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ANNO I - NUMERO 2  •  febbraio 2011

psicologia e psicopedagogia

Non stanno mai fermi

i nu per ovi corsi ze t esis

Internet e famiglia Troppa rete rovina il dialogo tra genitori e figli?

Rituali: il Sonno

Per i bambini non è un passaggio semplice da vivere

"il meglio di loro" reg. n. 760/2010 del 07/05/2010

speciale iperattività


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Editoriale i di Gino Aldi

l secondo numero di “Il meglio di Loro” si presenta con qualche piccola novità. Ci consideriamo artigiani e cerchiamo di apprendere facendo e con questo spirito abbiamo accolto alcuni suggerimenti dei nostri lettori mirati a migliorare il giornale e renderlo più gradevole e fruibile. Ci si chiedeva di ampliare i contenuti e di proporre riflessioni anche sul tema della scuola e dell’adolescenza, argomenti su cui lavoriamo da anni e sui quali possiamo condividere le nostre riflessioni e la nostra professionalità. Abbiamo così raccolto la sfida onerosa di aumentare il numero di pagine da ventiquattro a trentasei cercando di offrire un prodotto sempre più ricco di spunti per chi vorrà leggerlo e apprezzarlo. Abbiamo anche reso più chiaro il nostro appello agli abbonamenti che vuole essere una richiesta di sostegno all’iniziativa. Abbonandovi o acquistando spazi pubblicitari potete sostenere un’iniziativa che permette di discutere d’infanzia, adolescenza, scuola: tre situazioni che riguardano fortemente il futuro dei nostri figli e dei nostri alunni. Siamo stati quindi più espliciti nel chiedere a ogni persona che crede in questo progetto di contribuire con il proprio abbonamento non nascondendo l’ambizione di giungere a un numero di pagine ancor più ricco. Abbiamo molto discusso sull’opportunità di proporre un cambiamento già al secondo numero. “Può dare l’idea

di confusione o non chiarezza” – diceva qualcuno dei nostri. Alla fine si è preferito assumere la responsabilità ma anche il valore di presentarsi ai lettori per quello che siamo: il giornalismo lo stiamo imparando sul campo e probabilmente, grazie anche ai suggerimenti che giungeranno, miglioreremo facendo. Nei nostri corsi genitori e nei nostri colloqui con giovani colleghi o ragazzi in cerca di orientamento cerchiamo di passare il valore dell’accettare le sfide della vita avendo consapevolezza dei propri limiti senza assumere un atteggiamento rinunciatario. Vediamo molti giovani paralizzati dalla paura di sviluppare progetti e idee, sempre convinti di non essere ancora all’altezza. Noi crediamo nella possibilità di costruire progetti partendo dalla propria fallibilità, rinunciando al perfezionismo delle situazioni ideali e calandoci nella concretezza delle azioni e dei correttivi che di volta in volta occorrerà operare per giungere all’obiettivo. Con questo spirito si è preferito correggere la rotta e di condividere le riflessioni che hanno portato a questa scelta con i lettori. Le novità che troverete rispetto al numero precedente sono: una sezione più ampia dedicata alla vita scolastica, un settore dedicato all’adolescenza, delle schede operative di attività che potete svolgere a casa o a scuola con i ragazzi. Per ora non si riesce a fare di più ma speriamo tanto che sia sufficiente a destare il vostro interesse.

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Sommario IL MEGLIO DI LORO - ANNO I - NUMERO 2

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Editoriale

SPECIALE: BAMBINI IPERATTIVI Bambini che non stanno mai fermi

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Che cos’è l’iperattività

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Iperattività o bullismo: distinzioni.

10 FAMIGLIA

Internet uccide il dialogo familiare?

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L’Eterna giovinezza dei nostri tempi

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SCUOLA Un paese che non sa più leggere

20

Il metodo della Video Education

22 PERCORSI

Emozioni e Colori

24

Essere Genitori

26 IL MEGLIO DI LORO

La matematica con il corpo Le parole non dette

27 28

6 14 22 Magazine del Gruppo ‘Zetesis Psiche’

Direttore Responsabile Gino Aldi

dott. Pasquale Borriello Iolanda Falanga

Comitato di Redazione: dott. Maria Russiello dott. Valentina di Nuzzo

Grafica gianlucariccio.it

“il meglio di loro” reg. n.760/2010

Educare alla fiducia Rituali importanti: il Sonno

30 31 RUBRICHE

Libri/Poesie/Creatività/Posta

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del

07/05/2010

REFERENTE EDITORIALE E PUBBLICITA’: Zetesis Cooperativa sociale a.r.l. Via Piave, 7 81100 Caserta Telefono : 0823452842 Fax : 0823452049 Email : info@zetesispsiche.it


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SPECIALE

Bambini che non stanno mai fermi di Gino Aldi Svolgo da più di 20 anni l’attività di psicoterapeuta. Dopo la laurea in medicina ho scelto questo percorso perchè ero affascinato dalla possibilità di comprendere le persone, specie le persone in grande difficoltà psicologica. Ho poi capito che in realtà, attraverso la psicoterapia, cercavo risposte a tante domande che permettessero di dare senso alla mia vita personale. La psicoterapia mi ha fatto conoscere la dimensione della sofferenza umana, quella più nascosta e segreta, che spesso non trova nemmeno le parole per essere raccontata.

Al bambino si chiede di apprendere a controllare i propri impulsi, di star fermo, non distrarsi, osservare, ascoltare, elaborare. Sono tutte attività che richiedono attenzione e concentrazione e necessitano dello sforzo di controllare sé stessi.

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Pensate cosa sarebbe l’esistenza se si fosse costantemente sovrastati da stimoli, ne abbiamo una qualche percezione quando ci sentiamo confusi, incapaci di elaborare e comprendere ciò che sta accadendo. Chiunque abbia vissuto questa esperienza potrà rendersi conto di quanto sia importante apprendere a concentrarsi e a direzionare la nostra energia mentale. Sebbene sia importante essere capaci di concentrazione ed attenzione, l’educazione all’ordine e alla disciplina ha goduto di alterne virtù. Nel lontano 1978 Giorgio Bert, nella prefazione ad un libro intitolato “Il mito del bambino iperattivo” diceva: “Il sistema ha bisogno di ordine per funzionare: in qualche modo ne siamo convinti tutti. Il disordine è il male. Il Kaos contrapposto al Kosmos, l’irrazionale di fronte alla ragione, l’inconscio davanti all’Io. In una società ideale non può esserci posto per l’imprevisto, il casuale, l’eccentrico: l’ordine va mantenuto ad ogni costo, e al suo mantenimento è dedicata una gran parte dei bilanci nazionali, oltre all’impiego di organizzazioni private e anche volontari.”. Tutto il libro sviluppa poi una critica al concetto di “danno cerebrale minimo”, mai dimostrato, e alla “invenzione” di una malattia, che poi si chiamerà Disturbo di Attenzione e Iperattività (ADDH). Si puntava l’indice all’uso improprio della psichiatria come strumento di controllo, problema controverso ma sicuramente meritevole di costante attenzione perché non è questione del tutto infondata. Son passati numerosi anni da quella riflessione e si può prendere distanza dalla carica ideologica che accom-


pagnava il libro cercando di limitarne alcuni estremismi recuperando invece alcune interessanti valutazioni. L’estremismo dal quale occorre prendere distanza è quello che porta ad identificare ogni tentativo di controllo del bambino come strumento di potere nefasto sulla crescita umana. Possiamo affermare con argomenti basati sull’evidenza fattuale che la mancanza di “governo di sé” è fonte di sofferenza e patologia per il bambino. Controllare il Kaos e dare forma ad esso è la base di ogni salute psichica. Si può affermare con una certa forza che compito dell’educazione è anche far acquisire il controllo di sè attraverso azioni che porteranno il futuro uomo a disciplinare i propri impulsi per orientarli e finalizzarli alla costruzione di un progetto di sé. L’azione educativa, quando è tale, è sempre un’azione disciplinare, un dare forma alla persona in erba attraverso strumenti, suggerimenti, azioni, atteggiamenti, ecc. Non sembra che tutto questo attenga alla mostruosità del potere ma semplicemente alla natura stessa dell’atto educativo che, essendo un atto di socializzazione, chiede al bambino di comprendere il mondo nel quale vivo per come esso è: di star fermo in certi momenti, di parlare a turno, di contenere l’aggressività e tante altre cose. Va

invece segnalata come ancora attuale la preoccupazione che Schrag e Divoky, autori del libro, segnalavano quando dicevano: “Generalmente i genitori sono ben lieti di vedere dispiegato un simile impegno per la salute dei loro bambini, tanto più che sotto l’azione degli psicofarmaci questi smettono effettivamente di “disturbare”. Se dall’altra parte padri e madri sono in qualche caso perplessi, è la stessa scuola a costringerli, segnalando che, ove non vi sia consenso al “trattamento”, i bambini non verranno accettati alle lezioni. Risultato: circa un milione di bambini forzatamente drogati con psicofarmaci, che ne modificano radicalmente e forse definitivamente il carattere, rendendoli docili, conformisti, socialmente accettabili”. Sono concetti espressi trenta anni fa ed in Italia un uso massiccio degli psicofarmaci nei confronti dei bambini non è mai attecchito. E’ vero però che si va diffondendo nel lessico comune una tendenza ad etichettare come “iperattivo” ogni comportamento difforme dalle regole agito in classe o in famiglia. Se i dati scientifici ci confermano la presenza di un deficit grave della capacità di attenzione e del controllo degli impulsi (ADDH), tale

da giovarsi anche di un’adeguata cura farmacologica, è altrettanto vero che tale etichetta viene frettolosamente incollata su molti bambini che non riescono ad uniformarsi alle regole sociali o ad acquisire un buon controllo di sé per ragioni del tutto differenti. Diverse problematiche infantili portano ad essere agitati, distratti, confusi, instabili a livello motorio. Spesso bambini del tutto normodotati risentono di una mancanza di adeguate progettualità educative e manifestano nei diversi contesti la propria instabilità. Il pericolo in questo caso è che, oggi come allora, le agenzie educative, famiglia e scuola, possano utilizzare l’etichetta “bambini iperattivo”, ormai diffusa a dismisura nel lessico comune, per delegare l’educazione alla medicina, rendendo patologico, cioè oggetto della lente focale del sanitario, ciò che va affrontato e risolto in ambito educativo. Nell’affrontare questo argomento cerchiamo allora di ricordare che non tutti i bambini “iperattivi” sono affetti da ADHH e che questa valutazione richiede l’intervento meticoloso dello specialista per essere inquadrata a dovere. Infine, che anche una diagnosi chiara e relativamente certa, non deve portare ad una rinuncia ad agire come educatori ma al contrario ad una moltiplicazione degli sforzi per conquistare una adeguata speranza di vita per questi bambini. Tutti gli altri, quelli che non hanno questa sindrome ma comunque non stanno mai fermi, cioè la maggioranza dei bambini impropriamente etichettati come “iperattivi” ci segnalano problemi che attendono risposta nella famiglia e nella scuola.

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SPECIALE

che cos’è

l’iperattività di Valentina Di Nuzzo Psicologa, specializzanda in psicoterapia. Si occupa di disturbi dell’apprendimento e di genitorialità.

Circa il 4% della popolazione pediatrica è affetta dalla “Sindrome da deficit di attenzione e iperattività” (DDAI).

con i coetanei, dai quali vengono definiti impopolari e sono significativamente più spesso rifiutati. A ciò il bambino con DDAI reagisce aggressivamente o deprimendosi, dando sfogo al proprio malumore. Egli non possiede la capacità di valutare in modo riflessivo, tramite un’analisi sufficientemente approfondita dei pensieri; salta

repentinamente da un argomento all’altro e reagisce spontaneamente con una risposta oppositiva, con un’argomentazione contraria, mentre in realtà non riesce mai teggerli. Sperimentano una varietà di difficoltà in attività ad accettare o a ricordare tutto routinarie che comprendono: quello che non gli sembra logico o prestare attenzione, inibire la convincente. Il bambino affetto da DDAI soffre distrazione, seguire le istruzioni, rimanere seduti, aspet- dei suoi sentimenti estremi e delle tare il proprio turno, comple- reazioni che provoca negli altri: tare i propri compiti in modo è preda di forti emozioni, vive un travaglio di sentimenti, si sente autonomo; a ciò si associa solo e senza alcun aiuto, come se Sono alcuni di quei bambini spesso prepotenza, caparbietà, ira e nervosismo, risultato nessuno fosse veramente in grado che mostrano un “desiderio di capirlo, tende a sottovalutarsi di libertà” particolarmente in- di stanchezza e iperattività. totalmente. tenso, vogliono sempre deci- Questa condizione può creaI problemi di apprendimento e le dere da soli cosa fare e dove re problemi di socializzaziomediocri performance scolastiche andare, mentre i genitori, dal ne; può capitare che abbiano sono probabilmente le difficoldifficoltà a stabilire amicizie canto loro, vorrebbero protà più comunemente associate 8


all’esperienza di un bambino iperatti scolastici e comportamentali portano inevitabilmente a scontri all’interno del nucleo familiare. I conflitti sono caratterizzati da comunicazione problematica e da inadeguati comportamenti di risoluzione di essi. I genitori qualche volta perdono il controllo sui propri figli, che a loro volta, spesso, si adagiano per evitare sforzi e responsabilità e raggiungere così il loro scopo. Un buon ambiente relazionale è altresì fondamentale per curare la sindrome. Infatti, le persone che diventano per loro un punto di riferimento,

rappresentano un metro di giudizio per capire se il comportamento è giusto o sbagliato e, all’occorrenza, sono in grado di frenarlo. Il trattamento psicologico di un bambino DDAI si realizza su due fronti: da un lato secondo un approccio comportamentale e dall’altro mediante un approccio cognitivo e meta-cognitivo i quali s’integrano tra di loro. In questi approcci si lavora in termini riabilitativi sull’attenzione e sul controllo degli impulsi. Il trattamento della famiglia con corsi di parent training completa efficacemente il percor-

so. Famiglia e scuola devono, infatti, compiere uno sforzo di creare routine di vita quotidiana, di predisporre un ambiente non distraente, di creare un giusto equilibrio tra richieste educative e tolleranza per le difficoltà del bambino. Questa ultima parte è da considerarsi fondamentale per la riuscita del trattamento.

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SPECIALE

Iperattività o

bullismo:

come distinguerli e come agire? di Guglielmo D’Allocco Psicologo dei processi cognitivi e del recupero funzionale.

Sono numerose le variabili comportamentali presentate dai bambini in età scolare, molte di esse nascondono spesso delle problematiche ben più gravi di una semplice peculiarità caratteriale del bambino. Basti pensare al modo in cui vengono sminuiti o gestiti con superficialità, da genitori e insegnanti, fenomeni come il “bullismo” o vere e proprie patologie come il “disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (ADHD)”. Proprio riguardo a quest’ultimo, le statistiche attuali riportano che circa il 3-5% della popolazione in età scolare presenta questo tipo di disturbo. Le caratteristiche di questo tipo di patologia sono rappresentate da disattenzione, impulsività, iperattività. Si tratta, in questo caso, di una vera e propria patologia che come tale, ovviamente, deve essere indagata (i sintomi devono essere presenti da almeno sei mesi, esordire entro i 7 anni, ed essere presenti almeno in due contesti:

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casa, scuola); nella maggior parte dei casi però, la mancanza di preparazione di alcuni insegnanti unitamente alla scarsa attenzione dei genitori possono giocare un ruolo decisivo nella “cronicizzazione” del disturbo. Una delle conseguenze più comuni, in questi casi, è l’isolamento e l’allontanamento del bambino dal “gruppo classe”, dovuto da un lato all’incapacità del bambino stesso di integrarsi nel gruppo dei pari e dall’altro dall’etichetta di “bambino cattivo” impostagli dall’insegnante. In questo caso, dunque, il “bambino irrequieto” è un bambino che non riesce a: rispondere in modo positivo a emozioni come la rabbia e la frustrazione, regolare il suo compor-


il “bullo” è un bambino che mette in atto comportamenti volti a nuocere volontariamente.

tamento motorio, rispettare le regole di convivenza sociale, avere un buon livello di autostima, essere motivato nell’impegno e nello sforzo. L’alunno irrequieto, però, può essere inquadrato con una altra etichetta, quella bambino aggressivo o bullo. Questa particolare manifestazione di aggressività è tipica della fascia d’età che va dall’età scolare fino alla preadolescenza; il “bullo” è un bambino che mette in atto comportamenti volti a nuocere volontariamente la “vittima”, generalmente un bambino più debole. Il copione è quasi sempre lo stesso così come i protagonisti della scena: un bullo, un assistente, i sostenitori, la vittima e uno o più “outsider” che osservano senza intervenire. Perché si possa parlare di bullismo, però, è necessario che si presentino almeno tre caratteristiche fondamentali: disequilibrio di potere tra il bullo e la vittima, intenzionalità dei comportamenti aggressivi, e regolarità degli episodi (si ripetono con una certa frequenza e spesso con modalità diverse). Il problema è che il bambino iperattivo spesso NON è affatto un bullo perché non agisce con l’intenzionalità di attaccare, ferire, umiliare la vittima ma semplicemente perché non controlla i propri impulsi. Sebbene l’azione finale possa essere perfettamente identica l’intenzionalità che ne è alla base è completamente diversa, richiedendo quindi trattamenti completamenti differenti. Il bullo agisce con volontà di far male, predispone le sue azioni, le programma, si nutre del rinforzo dei pari e del ruolo che assume nel gruppo dei complici che ruotano intorno ad esso. Il bambino iperattivo non ha alcuna capacità di far tutto essendo governato da forze disordinate ed avendo problemi proprio con la programmazione La percentuale di manifestazione di questo fenomeno in Italia cosi come nel resto dell’Europa è molto alta e anche in questo caso le cause sono da ricercare nel rapporto “disturbato” tra le istituzioni responsabili dell’educazione

(famiglia, scuola) e il bambino. Diventa importante informare e sensibilizzare insegnanti e genitori al fine di renderli pronti a prevenire e, laddove fosse necessario, intervenire per gestire tali situazioni e soprattutto di apprendere a distinguere le due diverse problematiche; allo stesso modo è possibile intervenire sui bambini con specifiche tecniche che possano favorire o ripristinare la cooperazione e la collaborazione del gruppo classe (token economy, circle time, cooperative learning) affinché l’emarginazione degli “alunni irrequieti” non diventi la soluzione più comoda sia per i compagni che per insegnanti e genitori.

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Millestorie vuole favorire

relazioni umane sane attraverso l’uso dei linguaggi espressivi. La pittura, il teatro, la manipolazione dei materiali, la musica, sono utilizzate da personale esperto (psicologi, educatori, psicoterapeuti) come strumenti per valorizzare l’individuo e le sue potenzialità.

Le Attività CREATIVITA’ Le nostre attività ricreative divertono e stimolano la crescita. Gli iscritti potranno ricevere in prestito LIBRI per bambini ed adulti,e partecipare alle CONFERENZE CON L’ESPERTO che affrontano temi culturali , l’educazione, la crescita umana, lo stare insieme sano.

Seguendo metodologie specialistiche vogliamo offrire alla città la possibilità di apprendere competenze , stare insieme , ed esprimersi in un modo sano e divertente centrato sul valore della crescita interiore e dell’intelligenza.

EDUCAZIONE Sono previsti percorsi specialistici nel corso dei quali esperti di settore utilizzano le tecniche di arte terapia per promuovere la creatività delle persone. Le tecniche usate saranno le seguenti: laboratori di materiali, narrazione di sé , musicoterapia, teatro, pittura, gioco relazionale.

CULTURA “Millestorie” per crescere si propone come luogo di aggregazione per il territorio offrendo spazio a chiunque voglia far crescere la comunità mediante Mostre, workshop, laboratori itineranti, presentazioni di libri, eventi folkloristici


i Destinatari

I costi dei percorsi si differenziano a seconda della tipologia, dei destinatari e delle professionalità impiegate. I percorsi inizieranno con un numero di almeno sei partecipanti

Prossimi Appuntamenti

Favole da toccare

EmozionArte

Attività per bambini dai 3 ai 5 anni e dai 6 ai 10 anni. I bambini saranno educati all’ascolto delle favole,alla loro comprensione, e all’espressione del loro mondo fantastico attraverso l’utilizzo di materiali semplici ( legumi, stoffe, carta ) . Conduttori : Angela Sarnataro , counsellor socio-educativo – Valentina Velleca , attrice

Il percorso “EmozionArte” rivolto agli adulti, propone esercizi pittorici per conoscere meglio sé stessi, riflettendo insieme ad un esperto sui colori utilizzati, le linee dipinte, sensazioni ed emozioni provate. Conduttore : Dott. Pasquale Borriello, psicologo esperto in linguaggi espressivi

Conversazioni sulla fantasia e la creatività Ciclo di incontri nei quali un esperto di arte e creatività e uno psicologo discutono sui benefici dei linguaggi artistici per l’educazione di bambini e adulti .

Millestorie OFFICINA DELLE EMOZIONI

Sede : via Marchesiello 125, parco Urbano , Caserta Per informazioni : tel 333 6664686 Mail : info@zetesispsiche.it www.zetesispsiche.it siamo su facebook:

Millestorie Officinadelleemozioni


FAMIGLIA

Internet uccide

il dialogo

familiare? di Pasquale Borriello

Gli Stati Uniti, è noto, anticipano costumi e usanze che ben presto sbarcano anche nel nostro paese. Vera Schiavazzi racconta, su Repubblica del 17 gennaio, l’allarme che in quel continente si va sviluppando per l’uso smodato d’internet e dei social network. La comunicazione in famiglia sta morendo, dice l’articolo, soppiantata da una sempre maggiore sosta delle persone davanti al computer. In Italia il tempo trascorso davanti ad un computer per chattare o connettersi raggiunge la media delle 6 ore e 7 secondi al giorno mentre gli Usa ci sorpassano per soli 9 minuti (6 ore e 13 secondi). Un quarto della giornata passato in una dimensione virtuale! Circa 30 milioni d’italiani vivono sempre connessi a Internet, il 38% per motivi di lavoro, un 9 % utilizzando telefonia mobile. Un altro 30 per cento d’italiani sarebbe disposto a visitare di più internet se solo costasse meno. Un fenomeno dilagante che si accompagna a un corteo di problemi. Negli USA, ma anche in altri paesi, compreso il nostro, vanno dilagando fenomeni di dipendenza da Internet. Persone che trascorrono intere giornate in

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un vuoto virtuale scorrazzando nel web fino ad annullare completamente la loro vita relazionale reale. In Giappone circa un milione di persone è scomparso dalla vita attiva sociale vivendo chiuso nelle proprie stanze incollato allo schermo, solitamente alle prese con videogiochi seguiti da vere e proprie comunità di partecipanti. Il fenomeno deve aver preso piede anche dalle nostre parti se capita sempre più spesso allo psicoterapeuta di ricevere richieste di consulenze da genitori preoccupati, se non disperati, perché hanno sempre più difficoltà a schiodare i figli dallo schermo del pc. Certo non bisogna demonizzare le nuove tecnologie perché esse possono essere risorse importanti per lo sviluppo della conoscenza e dell’intelligenza. Come non vivere con preoccupazione i dati che abbiamo appena citato? Quali sono i segnali che indicano che si sta sconfinando da un uso saggio delle nuove tecnologie a un loro uso non consono alla salute

psicologica? Come tutte le forme di dipendenza il percorso che porta nell’abisso è lento e subdolo. Così, vale la pena di chiedersi se ci ritroviamo a mandare sms e mail durante i pasti, dormire con il cellulare vicino, guardare computer e tv insieme, uscire sempre meno per dedicarsi al computer, leggere o spedire sms mentre si guida, arrabbiarsi se qualcuno ci distoglie o ci rimprovera per questi eccessi. Nessuna di queste azioni, da sola, è un segnale di dipendenza ma se diverse di esse hanno preso parte stabile della vostra vita, è necessario cominciare a preoccuparsi. Una particolare attenzione va riservata ai bambini, particolarmente vulnerabili a questo tipo di problema perché possono in questo modo sopperire a una solitudine o a una difficoltà di costruire relazioni interpersonali, confrontarsi con gli


amici, vincere timidezze e paure. Spetta ai genitori e agli educatori essere attenti e individuare precocemente i segni di un uso eccessivo delle tecnologie e dei media. Attenzione! Le tecnologie sono ottime badanti, tengono i bambini buoni e tranquilli per lungo tempo, creando una sensazione di tranquillità e di pace appetibili per tanti genitori stanchi e stressati dal lavoro. Il prezzo di tutto ciò potrebbe essere un giovane che si rifiuta di entrare nella vita e che sarà fonte di ben al-

tre e meno gradite preoccupazioni. E’ consigliabile curare il più possibile la socialità dei bambini cercando di sottrarli a un uso eccessivo del computer. Il computer crea realtà virtuali in cui la pressione di un pulsan-

te permette di dominare le emozioni a proprio piacimento. La vita reale non è così! I problemi non scompaiono con la velocità di un “click” ma richiedono di essere affrontati, con fatica, forza, a volte dolore. Forse per questo si preferisce la realtà virtuale, che per definizione non è la realtà della vita ma un suo surrogato.

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FAMIGLIA

L’eterna giovinezza dei nostri tempi

di Gino Aldi

Quando si diventa adulti? Quando possiamo dire che una persona è matura per prendere il peso della vita sulle proprie spalle? Una domanda di non semplice risposta giacché i canoni di valutazione sono cambiati al punto di rendere difficile la risposta. Non vi è, infatti, un canone assoluto che consenta di definire quando si è effettivamente adulti ma ogni società elabora i propri miti e i propri riti per indicare un possibile percorso che permetta ai giovani di acquisire lo status di persona matura. Nell’antica Sparta a sette

anni si veniva sottratti alle famiglie e si cresceva con i coetanei fino ai trenta anni per incarnare il modello adulto e diventare soldati, cioè uomini. Solo a quel punto era permesso sposarsi e far vita propria. A Roma invece s’indossava la toga virile a sedici anni e il gioco era fatto, da un giorno all’altro si era uomini. Fino alla metà del ‘900 l’adolescenza era una fase transitoria della vita, un tempo di apprendistato che avrebbe di lì a poco portato la persona verso l’essere uomo, cioè una persona in grado di badare a sé stesso e di assumere i doveri della vita adulta:

ponderazione, equilibrio, oculatezza e capacità di pianificare il proprio destino e quelli dei propri cari. Nei nostri tempi è difficile identificare un momento di transizione, un rito di passaggio, che crei una linea di demarcazione tra adolescenza e maturità. Molti quarantenni di oggi sono alle prese con dissidi, problemi, confusioni, blocchi esistenziali, tipici dei ventenni. Non sono i figli che si sforzano di assomigliare ai padri, ma sono i molti padri che sembrano essere simili ai propri figli con il corredo di orecchini, tatuaggi, orpelli, giochi elettronici, gusti musicali e tanto altro. Si dilata sempre più il tempo della giovinezza o meglio il mito della giovinezza e l’appuntamento con l’età delle responsabilità viene sempre più posticipato. A correggere i segni inesorabili del tempo ci pensa la chirurgia plastica che negli ultimi tempi ha vissuto una vera e propria età dell’oro con un boom di richieste inimmaginabile fino a poco tempo fa. E così la giovinezza diventa eterna e la maturità, ancor peggio la vecchiaia, vengono esautorate del loro spazio, nascoste dall’effetto plasmante del botox o del lifting, del trucco pesante. In questo modo anche i cinquantenni sono giovani

ed i sessantenni sembrano essere timidi adolescenti che si affacciano alla vita. C’è da chiedersi se tutto questa faccia davvero bene alla salute psichica delle persone o lasci un amaro senso di vuoto. Se tutte le morti ci appaiono insopportabili quelle dei bambini e dei giovani lo sono ancor più perché una vita si interrompe prima ancora di aver compiuto il proprio ciclo naturale. E’ davvero accettabile che si chiuda la propria vita senza esser mai cresciuti? Ancor più rilevante è il riflesso che questa mentalità diffusa ha sull’educazione. Come faranno genitori e insegnanti ad educare i propri figli alla responsabilità e all’impegno se il messaggio dell’eterna giovinezza, della possibilità di una vita disimpegnata, diventa prevalente? Forse è il caso che gli educatori riscoprano, in sé stessi e nei propri figli, delle linee di demarcazione capaci di segnare il confine tra il tempo delle mele ed il tempo della propria autorealizzazione. E’ il caso che si progetti l’educazione pensando alle competenze e alle capacità necessarie a fronteggiare un mondo complesso e difficile che le nuove generazioni dovranno abitare e governare. Avremo così generazioni più impegnate e meno confuse, più capaci di affrontare la complessità della vita ma anche di godere del frutto dei propri sforzi e del proprio lavoro. Una generazione alla fine più serena e meno smarrita.




SCUOLA

un paese che non sa più

leggere di Gino Aldi

A leggere il rapporto CENSIS 2010 si scopre in forma codificata ciò che un osservatore attento percepisce nella quotidianità: nel nostro paese non si legge più. Tutte le testate giornalistiche denunciano una flessione di vendita notevole, perfino quelli sportivi (-7,2%) che pure hanno costituito per anni l’appuntamento di una utenza di matrice popolare. Non solo i quotidiani se la passano male ma anche i settimanali (-4,7%). Reggono l’ondata di urto il genere gossip e femminili, ma quelli di attualità politica ed economica perdono circa il 10,2% di vendite. Lo stesso accade per i mensili (-7,7%). Infine i libri, in un paese già non avvezzo alla lettura, calano del 9,4%. Insomma siamo un paese che sta imparando a non leggere più. Si preferisce il consumo spiccio di notizie raccolte attraverso radio e televisione che però utilizzano canali di fruizione completamente diversi. La lettura, infatti, propone notizie in una forma elaborata ed organizzata e richiede attenzione e concentrazione. I media rendono l’utente passivo più simile ad una spugna assorbente che ad una persona intenta a meditare. La lettura

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favorisce il senso critico, pone nella condizione di riflettere, di costruirsi una propria idea, di dedicare un tempo alla elaborazione del dato. Non si può leggere e parlare, leggere e chattare, leggere e guardare la tv! Si può invece guardare la tv ed ascoltare la radio, guardare la tv e fare zapping, guardare la tv e parlare con il collega. I mezzi, insomma, si fruiscono in forma diversa e producono effetti diversi. Lo diceva già McLuhan trenta anni or sono. Perdere la lettura significa perdere un patrimonio immenso. La lettura organizza il pensiero, trasmette saperi in una forma strutturata. I media ed internet trasmettono saperi frammentati. Allo stato attuale non si riesce a vedere nessuna vantaggio nel sostituire il leggere con il video, sebbene quest’ultimo sia un mezzo efficace di educazione e di veicolazione dei saperi. Leggere però resta una esperienza unica ed insostituibile. Specie se ci guardiamo alla tradizione letteraria che ha codificato la ricerca di senso dell’intera

umanità in opere memorabili ed insuperabili per il loro valore formativo. Vi sono segnali forti dei guasti generati dalla mancata lettura. Chi non legge finisce poi per non saper scrivere. Molti giovani sintetizzano il linguaggio fino a stropicciarne la grammatica e la sintassi. I codici si riducono al minimo e assumono forme incomprensibili a chi non è del settore: “tvb” significa “ti voglio bene”, “cmq” vuol dire “comunque”, “x te” indica “per te”. E’ la logica del risparmio, del dirsi tanto in poco tempo e in poco spazio. Il rischio è che anche il pensiero si riduca ad enunciazioni, sigle, sintassi leggere, allocuzioni brevi. Si finisce per pensare come si scrive, anzi come non-si scrive e non-si legge: per sentito dire! Così il taglia ed incolla impera nelle coscienze creando l’illusione che un verso di Dante corrisponda a conoscere la divina Commedia, l’enunciazione di una legge fisica significa aver compreso la fisica, un verso di amore significhi amare. Si ama con la stessa


brevità con cui si scrivono sigle: per un giorno, tra una cosa e l’altra, tra un consumo e l’altro. E pensando con questa leggerezza ci si avvia verso il futuro con la convinzione di aver compreso la vita ed il mondo, che alla fine c’è sempre una risposta prèt a porter, veloce, leggera, da cercare su google, per ogni problema dell’esistenza. La lettura invece chiede disciplina al lettore. Leggere significa interpretare, sforzarsi, conoscere. Richiede tempo ed ancor più richiede un atteggiamento mentale umile, la consapevolezza che c’è tanto da imparare, la necessità di macinare i contenuti dentro di sé fino ad averli davvero compresi. E anche quando si sa, si sa solo in parte ed ancora poco perché sterminate sono le possibilità di approfondimento. Insomma leggere permette un accesso alla cultura più rispettoso della complessità, della necessità di approfondire, di avvicinarsi al senso che il sapere veicola e meno alle sigle. Soprattutto leggere valorizza il senso della narrazione che non è propriamente una sequela di notizie messe in fila ma un racconto, l’essenza di un vissuto che il narratore propone al lettore e che per sua natura può essere riassunto ma mai siglato. La scuola

deve recepire questo allarme! Insegnare ad amare la lettura è una priorità che dobbiamo inserire nell’agenda delle agenzie educative. Non lo si ottiene con il canonico libro assegnato distrattamente agli alunni e letto in maniera altrettanto distratta (semmai esso venga letto). Bisogna costruire progetti intorno alla lettura, riti che la rendano interessante e piacevole. Ricordo con piacere che per lunghi anni, sia in scuola media che in scuola superiore, leggevamo il giornale in classe. Un appuntamento di discussione che insegnò a molti di noi a leggere il quotidiano, un’abitudine non più persa. Scoprire che la generazione dei miei colleghi più giovani non legge mai un quotidiano è stato uno schock. E’ un po’ come vivere in un mondo che non si conosce. Eppure è la condizione di molti giovani e meno giovani del nostro tempo. Diversi sono i

percorsi possibili per rianimare il desiderio di lettura, il primo dei quali è quello di stimolare la ricerca di senso. Si legge un libro perché ci sono domande inevase, risposte non ancora esaustive. Dedicare tempo in classe, attraverso attività specificamente pensate, alle domande di senso può indirizzare i ragazzi verso la ricerca. Un progetto che ha dato molta soddisfazione con i ragazzi del liceo scientifico Garofano di Capua è stato quello di trasformarli in persone capaci di narrare e raccontare sé stessi attraverso la poesia. Giocare con le parole, dopo aver vinto la paura iniziale, ha fatto scoprire il valore immenso del linguaggio come possibilità di incontro e conoscenza reciproca. Gli autori di libri appaiono allora finalmente per quello che sono: persone che desiderano incontrare il nostro sguardo per raccontarci qualcosa della nostra comune esistenza.

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SCUOLA

Il metodo della video education nella Scuola Primaria di Maria Russiello

Psicologa, Psicoterapeuta. Si occupa del coordinamento delle scuole dell’infanzia e del Centro età evolutivo di Zetesis . Ha lavorato presso comunità minorili di area penale. Si è specializzata presso la SIPI (Società Italiana Psicoterapia Integrata). Svolge attività di formazione per genitori e docenti.

Usare il video come strumento educativo è particolarmente importante in una società sempre più mediatica, nella quale i processi di acquisizione della conoscenza non seguono più i ritmi ed il rigore della scrittura ma i tempi ed i modi caotici e frammentati del linguaggio analogico.

Usare il video significa apprendere un suo critico di questo complesso linguaggio ma anche scoprirne le potenzialità: la forza con cui evoca emozioni e la possibilità di raccontare e raccontarsi attraverso esso. La produzione di un video in ambito educativo deve rispettare almeno due finalità fondamentali: da un lato la realizzazione di un prodotto efficace, dall’altro deve avere un riflesso educativo su chi lo produce e su chi ne fruisce. Vista in questa prospettiva sia il video (come prodotto finale) sia le attività in itinere sono ugualmente importanti. Ma da un punto di vista formativo ed educativo le situazioni problematiche affrontate durante il percorso sono le più significative; nel senso che ogni fase della produzione del video diventa l’occasione per ampliare le proprie consapevolezze.

PERCHE’ LA SCELTA DEL VIDEO? Il progetto qui proposto è stato svolto in una scuola elementare la cui committenza si proponeva di far acquisire concetti e competenze agli allievi tramite un laboratorio espressivo che li aiutasse a conoscere il proprio mondo emotivo. Si è preferito fin dal primo momento l’uso del videotape perché la recita teatrale, classicamente utilizzata in questi casi, presuppone un iter di lavoro (preparazione della scenografia, copioni da imparare, scene da provare più volte) che finisce per privilegiare, visto il poco tempo a disposizione, l’aspetto contenutistico

ed organizzativo ponendo inevitabilmente in secondo piano l’obiettivo progettuale: possibilità di lavorare con i bambini prevalentemente sugli aspetti psico – relazionali. Abbiamo preferito invece lavorare sugli aspetti emotivi in altro modo. Le riprese infatti possono essere viste e aggiustate in corso d’opera e i bambini possono così acquisire senso di autocritica sull’uso del mezzo, su come si presentano agli altri, sulla efficacia dei messaggi, anche non verbali, sulle regole da rispettare, sull’ansia del mettersi in gioco, sulla capacità di narrare di sé.

Nella produzione di un video si organizza un team di lavoro in cui c’è il regista, lo sceneggiatore, l’addetto alle riprese, il responsabile della produzione, l’attore. In questo modo è possibile lavorare sulla capacità di pianificare, organizzare, lavorare in gruppo avendo chiaro che il lavoro responsabile di ciascuno concorre al risultato finale. Il progetto inizia con l’esplorazione di tematiche inerenti l’emotività e le relazioni interpersonali. I bambini discutono, individuano argomenti di loro interesse, sviluppano una ricerca mediante strumenti di osser-


Come funziona? Il percorso si è articolato tenendo presenti alcuni obiettivi cardine: 1. Lavoro sulla consapevolezza dei propri vissuti corporei ed emotivi: utilizzando giochi e tecniche sul lavoro corporeo che mirano a potenziare la conoscenza dei vissuti emotivi e la percezione dell’altro. Gli esercizi accrescono in ogni bambino la conoscenza del proprio essere psicofisico favorendo la memoria delle sensazioni e la produzione fantastica. 2. Lavoro sulle tecniche di animazione teatrale: si svolgono esercizi che educano al saper costruire un messaggio scenico. Il programma prevede esercizi per fornire regole di comportamento (come rispettare gli spazi, come usare la voce, tecniche di improvvisazione, il rapporto con i compagni, il corpo in relazione: le distanze, le interazioni, l’uso degli spazi…) . L’obiettivo è far comprendere come il corpo costituisca una fonte ricchissima di informazioni nella comunicazione umana.

vazione ( intervista, analisi di situazioni, acquisizione di dati). Il conduttore aiuta questo processo attraverso la somministrazione di stimoli specifici (esercizio corporeo, narrazione di una favola tematica, foto o filmati….) che contribuiscono a “far fare esperienza”. La discussione in gruppo per condividere le difficoltà e i vissuti emotivi emerse durante l’attività diventa poi il punto centrale del processo. Ogni incontro si conclude con un momento di narrazione di sé, che viene consolidato con la stesura di un “diario di bordo” in cui venigono raccolti i vissuti, i commenti e le difficoltà rispetto alle attività svolte.

3. Lavoro sulla narrazione di sé: punta a sviluppare le competenze basilari affinché ciascun allievo possa accedere alla narrazione di sé: quindi saper individuare le emozioni, saper narrare il proprio sé emotivo, saper costruire un messaggio che parli di sé. Per stimolare la consapevolezza emotiva vengono proposti esercizi che insegnano a tradurre una sensazione fisica o emotiva in linguaggio figurato. Si presentano giochi e favole tematiche per insegnare a riconoscere e a verbalizzare le emozioni primarie (rabbia, paura, tristezza, gioia) e trovare delle

modalità per poterle raccontare (diventando loro stessi inventori di favole tematiche, creando delle piccole sceneggiature) 4. Il montaggio è il momento in cui si scopre la grammatica del video, la possibilità di parlare attraverso immagini selezionando e costruendo un filo conduttore per chi ci ascolta e ci guarda. Il bambino apprende ad evocare emozioni con la forza delle immagini e comprende in maniera implicita quanto questo linguaggio sia importante nella vita quotidiana. Con questo strumento il bambino si riappropria di uno spazio per raccontare sé stesso. Gran parte del lavoro consiste nel superare le inibizioni e scoprirsi autori di una trama narrativa che parte dalla propria personale esperienza di vita. Il prodotto finale, non sempre di grandissima qualità “tecnica”, se non si ha l’ausilio di un esperto nell’uso di videotape o se si usa una banale videocamera, è invece di altissimo valore educativo perché restituisce alla scuola bambini entusiasti di raccontare, più capaci di utilizzare la pluralità dei linguaggi espressivi, più consapevoli del proprio mondo interiore. Non ultimo va considerata la funzione catartica che il percorso ha per quei bambini “con problemi”. In questo caso l’atmosfera del gruppo, lo sguardo del conduttore, la possibilità di trovare una collocazione nella costruzione del progetto assumono una vera e propria funzione curativa.


PERCORSI

Emozioni e

colori di Pasquale Borriello

Psicologo, specializzando in psicoterapia. Si occupa di arte terapia e percorsi creativi.

Molti psicologi hanno studiato la relazione che esiste tra i colori e le emozioni umane sviluppando diverse teorie caratterizzate tutte da una convinzione comune: la scelta di un colore esprime l’ emozione provata in un dato momento. E’ possibile creare un canale di comunicazione attraverso il disegno o la pittura. Questo argomento fu approfondito dallo psicologo svizzero Max Luscher che teorizzo la relazione tra colore ed emozioni. In particolare osservò l’esistenza di colori, in grado di attivare reazioni corporee di eccitazione (rosso, giallo, ecc.), mentre altri sono in grado di indurre il rilassamento del corpo ( blu, azzurro, ecc. ). Esiste quindi una relazione tra emozione ed eccitamento corporeo che può influenzare la scelta di un determinato colore o essere influenzata dall’azione che il colore ha sulla

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psiche. In questo senso la scelta di uno o più di essi rivelerà se la persona è tesa o meno, spaventata, arrabbiata o triste. “Il test dei colori”, M. Luscher, Astrolabio ) Benché diversi studi hanno messo in luce che la simbologia del colore varia a seconda della cultura di riferimento è possibile identificare delle caratteristiche trasversali a tutte le culture che permettono di stilare un piccolo dizionario del simbolismo dei colori. Per maggiori informazioni è possibile consultare il testo “ Il bambino nella pioggia “ di Guido Crocetti edito da Armando editore oppure

“ Laboratorio colori “ di Marielle e Rudolf Seitz edito da Erickson. Questi principi possono validamente essere utilizzati per stimolare la espressività emotiva del bambino (ma anche dell’adulto). Occorre creare un atteggiamento giocoso e rispettoso che faccia sentire il bambino libero di esprimere tutta la sua energia emotiva in un disegno. L’adulto osservando i colori del disegno, ascoltando le sue parole e chiedendogli di raccontare cosa ha disegnato, potrà comprendere le sue emozioni e capire come relazionarsi ad esso.


Consigli per un laboratorio di pittura con il proprio bambino Obiettivo: aiutare il bambino ad esprimere la propria spontaneità e a narrare i suoi vissuti emotivi. Materiali: Carta da pacco color avana Scotch carta Pennelli a punta tonda morbida Tempere: giallo, magenta, blu, bianco, nero Fogli bristol 50x70 Carta assorbente Piatti di plastica Musica classica, particolarmente indicata è la musica del periodo romantico: Chopin, Liszt, Debussy . Allestimento dell’attività Rivestire il tavolo con la carta da pacco, mettere sul tavolo i pennelli, le tempere e la carta assorbente che servirà alla fine per poter ripulire le proprie mani ed eventuali tracce di colore. Munirsi di riproduttore stereo. Attività 1. Avviare la riproduzione della musica, non tenete il volume troppo alto, fermatevi qualche minuto ad ascoltare la musica chiedendo al vostro bambino di imitarvi. 2. Dopo qualche minuto, chiedete al bambino di scegliere un colore e iniziare a disegnare liberamente senza il vincolo dover rappresentare qualcosa. Deve solo toccare il colore e dipingere mediante gesti spontanei. 3. Alcuni bambini possono inibirsi di fronte a questo compito. In questo caso potete iniziare a dipingere voi per rassicurarlo. 4. Guardate il colore scelto dal bambino, verificate se è congruo all’emozione che esprime il suo viso durante l’attività . 5. Chiedetegli conferma dell’emozione che prova con una domanda diretta: sei triste ? arrabbiato ? ecc. E’ un modo per aiutarlo a parlare della propria emozione. Qualora il bambino non sappia identificare cosa sta provando potete dare voi parole alle sue emozioni. Se il bambino mostra di non voler parlare di sé lasciatelo tranquillo a continuare la sua esperienza. 6. Qualora il bambino si racconti, verificate se quello che dice è congruo alla reazione che osservate voi, vi accorgerete che ciò non accade sempre . Altre domande vanno fatte per comprendere il significato che dà al colore: Come mai usi il rosso ? Cosa stai disegnando con il rosso ? Conclusioni L’attività va svolta più volte nel tempo, perché il bambino cosi potrà sviluppare la capacità di narrare i suoi vissuti interiori con più facilità. Attraverso essa scoprirete un ottimo canale di comunicazione che vi permette di conoscere vostro figlio attraverso

il gioco e permetterà a lui di raccontarsi attraverso il disegno.

Zetesis Coop Sociale a.r.l. Ci occupiamo di orientare le persone perché sappiano costruirsi una vita psicologica sana. Lo facciamo lavorando su bambini ed adulti, promuovendo risorse e competenze per star bene, e aiutando persone che vivono difficoltà psicologiche. Zetesis si occupa di:

Apprendimento

Recupero scolastico specialistico Difficoltà di apprendimento Comportamenti problema del bambino Bambini iperattivi Bambini o adolescenti oppositivi o aggressivi Progetto vita per bambini down

Famiglia

Sportello famiglia Percorso di crescita per genitori Psicoterapia della famiglia Psicoterapia della coppia

Comunità

Formazione alla relazione educativa Corso di formazione per counselor educativo Start up per lo sviluppo di scuole dell’infanzia che seguono il modello Zetesis Officina delle emozioni per lo sviluppo della creatività e di un interiorità sana.

Zetesis Coop. Sociale a.r.l. Via Piave, 7 - Caserta Telefono : 0823452842 Fax : 0823452049 Email : info@zetesispsiche.it


PERCORSI

Essere Genitori

di Maria Russiello

L’esperienza genitoriale è carica di pregnanza emotiva. Crescere un figlio è una esperienza unica ed irripetibile, capace di suscitare emozioni intense e profonde, sia di gioia che di dolore. Non solo la gioia per la nuova vita che ospitiamo tra le braccia ma anche l’ansia, la preoccupazione, a volte l’angoscia di non sentirsi all’altezza del compito o di veder svanire il sogno di una crescita serena a causa di problemi che si presentano lungo il cammino. Diventare genitori è una profonda esperienza psicologica che nulla ha a che vedere con gli accadimenti biologici che portano alla nascita di un bambino. Si può essere amorevolmente genitori di figli non propri (accade all’insegnante o all’educatore che ama profondamente il proprio mestiere) e si può non essere genitori dei propri figli, perché mai li si vede con gli occhi e la responsabilità di chi si deve prendere cura di essi. Si è genitori quando si accetta di vivere il compito di accompagnare una nuova vita verso la propria autorealizzazione personale, verso il proprio futuro. Se genitori si diventa è pur vero che i percorsi che portano a concretizzare questa esperienza son diventanti sempre più tortuosi e complessi perché i punti di riferimento che codificavano l’educazione non sono più così chiari come un tempo. Il genitore dei nostri tempi non sempre trova risposte alle proprie inquietudini, non ha sempre chiaro come deve relazionarsi, quale scelta educativa sia più opportuna. La pluralità dei messaggi veicolati dai media, la profonda crisi di autorevolezza che gli adulti stanno vivendo e la perdita di un senso dell’etica che attraversa in maniera viscerale la società rende difficile trovare risposte. Il genitore del terzo millennio si scopre così solo preso da interrogativi di non semplice soluzione. I percorsi per genitori sono uno strumento di intervento psicosociale particolarmente importante per fronteggiare la crisi e la fatica della genitorialità. Essi hanno lo scopo di attivare le risorse che ciascun

adulto impegnato nell’educazione possiede. Essi sono organizzati e studiati per restituire al genitore la bellezza e la grandezza del compito in cui sono immersi. Se ben condotti non forniscono ricette magiche, non prescrivono comportamenti, ma insegnano a pensare in termini di progetto educativo. Perché l’educazione è sempre l’estrinsecazione di un progetto di cui occorre assumersi la responsabilità ed il peso. Attraverso gli incontri, di solito a cadenza settimanale, si scopre che dentro ciascun adulto impegnato nell’educare vi è un mondo di speranze, sogni, progetti, desideri, rivolti al proprio figlio. E’ questa energia vitale che spinge all’impegno e ci permette di “generare” una persona che avrà dentro di sé qualcosa di noi e sarà comunque meravigliosamente diversa da noi. Un buon percorso genitori cerca di stimolare a non aver paura di assumere delle posizioni, ad essere portatore di valori e di competenze, convincendo che solo attraverso esse il futuro bambino diventerà un uomo compiuto. L’esperto si pone quindi in posizione maieutica, cercando di tirar fuori le risorse dell’adulto, suggerendo percorsi, proponendo modi opportuni di comunicare ma rispettando sempre la necessità di ciascun genitore di trovare il proprio modo di crescere i figli. La condivisione in gruppo, il conforto del confronto, il lavoro rispettoso dell’esperto, diventano un toccasana per una generazione smarrita ma ricca di potenzialità. Dedicare due ore alla settimana o ogni quindici giorni per riflettere insieme può rivelarsi un’esperienza di grande ricchezza interiore capace di donare serenità e gioia. Un ottimo regalo da fare a sé stessi prima ancora che ai propri figli.


IL MEGLIO DI LORO DIDATTICA

La matematica

con il corpo

di Maria Magliulo

Pedagogista. E’ responsabile della scuola dell’infanzia “LA Ghianda”. Si occupa di difficoltà di apprendimento e di metodologie didattiche.

L’apprendimento della matematica è uno degli scogli più difficili da affrontare per un bambino. Il primo e più immediato canale di apprendimento per aiutarlo in questo compito è l’area senso -motoria. Il bambino apprende più efficacemente mediante l’esperienza e quindi l’utilizzo del corpo diventa essenziale. Questo metodo permette di non approcciare la matematica in maniera astratta, partendo direttamente dal simbolo e facendo uso semplicemente di carta e penna come nella maggior parte delle scuole, ma consente al bambino di fare esperienza, di agire nel mondo circostante e, dopo aver agito, di pensare alle azioni fatte con il corpo, di interiorizzarle e di riuscire ad eseguirle mentalmente. Quindi prima di conoscere i numeri, di ordinarli e confrontarli, prima di misurare lunghezze con unità di misura convenzionali, è fondamentale portare i bambini alla conoscenza del corpo. E’ necessario fargli riconoscere e denominare le parti del corpo prima su di sé, poi sugli altri ed infine su un’immagine. Ciò, naturalmente viene fatto mediante dei giochi molto divertenti; tra di essi ce ne sono due molto carini:

il primo consiste nel porre il bambino davanti allo specchio e fargli nominare le parti del corpo indicate dall’insegnante e che può vedere riflesse; il secondo, invece, consiste nel far mettere i bambini uno di fronte all’altro e a turno ciascuno fa lo specchio dell’altro, eseguendo lo stesso movimento. Questo metodo più esperienziale agevola i bambini nell’apprendimento della matematica poiché giocano e si divertono ed ha il pregio di avviarli a sentimenti di piacere nell’affrontare temi di natura matematica in opposizione a quanto più spesso capita (repulsione, odio e antipatie indotte nei confronti della matematica fin dai primi anni di scuola).


IL MEGLIO DI LORO EDUCAZIONE SOCIO-AFFETTIVA

Le parole non dette di Maria Russiello Psicologa, Psicoterapeuta. Si occupa del coordinamento delle scuole dell’infanzia e del Centro età evolutivo di Zetesis . Ha lavorato presso comunità minorili di area penale. Si è specializzata presso la SIPI (Società Italiana Psicoterapia Integrata). Svolge attività di formazione per genitori e docenti.

Jungh parlava di “OMBRA” per spiegare che le persone possiedono parti di sé nascoste nell’oscurità del proprio essere. Non è facile dare parola a queste parti nascoste. Le esperienze emozionali profonde, specie se temute, non riescono ad essere sempre tradotte in parole. A volte le parole servono per dare nome a quello che proviamo,

altre volte le usiamo per allontanarci dai nostri vissuti emotivi, possono essere il velo che nasconde il nostro mondo più profondo. Questo esercizio, proposto in gruppi per adolescenti o in gruppi di consapevolezza per adulti, ha come obiettivo di fare in modo che i partecipanti esplorino le parti di sé stessi che negano, trascurano o nascondono agli altri e le ragioni

Non sai più in quale parte della mente puoi stipare le parole non dette: se ne pronunci una, basta che sia vera, forse si apriranno oceani di abbracci che colmeranno baratri di solitudine. M. Cortese per cui questo avviene. Le persone vivono meglio se acquisiscono una maggiore consapevolezza di sé, delle paure e delle difficoltà che possono ostacolare una buona relazione. Ogni parte nascosta diventa, infatti, un pezzo di solitudine, un’area che non si può condividere e vivere con la sensazione di sentirsi pienamente accettato per come si è.

ESERCIZIO • Si chiede di segnare nella parte in ombra quali sono gli aspetti che tendiamo a non far vedere agli altri, che non ci piacciono, che riteniamo inopportuni. • Viceversa nella parte chiara quelle parti che non abbiamo difficoltà a manifestare. • La scheda così compilata servirà nella seconda fase per attivare una discussione di gruppo in cui i partecipanti possono confrontarsi sui temi emersi, sulla fatica di svelarli e condividerli. Ma anche sul fatto che proprio la condivisione diventa un punto di forza, si può scoprire che certi sentimenti, certe emozioni, … sono comuni, accompagnano anche gli altri e forse, proprio per questo, diventano più sopportabili e manifesti. Si inse-

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gna così il valore di condividere paure e difficoltà, elemento essenziale del benessere psicologico. Discutere dell’ombra significa discutere di come e perché soffochiamo nell’oscurità alcuni aspetti di noi stessi e di come possiamo imparare a svelarci nella tolleranza dell’incontro con l’altro. Significa anche comprendere che l’oscurità appartiene a tutti e ci accompagna nella vita come dimensione dell’imperfezione, della impossibilità di realizzare un ideale di sé e del mondo ma della possibilità di vivere concretamente quel che si è e si cerca di essere. E’ questo sforzo di perenne miglioramento che deve diventare valore condiviso.



IL MEGLIO DI LORO METODI

Educare alla Fiducia di Iolanda Falanga

L’essere umano, per sua specifica natura, è esposto, più delle altre creature viventi, al rischio e le speranze di sopravvivenza sono legate soprattutto alla cura che di lui avranno gli altri esseri viventi a partire dai genitori. In questo momento storico, il periodo di permanenza in famiglia e la conseguente dipendenza dai genitori ha rallentato nei giovani l’acquisizione di fiducia in sé stessi, perché più tardi si verifica la necessità di provvedere da soli alla propria ‘’sopravvivenza’’. Non fa meraviglia quindi rilevare che ciò che si cerca in questo tempo è soprattutto sicurezza. Anche in politica la sicurezza è il pilastro dei programmi che si propongono di attuare i governi. Senza la garanzia di sicurezza per i propri cittadini, uno Stato smette di essere uno Stato. Ecco spiegato perché l’insicurezza è il fattore principale dell’instabilità politica, l’altro nome dato alla crisi che si è generata in questo periodo, l’apripista per sentimenti quali sfiducia, diffidenza, paura. La paura purtroppo ci impedisce di guardare con chiarezza alla realtà, limita la nostra capacità di agire e reagire alle difficoltà, ci spinge alla fuga. E così non si riesce a ragionare a dialogare, a costruire. C’è però un modo per riacquistare fiducia, l’essere umano ha, per la precisione, tre strategie: le relazioni che instaura con gli altri esseri umani caratterizzate da cura e solidarietà, il potenziamento delle proprie capacità fisiche e intellettuali, l’interazione e profonda conoscenza con l’ambiente in cui è inserito. Innanzitutto la relazione con l’altro crea le basi per

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un rapporto fiducioso con il mondo che non viene percepito come ostile ma affidabile, è nelle relazioni serene e positive che possiamo scoprire le nostre possibilità, divenire competenti e mettere a disposizione le nostre abilità per dominare gradualmente l’ambiente circostante. In questa prospettiva, potrebbe inserirsi un percorso di educazione alla fiducia seguendo proprio le tre direttrici testé enunciate: scoprire le relazioni come fonte di fiducia, sviluppare armonicamente le proprie capacità fisiche, mentali, spirituali, acquisire maggio-

re familiarità con l’ambiente in cui si è inseriti. Ciò che manca ancora, purtroppo, è la fiducia nel futuro. Nelle nuove generazioni, se c’è, il futuro viene avanti minaccioso come un cattivo pensiero. Se guardiamo alla storia, però, possiamo dire che l’umanità è riuscita a superare difficoltà, a sviluppare condizioni di vita migliori, segno che il cambiamento è possibile se impariamo a collaborare.


Il Sonno

IL MEGLIO DI LORO RITUALI IMPORTANTI

di Maria Gatto

Educatrice de “La Ghianda”. Si occupa di bambini di didattica della primissima infanzia.

bambino diventa più grande occorre semplicemente modificare il modo di accompagnare il piccolo verso le braccia di Morfeo. Uno strumento molto utile sono le favole. Non importa che il bambino ne comprenda il significato, egli sarà cullato dalla voce del genitore che lentamente indurrà rilassamento ed abbandono. L’appuntamento con la favola diventerà un appuntamento serale atteso e piacevole che aiuterà genitori e figli a vivere un momento di tenerezza insieme. Ben presto noterete che il bambino comincerà a scegliere, tra le tante favole, quella che deve essere raccontata tutte le sere. Ancor più sgomenti potrete notare che il bambino si irrita se cambiate qualche passaggio narrativo, se la abbreviate, se cambiate anche solo qualche termine. E’ del tutto naturale che ciò accada! E’ il suo bisogno di ordine e di regolarità.

Addormentarsi è un evento fisiologico. Ciononostante, specie per i più piccoli, può diventare un passaggio non sempre facile da vivere. Per addormentarsi occorre lasciarsi andare, rilassarsi, diminuire il controllo e soprattutto allontanarsi dalla fonte primaria di sicurezza che è la madre. La notte, inoltre, è buia ed apre il mondo fantasmatico delle nostre paure più profonde. Vi sono quindi diverse ragioni per pensare al momento del sonno come un momento anche difficile. In che modo possiamo aiutare il bambino a vivere questo appuntamento quotidiano? I genitori hanno una naturale propensione a proteggere il sonno del neonato: imparano a cullare i bambini, a rendere la stanza silenziosa, a correre ad ogni piccolo sussulto. Quando il

La sua garanzia che voi siete lì a costruire un equilibrio di cui egli può giovarsi. Scoprirete anche che le favole, anche cruente, non suscitano timori nei bambini. La violenza dei racconti è spesso fonte di fascino e di questo non occorre spaventarsi perché con il loro linguaggio simbolico esse danno vita alle pulsioni interiori che gli stessi bambini si trovano a vivere quotidianamente. Grazie ad esse potrete costruire un delicato rapporto di accadimento con vostro figlio. Usando il linguaggio simbolico potete esorcizzare anche le paure che il bambino piccolo può segnalarvi. Un oggetto magico può diventare, grazie ai vostri riti ”magici”, uno “scacciapaure” da appendere vicino alla finestra o da portare con sé nel letto. In realtà è solo il segno della vostra presenza che resta lì a vegliare su di lui. Anche quando non ci siete. E questo al bambino può bastare.


RUBRICHE UN LIBRO

L’Ultimo libro dell’Universo di Iolanda Falanga Educatrice. Responsabile scuola dell’infanzia Mary Poppins. Svolge attività di formazione nell’ambito dello scoutismo

In un mondo devastato, in cui un cataclisma remoto ha distrutto equilibri e risorse del pianeta, la vita è ridotta alla pura sopravvivenza. Le città sono divise in territori che nessuno può attraversare senza permesso, pena la morte. Nessuno più ricorda, nessuno è più in grado di leggere, la cosa più preziosa è una sonda che spara immagini direttamente nel cervello. Spas è nato ‘difettoso’, soggetto a spasmi epilettici, non può accedere a questa evasione, viene cacciato dalla famiglia adottiva e mal tollerato dalla banda di quartiere a cui deve lavoretti sporchi per non avere noie. Uno di questi lavoretti è tormentare Tore, un vecchio che possiede solo una scatola piena di fogli che chiama ‘libro’. Spas invece

La Cura

lo aiuta e si fa aiutare a rivedere la sua amata sorella Bean che è molto malata’’. E’ un romanzo avvincente, intenso, dove ciò che emerge non è solo una grande avventura ma anche la metafora sul destino dell’umanità. L’ho molto apprezzato per il valore dato alla memoria e all’importanza di avere una storia dietro sé da cui partire per costruire il domani. Memoria e amore sono gli elementi basilari per il riscatto personale e della comunità. Trovo che questo romanzo sia adatto ai ragazzi delle medie, ma che possa fornire ottimi spunti di riflessione anche agli adulti in merito al senso della Storia e al preoccupante dilagare di nuove dipendenze che forse possono essere sconfitte solo grazie all’amore familiare e alla fiducia nel futuro.

Rodman Philbrick L’Ultimo libro dell’Universo Pagine: 181 Editore: Salani, 2006 € 13,50

UNA POESIA

Questa dolcissima canzone di Battiato è stata sempre considerata una delle più belle canzoni d'amore mai scritte, eppure confrontandomi con alcuni esperti musicali, ho potuto appurare che il senso profondo della canzone potrebbe essere tutt'altro. Alcuni mi hanno detto che sembra più la dichiarazione di amore di una divinità verso la sua creatura, altri una sorta di mantra, per il genere musicale quasi meditativo, in cui si avverte la bellezza dell'abbandono fiducioso nella saggezza di una persona più adulta. Non saprei dire quale delle due ipotesi reputo più giusta, sta di fatto che io ho percepito il senso della relazione educativa, soprattutto nei versi ''percorreremo assieme le vie che portano all'essenza'' e ''conosco le leggi del mondo e te ne farò dono''. L'educatore si prende cura, dove prendersi cura non è solo accudire, ma anche aiutare a crescere, anche se questo significa sofferenza.

Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza (F.Battiato) 32


Musica, Emozioni, Colori

CREATIVITA’ LABORATORI MUSICALI

di Valentina Di Nuzzo Psicologa, specializzanda in psicoterapia. Si occupa di disturbi dell’apprendimento e di genitorialità.

Organizzare i bambini in piccoli gruppi fornendoli di un foglio di carta bianca da pacco piegato a metà. Mettiamo a disposizione colori a tempera e pennelli per dipingere liberamente su una metà mentre facciamo ascoltare la Sonata al chiaro di luna, primo movimento, Adagio sostenuto di Beethoven. Promuoviamo l’osser-

vazione e la verbalizzazione dei lavori di ogni gruppo, sollecitando i bambini a rielaborare l’esperienza. Come era la musica? Era veloce, lenta, forte, dolce? Quali colori vi ha suggerito? Quali movimenti vi sono venuti in mente? Potete anche far danzare la penna

sul foglio ricalcando i movimenti pensati. Adesso prendiamo l’altra metà del foglio e facciamo ascoltare il terzo movimento (presto agitato) della stessa sonata.

Le Maracas

di Angela Sarnataro

Collabora con Zetesis da circa sei anni, si occupa di laboratori ludico espressivi con l’utilizzo dei materiali rivolti ad aduti e bambini.

Organizzare un laboratorio in casa è cosa più semplice di quanto si possa pensare, utilizzando cose di uso quotidiano o che di solito buttiamo. Possiamo per esempio costruire dei piccoli strumenti musicali come le maracas. Cosa occorre: due vasetti vuoti di yogurt, carta colorata, vinavil, forbicine dalla punta arrotondata, riso, mais per pop corn o legumi, piatti di plastica fondi, scotch carta o nastro isolante, pennello.

Procedimento:

Prendete qualche piatto di plastica e metteteci del riso o mais o ceci , ( non fermatevi se invece dei ceci avete i fagioli l’importante è provare con elementi diversi) giocate un pò con questi elementi e scegliete quello che più vi piace o se avete più vasetti provate con tutti e tre. Mettete una o due manciate

di legumi o cereali in un vasetto di yogurt. Appoggiate, a chiusura, l’altro vasetto e fissateli insieme con scotch carta o nastro isolante colorato. Tagliate dei pezzettini di carta colorata (anche carta da regalo). Con un pennello stendete la colla vinavil intorno ai vasetti e ricoprite con pezzetti di carta colorata. Lasciate asciugare e le maracas sono pronte per essere suonate. Vedrete che a seconda dell’elemento che contengono e della quantità si otterranno suoni diversi. Se avete scatoline di cartone o di metallo è interessante verificare come cambia il suono utilizzando anche un contenitore diverso.

CONSIGLI TECNICI • Indossare un grembiule aiuta a lavorare più tranquilli senza l’ansia di non potersi sporcare. • Ricoprire il tavolo di lavoro con carta da pacco per preservare la mobilia. • Lavare subito il pennello sporco di colla per poterlo riutilizzare. Cantare una canzoncina e accompagnarla col suono delle maracas appena costruite sarà divertente.

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La Posta Gentile Direttore,

Gentile Signora, La Redazione Questa pagina attende le vostre storie, le testimonianze di chi insegna, educa, si misura quotidianamente con il diffiicle lavoro di crescere bambini e confrontarsi con i giovani. e’ una pagina bianca che aspetta di essere riempita dalla vostra voglia di raccontarsi. vi ospiteremo lettere, segnalazioni, discussioni che hanno animato il nostro Blog (www.zetesispsiche.it/blog) o che sono giunte alla nostra rivista (www.zetezine.it). Cercheremo di rispondere a quesiti o suggerire percorsi di approfondimento,. Oppure non diremo nulla, lasciando che la vostra voce tocchi i cuori di altri educatori, creando risonanze affettuose e solidali. 34

le scrivo queste righe per condividere alcune preoccupazioni in merito alla scelta della scuola dell’infanzia per mio figlio. Sono fortemente suggestionata dalla offerta che proponete: l’idea che mia figlia possa svolgere attività utili alla sua crescita ed essere seguita con metodi scientifici e calore umano mi riempie di gioia. Incontro però persone che insinuano un tarlo nella mia mente che finisce comunque per minare le mie certezze: sto facendo la scelta giusta? Sto davvero dando una opportunità a mia figlio? O sto solo creando un isola felice che renderà più difficile il suo adattamento in futuro? Non è meglio che fin dall’inizio si abitui alla realtà esistente, nuda e cruda come essa è? Penso che iscriverò mio figlio presso la vostra scuola ma non posso fare a meno di condividere questo tormento? c’è da chiarire subito il concetto di adattamento. L’adattamento è frutto della capacità umana di risolvere problemi manipolando in modo efficace l’ambiente che lo circonda. Nel caso degli esseri umani occorre imparare a vivere sia in un ambiente fisico che in un ambiente umano. Per fare questo ci vogliono competenze. La questione è: quando occorre fornire queste competenze? Un certo modo di intendere l’infanzia è che essa sia un periodo in cui le capacità e le competenze siano limitate e destinate a migliorare man mano che si diventa adulti. Con questa concezione la prima infanzia è stata pensata come periodo in cui è importante svolgere un amorevole accadimento in attesa dei tempi maturi per insegnare ad apprendere. Questa concezione è stata superata dagli ultimi decenni di ricerca scientifica che hanno mostrato come il cervello del bambino è predisposto a potenzialità di apprendimento incommensurabili. Su questa scorta diventa necessario utilizzare il tempo della prima infanzia come un periodo di oro per favorire la crescita psicologica. E’ questo concetto che fonda il nostro agire e la nostra progettualità. Gettate buone basi e costruite le fondamenta è pensabile che la struttura potrà reggere le sollecitazioni più disparate. Diventa importante quindi pensare che ciò che si riesce a dare nelle prima infanzia è un capitale che potrà essere speso in tempi successivi. Il bambino che ha ben costruito i suoi sapere e la sua personalità potrà meglio adattarsi ai diversi contesti di chi invece non ha potuto farlo. Si spende per ciò che si possiede. Se non si è incamerato le nostre risorse sono limitate. Se si è tesaurizzato sapere e competenze possiamo permetterci di andare ovunque. E’ questo il fondamento per cui investirei molte risorse nell’apprendimento della prima e della seconda infanzia. In quegli anni si gettano le basi del proprio destino futuro, del proprio sapere e possibilmente della propria speranza di felicità.




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