Letteratitudine special n 1

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ESTATE 2014 Volume 1, Numero 1

LETTERATITUDINE s

Periodico diretto da Massimo Maugeri

LETTERATITUDINE SPECIAL: dal blog di Massimo Maugeri

www.letteratitudine.it Gli ospiti: Glenn Cooper …..….. pag. 2 Ildefonso Falcones… pag. 5 Joe R. Lansdale…….. pag. 8 Amélie Nothomb….. pag. 10 Clara Sánchez……... pag. 13 Gabrielle Zevin….…. pag. 14

L’autore straniero racconta il libro Care amiche e cari amici, sono molto felice di poter inaugurare questa nuova iniziativa di Letteratitudine che trae origine dalle attività del blog. I contenuti di questo magazine raccolgono contributi già disponibili online. Lo speciale raccoglie quanto pubblicato sulla rubrica intitolata “L’autore straniero racconta il libro”. Si tratta di uno spazio online che accoglie contributi di alcuni tra i più noti scrittori non italiani pubblicati nel nostro paese (invitati per raccontarci qualcosa sul loro libro più recente e sul loro “laboratorio di scrittura”). In questo numero troverete gli articoli di: Glenn Cooper, Ildefonso Falcones, Joe R. Lansdale, Amélie Nothomb, Clara Sánchez, Gabrielle Zevin. Vi ringrazio in anticipo per l’attenzione che vorrete riservare a questa iniziativa. Massimo Maugeri


Letteratitudine special n. 1

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IL CALICE DELLA VITA – Glenn Cooper Il primo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è stato lo scrittore statunitense Glenn Cooper che è tornato in libreria con un nuovo thriller intitolato “Il calice della vita” (editrice Nord). Si tratta di un romanzo che, per certi versi, presenta alcuni elementi di rischio giacché (come ci ha raccontato l’autore) è incentrato su un tema che è stato ampiamente sfruttato dalla letteratura di genere: la ricerca del Graal. Glenn Cooper ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa su se stesso, sul suo personale laboratorio di scrittura e su questo nuovo romanzo che, a pochi giorni dall’uscita, ha già scalato le classifiche di vendita. E noi, ovviamente, lo ringraziamo. "Un nuovo romanzo sul filone della ricerca del Graal"

di GLENN COOPER Non comincio mai un nuovo romanzo senza essere abbastanza certo che possa raggiungere tre obiettivi: 1) Scrivo thriller, quindi l’idea su cui si basa la storia deve assicurare emozione, drammaticità e suspense. Inoltre, non mi piace scrivere libri banali, quindi devo essere personalmente convinto della originalità della storia, 2) Poiché devo convivere con i miei eroi e con i miei personaggi negativi per almeno un anno, devono essere persone interessanti, e 3) devo avere “qualcosa da dire” che vada oltre la semplice narrazione. Per me è fondamentale usare il popolare genere thriller per esplorare alcune tematiche universali di natura filosofica e religiosa che a volte non appaiono nella narrativa popolare.

Glenn Cooper

L’idea di un libro sul Graal è stata stimolata da un mio amico che mi ha donato una bella edizione illustrata del capolavoro di Thomas Malory del XV secolo, Le Morte d’Arthur; un libro che avevo letto all’età di tredici anni. Mi ricordai subito dell’emozione che, tanti anni fa, quella lettura aveva suscitato in me. La storia era così ricca di avventura e di immagini. Era come L’isola del tesoro di Stevenson e il Robinson Crusoe di Defoe, i libri alla Harry Potter della mia infanzia. Quel dono mi spinse a creare una mia storia sul Graal. Certo, non è possibile impegnarsi nella scrittura di un romanzo sul Graal con leggerezza. di questo nuovo romanzo dovevo essere certo che la storia osservasse tutte e tre le mie regole personali indicate sopra, in particolare quella relativa all’originalità. Molti dei miei libri sono ambientati in epoche diverse e sono popolati da personaggi storici realmente esistiti, quindi è importante svolgere una ricerca approfondita prima di scrivere. Questo nuovo libro, pur affondando le sue radici in una storia contemporanea, coinvolge anche la Cornovaglia del V secolo di Re Artù e dei suoi cavalieri, l’Inghilterra del XV secolo di Thomas Malory, la Gerusalemme del I secolo di Cristo, e la


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Letteratitudine special n. 1 Prima di scrivere la prima parola di questo nuovo romanzo dovevo essere certo che la storia osservasse tutte e tre le mie regole personali indicate sopra, in particolare quella relativa all’originalità.

Molti dei miei libri sono ambientati in epoche diverse e sono popolati da personaggi storici realmente esistiti, quindi è importante svolgere una ricerca approfondita prima di scrivere. Questo nuovo libro, pur affondando le sue radici in una storia contemporanea, coinvolge anche la Cornovaglia del V secolo di Re Artù e dei suoi cavalieri, l’Inghilterra del XV secolo di Thomas Malory, la Gerusalemme del I secolo di Cristo, e la Catalogna del XX secolo di Antoni Gaudí. Comincio sempre un nuovo progetto acquistando libri (la parte migliore del lavoro!). Per la scrittura di questo nuovo romanzo, ne ho acquistati più di 200. Diciamo che ne ho letto una ventina da cima a fondo e gli altri solo in parte. In genere preferisco comprare il libro di carta, ma a volte, quando non posso aspettare i tempi di consegna, lo acquisto in formato e-book. Se lo trovo utile, mi procuro anche la copia cartacea; successivamente, se mi interessa davvero e ho preso appunti sulle pagine, acquisto una terza copia “pulita” per la mia libreria. Ecco perché gli editori mi amano tanto. Dopo aver svolto la mia ricerca e aver preso i miei appunti, butto giù una traccia piuttosto dettagliata del romanzo, ma non così dettagliata da inibire creatività e possibilità di cambiamenti in corso d’opera. Dopo che questo lavoro di contorno è compiuto, comincio il "Prima di scrivere la prima parola di questo libro. Mi piace scrivere in maniera costante, sette nuovo romanzo dovevo essere certo che giorni alla settimana, e di solito pianifico circa un la storia osservasse tutte e tre le mie anno per completare la prima stesura. Poi comincia la regole personali indicate sopra, in fase di riscrittura, che considero sempre la più difficile particolare quella relativa all’originalità" giacché comporta la parziale distruzione di una parte del lavoro che ho comunque portato avanti con fatica. La storia di questo libro è incentrata sull’idea di una moderna ricerca del Graal. Arthur Malory è un giovane inglese che ha una gran passione per la mitologia del Graal, un uomo che - in un certo senso - incarna la versione moderna di un cavaliere medievale vincolato dal codice cavalleresco. Arthur si trova coinvolto in una questione di vita o di morte legata alla ricerca del Graal e nel corso della storia scoprirà cose di notevole importanza sulle sue origini e sul suo personale legame con la sacra reliquia. Il romanzo, narrato come una serie di storie intrecciate attraverso i secoli, arriva fino al momento in cui il Graal tocca le labbra di Cristo durante l’Ultima Cena e finisce… beh, non dirò come finisce!


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Al di là della storia, che spero i lettori troveranno avvincente e sorprendente, ho anche voluto esplorare l’intersezione tra scienza e fede, fisica e religione. La domanda centrale del libro è la seguente: può la ricerca del Santo Graal portare alla più grande di tutte le rivelazioni - una spiegazione scientifica al fondamento stesso del Cristianesimo, la risurrezione di Cristo?

" Al di là della storia, che spero i lettori troveranno avvincente e sorprendente, ho anche voluto esplorare l’intersezione tra scienza e fede, fisica e religione "

Ho un rapporto interessante con i lettori italiani. Sebbene sia americano, i miei libri sono particolarmente popolari in Europa. E l’Italia è in cima alla lista. Molti dei miei libri sono stati pubblicati prima in Italia, così ho avuto modo di relazionarmi con i lettori italiani per ricevere le impressioni iniziali. Mi piace avere un dialogo molto attivo con i miei lettori e cerco di rispondere alle email, ai messaggi che arrivano su Facebook, Twitter e sui post del blog lo stesso giorno, a volte nel giro di poche ore. L’immediatezza della comunicazione mi permette di abbattere le barriere che spesso si creano tra lettore e autore ed è davvero un grande piacere per me. Anche se Il Calice della Vita, nel momento in cui scrivo questo articolo, è disponibile solo da due settimane, il feedback che ho ricevuto è stato assolutamente positivo. Era importante per me che questo libro offrisse una versione fresca e originale della storia della ricerca del Graal e, finora, mi incoraggia constatare che molti lettori sembrano essere d’accordo. E devo dire che rimango sempre incredulo quando in classifica vedo i miei libri affiancati a quelli di grandi scrittori come Andrea Camilleri e Umberto Eco. Fantastico. [Traduzione di Massimo Maugeri] (Riproduzione riservata)


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Letteratitudine special n. 1 LA REGINA SCALZA – Ildefonso Falcones Il secondo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è stato lo scrittore spagnolo Ildefonso Falcones, autore del celebre bestseller “La cattedrale del mare“, edito da Longanesi. Sempre per Longanesi è uscito di recente il nuovo romanzo intitolato “La regina scalza” (anche questo ha scalato la classifica dei libri più venduti). Ildefonso Falcones ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa sulla sua scrittura, sul suo rapporto con le storie che scrive e sui passi che hanno portato alla stesura de “La regina scalza”. Noi, ovviamente, lo ringraziamo… e insieme a lui ringraziamo Tommaso Gobbi, dell’ufficio stampa della Longanesi, per l’indispensabile supporto fornitoci soprattutto per la traduzione del testo.

"Il nuovo successo di Ildefonso Falcones"

di ILDEFONSO FALCONES “Signor Falcones vuole spiegarci cosa intende quando dice che il coraggio delle donne è il modo migliore che conosce per raccontare la Storia?” Guardo il giornalista che mi ha fatto la domanda. “Lei crede che mi avrebbe chiesto la stessa cosa se avessi parlato di uomini anziché di donne? Mi avrebbe fatto la stessa domanda se avessi detto che è il coraggio degli uomini a cambiare la Storia?” Nei giorni scorsi in Italia mi hanno posto molte volte questa domanda ma solo dopo un po’ ho capito che era proprio il fatto che mettessi le donne al centro che incuriosiva e faceva scattare l’interrogativo. Credo che gli stessi giornalisti non ne fossero consapevoli, quindi ho iniziato a rispondere rigirando la domanda. La Storia purtroppo è sempre stata fatta dagli uomini, e dagli uomini ancora oggi sono fatti i governi, è per questa ragione che sentirsi dire che il coraggio delle donne può cambiare la Storia è destabilizzante. E in questo concetto c’è quello – più ampio – dell’ingiustizia, concetto che torna sempre nei miei romanzi. Ildefonso Falcones

Ma mettiamo subito in chiaro una cosa: io scrivo romanzi d’intrattenimento e non voglio indottrinare nessuno. L’unico scopo che ho quando scrivo è quello di procurare al lettore lo stesso piacere che anche io cerco nei libri: sarebbe a dire l’evasione, il divertimento. Se


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Ma mettiamo subito in chiaro una cosa: io scrivo romanzi d’intrattenimento e non voglio indottrinare nessuno. L’unico scopo che ho quando scrivo è quello di procurare al lettore lo stesso piacere che anche io cerco nei libri: sarebbe a dire l’evasione, il divertimento. Se non cercassi questo, non prenderei in mano un romanzo ma un saggio. Io scrivo letteratura popolare, punto a raggiungere il maggior numero di persone possibile per divertirle e non mi interessa in alcun modo l’entrare a far parte di una cerchia intellettuale ristretta. Se scrivo di ingiustizie è perché credo che sia il tema più affascinante e coinvolgente di cui si possa parlare e voler leggere. L’eterna lotta dell’oppresso contro l’oppressore, del giusto contro l’ingiusto. Chi non vorrebbe essere un combattente che si batte contro le ingiustizie? Come ve lo spiegate il successo di Zorro altrimenti? Il lettore deve identificarsi ed emozionarsi, ecco come la vedo io. Questo non significa che prima di iniziare a scrivere non mi documenti a fondo. Tutt’altro. La Storia è al centro di ogni mio libro ed è il faro che mi guida. Invento dei personaggi, certo, ma ognuno di essi è profondamente legato al periodo storico che sto raccontando. È una sorta di patto che ho fatto con me stesso ma che ho sempre considerato come naturale. La Storia è un vincolo per me, un limite invalicabile. Non invento dei fatti, piuttosto cerco di ricreare delle situazioni che siano assolutamente verosimili e per farlo è chiaro che " Mettiamo subito in chiaro una cosa: io scrivo devo documentarmi, leggere e studiare moltissimo. Se non si romanzi d’intrattenimento e non voglio indottrinare è rigorosi, se non si riescono a fornire dettagli fisici, nessuno." particolari dell’epoca o persino odori, il lettore avvertirà un senso di estraneità, un qualcosa che non torna. Per scrivere “La regina scalza” ho impiegato tre anni e ho letto centinaia di testi. La maggior parte dei volumi di cui ho bisogno li acquisto da un sito internet spagnolo che si chiama Iberlibro e che dispone di un catalogo vastissimo, anche di testi antichi o introvabili in qualsiasi libreria. Poi ovviamente mi documento molto anche su internet e ogni tanto ricorro alla biblioteca e solo dopo aver studiato ed essermi completamente immerso nell’epoca che voglio raccontare, comincio a scrivere. Non credo ci sia un unico metodo o regole ben precise per scrivere un buon romanzo, ma se dovessi proprio individuare una norma per me sempre valida, è il partire dalla fine. Quando inizio un nuovo romanzo devo avere bene in testa quale sarà la conclusione, dove voglio andare a parare. Tutto il resto della storia viene dopo, ma il finale è il punto verso il quale mi sto dirigendo e deve essere chiaro fin da subito. Nel corso della storia cambierò idea, alcune storie si intrecceranno tra loro in modi che magari stupiranno anche me, ma so che tutto deve portarmi in un punto ben preciso. E a proposito delle storie che si intrecciano mi viene in mente un’altra piccola confidenza. Mi hanno chiesto tante volte, vista la mole dei miei libri, come faccio a tenere a mente tutto dall’inizio alla fine e se per caso ho una grande lavagna in cui disegno degli schemi o una parete su cui attacco post-it, come si vede in qualche film. Ma perché - rispondo io - dovrei fare cose di questo tipo quando abbiamo uno strumento come excel? Con excel ho sempre tutto sotto controllo, qual è il retroterra dei vari personaggi, come questi sono legati tra loro, in che momento sono accaduti alcuni fatti e tutto ciò che è necessario. E così è stato anche per “La regina scalza”.


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“Il contesto storico è quello della persecuzione dei gitani nella Spagna del XVIII secolo e un altro tema fondamentale del romanzo è proprio quello del canto e della musica.

Dopo aver ambientato il primo libro, “La cattedrale del mare”, nel XIV secolo, e il secondo, “La mano di Fatima”, nella seconda metà del ‘500, con “La regina scalza” siamo nel XVIII secolo, in pieno illuminismo. Il racconto è ambientato in Spagna anche se sono partito da una mia grande curiosità per il periodo della schiavitù a Cuba. Si è trattato di un periodo durissimo per gli schiavi delle piantagioni: lo zucchero veniva ancora raffinato a mano e gli uomini e le donne che lavoravano nei campi erano sottoposti a ritmi e trattamenti disumani, soprattutto nelle settimane della raccolta. Quando sento dire che oggi la nostra libertà subisce delle privazioni mi viene quasi da ridere. Non abbiamo idea di cosa significhi davvero essere privati della libertà e della dignità… Se avessi scelto di ambientare il romanzo a Cuba, però, mi sarei dovuto trasferire là per un lungo periodo per potermi documentare a fondo e non credo che mia moglie avrebbe preso bene la cosa…! Allora ho pensato a questa donna, Caridad, che è una schiava cubana che arriva in Spagna. Durante la traversata il suo padrone muore ma prima di spirare le “dona” la libertà. In Spagna conoscerà e si legherà moltissimo a Milagros, una gitana che ha la ribellione e il canto nel sangue. Il contesto storico è appunto quello della persecuzione dei gitani nella Spagna del XVIII secolo e un altro tema fondamentale del romanzo è proprio quello del canto e della musica. Lo sapevate che il flamenco nasce dall’incontro tra i canti degli schiavi e le musiche dei gitani? Gli schiavi cantavano per sopportare il dolore e la fatica. Erano canti dolorosi, con un ritmo triste, nostalgico e cupo, il cui ritmo era tenuto soprattutto attraverso strumenti a percussione. Il canto per gli schiavi era un modo per comunicare con gli dèi e per resistere e tenere occupata la mente. I gitani invece erano completamente atei e accompagnavano i loro canti con la chitarra. Dalla fusione di queste melodie nacque il flamenco, una musica che – dice la tradizione – deve essere cantata finché non si sente il sangue in bocca. Cosa succederà a Caridad e Milagros e dove e perché si ritroveranno a cantare e ballare lascio che lo scopriate voi stessi leggendo il libro, amici di Letteratitudine. Con l’augurio, da parte mia, che possiate divertirvi il più possibile, pagina dopo pagina dopo pagina. (Riproduzione riservata) © Ildefonso Falcones © Letteratitudine


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LA FORESTA – Joe R. Lansdale Il terzo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è lo scrittore americano Joe. R. Landsdale, molto noto anche per i romanzi del ciclo di Hap & Leonard. Joe R. Landsdale ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa di se stesso, della sua infanzia e di ciò che lo ha portato alla scrittura di “La foresta”: romanzo western appena edito da Einaudi Stile Libero (tradotto da Luca Brioschi). Ringraziamo Joe per il contributo che ci ha inviato e per la nota di chiusura specificamente dedicata alle lettrici e ai lettori italiani. Di seguito, il pezzo tradotto in italiano e la versione in lingua originale. Thanks a lot, Joe!

" Un romanzo western di Joe. R. Landsdale "

di JOE R. LANSDALE

" Mia nonna, che morì nel 1980 a quasi cento anni, quand’era bambina aveva visto Buffalo Bill e lo ricordava benissimo. "

Sono cresciuto con i film western. Negli anni Cinquanta e Sessanta ce n’erano a bizzeffe nelle sale e in televisione. Gunsmoke, Have Gun Will Travel, Rawhide, Cheyenne, Maverick e tanti altri. Anche i racconti sul west narrati da mio padre e mia madre, esercitarono su di me una grande influenza. I miei erano già piuttosto anziani quando nacqui, e le loro esperienze erano diverse da quelle vissute dai genitori dei miei amici. Mia nonna, che morì nel 1980 a quasi cento anni, quand’era bambina aveva visto Buffalo Bill e lo ricordava benissimo. Aveva viaggiato lungo il Texas sopra un carro. Se la memoria non mi inganna, era in un gruppo coinvolto nella corsa per l’accaparramento delle terre in Oklahoma, ma che poi si diresse in Texas. Mia nonna ha visto accampamenti indiani, ha assistito a scontri con animali selvatici e, come mio padre e mia madre, aveva parenti che avevano combattuto nella guerra civile. Mio nonno era un commerciante di cavalli e aveva due famiglie, una su ciascun lato dell’Ozarks. Nessuna di esse fu a conoscenza dell’esistenza dell’altra fino al 1970, quando conoscemmo la sorellastra di mia madre, che era quasi spiccicata a mia madre. Be’, questa è già una storia.


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"Scrivere questo romanzo è stato come dare sfogo a un urlo primordiale. Spero che vi piacerà leggerlo."

Più tardi, negli anni Settanta, cominciai a interessarmi alla letteratura western (non più solo film e storie orali). Prima di allora avevo letto ogni tipo di romanzi, ma poca narrativa western. Oggi non è cambiato granché. Quando trovo qualcosa che mi piace, ci esco pazzo; altrimenti rimango del tutto indifferente. Ho letto “The Shootist” di Glendon Swarthout, “True Grit” di Charles Portis, “Little Big Man” di Thomas Berger, “Last Reveille” di David Morrell, e un romanzo molto sottovalutato: “The White Buffalo” di Richard Sayles. Ho letto anche “Wild Times” di Brian Garfield, “Lonesome Dove” di Larry McMurtry , e certamente il romanzo di Alan Le May “The Searchers”. C’è un po’ di Twain, lì dentro. Del resto Twain perseguita anche me, come un buon fantasma, nelle tante cose che scrivo. Con riferimento a questo mio nuovo romanzo, posso dirvi che desideravo raccontare una storia nello stesso modo in cui la raccontavano i miei: con ritmo, dettagli e divagazioni interessanti. C’è un miscuglio di avventura e azione, alla base di “La foresta”. Scrivere questo romanzo è stato come dare sfogo a un urlo primordiale. Spero che vi piacerà leggerlo. Vorrei soffermarmi un attimo per dedicare un pensiero a tutti i miei lettori italiani e ringraziarli per il loro interesse. Lo apprezzo tanto. Avete dimostrato di essere lettori forti e di seguire con passione il mio lavoro. E di amare i libri in generale. So per certo che siete lettori di gran lunga più attenti di quelli del mio paese. È una cosa che ammiro molto. Spero che possiate continuare ad amare i libri in siffatto modo. Un buon libro è un’esperienza meravigliosa, e io sono davvero felice che tanti di voi abbiano apprezzato le esperienze vissute leggendo i miei romanzi. Spero possa essere così anche nel futuro. (traduzione di Massimo Maugeri) (Riproduzione riservata) © Joe R. Lansdale © Letteratitudine


LA NOSTALGIA FELICE – Amélie Nothomb Il terzo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è stata la scrittrice belga Amélie Nothomb. Amélie ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa sul percorso che l’ha portata alla scrittura del suo nuovo libro “La nostalgia felice” (pubblicato da Voland e tradotto da Monica Capuani). Ringraziamo Amélie per il contributo che ci ha inviato e ringraziamo la casa editrice Voland per averci concesso la possibilità di pubblicare un estratto del libro (che potrete leggere di seguito).

di AMÉLIE NOTHOMB Un bizzarro e coinvolgente viaggio sentimentale: sedici anni dopo le tragicomiche peripezie raccontate in “Stupore e tremori” e in “Né di Eva né di Adamo“, Amélie Nothomb torna in Giappone. È l’occasione per rivedere i luoghi e le persone amati dopo lo spaventoso terremoto di Fukushima del 2011.

Quando mi hanno proposto di fare un documentario sul mio ritorno in Giappone, nella primavera del 2012, sedici anni dopo averlo lasciato, ho accettato perché ero convinta che non avrebbe interessato nessuno. E invece Laureline Amanieux e Luca Chiari sono riusciti a trovare i finanziamenti per realizzarlo: così è nato Amélie Nothomb: une vie entre deux eaux. Tornata da questo viaggio ho deciso di scriverne un libro. Ho tentato di raccontare nel modo più preciso quello che era successo. Non ho mai raccontato fatti realmente accaduti con così poco intervallo di tempo tra la realtà e la scrittura, in questo era passato solo un mese di distanza. Nulla era ancora stato digerito, e per questo i ricordi sono così esatti. Nell’urgenza della scrittura non dovevo però farmi prendere dal pathos. Ho constatato, visto che conosco bene la scrittura autobiografica, che più l’intervallo di tempo tra i fatti raccontati e il momento della scrittura è lungo, più si ha la tendenza a rendere tragici gli eventi, alla fine ci si fa sommergere dall’emozione e si finisce nel mito. In questo libro ho descritto l’incontro con la mia tata Nishio-san, la mia madre giapponese, e quello con Rinri, il mio primo amore. Il titolo, Nostalgia felice, è emblematico. “Natsukachii”, la nostalgia in giapponese, designa una nostalgia felice. In Giappone non è un ossimoro ma un’evidenza. Se la nostalgia non vi rende felice, vuol dire che non avete capito niente. In Giappone si servono di bei ricordi per raccogliere nuove energie… (Riproduzione riservata) © Amélie Nothomb


Pagina 11 di 17 Letteratitudine special n. 1 Un estratto del volume “La nostalgia felice” (Voland - traduzione di Monica Capuani) Lasciamo Shukugawa in taxi: Nishio-san abita in un angolo di periferia privo di collegamenti. Lungo il tragitto, ci fermiamo per una pausa-pranzo. Incapace di inghiottire alcunché, parto alla ricerca di un fioraio dove compro un mazzo di rose. – È un regalo? – domanda la negoziante. Faccio segno di sì con la testa. Lei mi allestisce una confezione molto più notevole del povero mazzo di rose che contiene. Esco di lì con un cesto degno del funerale di una diva. Il taxi ci accompagna fino a un condominio di case popolari alla periferia di Kobe. L’edificio è un po’ squallido. Siamo in anticipo di dieci minuti, passeggio nel cortile dove un gruppetto di bambini di quattro anni sta giocando a pallone. All’ora convenuta, salgo al sesto piano. Agli appartamenti si accede tramite un ballatoio esterno. Le porte sono misere. Accanto a una di loro, riconosco gli ideogrammi di Nishio. Con il cuore stretto, suono il campanello. La porta si apre, e vedo apparire una signora molto anziana alta un metro e cinquanta. All’inizio ci guardiamo terrorizzate. Ritrovarsi è un fenomeno così complesso che andrebbe affrontato soltanto dopo un lungo apprendistato, oppure bisognerebbe semplicemente proibirli. Lei pronuncia il mio nome, io pronuncio il suo. Al telefono, la voce mi era parsa giovane. Non ho più questa impressione. Mi invita a seguirla dando inizio a una litania di scuse. Mi tolgo le scarpe, i componenti della troupe fanno lo stesso. Raggiungiamo Nishio-san in un microscopico soggiorno. Mi ingiunge di sedermi su una sedia e lei resta in piedi accanto a me: le nostre teste sono finalmente alla stessa altezza. Le mostro la telecamera e le domando se la disturba. Riprende la sua litania di scuse, io la capisco benissimo, provo una sensazione simile: siamo così imbarazzate che la presenza di una telecamera non cambia niente. Le porgo il mazzo di rose che è grande quanto lei. Lo posa e lo scarta con gli stridenti ringraziamenti che le ho sempre sentito. Poi torna a mettersi in piedi davanti alla mia sedia e mi fissa. – Somigli a tua madre – dice alla fine. – Come stanno le sue figlie, Nishio-san? – Non lo so. – È diventata nonna? – Le mie figlie hanno dei bambini ma io non li conosco. Le mie figlie si rifiutano di vedermi. Questa notizia mi lascia di sasso. Nishio-san, donna povera e senza marito, ha lavorato sodo per tutta la vita per allevare le sue gemelle, ed ecco che loro la rifiutano. Aspetto una spiegazione che non arriva. So che non bisogna chiederla. Quanto è invecchiata Nishio-san! Ha quasi ottant’anni. Ne dimostra ancora di più. Ha i capelli bianchi tagliati corti, indossa dei pantaloni e un grosso cardigan di lana. L’appartamento è piuttosto piacevole, e la cosa mi rassicura. Fino a questo momento non ci siamo sfiorate, né dette nulla che testimoni l’immensità dell’amore che ci lega. So che se non sarò io a fare uno sforzo, non ne usciremo. Prendo il coraggio a due mani e le dico: – Anch’io, Nishio-san, sono sua figlia. E sono venuta dall’Europa per vederla. Il miracolo accade. Nishio-san scoppia in singhiozzi e mi prende tra le braccia. Io sono sempre seduta sulla sedia. Questa posizione non va bene, allora mi alzo e stringo la piccola donna fragile con tutta la mia forza.


Amélie Nothomb

Restiamo così per un tempo interminabile. Piango come avrei voluto piangere all’età di cinque anni, quando mi avevano strappato dalle sue braccia. È raro provare un sentimento tanto forte. Inclino la testa su quella di questa donna così importante ed è allora che avviene l’innominabile: a causa dei singhiozzi, il contenuto del mio naso cola sul cranio della mia sacrosanta madre. Spaventata all’idea che se ne sia accorta, le accarezzo i capelli con il palmo della mano per pulire il misfatto. In Giappone, un gesto così intimo è di una grossolanità folle, ma Nishio-san lo accetta perché mi vuole bene. È una legge immutabile dell’universo: se ci è dato di provare un’emozione forte e nobile, un grottesco incidente arriva subito a rovinarla. L’abbraccio si scioglie. Turbata, piombo sulla sedia. Nishiosan continua a non volersi sedere, sicuramente per mantenere il volto all’altezza del mio. – Abita qui da molto tempo? – Sì. Da quando il terremoto del 1995 ha distrutto la mia casa. – A Kobe avete avuto ripercussioni dell’11 marzo 2011? – Di cosa parli? – Di Fukushima, sa. – Non capisco. Mi volto verso l’interprete, un ventiduenne di Tokyo, pregandolo di aiutarmi. Con dolcezza, spiega alla mia tata che sto alludendo al grande terremoto del’11 marzo 2011. – Che intende? – domanda lei. Il giovane e io ci scambiamo un rapido sguardo. Negli occhi di Yumeto, leggo: “Glielo dico?” Scuoto la testa per dire no. Così, malgrado la presenza del televisore, Nishio-san non ha saputo nulla della catastrofe dell’anno scorso. La vecchiaia l’ha protetta. Non ritengo necessario metterla al corrente. Se il suo cervello non ha registrato la tragedia, forse la sua capacità di sofferenza era giunta a saturazione. A che scopo infliggere Fukushima a questa donna che ha vissuto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale? (Riproduzione riservata) © Voland © Letteratitudine


Pagina 13 di 17 Letteratitudine special n. 1 LE COSE CHE SAI DI ME – Clara Sánchez Il quarto ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è stata la scrittrice spagnola Clara Sánchez. Clara ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa sul percorso che l’ha portata alla scrittura del suo nuovo romanzo “Le cose che sai di me” (pubblicato da Garzanti e tradotto da Enrica Budetta). Di seguito, il contributo di Clara Sánchez (tradotto in italiano da Rossana Ottolini)

di CLARA SÁNCHEZ

"Così comincia l’avventura di una ragazza che all’inizio si sente come Anna Karenina, fin quando dovrà decidere se morire o non morire per amore."

Clara Sánchez

La paura dello sguardo dell’altro, la paura di non piacere, quella di essere respinti in amore o dalla nostra cerchia di amicizie, così come nel mondo del lavoro ci obbliga a mascherarci dietro a un’immagine e a essere come agli altri piacerebbe che fossimo. Da questa sensazione dominante mi sentivo spinta a scrivere un nuovo romanzo. Scegliamo i vestiti che ci stanno meglio e mostriamo sempre il nostro profilo migliore, sorridiamo senza ragione e cerchiamo di non dire nulla che possa trasformarci in persone antipatiche. I politici sanno a memoria queste regole, conoscono bene il valore che può avere un gesto. Ma non volevo un politico per protagonista, volevo piuttosto qualcuno di più ingenuo, più vulnerabile, qualcuno incapace di ingannare in modo deliberato. Una persona con contraddizioni e insicurezze in compagnia della quale imparare qualcosa della vita. E un giorno, all’improvviso, quando meno me lo aspettavo, sfogliando una rivista di moda nella sala d’attesa di uno studio medico, ho trovato la mia protagonista. Lei era una modella giovane e bella, di successo, con ogni probabilità anche ricca e amata e che nonostante tutto questo non sembrava essere proprio felice. Mi ha colpito il suo sguardo, che sembrava gridare “Aiutami!!”. Cosa poteva star succedendo di terribile a una persona così? Forse l’avere tutto non ti mette al sicuro dall’angoscia e dai demoni? In quell’istante l’ho chiamata Patricia ed è uscita dalle pagine della rivista per installarsi in quelle del mio romanzo. Così comincia l’avventura di una ragazza che all’inizio si sente come Anna Karenina, fin quando dovrà decidere se morire o non morire per amore. È una ragazza che non si accorge di essere vittima di una vampirizzazione da parte delle persone che la circondano, perché a volte le persone che più amiamo sono proprio quelle che possono farci più male. Una ragazza sola, che non vede la propria solitudine.


"Tutti i personaggi di “Le cose che sai di me” sono scaturiti direttamente dal mio cuore, tutti sono ispirati a persone che ho conosciuto, persino Viviana, la cui vera casa è davvero come un bosco pieno di aromi”

Flaubert direbbe: “Io sono Patricia”, forse siamo tutti un po’ Patricia, perché: qual è l’essere umano che non ha mai sentito il bisogno di fuggire e andare alla ricerca della libertà? Chi non ha mai sentito che il lavoro lo stava indurendo o trasformando in un’altra persona, in qualcuno in cui non si riconosceva più? Patricia inizia a slegarsi dai propri vincoli emotivi grazie al provvidenziale aiuto di Viviana. Tutti i personaggi di “Le cose che sai di me” sono scaturiti direttamente dal mio cuore, tutti sono ispirati a persone che ho conosciuto, persino Viviana, la cui vera casa è davvero come un bosco pieno di aromi. Quando Viviana entra nella vita di Patricia reca con sé un intero mondo, non è solo un personaggio, ma qualcuno che si porta dietro il mondo delle fate e delle streghe della propria infanzia, la magia. È un personaggio creato dalla natura stessa come un albero o una montagna ed è così che mi piacerebbe che restasse nella mente del lettore una volta chiuso il libro, come un’evocazione della nostra fantasia. Da qui in poi preferisco che i lettori stessi continuino a raccontare le vicissitudini di Patricia, Viviana, Elías, Carolina… perché sono i lettori a dar loro vita. Infinite grazie a tutti. (Riproduzione riservata) © Clara Sánchez © Garzanti libri

LA MISURA DELLA FELICITÀ – Gabrielle Zevin Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è la scrittrice americana Gabrielle Zevin. Gabrielle ha scritto a Letteratitudine per raccontarci qualcosa sul percorso che l’ha portata alla scrittura del suo romanzo “La misura della felicità” (pubblicato da Editrice Nord e tradotto da M. Dompè). Ringraziamo Gabrielle per averci inviato questo suo contributo.


Pagina 15 di 17 Letteratitudine special n. 1 di GABRIELLE ZEVIN Gli spunti per scrivere un libro possono arrivare da ogni parte: da notizie di attualità, dalle preoccupazioni del momento, dai libri che sto leggendo, dai film e dalla televisione, dalle persone che incontro per strada e dalle storie che mi raccontano. Ci sono davvero moltissimi fattori che possono stimolare le idee e l’immaginazione, basta essere sempre ricettivi, pronti a vedere, ascoltare e imparare. Nel caso de La misura della felicità è stata una vita fatta di letture e libri a ispirarmi, le tante storie lette, i cambiamenti nel mondo dei libri in quest’epoca di trasformazione, tra carta e e-book. La scrittura di questo romanzo è scaturita da due domande fondamentali e potenti: le librerie sono importanti nella nostra vita? Le storie che leggiamo possono influenzarci e definirci come individui? Ed ecco che il protagonista non poteva essere che il libraio A.J. Fikry, un uomo circondato dai libri, quegli stessi libri che lo avevano ormai allontanato dal mondo. Ambientare la storia su un’isola è stata una scelta naturale, un simbolo di questo dilemma in cui il protagonista, all’inizio del romanzo, risulta intellettualmente e fisicamente isolato. La storia racconta il percorso intrapreso da A.J. Fikry per riconnettersi al mondo, alle persone, a se stesso, alla vita. Leggere è spesso un’attività solitaria, ma una delle cose più belle della lettura è la capacità di un libro di avvicinarci alle altre persone. Così nel cuore e nella vita di A.J. Fikry piano piano trova spazio la piccola Maya, una bambina da lui adottata dopo essere stata abbandonata nella sua libreria. Grazie a lei e al suo innato amore per i libri, A.J. non solo scoprirà la gioia di essere padre, ma riassaporerà anche il piacere di essere un libraio, aprendosi Gabrielle Zevin pian piano alla vita e all’amore. Ho scritto e pubblicato sette libri prima di questo, ma coltivavo dentro di me l’idea per La misura della felicità da oltre 8 anni: mi interessava scrivere un romanzo in cui i personaggi fossero definiti e caratterizzati non tanto da descrizioni fisiche, ma dai loro gusti letterari. La stesura del romanzo vero e proprio mi ha preso quindi non più di sei mesi, ma si tratta di un progetto ideato e rielaborato per anni.


La scrittura di questo romanzo è scaturita da due domande fondamentali e potenti: le librerie sono importanti nella nostra vita? Le storie che leggiamo possono influenzarci e definirci come individui?

È stato facile per me parlare di libri: sono cresciuta in una famiglia di lettori, partendo dai miei nonni, passando dai miei genitori fino ad arrivare a me. Quando mi domandano come mai sono diventata una scrittrice, rispondo sempre dicendo che, da piccola, andare in libreria con la mia famiglia era un po’ come entrare in chiesa. Tutti i weekend andavamo sempre in libreria e subito dopo al fast food (chissà se il fast food ha condizionato il mio amore per i libri…una specie di riflesso di Pavlov!). Il primo posto in cui mi fu permesso di andare da sola è stato proprio la libreria vicina al supermercato, avevo circa sette anni, e i miei genitori pensarono che alla loro preziosa bambina non sarebbe potuto accadere nulla in un posto così. Con questo spirito ho passato la mia vita tra scaffali e volumi. Pur frequentando le librerie e amando i libri, prima di essere scrittrice non ho mai dato un peso particolare al ruolo del libraio. Dopo la pubblicazione di La misura della felicità sono stati proprio i librai i primi a sostenermi, a credere nella storia e nel romanzo, a dargli visibilità. Credo che buona parte del successo di questo romanzo sia da attribuire a loro. (Riproduzione riservata) © Gabrielle Zevin © Editrice Nord


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