Sperimentazione animale e farmaci che ammalano

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Sperimentazione animale e farmaci che ammalano

di Michela Kuan Biologa, responsabile LAV Settore vivisezione

www.lav.it ŠLAV 2010


Sommario INTRODUZIONE

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1. SVILUPPO E COMMERCIALIZZAZIONE DEI COMPOSTI FARMACEUTICI 1.1 Studi pre-clinici 1.2 Le quattro fasi dei test clinici

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2. INAFFIDABILITA’ DEL MODELLO ANIMALE NELLA FORMULAZIONE DEI FARMACI

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3. QUADRO NORMATIVO EUROPEO

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4. METODI ALTERNATIVI ALLA SPERIMENTAZIONE ANIMALE 4.1 Applicazione in campo farmaceutico

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5. REAZIONI AVVERSE E FARMACI RITIRATI 5.1 Alcuni casi recenti

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6. INTERESSI ECONOMICI E FRODI 6.1 Venditori di malattie

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7. L’ALTRA FACCIA DELLA SPERIMENTAZIONE CLINICA: CAVIE UMANE 15 8. VACCINI 8.1 Hiv 8.2 Il caso H1N1

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9. CONCLUSIONI

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La sperimentazione animale è un fenomeno nazionale e globale, che non accenna a diminuire; infatti nonostante lo scenario scientifico nazionale ed europeo sia sempre più rivolto alla promozione di metodi sostitutivi all’impiego di animali, i numeri legati alla sperimentazione sono in aumento, arrivando a una media annua di 911.962 animali in Italia (fonte Gazzetta Ufficiale n.243 del 16 ottobre 2008), 12 milioni di animali nei laboratori europei e 115 milioni nel mondo; dati fortemente sottostima-

ti in quanto non includono invertebrati, forme fetali e animali, o parti di essi, utilizzati già soppressi. Gli animali utilizzati in ambito sperimentale appartengono alle più svariate specie; vengono usati soprattutto topi, ratti e cavie, ma anche conigli, cavalli, pecore, uccelli, cani, gatti e primati non umani. Nella maggior parte dei casi gli animali provengono da stabilimenti fornitori, che allevano animali destinati esclusivamente ai

laboratori e spesso geneticamente modificati, ma in altri casi, come per parte dei primati, devono essere prelevati in natura; fatto che comporta, peraltro, un impoverimento dell’ecosistema di origine, il finanziamento di tecniche di prelievo illegali e ovviamente, condizioni di cattura, detenzione e trasporto gravemente impattanti sulla salute degli animali. I campi di utilizzo degli animali sono molteplici, la maggior parte viene impiegata per lo sviluppo di nuovi farmaci e apparecchiature, inoltre vengono impiegati per indagini legate alla ricerca di base (che ha origine esplora-

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INTRODUZIONE

tiva e non immediato scopo applicativo), studi di tossicità, diagnosi di malattie, formazione universitaria, esperimenti bellici e test cosmetici. La legge italiana che regolamenta l’utilizzo di animali per fini scientifici è il Decreto Legislativo 116/92 (di recepimento della Direttiva europea 86/609, il cui testo è stato recentemente revisionato), tale Decreto nonostante sia datato, già si pronuncia in vari articoli e successive Cir-

colari a favore dei metodi alternativi e in maniera fortemente restrittiva verso il ricorso ad animali, ma nei fatti lasciando la possibilità di eseguire qualsiasi procedura; infatti circa l’80% degli esperimenti viene autorizzata tramite un semplice meccanismo di silenzio-assenso, non subendo alcun controllo o alcuna valutazione retrospettiva. La restante percentuale comporta il rilascio, da parte del Ministero della Salute, di un’autorizzazione specifica per il progetto in quanto prevede l’applicazione di animali vivi o in campo didattico, o il non ricorso ad anestesia (rappresentano il 15% circa) oppure l’utilizzo di cani, gatti e primati non umani. Né il Decreto, né la Direttiva, attualmente, pongono limite al livello di sofferenza che è possibile infliggere durante l’esperimento; non prevedono controlli e ispezioni obbligatorie e valutazioni etiche nella fase di progettazione o al termine dell’esperimento, analisi che, invece, attraverso un meccanismo di costi-benefici, limiterebbero fortemente l’uso di animali ed eviterebbero il finanziamento di progetti che non apportano risultati applicabili o indicatori. Inoltre, non vengono presi in considerazione gli organismi geneticamente modificati, la cui regolamentazione è sempre più urgente e sono imposte condizioni di stabulazione minime senza alcun arricchimento. Si sottolinea come le condizioni di stabulazione influiscano anche sul risultato della procedura, infatti gli animali mantenuti in cattività nei laboratori, mostrano chiari segni di stress psicologico, fisiologico e comportamentale predisponendo il corpo dell’animale all’insorgenza di patologie che si traducono in variabili non deducibili nei risultati sperimentali. Fermo restando l’erroneità del modello animale per l’uomo, il principio operante dovrebbe essere basato sul fatto che in fase di progettazione e attuazione di un esperimento prima si provino i metodi alternativi e solo nel caso non si riesca ad ottenere un risultato, si ricorra all’animale; ma nei fatti avviene il procedimento contrario: normalmente si ricorre scontatamente al modello animale e solo in rari casi successivamente, spesso al fine di confermare i dati, si provano i metodi alternativi. Fortunatamente il mondo scientifico si sta ribellando a una ricerca che non condivide e i segnali sono molteplici, tra cui: il bando totale dei test per i cosmetici su animali nel 2013, la regolamentazione REACH (7 Programma Quadro), DG enterprise (Direzione generale Industria) europea per i metodi alternativi e critiche al modello animale in recenti pubblicazioni scientifiche. Esistono, e molti sono in fase di validazione, metodi al-

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ternativi alla sperimentazione animale. Essi vengono definiti tramite il principio delle 3R: Replacement, nel caso l’animale venga completamente sostituito (tipo di ricerca supportata dalla LAV), Reduction se si riesce ad attuare lo stesso esperimento con un numero inferiore di animali e la terza R, Refinement ovvero diminuzione della sofferenza e dello stress legato alla procedura o ricorso a specie con sviluppo neurologico inferiore. Tra i metodi sostitutivi più noti citiamo le tecniche in vitro, analisi chimiche, ricerca clinica (su materiale biologico umano, analisi genetiche, tecniche di imaging), studi epidemiologici, dimostratisi fondamentali nella lotta al cancro, modelli bioinformatici e nuove tecnologie come microcircuiti cellulari per indagini di tossico e farmaco cinetica o dinamica, organi bioartificiali e il data sharing (infatti la competitività aziendale in ambito chimico e farmaceutico, comporta, spesso, la mancanza di diffusione di dati). L’approccio verso tali metodi non deve essere concepito come rapporto 1:1 con quelli che si basano su modelli animali, ma come una strategia integrata che prenda in esame un set di test. I metodi alternativi seguono un iter di validazione lungo, che impiega mediamente dieci anni per essere approvato, infatti il metodo deve essere riconosciuto a livello internazionale e validato dal Centro della Commissione Europea per la validazione dei metodi alternativi alla sperimentazione animale - ECVAM.


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1. SVILUPPO E COMMERCIALIZZAZIONE DEI COMPOSTI FARMACEUTICI I farmaci sono tra le categorie delle sostanze chimiche che richiedono, per legge, test su animali e test sull’uomo prima di poter essere introdotti sul mercato. Questo iter, previsto dalla Direttiva europea 83/570, infatti, prevede una fase pre-clinica basata su modelli animali e una clinica che testa il nuovo composto farmaceutico su crescenti campioni di persone sane e malate.

1.1 Studi pre-clinici La formulazione di nuovi composti farmaceutici inizia con studi di tipo computazionale che analizzano il potenziale delle nuove molecole applicate in campo medico; quelle che mostrano un alto potenziale passano alla fase successiva che prevede test in vitro (assay) allo scopo di determinare le interazioni con cellule e tessuti umani, le molecole che risultano positive vengono, quindi, testate su modelli in vivo2. Prima che un nuovo composto farmaceutico possa passare ai trial clinici, le normative legiferanti nel settore, richiedono che la nuova molecola venga testata su due mammiferi, un roditore e una specie non appartenente alla stessa classe, allo scopo di dimostrare, in teoria, la sicurezza e l’efficacia del farmaco. Normalmente la specie più utilizzata insieme al roditore è il cane beagle, ma il ricorso a primati non umani, in particolare scim-

mie marmosets, come seconda specie di riferimento, è in crescita3. Inoltre, un’ampia gamma di test di tossicità viene condotta sugli animali, la maggior parte comporta l’introduzione forzata per via orale (tramite un lungo tubo che arriva fino allo stomaco) o per iniezione diretta, spesso con il principio ad alti dosaggi (tossicità acuta)4. Alcuni dei sintomi riscontrabili in questa fase sono nausea, emorragie interne, diarrea, ipersalivazione, coma, convulsioni, tremori, perdita di pelo, secrezioni nasali, difficoltà respiratorie e morte5. I test di tossicità durano dai sei mesi a più di due anni investigando la tossicità cronica o ripetuta, la mutagenicità, la cancerogenesi, la capacità di indurre malformazioni fetali e problemi nella riproduzione6. Altri esami, eseguiti sugli animali, hanno il fine di investigare come la nuova molecola venga assorbita, accumulata, metabolizzata ed escreta (ADME) 7; tali test comportano prelievi sistematici e spesso hanno come dead-line la morte e il prelievo dei tessuti per ulteriori esami. Per capire l’efficacia del farmaco, gli animali possono essere anche fisiologicamente o chimicamente modificati provocandogli danni fisici che simulano i sintomi delle malattie umane, come nel caso delle investigazioni relative all’arteriosclerosi; infatti, in questo campo della ricerca, ai cani, che non sviluppano naturalmente questa malattia, viene artificialmente indotta tramite una strozzatura o ostruzione della coronaria8. Inoltre, sempre più spesso gli animali vengono geneticamente modificati inserendo geni o tratti genici che portano l’informazione legata alla malattia umana9, anche se il singolo gene non è un’unità funzionante ma fa parte di un sistema per cui la sua rimozione e isolamento possono creare effetti secondari non previsti, come in un caso di creazione di topi “knockut”, mancanti del gene responsabile della coagulazione, dove metà degli embrioni sono morti per emorragie interne durante il periodo gestazionale. 10 Nel caso in cui un nuovo composto farmaceutico mostri buone capacità di trattamento e risulti sufficientemente sicuro durante i test su animali, l’azienda farmaceutica che lo ha elaborato può sottoporre la nuova molecola al-

le Istituzioni governative per ottenere l’approvazione ad avviare i trials clinici.

1.2 Le quattro fasi dei test clinici • La fase 1 comprende un numero esiguo di volontari sani (10-30), normalmente uomini11, al fine di stimare la sicurezza del farmaco e gli effetti collaterali associati, anche a sovradosaggi, oltre ad osservarne l’assorbimento, distribuzione, metabolizzazione ed escrezione12. • La seconda fase viene normalmente condotta su poche centinaia di pazienti nei quali si sia già sviluppata la malattia da trattare e condotta per un breve periodo in modo da identificare gli effetti a breve termine. • Nella terza fase la nuova molecola viene testata su un numero elevato di pazienti (1.000-3.000) con un ampio range di casistiche e per un periodo di tempo prolungato, con lo scopo di verificarne l’efficacia, gli effetti nel tempo, le indicazioni da scrivere nel foglio illustrativo all’interno della confezione e da dare ai medici che dovranno prescriverlo13. • Successivamente alle tre fasi sopra-descritte, la compagnia farmaceutica può richiedere la licenza di vendita ottenuta la quale, il farmaco già in vendita viene monitorato per raccogliere eventuali effetti secondari non identificati precedentemente e i rischi nel lungo tempo.

2. INAFFIDABILITA’ DEL MODELLO ANIMALE NELLA FORMULAZIONE DEI FARMACI Il basso numero di farmaci che riesce a superare i test su animali, l’alto indice di fallimento nei test clinici e le cause di morte o invalidità dovute a origini iatrogene, sono la testimonianza di come il modello animale sia fallimentare nel proteggere la specie umana. I test su animali non sono in grado di predirre, efficientemente, gli effetti sull’uomo per numerosi motivi: 1. Le specie differiscono per anatomia, struttura e funzione degli organi, metabolismo e vie di assorbimento, genetica, meccanismo di riparazione del DNA, compor-

Un’indagine statistica, condotta tra il 1991 e il 2000, ha dimostrato come solo il 10% dei farmaci che riusciva a passare ai test clinici, veniva, poi, approvata dalle farmcacopee (complesso di disposizioni tecniche e amministrative rivolte a permettere i controlli di qualità) europee e americane14. Nel 2006 Mike Leavit (US Secretary of Health and Human Services) ha sottolineato, in un comunicato stampa, l’alto indice fallimentare legato a questo campo della ricerca: “Al momento, il 90% delle nuove molecole che passano ai test clinici fallisce, questo è dovuto alla inaffidabilità dei test condotti sugli animali sulla quale si basa la predittività per l’uomo”15. Inoltre, della piccola percentuale dei nuovi composti che passa alla fase clinica, più della metà mostra affetti avversi non diagnosticati durante i test precedenti e vengono, quindi, eliminati o modificati nella etichettatura di vendita16.

tamento e ciclo cellulare: - piccoli animali, hanno in proporzione, grandi organi, sistema circolatorio (pompa cardiaca, sistema arteriovenoso e scambi gassosi) più rapido e, generalmente, una metabolizzazione più veloce rispetto ad animali di dimensioni maggiori17. - La metabolizzazione e, conseguente, produzione di metaboliti è specie-specifica; tali metaboliti possono avere azione tossica, quindi, la somministrazione di farmaci può far derivare metaboliti diversi a seconda della specie e provocare effetti tossici nell’uomo non previsti con i test su animali18. - La struttura dell’intestino e il contenuto batterico variano a seconda della specie influenzando l’assorbimento nel tratto gastro-intestinale19. - Risposta cellulare, tissutale e degli organi possono differire tra specie ed essere più o meno vulnerabili agli effetti tossici di nuove molecole20; come nel caso del fegato che nell’uomo è altamente sensibile nella risposta ai farmaci e al momento i test su animali ne predicono la tossicità solo nel 50% dei casi21. - La permeabilità della placenta è più alta in specie quali ratti e tipo rispetto all’uomo, quindi testare la teratogenicità negli animali non apporta dati affidabili per la specie umana22, persino ricorrendo ai primati la percentuale di correlazione arriva solo al 50%23. 2. Un campione omogeneo di animali stabulati non può essere modello per la varietà della specie umana a cui


(Foto Dreamstime) sono destinati i composti farmaceutici: - la popolazione di riferimento è omogenea per sesso, ceppo ed età (è uso ricorrere a ratti maschi24) e non può riprodurre la varietà dei patogeni e composti chimici con cui entra in contatto la nostra specie che vive in un ambiente naturale e non stabulato. - Nel modello animale viene testata una sola molecola legata alla singola sintomatologia, mentre l’uomo è esposto a una concomitanza di fattori e simultaneità di farmaci o trattamenti25. 3. La malattia viene ricreata artificialmente negli animali e non può essere paragonata a quella che insorge naturalmente, di conseguenza i dati provenienti dai test su animali non possono essere trasferiti all’uomo: - per decenni le aziende farmaceutiche hanno indotto negli animali varie forme di cancro e sperimentato dei farmaci specifici, ma pochissime molecole sono risultate, nei fatti, utili; come sottolinea l’Istituto Nazionale americano di Ricerca sul Cancro che evidenzia la fallacia del modello animale in questo ambito26. - Più di 4.000 studi riportano ricerche fruttuose di 700 farmaci applicati nello studio sugli infarti effettuati sul modello animale27, 150 di questi sono stati testati su uomini e tutti hanno avuto esito fallimentare28. 4. Lo stress dovuto alla stabulazione, manipolazione, iniezione e prelievi altera lo stato fisiologico dell’animale compromettendo l’esito dei risultati: - l’analisi di 80 pubblicazioni, che riportavano studi sugli animali, ha dimostrato come la routine di laboratorio influisca sulla fisiologia degli stessi, modificando il ri-

lascio ormonale di cortisolo, prolattina e altri ormoni coinvolti nella crescita, comportando l’aumento della pressione sanguigna, delle pulsazioni e alterando le espressioni comportamentali (eccessivo grooming), tali fattori rimangono modificati per almeno 30 minuti29. - Esperimenti identici eseguiti su ratti provenienti dalla stessa colonia, effettuati nello stesso stabulario e nella stessa stanza hanno prodotto risultati significativamente differenti in relazione all’operatore che effettuava l’esperimento30. 5. Molti effetti collaterali, legati all’assunzione dei farmaci, non sono diagnosticabili o misurabili durante i test su animali31; infatti, emicrania, nausea, spossatezza, vertigini, depressione, problemi di vista e stato confusionale sono tra gli effetti collaterali più comuni e, ancora oggi, non sono individuabili negli animali. 6. I test che prevedono la creazione e commercializzazione di un farmaco non tengono conto di parametri fondamentali che ne influenzano gli effetti quali sesso, età e origine geografica: - il segretario nazionale della Federazione Italiana Medici Pediatri (Fimp), Roberto Sassi, afferma come “la sperimentazione dei farmaci sui bambini sia molto limitata e ci si limiti a ridurre le dosi e non c’é alcuna certezza sulle dosi ottimali nei più piccoli”; - il Comitato nazionale di Bioetica sottolinea come “sebbene le donne siano le maggiori consumatrici di farmaci, le sperimentazioni dei medicinali tendono a non tenere in sufficiente considerazione la loro specificità e il cambiamento delle condizioni di salute femminile,

con un conseguente incremento di effetti collaterali”. Infatti studi clinici effettuati su circa 35.000 donne in post-menopausa hanno permesso di capire la relazione tra l’alimentazione e l’insorgenza di cancro in questa classe. 7. Vengono autorizzati più di 3 milioni di procedure all’anno che coinvolgono animali, e nonostante si sperimenti ricorrendo al modello animale da decenni, esistono rarissimi casi di controllo sulla reale necessità ed efficacia del modello utilizzato, e i pochi effettuati, perlopiù in ambito tossicologico, hanno dato risultati tutt’altro che incoraggianti, con un indice di accuratezza che arriva al massimo a quello ottenuto con il lancio di una moneta32: - nel 2008 un’analisi di 27 pubblicazioni che metteva a confronto i risultati ottenuti dal modello animale e i trials clinici, ha evidenziato come solo 2 di questi risultassero utili, uno dei quali in maniera contenziosa33. - Nel 2005 una revisione retrospettiva di decenni di studi sulla teratogenicità condotti su animali, ha dimostrato come sostanze quali sale, acqua, zucchero, olio e molti tipi di vitamine risultino tossiche nei feti di animali con un indice di predittività per l’uomo di appena il 55%34. - Il Direttore dell’NHGRI (National Human Genome Research Institute) americano, ha espresso durante una conferenza dell’American Association for the Advancement of Science, nel 2008, come i test su animali siano lenti e costosi; “non siamo ratti né qualsiasi altro primate”.

3. QUADRO NORMATIVO EUROPEO In Italia il Decreto legislativo che regola l’utilizzo degli animali a scopi scientifici è il n.116 del 1992 e ha abrogato la precedente legge del 1931 che consentiva il ricorso al modello animale “per il progresso della biologia e della medicina sperimentale”. Tale Decreto pone, nel-

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l’articolato, numerose norme restrittive sull’utilizzo degli animali nella ricerca: vieta gli esperimenti su cani, gatti e primati non umani, quelli che non prevedono anestesia e quelli didattici, ma vengono tutti riammessi con le norme derogatorie. Inoltre, si pronuncia in vari articoli e successive circolari in favore dei metodi alternativi sia in fase di progettazione che di autorizzazione. Lascia però molti ambiti non regolamentati, tra cui: l’ammissione della ricerca di base, un sistema autorizzativo che all’80% si basa sulla semplice comunicazione, nessuna citazione ad organismi geneticamente modificati, nessun meccanismo di controllo attraverso ispezioni o valutazioni retrospettive e la legiferazione solo di animali vertebrati, adulti e vivi. Le condizioni di stabulazione sono minime e non è previsto alcun arricchimento ambientale. Il Decreto è il recepimento della Direttiva europea 86/609, il cui testo modificato è entrato in vigore il 9 novembre 2010 come direttiva 2010/63Ue, dove una lunga prefazione e numerosi articoli legiferano in maniera più dettagliata rispetto allo scarno testo di quasi 25 anni fa. Tra i miglioramenti possiamo citare l’inclusione nelle statistiche delle forme fetali di mammifero, degli animali soppressi per ottenere tessuti o organi e degli stabilimenti allevatori e fornitori che fino ad oggi non avevano alcuna comunicazione obbligatoria relativa al registro degli animali. Inoltre sono citate le banche dati, gli organismi geneticamente modificati, la possibilità di dismettere gli animali sopravvissuti a privati, i metodi alternativi nella fase di progettazione/autorizzazione e formazione del personale competente, le ispezioni (anche se si è perso l’obbligo fondamentale che almeno una non fosse annunciata) e la classificazione del livello di dolore inferto durante le procedure sperimentali. È importante sottolineare come nessuno di questi punti sia un divieto o nei fatti una limitazione, ma aumenta, perlomeno, il regime di trasparenza. Tra gli articoli negativi abbiamo: la possibilità di poter ricorrere, anche se in deroga, a gatti e cani randagi (in Ita-


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lia il Decreto 116/92 e la Legge 281/91 lo vieta), la possibilità di utilizzare specie in via d’estinzione e/o catturate in natura e il ricorso a soppressione per inalazione di anidride carbonica come metodo di uccisione di riferimento, definito dalla legge come “umanitario” ma che in realtà provoca alti e prolungati livelli di sofferenza, fatto riconosciuto scientificamente. La tutela dei primati ha svolto un ruolo fondamentale durante l’iter di revisione della Direttiva, infatti varie forze politiche e animaliste si sono espresse e hanno lottato affinché venissero riconosciute particolari tutele ai primati non umani e divieti per le grandi scimmie, come scimpanzé e gorilla, vista la loro complessità comportamentale e la indubbia vicinanza genetica e capacità sensoriale simile all’uomo; queste specie sono, oltretutto, utilizzate per gli esperimenti più dolorosi e invasivi come le investigazioni sul cervello, gli xenotrapianti e la ricerca di base. Purtroppo, però, non sono stati ottenuti risultati rilevanti per la loro sorte e anche se il testo sembra prestare particolare attenzione nella tutela di queste specie, nei fatti, non modifica la situazione attuale. A questa Direttiva si affiancano normative specifiche: - Direttiva 92/32 CEE del 30/04/1992: disciplina l’immissione sul mercato di ogni sostanza nuova potenzialmente pericolosa; - Direttiva 83/570 della CEE la quale prevede test pre-clinici e clinici per le specialità farmaceutiche; - Direttiva 2003/15/CE regolamenta la formulazione e commercializzazione dei prodotti cosmetici; - Regolamento (CE) n.1907/2006 concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH).

4. METODI ALTERNATIVI ALLA SPERIMENTAZIONE ANIMALE La normativa vigente in materia di sperimentazione animale definisce metodo alternativo qualsiasi metodo in gra-

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do di ridurre il numero di animali normalmente impiegato in un esperimento, diminuirne la sofferenza, o sostituire del tutto il ricorso ad essi. La definizione si basa sul principio delle 3R, ovvero reduction (riduzione del numero di animali normalmente impiegato), refinement (raffinamento, ovvero diminuzione di stress e sofferenza) e replacement (sostituzione), teorizzato nel 1959 dai due ricercatori Russell e Burch, nell’ottica di segnare un sentiero per la progressiva sostituzione degli animali nella ricerca.

4.1 Applicazione in campo farmaceutico Metodi in silico: con questo nome si indicano, in generale, le metodologie implementate con applicazioni informatiche. Fra di essi le metodologie chemiometriche e la modellistica QSAR (Quantitative Structure-Activity Relationships) e QSPR (Quantitative Structure-Property Relationships) rivestono un ruolo molto importante, e possono essere concretamente usate per ridurre l’utilizzo di animali secondo il paradigma delle 3R; l’insieme delle tecniche chemiometriche trova applicazione in molti campi: chimica analitica, spettroscopia, chimica ambientale, tossicologia e farmacologia. I modelli QSAR sono, nella loro forma più generale, una funzione matematica che lega una risposta incognita (attività biologica) a più variabili note (descrittori molecolari). A seconda del problema da affrontare, i modelli possono essere sviluppati con diversi strategie: modelli di regressione (quantitativi); modelli di classificazione (qualitativi) e modelli di ordinamento. Grazie al forte interesse verso il QSAR degli ultimi anni, sono attualmente disponibili svariati software. Oltre quelli commerciali, se ne trovano anche gratuiti e open-source, sviluppati grazie alla spinta di enti pubblici e regolatori, ad esempio l’Unione Europea ha investito in diversi progetti con la finalità di sviluppare strumenti utilizzabili nell’ambito del REACH35. In campo farmaceutico, i metodi in silico si sono dimostrati promettenti nell’investigare le proprietà della molecola e i potenziali effetti collaterali, come ligando o la sua affinità strutturale virtuale36. Tale settore è in grande crescita basandosi su software

che, velocemente, analizzano e integrano un enorme quantitativo di dati di origine biologica e medica: queste informazioni divengono, quindi, utili per creare modelli computazionali in grado di predire e formulare ipotesi applicabili in ambito terapeutico37.

• Organi bioartificiali: membrane polimeriche semipermeabili per le loro caratteristiche di separazione, immunoprotezione e di matrice artificiale possono essere adoperate per la ricostruzione dei tessuti e organi in vitro e in processi di trattamento del sangue38. Anche in Italia viene eseguita questo tipo di ricerca, ad esempio, presso l’Università della Calabria e l’Università di Pisa, in cui si studiano rispettivamente modelli bioartificiali di fegato e di intestino umani. Il quadro attuale vede ricostruiti: • POLMONI: sono il primo organo complesso costruito in provetta, grazie ad un approccio completamente nuovo, basato su una tecnica che permette di utilizzare la struttura naturale dell’organo come “impalcatura” sulla quale far sviluppare le nuove cellule, all’interno di un incubatore che simula l’ambiente embrionale in cui si sviluppano i polmoni. • PELLE: è stato il primo tessuto ad essere coltivato in provetta e il risultato più importante risale al 2006, quando è stata ricostruita la pelle completa di strato superficiale e profondo utilizzando tre diversi tipi di cellule staminali; • CORNEA • CUORE: numerosi gruppi di ricercatori, fra i quali molti italiani, hanno cominciato test clinici basati su staminali del muscolo cardiaco e condotti su pazienti colpiti da infarto; • CARTILAGINE: la coltivazione di questo tessuto si sta consolidando; • OSSO • VASI SANGUIGNI • GHIANDOLE ENDOCRINE: la ricerca riguarda soprattut-

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to le cellule del pancreas addette alla produzione di insulina; CELLULE DI FEGATO E RENE: sono utilizzate per realizzare bioreattori per riparare insufficienze acute o in persone in attesa di trapianto; MUCOSE: il primo risultato concreto arriva dall’Italia, con la ricostruzione della prima vagina biotech. Le applicazioni potrebbero essere molto più ampie, dalla ricostruzione della mucosa intestinale a quella orale, alla congiuntiva; VESCICA DENTI: sono stati ottenuti in provetta utilizzando cellule staminali della gemma del dente.

Farmacogenomica: è una branca della biologia molecolare che si occupa di indagare gli effetti di un determinato farmaco in base al genotipo dell’individuo. Questo tipo di ricerca però non si basa sullo studio dei singoli geni, bensì sul polimorfismo a singolo nucleotide (SNP = Single Nucleotide Polymorphism). Sulla base delle osservazioni fatte su vari pazienti, si è notato che ognuno reagisce in modo diverso a un determinato farmaco a seconda dei polimorfismi di SNP presenti nel suo aplotipo. Da qui si può cercare di produrre una “carta d’identità” dell’individuo per SNPs, che consenta di ridurre notevolmente i tempi di sperimentazione di un farmaco e ottimizzarne l’utilizzo. Infatti, soggetti diversi rispondono in modo diverso allo stesso farmaco; tali differenze sono legate al grande numero di proteine che intervengono nella risposta alla terapia farmacologica. Ogni proteina è prodotta da una specifica sequenza del DNA, il gene; la maggior parte dei geni presenta caratteristiche diverse in individui diversi. I risultati del test genetico saranno utilizzati dal medico per scegliere quale farmaco impiegare per il trattamento del paziente, per ottimizzare il dosaggio da somministrare e per minimizzare il rischio di effetti collaterali. L’utilità del test di farmacogenetica consiste nella possibilità di poter valutare la risposta di un paziente ad un certo farmaco sulla base di un test gene-


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tico di routine, per arrivare ad una personalizzazione della terapia: il farmaco giusto al paziente giusto. In questi anni si è scoperto che dei quasi 30.000 geni che formano il DNA umano, 3.739 sono associati ad altrettante malattie, spesso rare, dato noto grazie al sequenziamento del genoma umano, ma le malattie non dipendono dal gene con una relatività specifica, bensì sono il risultato dell’interazione di vari geni e prodotti di trascrizione, ovvero proteine. Un rappresentante della Glaxo ha dichiarato che il futuro dei farmaci è quello della personalizzazione, dato che la diversità genetica tra individui provoca risposte diverse a stessi farmaci. Analogamente alla tossicogenomica, si usano DNA-chip, vetrini contenenti migliaia di filamenti di DNA. Si indaga su quali punti del DNA il farmaco svolge la sua azione. Per studiare il metabolismo dei farmaci la Hurel Corporation ha sviluppato un microchip a compartimenti, ognuno dei quali ospita cellule diverse (intestino, fegato, reni, cuore, etc). Gli studi di validazione hanno dimostrato la sua efficacia nel predire il metabolismo dei farmaci meglio dei test su animali e addirittura di prove cliniche. Recentemente è stato messo a punto un chip potentissimo per analisi genetiche che permette di analizzare contemporaneamente 170 geni e 1256 mutazioni a loro carico per stabilire la reazione individuale ai farmaci; infatti, tale chip, controlla tutti i geni legati ad assorbimento, distribuzione nell’organismo, metabolismo, escrezione dei farmaci e permette, dunque, di calibrare la terapia in base al paziente da trattare in campo oncologico39. Microdosing: il profilo farmacocinetico è uno degli elementi che concorrono nel discriminare le sostanze potenzialmente utilizzabili dalle altre. Si studia, cioè, come il composto in esame venga assorbito, distribuito nei tessuti, ed eliminato attraverso il metabolismo e l’escrezione (ADME). Normalmente questi studi vengono condotti su animali (circa 2000 tra roditori, cani e scimmie) nel quadro della fase 0 o preclinica del processo produttivo del farmaco ed intercorrono mediamente 12 anni dalla con-

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cezione alla commercializzazione di un nuovo farmaco40. Con la tecnica del microdosaggio si può individuare, invece, il profilo farmacocinetico di un composto direttamente sull’uomo, senza pericoli e in tempi rapidi; infatti la sostanza viene somministrata a concentrazioni dell’ordine di circa 1000 volte inferiori alla dose che potrebbe causare effetti avversi. È possibile fare questo grazie alle moderne tecniche di analisi chimiche, che consentono di rintracciare in sangue e urine anche piccolissime quantità della sostanza in esame somministrando minime dosi marcate con il carbonio14 e misurando gli effetti con la cromatografia dei liquidi e lo spettrometro di massa. Oggi si è fatto un ulteriore passo in avanti con lo AMS (Accelerator Mass Spectrometry) che è in grado di contare singoli atomi. I dosaggi utilizzati sono estremamente ridotti (un centesimo della dose terapeutica e comunque inferiori ai 100 microgrammi), e la quantità di radiazioni utilizzata nella marcatura è altrettanto irrisoria per cui non si mette a repentaglio la salute dei volontari. Studi epidemiologici: è un campo della scienza medica che si interessa delle relazioni tra i fattori che condizionano la frequenza e la distribuzione di una malattia o di uno stato fisiologico in una popolazione umana41. Tale studio non riguarda dunque il singolo soggetto ammalato, ma la popolazione nella quale insorge la malattia oggetto di analisi. Essenzialmente l’epidemiologia si occupa di raccolta di dati, della loro elaborazione con opportuni metodi matematico-statistici, della valutazione dei parametri ed indicatori così ottenuti, ed infine della loro analisi. Tale analisi vuole identificare i vari possibili fattori eziologici ed il loro peso nel determinare la comparsa, la diffusione, la distribuzione, la frequenza, l’evoluzione di una data malattia. Da una ricerca epidemiologica condotta su 3.700 individui in Burkina Faso è emerso che alcune mutazioni dell’emoglobina che proteggono dalla malattia, aumentano la trasmissione del parassita dall’uomo alla zanzara e permettono così la diffusione della malaria. Le mutazioni riguardano le emoglobine C ed S e rendono tre volte più efficiente la trasmissione del parassita dall’uomo alla zanzara. Questo significa che la mutazione genica rappresenta una sorta di protezione per l’uomo che ne è portatore (e che quindi si ammala meno di malaria)42.

Un nuovo modello teorico per studiare il metabolismo cellulare, e simulare il complesso delle reazioni chimiche all’interno della cellula, è stato messo a punto tra Roma Trieste e Londra; il modello potrà fornire indicazioni utili per lo sviluppo di farmaci mirati e per la migliore comprensione del delicato equilibrio cellulare. La rete di reazioni chimiche che costantemente avvengono all’interno delle cellule, circa un migliaio, per la maggior parte è inaccessibile all’osservazione sperimentale. Con questo modello si potranno chiarire molte delle vulnerabilità cellulari, precisando inoltre cause e meccanismi chimici alla base di numerose patologie43.

Test in vitro: L’utilizzo in vitro di linee cellulari che esprimono i principali enzimi umani deputati al metabolismo dei farmaci può aiutare a prevedere la formazione nell’uomo di nuovi metaboliti che gli studi sugli animali non riuscirebbero a identificare. I dati degli studi in vitro possono essere presentati a corredo degli studi convenzionali di assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione. L’allestimento di colture cellulari è possibile anche grazie alla creazione e coordinamento di banche di tessuti e materiale biologico umano (ad es: la BioBanca di Genova) dove aliquote rese anonime vengono utilizzate per testare l’efficacia di farmaci innovativi o di innovative modalità di combinazione specifiche per la patologia da trattare.

5. REAZIONI AVVERSE E FARMACI RITIRATI DAL MERCATO L’evidenza della fallacia dei test su animali in campo farmacologico viene rafforzata dai numerosissimi casi di effetti collaterali ai farmaci in tutto il mondo; in Europa, come negli Stati Uniti, le morti per reazioni ai farmaci sono comprese fra 200.000 e 300.000 ogni anno, inoltre quasi il 40% dei farmaci o non è efficace o da effetti collaterali. Il tasso di segnalazione di eventi avversi da farmaci è praticamente raddoppiato tra il 2006 e il 2008, passando da 108 segnalazioni per milione di abitanti a 196, con un trend in aumento; come ha dichiarato provocatoriamente la giornalista Jessica Fraser “le statistiche dimostrano come i farmaci siano del 16.400% più letali dei terroristi”.

5.1 Alcuni casi recenti • Il gruppo degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) sono una classe di farmaci che includono Seroxat, Lustral, Eexor e Prozac; tali inibitori sono stati vietati per uso pediatrico e nell’età dell’adolescenza dopo che è stata riscontrata una forte incidenza del farmaco per comportamenti suicidi44. • Avandia della GlaxoSmithKline’s (GSK), un farmaco per il diabete, è stato prescritto a più di 6 milioni di persone nel mondo, comportando insufficienza cardiaca in più del 40% dei casi45. Una pubblicazione del 2007 ne ha, inoltre, dimostrato l’alto livello di rischio a scapito dei benefici46. • Ritalin, Adderall, Concerta e altri stimolanti prescritti per casi di Sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) possono causare gravi problemi cardiaci e sono stati associati alla morte di 60 persone47. Ulteriori studi hanno dimostrato che bambini con problemi di sviluppo mentale nel tempo non hanno avuto alcun beneficio dal farmaco somministrato48. • Roaccutane: commercializzato per trattare l’acne, si è dimostrato altamente teratogeno e ha provocato aborti, nascite premature, malformazioni alla nascita49 e danni epatici; è stato anche associato a depressione e comportamenti suicida50. L’Emea (Agenzia Europea per i medicinali) rifiuta di divulgare i rapporti sugli eventuali effetti indesiderabili del farmaco adducendo alla giustificazione che questi documenti non sottostanno alle regole della trasparenza europee. • Opren: un antinfiammatorio non steroidale prescritto per trattare le artriti ha causato gravi intossicazioni del fegato e fototossicità con più di 3.500 casi di gra-


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vi reazioni avverse e 61 morti in soli due anni in Inghilterra51. • Rimonabant: (nome commerciale Acomplia) prometteva di spazzare via tutti i dimagranti da banco la cui efficacia si è sempre dimostrata nulla. Sempre di un farmaco si trattava, ma, sembrava, senza gli effetti collaterali degli altri dimagranti su prescrizione che causano gravi malattie intestinali o sono controindicati in caso di concomitante assunzione di antidepressivi. Ma nel 2007 è emerso che i pazienti trattati con il Rimonabant lanciato su tutte le prime pagine dei giornali come rimedio miracoloso, sono a rischio di gravi problemi psichiatrici. L’allarme viene da una ricerca pubblicata dalla rivista “The Lancet”. I ricercatori dell’University of Copenhagen hanno preso in esame i dati di quattro studi clinici sull’efficacia e la sicurezza di Rimonabant, effettuati su 4105 pazienti analizzati, e hanno scoperto che, dopo un anno di trattamento, c’è un 40 per cento di rischio in più di subire gravi disturbi psichiatrici: depressione, ansia, comportamenti suicida.

6. INTERESSI ECONOMICI E FRODI Le cifre legate alla multi trilionaria industria farmaceutica sono colossali, tanto da farla diventare tra le più proficue del mondo; come evidenziato dal magazine Fortune, è la seconda industria più ricca d’America seconda solo al petrolio52. Delle 10 aziende più potenti del mon-

do, 5 sono americane e 5 europee53; la Pfizer, la ditta che produce il Viagra, è in vetta con un reddito annuale di 48.6 miliardi di dollari all’anno, il Lipitor, farmaco per abbassare il colesterolo, è il suo prodotto di punta con un guadagno annuale di 12.7 miliardi di dollari54. Dopo la Pfizer seguono: GlaxoSmithline, Novartis, Sanofi-Aventis, Johnson&Johnson, AstraZeneca, Merk, Roche, Abbot e AMgen55. L’industria farmaceutica influenza enormemente moltissimi aspetti quotidiani in campo medico, dalle prescrizioni, ai pazienti, al mondo accademico, i Media, le istituzioni

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governative e l’ambiente politico56, spendendo migliaia di miliardi in pubblicità e promozione; ne sono una testimonianza il bombardamento pubblicitario giornaliero e gli sponsor sparsi ovunque, dalle penne infilate nei camici alle diciture apposte sui materiali di cancelleria.

Lo scopo è di vendere nuovi prodotti innovativi e risolutivi per la salute dei pazienti, ma come afferma Laura Fabrizio presidente della Società Italiana di Farmacia Ospedaliera (SIFO), “oltre un farmaco su due delle centinaia di farmaci che vengono registrati in Italia non è realmente innovativo, molti presentano solo qualche modifica tecnologica o molecolare ma che non si traduce in una reale superiorità clinica, con un consistente spreco di risorse.” Se, poi, si va a guardare nel complesso i farmaci che rappresentano una rivoluzione nel settore, ha aggiunto Andrea Messori (vicepresidente SIFO), questi non sono più di cinque delle centinaia di medicine registrate. Fatto spiegabile considerando, anche, come uno studio su tre (ad esempio in campo oncologico) pubblicato su riviste scientifiche di primo livello sia svolto in aperto conflitto di interessi: infatti, nel 17% dei casi è un’azienda farmaceutica che lo finanzia, oppure uno degli autori è, o è stato, impiegato nell’azienda finanziatrice, cadendo inequivocabilmente nel rischio che i risultati siano truccati in favore della sostanza in sperimentazione. In generale, non c’è dubbio, che le aziende giochino un ruolo fondamentale in quanto non ci sono istituzioni pubbli-

che che producano farmaci57. Sempre inerente all’ambito delle pubblicazioni, bisogna sottolineare come nel caso durante gli studi i risultati siano fallimentari, questi non vengano diffusi perché non verrebbero pubblicati su riviste di alto livello e non contribuirebbero alla carriera. La non pubblicazione dei risultati negativi comporta anche un rallentamento delle procedure scientifiche che non possono usufruire di una ampia gamma di dati, rallentando e/o fuorviando la sperimentazione clinica58. A queste considerazioni bisogna aggiungere che i test su animali e l’uso di modelli in vivo su animali per applicazioni umane sono un ulteriore business multi-miliardario. Università, centri di ricerca privati, allevamenti, industrie che producono gabbie e materiale vario per la stabulazione coesistono in un unico sistema economico immenso.

6.1 Venditori di malattie Il consiglio è ovvio: leggere attentamente le avvertenze e le modalità d’uso. Eppure nonostante questo suggerimento di buon senso, i «malati di medicine» aumentano ogni giorno; tanto che l’Agenzia americana per la lotta alle droghe (Dea) ha diffuso un comunicato per ricordare che l’uso illegale di medicinali è aumentato del 114% tra il 2001 e il 2005. La paura delle malattie, il doversi sentire sempre al 100% e la mentalità per cui una malattia deve essere guarita in fretta e con ogni mezzo, hanno creato un colossale business farmaceutico. Esistono farmaci per tutto: dal semplice mal di testa al disagio psicologico, dall’insonnia alla scarsa attenzione, per curare l’obesità e l’anoressia, calmanti e antidepressivi specifici per ogni fascia d’età: bambini, adulti e anziani59. Come afferma Bourkris (medico ed autore del libro: pillole come caramelle): “Ogni medicina è un rimedio, ma anche un veleno”. “Nel lessico del marketing farmacologico, un momentaneo calo della libido diventa subito impotenza, la vivacità molesta di un bambino viene diagnostica come Ddai (disturbo da deficit di attenzione e iperattività) o Adhd in inglese, persino l’innocente rossore sul viso può trasformarsi in quella che alcuni hanno definito eritrofobia. Un disturbo intestinale è ribattezzato con l’altisonante sindrome da colon irritabile e il Viagra rosa la cui efficacia è evanescente, gli effetti collaterali invece sono ben documentati, proprio come il corrispettivo maschile”. La fetta di pubblico femminile è tra le più lucrose, con il nuovo marketing legato alle disfunzioni sessuali, i cui farmaci vengono anch’essi testati su animali, come nel caso del ricorso a conigli sottoposti a scosse elettriche direttamente nei nervi pelvici scoperti attraverso interventi chirurgici60. «Le donne sono particolarmente soggette a queste tecniche di persuasione» racconta Marcia Angell, ex direttrice New England Journal of Medicine, citando il caso del Prozac che - cambiando scatola e colore - è stato trasformato in un farmaco contro la sindrome premestruale. Così l’amfebutamone, un anfetaminico utilizzato negli anni Novanta nelle diete e poi ritirato dal mercato per i suoi rischi cardiaci e circolatori, è stato rimesso in commercio come Bupropion per chi vuole smettere di fumare. Casi che sottolineano come le novità in campo farmaceutico siano sempre meno sostanziali e sempre più di immagine.

7. L’ALTRA FACCIA DELLA SPERIMENTAZIONE CLINICA: CAVIE UMANE La fascia povera del mondo continua a morire perché i giganti farmaceutici hanno monopolizzato le ricerche e orientato i prodotti verso malattie come l’AIDS e il cancro61; inoltre Big Pharma, che comprende tra le industrie con più alto reddito al mondo, continua intenzionalmente ad escludere la possibilità di produzione di farmaci generici nel Terzo Mondo che risulterebbero economici e, quindi, accessibili anche alla fascia più povera della popolazione62. Solo l’1% dei farmaci lanciati sul mercato tra il 1974 e il 2004 erano formulati per trattare malattie tipicamente tropicali e tubercolosi che, invece, interessano più del 12% della popolazione63 e le aziende farmaceutiche preferiscono investire in farmaci anti-obesità che in trattamenti contro la malaria che infetta 500 milioni di persone all’anno64. Al danno si aggiunge lo sfruttamento, infatti, la fascia di popolazione più povera si offre per sperimentare i nuovi farmaci in fase1 (la più pericolosa) dietro compenso; le industrie farmaceutiche pagano i volontari per sottoporsi alla somministrazione di nuovi composti, creando un mercato di persone in difficoltà economiche che mettono a repentaglio la loro vita sottoponendosi a molecole pericolose testate precedentemente solo su animali i cui affetti avversi sull’uomo non sono stati diagnosticati e le modalità di reclutamento sono tutt’altro che trasparenti. I volontari, spesso immigrati e studenti, dovrebbero essere informati sui rischi legati al test, ma i moduli che devono compilare contengono termini tecnici e giuridici di


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difficile comprensione, lasciando il volontario all’oscuro dei rischi legati alla sperimentazione65. A conferma del trend in atto, dal 1995 al 2005 è raddoppiato il numero di trial clinici svolti all’estero, infatti le più importanti case farmaceutiche statunitensi stanno spostando i trial clinici nei Paesi in via di sviluppo, in primis nell’Europa dell’Est e in Asia perché più economici66 con un risparmio di almeno il 50%. Attualmente il 40% dei test si svolge fra Asia, Europa orientale e centrale e America del Sud; nel 2006 il Wemos e il Centre for Research on Multinational Corporation hanno reso pubblico un dossier con ventidue casi di “sperimentazioni cliniche non etiche”; otto riguardavano l’India, dove la Sun Pharmaceuticals e la multinazionale Novartis avevano testato il Letrozole per indurre ovulazione nelle donne sebbene il farmaco fosse registrato per curare i tumori al seno. Ma altre presunte trasgressioni sono state attribuite a Novo Nordisk, Solvay Pharmaceutical, Johnson and Johnson, Pfizer e altri colossi farmaceutici, le conseguenze della denuncia sono state pressoché pari a zero. Gli incidenti in fase di sperimentazione clinica avvengono e talvolta sono gravi, ma le industrie dopo aver investito molti milioni di euro e lavorato anni per mettere una nuova molecola sul mercato non ci tengono a pubblicizzarli, e proprio per questo servono forti agenzie di controllo statali e le nuove frontiere estere della sperimentazione mettono paura visto che i loro centri di ricerca non danno certezze sui protocolli adottati. New Delhi, 28 aprile 2007. Tra le industrie indiane di outsourcing, quelle che reclutano pazienti sui quali eseguire esperimenti farmaceutici per case di tutto il mondo, sono le più redditizie. Un fenomeno in costante crescita in India, un business destinato a toccare, secondo le stime, un giro di affari di un miliardo e mezzo di dollari nell’arco di quattro-cinque anni al massimo, mentre si calcola che nel 2010 siano oltre due milioni i pazienti indiani sottoposti a test farmaceutici. Fino a qualche anno fa, le case farmaceutiche indiane importavano i farmaci dall’estero e poi li riproducevano in casa, riuscendo a venderli a costi contenuti. Trattandosi di riproduzioni di farmaci esistenti e testati, non erano soggetti a test clinici prima della commercializzazione. Recentemente, le pressioni del

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Wto hanno portato l’India a dichiarare illegale la clonazione dei farmaci e imporre i test clinici. Questo ha aperto una nuova corsa all’oro (o meglio alla cavia) da parte di tutte le case farmaceutiche che, facendo spesso leva sulla condizione di bisogno delle persone, riescono a ottenere volontari a buon mercato. A essere coinvolti nel giro delle cavie sono soprattutto uomini giovani, spesso senza lavoro, allettati dai guadagni promessi ma spesso anche dall’illusione di poter (sia pure in via sperimentale) ottenere delle cure che da soli non potrebbero permettersi. Una “cavia farmaceutica” viene pagata in media 100 euro, la stessa somma che prende in media un impiegato di banca. Le cavie indiane, inoltre, sono tra le più ricercate, perché, nella maggior parte dei casi, ancora incontaminate, cioè non sottoposte ai bombardamenti farmacologici a cui sono soggetti tradizionalmente gli occidentali. Secondo il Gate Clinical Research International (or-

Lo Stato della Nigeria quest’anno ha accusato la multinazionale statunitense Pfizer, numero uno al mondo per fatturato. L’accusa è molto seria: la Pfizer “avrebbe utilizzato 200 bambini come cavie umane per la sperimentazione di nuovi farmaci”, mai provati sugli esseri umani. La causa presenterebbe ben 29 capi di accusa riconducibili ad oltre 2,7 miliardi di dollari di risarcimento, anche se in questo caso i soldi non potranno ridare la vita ai 18 bambini morti nella criminale sperimentazione o recuperare le malformazioni, le cecità, i danni cerebrali e le paralisi che avrebbero coinvolto gli altri 182 poveri sfortunati.

ganismo che si occupa di ricerca clinica e di sperimentazione farmaceutica) il vantaggio di usare gli indiani risiederebbe proprio nel poter disporre di malati “non trattati” sui quali si possono condurre esperimenti a costi competitivi in un ambiente più elastico dal punto di vista della normativa, molto meno rigida che altrove. Le case farmaceutiche puntano molto sull’ignoranza dei pazienti, sulle loro paure e sulla loro povertà. Non tutti sanno a cosa vanno incontro. Molti pazienti non danno realmente il loro consenso informato (come invece prescriverebbe la legge) anche perché spesso non capiscono quello che c’è scritto poiché lo è in una lingua straniera, inglese di solito. Sono tanti i candidati a diventare “cavia” che firmano senza capire le conseguenze di quello che gli verrà somministrato, solo perché convinti dai medici che ritengono, perché laureati e colti, “superiori” a loro. Molte delle cavie-pazienti si fidano dei loro medici curanti ed entrano nel giro, soprattutto per necessità. Ed è questo, oltre al passaparola, il metodo di reclutamento più diffuso. Le agenzie specializzate pagano somme spesso ingenti ai medici che forniscono pazienti. Questi arrivano per lo più dalle campagne e credono di riuscire a curarsi gratuitamente. A molti di questi, oltre ai soldi, vengono dati gratuitamente i medicinali di cui hanno bisogno per le loro normali cure. Ma non sempre tutto va bene. Sono molti i casi di pazienti, già malati, soprattutto di malattie psichiatriche, ai quali vengono sospesi i farmaci per cominciare con i nuovi della sperimentazione. Questo aumenta le loro malattie. Otto anni fa, fu sperimentato su pazienti malati di cancro in India un farmaco americano chiamato M4n. Il farmaco fu direttamente iniettato negli uomini: secondo alcune associazioni di volontariato furono molti i morti, ma dati ufficiali non sono mai stati resi noti.

8. VACCINI I vaccini sono spesso indicati come esempio della necessità della sperimentazione animale, sulla base del falso presupposto che i vaccini abbiano rappresentato, e rappresentino tuttora, un vantaggio per la salute umana. In realtà, in natura la malattia è un evento raro e storicamente diverse epidemie come ad esempio quella della peste bubbonica sono scomparse senza l’intervento di alcuna vaccinazione, ma grazie al miglioramento di norme igienico-sanitarie o addirittura spontaneamente a seguito del naturale evolversi del rapporto agente patogeno/ospite. Inoltre lo stereotipo della necessità del ricorso al modello animale nasce da false convinzioni storiche come nel caso del vaccino anti-polio il cui merito viene ampiamente attribuito alla sperimentazione animale, mentre esperimenti fuorvianti fatti sulle scimmie ritardarono, in realtà, l’applicazione del vaccino per più di 30 anni. Simon Flexner, che portò avanti gli esperimenti sui primati nel 1911, era a capo dell’Istituto Rockefeller per la Ricerca Medica, e quindi la sua opinione aveva grande peso. Flexner aveva insufflato il virus della polio nei nasi delle scimmie e su questa base aveva concluso che la polio è essenzialmente una malattia del cervello e del midollo spinale. Ma la via di introduzione per naso condizionava la veicolazione del virus che era diretto prima al cervello, in questo modo quindi lo sperimentatore aveva condizionato, forzandole, le risposte fisiologiche nel senso da lui desiderato. In realtà, da studi su bambini poliomielitici, si scoprì che la polio è essenzialmente una malattia della zona intestinale e che generalmente non tocca il midollo spinale causando paralisi. Una volta che gli scienziati realizzarono che il virus della polio si sviluppava nell’intestino degli esseri umani, conclusero che poteva svilupparsi anche in un tessuto intestinale in provetta. Questa sco-


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perta permise la coltura di un numero di virus sufficiente per la produzione di un vaccino di massa rendendo gli studi per la polio fatti sulle scimmie del tutto obsoleti. Ma questi studi avevano intanto rinviato di 30 anni il vaccino antipolio. Per quanto riguarda lo sviluppo, in passato era diffuso l’impiego di animali come “terreni di coltura” per l’ottenimento di vaccini attenuati; oggi questo passaggio viene effettuato in vitro, cosa che garantisce che il vaccino non sia contaminato da eventuali virus o altri agenti dell’animale in cui è stato coltivato e che potrebbero infettare chi riceve il vaccino. Ma gli animali vengono ancora utilizzati nei test preliminari all’immissione in commercio dei vaccini e precisamente nei test di efficacia (potency test), per valutare che il vaccino produca l’effetto voluto e di sicurezza (safety test), questi ultimi del tutto analoghi ai test di tossicità eseguiti su sostanze chimiche. Per eseguire i test di efficacia viene prodotto un “modello animale” della malattia per poter poi verificare l’efficacia del vaccino: questo significa trovare una specie animale in cui è possibile riprodurre la malattia inoculando nel suo organismo l’agente patogeno. Nel momento in cui l’animale manifesta dei sintomi “simili” alla malattia naturale viene testata l’efficacia del vaccino, inoculando l’agente patogeno dopo la somministrazione del vaccino: se gli animali trattati non manifestano la malattia, il vaccino funziona. La modalità appena descritta presenta diversi punti deboli da un punto di vista scientifico poiché si procede a scatola chiusa, senza conoscere i reali meccanismi della malattia di cui si tenta di riprodurne i sintomi in una specie differente da quella in cui normalmente si manifesta: riprodurre dei sintomi simili non significa affatto aver riprodotto la malattia, la quale può presentare dei meccanismi assai complessi. In definitiva si cerca di curare un fenomeno simile a quello desiderato, per di più su un soggetto appartenente ad una specie differente da quella di interesse; questa bassa predittività dei test animali che costituiscono la fase preclinica, rende il vaccino un potenziale pericolo per l’uomo. Inoltre, gli effetti collaterali dei vaccini sono riconducibi-

li essenzialmente a due fattori: l’essenza del vaccino stesso, un po’ come il principio attivo di un farmaco, e quelli che potremmo definire i suoi eccipienti. Per quanto riguarda il primo fattore, va ricordato che il vaccino è comunque costituito da un agente patogeno; rispetto al secondo fattore, gli agenti impiegati per ottenere i vaccini sono spesso altamente tossici, a volte potenti cancerogeni, come formaldeide o composti a base di mercurio. Un esempio, il caso del vaccino per il papilloma virus, legato all’insorgenza del tumore all’utero, la cui sperimentazione su animali risultò sicura e che venne commercializzato e somministrato a ragazze soprattutto nella fascia di età adolescenziale. I dati, però, del Sistema di Farmacovigilanza spagnola, hanno evidenziato almeno 120 i casi

di adolescenti con possibili reazioni avverse al vaccino, dei quali 45 considerate gravi. Sette delle giovani in questione sono state ricoverate, cinque con convulsioni, mentre un terzo del totale ha riportato problemi neurologici come nausea, sincopi o perdita di conoscenza. Negli Usa, il Washington Time, riporta 20 Stati nei quali si sono verificate reazioni avverse che vanno dalla perdita di coscienza al collasso e il National Vaccine Information Center segnala 5 casi di morte, 51 di invalidità e 1358 ricoveri d’urgenza. L’Emea (European Medicines Agency) ha comunicato che due giovani donne sono morte improvvisamente dopo aver ricevuto la vaccinazione contro il papilloma virus. Una delle morti è avvenuta in Austria e l’altra in Germania. La causa dei decessi non è stata identificata, ma queste due morti fanno seguito al decesso di altre tre ragazze di 12, 19 e 22 anni, avvenute negli Stati Uniti, alcuni giorni dopo la somministrazione del vaccino. Per questo motivo è stato lanciato nel mondo un appello da parte di oltre 4mila ricercatori spagnoli, di cui il primo firmatario è Alvarez-Dardet, direttore del Journal of Epidemiology and Community Health, per una moratoria delle vaccinazioni contro il papilloma virus, sicurissime negli animali, ma evidentemente non negli esseri umani67.

rafforzando la prolifica potenza devastatrice. Una ulteriore, plateale, sconfessione, di tutti i canoni della cosiddetta “ricerca medico-scientifica” vigenti: il modello animale. All’altare della pseudo-scienza sono stati sacrificati migliaia di scimpanzé e primati in tutto il mondo (Italia inclusa), per ottenere un totale flop. “Forse l’Hiv scimmiesco non reagisce allo stesso modo di quello umano”, affermano oggi, dopo 20 anni di ricerche sulla strada sbagliata, i baroni in camice bianco che sono riusciti a spendere inutilmente quasi 300 milioni di euro ogni anno in due decenni. Le ricerche riprenderanno presto (anche in Italia dove è coinvolto l’ISS), al buio e con ingenti finanziamenti pubblici. I laboratori di mezzo mondo non rinunceranno a cuor sereno al fiume di denaro di cui sono stati sommersi in questi anni da Governi e Fondazioni pubbliche e private. La sperimentazione sull’uomo è partita nel 1998, dopo aver passato oltre un decennio a inoculare Hiv a scimmie e scimmiette. Dopo 10 anni e migliaia di malati sottoposti in tutto il mondo a test con iniezione del vaccino inefficace, i “ricercatori” delle Università di Boston e Harvard comunicano che “è accaduto il contrario di quanto previsto, chi è stato vaccinato rischia due volte di più di infettarsi”. Nelle ricerche milionarie era coinvolta anche la multinazionale del farmaco Merck68.

8.1 Hiv

8.2 Il caso H1N1

Il vaccino contro l’Aids ha suscitato enormi aspettative, in primo luogo nei malati e nei sieropositivi. Da 20 anni gli Stati Uniti d’America investono risorse pubbliche crescenti per la ricerca: una spesa di circa 2-300 milioni di euro l’anno. Nel 2007, nei laboratori americani, sono stati spesi 350 milioni di euro. A marzo del 2008, i ricercatori hanno dovuto arrendersi e proclamare al mondo il proprio fallimento, infatti, le cellule target iniettate nei pazienti avrebbero aumentato i bersagli a disposizione dell’Hiv,

Gli ecosistemi alterati e gli allevamenti intensivi diventati gironi infernali straripanti di escrementi in cui soffocano decine di migliaia di animali con sistemi immunitari provati dal caldo e dal letame sono l’ambiente ideale per la veicolazione, a velocità vertiginosa, di patogeni. Infatti, le condizioni tipiche delle CAFO (Confined animal feeding operations) prevedono il sovraffollamento, soventemente il riutilizzo dell’acqua proveniente dai liquami e la totale assenza di biosicurezza degli impianti; a questo si aggiunge l’uso incondizionato di antibiotici e farmaci stimolanti della crescita che aumentano la possibilità di diffusione di patogeni farmaco-resistenti. Il 70% degli antibiotici impiegati negli Stati Uniti viene somministrato ad animali sani per contrastare gli effetti della scarsità di igiene e dello stress da stabulazione69. I virus convivono con la nostra specie da sempre ma diventano pericolosi nella misura in cui cambiano profilo antigenetico e non vengono riconosciuti dal sistema immunitario, ma soprattutto se acquistano la capacità di innescare una risposta infiammatoria sistemica come nel caso dei virus della spagnola e dell’aviaria.

(Foto Tommaso Galli)

(Foto Dreamstime)

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La mortalità del virus H1N1, trasmesso all’uomo da maiali, si è da subito rivelata bassa, intorno all’1 per mille e la sua diffusione del 5% (percentuali più basse rispetto alle normali influenze invernali), dati, oltretutto, sovrastimati vista la sintomatologia con comuni segnali influenzali da non addurre a questo virus. Nonostante questi dati poco allarmanti, l’Italia ne acquistò 24 milioni di dosi per un contratto con la Novartis da 184,8 milioni di euro, dove l’azienda produttrice declinava ogni responsabilità per eventuali danni da vaccino, fatto messo nero su bianco nel contratto siglato tra il Ministero della Salute e la multinazionale svizzera. Coerente, in merito, la linea scelta dai medici, di cui solo l’8% ha scelto di sottoporsi al vaccino e che ha sollevato il problema della


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(Foto BUAV)

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BIBLIOGRAFIA

mancanza di dati sull’incidenza di eventuali complicazioni e mortalità. Sulla vicenda grava l’ombra di un pesante conflitto di interessi, infatti, le principali case farmaceutiche hanno fatto affari d’oro: la Roche ha decuplicato i suoi ricavi, a quota, 2,6 miliardi; la Baxter ha intascato 750 miliardi mentre il gruppo Novartis punta ad incassare un miliardo in più grazie alla presunta pandemia. Come segnala l’on. Antonietta Farina Cascioni con l’interrogazione del 12 gennaio 2010: “le connessioni tra i Ministeri della Salute e del Welfare con il sistema industriale sono sgradevolmente strette, per esempio, la moglie del Ministro Sacconi è direttrice generale di Farmindustria, l’associazione che promuove gli interessi delle aziende farmaceutiche”.

9. CONCLUSIONI Il mondo farmaceutico si è allontanato troppo dal lodevole fine di curare la nostra specie diventando un inarrestabile ingranaggio che basa, sugli ingenti interessi economici, le sue fondamenta. La ricerca compie lenti progressi anche perché fortemente vincolata dall’obbligo del ricorso al modello animale che non solo risulta obsoleto e fuorviante, ma anche eticamente pericoloso per l’uomo. Ogni anno milioni di animali sono utilizzati negli esperimenti e muoiono per testare molecole che non saranno mai immesse sul mercato, meccanismo che riflette un quadro giuridico arretrato dove il ricorso all’animale era visto come passaggio necessario per la sicurezza umana, ma che si è rivelato fallace alla luce dei metodi alternativi e dell’approccio scientifico odierno.

Peraltro, ampliando le considerazioni anche in una visione ambientalista, l’Inquinamento farmacologico è la sesta peggior causa di contaminazione ambientale al mondo, infatti fiumi e laghi, in particolare d’Europa, si arricchiscono di principi farmacologicamente attivi che si sommano agli antibiotici somministrati al bestiame dall’industria zootecnica; le cui concentrazioni si accumulano nelle riserve idriche del Pianeta favorendo lo sviluppo di batteri immuni agli antibiotici e mettendo seriamente a rischio la salute umana. L’industria farmaceutica ha volutamente confuso il concetto di salute e malattia, armandosi di potenti campagne pubblicitarie che hanno instillato il dubbio della necessità di curarsi e di ricorrere a medicinali, a scapito di necessarie campagne informative sull’alimentazione e lo stile di vita per prevenire e combattere malattie dismetaboliche e cronico-degenerative e la diffusione di patogeni. Inoltre è pericolosamente in aumento il trend che vede lo spostamento dei test pre-clinici e clinici in Paesi economicamente depressi, dove i controlli e le condizioni di stabulazione degli animali sono minori o inesistenti e i reclutamenti di volontari per testare i nuovi composti farmaceutici sono facilitati, economicamente vantaggiosi e la tutela giuridica è pressoché inesistente. I Governi nazionali e la Commissione Europea, invece, dovrebbero impegnarsi, in modo effettivo, al fine di concretizzare l’implementazione dei metodi alternativi anche grazie alla diffusione delle tecniche e applicazione degli stessi in ambito di formazione universitaria, nonché tramite finanziamenti per facilitare la conversione dei laboratori che utilizzano animali in centri di sperimentazione che si avvalgono di metodi alternativi.

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