il corriere del martino 2 - parte 2

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E sono 4!

L’FMC Ferentino vince un’incredibile partita fermando la capolista Pistoia per 91-85. L’FMC Ferentino conquista la quarta vittoria consecutiva contro Pistoia (squadra che primeggia in LegaDue) e resta imbattuta nel 2013. Una partita, quella del 20-01-2013, con continui ribaltamenti di fronte nella fase iniziale, un equilibrio nella seconda parte e infine la grande rimonta dell’FMC che all’over time fissa il punteggio sul 91-85 e conquista la vittoria. Tutto questo, soprattutto grazie ad una grande prestazione di Ciccio Guarino (autore di 32 punti), che nasconde la giornata grigia dei tre americani che chiudono tutti e tre con zero punti nella prima metà gara. Così il Ferentino raggiunge quota 12 punti in classifica e torna in discussione per la zona play-off. Guarino con questa partita ha mostrato di essere degno della fascia di capitano ricevuta dopo l’addio di Manuel Carrizo, che è approdato alla Bonacquista Latina. L’ex capitano, nonostante la partenza, ha promesso amore eterno per la squadra ciociara e per la città, con queste parole: ” Non potrò mai dimenticare queste due stagioni e mezzo in Amaranto. Sono stati gli anni più importanti della mia carriera. Continuerò a giocare a basket perché è il mio lavoro ma sarò un ferentinate per sempre”. E’ giusto ringraziare Carrizo per tutto ciò che ha fatto a Ferentino in questi anni e fargli un grosso in bocca al lupo per il futuro della sua carriera. Sempre Forza Ferentino! Daniela Gigante Mara Incelli

Il coraggio di non mollare mai “La pallavolo è stata la mia cura” risponde Eleonora Lo Bianco in un'intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport. La famosa palleggiatrice italiana, dopo un tumore al seno, è rientrata in campo più carica che mai. All'età di 33 anni, lottare contro una malattia così rischiosa e dopo due mesi riprendere la solita vita faticosa e impegnativa, non è un'impresa da nulla. E' stato proprio questo suo coraggio e questa sua voglia di fare che le hanno permesso di realizzare il suo sogno. Era il 1994 quando esordì per la prima volta in serie C con la Pallavolo Omegna e nel giro di 4 anni vinse con la sua squadra 2 campionati, arrivando in B1. Nell'estate del '98, fece il suo debutto nella nazionale italiana e due anni dopo si ritrovò a giocare in A1. Dal 2002 ad oggi è riuscita a conquistare vittorie su vittorie ma, tornata dal Mondiale 2010 in Giappone, si accorge della presenza di un nodulo: fatti i vari controlli, i medici le hanno diagnosticato un tumore. Fare tanti sacrifici fin da giovane, ore e ore di allenamento, ginocchia sbucciate, uscite e feste rimandate a causa delle partite, allontanarsi da casa per realizzare un grande sogno e poi? Arrivare in alto e fermarsi a causa di una malattia? No, a nessuno piacciono le sconfitte, tantomeno a lei. Ed ecco che nel Gennaio del 2011 è tornata a vincere: dopo l'operazione ha avuto la conferma per poter tornare in campo. “ Essere un'atleta mi ha aiutata a combattere questa malattia che ho vissuto un po' come fosse un infortunio. Ho fatto tutto il più presto possibile, le visite, l'intervento, pensando solo a tornare il prima possibile in campo. Dal punto di vista mentale, mi ha aiutato, perché non ho avuto il tempo di star troppo a piangermi addosso. Pensavo che la mia vita, dopo la malattia, potesse cambiare totalmente e di fatto è stato così: grazie al sostegno delle mie compagne, della mia famiglia e degli ottimi medici che mi hanno curato, ho trovato la forza di andare avanti, di combattere e di cercare sempre il lato positivo di ogni situazione, e ci sono riuscita. Volevo a tutti i costi uscire vittoriosa da questa battaglia, un po' come se fossi in una partita importante: la più difficile della mia vita”. Eleonora Lo Bianco, record assoluto di presenze in maglia azzurra, un mito vivente dello sport italiano, una donna che grazie alla sua tenacia è riuscita a continuare quel sogno che ancora oggi sta vivendo. Eleonora Lo Bianco, grande orgoglio italiano. Giuseppe Fiorini e Maria Mastrosanti.


Quell’aereo falciando col bianco le profondità del cielo si era indebitamente appropriato del vigore dei suoi sogni.

Era al quinto anno di liceo e aveva da poco compiuto i diciotto anni. Era stato l’ultimo a festeggiare ma era talmente stanco degli auguri cantati a squarciagola, dei finti sorrisi per le foto con la torta, di chiedere soldi per i regali, stanco per le ore di sonno perse che per il suo compleanno aveva deciso di tagliare le spese e non fare niente. Aveva brindato con gli amici più intimi che gli avevano strappato tre o quattro risate ma per il resto quel mercoledì era trascorso anonimo come tanti altri. Il solo regalo che aveva ricevuto era stato quello dei genitori ma su richiesta sua, perciò anche l’emozione della sorpresa era venuta meno. Due biglietti andata e ritorno per la Germania e l’emozione prima di partire erano tutto quello che gli era rimasto. Era un ragazzo modesto Damiano, uno senza troppe pretese. Amava la compagnia ma molto spesso si sentiva solo in mezzo agli altri. Era sensibile sebbene avesse sempre cercato di nasconderlo e non aveva fratelli sebbene ne avesse sempre desiderato uno. A volte si chiedeva come sarebbe diventato se avesse avuto un fratello con il quale dividere la stanza, se fosse stato meno geloso delle sue cose o meno insicuro. Pensava che l’avrebbe chiamato Michele, che sarebbe stata l’unica persona con la quale condividere le sue esperienze d’amore e che non lo avrebbe mai tradito. Ma questo fatidico fratello non c’era, non c’era mai stato e non era mai esistito nessuno che Damiano avesse potuto ritenere tale. Aveva tanti amici ma li considerava tutti egualmente estranei, nemmeno con la lente di ingrandimento ne avrebbe mai potuto scegliere uno che considerasse un fratello e al di là di dissacranti battute, non si era mai spinto tanto a largo con loro. Sentiva che tra lui e gli altri ci fosse come una specie di guscio e non si spiegava come fosse possibile che arrivasse prima l’incomprensione che il suo messaggio. Ma tutto sommato ci sapeva fare, si era abituato ad avere due maschere una sociale e l’altra che invece indossava quando era solo con i suoi pensieri. Aveva diciotto anni e chi fosse in realtà non lo sapeva ancora. Quell’aereo falciando col bianco le profondità del cielo si era indebitamente appropriato della fiducia che nutriva in se stesso.

Era partito in viaggio con i suoi amici ed era sull’aereo del ritorno. Avanzavano ormai soltanto i ricordi, tutto il resto era alle spalle, le notti in bianco, l’alcol, i pasti saltati, le colazioni alle quattro. Da quel finestrino se provava a guardare di sotto oltre ad avere le vertigini non provava altro che un senso di nausea, della scuola, della maturità, dei sei mesi che dovevano ancora passare e di tutto quello che aveva lasciato in sospeso prima di partire. Pensava che tornando avrebbe trovato tutto come prima ma era incredibile quanto sembrassero diverse le cose viste da fuori pur da lui che le conosceva bene. Per cinque giorni sembrava essersi dimenticato di Ilaria, di quanto avesse sofferto per lei, di come l’avesse ferito ed era felice. Ma si era dimenticato anche della sua bellezza, di come avesse saputo amarlo, del suo sorriso, delle sue forme. Non stavano più insieme da poco, da quanto poco tempo in realtà nemmeno lo sapeva. Non si erano mai messi insieme, si erano soltanto amati ma non ricordava quando così come non ricordava il giorno in cui si erano lasciati. Ilaria gli era sembrata una parentesi sfuggente, un desiderio continuo e inappagabile. Ma chi fosse stato Damiano per lei non ne era a conoscenza, non glielo aveva mai chiesto e temeva la risposta. Seduto su quel sedile lato finestrino, col volto annebbiato gli tornava in mente tutto ciò che lo legava ancora a lei persino il giorno in cui l’aveva vista per la prima volta raggiante, esplosiva, piena di ottimismo e di buon umore, di una carica travolgente, di una passione scoppiettante. Era la passione che la rendeva tanto speciale e quei ricci scuri che la incorniciavano. Era seducente, interessante, romantica a modo suo ma instabile. Qualunque rapporto avesse avuto non era durato più di quattro o cinque settimane, era ambita, desiderata e le piaceva farsi desiderare. L’aveva conquistata con un mazzo di viole, una cenetta fatta in casa, un giro in moto. Le piaceva tutto ciò che non fosse troppo scontato. Ma ecco, come l’avesse persa non riusciva a spiegarselo. Sapeva che piaceva e le piacevano in tanti. Non sapeva ancora che si era innamorata del suo professore…TO BE CONTINUED Chiara Villani


Di amore ce n’è quanto ne vogliamo. C’è amore per un sorriso, per un nuovo giocattolo, per un fratello. C’è l’amore per la nonna, che come ogni settimana ti concede dieci o forse più euro per il mai comprato gelato.C’è amore per la musica, per l’arte e per l’artista. C’è amore per la mamma e per il papà, per il migliore amico e per la compagna di stanza. C’è amore per la panna montata, la pizza e una scatola di cereali, e c’è quell’amore un po’ distruttivo, che ti fa battere la testa contro i muri della palestra e le tastiere dei computer. C’è amore felice, di quelli che ti fanno sognare, e c’è amore per i sogni, le sfide e le biciclette dei bambini. Di amore ce n’è quanto ne vogliamo, ma scegliere come viverlo spetta soltanto a noi. E state pur certi, ragazzi miei, di qualsiasi età ed altezza, che se fossimo stati fatti per amare, ma amare davvero, le cose sarebbero più semplici. Amare non è un pregio che ci spetta, un dono che ci caratterizza, una vita che dobbiamo trascorrere. Siamo stati fatti per respirare, pensare, parlare,camminare, forse anche cantare (Chi più e chi meno, ovvio!) ma non per amare.Penso, e ne sono ormai fermamente convinta, che chi ha plasmato l’uomo, qualunque entità metafisica essa sia, non l’abbia fatto con il subdolo scopo di farlo amare: Ecco perché lo facciamo. Perché la sfida con noi stessi, ed i nostri limiti, è l’unica che valga davvero la pena affrontare. No, l’uomo non è stato fatto per amare. Forse, solo per innamorarsi. Simona Mastrosanti L’uomo di legno.

Bianco e nero.

L’uomo di legno non vive di niente, ma ha bisogno di tutto. L’uomo di legno respira di notte, e muore di giorno. Ha il cuore di crine, le dita di cera. L’uomo di legno sa di schegge appuntite, ha sapore di sconfitte. E’ di legno lo sguardo, di legno il pensiero, di legno le ossa. L’uomo di legno ha la vita finta, carne da burattinaio e profilo da burattino. Alza lo sguardo, adesso, che c’è l’uomo di legno. Di legno il suono, di legno l’odore, di legno l’amore. Simona Mastrosanti

Lui annega negli spartiti. Troppi pentagrammi per un solo foglio. Ha il volto spavaldo per nascondere una mente confusa, è arrabbiato, con lei, con se stesso, con il mondo, con lei, con la musica, e le sigarette, e poi ancora con lei. Solleva la mano in cerca di aiuto, poi torna a sospirare con la faccia contro il muro. Lei, che di faccia ne ha solo una: Quella da innamorata, con gli occhi di sogni e le labbra dipinte. E’ la donna dei “Ma”, la tizia inconcludente, quella dalla vita sempre mezza aperta come il cuore. Esce di casa, dalla finestra, dalla porta, dalla testa di chi non l’ha mai veramente vista. Nero lui, bianca lei. Come i tasti di un pianoforte che non si sfiorano mai, quasi la luce del sole e il riverbero delle stelle. Lui è il colore del caffè, del silenzio, dell’irrazionalità. Lei è la figura della ragione, del bagliore, dell’ilarità. Lei, il pentagramma di inchiostro sulle sue pagine vuote. Lui, il calamaio di vetro per la sua piuma leggera. Simona Mastrosanti


From Andalusia with love


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