bisogna, però, tener sempre ben presente che il concetto di straniero, nella sua visione discriminatoria, non è mai sparito del tutto, anzi è sempre rimasto anche se nascosto, per affermare l‘esistenza di un nostro ordine e benessere. Un esempio è la cosiddetta "Carta di Verona", manifesto del fascismo di Salò che dichiarava: «Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri», utilizzata come inizio della confisca dei beni e dello sterminio delle vite. Quest‘unica parola porta con sé, senza volerlo terribili conseguenze. Però, dopo quelle tragedie xenofobe, la "Dichiarazione universale dei diritti dell' uomo" del 1948 si è messa in moto per rappresentare la condanna di quel modo di concepire l' umanità per settori sociali e territoriali, ostili tra di loro. «Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti»: l‘appartenere ad uno Stato o ad una società non deve divenire mezzo di discriminazione anzi motivo di gioia per il semplice fatto di non essere tutti uguali e possessori di una propria cultura e di una propria storia che viene e dovrebbe essere studiata e ammirata. Quel che conta è perciò l‘uguale appartenenza allo stesso genere umano e la fratellanza in diritti e dignità che non deve conoscere confini geografici, etnici e politici. Da allora, l' idea di una comunità mondiale dei diritti ha fatto strada. Le convenzioni e le dichiarazioni internazionali si sono moltiplicate e hanno riguardato ogni genere di diritti. La parola straniero non contiene oggi alcun significato discriminatorio o, almeno, è destinata a non averne più. Per essere del tutto tranquilli bisognerebbe guardare l‘altra 51


faccia della moneta, cioè quella di coloro che abbandonano il proprio paese perché le condizioni di vita sono ormai divenute insostenibili, per le guerre, per le condizioni ambientali e tanti altri motivi. Viene però a nascere un‘ulteriore divisione, questa volta non più tra straniero e non, ma tra straniero ―regolare‖ e ―irregolare‖. Il problema non sono i primi ma quest‘ultimi, perché la legge invece di tentare di ricondurre nella regola questa cosiddetta irregolarità, l‘amplifica. La prima cosa da mettere in evidenza è che il flusso migratorio non si potrà mai fermare con le cosiddette quote annuali, permessi e carte di soggiorno, espulsione degli irregolari, per il semplice fatto che ormai tale corrente è iniziata e si autoalimenta. Questi mezzi servono solo allo Stato per fargli sembrare di fare qualcosa contro quelli che lui considera dei nemici invece di cercare di favorire tale afflusso che ha anche degli aspetti positivi, quali per l‘Italia l‘aumento della popolazione. Queste misure potevano si valere ma solo quando questo fenomeno era considerato d‘elitè. Queste persone vengono comunemente chiamati ―stranieri irregolari‖, bisogna però guardare in faccia alla realtà, perché sono divenuti la regola. Non ci sarebbe un mercato nero del lavoro né lo sfruttamento, lavoratori irregolari, la facile possibilità di costringere persone, venute da noi con la prospettiva di una vita onesta, a trasformarsi in criminali, prostituti e prostitute, né di sfruttare i minori, per attività lecite e illecite; non ci sarebbe tutto questo, o tutto questo sarebbe meno facile, se non esistesse la figura dello straniero irregolare, indifeso esposto alla minaccia, e quindi al ricatto, di un "rimpatrio" obbligatorio, in una patria che non ha più. Per non essere "scoperto" nella sua posizione, l‘irregolare che subisce minacce, violenze, taglieggiamenti non si rivolgerà al giudice; se vittima di un incidente cercherà di dileguarsi, piuttosto che essere accompagnato in ospedale; se ammalato, preferirà i rischi della malattia al ricovero, nel timore di una segnalazione all' Autorità; se ha figli, preferirà nasconderne l‘esistenza e non inviarli a scuola; se resta incinta, preferirà abortire. Lo straniero irregolare dei nostri giorni soggiace totalmente al potere di chi è più forte di lui. I diritti valgono a difendere dalle prepotenze dei più forti, ma non ha la possibilità di farli valere. GLI EFFETTI DELLA GLOBALIZZAZIONE E IL COSMOPOLITISMO. Il processo di mondializzazione dell‘economia ha prodotto, da subito, effetti di vasta portata, alcuni dei quali certamente ammirevoli, come la riduzione o l‘abolizione delle barriere doganali, lo sviluppo di nuove tecnologie, la possibilità di comunicare in breve tempo (per mezzo di Internet) da un punto all‘altro della Terra, l‘intensificarsi degli scambi culturali fra i popoli. C‘è però da considerare un fattore negativo: il divario economico fra il Nord e il Sud del mondo; esso è, infatti, considerevolmente aumentato nell‘ultimo ventennio e la distribuzione delle risorse è diventata sempre più ingiusta. La liberalizzazione dei mercati ha reso più fragili e più dipendenti le economie di molti pae52


si del Terzo Mondo, provocando un incremento complessivo della loro povertà. Di conseguenza, in pochi decenni, un flusso migratorio di enorme portata ha spinto milioni d'individui a spostarsi dai paesi più poveri verso le grandi metropoli occidentali, alla ricerca di pace, benessere e libertà. Bisogna considerare che l‘immigrato estero che viene dal sud del mondo o dall‘est europeo, dall‘Africa, dall‘America Latina o dal sud est asiatico è ben diverso dallo stereotipo proposto. Fino a tre anni fa giungeva irregolarmente almeno l‘80% dei cittadini stranieri (ora meno di 1/3), oggi invece il numero di ricongiungimenti familiari e le chiamate per lavoro superano il numero degli arrivi irregolari. Si tratta di giovani e adulti che nel proprio paese hanno casa e lavoro, vivono una condizione sociale culturale ed economica che potremmo definire di classe media. I disperati, i poveri non hanno risorse per emigrare e si fermano alle periferie delle città o delle capitali dei paesi di provenienza Oggi arrivano soprattutto operai qualificati, tecnici, lavoratori del commercio, giovani diplomati, contadini e piccoli proprietari di terra, insegnanti, impiegati, tecnici, studenti universitari o neolaureati. Nella nostra e poca lo straniero è divenuta una vera e propria ossessione. Percepito come un pericolo per la buona riuscita della coesione della comunità in cui viene accolto, lo straniero viene identificato come colui che porta con sé gli strumenti per far saltare in aria l‘identità del paese. Con l‘evoluzione della società si po53


trebbe pensare che lo straniero venga accettato più facilmente, ma non è così, si potrebbe dire che è tutto il contrario. Questa nostra paura che esiste dalla notte dei tempi potrebbe dileguarsi solo nel caso in cui noi accettassimo una volta per tutte che lo straniero non esiste, poiché lo siamo anche noi. La verità è che lo straniero è un semplice contadino che si sposta, ma noi lo vediamo come se stessimo indossando una mascherina, cioè, vediamo solo il suo lato negativo lo pensiamo come colui che ci viene a derubare dei nostri beni, del nostro lavoro, quando invece viene a svolgere quelle professioni che nessuno di noi vorrebbe mai fare. E‘ come se lo trattassimo come un capro espiatorio da utilizzare quando ci serve, quello a cui si da la colpa e a questo contribuiscono con i mass media. Il fatto è che essi si sanno accontentare, perché hanno vissuto per molto tempo nella povertà. Perciò la massiccia immigrazione ha conseguito l‘effetto di far insorgere atteggiamenti xenofobi in ampi settori delle popolazioni locali, che hanno riscoperto valori in parte superati: l‘identità etnica, l‘atavismo culturale, il particolarismo regionale. Questo rinnovato internazionalismo ha provocato, in taluni casi, immani tragedie (come le guerre interetniche dell‘ex-Jugoslavia) ed ha senza dubbio favorito la rinascita del fondamentalismo religioso e dell‘estremismo politico, che, in una società globalizzata, dovrebbero essere, al contrario, in declino. La paura si supera con la vicinanza, il dialogo, la conoscenza, lo scambio. Bisogna però mettere subito in evidenza che le leggi non aiutano poi così tanto perché nel momento in cui bisogna regolare quelle sull‘economia si fa riferimento ad una tradizione liberale, mentre, non appena si parla di immigrazione la tradizione liberale non offre grandi appigli. Ne consegue che in Europa come negli Stati Uniti il dibattito sull' immigrazione è per lo più dominato da voci illiberali, delle quali le più insistenti appartengono a politici che promettono di proteggere l'integrità della patria cultura dalla presunta degenerazione indotta dallo straniero. Secondo molti teorici del multiculturalismo bisogna che i nuovi arrivati mangano la prassi culturale che portano con sé benché alcune possano andare contro i principi liberali. Secondo Wolfe un modo per mantenersi fedeli all'apertura affrontando la spinosa questione dei confini nazionali è ammettere che il cosmopolitismo è una strada a doppio senso di marcia. Immanuel Kant ci insegna che le circostanze in cui ci troviamo vanno sempre valutate rispetto alle circostanze in cui avremmo potuto trovarci, se solo il caso l' avesse voluto. Secondo la visione del cosmopolitismo kantiano, poiché chi è nato in America a differenza di uno in Kenia ha maggiori ricchezze, il minimo che può fare un americano è accogliere un certo numero di immigrati dall' Africa. Ma abbracciare il cosmopolitismo significa anche che, una volta accettati, i nuovi membri sono tenuti ad aprirsi alla nuova società. I multiculturalisti sono restii a sottoscrivere questa parte del patto cosmopolita, ma i liberali devono necessariamente farlo. E‘ comprensibile che, vivendo in un paese straniero percepito a volte come ostile, gli immigrati scelgano di isolarsi. Ma l'intento di vivere una vita chiusa in una società aperta è destinato al fallimento e non è un atteggiamento da incoraggiare in una società liberale. Un esempio istruttivo di patto cosmopolita risale al 2006, quando l' ex ministro degli esteri britannico Jack Straw, sol54


levò la questione del nijab, il velo indossato da alcune musulmane a coprire anche il viso. Egli sosteneva che indossare il nijab equivale a decidere di isolarsi da tutti e con questo esempio cercava di illustrava cosa significhi essere aperti verso gli altri attendendosi un atteggiamento di apertura in risposta. Secondo Wolfe per i liberali il problema non è mai se i confini debbano essere completamente aperti o chiusi. Una società aperta a tutti non avrebbe diritti degni di essere tutelati, mentre una società chiusa a tutti non avrebbe diritti degni di essere emulati. Se si cerca un principio astratto da seguire in tema di immigrazione, il liberalismo non è in grado di fornirlo. Ma una società liberale consentirà l'ingresso impedendolo solo in determinati casi invece che impedirlo consentendolo solo in determinati casi. NUOVI ARRIVI DALLA ROMANIA A SEGUITO DELL’ESPANSIONE DELL’UNIONE EUROPEA. L‘ampliamento dell‘Unione Europea, che ha visto così l‘entrata il 1° gennaio 2007 di Romania ( Secondo il quotidiano Evenimentul Zilei, il 41% dei rom è costituito da braccianti, il 33,5% non ha qualifica, il 38,7% è analfabeta) e Bulgaria, ha determinato nuovi arrivi di giovani speranzosi di una migliore vita a tal punto che sembra ormai un paese rimasto senza braccia, orfano quasi di una generazione. Rivela l'Istituto nazionale di statistica 10% dei romeni, il 25% della popolazione attiva. Direzione soprattutto Italia (il 48%) e Spagna (18%), i paesi più vicini per lingua e cultura. C‘è gente che per inseguire il sogno di una vita all‘Occidentale ha venduto la propria casa e ha abbandonato il lavoro per poi ritrovarsi a vivere in baraccopoli lungo il Tevere. Secondo quanto ci dice Ettore Livini, la globalizzazione ha corso più veloce di questa grande migrazione di massa e intanto la Romania ha regalato quattro milioni di braccia a un Occidente affamato di capitale umano a basso costo e oggi è costretta a cercare in Asia gli uomini con cui far correre la sua economia. Per la maggior parte dei casi, quelli ad emigrare, sono i neolaureati accolti a braccia aperte dagli imprenditori tedeschi. Il Governo ha, perciò, cercato di trattenerli ad esempio aiutando al Nokia a costruire una fabbrica espropriando terreni e negoziando con i ventimila stagionali che raccoglievano fragole in quell‘area. Fermare, però, questo flusso è quasi impossibile benché le tentazioni siano tante e quelli che ci rimettono sono i bambini di cui sessantamila sono rimasti in patria senza genitori. In Italia questo afflusso non è sempre visto di buon occhio poiché si sente sempre parlare alla televisione e alla radio, di furti, omicidi e gli accusati sono ora i nuovi arrivati, cioè i rumeni. Questi fatti poi assumono significato sociale e politico nel dibattito pubblico sullo status dei rifugiati e dei residenti stranieri con conseguenti reazioni di risentimento da parte delle frange della popolazione. E‘ possibile pensare che la causa della delinquenza è la povertà, ma non solo, sono anche gli atteggiamenti ostili che la mag55


gior parte delle volte gli ospitanti hanno nei confronti degli ospitati. Bisogna però abituarci a questi nuovi arrivi sempre più frequenti, perché come ci dice Norman Manea, l‘emigrazione nella nostra modernità centrifuga e globale è un fatto quotidiano, ma non è solo un fenomeno negativo. La libera circolazione non significa soltanto incremento della criminalità e dei conflitti sociali in Occidente, come credono alcuni, ma anche una situazione di graduale convivenza reciprocamente benefica, che avrà lo stesso effetto che ebbe, dopo la guerra, l' inserimento dei Paesi sconfitti nello sforzo europeo comune, di democratizzazione e di prosperità.

LA FUGA DALL‘AFRICA. Nell‘articolo di Fabrizio Gatti vengono messe in evidenza molto bene le condizioni alle quali sono soliti essere sottoposti i gruppi di africani (e in generale tutti quelli che compiono questi viaggi) che decidono di compiere il difficile viaggio ad esempio dal Senegal dal Mali alla Libia lungo le piste del Tenere e del Sahara per arrivare in Occidente alla ricerca di migliori condizioni di vita. Questi, a volte addirittura in fuga dal loro Paese, dopo qualche migliaio di chilometri in pullman, camion o su minibus stracolmi, Si raccolgono ad Agadez, in Niger. Affrontano il Ténéré, il deserto dei deserti. Poi il Sahara. Un popolo in fuga: ogni mese quindicimila persone attraversano le dune e i grandi plateau in marcia verso Nord. Sono quasi tutti uomini, poche le donne, raramente un bambino. Da mettere subito in evidenza è che il traffico dei clandestini verso l‘Italia è il più grande affare di polizia, corpo militare e forze armate del Niger, poiché a ogni posto di controllo ogni immigrato deve sborsare una tangente. Militari e agenti nigerini chiedono 10 mila franchi, 15 euro e 40. Superare i 2040 chilometri tra Niamey e la Libia può costare in estorsioni tra i 60 mila e i 100 mila franchi: più del prezzo del viaggio sulla stessa distanza, 55 mila franchi. I dodici posti di controllo, dalla capitale al fortino di Madama, rendono all‘esercito e alla polizia nigerini tra il milione e mezzo e i due milioni di euro al mese. Fino a 20 milioni di euro all‘anno. Con queste cifre, da queste parti, si armano squadroni speciali, si comprano campagne elettorali, si organizzano colpi di Stato. I libici fanno poi il resto togliendoli ogni cosa che li è rimasto. Le condizioni in cui vengono portati sono disumane: per ogni camion viaggiano circa tra le 150 e le 200 a volte anche assieme alle capre e alla merce di contrabbando. Non sono pochi quelli che muoiono di sete o di fame e quelli che arrivano alla frontiera, può capitare a volte, che siano chiuse o per via di feste nazionali o perché l‘Italia protesta per i troppi clandestini. In questo capita che I militari armati di mitra facciano mettere gli stranieri in ginocchio con le mani sulla testa li tirino calci con gli scarponi in mezzo alla schiena e li frustino con i fili elettrici. 56


COS’HA FATTO L’EUROPA PER L’AFRICA E QUALE DOVREBBE ESSERE LA SOLUZIONE AL “PROBLEMA”. Nel 2006 i Paesi europei e africani avevano discusso di immigrazione a Rabat, in una conferenza rimasta unica. L‘Europa continuava a costruire attorno a sé un muro di ferro, mentre i tentativi di affrontare il problema alla radice hanno portato alla promessa di 18 miliardi di euro in aiuti economici. Vista, però, la grande differenza di ricchezze tra Europa e Africa è quasi impossibili fermare questo flusso migratorio che perdura tutto‘ora. La risposta più ovvia a questo problema sarebbe quella di legalizzare, cioè aprire le frontiere, poiché, mentre da una parte i capitali si muovono sempre più liberamente attraversando i confini nazionali, dall‘altra la forza lavoro è ancora vincolata da quote stabilite dai governi, peraltro assolutamente insufficienti. L‘immigrazione non è altro che una risposta alla domanda dell‘Unione Europea di maggior forza lavoro. Sono alcuni i vantaggi delle libera circolazione quali il fatto che toglie spazio vitale ai trafficanti di uomini, allevia le perdite di vite umane e le violazioni dei diritti che ne sono conseguenza diretta. Del resto il mantenimento della Fortezza Europa non è privo di costi. Un recente studio della International Organisation of Migration ha dimostrato come 5 paesi dell‘Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico hanno speso per il controllo delle frontiere due terzi di quanto abbiano ufficialmente investito per programmi di assistenza e sviluppo. Inoltre, con l‘apertura delle frontiere non sarebbe più necessario avere la nozione stessa di richiesta di asilo. In ogni caso non si possono ignorare i diritti dei rifugiati. E sarebbe una logica sbagliata anche quella di dismettere semplicemente il sistema dell‘asilo.

BIBLIOGRAFIA Lo straniero che bussa alle porte dell' Occidente Repubblica — 13 novembre 2007 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA GUSTAVO ZAGREBELSKY. Normativa europea e italiana in materia di immigrazione GIONDONATO CAGGIANO http://www.cestim.it/argomenti/31italia/rapportipapers/dossier_migrazioni/ parte_3/normativa.htm. Noi, ospiti di un' europa che ci vede con sospetto Repubblica — 13 novembre 2007 pagina 38 sezione: CULTURA (Traduzione di Elda Volterrani) - TAHAR BEN JELLOUN. 57


Immigrazione, la sfida della società aperta Repubblica — 31 luglio 2007 pagina 19 sezione: COMMENTI ALAN WOLFE. Fuga dalla Romania Repubblica — 11 novembre 2007 pagina 28 sezione: SPETTACOLI ETTORE LIVINI. La mia terra tra progresso e malcostume Repubblica — 11 novembre 2007 pagina 28 sezione: SPETTACOLI NORMAN MANEA. Fuga dall'Africa: in viaggio con i clandestini 23 dicembre 2003 esteri FABRIZIO GATTI.

Le cause dell‘immigrazione Il fenomeno migratorio http://www.cittadiniimmigrati.rai.it/RAInet/societa/Rpub/ raiRSoPubArticolo2/0,,id_obj=32921%5Esezione=etnequal% 5Esubsezione=5,00.html.

Le geografie della globalizzazione vol. 1 Complessità stati economie di Giulio Mezzetti, casa editrice: La nuova Italia Via Masaccio, 153 – Firenze, prima edizione:gennaio 2006.

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LUCA LUCA LUCA

NO EURO? EURO! INTRODUZIONE La traccia di questo concorso sembra un po‘ dispersiva. Invitando a parlare in generale dei problemi che gli eurodeputati dovranno affrontare, sembra spingere verso un fitto ed articolato saggio filosofico, supportato dai libri di Spinelli e le interviste agli europeisti. Ma ho cercato di fare qualcosa di meno teorico, per confrontarmi di più con la realtà. Non perché disdegni i lunghi trattati, anzi, ma per tentare una strada alternativa ed allettante. Mi sono chiesto cosa potessi fare, per questo scopo. E non è stato facile trovare un‘idea che mi soddisfacesse. Quando ho iniziato a scrivere questo concorso, il progetto prevedeva l‘analisi ed il confronto di alcuni partiti candidati all‘europarlamento. Ma da quale cominciare? Io sono un europeista, quindi sarebbe stato troppo semplice trovare un partito a favore dell‘UE e commentarne le scelte. Quindi mi sono informato ed ho trovato un partito che già dal nome dà una garanzia: No Euro. È un movimento politico che si sente nominare, di tanto in tanto, al telegiornale, ma di cui non sapevo praticamente nulla. E quindi ho iniziato ad entrare in contatto, grazie al sito, con questo partito. Visto che sono una persona che sa essere petulante, sono riuscito ad ottenere l‘e-mail di uno dei fondatori del movimento: il milanese Max Loda. Il quale è stato molto disponibile e, dopo le mie incessanti richieste, mi ha cortesemente concesso un‘intervista. E mi è sembrato perfetto. Fare un‘intervista, curare le domande, riscrivere le risposte in accordo con l‘intervistato, aggiustare il pezzo. Un lavoro che non avevo mai fatto, prima di ora. Così, ho provato a cimentarmi con quest‘impresa. E, davvero, devo ringraziare Loda perché, per quanto io sia stato molto critico nei confronti di alcune sue posizioni, si è dimostrato davvero gentile. Così, con vari botta e risposta via mail, un incontro e qualche telefonata è uscita l‘intervista che leggerete. Ho cercato di affrontare quanti più argomenti possibile, da quelli personali del candidato all‘economia, dall‘immigrazione alla Storia. Nell‘indice che seguirà potrete avere un‘idea della struttura del colloquio. Per farcire un po‘ di più il lavoro, ho ritenuto necessario inserire qualcosa di scritto da 59


me, in risposta alle dichiarazioni di Loda. Così, mi sono inventato un candidato fatiscente alle europee di Giugno 2009, Gian Giacomo Ponti, ed a lui ho messo in bocca ciò che avrei voluto dire io in materia. Così, dopo l‘intervista, si articolerà quella che vorrebbe essere una pars costruens dai toni ora più seri ora più giocosi. Alcuni paragoni potranno sembrare azzardati, come quello tra gli ABBA e l‘UE, ma non mi sembra del tutto fuori luogo, trattandosi comunque dello scritto di un diciassettenne! La struttura del saggio vorrebbe essere quanto più logica possibile. Nell‘affrontare i vari temi, ho cercato di partire da quello più importante e teorico, quello della cultura, per arrivare a parlare in maniera più pragmatica di economia e politica. Vogliate comunque confidare nella mia buona fede, e nella mia serietà anche dove sembrasse venire meno. Le intenzioni sono delle migliori, poi sta a voi giudicarne l‘esito! Ora vi lascio al lavoro vero e proprio, già non è breve, meglio non perdere tempo con inutili presentazioni. Buona lettura! INTERVISTA A MAX LODA, CANDIDATO ALL’EUROPARLAMENTO PER NO EURO Salve! Innanzitutto, grazie per avermi concesso questa breve intervista. Comincerò con una domanda che potrebbe sembrare scortese, ma è necessaria visto che lei non è Zapatero né Trichet. Chi è Max Loda e cos’è il partito No Euro? Dal 2000 al 2004 reduci di diversi partiti e cittadini non iscritti a nessun altro Partito hanno iniziato a interessarsi di temi legati all‘autonomismo e al federalismo. Abbiamo cercato delle soluzioni che potessero correggere le cose che non andavano allora e che non vanno oggi. L‘autonomia territoriale, la proprietà della moneta, l‘immigrazione, il nanismo politico internazionale. Dal 2004 siamo No Euro, e abbiamo continuato ad attingere iscritti dall‘area degli eretici e degli scettici, tant‘è che oggi i componenti di provenienza allopartitica sono una minoranza. L‘utilizzo massiccio di Internet ci ha aiutato molto, rispetto alla nostra assenza dalle TV e dai palcoscenici riservati alla casta. Negli anni abbiamo anche effettuato provocazioni politiche volte a far parlare in qualche modo di noi, compresa la cooptazione forzata di Beppe Grillo, che poi si è affrettato a dissociarsi da noi. Max Loda sono io, invece. Ed il sottoscritto combatte queste battaglie non solo dalla fondazione di No Euro e non solo dal primo tentativo nel 2000 (federazione dei partiti autonomisti e Partito Liberal popolare in Europa con Haider). Sono entrato nella Lega nel 1988 all‘età di 12 anni. Faccio politica attiva dal 1994 e sono uscito dalla Lega nel 2000. Sono stato candidato 4 volte alla Camera dei deputati (2001 2005 2006 2008) e questa è la seconda volta che mi candido al Parlamento Europeo. 60


Ok. Ora che ci conosciamo: iniziamo con una domanda facile. Di riscaldamento. Quali sono, secondo lei, i tre temi che dovrebbero essere più dibattuti nelle campagne per le Europee. politica di allargamento alla Federazione Russa, con attenzione alle formule che offrano fiducia e sicurezza al nostro vicino Orientale, possibilmente integrando risorse e capacità produttive dei due componenti. Alla luce del declino degli Stati Uniti d‘America è fondamentale che l‘Europa prenda velocemente le redini del mondo avanzato. L‘energia e l‘indipendenza dal petrolio, in un‘epoca dove sempre più dure sono le guerre per garantirsi l‘accesso a tali materie prime, i popoli Europei devono chiamarsi fuori da questa follia bellica e praticare l‘autarchia energetica attingendo a fonti rinnovabili e nucleare. L‘assetto istituzionale dell‘Europa. Il superamento dell‘Unione Europea con la costituzione di una Confederazione, il ripristino della proprietà della moneta comune e la cancellazione delle banche centrali, compresa la BCE. I popoli Europei devono avere una più equa visibilità e rappresentanza, e ciò si può realizzare sostituendo il parlamento Europeo con una Assemblea confederale composta da deputati dei diversi parlamenti locali. Le quote di rappresentanza non dovrebbero essere proporzionali al numero di abitanti. Molte agenzie che sono costosi doppioni di quelle nazionali andrebbero chiuse. La commissione Europea andrebbe sostituita da un governo Confederale eletto dall‘Assemblea. Domanda flash e banale: Europa sì, Europa no? No all‘Unione Europea del pensiero debole, del lobbismo, della burocrazia inutile degli interessi finanziari. Sì alla confederazione dei popoli Europei, identitaria, isolazionista ma forte in contesto mondiale, proposta come superpotenza dominante basata sulla storia e l‘etnia e non sull‘economia. Superpotenza… ma se a malapena ci reggiamo in piedi. Ma se abbandonassimo competizioni relativamente futili basate su l’orgoglio del dominante? Se ci decidessimo a fare una cooperazione Europea ai fini di una cooperazione mondiale? Una cooperazione mondiale può esistere solo come collaborazione tra entità simili alla Confederazione Europea, non come ―stato mondiale‖. Dicevo superpotenza perché col nuovo assetto attingerebbe a forze e territori che con la struttura attuale le sono preclusi. 61


Il tanto agognato federalismo che si vuole portare in Italia, pertanto, sarebbe efficace anche su larga scala, su scala Europea? Il federalismo è efficace su tutte le scale, e la sua applicazione su una livello non esclude la contemporanea applicazione su tutti gli altri. Dovremo avere ben divise le competenze e risorse per il quartiere, la città, il cantone, la regione, il gruppo di regioni di un popolo, il continente. L‘ideale sarebbe che tutti i livelli al di sopra della città siano confederazioni. Abbandonare finalmente i nazionalismi a favore di una cooperazione prima Europea e poi magari mondiale non è auspicabile? Perché mai la cooperazione dovrebbe essere incompatibile coi nazionalismi? Forse è ancora forte l‘idea di un nazionalismo aggressivo e ostile, dove qualcuno vanta superiorità verso i propri vicini ecc. ma un nazionalismo che si occupi della difesa di identità e della preservazione di specificità non solo è auspicabile, ma propedeutico proprio alla cooperazione. Si coopera tra pari e diversi, non si coopera né tra impari né tra identici. Quindi è favorevole alla costituzione degli Stati Uniti d'Europa? No! È Follia pura. Come ribadito più volte è Fattibile una Confederazione, come quella esistente tra i cantoni svizzeri, non un‘Unione, come quella che lega gli USA per esempio. È già un paio di volte che io propongo una federazione e lei rilancia con una confederazione. Perché? Prendiamo le definizioni di confederazione e federazione dal libro “Stato e Società”. Confederazione: “associazione grazie alla quale gli Stati membri dispongono la creazione di organismi centrali […] tuttavia non rinunciano alla loro sovranità. Questo significa che ogni decisione presa dagli organi confederali deve essere ratificata dalle autorità degli stati membri.” Federazione: “associazioni molto più solide delle confederazioni. Gli Stati membri rinunciano alla loro sovranità che delegano agli organismi unitari, i quali possono prendere decisioni vincolanti per tutti.” Stando così, forse è in linea teorica migliore la Confederazione perché non toglie poteri ecc ecc. ma visto che viviamo nel mondo reale, un mondo in cui vanno prese decisioni veloci forti ed efficaci, se aspettiamo di mettere insieme le opinioni di un numero di Stati superiore alle 3 unità, facciamo notte. Perdoni il linguaggio spiccio, ma è un’intervista informale, la mia. Ci sono dei correttivi. Se l‘assemblea Confederale è un insieme di delegati dai parla62


menti locali, le decisioni del deputato X equivalgono alle decisioni del popolo X. Quindi tutto si esaurisce in una unica riunione plenaria. Io sono convinto che, per avere un ruolo politico “serio” l’Unione Europea dovrebbe sviluppare un Ministero degli Esteri unico che rimpiazzi quelli degli stati membri. La trovo l’unica soluzione per dare risposte efficaci e tempestive in un mondo in cui, ormai, si è usciti dal duopolio delle grandi potenze della guerra fredda ed in cui gli interlocutori sono parecchi. Cose ne pensa? Un ministero della difesa unico può esistere solo in contesto Confederale. E solo se esiste un Governo e non una Commissione Europea. Devono continuare ad esserci i ministri della difesa dei popoli membri, senza potere di veto sul ministro Europeo, ma con obbligo di consultazione. L’esercito unico Europeo, invece? Non sarebbe una riduzione degli sprechi e non darebbe una maggiore credibilità politica a tutto l'organismo? L‘Europa deve potersi difendere: ben venga un esercito comune. Ma i contingenti dei singoli paesi devono sempre esistere, accorpati alla struttura unica. E ogni paese deve poter provvedere da sé all‘arruolamento. Non dovrebbero esistere doppioni locali di tali contingenti. Un governo centrale Europeo, nato su matrice elettiva e con pieni poteri decisionali è più efficiente rispetto ad un'azione non coordinata tra singoli paesi? Si che lo è. Resta da capire che non sia in conflitto coi singoli paesi. Deve essere eletto in qualche modo e non nominato. C'è una maturità culturale sufficiente per l'instaurarsi di un organismo sovranazionale con poteri concreti (non un’ “organizzazione mutilata” come l'UE di adesso, ma una confederazione come quella da lei agognata)? C‘è nella gente. Da sempre. Purtroppo non c‘è nella classe politica, fatta di incompetenti oppure di persone in conflitto di interessi. I nostri Europarlamentari rappresentano molto male questo desiderio oppure stanno rappresentando i desideri di altri. La debolezza e il discredito delle attuali Istituzioni dell‘Unione fanno il buon gioco alla BCE e alle lobby che ad essa fanno capo. Un organismo sovranazionale con poteri concreti si forma solo se costruito negli interessi dei popoli Europei e da persone credibili e disinteressate. Devo dire che al momento non è così 63


Ok. Ma la mia domanda era un’altra: finché i francesi si sentiranno francesi, i tedeschi tedeschi e così via, come si può avere un’UE? Io ho fatto volantinaggio per il Movimento Federalista Europeo l’anno scorso, mi sono reso conto del fatto che appena dicevo “federazione” la gente mi ascoltava con interesse ma se aggiungevo “Europea” tutti se ne andavano con un gretto “io sono italiano, che me ne frega dell’Europa”. La gente vuole l’Europa? Si sente Europea? Il sentimento di appartenenza più immediato è quello del proprio territorio e non può essere cancellato. Una Identità Continentale può solo innestarsi su ciò. Tutti sanno di essere Europei, ovvio, ma ci tengono ad essere quel che sono prima di tutto. A me sembra che il passo più lodevole per questa integrazione europea sia il progetto Erasmus. Come lo valuta, lei? Sei mesi di studio in università estera dovrebbero essere obbligatori nella carriera di ogni studente, ma ovviamente finanziati in modo totale dalle istituzioni. Oggi la mag64


gior parte delle spese è a carico dello studente e la borsa Erasmus non copre nemmeno un quarto dei costi di trasferta. Non posso non dirmi d’accordo. Però già com’è mi sembra apprezzabile. Sarà che non vedo una grande coesione tra i popoli europei… pertanto, citando la strafamosa frase di d’Azeglio “fatta l’Italia, dobbiamo fare gli italiani”, si può dire che si deve prima fare l’Europa e poi fare gli Europei? Esiste un’appartenenza unica Europea? Gli Europei esistono da migliaia di anni, e hanno tentato più volte di creare Istituzioni continentali incernierate maldestramente a quelle locali. Istituzioni sempre fallimentari (Dall‘impero Romano a quello di Carlo Magno, all‘impero napoleonico al‘Intesa e infine il II Reich e la Cee). Esistono anche i popoli Europei e le loro diversità incancellabili. Si fa l‘Europa solo esaltando le caratteristiche dei singoli popoli Europei. Inoltre è deleterio l‘ingresso di popoli che Europei non sono. Si viene a creare un gruppo che non può contare su nulla di comune e condiviso. Paesi come la Turchia e il Marocco non sono e non saranno mai Europei. Le linee guida per riconoscere l‘integrazione devono essere l‘appartenenza etnica, la lingua, la posizione geografica, la pertinenza storica e non certo l‘economia. L‘Ucraina o la Carelia sono più povere della Turchia, ma hanno più diritto ad essere considerate Europee. Mi perdoni, ma gli Europei fino a cinquant’anni fa si lanciavano le bombe uno sull’altro. I suoi esempi di Istituzioni Europee (Reich, Sacro Romano Impero, Napoleone) non sono organismi Europei ma tentativi di sottomissione di parte del continente attuati da uno o più Stati contro il resto dell’Europa. Quello di cui parlo io è un’organizzazione di cooperazione, non sottomissione. Perciò, se tanto mi dà tanto, non sarebbe legittimo un allargamento anche a paesi con matrice culturale differente (ma non più di tanto se si pensa ai lunghi periodi di dominazione araba in Spagna e meridione) i fini, perché no, di un progresso economico comune. Come è auspicabile un’inclusione della Russia, perché no alla Turchia? Solo per una questione religiosa? Si, io alludevo a tali sistemi politici per il semplice motivo che la cooperazione è una conquista recente, in epoche più primitive valeva il metodo ―imperiale‖. Ma il risultato geopolitico tentato e non riuscito era sempre il medesimo. L‘entità Continentale. In ogni caso proprio perché in passato anche ostili, i popoli europei non possono essere forzati a maggior ragione a diventare uno solo. Fugo ogni possibile soluzione differente da quella cooperativa nell‘epoca attuale. La Russia e tutti i popoli Slavi sono Europa da sempre. E vi è pure una valenza economica all‘integrazione delle Repubbliche della Federazione Russa. Energia, risorse, ter65


ritorio e un arsenale bellico deterrente a qualunque aggressione. Serve un lungo lavoro diplomatico per invogliare Russi e il loro entourage agli enormi vantaggi di una integrazione. È il famoso spazio vitale ad est che ci renderebbe la prima superpotenza mondiale. Perché difendere la razza? Non è anacronistico ed insensato porre della barrire tra i popoli, tanto più quando è appurato che geneticamente le differenze tra individui di razze diverse rappresentano lo zero virgola qualcosa percento rispetto a quelle di individui della stessa razza? Perché ci ostiniamo a gustare e ammirare le amate diversità tra centinaia di vini? Se la Vitis vinifera è una e le differenze genetiche tra le varietà sono davvero infime, è forse il lavoro del sommelier inutile? Dobbiamo rassegnarci a che esista solo il vino commerciale dei cartoni? Oppure, perché una mela golden imperatore deve essere considerata diversamente da una renetta? Il mondo è bello perché è vario e le razze pur vicine geneticamente, rappresentano un patrimonio evolutivo dell‘umanità, una banca di adattamenti differenziati. Un patrimonio che andrebbe perso per sempre se vi fosse una sola razza ne carne ne pesce. I microadattamenti evolutivi possono diventare in momenti di criticità delle discriminanti di sopravvivenza per l‘intera specie. Non devono scomparire. Sante parole. Ma nessuno prende a bastonate una renetta urlandole “renetta di merda”. Con le persone di colore accade. Viva le differenze, sì, ma che non sfocino in xenofobia. Il concetto stesso di razza non dovrebbe essere obsoleto e poco intelligente al fine di una stabilità internazionale ed una pace perpetua, in parole povere? Se non è obsoleta la biologia non è obsoleta la razza. La stabilità e la pace non dipendono certo dall‘esistenza delle razze, ma piuttosto dal fatto che le razze per qualche motivo trovino conflitto. Spesso poi le guerre non le fanno le razze ma i soldi, o le religioni ecc. Sarebbe una buona cosa se la finissimo di lasciare occasioni di conflitto, piuttosto che pretendere di cancellare fantomatici autori di conflitto. Ci vorrebbero delle leggi Europee contro il razzismo e le discriminazioni per sesso religione razza od orientamento? Solo relativamente all‘esecuzione di tali discriminazioni, non alla esposizione teorica. Impedire a un negro di entrare in un albergo deve essere vietato, dire che i negri non piacciono deve essere considerato parte della libertà di parola. Altrimenti le leggi anti66


discriminazione finiscono paradossalmente per fare delle discriminazioni di pensiero e per giustificare manie di persecuzione e conseguente violenza. Facciamo finta che io non abbia letto la parola “negro” nella sua risposta, visto che mi sembra inappropriata è figlia a sua volta di un’insofferenza. Si cali nei panni di uno che come unica colpa ha quella di essere nero, le piacerebbe essere insultato ad ogni incrocio a favore della “libertà di parola”? Ok, le parole non uccidono. E qui ci sta un dibattito sul ruolo della parola (Roscellino, Occam, Boezio, Abelardo) che la mia professoressa di filosofia apprezzerebbe molto. Ma, per evitare di finire nel 2012, le dirò che, a mio avviso, nella parola “negro” è insito un giudizio discriminatorio. Sono due concetti incidibili: parola e giudizio. Se tale parola è sintomo di discriminazione, non vedo perché tollerarla. E non è tolleranza a targhe alterne, è rispetto di una convivenza civile mediante la punizione di chi mina ad essa ledendo ad una persona. Tanto più se per motivi futili di razzismo. Anche perché sennò, se tanto mi dà tanto, io posso andare in giro a darle del figlio di buona donna, le pare? Nella parole telefono vi è un giudizio discriminatorio in favore dei televisori? Tra l‘altro Negro non ha connotazione dispregiativa ma qualitativa, al contrario di Nero, che pone l‘accento sul colore della pelle. Io voglio conservare il mio diritto magari non esercitato, di dire che non mi piacciono i telefoni, i televisori o i negri. Davvero. Meglio lasciare stare il discorso, sennò mi innervosisco. Portiamolo su una strada non meno impervia: l’annosa questione dell’immigrazione. Quale atteggiamento dovrebbe avere l’Europa nei confronti di questo fenomeno? Come giudica la politica attuata fin’ora, invece? Prevedere solo l‘immigrazione reale, non la deportazione, chiamata oggi impropriamente immigrazione. Quando fette significative di popoli sono costrette a muoversi, con al seguito le loro famiglie e le loro radici, si parla di deportazione! Sarebbe a dire che deve essere consentito il trasferimento a tempo determinato di lavoratori necessari e indispensabili ai processi produttivi, transito e accesso di studenti, transito e accesso di diplomatici, transito e accesso di turisti. Gli immigrati a tempo determinato devono essere preselezionati presso le ambasciate e accedere qualificati per il lavoro richiesto. Gli immigrati devono maturare tutti i diritti economici relativi all‘impiego lavorativo e alle necessità connesse (previdenza, sanità ecc). Assolutamente fuori luogo la concessione di diritti politici e di diritti religiosi che vadano al di la della semplice professione privata di una fede. Non devono essere previsti ricongiungimenti famigliari di parenti non lavoratori e di minorenni, non devono essere concessi matrimoni combinati di alcun tipo 67


Non va tollerata in alcun modo la clandestinità. L‘espulsione coatta deve comprendere l‘inserimento in una lista nera come persona indesiderata, e opportuni sistemi di identificazione volti a prevenire tentativi di ulteriori ingressi. Ribadisco che la sacrosanta libertà religiosa contempla la libertà di praticare privatamente un culto, ma non obbliga noi ospiti a investire denaro, costruire luoghi di culto o strutture permanenti per persone che a fine contratto devono comunque tornare a casa. La cittadinanza inoltre va concessa secondo principi di Ius Sanguinis e non di anzianità di residenza. Sono quindi sterili e futili le discussioni circa i 5, i 10 anni di residenza o l‘aver contratto matrimonio ecc. Per far fronte a macroproblemi come l’immigrazione e la crisi economica che sta scuotendo il Mondo, “micropaesi” come l’Italia sarebbero più tutelati da una Federazione Europea fortemente radicata? Se si tratta di una federazione non sarà ben radicata, mentre una confederazione sarà meglio accetta anche dai cittadini italiani. Contro questa crisi economica, basata su un debito pubblico falsificato, sulla truffa della proprietà della moneta e sulla speculazione finanziaria l‘Italia può chiudere Bankitalia, l‘Europa potrebbe fare la medesima azione ai danni della BCE. In entrambi i casi il passo successivo sarebbe l‘emissione da parte della zecca di tutto il denaro elettronico oggi dichiarato sotto forma di moneta contante, da passare ai cittadini, e non alle banche, sotto forma di reddito di cittadinanza. Il ruolo della BCE, visto che la cita. Giudizio sulla moneta unica. Con le lire avremmo superato la crisi energetica di quest'estate o saremmo piombati in un'altra austerity? 68


Siamo già comunque nell‘austerity. La gente si priva di molti sogni per campare, eppure lavora duramente tutta la vita. Spesso per pagare degli interessi alle banche, su denaro prestato. Denaro che a ben vedere è già nostro e non del sistema bancario. Dare alla BCE il controllo sia del conio che del prestito della moneta è una truffa ai danni dei cittadini Europei. La moneta è nostra ed è folle che sull‘Euro paghiamo signoraggio e debito e che lo paghiamo ad una azienda privata, la BCE, che non ha nulla a che vedere con le istituzioni Europee. La banca di Trichet di Europeo ha solo il nome. L‘Euro di Europeo ha solo il nome. Quanto alla forza della lira, devo ammettere che negli ultimi decenni, come l‘Euro, era una moneta privatizzata ed espropriata al controllo statuale. Quindi sarebbe stata anche essa incapace di far fronte alla situazione. Infine segnalo che la crisi energetica di quest‘estate è stata frutto di speculazione su titoli petroliferi e non di fluttuazioni nel flusso di produzione. Vero. Ma con un barile di petrolio a 300.000 lire credo che l’economia sarebbe collassata. È un ragionamento poco raffinato, il mio, ma mi sembra che moneta debole in momenti di crisi porti al crollo. Durante l’austerity la gente doveva usare il mulo per andare in giro la domenica. Io vedo un sacco si SUV invece la domenica per la mia città. l'Euro non ci ha fatto un po' da paracadute contro la rande crisi?, come potrebbe uno stato singolo e relativamente di poco peso come l'Italia far fronte al crollo delle borse senza un forte organismo dietro quale l'UE? otrebbe solo se l‘economia vera fosse forte e non condizionata dalle borse. Oggi di fatto tutti hanno scelto di dare credito alle borse come degli indici di andamento dell‘economia, ma esse sono solo indici di andamento della finanza. La finanza senza l‘economia aziendale è gioco d‘azzardo. Inoltre indici come il PIL e il debito pubblico non sono veri misuratori di benessere di un popolo. Se leghiamo l‘economia reale alle borse prepariamoci al peggio. Sì, ok. Più o meno condivisibile. Ma la domanda era un’altra e continuerò a porgergliela finché non sarò soddisfatto. L’Europa e la sua moneta ci hanno protetti da una bancarotta energetica secondo me inevitabile con la Lira ed una politica economica quasi autarchica? No non ci hanno protetti, hanno semplicemente messo sotto il tappeto i problemi. Rimandandoli al futuro. Hanno consentito un‘economia più aperta verso l‘indebitamento collettivo. In effetti i debiti possono ritardare la bancarotta, se non si è a prescindere in grado di onorarli. 69


Il neoliberismo Tatcheriano può essere imputabile come causa della crisi economica attuale? Nella misura in cui il neoliberismo ha dato alle banche ed alle Istituzioni finanziarie un potere che non gli spettava. La crisi economica si supera con manovre sulla Moneta e su banche e borse, come quelle che John Kennedy aveva messo in cantiere per il dollaro.

Quale atteggiamento è più produttivo a livello d'economia e politica estera? Quello protezionista stile Colbert od un liberismo stile Adam Smith? (o una terza via, se preferisce) Se venisse realizzata la Grande Europa, con Federazione russa e annessi e connessi, tale entità sarebbe abbastanza grande da permettersi il totale isolazionismo e protezionismo. Tuttavia al momento attuale non c‘è autosufficienza e gli scambi sono necessari. Ma dovremmo imporre delle regole di merito su come la produzione avviene presso in nostri partner importatori. Per esempio obbligare le aziende Europee con mano d‘opera e fabbriche all‘estero ad allineare gli stipendi alle retribuzioni in Europa. Cioè la Fiat cinese non deve pagare come l‘operaio cinese di altre fabbriche ma come l‘operaio italiano. Anche per una questione di potere di acquisto della moneta ciò mi sembra un’utopia. Se un cinese ricevesse 11.600 yuan (circa 1.200€) al mese avrebbe una ricchezza nettamente maggiore in termini di potere d’acquisto a quella di un europeo. Con 1.200€ al mese un italiano ci campa a amala pena, un cinese sguazza nel lusso. Ma, indipendentemente da ciò, un libero mercato globale non abbassa i prezzi? Anche per una questione di concorrenza. E poi, le imprese europee hanno molto da guadagnare nei mercati asiatici. Esportando, intendo. Le case di moda italiane, per fare un esempio, stanno spostando il grosso del mercato su Hong Kong e Beijing. Un mercato globale sarebbe equo solo se il potere d‘acquisto fosse livellato ovunque. L‘esistenza di operai cinesi da 11600 yuan provocherebbe reazioni fra quelli che guadagnano 100 yuan e inizierebbero delle lotte sociali che porterebbero verso l‘alto gli stipendi di questi ultimi. E se a me andasse di strapagare i miei dipendenti cinesi perché me lo dovrebbero impedire? Viceversa i miei dipendenti italiani avrebbero ragione di incazzarsi se sapessero 70


dell‘esistenza di loro colleghi di azienda che si accontentano di 100 yuan. Ovviamente l‘alta moda italiana non al acquista l‘operaio cinese da 100 yuan. Quanto ha guadagnato l'Italia in termini economici e/o quanto ci ha perso con l'Europa di oggi? I fondi Europei per lo sviluppo sono stati usati molto più sapientemente in paesi come la Spagna e l'Irlanda che, difatti, iniziano a riavvicinarsi all’Italia nelle classifiche dei paesi industrializzati... come mai, secondo lei l'Italia non ha saputo sfruttarli? L‘Italia ha guadagnato soprattutto incredibilità internazionale. Purtroppo la nostra scellerata classe politica non ha mai saputo usare sapientemente tali fondi, soprattutto per incompetenza, lentezza nelle decisioni (dovuta sia a burocrazia che a tempi lunghi per passaggi di corruzione) e ignoranza. Va detto che i fondi Europei per lo sviluppo sono fondi italiani, nel senso che sono una colletta che tutti, Italia compresa alimentano, e non un regali degli altri all‘Italia. Non usandoli è come se avessimo regalato risorse nostre all‘Irlanda e alla Spagna. Ma, oltre a non aver sfruttato molto bene i fondi europei, c’è anche la questione delle sanzioni. Le multe Europee non rispettate mi ricordano una canzone del ventennio "rataplan delle camice nere" in cui si dice che "le sanzioni non ci fermeranno"... non è un parallelismo che fa paura? Direi di no. E direi che le sanzioni sono contrarissime allo spirito di cooperazione; popoli che collaborano pariteticamente a un progetto non si multano vicendevolmente per sollecitarsi. Beh, ma se ci sono delle regole comuni, chi trasgredisce è passibile di multa. Altrimenti, come si potrebbe controllare uno “Stato ribelle” che viola le leggi comunitarie? Non dovrebbero esserci Stati ribelli per definizione. Se ci sono essi non possono dire di far parte dell‘Organismo comune. E‘ evidente che sono al di fuori. Da parte di alcuni partiti politici c'è un tentativo di delegittimare l'UE; non è possibile che questa delegittimazione nasca dalla paura di perdere il potere ed il controllo nel proprio paese? E‘ possibile. Ma è anche possibile che la paura di perdita di controllo sia in realtà una prudenza contro il possibile controllo indebito da parte altrui. E comunque delegittimare l‘UE non significa essere anti-Europeisti, Nel nostro caso significa proporre un superamento, una migliore struttura, finalmente funzionante. 71


Sì, sì. Non parlavo del suo partito in particolare. Pensavo però al menefreghismo nei confronti delle sanzioni per Europa7, per esempio. E di natura giuridica. Ci sono interpretazioni che ritengono appunto non vincolanti determinati proclami. Sì, beh, avrei preferito se si fosse sbilanciato un po’ di più. Pazienza. Cambiamo discorso, quindi. Ho letto sul suo programma elettorale che “abbiamo la responsabilità della civiltà...” se tanto mi da tanto abbiamo anche la responsabilità della schiavitù, dello sterminio dei popoli autoctoni americani, della distruzione della società cinese con la guerra dell'oppio, del nazismo e di tutte le guerre mondiali. Una federazione Europea non sarebbe forse un vincolo che eviterebbe quantomeno guerre intestine e l'avvento di regimi? Non mi sento di accollarmi i peccati delle case reali e dei dittatori che abbiamo avuto. Quando parlo di civiltà alludo a quella espressa da i 500 milioni di abitanti dell‘attuale Unione Europea Cero ammetto che la storia medievale e moderna ha avuto gli Europei come attori negativi. Ma è un dato di fatto che oggi i popoli Europei sono quelli che possono vantare storia e civilizzazione più ―avanzate‖, almeno dal punto di vista del progresso tecnologico. Persino gli Usa con al loro breve storia di conquista selvaggia non possono competere con al nostra millenaria culla della civiltà tecnologica. La Federazione potrebbe essere, però, fioriera di un unico regime Europeo, che se benevolo sarà utile ai popoli Europei, se malevolo sarà dannoso per tutti. Una confederazione è invece incompatibile con l‘idea stessa di regime. Scusi ma il concetto di “avanzate” proprio non mi piace. Anzitutto mi sembra poco realistico: siamo un continente vecchio con un enorme segno meno nella bilancia commerciale vista la forte dipendenza da materie prime estere, le grandi rivoluzioni dell’high tech sono avvenute tra Giappone e USA, i nostri ricercatori scappano verso questi paesi perché qui fanno la fame. Ora, non per sputare nel piatto dove mangio, anche perché sono ben lungi dall’idolatrare l’America, ma mi sembra irrealistico erigerci a superiori. O, in ogni caso, è inutile. Sembra una gara tra ragazzotti scemi a chi sputa più lontano. Smettiamola di rivendicare una superiorità. È inutile. Cerchiamo di lavorare insieme. E questo è il mio piccolo sfogo. Per tornare alle domande: una federazione, finché basata su elezione democratica, mi sembra difficile da tramutare in dittatura. Più facile sarebbe farlo in uno Stato piccolo ed isolato, nel quale si controlla l’informazione… Ma se il suo piccolo stato è coordinato a tutti gli altri in qualche modo, non potrà affat72


to deviare dal modus operandi degli altri. A meno che contemporaneamente 40 o più dittatori prendano il potere nei singoli territori europei. Ipotesi statisticamente improbabile. Nei Cantoni Svizzeri sono esistite personalità politiche dominanti, con grande forza elettorale. Ma ne un cantone, ne tantomeno la Svizzera sono mai cadute sotto dittatura. È positivo decretare la fine del concetto stesso di Stato Nazionale, per mantenere una pace ed una stabilità politica di certo favorevole all'economia? Se si inserisce il concetto di popolo, che spesso non coincide con il cosiddetto Stato Nazionale. Abolirli per immaginare una nazione Europea è la strada sbagliata. Se invece si superano la Gran Bretagna, Italia, Spagna, Germania ecc, iniziando a parlare di Scozzesi, Baschi, Catalani, Bavaresi, Occitani ecc, ben venga. I tre passi "giusti" per la creazione di un’Europa, i tre passi "falsi"... (ossia azioni positive al fine di un'Europa come la vorrebbe ed azioni invece negative. Per fare un esempio di passo negativo io citerei il referendum in Irlanda, per esempio.). Integrazione politica con fissazione di regole costituzionali comuni già scritte in ogni costituzione locale. Deve essere la Costituzione Europea il solo elenco di norme già presenti in tutte le costituzioni locali ed esse deve uniformarsi ad esse non il contrario come si pretende ora. Creazione della Confederazione e dei tavoli di dialogo per integrazioni e successive annessioni Creazione di un Governo Confederale. I tre passi falsi peggiori (in realtà sono dozzine) sono la creazione dell‘Euro come moneta privata della BCE, al posto di una moneta dell‘Europa, l‘idea di imporre una Commissione Europea non eletta, l‘idea di imporre una Costituzione Europea non valutata e votata dai cittadini e non attinente alle Costituzioni esistenti. Ben venga quindi che qualcuno l‘abbia fatta votare e che il verdetto negativo di quel popolo abbia bloccato tutto. A meno che non si voglia valutare pari a 0 l‘influenza del popolo irlandese sulle decisioni comuni. Beh, ormai deve averlo capito, sono in disaccordo con lei quasi su tutto. Per me il niet irlandese era figlio di un’azione demagogica interna per cui alcune forze politiche, per avere un maggiore potere interno, hanno fatto il possibile per denigrare l’Europa, convincendo le masse ad un antiEuropeismo illogico. Per essere schietti, io sono stato in Irlanda qualche anno fa, ospite di una famiglia carinissima. La madre di famiglia riceveva denaro Europeo per lavorare meno di un tot di ore. Questo per lo sviluppo di un’area che, fino a poco tempo fa, era in depressione eco73


nomica. Solo con l’arrivo dei capitali Europei ed il boom dell’edilizia l’economia dell’isola si è ripresa. Un po’, come dire, ingrato da parte loro bloccare un processo comune a tutti gli altri paesi. Non che non debba avere peso, però sarebbe auspicabile una maggiore soglia di sopportazione e sacrificio. E, oltretutto, se pretendiamo che sia la Costituzione Europea ad adeguarsi a quelle degli stati membri nel 2100 saremo ancora qui a decidere se sia più “corretta” la legge spagnola o quella belga in materia di, che ne so, fecondazione assistita. No? Ma sa, è probabile che di demagogia se ne sprechi su entrambi i fronti. Per essere il più possibile lucidi io direi semplicemente che Gli Irlandesi non hanno voluto sacrificare alcuni patrimoni ideologici nemmeno a fronte di aiuti economici. A meno che non si voglia accettare il principio che i popoli possano essere impunemente comprati e corrotti. Hanno detto no perché a loro avviso era meglio no. Non importa se poi si siano fatti lusingare da un demagogo o abbiano ragionato lucidamente. Il loro no va rispettato. Ora è il momento delle domande lapidarie, ci avviciniamo alla conclusione! Domanda lapidaria numero 1: Il migliore ed il peggiore governo (statale) in Europa, oggi. Il migliore non ne fa ufficialmente parte, per il momento (la Svizzera). Il peggiore potrei dire che è quello Italiano, indipendentemente dal colore politico di turno Domanda lapidaria numero 2: L'uomo che più ha segnato la storia Europea. Se si parla di storia contemporanea: Adolf Hitler: Egli in un primo momento sembrava vicino a realizzare una forma di unità militare. Le sue scelte politiche sono state la causa della peggiore sconfitta dei popoli Europei, della rovina economica di interi popoli, dell‘occupazione straniera nell‘est Europa e del dominio USA su stati Europei divisi fra loro. Inoltre la lobby bancaria ha avuto carta bianca per la colonizzazione delle Istituzioni Se si parla di storia antica vale la Pena di ricordare Carlo Magno. Colui che cercò di far andare d‘accordo tutti dopo che da ogni confine cani e porci si contesero le spoglie dell‘Impero Romano. Ok. Io speravo un esempio positivo. Un uomo che ha influenzato positivamente l’Europa. Ammetto che leggere il nome di Hitler mi sorprende e mi fa un po’ rabbrividire. Ma non è questa la sede per parlare delle atrocità indiscutibili del nazismo. Riassettiamo il tiro: l’uomo (o donna)che più stima politicamente nel dopoguerra europeo. 74


Ce ne sono più di uno a dire il vero. Potrei citarle Helmuth Koll, Pim Fortuyn o Joerg Haider. Domanda lapidaria numero 3: Breve giudizio su Altiero Spinelli e sul suo movimento. Pensava che fosse solo l‘esistenza degli stati nazionali a provocare le guerre. E sbagliava. Infatti è l‘esistenza di regole condivise nelle interazioni tra i popoli (non gli attuali Stati) a garantire la giustizia e quindi la pace. Il conflitto c‘è ogni volta qualcuno pensa di essere stato fregato. Quindi dobbiamo impedire che accada dando larghe garanzie. Domanda lapidaria numero 4: Cosa ne pensa del progetto Europeo per l'ambiente e del niet del ministro Prestigiacomo? Non è un progetto Europeo, ma una scelta unilaterale di alcuni. Si dovrebbe valutare a maggioranza dando autonomia su alcuni aspetti a livello locale. Domanda lapidaria numero 5: Costituzione Europea: come la valuta e cose ne pensa del no francese? Espressione di democrazia. Se i Francesi non sono molto convinti significa che bisogna rivedere i contenuti di questa Costituzione, non demonizzare i francesi. Bene. Ed ora è il momento che più la riguarda in quanto candidato alle Europee di giugno 2009. Come funzionano oggi le elezioni Europee? È un sistema elettorale ben fatto o migliorabile? Come? Il sistema proporzionale senza sbarramenti è sempre ben fatto, perché garantisce la rappresentatività. L‘Italia si merita la medaglia nera sul sistema di presentazione delle liste. Occorrono ben 30.000 firme minime in ognuna delle 5 circoscrizioni, ovvero 150.000 firme da raccogliere in 6 mesi, e da certificare una per una nonché da autenticare. Ma solo per chi non ha un deputato eletto già in Parlamento Europeo. È un sistema mafioso che difende la casta degli attuali eletti. Si pensi che in Danimarca le firme necessarie sono solo 7. In Slovenia contano un numero minimo di iscritti a un partito. Se poi si passasse alla Confederazione non esisterebbero più elezioni Europee. Semplicemente i deputati più votati dentro i parlamenti locali scivolerebbero nell‘assemblea di livello superiore. Come funzionano, invece, i rimborsi elettorali? 75


In Italia si stabilisce una quota a voto (circa 5 euro), che viene divisa solo tra i partiti che hanno superato l‘1% dei voti validi. Qual è la posizione del Suo partito (No Euro)nei confronti dell'UE? Riforma, recupero della identità politica, recupero della credibilità internazionale. Dal nome, però, sembra un partito contro l'Unione Europea; non è un contro senso che candidi qualcuno alle elezioni Europee, quindi? Non siamo contro L‘Europa quindi se le elezioni si chiamano Europee, quello è il nostro posto. In ogni caso, nemmeno i partiti anti-Europa devono essere considerati estranei. La loro eventuale missione sarebbe quella di farsi eleggere per demolire e sabotare l‘Europa stessa. Bisogna vedere se la gente dà loro credito. SAGGIO DI GIAN GIACOMO PONTI, CANDIDATO ALL’EUROPARLAMENTO PER EUROPA OGGI. Chissà cosa direbbe Rousseau, pover‘anima, se dovesse resuscitare oggi? Me lo vedo, con la sua faccia simpatica ed i capelli cotonati, leggere l‘intervista a Max Loda di qui sopra. Lui che quasi trecento anni fa scrisse: ―Oggi, checché se ne dica, non esistono più francesi, tedeschi, spagnoli, neanche inglesi; esistono solo europei‖ si pentirebbe di essere tornato in vita nel leggere l‘ostinazione nell‘anacronistico voler dividere popoli e razze. Del resto, l‘idea di Europa è anche antecedente al pensiero illuminista. La comunità delle lettere di Petrarca né un esempio. Una sorta di organizzazione culturale sovranazionale che, sfruttando una moneta-unica (il latino), porta alla libera circolazione di beni (culturali). Il parallelo può sembrare poco azzeccato, ma mi si permetta di dissentire. Più che la libera circolazione di merci ciò che dovrebbe permeare l‘Europa dovrebbe essere il continuo scambio di idee. Ovviamente, gli accordi di Schengen dell‘85, eliminando ogni sorta di residuo di protezionismo colbertinista tra i 28 firmatari, sono un passo cruciale per chi volesse tracciare la ―storia dell’Europa‖. Io, però, vedo in internet il vero futuro dell‘Unione Europea. Essenzialmente, perché riconosco che Max Loda abbia ragione quando sostiene ci sia un‘eccessiva disomogeneità tra i popoli europei; ma mentre lui tenderebbe ad evidenziarla con un pennarello rosso, io ritengo dovrebbe essere limata con pazienza. E sono i mezzi come internet la vera base della rivoluzione silenziosa. È la rivoluzione lenta di Petrarca, che sfociò nell‘umanesimo, nell‘illuminismo. Sembra paradossale, ma prima della CECA sono arrivati i poeti. Prima delle istituzioni, è venuto il continuo influenzarsi di movimenti culturali infra-europei; tale affinità intellettua76


le è alla base dell‘Europa. Se manca essa, crolla tutto il castello di carta costituito da enti puramente virtuali. Pertanto, il primo dei punti che ho messo nella mia scaletta per la campagna elettorale a cui parteciperò è un programma concreto per la formazione di un‘identità europea. Il concetto di razza andrebbe, prima di tutto, ridefinito se non completamente annullato. Ciò sarebbe auspicabile non solo in ambito europeo, ma anche a lungo raggio. Però, non basta dire che non esiste razza perché questa convinzione si radichi sul territorio. Non voglio erigermi a sommoponteficedispensatoredimassime, ma nemmeno voglio perdermi in discorsi troppo filosofici e, platonicamente parlando, ideali. Voglio proporre alcuni spunti, su cui si potrà discutere. Per quanto siano aulici e raffinati i riferimenti a Montesquieu, vorrei provare ad analizzare un altro fenomeno culturale europeo decisamente più pop. Gli ABBA. Prima del 1972, chi fuori dai paesi scandinavi aveva mai ascoltato musica svedese? Direi ben pochi. I quattro fondatori del celeberrimo gruppo di musica leggera (si stima abbiano venduto 400 milioni di dischi in tutto il mondo, diventando la seconda azienda svedese per profitto, dopo la Volvo) erano molto conosciuti in patria; quasi tutti erano reduci da esperienze musicali di rilievo, per quanto rilegate ai soli paesi nordici. Le hit dei quattro componenti erano, soprattutto, canzoni di stampo folk ed in lingua svedese. Fu l‘intuizione geniale di Stig Anderson, discografico, a cambiare la sorte di questi quattro cantanti. Proponendo canzoni orecchiabili e dal testo in inglese, cercò a tutti i modi di dare loro visibilità. Fino al momento che li lanciò sul mercato globale: l‘Eurofestival. Con il brano Waterloo nel 1974 si presentarono al concorso canore in eurovisione, vincendolo e sbalordendo la giuria ed il pubblico, da cui partì la carriera internazionale. Ora, sorvolando su un giudizio musicale, cercherò di tracciare le linee base di questa storia. Consideriamo gli ABBA come un prodotto, una merce. E diciamo pure che si tratta di un ottimo articolo, quantomeno di un prodotto con un buon appeal sui consumatori. Il bene-ABBA ha molto successo in un mercato nazionale, eppure non riesce a sfondare fuori patria. Quando riesce ad attecchire su tutto il territorio? Quando, adeguandosi alla moda corrente (da un stampo folk si passò ad un‘impostazione più simile al rockglam britannico) ma, soprattutto, quando diventa comunicabile. Ossia quando, perdendo parte della propria specificità (la lingua), opta per l‘inglese, koinè moderna. Grazie all‘accessibilità, Stig Anderson portò quattro musicisti sconosciuti al di fuori della Svezia al top di tutte le classifiche mondiali. Il prodotto finale, quello venduto, è un ibrido originale scandinavo-inglese che mantiene sonorità svedesi, amalgamandole con ritmi di diverse nazioni, difatti vi sono in parecchi brani vaghe ispirazioni iberiche, greche, britanniche. Questo caso particolare può fare elaborare una sorta di modello commerciale: fondendo diverse tradizioni, grazie all‘uso di una lingua universalmente compresa, si trova un prodotto che soddisfa mercati completamente diversi. Tale modello è quello che appli77


cherei all‘Europa. Tutti gli stati europei, per avere una proficua collaborazione con i vicini, dovrebbero in qualche modo perdere parte della propria specificità a favore di una maggiore accessibilità. Ossia, ponendo da parte anacronistici nazionalismi, favorire un sincretismo culturale concreto. Il che non significa una completa rinnegazione della propria identità, ma un accantonare stupide rivalità per confluire lentamente in un unico ceppo di pensiero. Certo, non si può paragonare la Spagna o il Belgio a Benny Andersson, però credo che ci possa essere un‘affinità fintantoché si immagina la Monarchia iberica come una realtà provinciale che tenta di imporsi a livello globale. Questa omologazione, o meglio, questa convergenza non è semplice da ottenere. Un processo di integrazione culturale serio non si può definire a tavolino, anche perché soggetto a parecchie variabili sociali. I punti da cui partirei sono, però, i mezzi di comunicazione di massa. E qui ritorno al discorso su internet a cui ho accennato all‘inizio del brano. La potenza rivoluzionaria della rete è stata elogiata durante la campagna elettorale americana per le presidenziali 2008. Tutti i maggiori columnist da The Economist al Corriere si sono trovati concordi nell’affermare il forte ruolo di internet nella vittoria di Obama. Il professor Cartosio ha sostenuto che l‘analfabetismo cibernetico di McCain ha molto pesato sulla sua sconfitta. Questo mezzo ormai così affermato non può non essere preso in considerazione per un processo di fusione tra popoli. Ovviamente, da un punto di vista del governo federale, non ci sono molte azioni che possono essere fatte per favorire l‘utilizzo di internet come mezzo di comunicazione europeo. Si potrebbero organizzare gemellaggi tra scuole differenti, di modo da dare ad ogni studente un amico di penna da qualche paese europeo. Può sembrare una sciocchezza, ma sono i piccoli passi secondo me indispensabili per un eccellente risultato a lungo termine. Tuttavia, questa attività può funzionare solo se le persone coinvolte hanno interesse ma, soprattutto, ne hanno i mezzi. Quindi, per seguire il modello degli ABBA, bisognerebbe avere una lingua passepartout. Ormai sembra sia l‘inglese l‘idioma egemone, pertanto bisognerebbe potenziare l‘insegnamento di questa materia. Per ricercare un modello a mio giudizio valido, dovremmo analizzare la scuola statale nei Paesi Baschi spagnoli. La bigarren hezkuntza che va dai 12 ai 16 anni di età dello studente può essere essenzialmente di tre tipi: Modello A, completamente in spagnolo tranne il basco. Modello B, parte in basco parte in spagnolo. Modello D, completamente in basco tranne spagnolo. Dopo questi 4 anni ve ne sono 2 di preparazione all‘università (batxillergoa) ed infine un esame comune per tutta la Spagna, selectividad, che nei Paesi Baschi prende il nome di unibertsitaterako sarrera froga. L’identità culturale basca viene così rispettata pienamente, anche se vi è una presenza massiccia dello spagnolo. Questo modello scolastico prevede un bilinguismo praticamente perfetto; difatti, qualsiasi delle tre opzioni sia stata 78


scelta, ci sono un esame scritto obbligatorio di basco ed uno di castigliano. Se lo stesso schema si applicasse per l‘insegnamento della lingua inglese a livello comunitario si potrebbe a breve rendere tale lingua al pari di quella madre. Anche dal punto di vista strettamente strutturabile, ritengo auspicabile una riforma della scuola a livello comunitario; di modo che, se non completamente parificate, abbiano dei percorsi e dei tempi simili. Riconosciuti a livello comunitario. Come fa causticamente notare Guido Quaranta, oggi tra gli italiani a Strasburgo sono solo una dozzina gli eurodeputati che parlano correttamente una lingua straniera. Con dei simili esempi, difficilmente si può sperare in un‘inglesizzazione dell’Europa. Ma ora cambierei argomento. Io mi limito solo a citare per sommi capi le mie proposte per la candidatura, ma mi riservo di approfondirle in seguito con voi elettori. Per ora, cercherò di sintetizzare quanto più possibile. Per tornare all‘intervista del mio collega Loda, potrei dire che mi trovo esattamente sul versante opposto. Mi sembra fondamentale che in Europa si svolga un processo di alfabetizzazione-europea simile a quello dell‘Italia degli anni ‘50. Come in quel periodo ebbe un gran peso la televisione, oggi dovrebbero essere i mezzi di comunicazione di massa a favorire l‘abolizione dello Stato Nazionale. Altrettanto cruciali gli scambi all‘estero previsti da progetti come Erasmus. Se resi obbligatori per il conseguimento della laurea e finanziati completamente con soldi comunitari, possono rivelarsi un ottimo modo per far uscire dal provincialismo i giovani, proiettandoli in una dimensione extra-nazionale. Una volta accantonato il concetto di popolo, credo si possa sperare la fine dello Stato Nazionale. Prerogativa della Nazione è, per il professor Greppi, il non riconoscere nessuna autorità superiore a quella sovrana. Il Re, od in genere il Governo, non riconosce autorità superiore nel suo regno. Sempre Greppi sostiene dopo il secondo conflitto mondiale da parte dei pensatori europei vi è stato un ripensamento, con la concezione di una nuova mentalità. Contro le guerre si ritenne necessario decretare obsoleto lo Stato Nazionale. Appena alla fine del secondo conflitto mondiale Luigi Einaudi si espresse contro il mito dello Stato Sovrano. Qui parte la seconda importante riflessione del mio programma: quella sulla natura dell‘UE. Lo Stato Sovrano di modello hobbessiano, con un Potere insindacabile ed assoluto all‘interno dei propri confini, si dimostra storicamente belligerante. Le soluzioni proposte nella seconda metà del ‗900 per risolvere le guerre civili europee sono quella federalista e quella confederale. Mentre Max Loda si pronuncia espressamente a favore di quella confederale, io mi limito a citare Einaudi: “Quei sette anni di vita, dal 1781 al 1787, della "società" delle 13 nazioni americane erano stati anni di discordie, di anarchia, di egoismo tali da far desiderare a non pochi l’avvento di una monarchia forte, che fu invero offerta a Washington e da questi respinta con parole dolorose, le quali tradivano il timore che l’opera faticosa sua di tanti anni non dovesse andare perduta. La radice del male stava appunto nella sovranità e nell’indipendenza dei 13 Stati. La confederazione, appunto perché era una semplice "società di nazioni", non aveva una propria indipendente sovranità, non poteva prelevar direttamente imposte sui cittadini. Di79


pendeva quindi, per il soldo dell’esercito e per il pagamento dei debiti contratti durante la guerra dell’indipendenza, dal beneplacito di 13 Stati sovrani. Il congresso nazionale votava spese, impegnava la parola della confederazione e per avere i mezzi necessari indirizzava richieste di danaro ai singoli Stati. Ma questi o negligevano di rispondere o non volevano, nessuno tra essi, essere i primi a versare le contribuzioni nella cassa comune”. Ma il mio non vuole essere un dibattito sullo statuto ontologico dell‘UE (che già è stato dibattuto nell‘intervista di sopra), quindi considererò concluso così la questione spesso posta da Loda sul confederalismo. Essenzialmente, come conferma il prof Morelli, la soluzione confederale è inefficiente e poco adatta ai tempi correnti. Prerogativa di un candidato alle europee è, quindi, far affermare il federalismo europeo a discapito dell‘autodeterminazione degli Stati membri. Solo con l‘accettazione di un‘entità superiore alla Nazione (e quindi la morte della sovranità) si può far fronte alle sfide del mondo moderno. Se sarò eletto eurodeputato, prometto che farò di tutto perché si realizzi una delle grandi sfide europee: il Ministero degli affari Esteri unico. Questa mi sembra una tappa fondamentale di quel processo denominato funzionalismo, ossia costruzione di un organismo federale mediante la messa in condivisione di risorse e fini (processo che vede nella CECA il suo esordio). Vorrei citare, per iniziare, una battuta dell‘ex presidente americano Henry Kissinger: Ma io quando devo telefonare all’Europa, chi 80


chiamo? Questa caustica domanda mette in ridicolo la fragilità della struttura europea. Una volta creata un‘ipotetica identità culturale, solo un Ministero unico può concedere l‘identità politica. Che ci siano problemi a livello di politica internazionale oggigiorno è innegabile e ritengo che solo un Ministro unico possa prendere decisioni tempestive ed efficaci. Si pensi alla débâcle dal punto di vista diplomatico che ci fu al momento di decidere l‘intervento ONU in Iraq, con lo schieramento a favore composto da Inghilterra e Spagna, contro quello franco-germanico. Mi sembra indispensabile anche l‘istituzione di un esercito unico europeo che, oltre a ridurre gli sprechi renderebbe più credibile in politica estera l‘UE. Per riprendere un principio di Machiavelli, è utile imparare ad essere non buono e usarlo o non usarlo secondo necessità. Una discreta potenza bellica, se controllata ed usata a fini non belligeranti, può essere funzionale alla pace. Il problema dell‘autodeterminazione delle politiche estere tra gli stati membri è, a ragion veduta, annosa. La posizione che prende Loda può essere condivisibile; ministro Europeo con mantenimento dei ministri dei singoli paesi, senza diritto di veto. È, infatti, lampante che la possibilità di sottrarsi alle decisioni comunitarie porti all‘istituzione di un falsofederalismo. Per poter giovare di una rinnovata centralità politica, ogni Stato dovrà rinunciare seppur parzialmente alla propria indipendenza. Si potrebbe dire che ciò sia un rischio, in quanto potrebbe coinvolgere in guerre non volute paesi europei che, se avessero potuto agire singolarmente, sarebbero rimasti in neutralità. Questo è il grande limite: se, per esempio, tutt‘Europa tranne supponiamo la Finlandia volesse intervenire militarmente in una situazione ―calda‖ il paese scandinavo sarebbe comunque obbligato ad entrare in conflitto vista la superiorità della decisione comunitaria. Si stabilire che l‘esercito europeo non sia legittimato ad entrare in conflitti se non c‘è un attacco diretto sul suolo europeo; così si avrebbe un patto di mutua alleanza che, comunque, potrebbe coinvolgere paesi altrimenti indifferenti. Qui c‘è un grosso problema, secondo me: nel trovare un compromesso tra il veto (che, difatti, creerebbe un Ministero fatiscente) e la coercizione. Sono, però, fermamente convinto che, con degli accordi comunitari firmati e condivisi, si possa trovare una soluzione. Definendo a priori ed in maniera condivisa i limiti ed i poteri di questo nuovo esercito, si eviteranno conflitti interni qualora fosse necessario il suo utilizzo. Il lato estremamente positivo ed immediato sarebbe l‘impossibilità di conflitti tra paesi europei. Solo con un esercito unico qualsiasi azione armata all‘interno del continente sarebbe una guerra civile e solo mettendo l‘esercito al servizio dell‘intera UE si può scongiurare ogni rischio di conflitto intestino. Con una situazione interna stabile ed un ruolo in politica estera rispettabile, l’Europa potrebbe proporsi come superpotenza. Se fatto evitando la voglia di padroneggiare, ciò può portare il vecchio continente a diventare un interlocutore fondamentale nelle decisioni geopolitiche internazionali. Potrebbe addirittura diventare paciere in zone dove la tensione è altissima. Al contrario degli Stati Uniti d‘America, il cui indice di gradimento per il mondo è in costante calo come ha constatato Moises Naim da L’Espresso, l‘Europa gode ancora di una buona reputazione anche in zone cruciali come il medio o81


riente. Magdi Allam, parlando delle crisi nella zona mediorientali, ha sostenuto il ruolo dell‘Europa come fattore pacificante. Se riuscisse ad estendere il proprio raggio diplomatico anche sulla Turchia, potrebbe da lì facilmente iniziare una sorta di conquista culturale dell‘intera area, legando con vincoli economici e politici tutti gli stati, al fine di impedire conflitti. Certo, solo un‘azione molto delicata ed equilibrata può porre fine ad una delle situazioni più spinose degli ultimi decenni, ma non è impossibile che un‘Europa unita riesca a sedare le violenze. Gli scontri riaperti il 27 dicembre 2008 nella zona di Gaza sembrano essere stati funzionali sia al Ministro israeliano Livni sia ad Hamas, secondo la tesi di Rapoport, difatti entrambi vicini a scadenze elettorali con questa fine della Tahadia (tregua) avrebbero acquistato consensi. Se così fosse, solo l‘intervento di un terzo corpo super partes potrebbe ristabilire l’ordine. L’Europa, per vicinanza e rispettabilità, potrebbe proporsi come arbitro concreto di una pacificazione reale. Un ruolo politico centrale darebbe al vecchio continente anche un rendiconto economico. Sembra cinico, ma nelle trattative finanziarie conta anche il peso politico e militare dello Stato in questione. Secondo il professor Cartosio, solo nell‘ultimo periodo del suo mandato il presidente Bush avrebbe iniziato a prendere in seria considerazione dal punto di vista politico l‘Europa. Questo snobismo si riflette in un ―non avere il coltello dalla parte del manico‖ pericoloso nelle negoziazioni. Da qui si passa all‘altro grande nodo di cui si dovrebbe discutere: l‘economia. Il processo di integrazione finanziaria tipico della globalizzazione, che prevede investimenti diretti esteri in dose massiccia, ha fin‘ora poco coinvolto l‘Europa. Mentre molto l‘America ha investito verso il nostro continente, per la scarsa compattezza ci sono stati pochi investimenti europei all‘estero. Con investimenti, intendo essenzialmente l‘acquisto di succursali per produzione o rappresentanza. L‘Europa sembra non essere ancora entrata pienamente nel processo di globalizzazione, o esserci pervenuta in maniera passiva. Per esempio, due grandi marchi italiani quali ―Peroni‖ e ―Moretti‖ sono ormai in mano di una società sudafricana. Quindi, anche se al 2006 la situazione dell‘UE era abbastanza florida, visto che le sue esportazioni di merci raggiungevano il 42% del totale del mercato globale, la crisi economica viene sentita qui più che in un paese potenzialmente povero come gli USA. Il loro deficit nella bilancia commerciale, rappresentando solo il 14,4% delle esportazioni mondiali, dovrebbe difatti renderli in posizione di scacco da parte del vecchio continente. Eppure sembra sia sempre il contrario. Il prof Valletta, nota che il grosso debito degli USA ha finito per mandare nel panico i commerci europei, in quanto tutti i creditori, fiutando la crisi, hanno tentato di riavere il loro denaro indietro. Un mercato unico dei sistemi finanziari, secondo il professore, è l‘arma vincente contro queste epidemie economiche. L‘avvento dell‘Euro ha portato all‘emissione di bond in una valuta più appetibile per gli investitori stranieri, portando grossi benefici quali l‘abbassamento delle commissioni da parte degli intermediari (vista 82


la maggiore competizione). Il problema che rimane è quello di una crisi sistematica, per un‘economia inquinata da toxic assets (titoli spazzatura). Funzioni dell’Europa sono la gestione e la vigilanza (BCE ed Antitrust) sui titoli emessi. Ciò è possibile se e solo se ci sono degli accordi comunitari condivisi. Per giocare questa partita, tutti devono avere ben chiare le regole. Il mutuo riconoscimento è alla base della teoria economica comunitaria. A questo si aggiunge l‘home country control, per cui chi controlla su una Banca europea operante in qualsiasi altro Stato europeo è sempre lo stato di origine dell‘intermediario. Idem per le assicurazioni. L‘avvento della moneta unica non ha ancora portato, però, ad una grande integrazione dei mercati europei. La scomparsa delle monete nazionali avrebbe dovuto favorire di più, secondo Valletta, la concorrenza tra i vari paesi. La mancanza di fiducia che blocca i prestiti interbancari e la mentalità ancora provinciale del consumatore medio (che predilige la banca più vicina a quella più conveniente) sono forse alla fonte di questa stagnazione deleteria. Nel dibattito per le elezioni cercherò di convincere gli elettori che la CEE e la moneta unica siano le migliori soluzioni per la crisi. Loda cerca di etichettare la moneta unica come uno sbaglio, o qualcosa che è fuggito dal controllo della ―gente‖. Propone, quindi, di convertire tutta la moneta impegnata (con cartolarizzazioni, bond, ma anche semplici depositi in banca) in moneta liquida. In parte è condivisibile l‘atteggiamento critico nei confronti della deregulation anarchica in materia di finanza che ha portato, con successive speculazioni, allo scoppio della bolla economica. Ma mi sembra commetta un grande errore nel tacciare l‘Euro come fonte dei chiari di luna. In uno schema del piano economico del suo partito, Max Loda arriva a proporre una completa abolizione delle banche a favore di una ridistribuzione del Prodotto Interno Netto. Questo rifuggire gli intermediari finanziari mi sembra un‘idea quantomeno anacronistica, però mi posso dire d‘accordo con il candidato per ciò che riguarda un ridimensionamento del potere bancario a danni dell‘economia reale. Anna Costa individua nella deregulation bancaria e nella cartolarizzazione dei mutui e fa un parallelo tra gli USA della Fed e l‘UE: le liberalizzazione sui dazi portate dalla NAFTA e dall‘UE hanno avuto un effetto boomerang solo perché i governi dei vari paesi non hanno saputo gestire con leggi sufficientemente rigorose la situazione. Ora che c‘è stato lo scoppio, però, l‘America di Bush si è dimostrata più tempestiva proponendo un bail out, salvataggio, di 700 miliardi. In Europa, invece, vista l‘assenza di un organismo federale attivo, i vari Stati hanno tentato azioni fai-da-te. Come l‘immissione di liquidità nel sistema bancario attuata da Gordon Brown, subito seguita da un‘azione analoga in molti paesi, Italia compresa. Si ipotizza che l‘azione del Governo italiano sia stata elaborata in funzione di quella britannica, in quanto la Repubblica non poteva lasciare in debolezza le proprie banche, cedendo terreno alle società inglesi. Se ci fosse stata un’azione federale, ciò non sarebbe accaduto. Con un vantaggio economico non indifferente per un paese già fortemente indebitato come l‘Italia. Riguardo questo argomento credo sia utile citare un articolo di Moises Naim: ―[…]Se da una parte il denaro viaggia nel mondo alla velocità della luce sparato dal sem83


plice premere un tasto su un computer, dall'altra, gli enti pubblici incaricati di regolare i flussi monetari e le istituzioni della finanza possono operare soltanto all'interno di rigide frontiere nazionali. Anzi, le decisioni necessarie per affrontare le crisi di questa magnitudine trascendono gli enti governativi che regolano il sistema finanziario e debbono essere prese al più alto livello politico da funzionari eletti le cui azioni sono guidate principalmente dal tentativo di evitare di perdere il sostegno dei propri elettori. E, come ben sappiamo, la politica è sempre locale. È in questo modo che i requisiti imposti dal sistema finanziario globalizzato si scontrano con una realtà fatta di politici che rispondono alle richieste dei propri elettori locali. Questa asimmetria tra il denaro globale e la politica locale spiega, per esempio, la risposta europea alla crisi. Questa risposta ha previsto tre tappe. La prima è stata quella della negazione: "È una crisi statunitense e non vi è motivo per cui ci debba toccare", hanno rassicurato i leader europei. La seconda tappa è stata quella del 'si salvi chi può'. Vedendo che la crisi aveva cominciato a colpire, ogni paese ha preso misure in maniera isolata e senza consultarsi o preoccuparsi per le conseguenze che esse avrebbero avuto per gli altri. L'Irlanda si è messa alla testa di questa fuga disordinata garantendo i depositi delle principali banche per due anni, cosa che a sua volta ha innescato risposte analoghe in altri paesi. Infine la terza tappa: da soli non ce la facciamo.[…] ‖ Qual è il rischio di una situazione del genere? A parer mio il pericolo più grosso è quello che, in un momento di non fiducia negli organismi comunitari, si riesca politicamente a sottrarsi ad essi. Anche una persona assolutamente più autorevole di me, Joaquìn Almunia, commissario europeo per gli affari economici e monetari ha ammesso: ―Se l'Unione europea non riuscirà a rispondere a questa crisi con un approccio congiunto, è molto probabile che alcune delle barriere interne che erano state abbattute, si ripresentino‖. Ciò non è così impensabile; per esempio qualche tempo fa mi è capitato di assistere ad un‘intervista interessante in materia. Mannaggia a me non mi sono segnato la data, ma sono sicuro fosse per Skytg24 pomeriggio, condotto da Maria Latella. Si parlava del debito italiano e delle pressioni per la riduzione che l‘Europa sta esercitando. E sento un economista rinomato, Oscar Giannino, esordire con un ―freghiamocene dell’Europa, facciamo così‖. Vorrei proprio aver segnato il momento esatto in cui queste parole sono state dette, ma spero le prenderete per vere cionondimeno. In ogni caso la sostanza è una: alcuni esponenti politici e dell‘intellighenzia stanno facendo leva sulla “crisi‖ per fomentare un sentimento antieuropeo mai del tutto assopito. E non è solo Max Loda a far leva sui sentimenti viscerali della gente. Ho chiesto al professor Greppi cosa ne pensasse dei vari tentativi di delegittimazione. Mi ha detto di ritenersi preoccupato per la mancanza di scrupoli di certi politicanti nazionali che cercano come capro espiatorio per ogni problema nell‘UE. Io, da candidato ed europeista, cercherò di lanciare campagne di informazione adeguate per rispondere alla viltà di chi abbatte l‘Europa per mantenere il potere. Un esempio di delegittimazione potrebbe essere il caso Europa7, che ha visto un com84


pleto menefreghismo da parte del Governo italiano nei confronti della sentenza europea che evidenziava le irregolarità nell‘assegnazione a Rete4 di alcune frequenze destinate all‘emittente Europa7. La sentenza recita: “Dall’altro lato, tali misure hanno e/o hanno avuto l’effetto di immobilizzare le strutture del mercato nazionale e di proteggere la posizione degli operatori nazionali già attivi sul detto mercato. […] Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara: L’art. 49 CE e, a decorrere dal momento della loro applicabilità, l’art. 9, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva «quadro»), gli artt. 5, nn. 1 e 2, secondo comma, e 7, n. 3, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva «autorizzazioni»), nonché l’art. 4 della direttiva della Commissione 16 settembre 2002, 2002/77/CE, relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, devono essere interpretati nel senso che essi ostano, in materia di trasmissione televisiva, ad una normativa nazionale la cui applicazione conduca a che un operatore titolare di una concessione si trovi nell’impossibilità di trasmettere in mancanza di frequenze di trasmissione assegnate sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati.” Eppure il primo di aprile 2008 un Consiglio dei Ministri governo Prodi ha varato un decreto per l‘immediata esecuzione di tutte le sentenze della Corte Europea. Tutte tranne quella su Europa7. Aggiunge Marco Travaglio: ―Intanto l’Europa, che ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia per l’illegittimità della Gasparri, potrebbe presto condannare il nostro Paese a versare una multa di 400 mila euro al giorno. Risarcimento a Di Stefano [il proprietario di Eurpa7, nda] ed eventuale multa saranno, ovviamente, a spese dei contribuenti.” Indipendentemente dal discorso politico che sta dietro alla vicenda e dalle accuse di inciucio, ciò che è scandaloso è la completa assenza di rispetto di quella che dovrebbe essere la più alta autorità in territorio europeo: la Corte Europea. Questo è, in maniera paradossale, uno dei problemi che i candidati all‘europarlamento come me dovrebbero affrontare. Io non credo che ci sarà Europa finché non ci saranno leggi che impongano un comportamento Europeo ai governi nazionali. Ma qui, più che tutto entrano in ruolo gli europei. La responsabilità è essenzialmente loro. Dovrebbero, una volta liberatisi da ogni pregiudizio antieuropeista inculcato da opportuniste propagande, votare anche in funzione dell‘Europa, come alle europee di giugno 2009, così alle amministrative ed alle elezioni locali. Anche quando si scegli il Governo del proprio paese si dovrebbe parlare di Europa e di rispetto che hanno dimostrato i candidati per quest‘entità. Senza una collaborazione tra i capi degli stati membri, non si raggiungerà mai una Federazione degna di tal nome. Solo quando i Presidenti sapranno cedere parte della propria sovranità a favore dell‘organismo comunitario, si 85


riuscirà ad avere un‘UE compatta ed efficiente. L‘arma migliore che i cittadini hanno per questo scopo è quella di spingere verso l‘europeismo i governanti, richiedendolo con vigore. Un‘altra materia in cui ci sono dei forti contrasti tra politica nazionale e comunitaria è quello dell‘immigrazione. Arriva persino alla tragi-comicità quando si sentono politicanti più o meno improvvisati inneggiare contro gli extra-comunitari romeni, dimenticandosi che la Romania è un paese della comunità. Anzi, è uno Stato con molte affinità rispetto all‘Italia; basta pensare alla lingua romena che è di origine neolatina. I singoli Paesi hanno avuto fin‘ora politiche fallimentari in materia, soprattutto l‘Italia, particolarmente colpita ultimamente vista la sua vicinanza con le coste libiche. I progetti per l‘aiuto della Libia portati avanti dal Ministro Frattini, progetti che vedono investimenti nel paese nordafricano di denaro italiano per la costruzione di infrastrutture, sembra un tentativo di comprare la collaborazione delle autorità di Gheddafi. Inoltre, bisogna ricordare che anche passi importanti e considerati assodati come il trattato di Schengen sono stati recentemente messi in discussione. Per esempio la Francia di Chirac sospese gli accordi per la libera circolazione di beni servizi e persone il 7 luglio del 2005 per motivi di lotta al terrorismo. Anche in questo caso, prima di tutto, bisogna inquadrare bene la situazione e distinguere realtà da demagogia. Per quanto sia inaccettabile la clandestinità, non si deve dare agli irregolari la colpa di tutti i mali della società come sembra che i mezzi di comunicazione facciano. Guardando un qualsiasi telegiornale, ogni giorno, ci sarà una qualche notizia su un rumeno ubriaco o rapine da parte di albanesi. La xenofobia che viene così fomentata non ha ragione di esistere o, perlomeno, dovrebbe essere incanalata in maniera costruttiva. Giusto reprimere duramente ogni forma di irregolarità, ma in una maniera logica e soprattutto non razzista. Oltretutto, dati ISTAT affermano che la quantità di manodopera estera sia superiore al tasso di disoccupazione (e quindi verrebbe meno la paura da idraulico polacco). Inoltre, il 9,2% del Pil sarebbe prodotto da immigrati. La ragione è il fatto che gli italiani autoctoni sarebbero sempre meno propensi a lavorare in settori come l‘edilizia o i lavori ―umili‖ come le pulizie. Queste statistiche sono in controtendenza con l‘opinione pubblica. Prima di tutto, da parte dell‘Europa vorrei una campagna di informazione e sensibilizzazione efficace, come quella che sta attuando il Governo Romeno con l‘affissione di manifesti e la pubblicazione di pubblicità su alcune riviste. Certo, non è la soluzione ad ogni male, ma aiuterebbe ad alleviare i sintomi. Per ora, dopo la comunicazione della Commissione del 17 giugno 2008, il Consiglio europeo ha deciso di adottare il patto europeo sull’immigrazione e l’asilo. Tale accordo si divide in cinque punti che riassunti sarebbero: Organizzare l‘immigrazione legale, favorendo l‘integrazione. Combattere l‘immigrazione clandestina, assicurando il ritorno nel paese d‘origine 86


degli irregolari. Rafforzare i controlli alle frontiere. Costruire un‘Europa dell‘asilo. Creare un partenariato globale con i paesi di origine che favorisce le sinergie tra migrazioni e sviluppo. Il problema di fondo di questa iniziativa sono, a dire di Nelson Belloni, i tempi lunghissimi delle decisioni adottate e la dipendenza di esse dalla volontà e dai mezzi dei singoli Paesi. Ancora una volta, in un contesto federale si avrebbe una risposta più valida. Sia perché le risorse necessarie per governare il fenomeno si possono trovare solo in un quadro sovranazionale, sia perché solo uno Stato dell‘estensione dell‘Europa può elaborare una politica di integrazione accettabile, a favore della multiculturalità. La questione di fondo è quella della tolleranza. L’UE dovrebbe essere culla di tolleranza. Il motivo per cui non può esser altrimenti si può trovare nella storia del continente: la convivenza forzata e spesso non pacifica tra popolazioni molto diverse tra loro (cosa che non accade, per esempio, in Cina) dovrebbe aver portato a sviluppare una mentalità aperta alle differenze. Hume sostiene che ―le contese ed i dibattiti resero più acuto il loro spirito‖. Commentando questa frase il filosofo Todorov dice: ―gli europei degni di Hume sarebbero quelli che non si limitano a tollerare la differenza degli altri, ma da questa assenza di identità derivano una presenza.‖ Delle campagne elettorali non dovrebbe mancare un po‘ di filosofia. Anzi. Dovrebbe tornare in auge. Perché spesso la nebbia dell‘irrazionalità offusca le decisioni. Si dovrebbe parlare di pluralismo e di come attuarlo su scala europea. Per citare un altro filosofo, Leibniz scrisse che: ―Una stessa città osservata da punti diversi appare un’altra ed è come moltiplicata prospetticamente‖. Il dibattito sulla tolleranza è lungo e tortuoso. Ma l‘Europa dovrebbe farsene portavoce. Per questo giudico quasi ridicola la presenza di personaggi come Borghezio al Parlamento di Strasburgo (membro, inoltre, della Commissione per le libertà civili!). Chiunque ha avuto posizione xenofobe è antitetico al concetto stesso di ―Europa‖. Ma non mi voglio soffermare su giudizi politici, perché vorrei differenziarmi dagli altri candidati evitando di rinfacciare a ciascuno i propri errori. Oltre che alla tolleranza, l‘Europa dovrebbe pronunciarsi anche su di un suo corollario: la laicità. Pur riconoscendo di essere ben lontani dal cesaropapismo degli Imperatori, è giusto che l‘UE si pronunci a favore della laicità della propria organizzazione. Non bisogna, per far ciò, rinnegare le fondamentali radici cristiane in quanto esse hanno profondamente influenzato il pensiero e quindi la cultura di tutta la popolazione europea, ma è necessario che l‘Unione non si assoggetti ad alcuna religione. Dibattendo con Voltaire, Rousseau scrisse: ―sono indignato come voi che la fede di ciascuno non sia nella più totale libertà che l’uomo abbia l’ardire di controllare nell’intimo delle coscienze‖. Ora, senza che ci sia da temere una qualsiasi azione coercitiva da parte di una o dell‘altra fede, è fondamentale che un‘istituzione, soprattutto se eterogenea come l‘Unione Europea, si dichia87


ri neutrale. Dovrebbe essere un ottimo esempio la deputata olandese Ayaan Hirsi Ali, attivista per i diritti delle donne islamiche e della libertà di parola e pensiero. mettendosi in prima linea contro alcuni imam intolleranti che tentarono di giustificare le molestie che alcuni professori gay subirono da parte di giovani musulmani, è diventata presto simbolo di laicità e coraggio. ―La libertà individuale e l’uguaglianza non sono scelte facoltative ma valori universali che appartengono alle leggi dei paesi‖. Una volta riconosciuta la più totale laicità dell‘organismo europeo, credo siano necessarie delle norme comunitarie a livello di etica e diritti civili. Anche sotto questo punto di vista credo ci voglia una linea unica europea. Non per privare le singole nazioni della propria libertà, ma per creare una situazione più omogenea e riempire i vuoti legislativi. Si pensi al matrimonio omosessuale, ed alle linee diversissime dei vari paesi europei. Perché l‘UE diventi più di una semplice accozzaglia, fatta di accordi economici e politici, ci vogliono leggi universali anche in materia civile. Che senso ha che un matrimonio considerato valido in Spagna non lo sia in Italia? Quando si parla di diritti individuali, credo non ci dovrebbero essere differenze tra il cittadino belga e quello irlandese. Perché, se così fosse, mancherebbe l‘omogeneità tra i membri dell‘associazione. Sarebbe una Federazione in cui, a seconda di dove ci si trova, ci sono diritti differenti. Il che è assurdo. Giusto che gli stati membri mantengano autonomia amministrativa e che l‘Europa non forzi le azioni dei membri ad andare contro la volontà comune, però non ha senso che due cittadini europei sottostiano a normative completamente differenti. Certamente non è un affare da poco, anzi, ci vorrà molto tempo perché si sviluppi un‘omogeneità tra le varie nazioni; ma è inevitabile muoversi in questa direzione. La domanda che sorge ora spontaneamente è: ma come ottenere ciò? La risposta non è immediata. Ritengo sia indispensabile la formazione di una coscienza europea popolare forte e diffusa, fenomeno senza il quale non può esserci unione legislativa e politica. Ma non è facile dire come può attivamente un cittadino ―qualunque‖ lavorare per un obiettivo quasi utopistico. Sembra, infatti, non dipenda attivamente da 88


―noi cittadini‖ quanto più dal Potere il dirigersi verso una svolta europea. Eppure tutti possono contribuire, in maniera più o meno diretta. Non solo facendo volantinaggio per la Gioventù federalista od affiliandosi ad organizzazioni affini, ma più che tutto informandosi. Leggendo. Studiando. Io sono un europeista e quindi credo che questa sia la migliore delle soluzioni possibili (molto leibniziano!), però chiunque è libero di obbiettare, purché informato. È questa la cosa fondamentale, sconfiggere il velo di ignoranza che sembra circondare molte persone in materia d‘Europa. Poi, si è liberi di dissociarsi, ma non si possono compiere passi in avanti senza essere informati dei fatti. Quindi, per rispondere alla domanda che mi sono posto, direi che per affrontare i grandi problemi dell’Europa ed del Mondo non si debba essere Superman né Spinoza, ma che basti una mente critica e razionale. Solo con queste basi una democrazia può funzionare correttamente. Altrimenti, mossa dai venti della demagogia, si trasforma in tirannide camuffata. Credo sia tutto, per ora. Non vi chiedo di votarmi, adesso. Ma quanto meno vi domando di approfondire l‘argomento, visto che per non tediarvi più di tanto ho limitato le cose da dire in un sunto. Spero di esservi stato gradito. BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA A. Costa, Crisi finanziari: l’Europa tra disunione e federazione, da Alternativaeuropea del 24/12/08 A. Hirsi Ali, Non sottomessa, Einaudi, Torino, 2005. Da N. Belloni e T. Doria, L’immigrazione e l’Europa, in Alternativaeuropea del 24/12/08. G. Quaranta, Autarchia a Strasburgo, da L’Espresso del 15/01/09. G. W. Leibniz, La Monadologie (1714), Gallimard, 1995. Hume Saggi morali politici e letterari, Utet, Torino, 1974. Hume, Saggi morali politici e letterari, Utet, Torino, 1974 J. J Rousseau, considerazioni sul governo di Polonia, Utet, Torino, 1970. J. J. Rousseau, Il contratto sociale, Feltrinelli, Milano, 2003. J. J. Rousseau, Oeuvres completes, 1969. L. Einaudi, contro il mito dello Stato sovrano, da Il risorgimento liberale, 03/01/45. M. Naim, La crisi chiede risposte globali, da l’Espresso del 22/10/08. M. Naim, Scommessa Obama, da L’Espresso del 13/08/08. M. Rapoport, La diplomazia delle bombe, da L’Espresso del 30/12/08. M. Travaglio, La Tassa Barlusconi, da chiarelettereblog, 21/02/08. Marchese Mancini Greco Assini, Stato e società, La nuova Italia, Milano, 2004. N. Machiavelli, Il principe, da Il filo rosso a cura di Santagata e Carotti, Laterza, RomaBari, 2006. Sentenza della Corte Europea (Quarta sezione) composta da composta dal 89


sig. K. Lenaerts (relatore), presidente di sezione, dal sig. G. Arestis, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta e dai sigg. J. Malenovský e T. von Danwitz, giudici, del 31/01/08. T. Hobbes, Elementi filosofici sul cittadino, in Opere politiche, a cura di N. Bobbio, Utet, Torino, 1959. T. Todorov, Lo spirito dell’illuminismo,Garzanti, Milano, 2007. Edoardo Greppi, docente all‘università di Torino, conferenza tenuta presso il liceo scientifico A. Antonelli di Novara il 11/11/08. Magdi Cristiano Allam, vicedirettore de Il corriere della sera, in una conferenza presso il liceo scientifico A. Antonelli nel maggio 2006. Prof Cartosio, Docente di Storia dell‘America del Nord alla facoltà di Bergamo, conferenza tenuta presso il Liceo Scientifico A. Antonelli di Novara, il 20/11/08 del Professor Mario Valletta, docente di Intermediari Finanziari presso l‘università del Piemonte Orientale, in una lezione presso il liceo A. Antonelli di Novara del 17/11/08. Professore Umberto Morelli, docente all‘università di Torino, conferenza tenuta presso il liceo scientifico A. Antonelli il 21/11/07

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Fermiamo-lultima-razzia-di-Bush/2047930/17 http://espresso.repubblica.it/dettaglio/La-crisi-chiede-risposte-globali/2045543/17/1 http://espresso.repubblica.it/dettaglio/La-diplomazia-delle-bombe/2054833/17 http://old.demauroparavia.it/84963 http://voglioscendere.ilcannocchiale.it/post/1769020.html http://www.abbasite.com/news/index.php?ret=/news/index.php&id=1539&flash=yes http://www.antimafiaduemila.com/content/view/4642/78/ http://www.iisf.it/discorsi/einaudi/mito_s_s.htm http://www.iisf.it/discorsi/einaudi/mito_s_s.htm http://www.marcotravaglio.it/forum/viewtopic.php? t=12469&sid=26ca394752431a2ecc89943e65686a45 http://www.ricerca24.ilsole24ore.com/fc?cmd=static&chId=30&path=/search/ advancedSearch_engine.jsp www.worldmapper.com

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SOTTILOTTA SOTTILOTTA SOTTILOTTA

TRANSITO TRANSEUROPEO I flussi migratori del XX secolo L‘immigrazione è un fenomeno internazionale molto complesso che riguarda tutti gli stati membri dell‘UE. Secondo il Dipartimento delle Politiche Comunitarie, sono 28 milioni le persone immigrate con cittadinanza straniera, 50 milioni se si considerano anche coloro che hanno acquisito la cittadinanza di uno degli stati dell‘UE. Gli stranieri costituiscono, quindi, circa il 10% dell‘intera popolazione europea. Diversa è la situazione nella prima metà del XX secolo, quando è l‘Europa ad essere una terra di emigranti. Nei primi decenni del Novecento ci sono nazioni, come gli Stati Uniti, l‘Argentina, l‘Australia, che sollecitano le immigrazioni nel loro paese, perché vedono in esse una fonte di ricchezza. Le migrazioni avvengono via nave, oltreoceano, e sono accompagnate dalla speranza di trovare lavoro, ma anche di poter colonizzare spazi liberi e sterminati. Il flusso migratorio cambia la propria direzione nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando alcuni paesi europei cominciano ad accogliere lavoratori stranieri. Tra il 1950 e il 1974, l‘Occidente attraversa, infatti, un periodo di crescita economica, che induce a favorire le immigrazioni, per sopperire alla mancanza di manodopera, dovuta sia alla diminuzione delle nascite, sia al gran numero di persone morte nella seconda guerra mondiale. È il caso della Svizzera, della Germania, del Belgio, della Francia e dell‘Olanda che accolgono i Gastarbeiter. La maggior parte dei lavoratori immigrati, nei decenni successivi non ritorna al proprio paese d‘origine e, così, il numero degli stranieri presenti in Europa aumenta, incrementato anche dai ricongiungimenti famigliari. Negli anni Sessanta e Settanta le migrazioni provengono da alcuni paesi nordici, come l‘ Irlanda e la Finlandia, ma soprattutto dai paesi che si affacciano sul Mediterraneo, tra i quali l‘Italia, la Jugoslavia, la Grecia, la Turchia, la Spagna e il Portogallo. Con l‘Inizio degli anni Settanta, finisce il reclutamento massiccio di manodopera da parte dei paesi industrializzati, che dopo lo shock petrolifero del 1973, intraprendono una nuova econo91


mia di mercato. Il cambiamento economico porta alla nascita della globalizzazione, che determina nuovi flussi migratori. L‘Europa deve, così, affrontare una situazione diversa rispetto a quella degli anni Cinquanta e Sessanta. Se prima le politiche migratorie erano incentrate sul reclutamento e l‘ottimizzazione dei flussi funzionali all‘economia, ora invece si cerca di limitare l‘immigrazione e di favorire da un lato il rimpatrio, dall‘altro l‘integrazione degli immigrati. Negli anni Ottanta l‘Europa meridionale diventa un polo migratorio per i paesi del Sud del Mediterraneo e per quelli dell‘ Est, il cui flusso aumenta nel Novecento a seguito del crollo dell‘Unione Sovietica. In Europa matura la consapevolezza di essere una terra di migrazione, affacciata sul bacino del Mediterraneo, che rappresenta l‘area di snodo dei diversi flussi migratori.

Definizione di migrazione Umberto Eco, distingue il significato di immigrazione da quello di migrazione: l‘immigrazione è il trasferimento di individui da un paese all‘altro ed è un fenomeno che può essere controllato politicamente, limitato o accettato. Le migrazioni, invece, si hanno quando un intero popolo, gradualmente, si trasferisce da un paese all‘altro, e sono un fenomeno naturale incontrollabile. Inoltre le immigrazioni prevedono che gli immigrati accettino gli usi e i costumi del paese in cui migrano, mentre ciò non avviene nelle migrazioni, dove i migranti trasformano radicalmente la cultura del territorio in cui migrano. «Quando c’è migrazione non ci sono più i ghetti, e il meticciato è incontrollabile. I fenomeni che l’Europa cerca ancora di affrontare come casi di immigrazione sono invece casi di migrazione. Il Terzo Mondo sta bussando alle porte dell’Europa, e vi entra anche se l’Europa non è d’accordo. Il problema non è più di decidere (come i politici fanno finta di credere) se si ammetteranno a Parigi studentesse con il chador o quante moschee si debbano erigere a Roma. Il problema è che nel prossimo millennio (e siccome non sono un profeta non so specificare la data) l’Europa sarà un continente multirazziale, o se preferite, “colorato”. Se vi piace, sarà così; e se non vi piace, sarà così lo stesso.» La globalizzazione e le migrazioni L‘immigrazione è uno degli effetti immediati della globalizzazione, che modifica i tre parametri propri dello Stato moderno, ovvero il territorio, il potere sovrano e il popolo. Fin dal 1400 si inizia ad affermare l‘idea di Stato, anche se la parola Stato ancora non esisteva, ma si parlava di regnum, corona, res pubblica. Lo Stato nazionale, a differenza di quello feudale, è un‘entità territoriale omogenea, circoscritta da confini che assumono un‘importanza economica, militare e giurisdizionale. Lo Stato feudale, di fatto è un 92


non-Stato, in quanto, è discontinuo e caratterizzato da un potere centrale debole, limitato dalle prerogative della nobiltà. Nel 1453, al termine della guerra dei Cent‘anni, si pongono le premesse per la nascita dello Stato moderno, che si consoliderà progressivamente fino a raggiungere nell‘Ottocento la sua completa espressione. Con la globalizzazione i confini degli Stati diventano labili e porosi, attraversati da flussi di capitali, merci e persone. Entra così in crisi l‘identità del popolo, che non si riconosce più nella propria nazione. Il termine nazione, da nascor , indica, infatti, il luogo in cui un gruppo di individui è accomunato dalla stessa lingua e dagli stessi usi e costumi. Lo spirito nazionalista, che affonda le proprie radici nel Quattrocento, non tollera l‘ ‖ibridazione‖ dei popoli, e l‘affermazione di un melting-pot, spesso accompagnato da comportamenti razziali. L‘immigrazione ha come conseguenza la rottura dell‘omogenità e dell‘identità propria dello Stato nazionale. Molte persone acquistano cittadinanze plurime e diventa più difficile riuscire a mantenere un legame con la ―patria‖ e i suoi simboli. Nel corso del Novecento, l‘idea di nazione, è degenerata in nazionalismo e lo Stato nazionale intraprende una politica aggressiva e totalitarista che raggiunge il suo culmine nelle guerre 93


mondiali, che possono essere definite una vera e propria guerra civile europea. Infine occorre considerare la sovranità dei singoli Stati. Nel corso della storia dello Stato moderno, i sovrani devono lottare contro le prerogative della nobiltà feudale, basti pensare alla Francia di Luigi XIV, che costruisce Versailles per segregarvi la pericolosa aristocrazia di sangue. Dunque uno Stato nazionale non ammette l‘intromissione di un‘altra sfera di potere, il sovrano non è più un primus inter pares, ma è l‘unico ad avere piena autorità. Oggi anche la sovranità dello Stato è messa in crisi da molteplici fattori tra cui l‘immigrazione, che aumenta il numero degli individui che richiedono l‘assistenza e l‘aiuto dello Stato. Inoltre sorgono problemi legati alla sicurezza dei cittadini e alla regolamentazione dei flussi migratori. La globalizzazione e le immigrazioni, dunque, mettono in crisi lo Stato sociale. Solo una forma di potere intergovernativa, come quella dell‘UE, è in grado di fronteggiare questi problemi, che i singoli Stati non possono risolvere autonomamente. C‘è l‘esigenza di una politica che limiti le sperequazioni sociali, prodotte dalla globalizzazione, che sono la causa principale delle migrazioni. Lo sviluppo eccessivo di alcune aree del pianeta fa sì che il 20% della popolazione mondiale utilizzi l‘80% delle risorse complessive. Esistono, quindi, dei processi socio-economici innescati dai paesi industrializzati, che hanno avuto come effetto la formazione di un‘eccessivo aumento della popolazione nei paesi in via di sviluppo, sproporzionato rispetto alla possibilità di assorbimento locale dell‘economia globalizzata. Luciano Gallino, tra i processi che concorrono a sviluppare i flussi migratori, individua le politiche agricole. I paesi del Nord finanziano le loro produzioni con un miliardo di dollari al giorno, cosa che riduce notevolmente la capacità concorrenziale dei paesi del Sud. Inoltre le organizzazioni internazionali, come la Banca Mondiale, obbligano questi paesi a risanare i bilanci pubblici, ne deriva la decisione dei governi locali di incentivare le esportazioni di beni quali, ad esempio, cotone, caffè e cacao a discapito della crescita e della differenziazione dell‘economia del loro paese. L‘economia dell‘Etiopia, per esempio, dipende solo dalla produzione di caffè, quindi, milioni di persone sono escluse dall‘economia, e migrano verso i paesi del Nord. Un altro fattore di emarginazione economica e sociale è costituito dalla modernizzazione di alcuni settori dell‘industria dei paesi in via di sviluppo, seguendo criteri organizzativi e gestionali identici a quelli dei paesi del Nord. Ciò provoca, da un lato, la creazione di posti di lavoro meglio retribuiti, ma dall‘altro la destrutturazione delle economie locali, che fornivano lavoro meno retribuito ma a un maggior numero di persone. Quindi, nei paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa, l‘economia moderna riesce ad assorbire una minima parte della popolazione. Il risultato è che un numero ristretto di lavoratori immette una grande quantità di beni in un mercato controllato soprattutto dalle imprese del Nord. Come conseguenza si ha un abbas94


samento dei prezzi, dovuto alla legge della domanda e dell‘offerta ed al predominante controllo del mercato da parte dei paesi industrializzati. Infine, Luciano Gallino, tra le cause della migrazione, sottolinea l‘importanza del debito estero che questi paesi hanno contratto con i paesi del Nord. Il Camerun, il Kenya, la Tanzania, e altri paesi africani, avvrebbero bisogno del denaro a loro sottratto dal debito, per incentivare servizi sociali, quali la sanità e l‘istruzione.

Politiche europee Le migrazioni, come le definisce Umberto Eco, sono dei fenomeni naturali di straordinaria grandezza ed è impossibile opporvi resistenza. Solo un‘istituzione intergovernativa, come l‘UE, può attuare una politica di regolamentazione nell‘interesse dei paesi d‘origine e di quelli di destinazione. Quando all‘inizio degli anni Settanta, i movimenti migratori cominciano a rivelarsi una caratteristica strutturale e permanente dell‘economia europea, si elaborano politiche migratorie nuove e sempre più articolate. I governi europei agiscono in base a due tendenze: da un lato si vuole attuare una politica difensiva che controlli le immigrazioni, dall‘altro nasce l‘esigenza di una cooperazione internazionale nell‘ambito della gestione dei processi migratori. Il primo provvedimento intergovernativo, di rilevante importanza, viene attuato dall‘Europa con gli Accordi di Schenghen, sottoscritti nel 1985. Nella fase iniziale gli Stati che firmano l‘accordo sono un gruppo ristretto, costituito da Belgio, Francia, Lussemburgo, Germania e Paesi Bassi. Nel 1990 aderisce anche l‘Italia, nel 1991 la Spagna e il Portogallo, nel 1992 la Grecia, nel 1995 l‘Austria e infine nel 1996 la Danimarca, la Finlandia e la Svezia. La finalità degli Accordi è la progressiva abolizione dei controlli alle frontiere comuni, attraverso una serie di misure in grado di regolare la libera circolazione delle persone. Tra gli articoli più importanti, vi sono il cinque, che stabilisce le norme per entrare nell‘Area, e il dieci che prevede l‘istituzione di un visto uniforme per i soggiorni di breve durata. Una delle conseguenze immediate degli Accordi, è che le persone non sono più tenute a mostrare il passaporto quando attraversano i confini degli Stati membri. Un altro importante provvedimento è il Trattato di Maastricht del 1992, che assegna al Terzo Pilastro, ossia alla cooperazione nei settori di giustizia e di affari interni, la realizzazione della libera circolazione delle persone. Tale scopo viene perseguito dalla cooperazione degli stati membri nei settori di interesse comune, tra cui: la politica di asilo, le norme che regolamentano l‘attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri, la politica di immigrazione da seguire nei paesi terzi, la cooperazione doganale e la cooperazione di polizia ai fini della prevenzione e della lotta al terrorismo. Tuttavia il me95


todo intergovernativo risulta inefficace e incapace di garantire il pieno controllo democratico delle decisioni prese in ambito comunitario. Con il Trattato di Amsterdam, firmato nel 1997 ed entrato in vigore nel 1999, si delinea quella che Bruno Nascimbene definisce comunitarizzazione. Nel Trattato vi sono importanti novità nelle materie di immigrazione e di asilo, che entrano a far parte del Primo Pilastro determinando, così, il passaggio dal metodo intergovernativo all‘applicazione del diritto comunitario sovranazionale. È, inoltre, previsto un periodo transitorio di cinque anni, al termine del quale le procedure comunitarie verranno applicate integralmente. Nel 1999 a Tampere si tiene un consiglio europeo straordinario per creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Anche nel recente Trattato di Lisbona, del 2007, si sottolinea come gli stati membri abbiano «la precipua responsabilità di garantire libertà, sicurezza e giustizia, per i loro cittadini» ma nello stesso tempo «l’Unione europea è tenuta a contribuire al perseguimento degli stessi obiettivi, tenendo in conto le aspettative dei cittadini europei per quanto riguarda la protezione dei diritti fondamentali.». In merito alla politica di immigrazione e di asilo, il Parlamento sollecita la creazione di una strategia europea, rivolta alla migrazione legale e illegale. Inoltre vengono stabilite delle norme comuni per la tutela dell‘UE e dei diritti fondamentali dei migranti chiedenti asilo. Viene anche istituita la Carta blu, cioè un permesso unico di lavoro e residenza, concesso rapidamente e riservato agli extracomunitari altamente qualificati. Nel corso degli anni, quindi, è maturata all‘interno della classe politica, la consapevolezza che una gestione restrittiva dei flussi migratori è inattuabile. In questa direzione si sviluppa gradualmente una politica incentrata su tre elementi:

la necessità di prendere provvedimenti preventivi mirati ad attenuare le cause della migrazione. l‘esigenza di intensificare la cooperazione in materia migratoria con i paesi di origine. la tendenza a coordinare sempre più strettamente la politica migratoria con altre politiche settoriali, come le politiche ambientali, di sicurezza e della promozione dei diritti umani.

Il caso italiano La prima legge emanata in Italia per regolamentare le migrazioni risale al 1986. In precedenza vi era stato un solo intervento legislativo, durante il periodo fascista, nel 1931, 96


chiamato Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza. Lo straniero, viene considerato sotto il profilo dell‘ordine pubblico e costituisce un potenziale problema e pericolo per la vita civile. Questa visione permane nella società del Dopoguerra e in quella del 1975, periodo in cui si verifica un aumento dei flussi migratori verso l‘Italia. Proprio perché non esiste alcuna normativa in materia migratoria, le immigrazioni avvengono clandestinamente. Nel 1986 viene emanata la prima legge italiana sulle migrazioni, ovvero la Legge Foschi, limitata a disciplinare gli aspetti inerenti il settore lavorativo. Si tratta, quindi, di una legge inadeguata, in quanto non definisce la condizione giuridica dello straniero e non precisa i suoi diritti e doveri. Gli anni Novanta, sono caratterizzati da incertezze politiche e continui scontri. Nel 1993 Fernanda Contri, allora Ministro degli Affari Sociali, istituisce una Commissione di studio per una legge organica sulla condizione giuridica dello straniero. La legge viene suddivisa in 174 articoli e consegnata al Presidente del Consiglio G. Amato, che non riesce ad applicarla perché ormai la sua legislatura sta terminando. Il nuovo Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, elimina quel progetto per applicarne uno molto più restrittivo. Tuttavia il Governo Berlusconi è di breve durata e nel 1995 vengono presentate alla Commissione Affari Costituzionali della Camera diverse proposte di legge, tutte respinte o ignorate, come quella dell‘on. Nespoli. Ben definita è invece la posizione della Lega, che in piazza propone le pallottole di gomma contro gli immigrati e il prelievo delle impronte dei piedi. Intanto in Parlamento si fa pressione sul Governo perché scelga l‘iter, più breve, del decreto-legge. Il Presidente del Consiglio, all‘epoca l‘on. Dini, cede alla richiesta: la legge viene applicata ma le sue disposizioni più rigorose non diverranno mai esecutive. Il provvedimento porta a sanare circa 150.000 situazioni irregolari. Nel 1996 sale al Governo Prodi, che incarica una nuova Commissione interministeriale con il compito di redigere rapidamente un disegno di legge organica, presupposto fondamentale per entrare negli accordi di Schenghen. Si riesce ad ottenere la nuova normativa che entra in vigore nel 1998. La Legge Turco-Napolitano è stata ora assorbita nel Testo Unico. È una legge che non si connota dal punto di vista ristrettivo, ma è ispirata a principi solidaristici e vede positivamente il fenomeno delle migrazioni. Tuttavia la disciplina sui flussi di ingresso risulta confusa, e il disegno di legge sull‘asilo non viene approvato. Tra gli aspetti positivi vi sono le politiche di integrazione, che prevedono la tutela delle famiglie e dei minori, l‘istruzione obbligatoria per tutti, irregolari compresi, l‘educazione interculturale, la repressione delle discriminazioni razziste. Con la Bossi-Fini del 2002, questi articoli che riguardano le integrazioni non vengono modificati, ma cambiano notevolmente le politiche degli ingressi e delle espulsioni. Il tempo per procurarsi un lavoro non è più della durata di un anno, ma di sei mesi, la carta di soggiorno viene rilasciata solo dopo sei anni di permanenza continuata. 97


La concezione dello straniero In Europa la maggior parte dei cittadini teme il fenomeno delle migrazioni, in quanto ritiene che costituisca una forte minaccia per la propria cultura e identità. Lo spirito nazionalista e il legame con la patria degenera così in nazionalismo e in atteggiamenti razzisti. Fin dall‘epoca della scoperta dell‘America, l‘incontro di culture diverse provoca da un lato una visione paternalistica dello straniero, dall‘altro l‘affermazione della superiorità della propria identità. Todorov in La conquista dell’America. Il problema dell’«altro», ricostruisce la percezione che gli spagnoli ebbero degli indigeni, privilegiando rispetto allo scontro di civiltà, il tema della scoperta del diverso. All‘inizio del volume scrive: «Voglio parlare della scoperta che l’io fa dell’altro». L‘atteggiamento paternalistico, più del pregiudizio di superiorità, costituisce un ostacolo alla conoscenza del ―diverso‖. La ricerca dell‘uguaglianza tra due culture differenti, infatti, porta a identificare nell‘altro il proprio «ideale di sé», annullandone le specificità. Nei confronti dello straniero, talvolta, si vuole imporre la propria cultura, perché viene considerata superiore. In realtà Montaigne sostiene che le culture sono tutte relative, non esiste una civiltà maggiore o una minore. La cultura di una nazione vede con razionalità oggettiva un mondo culturale estraneo, ma non riesce con altrettanta lucidità ad analizzare il proprio. Di fronte a società ―ibridizzate‖, caratterizzate da una molteplicità di popoli, è importante che ciascun cittadino diventi consapevole della parzialità del proprio punto di vista. La molteplicità, non è stata creata dalle migrazioni, ma è da sempre una peculiarità dell‘Europa. Paradossalmente è proprio questa molteplicità a garantire l‘unità e ad aver consentito nel XVIII secolo, la nascita dell‘Illuminismo. La pluralità, infatti, incita alla tolleranza, sviluppa il senso critico e facilita l‘integrazione tra i popoli. Se si considera l‘ambito religioso è più difficile che la tolleranza si sviluppi in uno Stato nel quale esiste una sola religione, in quanto c‘è il rischio che degeneri in dispotismo. Anche la compresenza di due religioni porta all‘intolleranza e ad un‘eccessiva rivalità, inesistente qualora vi fossero nello stesso paese molte confessioni differenti tra di loro. Tuttavia oggi sono molti i casi di razzismo dovuti a quella che Umberto Eco definisce «intolleranza bestiale». Questo tipo di intolleranza si differenzia da quella dottrinale, che nel corso della storia ha assunto le forme della persecuzione degli eretici, della caccia alle streghe, delle dittature totalitarie. L‘intolleranza bestiale, però, è più difficile da combattere, perché non ha un fondamento culturale, ma ―animale‖ e primitivo.

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BOGGIANI BOGGIANI BOGGIANI

MIGRAZIONI Cosa sono le migrazioni? Le migrazzioni umane sono spostamenti di individui, gruppi o masse da un luogo ad un altro, quando tali spostamenti possiedono i caratteri dell‘eccezionalità, della permanenza, almeno relativa, nel luogo d‘arrivo e della relativa distanza, che porta con sè lo strappo culturale. Le migrazioni, anche quando sono individuali, si inseriscono in un flusso, dando al fenomeno una carattere di coralità. Le migrazioni sono legate in primo luogo a bisogni primari e si può supporre che si siano sempre verificate. Le migrazioni sono molto difficili da studiare e classificare, per l‘enorme varietà di stimoli e motivazioni che induco un individuo a lasciare la sua patria. Si possono classificare a seconda della durata della permanenza in un Paese straniero; possono essere stagionali, tipiche di società contadine povere; temporanee, che durano meno di un anno; o permanenti. Il confine tra migrazioni temporanee e permanenti non è facilmente accertabile, anche perchè le migrazioni temporanee di solito predispongono a un trasferimento permanente. Le migrazioni possono anche essere classificate secondo la distanza; si distinguono migrazioni interne o internazionali. Si suppone che la maggior distanza comporti una cesura più netta, quindi maggiori problemi di inserimento nel nuovo contesto culturale. Volendo approfondire il carattere spaziale, un individuo può compiere una migrazione dalla campagna alla campagna, migrazione propria delle civiltà contadine; dalla campagna alla città, o esodo rurale, la più tipica forma di migrazione del mondo moderno, poichè è caratteristica, insieme alla migrazione da città a città, delle società industriali o in via di industrializzazione; dalla città alla campagna, che può essere indice di una crisi generale, ma può anche indicare, al contrario, il rientro dovuto al successo nel lavoro urbano. Si possono suddividere le migrazioni anche a seconda dei fattori di causa, che possono essere fattori di ―espulsione‖ dal luogo di partenza, dovuto a cause di ordine demografico, economico, naturale, culturale oppure politico-militare, la causa più diffusa nella storia contemporanea; oppure ci possono essere fattori di 100


―attrazione‖ del luogo d‘arrivo, come la ricchezza del Paese, la prospettiva di miglioramento del reddito, la speranza di mantenere intatte le proprie condizioni originarie oppure la decadenza della classe dirigente. Che cosa c‘è alla base delle migrazioni?

Sui fenomeni migratori sono state date da sempre valutazioni contrastanti. Secondo un‘ottica liberista, le migrazioni rispondo all‘esigenza di un‘ottimale allocazione delle risorse umane e rappresentano uno sfogo all‘eccedenza demografica o un‘alternativa alla miseria e alla fame. Secondo altri, si tratta per lo più di espulsioni violente, talora di conseguenze di selvagge ristrutturazioni capitalistiche o di uno sviluppo distorto che comportano in ogni caso enormi costi umani, la degradazione del paesaggio dei luoghi di partenza quando c‘è un abbandono definitivo, l‘invecchiamento della comunità di partenza, quando, come spesso accade, sono le forze giovani ad andarsene, l‘aggravamento degli squilibri internazionali a favore dei Paesi più sviluppati. Queste due tesi economiche si potrebbero ricondurre a due problematiche sociobiologiche, antropologiche. Da una parte il riconoscere che l‘ingradimento del pool genico porta ad un possibile miglioramento delle possibilità di sopravvivenza di lungo periodo; dall‘altra la volontà, opposta, di garantire ai propri discendenti, ovvero ai propri geni, le migliori condizioni senza dover dividere con altri le ricchezze del proprio clan. I termini emigrazione ed immigrazione non esprimono solo il senso del movimento migratorio, ma comprendono problemi specifici e sono riferiti alla sola epoca contemporanea. Le questioni connesse con lo spostamento di masse umane in cerca di migliori condizioni di vita sono complesse e, in larga parte, le conoscenze che se ne hanno tendono a basarsi su rilevamenti statistici. Parlando di uomini, però, la prospettiva storica, economica e sociale dovrebbe prendere il sopravvento sui dati statistici. L‘uomo non è solo l‘elemento di una serie numerica, un‘espressione statistica giustificata dalla vastità del fenomeno e dalla necessità pratica di un‘analisi sintetica, ma un essere vivente che, di fronte alle leggi dell‘economia e agli schemi della sociologia, afferma i diritti connessi alla sua libertà e alla sua natura individuale. La scelta di un individuo di migrare, quindi, non può essere ricondotta solamente a un calcolo di utilità, di pura convenienza. Storia delle migrazioni Dal 1800 al 1930 circa quaranta milioni di europei sono emigrati verso altri continenti. E‘ stato questo, a tutt‘oggi, il fenomeno migratorio più intenso ed esteso di tutta la storia. Lo spostamento di una massa così ingente di uomini è stato assai utile sia all‘economia europea, sia a quella degli Stati verso i quali esso era diretto. In Europa infatti l‘industrializzazione aveva dapprima richiamato grandi masse dalle campagne alle città, poi con il ricorrere delle crisi economico-produttive, soprattutto dalla seconda 101


metà dell‘Ottocento, l‘industria europea cominciò a produrre masse di disoccupati e grandi aree di povertà. L‘emigrazione fu anche stimolata dall‘industrializzazione accelerata degli Stati Uniti e dalla colonizzazione di vastissime terre vergini negli Stati Uniti stessi, in Canada, in Argentina e in Brasile. In linea generale si può affermare che, nei paesi che compirono il decollo industriale negli ultimi decenni dell‘Ottocento, il forte incremento demografico e l‘emigrazione furono fenomeni tipici della fase di passaggio da una struttura prevalentemente agricola ad una prevalentemente industriale e che l‘emigrazione si esaurì quasi del tutto quando l‘industrializzazione giunse ad un livello tale da determinare un forte assorbimento di manodopera e poi una notevole diminuzione del quoziente di natalità; invece nei paesi che hanno avuto uno sviluppo industriale tardivo e insufficiente il forte incremento demografico è continuato molto più a lungo e così pure l‘emigrazione, che in parecchi di essi ha tuttora dimensioni assai notevoli. Verso la fine del secolo il flusso migratorio si intensificò ulteriormente coinvolgendo l‘Europa orientale e meridionale, ossia i paesi slavi, la penisola iberica e l‘Italia. Soprattutto dopo la seconda guerra mondiale l‘esaurimento del fabbisogno di forza lavoro per lo sfruttamento del suolo e del sottosuolo, il raggiungimento della maturità tecnologica, che abbassò la domanda di manodopera non qualificata, nonchè misure politiche di contenimento hanno arrestato il flusso migratorio, che da intercontinentale è diventato prevalentemente intraeuropeo. Migrazioni interne all‘Europa ci sono state durante tutto l‘Ottocento, stimolate prima dalla ristrutturazione agricola, in seguito dalla costruzione di opere pubbliche e di ferrovie, poi dal fabbisogno di operai nelle aree specializzate. Le direzioni sono state da Sud a Nord e da Est a Ovest.

Migrazioni verso l‘Europa

Dopo la seconda guerra mondiale, a causa di un incredibile aumento della popolazione, la direttrice principale dell‘emigrazione è diventata quella che corre dal Sud al Nord del pianeta, ovvero, da quei Paesi un tempo definiti Terzo e Quarto mondo, e nei quali si è verificato la maggior parte dell‘incremento demografico, a quei Paesi, gli Stati Uniti e l‘Europa occidentale, che oggi detengono la maggioranza della ricchezza mondiale e offrono quindi maggiori opportunità di lavoro e di benessere. Ciò che spinge tante persone a migrare è una combinazione di fattori di repulsione, come la miseria, la guerra, i conflitti interetnici e le persecuzioni politiche e religiose. Inoltre la domanda di lavoro nei Paesi sviluppati è ampia per quanto riguarda i lavori manuali che non necessitano di particolari qualifiche. Quest‘ultima si deve all‘invecchiamento della popolazione e al rifiuto, da parte dei giovani, dei lavori manuali, visti come poveri e degradanti. Il bisogno di manodopera, che porta alle migrazioni da reclutamento attivo, è uno dei maggiori motivi di attrazione dei Paesi di arrivo degli emigranti. Una seconda famiglia 102


di progetti migratori è legata all‘avvio di imprese, come i negozi alimentari etnici, i ristoranti di varie nazionalità, gli esercizi commerciali per telefonare nei Paesi d‘origine o per trasferire denaro. In Europa si trovano anche giovani che hanno lasciato il loro Paese natale per motivi di studio, forse uno dei motivi di attrazione meno ricordati, ma comunque consistente. Un altro causa di emigrazione che non riguarda la povertà è la ricerca di un asilo politico. Dopo le prime ondate migratorie, un‘altra causa di migrazione è stata il ricongiungimento famigliare. Il Nord del mondo oscilla tra un‘accoglienza dettata spesso dalla necessità di ottenere manodopera a basso costo, e preoccupanti rigurgiti di xenofobia. Per questo l‘atteggiamento dell‘Europa, verso la quale convergono simultaneamente diversi flussi migratori, nei confronti dei migranti appare contraddittorio: soprattutto nei momenti di tensione sociale, essi diventano un problema di ordine pubblico; quando le acque sono più calme, invece, i migranti diventano una risorsa economica. L‘emigrazione trasforma la società, la cultura e l‘economia del paese che accoglie: la gestione dell‘integrazione si pone come la principale questione del futuro. Dopo aver affrontato ondate migratorie che spopolavano i Paesi europei, gli stessi Paesi europei si trovano ora nel ruolo di Paese ospite. In teoria, avendo visto e conosciuto ogni aspet103


to del problema il popolo europeo dovrebbe essere il popolo più capace di comprendere la dinamica dei flussi e, quindi, gestirla nel modo più umano ed opportuno. Ma, forse, solo in teoria.

L‘Unione Europea e l‘accordo di Schengen

Le disposizioni dell‘accordo di Schengen prevedono l‘abolizione dei controlli alle frontiere interne degli Stati membri facenti parte dello spazio Schengen, norme comuni sui controlli alle frontiere esterne, una politica comune relativa ai visti e disposizioni complementari in particolare nell‘ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale. La conseguenza più evidente delle disposizioni di Schengen per le persone è che non sono più tenute a mostrare il passaporto quando attraversano i confini tra gli Stati membri dello spazio Schengen. Ciò non significa però che viaggiare all‘interno dello spazio Schengen sia come viaggiare all‘interno di un unico Stato membro per quanto riguarda il possesso di un documento di viaggio o di identità. È la legislazione di ciascuno Stato membro che determina se una persona deve portare con sé tale documento. Attualmente tredici Stati membri dell‘Unione Europea, Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia, nonchè la Norvegia e l‘Islanda applicano pienamente le disposizioni dell‘accordo di Schengen. I dieci nuovi Stati membri dell‘Unione Europea, Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia, non sono ancora membri a pieno diritto dello ―spazio Schengen‖, poichè i controlli tra i vecchi e i nuovi Stati membri saranno mantenuti fino a che il Consiglio dell‘Unione Europea deciderà che sono soddisfatte le condizioni per abolire i controlli alle frontiere interne. Tuttavia, sin dalla data di adesione, essi applicano una parte dell‘accordo di Schengen, in particolare nel campo della cooperazione giudiziaria e di polizia e del controllo alle frontiere esterne. Gli Stati membri dell‘Unione Europea che restano al di fuori dello ―spazio Schengen‖ sono il Regno Unito e l‘Irlanda, che hanno scelto di mantenere i controlli alle frontiere con gli altri Stati membri dell'Unione Europea, anche se sono autorizzati ad applicare alcune disposizioni sulla cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale. Anche la Svizzera ha deciso di far parte dello ―spazio Schengen‖. Ciò significa che fra alcuni anni scompariranno i controlli delle persone alle frontiere. La Svizzera avrà lo stesso status di paese associato della Norvegia e dell‘Islanda, che non sono membri dell'Unione Europea. Chi è cittadino di un paese membro dell'Unione europea ha il diritto di recarsi in tutti gli altri paesi dell'Unione senza dover assolvere formalità particolari. E‘ sufficiente essere muniti di una carta d‘identità valida. Il diritto di viaggiare può essere limitato solo per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. Pertanto, il 104


diritto di viaggiare non dipende dalla situazione personale del cittadino: questi ha diritto a viaggiare in tutto il territorio dell‘Unione indipendentemente dal motivo del viaggio, professionale o privato. I cittadini dell‘Unione Europea non devono più presentare il passaporto quando attraversano le frontiere fra gli Stati membri dello ―spazio Schengen‖. Tuttavia, questi Stati si riservano il diritto, in conformità alla loro legislazione nazionale, di effettuare controlli d‘identità su tutto il loro territorio nell‘ambito delle funzioni di polizia. Chi è cittadino di un Paese non appartenente alla comunità può entrare e viaggiare nel territorio degli Stati membri che applicano pienamente le disposizioni di Schengen per un periodo massimo di tre mesi, a condizione che soddisfi le condizioni di entrata stabilite nell‘accordo di Schengen, cioè che sia in possesso di un documento di viaggio valido; che sia in possesso di un visto di soggiorno di breve durata, se richiesto; che possa giustificare lo scopo del viaggio; che disponga di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e per il ritorno; non essere identificato come pericoloso per l‘ordine pubblico di un Paese membro. Oltre i tre mesi di soggiorno il cittadino extraeuropeo deve richiedere un visto di soggiorno o un permesso di soggiorno. Ciascuno Stato europeo ha una sua legislazione riguardo a visti e permessi di soggiorno. Nel 2001 il Consiglio dell‘Unione Europea ha adottato un regolamento nel quale sono elencati i Paesi extraeuropei i cui cittadini devono richiedere un visto di soggiorno di beve durata per poter passare le frontiere dell‘Unione. Ciò significa che tutti gli Stati membri dello ―spazio Schengen‖ rilasciano visti alle stesse condizioni, tenendo conto degli interessi di ciascuno di essi. Un visto rilasciato da uno Stato membro è valido quindi anche per gli altri, il che costituisce una facilitazione per i cittadini dei paesi terzi che desiderano visitare più di uno Stato membro dello spazio Schengen. In base all‘accordo di Schengen un permesso di soggiorno di lunga durata valido per uno Stato membro dello ―spazio Schengen‖, insieme a un documento di viaggio, può sostituire un visto. Quindi un cittadino di un paese terzo che presenta il proprio passaporto e un permesso di soggiorno rilasciato da uno Stato membro dello ―spazio Schengen‖ è autorizzato a recarsi in un altro Stato membro per un breve soggiorno senza avere un visto. Tale equivalenza non si applica per i permessi di soggiorno rilasciati nel Regno Unito e in Irlanda, poiché questi paesi non applicano le disposizioni dell‘accordo di Schengen.

La legislazione sugli immigrati in Europa

Non esiste, nei Paesi dell‘Unione Europea, un quadro normativo omogeneo in materia di immigrazione, in quanto ogni Paese ha adottato una propria specifica legislazione. In Francia risiedono 3,3 milioni di stranieri, molti dei quali però non sono immigrati per ragioni lavorative, ma politiche. A questo scopo, per l‘ingresso è sufficiente il visto che 105


va riconfermato ogni tre mesi. Gli arrivi di clandestini via mare sono pressochè inesistenti, mentre invece viene concesso uno speciale soggiorno di passaggio a chi transita attraverso l‘Eurotunnel sotto la Manica. La concessione dei permessi di soggiorno è competenza dei prefetti. In Spagna risiede un milione di stranieri, destinati per lo più a soddisfare la domanda di manodopera a basso costo, destinata ai lavori maggiormente usuranti. La Spagna si trova ad affrontare le problematiche derivanti dall‘arrivo di masse di clandestini via mare, facilitato dalla vicinanza della costa africana. E‘ stata adottata una legislazione che stabilisce quote annuali di accessi e rimpatri coatti per l‘eccedenza. Per i clandestini scatta l‘espulsione immediata e, nel caso in cui un‘azienda li assuma, rischia anche multe pecuniarie. Sono 2,2 milioni gli stranieri residenti in Gran Bretagna. La forte ondata migratoria determinata da ragioni lavorative si è avuta già in anni passati, mentre oggi gli stranieri in arrivo sono interessati molto spesso a un asilo politico. Una delle caratteristiche della legislazione inglese è quella di prevedere la non esecutività della mancata accettazione di una richiesta di soggiorno, nel caso in cui fosse presentato ricorso. La qual cosa, con i tempi giudiziari, consente allo straniero un soggiorno ―non regolare‖ anche di qualche anno. Si tratta però di un aspetto duramente contestato e che il Parlamento si accinge a rettificare. Con 7,3 milioni di stranieri la Germania è sicuramente il primo Paese per numero di immigrati in Europa. Anche qui i flussi migratori in entrata risalgono a qualche anno fa, ragion per cui oggi si battono strade specifiche per regolare gli accessi in relazione a particolari esigenze del mercato del lavoro. Per esempio, sono stati conclusi appositi contratti collettivi per accogliere lavoratori specializzati nel settore informatico, provenienti dai Paesi con una tradizione formativa in tal senso, soprattutto Romania e India. Oppure si è ricorsi a contratti stagionali molto puntuali per limitare gli accessi clandestini dalla Polonia, che statisticamente sono i più numerosi. Altro aspetto peculiare della legislazione tedesca, peraltro già presente in quella della vicina Austria, è relativo all‘obbligo per gli stranieri residenti di frequentare dei corsi di lingua tedesca. L‘Italia ospita circa 4 milioni di immigrati regolari ed un numero imprecisato, da alcuni stimato fino ad 1 milione, di immigrati irregolari o clandestini. Negli ultimi 10 anni sono state promulgate diverse leggi con lo scopo di regolamentare i flussi migratori in entrata. La legge attuale, approvata nel 2002, la cosiddetta ―Bossi-Fini‖ dai nomi dei primi firmatari, cerca di legare strettamente la possibilità di ingresso nel paese ad un contratto di lavoro, con l‘introduzione di un sistema di quote massime di accessi, le cosiddette ―quote flussi‖, stabilite annualmente dalla Conferenza Stato-Regioni. Il permesso di soggiorno viene rilasciato per una durata, rinnovabile, di due anni, solo allo straniero in possesso di un regolare contratto di lavoro. Il flusso migratorio viene cosi, almeno in teoria, gestito dalle Ambasciate della Repubblica che cercano di soddisfare le necessità di mano d‘opera delle imprese italiane concedendo dei permessi di soggiorno vincolati 106


ad un preciso contratto. L‘immigrazione clandestina viene combattuta con l‘espulsione forzata o la permanenza forzata in appositi centri di raccolta. Lo straniero in regola con i permessi di soggiorno può richiedere di essere raggiunto dal coniuge o da figli minori; quest‘idea di ricongiungimento familiare è volta alla stabilizzazione sociale e al miglioramento delle condizioni di vita. Da anni e‘ in discussione l‘estensione del diritto di voto, per le sole elezioni amministrative, agli stranieri residenti regolarmente da più di cinque anni.

Integrazione e xenofobia La xenofobia è un‘avversione indiscriminata nei confronti degli stranieri. E‘ un elemento che caratterizza tutte le civiltà dai tempi dell‘antica Grecia. Nelle società antiche lo straniero era un nemico per definizione, poteva essere depredato e privato della vita. Il presupposto era l‘idea dell‘umanità divisa in comunità separate, ostili l‘una verso l‘altra. Lo straniero è sempre stato sospettatto di portare con sè gli strumenti per far ―saltare in aria‖ l‘identità del Paese in cui sbarca. Sarà sempre mal visto e mal considerato in ogni epoca e Paese. Quest‘avversione per lo straniero porta molti a sentire minacciata la propria sicurezza. Non sentirsi al sicuro è spesso più il prodotto di una percezione psicologica che non il riflesso di una condizione obiettiva. È fisiologico che la presenza dello straniero metta in crsi la popolazione del Paese in cui egli si insedia: proprio perché mancano un terreno comune su cui fondare un‘intesa e la conoscenza del retroterra da cui egli proviene, ciò che nasce immediatamente e spontaneamente di fronte allo straniero è la paura. Il senso di insicurezza sociale è spesso acutizzato da eventi di cronaca che colpiscono particolarmente la pubblica opinione e nello scarto tra realtà e percezione giocano un ruolo decisivo i mezzi d‘informazione. I titoli dei giornali, i servizi televisivi, l‘enfasi che i rappresentanti di alcune forze politiche pongono su determinati pericoli sociali hanno l‘effetto di generare allarme e di provocare, a volte, vere e proprie forme di psicosi collettiva. Le paure che agitano la pubblica opinione orientano le scelte di molti esponenti politici che prendono provvedimenti sulla spinta dell‘ondata emotiva e, in questo modo, la giustificano. Così, anche le forze che dovrebbero avere maggiore sensibilità per i problemi sociali, anziché concentrare gli sforzi per sviluppare politiche di accoglienza e favorire l‘integrazione degli stranieri, migliorando così il loro rapporto con le comunità locali, si preoccupano di non lasciare agli avversari politici il primato nel campo degli interventi repressivi. Se i rapporti sociali fossero perfettamente equilibrati, la parola straniero sarebbe oggi una parola neutrale, priva di significato discriminatorio. Ma, in realtà, esiste una distinzione radicale tra lo straniero regolare e quello irregolare. Consultando costituzioni e convenzioni internazionali, si trae l‘idea che esiste un ordinamento sopranazionale dove 107


almeno un nucleo di diritti e doveri fondamentali è riconosciuto a ogni essere umano, per il fatto solo di essere tale, indipendentemente dalla terra e dalla società dalle quali proviene. Questi diritti fondamentali sembrano non valere per lo straniero irregolare che, con la costante paura di un rimpatrio coatto da parte dello Stato o addirittura delle stesse organizzazioni criminali che hanno organizzato il suo viaggio, nel quale molto spesso i migranti rischiano la morte, molto spesso cade nelle mani di criminali che lo costringe ad attività illecite. Oltre alla distinzione fra straniero regolare e non, c‘è anche una distinzione basata sulle differenze fra la terra da cui proviene e quella dove arriva. Più le tradizioni, la religione, i costumi della civiltà di appartenenza assomigliano a quella che lo accoglie, più sarà facile per lo straniero inserirsi nella comunità. Ma con i flussi migratori verso l‘Europa di questi anni stanno arrivando individui che hanno usi e costumi diametralmente opposti a quelli europei. E da questo nasce la diffidenza. I processi di integrazione sono complessi e difficili da governare. Eppure, la strada dell‘integrazione è la sola percorribile: l‘ONU definisce l‘integrazione un processo progressivo verso la partecipazione attiva delle persone immigrate alla vita del loro nuovo paese di residenza. Questo processo si dovrebbe incanalare nell‘alveo del pluralismo culturale, che può diventare multiculturalismo, allorché la coabitazione tra le diverse culture si fonda sulla tolleranza, oppure interculturalismo, quando l‘integrazione avviene in modo vantaggioso e arricchente per i soggetti che vi prendono parte.

Come favorire l‘integrazione nell‘Unione Europea Prima di andare ad analizzare il problema di come favorire l‘integrazione fra cittadini extraeuropei ed europei ritengo ci si debba occupare di come favorire l‘integrazione fra i cittadini dell‘Unione Europea provenienti da Paesi diversi. Quello che trovo manchi davvero all‘Unione Europea e al concetto di ―cittadino europeo‖ è la partecipazione dei cittadini. Infatti, per quanto si sappia che il proprio Paese fa parte dell‘Unione Europea, non ci si sente davvero europei. Gli italiani continuano a sentirsi italiani, i francesi francesi e così via, con i relativi pregiudizi sulle caratteristiche degli altri popoli europei. Il primo passo, quindi, dovrebbe essere eliminare questi pregiudizi. Cercare di andare oltre a delle concezioni così radicate nel tempo implica un processo lungo e che soprattutto deve partire dalle nuove generazioni. Infatti, non si deve mirare a togliere i pregiudizi dalle menti delle persone, ma a non farli nascere del tutto. Questo con un programma di educazione alla cittadinanza europea, che si potrebbe far diventare, nel corso degli anni, un programma di educazione alla cittadinanza globale, che parta dalla scuola primaria. Questo processo di creazione di una consapevolezza europea non lo concepisco volto alla creazione futura di un grande Stato europeo, ma piuttosto alla creazione di un clima di collaborazione fra i popoli di tutt‘Europa, un allargamento di 108


quelle condizioni che si erano create ai tempi dell‘Umanesimo e dell‘Illuminismo, quando gli intellettuali di tutti i Paesi collaboravano pacificamente per lo sviluppo delle arti e delle scienze, pur restando ognuno nei loro forti Stati nazionali. Allargamento nel senso che questa collaborazione non deve essere più limitata a un‘élite, ma estesa a tutto il popolo europeo. Lo stesso meccanismo si potrà poi applicare per rimuovere i pregiudizi verso le popolazioni extraeuropee che arrivano nei nostri Paesi. Data la maggiore diversità, non arrivando la maggior parte di loro dalle stesse tradizioni giudaico-cristiane, questo processo sarà più lungo, ma non impossibile. Oltre a questi programmi educativi, passando all‘atto pratico di accoglienza degli immigrati, formulerei delle proposte che mirano meno ai principi, ma piuttosto a determinare cosa devono fare i singoli Stati quando degli immigrati oltrepassano i loro confini nazionali. Migliorerei prima di tutto le condizioni e l‘efficenza dei centri di accoglienza, in modo che siano in grado di ospitare tutti coloro che arrivano nel Paese. Date le condizioni in cui vivono nei loro Paesi d‘origine, dove spesso mancano le più elementari condizioni igieniche, suggerirei una visita medica effettuata subito dopo il loro arrivo a tutti gli immigrati, in modo che possano ricevere tempestivamente le cure adeguate. Il periodo trascorso nei centri di accoglienza, inoltre, dovrebbe essere abbastanza lungo, circa due mesi, durante i quali agli immigrati dovrebbero essere insegnati i rudimenti della lingua e delle leggi del Paese. Alla fine di questo periodo, penso si dovrebbe far sostenere ai nuovi abitanti del Paese un piccolo ―esame‖, come viene già fatto in alcuni Paesi europei, di lingua e di diritto. Credo che se i governanti di un Paese proponessero queste idee al popolo, alcune persone si chiederebbero perchè bisogna fare tanti sforzi per delle persone che non sono cittadine di quel Paese. A questa domanda risponderei prendendo ad esempio quello che penso sia lo Stato con il maggior numero di etnie: gli Stati Uniti d‘America. Gli USA sono il simbolo della forza e del dinamismo economico e una delle più grandi potenze del mondo. Secondo me questo ―melting pot‖, come dicono gli americani, è stato una delle cause che ha determinato il successo degli Stati Uniti come superpotenza. La collaborazione e in parte la fusione di usi e costumi tra i più diversi; l‘avere sotto gli occhi colori, sapori, odori da tutto il mondo ha aiutato a creare questa società dinamica favorendone anche la creatività, non soltanto intesa in senso artistico, ma anche, per fare un esempio, quella che serve per creare cose come ―Google‖ o la ―Coca Cola‖. Inoltre, se si riesce a raggiungere l‘integrazione di tutte le etnie presenti in uno Stato si liberano i cittadini di quello Stato dalla paura del diverso, che fa da freno allo sviluppo, come la multietnicità ne fa da propulsore. Aprendosi alla conoscenza dell‘altro si potrà trovare un po‘ più di armonia e magari anche di pace.

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Bibliografia Marchese, Mancini, Greco, Assini, Stato e società, La Nuova Italia, 2004, Firenze Enciclopedia del Novecento, volume IV, Presidente Giuseppe Alessi, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, 1979, Roma G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna VI, 1871-1896, Feltrinelli, Milano 1978 Alan Wolfe, Immigrazione, la sfida della società aperta, la Repubblica, 31 luglio 2007 Gustavo Zagrebelsky, Lo straniero che bussa alle porte dell’Occidente, la Repubblica, 13 novembre 2007 Tahar Ben Jelloun, Noi, ospiti di un’Europa che ci vede con sospetto, la Repubblica, 13 novembre 2007 Enzo Bianchi, La paura fa stranieri, La Stampa, 13 aprile 2008 -Asher Colombo, Giuseppe Sciortino, Perchè sono arrivati: i progetti migratori -Alessandro Dal Lago, Qualcuno da odiare e da discriminare -Saskia Sassen, L’immigrazione contemporanea -it.wikipedia.org -it.encarta.msn.com -www.repubblica.it

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CONTARTESE CONTARTESE CONTARTESE

CRISI La crisi economica mondiale è da tempo al centro del dibattito internazionale. La sua gravità e soprattutto la sua estensione hanno profondamente scosso l'intero scenario economico e mobilitato i Paesi per trovare soluzioni e ristabilire la situazione. Politici di tutto il mondo e di tutti gli schieramenti chiedono accordi comuni fra gli Stati per superare questa grande crisi, consci del fatto che solo la collaborazione internazionale potrà dare benefici. Questo disastro economico, il ―fallimento del capitalismo‖, è stato più volte annunciato, e sicuramente non è stato un tracollo senza preavviso. Cosa ha portato alla crisi, come ci si è arrivati, cosa si è fatto (e non si è fatto) in proposito? Anzitutto bisogna capire cosa sia effettivamente successo. Il punto di partenza è nella gestione dell'economia statunitense, o meglio nelle politiche affaristiche delle banche statunitensi: tutto ha avuto inizio dalla concessione di prestiti a privati, principalmente per scopi edilizi (comprare casa); l'abbassamento del prezzo del mattone spinse le banche a concedere mutui a condizioni mai viste prima, secondo un'ottica tipicamente capitalista. Venivano concessi prestiti a condizioni apparentemente vantaggiose, ma soprattutto senza che ci fossero le garanzie per una restituzione del debito. Probabilmente il sistema avrebbe dovuto funzionare grazie ad un successivo brusco aumento del tasso d'interesse e al conseguente guadagno da parte dei creditori; ma la situazione economica dei debitori non rese più possibile in alcun modo il rifinanziamento dei prestiti. Fin qui si tratta solo di cattive scelte da parte di finanziatori e finanziati, nulla di troppo allarmante. Il problema sorge quando i presunti ricavi dei prestiti, esistenti solo ―in teoria‖ e soprattutto ―in futuro‖ vengono a loro volta rigirati ad altre banche, di altri Stati. Un modus operandi quantomai diffuso nella finanza moderna, in ambito azionistico per esempio, che anticipa i tempi e vuol far circolare i soldi più velocemente di quanto non possano effettivamente fare. La base del moderno capitalismo finanziario, insomma, che crea un pericolosissimo sistema ―domino‖. Gli Stati Uniti, forti del loro strapotere economico, sono da sempre i grandi finanzieri dello sviluppo e prestano somme di denaro a molti paesi, Europa inclusa. E all'alba di una crisi interna tutto il mondo 111


subisce ―l'effetto domino‖: come recita un detto del ventunesimo secolo, «quando gli Stati Uniti starnutiscono il mondo prende il raffreddore». Mancanza di liquidità, diffidenza fra banche, stagnazione dei capitali e quindi crisi del consumo: il complicatissimo impero capitalismo si sgretola sotto il suo stesso peso. Questo è, a grandi linee, quel che è accaduto. Bisogna ora interrogarsi sulle cause e sui presupposti che hanno permesso tutto ciò. Le parti coinvolte sono due: le banche, ovvero i grandi finanzieri, e i consumatori che hanno richiesto i prestiti. L'amministrazione bancaria risponde alle logiche di mercato capitalistiche: compenetrazione fra industria e finanza (capitalismo finanziario), accumulazione di capitali e conseguente monopolizzazione di interi settori produttivi sono fenomeni di cui si discute dall'alba del sistema economico moderno. L'evoluzione del capitalismo, la sua esasperazione potremmo dire, ha causato però un'accelerazione incredibile della circolazione del denaro: denaro non liquido, ma ??virtuale??, che materialmente non esiste se non come pura prospettiva di guadagno. Le banche si sono così ritrovate a prestare ―prospettive‖, non soldi, e la fitta catena di relazioni finanziarie fra gli Stati ha reso questo meccanismo una vera e propria catena. Nel momento in cui un solo tassello fallisce, perdendo quindi ciò che prospettava di guadagnare, il resto della catena risulta scoperto, e crolla anch'esso. Inutile dire che un sistema del genere, pur avendo permesso uno sviluppo incredibilmente veloce, ha basi precarie e si rivela fallimentare, esattamente come nel caso dei prestiti ―subprime‖ statunitensi. Alla luce di queste considerazioni, perchè non è stato fatto nulla per fermare questo meccanismo, ma anzi lo si è incentivato? Il discorso è quantomai spinoso: la possibilità di incrementare i propri capitali, e dunque gli investimenti e lo sviluppo, è importantissima per uno Stato, specialmente all'interno di un contesto complicato come quello odierno, che mette in relazione tutti i paesi fra di loro (globalizzazione) e ne accentua la competizione. Pur intuendo le implicazioni a lungo termine di una politica economica simile i governi hanno fatto, o hanno potuto fare, ben poco per trovare soluzioni alternative e probabilmente meno redditizie, puntando invece su vantaggi a breve termine. La superpotenza statunitense ha potuto esportare il suo ―evoluto‖ capitalismo senza che nessuno volesse opporsi ad esso, con la consapevolezza di poter ambire ad uno sviluppo nel breve periodo. Ovviamente in seguito al tracollo tutti sono corsi ai ripari: alla mancanza di liquidità si sopperisce con finanze statali. Le banche centrali, inclusa la BCE, hanno coordinato le loro azioni per tentare di ammortizzare la caduta e alleviare la crisi, immettendo nei circuiti finanziari un totale di cinquecento miliardi di dollari. Sicuramente è apprezzabile lo sforzo di seguire una linea comune per fronteggiare la crisi, ma è evidente che questa soluzione oltre ad essere estremamente dispendiosa mira soltanto a rimettere in piedi un sistema che, di fatto, ha già fallito. Chiaramente non si possono ―lasciar morire‖ le banche, è necessario mantenere il più possibile un equilibrio che non sconvolga i processi di investimento e sviluppo; ma è anche vero che bisognerebbe prendere atto dei limiti del sistema attuale (o meglio, della sua ipertrofia) e cercare soluzioni alternative. 112


E' necessario ora analizzare l'altro aspetto fondamentale della crisi, l'altra parte coinvolta: i consumatori che hanno richiesto i prestiti. Di per sé la parola ―consumatori‖ richiama un grande spettro del ventunesimo secolo, il consumismo. Se parlando di banche e finanzieri bisogna ragionare sulle logiche di mercato, e quindi sul piano economico, il versante consumatori verte più sul piano sociale. Il consumismo è un fenomeno sempre in maggior crescita nella nostra società e può essere considerato, a tutti gli effetti, ―figlio del capitalismo‖. L'identificazione della felicità personale con l'acquisto, il possesso e il consumo continuo di beni materiali pare essere la naturale conseguenza delle migliori possibilità economiche e del surplus di produzione, per l'appunto, di beni di consumo. Si potrebbe far risalire l'alba del consumismo alla nascita della società di massa, alla fine del diciannovesimo secolo. Il concetto di ―massa‖ è molto particolare: più che come una semplice moltitudine di individui lo si potrebbe definire come un ―fatto psicologico‖: una condizione per cui si compiono scelte o si seguono idee non in base a ragioni speciali, proprie, ma seguendo l'uniformazione col resto del mondo, col resto della massa. L'importanza che viene ad avere la moltitudine, intesa come insieme di rapporti all'interno della società, sul singolo individuo è enorme; in quest'ottica si misura il bene rapportandolo al bene altrui, non alle reali esigenze, e si crea una sorta di omologazione delle persone, conseguenza della creazione di uno ―standard‖ a cui attenersi. Tale rincorsa allo standard è pericolosa: imposta dagli sviluppi economici, tecnologici, sociali, non solo rischia di far prescindere dalle reali necessità, ma costringe ad un continuo rinnovamento dei propri obiettivi, creando un circolo vizioso che di fatto non è altro se non un'implicita competizione fra individui il cui prodotto non è un miglioramento o un progresso, ma semplicemente un ulteriore consumo. Esattamente come il capitalismo, rifacendosi ad un'enunciazione marxiana, ha come scopo la produzione di ulteriore capitale, il consumismo fa da motore alla macchina economica ―creando‖ ulteriore consumo. La compenetrazione dei due fenomeni produce dunque uno sviluppo enorme e, in sostanza, fine a se stesso. Il sistema appena descritto non è però l'unico disponibile. Il problema non è quello della mancanza di alternative, di altri meccanismi economici funzionanti, ma piuttosto lo strapotere dei monopoli capitalistici (si pensi alle multinazionali) che rende la concorrenza insostenibile e fa apparire ogni altro sistema economico meno redditizio. Alcuni esperimenti sono già stati fatti: si pensi al cosiddetto ―banchiere dei poveri‖, Muhammad Yunus, che nel 1976 ha fondato la Grameen Bank. Il suo sistema si basa sul microcredito: prestiti esigui e senza canoniche garanzie di restituzione dati a poveri in vista di investimenti basilari, piccoli progetti soprattutto agricoli, che paradossalmente funzionano; così tentò di spiegarne il motivo ad un direttore di banca sbalordito: «I più poveri dei poveri lavorano dodici ore al giorno; per guadagnarsi da mangiare devono vendere i loro prodotti. Non c‘è ragione perché non vi rimborsino, soprattutto se vogliono avere un altro prestito che consenta loro di resistere un giorno di più. E‘ la miglior garanzia che possiate mai avere: la loro vita!». E' inoltre interessante notare che i finanziamenti 113


vengono rivolti ad attività primarie, tante volte di mero sostentamento. Sono dunque due le novità di questo sistema: la prima riguarda l'entità del prestito, che non causa rischi enormi e grazie anche alla diluizione in piccolissime rate è relativamente facile da restituire, la seconda è l'attenzione per l'essenziale e per le reali esigenze dell'individuo. E' evidente che questo sistema parte dal finanziato, più che dal finanziatore, e soprattutto non lo valuta in quanto ―futuro guadagno‖ ma in quanto persona, fatta di necessità, speranze e volontà. Una sorta di ―economia etica‖ che si stacca in un certo senso dalle tradizionali economie di mercato per agire più secondo il ―socialmente giusto‖ che secondo la prospettiva di guadagno. Questo nuovo modo di vedere l'economia, una più genuina attenzione verso la persona prima che verso i soldi, è senza dubbio un ideale da perseguire. Specialmente nell'Europa odierna, in cui è diffuso ed importantissimo il Welfare State, un ulteriore avvicinamento alla tutela degli individui è l'ennesima conquista dello Stato come insieme di cittadini e non di fiscalismi. Chiaramente il sistema del microcredito non può essere preso così com'è ed inserito in un contesto come il nostro. Di per sé l'idea di un reinvestimento nell'agricoltura non è un male, e con le dovute attenzioni si sposa con la causa ecologista perseguita, almeno ideologicamente, da molti anni a questa parte. Il probelma di fondo sta nella complessità e nella ―grandezza‖ del sistema economico costituitosi, in cui i pesci piccoli vengono mangiati da quelli grandi. La dipendenza economica degli Stati dai grandi monopoli è evidente soprattutto nel campo delle risorse energetiche: palese è il caso del petrolio, il cui costo è aumentato oltre ogni limite ragionevole e nonostante ciò resta la principale energia utilizzata. C'è dunque da chiedersi se per mettere in moto questo rinnovamento dell'economia non sia prima necessario uno stacco con l'attuale sistema di dipendenza dal ―capitalismo ipertrofico‖. Il punto di partenza potrebbe essere per esempio quello delle fonti energetiche: puntare sul rinnovabile è uno sforzo notevole, soprattutto per gli investimenti nelle nuove tecnologie, ma di fatto necessario in vista dell'esaurimento del petrolio; quindi perchè non iniziare ora, accelerando dunque lo stacco dall'industria petrolifera? I vantaggi, specialmente sul lungo periodo, non sarebbero solo economici, ma anche e soprattutto politici. La dipendenza economica si traduce infatti in dipendenza politica, di ―potere‖ potremmo dire, specialmente in questo settore, e solo un'almeno parziale indipendenza può consentire un rinnovamento dell'economia verso un sistema con meno rischi e più sostenibile. Il nuovo presidente eletto degli Stati Uniti, Barack Obama, si è mostrato interessato alle nuove fonti energetiche. L'Europa dovrebbe seguire l'esempio e anzi anticipare i tempi, tentando una quantomeno parziale emancipazione energetica che le consenta una riorganizzazione dell'economia. La linea d'azione deve però ovviamente essere comune: non bastano rinnovamenti limitati a singoli Paesi, ma l'intero blocco enomico deve ―ammodernarsi‖. Si torna dunque al tanto discusso problema dell'unificazione europea: molte tappe, di ordine economico, sono già state completate. E' però necessario non solo mettere in comune le disponibilità finanziarie ma anche impiegarle secondo una logica comune, nuova, che porti all'innovazione e ad 114


uno sviluppo più sostenibile. Una linea d'azione comune non può realizzarsi senza una certa omogeneità ideologica e politica, ed ecco che si torna al discorso dell'unione politica europea, che attualmente manca e dovrebbe invece essere naturale conseguenza di quella economica conseguita in questi anni tappa dopo tappa. Le soluzioni possibili sono due: una cooperazione fra Stati che non si opponga alla sovranità degli stessi ed una scelta federalista che preveda la cessione di parte del potere statale ad un organismo superiore. Attualmente ci si trova nella prima situazione, ed è evidente che tale soluzione è poco efficace perchè troppo blanda: il gran numero di membri dell'UE di fatto paralizza l'azione comune, che deve rispondere delle scelte dei singoli stati. [trattato di Lisbona?] La soluzione federalista è invece vista come troppo drastica ed ambiziosa. Almeno sul piano teorico però è sicuramente la più efficiente: quasi in parallelo con la federazione statunitense una centralizzazione politica che vada oltre al mero formalismo, consegnando di fatto il potere ad una struttura sovranazionale, porterebbe l'Europa a livello di potenza politica oltre che economica: è il punto di partenza per l'emancipazione di cui si parlava prima, condizione necessaria alla riforma del sistema economico attuale. Bisogna dunque porsi il problema della modalità con cui pervenire alla fantomatica Federazione europea: cedere la sovranità nazionale è un sacrificio non indifferente, specialmente a fronte di un guadagno, quello dell'unità politica, solo teorico e il cui raggiungi115


mento non è privo di difficoltà. Tuttavia c'è da ricordare che l'unione economica europea non è partita dall'euro; all'unione monetaria si è arrivati attraverso numerose tappe, diluite nel tempo, che hanno man mano rafforzato ed allargato i legami economici fra Stati. Allo stesso modo bisogna considerare l'unificazione politica come una serie di tappe, e non come la creazione dal nulla di un governo federale europeo. Una soluzione fattibile, o quantomeno realistica, è quella della cosiddetta ―Europa a due velocità‖. Il numero elevato di membri, come già detto, limita l'azione europea richiedendo il consenso da parte di tutti i partecipanti. Se però fosse possibile l'applicazione di provvedimenti anche solo approvati da una parte dei membri, con conseguente esclusione degli oppositori dalla riforma, si potrebbe lentamente e a piccoli passi rafforzare i rapporti fra alcuni Stati: se ne lascerebbero indietro alcuni a favore di una parziale, e a breve termine, unificazione. In un certo senso un meccanismo del genere è già entrato in atto per quanto riguarda l'euro: Gran Bretagna e Danimarca per esempio hanno scelto di non aderire, eppure l'unificazione economica, parziale, è stata realizzata. Stessa cosa vale per il piano politico: iniziare a costituire un blocco consistente che, agendo con linea economica e politica comune, possa avere un certo rilievo in ambito internazionale, oltre che essere un vantaggio per i Paesi in questione funge anche da incentivo per quelli che ancora non sono entrati nel blocco; si punterebbe dunque ad un'annessione graduale di Stati, proprio come è avvenuto per l'unificazione economica, arrivando infine ad un'unità politica di stampo federalista, come nelle proposte attuali ma tramite modalità più sostenibili e meno drastiche. In ambito economico e politico, a livello internazionale, le soluzioni alla crisi e le prospettive per un futuro migliore potrebbero dunque essere queste. L'analisi della crisi però verteva anche sul piano sociale. Il discorso su società di massa e consumismo porta ad una tragica conclusione: la mentalità odierna, assuefatta al capitalismo, immersa in un costante senso di precarietà e necessità di inseguire il benessere, è figlia del sistema economico che ha imperato finora e che da essa trae giovamento. La nostra è una «società liquida», in continuo movimento, in cui la necessità di consumare, senza però ammodernarsi è costante e mina alla base la stabilità della vita sia economica che sociale. La stagnazione del consumo, sempre nuovo ma sempre uguale a se stesso, ha creato un circolo vizioso che pone le fondamenta ideologiche del capitalismo consumistico. Il problema è quindi sociale, è la mentalità attuale che ostacola il cambiamento, in un certo senso. Se da un lato sono necessarie nuove idee in politica, dall'altro bisogna che si diffondano nuove idee nella società. L'economia etica citata in precedenza si basa su una precisa connotazione dell'individuo, inteso come persona nella sua interezza, come centro e fine dello sviluppo economico e sociale: il ribaltamento di questa concezione, che pone il bene materiale ed il suo consumo come fine, incentiva lo sviluppo economico a discapito di quello sociale. Contrario, senza ombra di dubbio, alle conquiste del Welfare State novecentesco. 116


FALETTI FALETTI FALETTI

RAZZA? UMANA! INTRODUZIONE Le immigrazioni, intese come un fenomeno per cui gruppi di persone di certi paesi tendono a trasferirsi in altri, per lo più in modo permanente, non sono certamente un fenomeno recente. Da sempre, nella storia, i popoli delle nazioni più deboli economicamente hanno preferito - o si sono visti costretti - emigrare in Paesi più ricchi per sopravvivere e inviare magari denaro in patria alla propria famiglia. Tuttavia è rilevante anche il caso in cui il trasferimento è causato da motivazione politiche o ideologiche, per cui lo straniero risulta perseguitato o comunque impossibilitato nel godere delle proprie libertà democratiche all‘interno del Paese d‘origine. In questo ultimo caso si preferisce parlare di rifugiato, mentre la parola immigrato può essere riferita a coloro che migrano per ragioni prevalentemente economiche. La differenza tra immigrato e rifugiato così come è stata descritta è conforme alla definizione che ne dà il filosofo contemporaneo J. Derrida, che fa corrispondere la figura del rifugiato con quella del rifugiato politico, minacciato in patria a causa della sua razza, religione o opinione politica. 1 Secondo altre correnti di pensiero, tuttavia, questa divisione dovrebbe essere rivista perché anacronistica. Tutt‘oggi, comunque, al rifugiato politico è riconosciuto nei singoli Paesi europei e anche a livello globale nell‘UE un diritto particolare, il cosiddetto diritto d‘asilo: la Convenzione di Ginevra ha infatti stabilito che nessuno stato contraente espellerà o rimpatrierà un rifugiato in alcun modo verso le frontiere di territori nei quali la sua vita o la sua libertà sarebbero in pericolo a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza ad un determinato gruppo sociale o dell’opinione pubblica. (art. 33) Questo perché le norme del diritto internazionale riconoscono a tutti dei diritti inaliena117


bili e il dovere di tutti gli stati di accogliere coloro che non possono goderne. Purtroppo, però, il problema non si esaurisce nel momento in cui un rifugiato o un immigrato riescono a sfuggire dal proprio stato, ma continua quando questi approdano alle frontiere della loro destinazione, perché è da questo momento che saranno etichettati come ―gli stranieri‖. L‘arrivo di uno straniero entro i confini di uno stato europeo è ancora oggi sentito come un‘intrusione, e quasi mai percepito come l‘opportunità di un arricchimento culturale e personale, oltre che economico. Da sempre, infatti, l‘incontro di due diverse culture si è trasformato in uno scontro in cui una delle due, quando non entrambe, cercano di prevalere, giudicando errate, addirittura immorali, scelte, abitudini, costumi religiosi o personali semplicemente perché diverse da quella consuete. È così che in un Paese dove domina un certo modo di pensare, una lingua, una religione, tutto ciò che è diverso finisce per essere rifiutato. A volte la convivenza è possibile, ma non basta. Anche quella dei ghetti è convivenza, ma non è integrazione.

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A questo proposito Bassam Tibi, filosofo e rifugiato egli stesso in quanto musulmano residente in Germania, parla di una differenza tra multiculturalismo e pluralismo culturale. 2 1: J. Derrida, Cosmopoliti di tutto il mondo ancora uno sforzo, Ed. Cronopio, Napoli 1997 2:Bassam Tibi, Islam chiama Europa, l‘Espresso, 9/10/2003

Come anche Sartori, infatti, il filosofo ritiene che la parola ―multiculturalismo‖ designi una convivenza forzata, dettata dalla faticosa sopportazione dell‘altro, che può portare alla ghettizzazione e che sicuramente non può essere identificata con quel processo di integrazione che risulta essere l‘unica via percorribile per rendere concreta la possibilità di una convivenza pacifica, in cui non esistano più forme di emarginazione che sono alla causa dei più comuni disagi sociali. Per ―pluralismo culturale‖, invece, Bassam Tibi intende l‘accettazione delle differenze come qualcosa di positivo e da non condannare, il rispetto delle culture altrui e la volontà di creare un ambiente neutro, in cui tutti possano ritrovarsi senza sentirsi emarginati. In poche parole, quindi, il pluralismo culturale è tolleranza, mentre il multiculturalismo è accettazione passiva, non basata sul rispetto, ma sulla sopportazione. Parte integrante del pluralismo culturale è la ricerca di basi comuni, prima fra tutti il rispetto dei diritti inalienabili tra i quali il diritto di vivere la propria vita secondo le proprie tradizioni, a patto che questo non sia di danno all‘intera comunità e rispetti le sue leggi. Questo però pone una nuova problematica, poiché le leggi di uno stato dipendono in parte anche dalla tradizione dello stato stesso, che coincide con il popolo che ospita gli stranieri. Bisogna quindi fare in modo che le norme del diritto non siano più semplicemente nazionali, ma abbraccino un contesto di più ampio respiro, nel caso degli stati membri dell‘UE l‘Unione Europea stessa, in modo da creare un contesto il più possibile neutrale e accogliente, in una parola cosmopolita, dove per cosmopolitismo (dal greco kosmos: terra e polites: cittadino) intendiamo una realtà culturale e/o politica in cui non ci siano patrioti e stranieri, ma nel quale ogni uomo in quanto essere umano sia un compatriota della stessa terra che è il nostro pianeta.

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LA SITUAZIONE ITALIANA. L‘Italia, come molti altri Paesi europei, deve da molti anni affrontare il problema dell‘immigrazione, un fenomeno che negli ultimi anni è andato sempre crescendo. Grazie ai mezzi di trasporto odierni, che rendono più agevoli gli spostamenti, è più facile per coloro che hanno la necessità o il desiderio di emigrare raggiungere un Paese europeo, nonostante le nostre coste siano molto spesso meta anche di clandestini, costretti a viaggiare in condizioni precarie, a bordo di barconi sovraffollati, e condannati a vivere in condizioni altrettanto incerte negli stati in cui approdano illegalmente. A preoccupare sono soprattutto i clandestini, che oltre a sovraffollare i centri d‘accoglienza, sono molto spesso oggetto di dure polemiche, in Parlamento come nelle piazze, nelle case e all‘interno dei bar, dove di frequente i cittadini parlano degli stranieri, soprattutto se provenienti da Paesi più poveri, come di ―nemici‖, veri e propri delinquenti, da temere, da non accettare e da emarginare. Se è certamente vero che alcuni di loro, spinti forse dalla necessità, diventano effettivamente un pericolo per la società, non sarebbe comunque giusto conformarsi ad un atteggiamento xenofobo a discapito anche di quelle persone che in Italia vivono secondo la legge, pagando le tasse, arricchendo un Paese che sta progressivamente invecchiando con la disponibilità di una manodopera giovane, oltre che apportando un notevole arricchimento culturale, in un‘epoca, la nostra, caratterizzata da una crescente globalizzazione. Sarebbe più giusto ricercare le motivazioni che sono alla base di quel processo che spinge molti immigrati ad intraprendere la via dell‘illegalità e della delinquenza, e che certamente possono essere ricondotte ad una difficoltà nel processo di integrazione, che li costringe ad una condizione di emarginazione nella quale è difficile essere considerati ―alla pari‖ di un italiano, anche e soprattutto nel mondo del lavoro. Ad oggi, nel nostro Paese, i rifugiati, intesi come detto precedentemente, come gli stranieri impossibilitati ad usufruire delle proprie libertà democratiche all‘interno dei confini della propria nazione, hanno diritto d‘asilo, e la loro permanenza è regolata da apposite leggi. Il primo testo organico italiano in materia di immigrazione può essere considerata la legge n. 40, meglio conosciuta come Turco-Napolitano, rivista e corretta nel 2002 e divenuta la legge n.189 o Bossi-Fini. Nel 2008, infine, dal 27 maggio, è in vigore un decreto legge, quello del Pacchetto Sicurezza, che modifica alcuni articoli della legge Bossi-Fini e lo fa in senso piuttosto restrit120


tivo, suscitando un vivace dibattito politico e riflettendo una situazione preoccupante, quella di un‘Italia sempre più impaurita dalla figura dello straniero, sempre meno disposta ad accettarlo. La legge Bossi-Fini:

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tra le numerose disposizioni di questa legge, le più rilevanti riguardano: Il visto d‘ingresso: sarà vietato l’ingresso a coloro che sono già stati accusati di spaccio di sostanze stupefacenti, di traffico o sfruttamento di minori, di favoreggiamento alla prostituzione e all‘immigrazione clandestina. la carta di soggiorno: verrà rilasciata dopo sei anni di soggiorno nel Paese ospitante, uno in più di quanto stabilito precedentemente. Il permesso di soggiorno: durerà due anni e sarà concesso solo all’immigrato in possesso di un contratto di lavoro, per il quale le ambasciate e il consolato italiano agiranno in qualità di ufficio di collocamento. In caso di perdita del lavoro, lo straniero dovrà lasciare il Paese, pena la condizione di irregolarità a causa della mancanza del permesso di soggiorno. L‘irregolarità: gli irregolari saranno espulsi dalle frontiere nazionali. L’espulsione avverrà in modo tale che lo straniero sia accompagnato sino al momento dell‘imbarco sul mezzo che lo riporterà in patria. la figura del clandestino: clandestino è colui che entra illegalmente nel Paese, senza neppure essere provvisto dei documenti d‘identità. Verrà condotto nei centri di permanenza e trattenuto per un periodo di 60 giorni (non più 30), entro i quali il clandestino deve dimostrare la propria identità, pena l‘espulsione entro 3 giorni (non più 15). Se nonostante questo provvedimento il clandestino ritenterà l‘ingresso nel Paese, tale comportamento sarà considerato reato e punibile con l‘arresto. I falsi matrimoni: il permesso di soggiorno verrà revocato se ottenuto mediante un falso matrimonio con un cittadino italiano; ciò non vale in presenza di figli nati durante il matrimonio. Le impronte digitali: verranno rilevate a coloro che chiederanno il permesso di soggiorno o il suo rinnovamento. La Marina Militare: maggior poter alle navi della Marina per bloccare gli scafi dei clandestini. I datori di lavoro: chiunque favorisca il lavoro di persone prive del permesso di soggiorno sarà punibile con l‘arresto e dovrà pagare una multa, fino a 5000 euro per ogni persona assunta. 121


1: www.lex.iaconet.com Ricongiungimenti: gli extracomunitari potranno richiedere di essere raggiunti solo dal coniuge, dal figlio minore o dai figli maggiorenni, a patto che se ne faccia carico e che queste persone non possano provvedere a se stesse autonomamente in patria. I genitori dell‘immigrato dovranno aver compiuto i 65 anni ed essere privi del supporto dato da eventuali altri figli.

Il Pacchetto Sicurezza: 1 Il pacchetto sicurezza si compone di un decreto legge, di un disegno di legge e di tre decreti legislativi. Il decreto legge stabilisce nuove disposizioni in materia di molteplici argomenti, tra i quali: Espulsioni: gli stranieri privi di permesso di soggiorno, ossia irregolari, saranno automaticamente espulsi se colpevoli di un reato normalmente punibile con due anni di reclusione dalla legge italiana. Affittuari: coloro che affitteranno case “in nero” ad un immigrato saranno punibili con severe sanzioni economiche e l‘arresto fino a tre anni. Incidenti stradali: in caso di guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti o in caso di lesioni gravi alla vittima dell‘incidente, il fatto che a guidare sia un clandestino sarà considerata un‘aggravante.

Il disegno legge prevede novità riguardo: L‘istituzione del reato di clandestinità: coloro che si introdurranno in Italia come clandestini saranno punibili col reato di clandestinità, che prevede l‘arresto in flagranza e il processo per direttissima. L‘espulsione verrà dunque regolata per via giudiziaria e non amministrativa. I Cpt: i centri di permanenza temporanea dovranno essere più numerosi in quanto è previsto l‘aumento del tempo di soggiorno da due a diciotto mesi, in attesa che vengano effettuati il riconoscimento e l‘espulsione. Le agenzie di money transfer: i titolari di esercizi di questo genere o che mettono a disposizione l‘uso di apparecchi telefonici o di collegamenti ad 122


Internet dovranno richiedere la carta d‘identità agli immigrati prima di concedere loro l‘uso dei servizi offerti. l‘adesione al trattato di Prϋm: tale adesione sarà possibile tramite la creazione di una banca data nazionale del DNA. Primo decreto legislativo: riguarda il problema del ricongiungimento famigliare. Riprende le norme già decise con la legge Bossi-Fini, ma prevede la possibilità di ricorrere all‘esame del DNA in caso di dubbia parentela. Terzo decreto legislativo: l’allontanamento dal territorio nazionale è previsto per coloro che commettono reati per i quali è previsto l‘arresto immediato o reati contro il costume e la morale pubblica, oltre che per coloro che non richiedono la carta di soggiorno o non presentano un‘iscrizione all‘anagrafe.

2: www.miolegale.it Risulta evidente che queste leggi denotino elementi di chiusura e facciano pensare ad un trattamento ―diverso‖ riservato agli immigrati quando solo ad essi si chiede di registrare le proprie impronte digitali o quando essere straniero viene considerato un‘aggravante in caso di processo. È altrettanto vero che una legge che regoli l‘ingresso e la permanenza degli emigranti in Italia è certamente necessaria. Tuttavia, l‘Italia, come ogni altro stato europeo, non può non tener conto del fatto che il fenomeno dell‘immigrazione è comune a tutti o quasi gli stati membri dell‘U.E. e pertanto è necessario un intervento, ma non a livello nazionale, bensì un provvedimento che veda l‘Europa unita per fronteggiare un problema comune in modo finalmente risolutivo. Per far sì che questo possa accadere, le legislazioni dei singoli stati membri devono necessariamente uniformarsi, perché ad oggi ogni Paese è ancora libero di decidere in materia di immigrazione ciò che ritiene giusto, o utile, senza che l‘Europa possa intervenire se non con dei richiami. È questo il caso di quanto successo recentemente a proposito della decisione del ministro Maroni di rilevare le impronte digitali ai bambini Rom presenti sul territorio nazionale, provvedimento che ha suscitato le forti critiche del Vaticano, ma soprattutto del commissario europeo per i diritti umani, Thomas Hammarberg, che lo ha giudicato un atto di discriminazione nei confronti di una minoranza, atto quindi che non può che risultare incompatibile con la Convenzione dei Diritti Umani. 1 123


Secondo le parole del commissario, infatti, in Italia questo e altri provvedimenti dimostrano come il Paese non sia ancora riuscito a trovare una soluzione che sia tale al problema dell‘immigrazione, e che pertanto sia costretto a ricorrere a mezzi d‘emergenza col rischio di aumentare l‘atteggiamento xenofobo già esistente e purtroppo crescente a causa della poca severità dei provvedimenti presi contro chi dimostra un comportamento razzista e intollerante. A proposito della decisione di schedare i bambini Rom, Daniel Tomescu, rappresentante della comunità Rom in un quartiere di Bari, commenta, insieme ad altri Rom: I nostri figli studiano tutti - continua Tomescu - in questo campo ce ne sono più di 40, prendere le impronte digitali a un bambino minorenne è una violazione della sfera personale. Certe cose succedevano 60 anni fa in guerra, nei ghetti e nei lager tedeschi […]Queste cose succedono solo in Italia - continua Tomescu - Vogliono a tutti costi che tra i bambini nasca un sentimento di razzismo, sono loro con queste regole che contribuiscono alla xenofobia […] hanno tutti le carte di identità, perché adesso vogliono le impronte digitali? […]siamo una comunità integrata, facciamo parte di Bari, della Puglia e dell' Italia. 2 Più in generale, l‘Italia è stata fortemente criticata dall‘Unione Europea a causa delle misure previste dal Pacchetto sicurezza, in particolare per quanto concerne l‘introduzione del reato di clandestinità e la decisione di considerare la condizione di straniero irregolare un aggravante nel momento in cui questo commette un reato. 3 Inoltre, le polemiche hanno riguardato anche la fretta con cui l‘Italia si è apprestata ad approvare la legge 133/2008, introducendo ulteriori modifiche in materia di immigrazione e riguardo la condizione di straniero in senso lato, comprendente quindi anche i cittadini dell‘UE. Secondo alcuni studiosi, infatti, tale provvedimento potrebbe discriminare i cittadini degli stati membri più degli extracomunitari presenti sul territorio nazionale in maniera irregolare.

1: Nomadi, l’UE contro l’Italia, Maroni: accuse infondate., la Repubblica, 29/07/2008 2: Camilla Povia, I Rom: impronte ai bambini come nei lager, la Repubblica, 28 giugno 2008. 3: www.aduc.it 124


LA SITUAZIONE IN EUROPA Tutte queste problematiche rendono evidente come all‘interno dell‘Unione Europea gli stati siano ancora profondamente divisi, in quanto nessuno è ancora disposto a cedere parte della propria sovranità e a consegnarla nelle mani di organismi comunitari, in grado di prendere decisioni valide in ogni stato allo stesso modo. Manca quindi, in Europa, una legislazione comune che permetta di fare chiarezza e di appianare le divergenze, proprio per evitare contrasti come quello avuto col governo italiano. Questo avviene a cause della conformazione stessa assunta dall‘UE, un organismo a metà tra la forma della confederazione e quella della federazione. Per confederazione si intende un‘unione di stati che si riuniscono per prendere delle decisioni comuni, ma mantengono un elevato livello di autonomia e la cui unione non è sovrana, ossia non prevede che essi deleghino parte della loro sovranità ad un organismo sovrannazionale, al contrario di quanto accade in una federazione come quella auspicata da I. Kant nell‘opera ―per la pace perpetua‖. L‘Europa, quindi, sviluppatasi da organismi come la CECA, che si basavano su un‘unione prettamente economica, negli anni è andata sempre più uniformandosi, raggiungendo importanti traguardi come l‘unione doganale o la moneta unica, ma il processo che secondo alcuni dovrebbe portare agli Stati Uniti d‘Europa è lungi dall‘essere concluso, e l‘unione Europea è purtroppo ancora afflitta da divisioni interne. Manca innanzitutto una Costituzione comune, la cui proposta è stata rifiutata con un Referendum dalla Francia, e più in generale manca ancora una coscienza comune che permetta ai cittadini e ai governi europei di superare la reticenza nell‘accettare documenti come la Costituzione o il Trattato di Lisbona, anch‘esso bloccato in un referendum, questa volta dall‘Irlanda. Così come nei singoli stati si registra una contraddizione nel momento in cui un diritto inalienabile come quello dell‘uguaglianza viene riferito solamente ai cittadini, ossia coloro che sono in possesso della cittadinanza, così altrettanto controversa è la questione che gravita attorno al concetto di cittadinanza europea, di cui sono automaticamente in possesso i cittadini degli stati membri: nella mentalità odierna, infatti, non è ancora accettato il concetto di ―essere europeo, cittadino dell‘Europa‖ e non più semplicemente essere cittadino della propria nazione, tanto che, pur avendo una cittadinanza in comune, lo straniero che viene da pochi chilometri oltre i confini dello stato rimarrà sempre tale: uno straniero. È probabilmente necessario accettare che, come in una federazione, i poteri dei singoli stati vengano delegati alle istituzioni comunitarie. 125


Tuttavia, fin che questo non verrà accettato, non si potrà fare altro che cercare di uniformare le leggi dei Paesi membri in modo da renderle più uniformi in vista della necessità di far fronte comune ad un problema che riguarda tutti e da tutti deve essere affrontato. La

necessità

di

un‘unione politica vale non solo nell‘affrontare questo specifico problema, ma anche nel bisogno dell‘Europa di porsi come un unico grande interlocutore, in modo da poter fronteggiare su un piano politico quanto economico le questioni del mondo, dimostrandosi all‘altezza delle altre forze in gioco, come gli Stati Uniti d‘America, forti proprio perché uniti. Una globalizzazione a misura d’Europa […] è condizione essenziale per un’Europa a misura di globalizzazione.1

1: Giustino Trincia, Il cittadino europeo, viaggio attraverso diritti e doveri, CIDE, Roma 2006 Nel caso dei fenomeni migratori, inoltre, l‘Europa unita dovrebbe porsi il problema non tanto di come affrontare il problema, ma di come tentare di risolverlo. 126


Il nostro continente è infatti la meta principale degli emigranti, sia a causa di un‘economia piuttosto florida, soprattutto se confrontata con quella dei Paesi sottosviluppati, sia a causa della sua posizione geografica, con stati come l‘Italia affacciati sul Mediterraneo e quindi facilmente accessibili dalle coste del Nord-Africa così come dai Paesi dell‘est. Dal 2002, si stima che siano entrati in Europa da 1,5 a 2 milioni di persone ogni anno. Su un totale di circa 500 milioni di persone che abitano nei territori dell‘UE, 50 milioni sono gli stranieri, 28 milioni dei quali ancora privi di cittadinanza. 1 Nel caso degli immigrati che giungono nei Paesi più sviluppati per mancanza di denaro non avrebbe senso cercare di chiudere le frontiere o facilitare le espulsioni, perché provvedimenti come questi sarebbero puramente contenitivi e non risolutivi. Chiudendo le frontiere, infatti, l‘immigrato non scompare. Finché nei Paesi d‘origine le condizioni di vita rimarranno pessime, il problema non verrà risolto; solo grazie a piani lungimiranti, che si pongano come obbiettivo a lungo termine quello di migliorare le condizioni di vita nei Paesi sottosviluppati si potrà dare la possibilità ai cittadini di tali stati di vivere all‘interno dei confini nazionali, senza essere costretti a lasciare la propria famiglia, tutto ciò che si conosce e a cui si è legati, per cercare fortuna altrove. Lo stesso vale per la situazione affrontata dai rifugiati: solo quando essi cesseranno di essere perseguitati, solo quando in ogni stato sarà garantito il rispetto delle libertà democratiche che spettano non ad un europeo, ad un italiano, ad un occidentale, ma ad un semplice essere umano, le migrazioni potranno rallentare. Certamente questi obbiettivi, così nobili in teoria, si scontrano con un‘applicazione tutt‘altro che facile. Il fatto che tutto ciò sembri utopico, forse, o che ancora non sia stato realizzato, non toglie che un tentativo vada fatto. Abbiamo una ragione precisa e unificante per sentirci europei, perché crediamo nei diritti umani e sappiamo che non basta proclamarli, ma occorre garantirne l’attuazione per tutti: non solo attraverso l’intervento dei giudici di fronte alla violazione di questi diritti ma, prima ancora, realizzando le condizioni concrete e di fatto perchè tutti e ciascuno possano effettivamente goderne. 2 Nel frattempo, certamente, sono necessarie misure utilizzabili nell‘immediato, che regolamentino l‘entrata e la presenza degli extracomunitari sul territorio europeo, senza che questi vengano per questo motivo trattati come inferiori o ineguali, senza che ad essi vengano negati diritti che sono per definizione ―inalienabili‖. 127


Inoltre, a mio parere, il problema dell‘immigrazione non si dovrebbe discutere solo in Parlamento, ma anche nelle aule scolastiche, nel contesto quotidiano, in modo da raggiungere quel pluralismo culturale basato sulla tolleranza e sul rispetto che deriva dalla conoscenza dell‘altro come di una persona che si trasferisce per necessità, magari senza neppure volerlo, e che non va classificato, etichettato come delinquente. Come in ogni ambito d‘interesse d‘Europa, saranno i giovani a determinare il futuro, che siano essi europei o extracomunitari. Bisognerebbe insegnare ai giovani a non temere l‘altro, e soprattutto a non emarginarlo, perché se un giorno sarà possibile una vera integrazione, forse tutti coloro che oggi si danno alla delinquenza potranno ottenere un lavoro, fare parte della comunità senza odiarla

1: PiemonteEuropa, anno XXXIII, num. 3, settembre 2008 2: Giustino Trincia, Il cittadino europeo, viaggio attraverso diritti e doveri, CIDE, Roma 2006 come se fosse qualcosa di estraneo e di ostile, ricevere un‘istruzione adeguata, e forse potranno vivere nella legalità.

IN CONCLUSIONE Nell’attesa che siano presi provvedimenti per migliorare la situazione politica ed economica nei Paesi da cui fuggono emigranti e rifugiati, è necessario stilare delle leggi europee, valide per ogni stato membro, e fin quando questo non sarà possibile cedendo la propria sovranità alle istituzioni comunitarie, i singoli stati dovranno perlomeno cercare di uniformare la propria legislazione a quella degli altri stati. Forse alla fine, un giorno, sarà proprio l‘emergenza portata dagli emigranti extraeuropei a far sì che inglesi, irlandesi, spagnoli, tedeschi ecc… diventino finalmente europei.

Giorno verrà in cui […] voi tutte, nazioni del continente, senza perdere le vostre qualità peculiari e la vostra gloriosa individualità, vi fonderete strettamente in una unità superiore e costituirete la fraternità europea[…] Giorno verrà in cui non vi saranno altri campi di battaglia all’infuori dei mercati aperti al commercio e degli spiriti aperti alle idee. Giorno verrà in cui i proiettili e le bombe saranno sostituiti dai voti. Victor Hugo. 128


MATINO MATINO MATINO

MEDITARRANEA OSSESSIONE INTRODUZIONE. PANORAMICA GENERALE SULLE RELAZIONI TRANSMEDITERRANEE. Gli spostamenti migratori sono sempre stati una costante non solo nella storia europea, ma anche a livello internazionale. “Volendo attingere dal mito un paradosso, si potrebbe sostenere che Roma antica, e con essa la radice maggiore della civiltà occidentale, abbiano avuto origine dalla straordinaria impresa di un rifugiato proveniente dalla Turchia”. La storia narrata nell‘Eneide da Virgilio infatti, può essere paragonata verosimilmente a quella dei migranti che approdano sulle rive del Mediterraneo, spinti dall‘estrema precarietà della loro situazione ad emigrare dal loro luogo di nascita. Tuttavia, il verso dei flussi migratori non è assolutamente unilaterale, ma anzi, sebbene nei secoli scorsi la via settentrionale era prettamente luogo di imbarco, come nel caso dei 500.000 italiani che emigrarono tra il 1876 e il 1976 verso l‘Africa, contribuendo in questo modo allo sviluppo economico dei paesi nordafricani, negli ultimi decenni si è verificata una sorta di ―inversione di rotta‖ a tal punto che la riva settentrionale è diventata meta di migrazioni di massa. Durante la prima Guerra mondiale ad esempio centinaia di migliaia abitanti delle colonie francesi furono prelevati e arruolati nell‘esercito francese. Successivamente gli immigrati fornirono la maggiore risorsa di manodopera nella fase di espansione industriale post bellica. L‘unico motivo per cui in quel periodo l‘Italia ha potuto fare a meno della manodopera extracomunitaria è perché il Mezzogiorno fungeva esso stesso come un bacino interno di immigrazione. Tra il 1973 e il 1974 tuttavia, a seguito del primo shock petrolifero, gli stati con la maggiore affluenza di immigrati bloccarono il flusso, spingendo l‘immigrazione a trovare nuovi sbocchi ad esempio nell‘Europa meridionale, o nei paesi arabi come la Libia e gli Stati del Golfo. Da quel momento l‘immigrazione viene percepita in Europa come elemento di disturbo dell‘equilibrio sociale, come un problema politico, diventando negli anni seguenti causa 129


di tensione nelle relazioni internazionali, con il conseguente mutamento della gestione, che da promozione e regolamentazione dei flussi migratori in virtù di interessi economici, passa ad un atteggiamento di passivo rifiuto dell‘immigrazione. Tuttavia, fortunatamente alla fine degli anni Ottanta ci si rese conto che un assoluto unilateralismo in materia di immigrazione avrebbe portato ad una progressiva emarginazione del Mediterraneo, e di conseguenza la Comunità delle Nazioni Unite in una conferenza tenuta ad Al Cairo stabilì la necessità di un atteggiamento multilaterale tra le nazioni, per affrontare il problema delle migrazioni irregolari. Il tentativo di adottare una politica multilaterale riguardo alla gestione dei flussi migratori a livello europeo e a livello internazionale è tuttora un obiettivo da raggiungere. Un tentativo di accordi interregionali fu quello della conferenza di Barcellona del 1995, anche se a causa delle divergenze degli obiettivi da parte dell‘UE e dei paesi extraeuropei, il risultato fu una sterile situazione di stallo, in cui si stabilì da un lato la positività delle migrazioni e dall‘altro un‘improduttiva dichiarazione di cooperazione al fine di affrontare il problema dell‘immigrazione clandestina. Infatti, mentre gli stati europei miravano a stringere una stretta cooperazione al fine di eliminare la componente migratoria illegale, gli stati extraeuropei volevano invece garantire la tutela delle comunità emigranti. In seguito al sostanziale fallimento del processo di Barcellona, gli stati membri hanno tentato soluzioni alternative, trattando singolarmente con i paesi di maggiore emigrazione, come nel caso degli accordi con la Tunisia (Bruxelles 17 luglio 1995) che prevedeva un “dialogo periodico [sui] problemi relativi all’immigrazione clandestina e alle condizioni di rimpatrio delle persone la cui situazione è irregolare rispetto alla legislazione di materia di soggiorno e di stabilimento in applicazione nel paese ospite” (art.69, 3°comma, lett.d). Inoltre, un altro esperimento che evidenzia la pressante esigenza di accordi concreti è il Gruppo ad alto livello su asilo e migrazioni (High-Level Working Group on Asylum and Migration con acronimo inglese HLWG), che si è concentrata sull‘analisi dei flussi migratori di sei stati, anche se tuttavia gli stati appartenenti hanno stilato, in un primo momento, Piani d‘azione senza consultare le autorità dei sei paesi considerati, contribuendo così ad accentuare la riluttanza degli stati interessati verso questo genere di accordi. Bisogna tener presente che i flussi di immigrati non sono costanti negli stati europei ma variano da regione a regione. Dunque risulta necessaria e più efficiente una cooperazione nazionale, considerando anche il fatto che l‘Unione Europea non ha quasi alcun peso dal punto di vista politico. Alcuni impegni sono però descritti nella strategia comune dell‘Unione europea per la regione mediterranea, adottata dal consiglio europeo di Feira (giugno 2000): “lavorando a partire dall’acquis del processo di Barcellona […], l’UE si impegna a […]: promuovere la trasparenza e l’affidabilità dei sistemi normativi dei paesi partner al fine di incoraggiare gli investimenti stranieri e di incoraggiare i migranti regolari 130


ad avviare attività in favore del co-sviluppo dei paesi d’origine; assicurare che le norme in materia di trasferimento dei profitti siano liberalizzate e trovare soluzioni per evitare doppia tassazione, specialmente nei confronti dei migranti regolari e dei doppi cittadini; lavorare con i partner mediterranei per affrontare la questione migratoria prendendo pienamente in considerazione le realtà economiche, sociali e culturali che questi ultimi hanno di fronte. Un tale approccio richiede la lotta alla povertà, il miglioramento delle condizioni di vita e delle opportunità d’impiego, la prevenzione dei conflitti, il consolidamento delle istituzioni democratiche e la garanzia del rispetto dei diritti umani; sviluppare un approccio comune per garantire l’integrazione sociale dei cittadini degli stati partner mediterranei che abbiano soggiornato legalmente in uno stato membro per un certo periodo e siano titolari di un titolo di soggiorno a lunga durata, con l’obiettivo di dotarli di uno status giuridico paragonabile a quello dei cittadini europei”. Senza dubbio il progetto era molto ambizioso e prevede una sottintesa difficile cooperazione a livello regionale. Tuttavia oggi sono ancora numerosissimi gli immigrati clandestini, e numerose sono ancora le violazioni dei diritti umani e i casi di sfruttamento della manodopera clandestina, senza contare la crescita degli atteggiamenti discriminatori nei confronti degli immigrati, che di certo non facilitano il difficile processo di integrazione. Infatti è importante comprendere che l‘emigrante del 2008 non si trasferisce per crearsi ―una nuova vita‖ ma bensì diventa protagonista di una realtà transnazionale, in cui l‘ipotesi del ritorno non è mai esclusa. Il presente testo si ripropone di evidenziare un quadro complessivo delle politiche sull‘immigrazione in Italia e in Europa, per poi dedurne delle considerazioni finali che possano essere razionalmente applicate alle future prospettive.

1. SITUAZIONE ITALIANA. 1.1 IL DIBATTITO SULLA LEGGE 133: CAPPATO E PANNELLA INTERROGANO L’UE. Molto recente (5 dicembre 2008) è la critica dei due europarlamentari, Marco Cappato e Marco Pannella, i quali analizzando la legge 133, presentano un‘incongruenza in alcuni provvedimenti che discriminerebbero i cittadini dell‘UE che risiedono su suolo italiano. In particolare non si garantirebbe più ai cittadini comunitari la disposizioni dell‘art. 35, commi 3,4 e 5 secondo cui al cittadino comunitario, o comunque a chiunque ―non italiano‖ spetterebbero tutte le prestazioni sanitarie urgenti o essenziali. 131


La nuova formulazione sopprime tale salvaguardia e consente, per specifiche materie, che il cittadino dell'Unione abbia un trattamento deteriore nell'ordinamento italiano, rispetto al cittadino straniero. Il nuovo 2° comma, infatti, così prevede: “il presente testo unico non si applica ai cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, salvo quanto previsto dalle norme di attuazione dell’ordinamento comunitario”. Infatti il secondo comma della legge 112/08, precedente alla legge 133, rappresentava la clausola che avrebbe garantito al cittadino comunitario una condizione mai deteriore a quella di un cittadino straniero: Il comma 2 dell'articolo 1 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, e' sostituito dal seguente: «2. Il presente testo unico non si applica ai cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, salvo quanto previsto dalle norme di attuazione dell'ordinamento comunitario». Dunque, i due europarlamentari interrogano la Commissione Europea circa la liceità dei provvedimenti italiani che mirano a discriminare i cittadini comunitari vietando i benefici concessi ai cittadini dei Paesi Terzi, ponendosi in contrasto con il diritto comunitario. 1.2 LEGGE BOSSI - FINI. La politica italiana circa la gestione dei flussi di immigrati, provenienti da stati non appartenenti all‘Unione Europea, è regolamentata dalla legge Bossi-Fini approvata in data 4 giugno 2002. Secondo tale legge, ogni immigrato che presenta richiesta per un permesso di soggiorno deve fornire rilievi fotodattiloscopici. Per ottenere il permesso di soggiorno per lavoro subordinato, il datore di lavoro deve farsi garante del lavoratore in ingresso, presentando tutta la documentazione necessaria alla regolarizzazione del soggiorno e dovrà anche garantire un alloggio per lo straniero in entrata, oltre che farsi carico del costo del viaggio di ritorno come sottoscrive l‘articolo 5 bis nei comma uno: Il contratto di soggiorno per lavoro subordinato stipulato fra un datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia e un prestatore di lavoro, cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea o apolide, contiene: a) la garanzia da parte del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica; b) l'impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza. Il permesso di soggiorno dura due anni, se il lavoratore perde il lavoro può iscriversi ad 132


un ufficio di collocamento, almeno fino alla scadenza del permesso. Se entro tale scadenza lo straniero non ha trovato lavoro stabile, sarà espulso dal paese. Annualmente sono determinate le quote di ingrasso, anche se tali determinazioni sono facoltative, cioè e possibile che un anno si decida di bloccare integralmente il flusso: […]sono annualmente definite, entro il termine del 30 novembre dell'anno precedente a quello di riferimento del decreto, sulla base dei criteri generali individuati nel documento programmatico, le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e per lavoro autonomo, tenuto conto dei ricongiungimenti familiari e delle misure di protezione temporanea eventualmente disposte ai sensi dell'articolo 20. Qualora se ne ravvisi l'opportunità, ulteriori decreti possono essere emanati durante l'anno. I visti di ingresso ed i permessi di soggiorno per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale, e per lavoro autonomo, sono rilasciati entro il limite delle quote predette.[…] Coloro che risultano clandestini, privi di documenti di identità, vengono portati in appositi centri di accoglienza dove si cerca di identificarli in 60 giorni al termine dei quali viene intimato di lasciare il paese entro tre giorni. Prerogativa della legislazione italiana è l‘assistenza gratuita ai clandestini, accolti nei Centri di permanenza dove, oltre a coloro la cui identificazione non è riuscita, sono accolti anche coloro che necessitano di essere soccorsi, come descrive l‘articolo 14 nei commi 1 e 2: Quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, perché occorre procedere al soccorso dello straniero, accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all'acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l'indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea e assistenza più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri per la solidarietà sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. 2. Lo straniero è trattenuto nel centro con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità.[…] Lo straniero che dopo l‘espulsione ritorna in Italia, andrà in contro all‘arresto e alla carcerazione. Per quanto riguarda gli scafi che trasportano clandestini, vengono incrementati i poteri 133


delle navi della Marina incaricate di respingere le carrette che trasportano clandestini. Sono inoltre incrementate fino al raddoppio la multe per i datori di lavoro di lavoratori extracomunitari che non possiedono la documentazione in regola (fino a 5000 euro), e rischiano anche dai tre mesi ad un anno di carcere. La carta di soggiorno, che a differenza del permesso, non ha scadenze, necessita di un periodo di soggiorno di sei anni (a differenza della precedente legge Turco-Napolitano), affinché possa essere concessa: Lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato da almeno sei anni, titolare di un permesso di soggiorno per un motivo che consente un numero indeterminato di rinnovi, il quale dimostri di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari, può richiedere al questore il rilascio della carta di soggiorno, per sé, per il coniuge e per i figli minori conviventi. La carta di soggiorno è a tempo indeterminato. Viene inoltre riconosciuto il diritto al ricongiungimento familiare, cioè è possibile per lo straniero regolarmente soggiornante chiedere il permesso di soggiorno anche per il coniuge, i figli minori a carico e i figli che hanno compiuto la maggiore età ma che per motivi di salute non sono in grado di provvedere per sé stessi. Ai sensi degli articoli 18, 19 e 20 viene riconosciuto il diritto di asilo: […] nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un'associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del Procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale. Il rifugiato disporrà di un permesso di soggiorno di sei mesi, che potrà essere prorogato per un anno. Durante questo periodo il rifugiato potrà studiare o lavorare come previsto nel comma 5 dell‘articolo 18: Il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo consente l'accesso ai servizi assistenziali e allo studio, nonché l'iscrizione nelle liste di collocamento e lo svolgimento di lavoro subordinato, fatti salvi i requisiti minimi di età. Qualora, alla scadenza del permesso di soggiorno, l'interessato risulti avere in corso un rapporto di lavoro, il permesso può essere ulteriormente prorogato o rinnovato per la durata 134


del rapporto medesimo o, se questo è a tempo indeterminato, con le modalità stabilite per tale motivo di soggiorno. Il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo può essere altresì convertito in permesso di soggiorno per motivi di studio qualora il titolare sia iscritto ad un corso regolare di studi. Infine, per quanti riguarda i minori non accompagnati da parenti, ammessi da almeno tre anni a progetti di integrazione civile e sociale, gli verrà concesso il permesso di soggiorno dopo il compimento dei diciotto anni, previa garanzia dell‘ente gestore del progetto di un alloggio e di un contratto di lavoro. 1.3 PACCHETTO SICUREZZA. Ad affiancare la legge Bossi-Fini sono le disposizioni del “Pacchetto Sicurezza”, promosso dal ministro degli interni Roberto Maroni del 23 maggio 2008, reca alcune modifiche e restrizioni alla legge Bossi-Fini, tra cui l‘espulsione immediata dei clandestini e l‘introduzione del reato di clandestinità, l‘estensione del periodo di reclusione a seguito dell‘immigrazione clandestina e il mancato rispetto del decreto di espulsione, che va da sei mesi a quattro anni. Viene inoltre inserita una clausola fortemente discriminatoria per quanto riguarda la sicurezza sulle strade: il reato risulta più grave se viene commesso da uno straniero illegalmente presente sul territorio italiano. Inoltre viene sancita la possibilità di richiedere un campione di saliva per l‘identificazione del DNA, sia se in caso di richiesta di ricongiungimento risulta necessario attestare l‘effettiva parentela tra il genitore e il figlio, sia per la raccolta dei campioni in vere e proprie Banche dati del dna, che dovranno essere presenti nei centri di permanenza. Secondo l‘articolo 2 della Costituzione Italiana tuttavia, i diritti inalienabili dell‘uomo sono applicati all‘individuo in quanto tale, a prescindere dalla cittadinanza; dunque non è forse un‘incongruenza che il diritto di uguaglianza dinanzi alla legge, che è sicuramente un diritto inviolabile, sia riferito alla cittadinanza? Il pacchetto sicurezza nasce nel complesso come il risultato di una recente campagna di allarme nei confronti dell‘immigrazione, caratterizzata da slogan e manifesti, per di più alimentata da un forte impatto mediatico, che ha visto gli immigrati extracomunitari come agenti di disturbo nell‘equilibrio sociale, alimentando quindi nell‘opinione comune un radicato senso di emergenza, che tra l‘altro non è verificato dalle statistiche che invece evidenziano un livello di popolazione straniera non superiore a quello degli altri paesi europei. Infatti ad esempio, l‘istituto nazionale ISEE francese ha registrato nel 2007 una percentuale di immigrati equivalente a circa l’8% della popolazione francese ovvero 4,9 milioni di stranieri sul suolo francese, mentre i dati dell‘ISTAT italiano dello stesso anno registrano un totale di poco più di tre milioni di stranieri sul suolo italiano, circa il 5,2% della popolazione, mentre in Germania la popolazione straniera equivale a 7,3 milioni, in Spagna quasi 3,4 milioni. 135


Il risultato di questo clima di tensione, incrementato da politici e mass-media, ha portato a prendere provvedimenti discriminatori e di passivo rifiuto dei flussi migratori. Tuttavia è indubbia la pressante necessità di una valida regolamentazione dei flussi migratori in Italia che, a causa della posizione geografica, risulta particolarmente favorevole agli sbarchi degli emigranti, registrando così una affluenza di immigrati in richiesta del permesso di soggiorno, che non è possibile integrare nel territorio italiano; è anche vero che un crescente tasso della criminalità, particolarmente incrementato dagli immigrati, ha fatto emergere un sentimento di paura nell‘opinione pubblica che ha a sua volta contribuito ad incrementare gli atteggiamenti discriminatori e di indifferenza nei confronti degli stranieri. Non è però una scelta adeguata la totale chiusura dello stato dei flussi migratori. Infatti, ciò che forse non è chiaramente visibile è l‘impossibilità di fermare i flussi migratori, poiché le esigenze che spingono l‘emigrante a lasciare il suo paese vanno ben oltre la paura dei tre o quattro anni di reclusione nelle carceri italiane, come spiega anche Enzo Bianchi: ―[…]da sempre, infatti, non è il pane che si muove verso i poveri, ma sono i poveri ad accorrere verso il pane, da sempre quando gli uomini hanno speranza di trovare una vita migliore altrove sono pronti a tentare l‘avventura della migrazione, anche a costi umani altissimi‖

Dunque risulta più funzionale alla regolarizzazione e alla regolamentazione dei flussi migratori, una politica mirata alla completa integrazione dell‘immigrato, e non alla sua criminalizzazione sistematica e all‘emarginazione sociale. Paradossalmente infatti, discriminando gli immigrati che risiedono sul suolo italiano, la società civile non fa altro che creare una classe di emarginati che è destinata alla rivendicazione sociale tramite azioni violente quali la criminalità stessa.

1.4 DIBATTITO SULLA RILEVAZIONE DELLE IMPRONTE DEI BAMBINI ROM. In realtà, nel decreto di legge originario del pacchetto sicurezza era presente una clausola che prevedeva la necessità di prelevare i rilievi fotodattiloscopici dei bambini Rom. Questa clausola ha suscitato il rifiuto da parte delle istituzioni europee, oltre che dell‘UNICEF e della stessa opposizione italiana, in quanto costituisce una violazione della carta dei diritti approvata dall‘UE, che mira alla criminalizzazione dei bambini e dei giovani, e che legalizza una norma esclusivamente discriminatoria e a sfondo razzi136


sta, poiché è rivolta soltanto ai bambini appartenenti ad una determinata etnia. Inoltre i Rom sono riconosciuti come cittadini comunitari e quindi sono liberi di circolare all‘interno dell‘UE. La loro tradizione nomade è millenaria. Tuttavia i loro costumi rappresentano un notevole ostacolo per la legislazioni europee, in quanto ad esempio la scolarità è bassissima, il grado di povertà è elevatissimo, i livelli di integrazione con le comunità maggioritarie sono praticamente nulli, lo stile di vita è spesso in contrasto con il codice penale. In Italia sono presenti attualmente più di 150.000 Rom di cui circa la metà hanno cittadinanza italiana. Il numero e le condizioni dei campi attualmente presenti non sono adeguati ad ospitare una tale quantità di persone. Non è dunque possibile una gestione a livello nazionale del problema che necessita una trattazione a livello comunitario, per stabilire una posizione definitiva sul nomadismo e una politica gestionale che sia coerente per tutti gli stati membri.

2 LA SITUAZIONE EUROPEA. 2.1 GLI ACCORDI DI SHENGHEN. Il 19 giugno 1990, tutti gli stati membri dell‘UE tranne l‘Irlanda e il Regno Unito, con l‘aggiunta della Svizzera, hanno firmato gli accordi di Shenghen per l‘abolizione delle frontiere. In questa occasione inoltre, comincia a delinearsi un embrione di politica co137


mune circa i flussi migratori dei paesi terzi e la loro circolazione all‘interno dell‘UE. Infatti un cittadino di un Paese terzo potrà risiedere sul suolo europeo per una durata massima di tre mesi, previo possesso di un documento di viaggio valido, di un visto di soggiorno a breve durata, di una giustificazione del viaggio e di disporre di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e del ritorno. La gestione dei flussi rimane però arbitraria per ciascuno stato membro. Dunque, nonostante l‘abbattimento delle frontiere sia indubbiamente un fattore che contribuisce ad accentuare il carattere unitario anche dal punto di vista territoriale degli stati membri, gli accordi di Shenghen non denotano un intento comunitario particolarmente incline a prendere comuni decisioni anche sul piano politico-sociale come ad esempio, per quanto riguarda in questo caso, l‘immigrazione. 2.2 IL PROBLEMA DELLO STRANIERO E LA NECESSITÀ DI UNA COMUNE POLITICA INTEGRATIVA. Come nel caso dell‘Italia al momento della proposta del Pacchetto Sicurezza, molto spesso accade che le singole istituzioni o centri del potere politico mobilitino l‘opinione pubblica contro individui o gruppi. Nella storia europea infatti la persecuzione degli stranieri, interni o esterni, è sempre stata una costante. Nel Medioevo ad esempio, la paura della peste nera aveva alimentato dicerie fortemente antisemite, che sono sfociate in una vera e propria ―caccia all‘ebreo‖, sotto la totale indifferenza delle autorità politiche che invece avrebbero dovuto tutelarli. ―Oggi, diversamente dai tradizionali nemici esterni e interni, i migranti entrano in contatto con società ufficialmente laicizzate ed estranee ai miti collettivi. In esse operano però imprenditori morali infinitamente più efficaci che in passato, capaci non solo di comunicare istantaneamente la paura a un numero enorme di persone, ma anche alimentarla e in alcuni casi di crearla: i mezzi di comunicazione di massa. Dicerie, leggende metropolitane, pregiudizi e paure circolanti nelle società locali possono diventare, per effetto dell‘informazione di massa, prima risorse simboliche e poi verità sociali oggettive. Stereotipi che probabilmente hanno sonnecchiato per secoli nella memoria collettiva - lo straniero come untore, vagabondo incontrollabile, orco, ladro di bambini e stupratore di donne – tornano in circolo grazie ai media e trovano conferma in episodi di cronaca nera, veri o falsi, reali o virtuali, ma comunque ideali per alimentare le paure profonde […].” Dunque, come spiega Alessandro dal Lago, i mezzi di comunicazione di massa, tramite la cronaca nera, riescono ad influenzare radicalmente l‘opinione comune, che purtroppo è ancora preoccupata di una possibile contaminazione sociale ad impatto negativo. Oggi infatti, sono molto più sporadici gli estremismi razzisti rispetto al passato, ma la paura del ―diverso‖, dello straniero si presenta sotto forme più subdole, quali ad esempio un‘implicita “patologizzazione” degli stranieri in quanto tali, che, grazie al ruolo persua138


sivo dei mass-media, approda dunque all‘identificazione stereotipata di uno straniero associato alla criminalità. Tuttavia per contribuire alla progressiva smitizzazione dello stereotipo dello straniero, bisognerebbe che a livello europeo ciascun cittadino acquisisca una progressiva consapevolezza di appartenere non solo alle singole realtà nazionali, ma anche ad un contesto più ampio che è quello dell‘Europa. Perciò non è sufficiente il crollo delle frontiere ma è necessario che gli Stati membri si mostrino realmente disponibili a creare un‘Europa unita anche dal punto di vista politico e dunque alla necessità di uno stato federale. In particolare poi, le decisioni comuni in materia di immigrazioni dovranno rientrare in un progetto di integrazione degli stranieri, preferendo dunque il pluralismo culturale al multiculturalismo, secondo la definizione dei filosofo tedesco Bassam Tibi, il quale definisce con il primo termine un approccio che si ripropone di riconoscere e valorizzare le differenze, purché non interferiscano sulle leggi dello stato; con il termine multiculturalismo intende invece una passiva accettazione della varietà delle culture umane, che tende dunque ad un atteggiamento di sopportazione, a patto che i vari gruppi culturali non interferiscano con gli affari della maggioranza. Solo la scelta del pluralismo culturale può garantire all‘Europa una stabile situazione di pace, poiché, se in caso contrario decidesse di adottare la scelta del multiculturalismo, favorirebbe la radicalizzazione di gruppi integralisti che mirerebbero a rivendicare la loro mancata integrazione nella società europea. Favorendo l‘integrazione degli immigrati, l‘Europa contribuirebbe alla completa attuazione dello ius cosmopolitum, menzionato da Kant come terzo articolo fondamentale per la pace perpetua, inteso come diritto di visita, “in virtù del diritto della proprietà comune della superficie terrestre, sulla quale, in quanto sferica, gli uomini non possono disperdersi all’infinito, ma alla fine devono sopportare di stare l’uno a fianco dell’altro; originariamente però nessuno ha diritto più di un altro ad abitare una località della Terra.” Infine, è necessario che l‘Europa si occupi in maniera unitaria anche nei confronti dei rifugiati, ovvero coloro che sono costretti all‘esilio perché la loro vita e la loro libertà sono minacciate a causa della loro razza, religione o delle loro opinioni politiche. Il filosofo Jacques Derrida analizza il problema dell‘asilo politico, inserendolo in un contesto più ampio del cosmopolitismo e delle città- rifugio. In particolare, valuta in maniera positiva il ruolo della città-rifugio, dove immigrati, esiliati, apolidi, profughi, deportati, possono trovare asilo, con l‘invito a “modificare la politica degli Stati, a trasformare e rifondare le modalità dell’appartenenza della città allo Stato, per esempio in un’Europa in formazione o nelle strutture giuridiche internazionali ancora dominate dalla regola della sovranità statale, regola intangibile o supposta tale, ma anche sempre più precaria e problematica.” Il progetto delle città rifugio è un tentativo concreto di rispondere alle persecuzioni cui vengono sottoposti, per motivi politici o religiosi, intellettuali, scrittori e scienziati. Ogni città che aderisce al progetto si impegna ad ospitare un rifugiato e la sua famiglia per la durata di un anno. Ma il messaggio più importante di Derrida, a cui deve fare 139


appello anche l‘UE, è quello di coltivare l‘etica dell’ospitalità come base di un nuovo cosmopolitismo che rielabori la proposta kantiana oltrepassando le barriere della sovranità statale. Solo cogliendo questo messaggio nelle sua pienezza gli Stati membri potranno realmente concretizzare l‘idea di un‘Unione Europea come istituzione politica internazionale, forte e pronta ad aprire le frontiere esterne ad un comune progetto di integrazione degli stranieri, acquistando progressivamente la consapevolezza che gli immigrati sono un‘enorme fonte di ricchezza, non dei problemi: “I migranti hanno bisogno dell’Europa, ma l’Europa ha bisogno dei migranti: un’Europa ripiegata su se stessa diventerebbe più meschina, più povera, più debole, più vecchia anche. Un’Europa aperta, invece, sarà più giusta, più forte, più ricca, più giovane se voi saprete governare l’immigrazione. I migranti sono una parte della soluzione e non una parte del problema: essi non devono diventare i capri espiatori di diversi malesseri della nostra società”.(Kofi Hannan)

BIBLIOGRAFIA. Ferruccio Pastore, La Rotta di Enea, EuropaEurope, gennaio 2001. L. Favero e G. Tassello, Cent‘anni di emigrazione italiana(1876-1976), in G. Rosoli, a cura di ―un secolo di emigrazione italiana 1876-1976‖ Centro Studi Emigrazione, Roma, 1978. www.radicali.it www.camera.it www.istat.it Enzo Bianchi, La paura fa stranieri, ―La Stampa‖, 13 aprile 2008. Massimo Livi Bacci, Come integrare i rom nella società moderna, ―la Repubblica‖, 10 gennaio 2008. A. Dal Lago, Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale. Feltrinelli, Milano, 2002. Bassam Tibi, “Islam chiama Europa”, L’Espresso, 9/10/2003. Immanuel Kant, Per la pace perpetua, Feltrinelli, Milano, 2007. Jacques Derrida, Cosmopoliti di tutti i paesi ancora uno sforzo!, Cronopio, Napoli, 1997. www.istat.it

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ELABORATI PER IL CONCORSO “DIVENTIAMO CITTADINI EUROPEI”, INDETTO DALLA REGIONE PIEMONTE, DI STUDENTI DELLE CLASSI III, IV E V SEZIONE E (A.S. 2008/09) COORDINATRICE, PROFESSORESSA FEROLO IMPAGINAZIONE ED IMMAGINI, LUCA MARIO, IV E 141


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