Living Is Life 104

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È un luogo dal quale partire per riflettere sull’architettura alpina di Mollino e non solo su quella. E prima di gettare uno sguardo attento alle sue aggettanti architetture montane bisogna mettere ordine nell’infinito catalogo molliniano, separando per una volta l’uomo dal professionista. Spesso, leggendo i contributi critici sulla sua vicenda professionale, si fatica non poco a trovare sguardi sereni, imparziali e soprattutto non assoggettati alla sua pirotecnica personalità, poiché vengono messi in risalto appunto quegli aspetti del suo lavoro che, seppur presenti, non sono gli unici che rappresentano lo sforzo di Mollino in termini di mestiere. Parrebbe esclusivamente un dandy avvezzo a serate neanche troppo pulite dove l’architettura salta fuori (solo) quale occasione secondaria, una quinta di comodo messa in scena come fondale per stranezze e pruderie. Insomma un uomo di e alla moda che, coincidenza, faceva anche l’architetto, dimenticando che il personaggio-Mollino in realtà e prima di ogni cosa era un fine strutturista, un abile manipolatore della materia e dei vuoti ricavati tra l’architettura e il paesaggio. Quindi per una volta tralasciamo volutamente le altre attività che, seppur importanti, non sintetizzano con onestà l’approccio progettuale del professionista Mollino. Mollino: una leggenda o una storia? Direi una storia e neanche di successo, se misurata con il numero di commesse che hanno avuto seguito in cantiere. Infatti non sono molti i progetti che hanno trovato la via della realizzazione e, a ben vedere, è ricordato ancora oggi più per i suoi allestimenti domestici che per le opere pubbliche torinesi come il Teatro Regio e la Camera di Commercio, ritardati risarcimenti cittadini. Mollino non ha mai nascosto le proprie difficoltà, piuttosto le urlava ai suoi interlocutori. ”Annego in lavori e lavoretti” confessava stizzito a Lisa, figlia di Gio Ponti, amico, genio dell’architettura costruita e scritta, archistar del tempo e soprattutto direttore di Domus, la rivista che pubblicava i progetti dell’amico torinese. Mollino costruì poco, pochissimo, nonostante espellesse

progetti a raffica, ambientandoli in una geografia professionale a tratti incoerente ma che partiva e sempre tornava nella sua Torino. Uno sforzo fatto di mille concorsi di architettura non vinti e un mare di case progettate in montagna, da Cervinia fino a Madonna di Campiglio. Il tutto raffigurato da una messe di mille case solo disegnate (a fronte di meno di una dozzina effettivamente costruite…). Da Torino decollava un raggio di vapori architettonici che raggiungeva paesaggi neanche tanto distanti, la Lombardia, il Trentino Alto Adige, qualche frammento sulle coste di rassicuranti mari vicini: Cinquale, Lerici, Sanremo, Capri, Arzachena. Tanto lavoro sul tecnigrafo, un po’ meno sulle tavole di cantiere.

E veniamo alle Alpi di Mollino, sciatore, teorico dello sci, costruttore e pensatore di funivie, rifugi e piroscafi sulla neve, cioè grandi complessi adagiati sui manti nevosi in cui il cittadino entrava con il paltò e ne usciva vestito da montanaro contemporaneo, cioè da sciatore. Mollino sognava un uomo senza differenze geografiche, cittadino in città e montanaro in montagna (e viceversa), assolutamente conscio del paesaggio che lo circondava. Mollino nel paesaggio alpino non suggeriva alcuna sottolineatura politica o sociale e tutto era confinato nella sola architettura, moderna, reale, adeguata ai tempi. Un’architettura che si gettava vorticosamente nel suo paesaggio con uno sguardo a picco e un sobbalzo che sembrava e

pare tuttora un’interruzione del respiro. Proprio come nella villa K2 o Cattaneo di Agra, la casa che si gira rispetto al (suo) lago, dove lo sbalzo sulla terrazza è un salto sul proprio paesaggio, da gestire come se non fosse un panorama da cartolina illustrata. Ma lo è. Qui e altrove, se di Alpi stiamo parlando, Mollino manifesta tutta la sua praticità di intervento e una non comune capacità di comprendere come affrontare e risolvere ogni singolo tema partendo dalle conoscenze già presenti sul campo – leggi tradizione – per rivalutarle ed inglobarne i contenuti nel disegno e, semmai, modificarne i contorni, accettandone i significati. Mollino non dimentica il senso delle tradizioni tipiche di ogni ambiente montano ma non vi si assoggetta perché le assorbe superandole.

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Living architecture


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