SCOMMESSE. La city padovana

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SCOMMESSE

La city padovana



Indice

La realtĂ di una visione

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SCOMMESSE La city di Padova. Una scommessa persa?

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Scommesse / Progetto espositivo

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I dati / Appendice

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Bio

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LA REALTÀ DI UNA VISIONE / Stefania Schiavon Elena Squizzato Patrick Grassi

Scommesse è il progetto artistico che Elisa Pregnolato ha ideato, seguito e realizzato durante i dieci mesi di residenza a MAC Makers Artisti e Creativi in Piazza De Gasperi, spazio di sperimentazione e co-lab per la giovane creatività sviluppato dall'Ufficio Progetto Giovani – Settore Gabinetto del Sindaco del Comune di Padova. Trenta scorci che tra immagine e parola raccontano, utilizzando scatti fotografici e citazioni d'archivio, lo sviluppo urbanistico e sociale di un'area centrale di Padova, che si estende a "fascia" da Piazza De Gasperi fino alla zona universitaria del Portello. Uno spazio urbano complesso che accentra in sé una serie di contraddizioni che riguardano tutta la città di Padova e in particolare il rapporto tra il centro e la periferia, tra la parte storica e le zone che, adibite fino al secondo dopoguerra ad insediamento industriale, sono state trasformate in centro direzionale e residenziale a partire dagli anni '50 e '60. Insieme, narrazione e fotografia parlano non solo del tempo storico, economico e sociale che ha fatto di Padova ciò che abitiamo tutt'oggi, ma raccontano un'idea, una sfida urbana e cittadina, una claustrofobia geometrica legata all’architettura economica di un sogno: quello della city padovana. 5


Una visione che già in sé, nel suo nascere e come si evince dai documenti relativi alla sua progettazione, portava gli elementi di contraddizione che, dopo averlo carezzato, avrebbero reso evidente l'irrealizzabilità di quel sogno, prima ancora dell'intervento della globalizzazione, dei nuovi flussi migratori e della crisi economica del 2008. Visione che è parte, secondo l'artista, di "una retorica da sempre segno incancellabile della vasta provincia che popola l'Italia". Una retorica delle responsabilità, delle colpe, di qualcosa che non riguarda mai il "noi" ma viene prodotto sempre dagli "altri" e che nella semplificazione può assumere la fisionomia dei politici, degli immigrati, delle congiunture economiche. Il progetto di Elisa Pregnolato dunque muove da un principio di curiositas, di conoscenza e approfondimento, non per rispondere a delle domande, ma per generarle; per andare a vedere da dove tutto è partito. Il suo lavoro non documenta semplicemente uno stato di realtà, apre invece a possibili nuovi racconti della città, porta vicino a noi altri punti di vista, tratteggia diversi scenari da considerare per cercare l'origine di quello che si vede e delle scelte anche "estetiche" che sono state fatte. Scommesse, infatti, è frutto di un percorso di ricerca che ha attraversato diverse strade: dallo studio dei documenti di archivio, all'osservazione dei luoghi, agli incontri con le persone. E attraverso la pratica artistica, che unisce il lavoro fotografico e la scrittura narrativa, Elisa Pregnolato si rende interprete di questioni e temi che altrimenti rimarrebbero confinati all'interno di analisi sociali, storiche e urbanistiche.

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Il linguaggio fotograf ico di Elisa Pregnolato si focalizza sulla retorica che emerge dalle costruzioni, dalla sequenza e dalla serie di finestre, dalle aperture/chiusure di serrande che si alternano ritmiche e casuali lungo le altezze degli edifici che si affacciano sulla Piazza. L'immagine si propone fitta di elementi, particolari minimi, che si susseguono lungo le facciate dei palazzi e dei grattacieli, fino a riempire il quadro visivo e non lasciare respiro, né la possibilità all'osservatore di collocare spazialmente dove si trova il cielo o il piano stradale, in un'alternanza di pieni e vuoti che creano una ritmicità ossessiva. Dalla continuità del pattern visivo degli scatti di Scommesse emerge, però, l'assenza di connessione tra le parti che compongono la complessità architettonica ed urbanistica di edifici nati in un contesto "slegato", sradicato e non coeso. E, proprio da questa operazione di moltiplicazione e reiterazione di medesimi elementi, quella retorica ambiziosa di voler essere parte di un "centro" si incrina e viene scardinata.

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SCOM M ESSE



LA CITY PADOVANA. UNA SCOMMESSA PERSA? / Elisa Pregnolato

Padova non osa, ostenta se stessa tra le storiche vie del centro. Anche i suoi abitanti, sorpresi nel ghetto ad assaporare i raccolti delle terre attorno, non alzano la voce, oscillano i calici. Padova vorrebbe. Vorrebbe brillare sull'acqua come Venezia, ballare e fare affari come Milano. Quella Padova dal complesso di inferiorità si annusa, dai verdi Navigli sul Piovego ormai mezzi vuoti nelle sere d'estate, quando anche l'ultima sessione d'esame è andata. La Padova dei vorrei-ma-non-posso balza all'occhio, quando lascia il ciottolato del centro per dare spazio al marmo, al vetro e al cemento dei sottoportici di Corso del Popolo. È proprio da quassù, dagli alti tetti grigi e roventi, che Padova tenta ancora di mostrarsi come un'altra città.

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LA MILANO DEL NORD-EST Appena fuori dalla stazione si apre la corsa. Il formicaio di pendolari si riversa nelle aree pedonali più comode e frequentate: devono raggiungere in fretta l'Università, il Centro, gli uffici. I tassisti sono stipati con ordine e un mascherato sorriso: devono attirare i turisti più facoltosi. I senzatetto si accaparrano gli angoli più coperti e depositano i loro cartoni. Gli spacciatori sfrecciano in bicicletta e i loro clienti prendono rapide scorciatoie. Padova fronte stazione si presenta così: multilingue, caotica e schietta. Nel cuore pulsante della città, in quello che urbanisticamente doveva essere il suo Centro Direzionale, i palazzi liberty si ergono timidi, sovrastatati da una Padova costruita nel dopoguerra, di corsa, sulla curva del suo sviluppo economico. Le facciate dei suoi edifici sono il risultato di un'operazione di moltiplicazione, i n c a r n a n o l'urbanesimo e l'edilizia massiccia che ha costruito l'Italia lasciandoci in eredità reticoli urbani che oggi lamentano una

crisi ben più ampia di quella edilizia. Così si presenta la Padova della city, quella che ancora vuole essere centro del Nord-Est. L'idea della city, ovvero il Nuovo Centro Direzionale Padovano, nasce negli anni '50 per mano dell'architetto Luigi Piccinato*, ai tempi di una nazione che ancora muoveva i primi passi nella regolazione della sua crescita urbana. Secondo il Piano Regolatore, partendo dal vecchio centro fino alla Fiera, il NCD sarebbe entrato nell'orizzonte cambiando volto e destinazione d'uso a quella che una volta era l'area industriale della città: un cumulo di obsolete architetture industriali su di un terreno privo di vincoli ambientali. Padova voleva cambiare: tre milioni di metri cubi di costruzioni ad alta densità di abitanti, su di un'area di 680 mila metri quadrati tra il centro e la stazione l'avrebbero trasformata nella nuova "Milano del Nord-Est".

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Luigi Piccinato (1899 – 1983) è stato un architetto, urbanista e accademico italiano da più parti definito il fondatore dell’architettura organica in Italia e dell’urbanistica italiana. Ha progettato interventi in numerosissimi centri urbani, ponendo grande attenzione alle matrici storiche del territorio e ai suoi delicati equilibri. Per Padova, Piccinato predispose non uno, ma ben cinque piani regolatori generali (attraverso l'età fascista, il periodo bellico, il dopoguerra, l'età democratica). Padova è la prima città del dopoguerra, dopo Milano, a prevedere la redazione di un PRG. Questa azione volta a salvaguardare la fisionomia storica della città e a p i l o t a r n e l ' e s p a n s i o n e e n t ro l e coordinate di uno «sviluppo sostenibile» è stata però più volte ostacolata e deviata.

Per chi in questa zona ancora oggi ci abita “gli anni erano quelli buoni". Nel '50 la congiuntura economica padovana era effervescente, aiutata dalla posizione centrale che la città ricopriva tra le arterie di comunicazione del territorio regionale e nazionale. Secondo i censimenti dell'Amministrazione tra il '50 ed il '60, le aziende industriali crebbero del 18% e quelle commerciali e di servizio del 40%, con una richiesta di forza lavoro e nuovi addetti raddoppiata in soli dieci anni. Lo sviluppo economico venne affiancato da un incremento demografico naturale e migratorio (dalla campagna alla città): dai 170.000 abitanti censiti nel '51 si arrivò ai 200.000 degli anni '60.

nuove attività e ai nuovi addetti del settore terziario, e liberare il centro storico. La stampa locale di fine anni '50 promuoveva così la nuova city da costruire appena oltre le mura, una nuova sfida per una città che ancora cercava un equilibrio tra la sua anima agricola, industriale ed artigiana. Un'area messa a disposizione di una nuova massa di cittadinanza in movimento dalla campagna alla città: nuovi cittadini che avrebbero trovato alloggio e lavoro in una zona urbana più moderna, “fatta di ambienti pieni di aria e di luce, costruita secondo i criteri della grande edilizia”.

D'un tratto, le strutture urbane del vecchio centro già sovraffollate e smembrate dall'edilizia della ricostruzione, divennero insufficienti e obsolete di fronte al nuovo scenario economico e demografico padovano. La nascita del NCD avrebbe quindi assolto una duplice funzione: dare un luogo attrezzato alle 13


Il 3 luglio 1959 il Comune di Padova lancia la sua sfida: un Concorso Pubblico di Idee per il Centro Direzionale, una mossa d'avanguardia a cui parteciparono architetti, ingegneri e studi professionali a livello nazionale. L'area messa a concorso inizialmente era perimetrata a ovest da Corso del Popolo, a nord dalla stazione ferroviaria e si estendeva verso sud-est su Via Nicolò Tommaseo fino alla zona universitaria e a quello che oggi viene chiamato il “fagiolo della Stanga”. La commissione presieduta dall'ingegnere Celeste Pecchini*, l'allora Assessore ai Lavori Pubblici, premia il progetto "Candide 1234567890" che, partendo da un profondo esame della situazione economica e demografica della città di quegli anni, propone un ampliamento delle previsioni precedentemente redatte nel PRG.

Padova fronte stazione si presenta così: multilingue, caotica e schietta.

Padova a cavallo del '60 sembrava dunque essere qualcosa di molto diverso da ciò che Piccinato prevedeva a inizio del decennio precedente: secondo i vincitori del concorso, la corsa economica della città e le previsioni positivistiche dell'Amministrazione, avrebbero richiesto repentine trasformazioni, nonchè una superficie e una cubatura più ampia di quella messa a concorso. Su proposta del progetto vincitore venne quindi inclusa nel perimetro del comprensorio anche l'"area Distillerie Fiat", conosciuta oggi come piazza Alcide De Gasperi. Per l'Amministrazione il NCD si sarebbe costruito in tempi brevi, entro 30 anni, grazie a un Consorzio di privati. Nel 1964 il Consiglio Comunale adotta la Variante che ufficializza il progetto e dà il v i a a espropri e cambi di destinazione per un costo totale di urbanizzazione dell'area che supera i 20 miliardi di lire. Nel frattempo, tra la messa a concorso dell'area e l'effettiva approvazione della Variante da parte del Ministero trascorre più di un decennio. Sono anni alla rincorsa della proprietà, anni di scrivanie sature di proposte edilizie e approvazioni di planivolumetrici privati.

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L'eredità lasciata al tessuto urbano della Padova fronte stazione mette a nudo la difficoltà della giunta Crescente* di far fronte alle incongruenze che lo sviluppo economico stava enfatizzando negli anni '50 e' 60. Anche qui la risposta alle trasformazioni fu assecondare l'aspetto più evidente della crescita: la domanda di edificazioni, che, intrecciata al mercato del credito diventa un ingranaggio in grado di dare consenso politico in tempi brevi. La Padova del dopoguerra, come del resto altre parti di Italia, mostra oggi il volto scalfitto di una sf ida vinta da gli interessi privati a scapito dei beni collettivi. Le sue cicatrici portano il nome del prof itto, direttamente proporzionale al danno inferto alla collettività. Quei lineamenti sono il volto di una Padova che si sente donna, ancora sensuale ma un po' avanti con l'età, che nasconde la sua identità tra le pieghe del viso, tra i segni della sua solitudine e dell'originaria, ma oltrepassata, bellezza.

Le sue cicatrici portano il nome del profitto, direttamente proporzionale al danno inferto alla collettività.

Celeste Pecchini, l'allora presidente dell'ospedale civile di Padova, diventa Assessore ai Lavori Pubblici succedendo Lanfranco Zancan nel 1956. Fu tra i primi oppositori all'urbanistica di Piccinato, che chiedeva il decentramento delle strutture sanitarie padovane al di fuori delle mura. Durante la sua carica vennero prese decisioni determinanti per il futuro urbano di Padova come lo sventramento di alcune parti delle mura ottocentesche e l'interramento delle Riviere. Cesarino Crescente, avvocato e politico italiano, viene eletto Sindaco di Padova nelle file della DC nel 1947 e rimarrà in carica fino al 1970. Durante la sua amministrazione, a partire dall'inizio degli anni cinquanta, vedono la luce numerosi progetti urbanistici ed edilizi destinati a mutare profondamente l'aspetto di Padova. È presidente del Consorzio ZIP dal 1958 al 1973.

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IL SALOTTO PADOVANO Padova aveva bisogno di “un sigillo, di una inconfondibile fisionomia che la caratterizzi”, scriveva la commissione giudicatrice nella Relazione Generale del '61. Guardando ai Centri Direzionali sorti nell'America oltremare e nella più vicina Milano, la città di Padova scelse di operare secondo i principi dell'edilizia moderna. Edifici alti circa 30 metri uniti da piastre commerciali e piazze pedonali sarebbero sorti a conclusione di una minuziosa operazione di chirurgia estetica.

destinazione che oltre a garantire la maggior rendita fondiaria, avrebbe assicurato l'auspicata vitalità del nuovo quartiere. Iniziò così a nascere e crescere quella cortina di palazzi a più piani che si stagliano dal Centro storico sull'orizzonte: pilastri di bianco cemento che affrontano di petto le massicce Alpi sullo sfondo, lasciando l'illusione della sfida e della grandezza solo a chi ne gode della bella vista dagli attici prestigiosi ai piani più alti.

A questo punto, due erano le questioni delicate da tenere a mente: il pericolo di violentare la scala urbana della città, ed il rischio di edificare un comprensorio fantasma abitato solo negli orari di ufficio. Le costruzioni vennero allora limitate in altezza, fatta eccezione per soli tre grattacieli nell'area, uno dei quali spicca oggi col suo azzurro plastica contro il grigio cielo della stazione. Per evitare invece la desertificazione dell'area si decise di far convivere diverse destinazioni d'uso, lasciando buona parte delle cubature ad uso residenziale,

Due erano le questioni delicate da tenere a mente: il pericolo di violentare la scala urbana della città, ed il rischio di edificare un comprensorio fantasma abitato solo negli orari di ufficio .

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“Mi sono trasferito qui negli anni '70, gli affitti erano più alti del resto della città, gli appartamenti erano grandi, luminosi, moderni e di classe.” Fabio si sistema la cravatta mentre racconta dei suoi primi anni in zona. Parla dei suoi successi, e non con poca nostalgia, anche dei suoi grandi sacrifici in quello studio amministrativo che ora vanta il suo nome, inciso sulla targhetta d'ottone all'ingresso. “Un amico immobiliarista mi propose un appartamento qui, mi disse che sarebbe diventato in poco tempo il salotto di Padova, tutti lavoratori, impiegati, gente facoltosa scelta attentamente all'ingresso”. Così, mentre i costruttori, gli immobiliaristi e gli investitori edificavano mattone per mattone la nuova Padova, si andava già creando anche una nuova borghesia, una nuova componente identitaria per gli aquirenti del NCD che avrebbero abitato in un microcosmo piuttosto omogeneo, garantito da un'inconfondibile estetica urbana e da un'attenta selezione sociale da parte dei venditori e locatari.

Sulla stampa, il NCD veniva addirittura pubblicizzato come una nuova area urbana “per 30 mila colletti bianchi”, sottolineando la tendenza della nuova edilizia alla creazione di nuovi status sociali. “Mi spostavo in treno per andare al lavoro, mentre mia moglie in pochi passi era in ufficio. Avevamo dei buoni stipendi e così abbiamo deciso di comprare casa qui. La zona è comoda, c'è solo un ponte che ci separa dal centro. ” Le parole di Massimo escono orgogliose come le note dal Jukeboxe nel suo salotto, la moglie si gira una sigaretta seduta su un divano di pelle troppo grande per le sue esili gambe. Il fumo che esce dall'ampia vetrata su Corso del Popolo si mescola tra la nebbia della pianura fino a poggiarsi sull'acqua, tra i Giardini dell'Arena e il “Memoria e Luce” di Libeskind. Nel mezzo, un ponte di qualche metro, una distanza minima che sembra aver condannato il NCD ad essere un'anomala periferia nel centro città. 17


DOLCE VITA O AMARA QUOTIDIANITÀ? “La zona non è più quella di una volta”. Seduta sulle sedie di plastica di un bar del sottoportico Teresa aspira a fondo la sua sigaretta slim facendosi portavoce di un sentire comune: la perdita. Per i residenti, quasi tutti Italiani e di ceto medio-alto, il quartiere non è più lo stesso, leso da trasformazioni globali che lo hanno reso una sorta di limbo urbano, accerchiato da Università, Centro e stazione. Tra i suoi abitanti è vivido il riflesso di un vecchio lustro, una dolce vita passata legata a doppio filo ai valori del risparmio, della famiglia e del bene immobile. Qui, come altrove in Italia, la casa ha rappresentato per decenni un traguardo sociale, uno strumento di emancipazione e allo stesso tempo un deposito sicuro. Quelle stesse case, colpite oggi dalla trasformazione dell'abitare, dalla crisi immobiliare, dal cambiamento del concetto di famiglia e di mobilità, sono state simbolo di un modello di cittadinanza per alcune generazioni e hanno costruito un elemen-

to portante della stabilità del paese. “I miei figli non sono più qui, tutti questi metri quadrati sono diventati solo un peso economico”. Isabella racconta attraverso fotografie in bianco e nero la sua idea di famiglia rimasta a mezz'aria dopo un divorzio, il bassotto marrone intanto scorrazza sul prato verde di un parcheggio sopraelevato dove quarant'anni prima i bambini giocavano a pallone. È difficile oggi ripercorrere la stessa scena, con una popolazione sempre più anziana e un ricambio generazionale pressochè inesistente, tenuto in vita da cognomi stranieri non sempre registrati all'anagrafe. Gli spazi verdi invece, rimangono insufficienti oggi come allora, tanto che più volte nella cronistoria del NCD si è tentato di porre l'attenzione proprio sulla mancanza di servizi sociali e verde pubblico. Nel 1979, a solo un decennio di distanza dall'approvazione del NCD, la Variante ai servizi già reclamava la necessità di una 18


Qui, come altrove in Italia, la casa ha rappresentato per decenni un traguardo sociale, uno strumento di emancipazione e allo stesso tempo un deposito sicuro.

loro solvibilità, diedero avvio a una serie di vendite che coinvolse un patrimonio edilizio già datato e dalla ridotta redditività. Fu proprio in quegli anni che si coronò il sogno di molti degli abitanti del quartiere, un sogno sorretto da notti insonni e altrettante ore di lavoro: la casa di proprietà.

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rigenerazione urbana, data la mancanza di spazi sociali. Nonostante ciò, sul mercato i contratti di affitto e vendita continuavano ad essere numerosi, con un andamento positivo fino a cavallo del 2000, complici l'equo canone e l'effervescente mercato del credito Padovano.

Oggi il Centro Direzionale rimane ancora il centro finanziario di Padova. Con lo svettare del nero edificio dell'Antonveneta a monito dei tempi passati, supportato dalla nuova Cittadella della Stanga e dalla ristrutturazione della zona Fiera sono un cuore che ancora pulsa.

“In tanti in quegli anni hanno comprato con prelazione, le assicurazioni e le banche proponevano dei prezzi concordati agli inquilini” spiega l'amministratrice di condominio, sulla soglia dell'ascensore di servizio. In questa zona di Padova più di altre, gli investimenti di assicurazioni ed istituti di credito nel mercato immobiliare furono alti, fino a quando, liberatesi nel 1995 dall'obbligo di custodire riserve immobiliari a garanzia della

Sul reticolo delle arterie tutto attorno rimangono invece innumerevoli sportelli chiusi, insegne spente e vetrine vuote sulle quali si specchiano i lustri di generazioni infrante. Le gallerie commerciali sono diventate perlopiù spazi fantasma con tanti cartelli di affitti, aste e vendite, qua e là degli scatoloni come giaciglio per chi si ripara in strada dalle umidi notti padovane. 19


Il volto segnato della perdita: perdita di potere d'acquisto, di sicurezza e, non per ultima, di identità.

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Quello che nei media è stato definito ed enfatizzato per anni come degrado sembra essere piuttosto il volto segnato della perdita: perdita di potere d'aquisto, di sicurezza e, non per ultima, di identità. Il crollo del valore della moneta e dei beni immobili sembra infatti portarsi dietro una ferita ben più profonda: quella della sconfitta, della privazione di uno spazio sociale delimitato e definito per decenni da sicure e esclusive borghesie urbane.

Così, a più di 50 anni dal suo sognarsi Milano, quell'idealismo padovano ancora si percepisce tra i “vorrei-ma-non-posso” sospirati dagli abitanti votati al buonsenso, tra gli auspici di un grande ritorno che si sostituiscono al coraggio di gettarsi in una nuova sfida, la sfida di accogliere la contemporaneità, la diversità, la città come si presenta oggi sotto i nostri occhi.

Ecco allora che gli spazi-piazza edificati tra le principali arterie di traffico del NCD, già lamentati nel 1964 dall'Ordine degli Architetti per la loro incapacità di determinare “effetti in scala umana”, rimangono oggi spogli e assenti.

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Piazze di cemento inabitate, illuminate e sorvegliate dalla sicurezza privata, diventate sempre più simbolo della crisi del ceto medio e fallimento di una vagheggiata città ideale.

Piazze di cemento inabitate, illuminate e sorvegliate dalla sicurezza privata, diventate sempre più simbolo della crisi del ceto medio e fallimento di una vagheggiata città ideale. 20


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APPENDICE

BL

TO

MI

VR

VE

Superficie 93,03 km2

BO

Superficie metropolitana 300,47 km2

FI

Abitanti area metropolitana 401.629

RM

Densità 1.337 ab / km2 Età media 46,8 Quartiere 1: Centro 5,2 km² 25.962 abitanti Abitanti stranieri 34.619 16,4% dei residenti Nazionalità Romania 26,8% Repubblica Moldova 11,6% Rep. Popolare Cinese 8,3% Nigeria 7,6% Filippine 5,4% Marocco 5,3% Albania 4,1%

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ZONA INDUSTRIALE Padova 1951

/ Rielaborazione grafica da "Mappatura insediamenti 1951" 54


1958 1970

NUOVO CENTRO DIREZIONALE / I numeri della nuova city padovana: Superficie 676.385 mq Fabbricati 3522.899 m3 Verde pubblico 149.490 mq Parcheggi 113.342 mq Strade 222.430 mq

Area Distillerie Fiat l’attuale Piazza Alcide De Gasperi / aggiunta a posteriori alla superficie inizialmente messa a concorso / approvazione planivolumetrico 1964 55


Struttura dell’economia padovana * Censimento 1951

Addetti direzionali in Italia

Stima dell’andamento dell’economia padovana Numero addetti direzionali * Censimento 1951

60.000 50.000 40.000 30.000

* Censimento 1951

MI

15,4 %

TO

12,5 %

BO

11,3 %

PD

10,3 %

VE

8,9 %

VR

8,9 %

20.000 10.000

/ Rielaborazione grafica dai dati usati nella "Variante NCD"


L’occupazione padovana nel 2018 * Statistiche Comune di Padova (valori assoluti in migliaia)

143

dipendenti indipendenti

122 63

26

24 2,1

4,5

Evoluzione demografica * Censimenti ISTAT

234.678 240.000 210.000 180.000 150.000

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CRONISTORIA del Nuovo Centro Direzionale 1958 Approvazione Piano Regolatore Generale dell’architetto Luigi Piccinato 1958 Il Comune bandisce un Concorso di Idee per il Nuovo Centro Direzionale 1960 Chiusura concorso e premiazione 1961 Viene costituita una commissione per la elaborazione del Piano del NCD 1964 Il Consiglio Comunale adotta la variante 1964 Il Ministero respinge la richiesta di spostamento della zona universitaria: il progetto deve essere rinviato 11/07/1666 Costituzione di una nuova equipe di urbanisti che rielaborano il progetto 22/01/1967 Il Comune inoltra la variante al Ministero 25/06/1968 Il progetto viene approvato con prescrizioni 02/ 02/ 1970 Il Presidente della Repubblica firma il decreto di approvazione della variante per il NCD

/ Dati raccolti su concessione dell’Archivio generale del Comune di Padova 58


BIO / Elisa Pregnolato dopo la laurea in Comunicazione Multimediale, si dedica alla fotografia usando un linguaggio documentaristico, un metodo di ricerca graduale interessato soprattutto ai contesti urbani e sociali complessi e contraddittori. Ha pubblicato in testate nazionali proponendo progetti di reportage. Nell'ultimo anno ha fatto parte del co-lab MAC in Piazza Alcide De Gasperi.

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SCOMMESSE è stato realizzato nell'ambito del progetto MAC Makers Artisti Creativi 2018, promosso e sostenuto dal Comune di Padova - Settore Gabinetto del Sindaco - Ufficio Progetto Giovani.

Grafiche Turato Edizioni via Pitagora, 16/A - Rubano (PD) tel. 049630933 ermes@graficheturato.it Finito di stampare il mese di settembre 2019


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