L'arrotino #0 gennaio 2015

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Creativo di Gennaro Cosentino

Luglio 2013. Il primo pezzo di presentazione de L’arrotino è su internet. Il tentativo di fondare, attorno ad una rivista, una realtà culturale e “politica” nasce dalla necessità di costruire futuro, in un territorio piccolo ma espressivo di limiti e possibilità. Non mancano le esperienze editoriali già esistenti, nelle diverse forme di quotidiano, quindicinale, trimestrale: il tentativo, più vicino al nostro, è stato quello de Il Prometeo, che ha tracciato un solco e, allo stesso tempo, dato un allarme. Le dificoltà di un’impresa culturale, oggi, sono variegate ed è, spesso, impossibile portarla avanti. L’impostazione nostra, perciò, è sperimentale. Non abbiamo partiti, correnti, leader o guru da sostenere. L’approccio adatto ci sembra quello dell’indagine indipendente e ragionata. Un modo per valorizzare i dati della cronaca, quando non sono solo gossip o specchi per le allodole, con un racconto diverso dalla semplicità “stenografata”. In movimento come l’arrotino, personaggio di Elio Vittorini, lo scrittore neorealista. In questa regione, oggi attraversata dalle proteste no Triv: i diecimila di Potenza il 4 dicembre e il dibattito acceso tra Stato, Regione e Comuni; tra una moltitudine di giovanissimi, in polemica contro il governo Renzi, benedetto da Napolitano (presidente pro tempore) e un’élite politica locale alle prese con l’imponente astensionismo, le indagini giudiziarie e i patti da rispettare verso un popolo bisognoso di tutto. Riproduciamo qui una lettura culturale in mezzo al guado: la vittoria di Matera, come possibile spartiacque creativo per la nostra “città” Valle del Noce. Una piccola città, un po’ country, e innovativa, che vogliamo costruire, sostenere e raccontare.

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L’arrotino Magazine. Numero zero. Associazione Commons. Editore c/o Arci Valle del Noce. c/da Capo Lo Bosco, Nemoli (PZ). c.f. 91006730765. Registrazione al Tribunale di Lagonegro n.1/2014. Stampato a Lagonegro (PZ) in dicembre 2014 da Tipografia Zaccara.

gennaro.cosentino___direzione giuseppe.ferrari____managment nicola.ciuffo____art.director marilena.lovoi______ redazione federica.olivo______


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Costo tessera 10 euro - validitĂ annuale . Convenzioni attive anche per il 2015 progetto graico: ciuffonicola@gmail.com

Liberi di volare

C/da Capo Lo Bosco di Nemoli (PZ) -------------------------------------------cultura e creatività arcivalledelnoce@gmail.com facebook: Arci – Valle del Noce arcivalledelnoce.altervista.org


Soluzione: “Superfluo per te, prezioso per noi”

Rebus

Recuperiamo suppellettili e vecchi mobili


sogni Macerie e di Crisostomo Dodero

«Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». • l’art. 49 della nostra Costituzione, la Carta che fonda la «Repubblica», dopo gli anni della dittatura, della guerra, della lotta al nazifascismo… La «Repubblica»: scelta in quanto forma istituzionale dello Stato italiano con il referendum del 2 giugno 1946, fu giuridicamente deinita da un’Assemblea contestualmente eletta, i cui esponenti, pur portatori di differenti ideologie, si sarebbero dimostrati tanto coraggiosi da costruire un «compromesso» realistico e tuttavia ricco di «sogni» (di «visioni», di «utopie»), aperto al futuro.

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Il frutto della loro opera: l’Italia diventa una «Repubblica democratica». Lo Stato da ente superiore (indifferente e lontano, oppure iniquo e assillante, o addirittura totalitario e onnipresente) si trasforma (i «padri costituenti» sognano che possa trasformarsi) in una «Cosa Pubblica» impegnata a rimuovere gli ostacoli lungo la strada che gli Italiani, donne e uomini, sono chiamati a percorrere non più da sudditi o clienti questuanti o arrabbiati, ma da cittadini detentori di sovranità, per contribuire a costruire (in un processo circolare) quella stessa «Cosa Pubblica»: con il proprio lavoro, i propri rappresentanti, l’impegno politico diretto reso possibile dalla libera e democratica attività dei partiti. Fra i «sogni» lanciati al di là delle macerie del dopoguerra, quello dei partiti come canali

di esercizio permanente della cittadinanza, mi sembra oggi, nel corso di una crisi forse ancora più devastante e dopo tanti anni di «Repubblica» (ma perché gli Italiani, ancora oggi, parlano di «Stato» e non di «Repubblica»?) particolarmente degno di attenzione…


Impara a leggere. Impara a scegliere.

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Lettera alla redazione di Giuseppe Petrocelli

Territorio, cultura, giovani, cambiamento. Ci sono almeno quattro ragioni per sostenere la sfida lanciata da L’arrotino con questo primo numero cartaceo che vi apprestate a leggere, inoltrandovi in queste pagine. Territorio, innanzitutto. Al di là di qualsiasi retorica, Lauria, il lagonegrese, la Basilicata hanno un’unica possibilità per pensare ad un futuro: ripartire da se stessi. La nostra realtà ha bisogno di essere riscoperta, osservata e raccontata, a partire dalla sua dimensione quotidiana. Ha bisogno di uno scambio di riflessioni, idee, di proposte, in grado di far uscire la nostra terra dal deleterio impasto di depressione economica, sofferenza demografica e desertificazione dell’opinione pubblica, che mette a rischio la possibilità stessa di costruire una prospettiva. Ed è di fondamentale importanza che sulla trincea più avanzata di questa operazione di ripartenza ci siano le nuove generazioni, «le più adatte - come diceva Paolo Borsellino, con queste parole di splendida chiarezza - a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità». I giovani, con il loro carico di entusiasmo, inventiva, coraggio e sete di futuro. C’è bisogno di mettere la cultura al centro di un nuovo modello di sviluppo. Soprattutto dopo la straordinaria vittoria di Matera Capitale della cultura europea 2019, un evento che porta con sé le condizioni per far esplodere un vero Rinascimento lucano, a patto che poggi le sue solide fondamenta nella forza della propria identità e della propria storia e si dispieghi in una tensione positiva sui binari della creatività, dell’innovazione e della sperimentazione. Insomma, è di cambiamento che abbiamo bisogno. E L’arrotino – col suo piccolo o grande contributo – si propone proprio questo: mettere il proprio mattoncino accanto a quello degli altri, per costruire qualcosa di utile e duraturo al servizio della comunità. Di oggi ma soprattutto di domani. Dunque, non resta che augurare agli amici de L’arrotino un grandissimo in bocca al lupo!

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10.000 anni di storia > Uscite dalla caverna < Matera sarà capitale europea della cultura_ di Gennaro Cosentino

Tra le città più antiche al mondo. Più antica di Atene. Qui, prima dei greci, i popoli lucani davano identità alla propria terra. Tra Metaponto ed Heraclea (Policoro), Matera fondava la storia di città aperta sullo Jonio. Una cultura sedimentata, sotto tutte le dominazioni successive, e che resta ancora evidente, non solo agli occhi degli archeologi più attenti. Fuori dalle grotte, dai sassi. Fuori dalle “caverne” che scolpiscono la Murgia materana troviamo una cittadinanza attiva e sensibile alle sue radici L’incoronazione a capitale europea della cultura 2019, oltre che un riconoscimento, oggi reclama la posizione strategica della Città. In Basilicata e nel Mezzogiorno, come ha detto il 17 ottobre “il Gladiatore” sul palco di piazza San Giovanni, e in Europa. Ma anche nel mondo contemporaneo, che la città racchiude come patrimonio Unesco. Il passaggio dell’arte e del cinema, della poesia e della pittura, da Pasolini a Ortega, hanno scandi-

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to la risposta contemporanea all’attenzione della politica governativa che nel ‘48, dopo la resistenza, la strage, l’insurrezione del ‘43 e la mancata medaglia d’oro, la identiicava - per salvarla - come ‘vergogna nazionale’. Nella commissione internazionale, in 7 su 13 hanno probabilmente visto tutto questo prima di sceglierla e farla annunciare, a Roma, dal ministro Franceschini. Hanno visto tutto questo, oltre al progetto che porta Matera nel 2019, insieme alla città bulgara di Plovdiv, incastonata nel Programma comunitario sulla Cultura e la Creatività 2014-2020. In questo senso i temi e il progetto del Comitato Matera 2019, che ha trainato l’impresa, rappresentano lo statuto di questa investitura, nel tessuto urbano, e anche regionale, che si confronta con la propria realtà spesso scarna e spopolata per farne, a Sud, un baricentro culturale. In un contesto di precarietà della vivacità e della creatività necessarie, in cui però proprio il comitato è riuscito a vincere. Una bella storia, da fare e raccontare ancora.


Titolo: Ottiche 2019 Autore: Nicola Ciuffo

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La comunità online di Nicola Bisceglia

Matera sarà capitale europea della cultura nel 2019, questo lo sanno tutti. Quello che forse molti ignorano è come abbia fatto, quella che fu la vergogna d’Italia, ad avere la meglio su città più accreditate alla vittoria, come Lecce o Siena. In molti, a Matera, ancora oggi dicono: “I sassi ce li abbiamo solo qua”, come se avessimo vinto per quello. No, non era un concorso di bellezza, e il capitano, Paolo Verri, non perde occasione per ricordarlo: vinceva il progetto e quello di Matera era il più interessante, quello con più visione. Uso il noi, pur non essendo materano, e dico che abbiamo vinto perché tutta la Basilicata ha accarezzato quel sogno, ha lottato per raggiungerlo e l’ha conquistato caparbiamente, da lucani. Personalmente ho la fortuna di poter raccontare questo processo da vicino: sono stato spesso a Matera durante tutto il 2014

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ed ho conosciuto praticamente tutti quelli che hanno gravitato attorno al Comitato e devo dire, senza rischio di piaggeria, che ho incontrato donne e uomini straordinari. E sono orgoglioso di poter descrivere quanto è stato decisivo l’apporto del web team, di cui faccio parte insieme a tanti altri volontari, per fare in modo che sui social network Matera fosse la più presente e rumorosa. E come la community matera2019, animata da centinaia di lucani, abbia fornito uno spazio virtuale dove parlare di cose concrete che hanno avuto un impatto oline. Cito ad esempio solo la fantastica idea #inCamminoperMatera2019, che nasce e si sviluppa proprio sulla community, e poi diventa l’impresa che tutti conosciamo. Il ruolo della comunità online si può riassumere con questa immagine: tante persone che non si erano mai incontrate, hanno un luogo web per dialogare e impostare un progetto che poi si realizza concretamente

Mi auguro che la community web sia sempre un riferimento, che continui ad essere animata da tutte le belle persone che ho conosciuto prima sul web e poi di persona, abbracciandoli come amici di una vita. Perché se c’è una speranza di salvare la cittadinanza attiva e la partecipazione, è proprio quella di confrontarsi e discutere nella piazza virtuale, che è molto più reale di quanto si possa immaginare. Ed è per questo che insieme ad alcuni ragazzi ed ad altre realtà web abbiamo avviato il progetto Osservatore Lucano, per informarci e informare, dialogare ed analizzare i problemi partendo dai dati, perché la rivoluzione digitale è in corso. Sta a noi cittadini decidere se costruire l’Open Future o subirlo passivamente.


Titolo: Ottiche digitali Autore: Nicola Ciuffo

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La Basilicata rurale di Rocco Perrone

Abbiamo percorso circa 150 km a piedi per andare incontro alla commissione e dirgli che la Basilicata rurale esiste, è viva e vuole afrontare questa sida insieme a Matera e ai materani. Ho ripetuto queste parole come una cantilena, tali e quali, in tutte le interviste che mi hanno fatto durante #Incamminopermatera2019. Abbiamo attraversato boschi, guadato ruscelli, scalato montagne. Abbiamo incontrato persone, incrociato storie. Abbiamo camminato con le caviglie gonie, le bolle sotto i piedi, i muscoli indolenziti, gli “stinchi presi a calci di notte” come diceva Donatello

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Siamo andati avanti sotto l’acqua, a favore o sfavore di vento, nel fango e sul duro asfalto. Abbiamo dormito a terra per una settimana. Abbiamo voluto testimoniare con un sacriicio che ci sono lucani che sanno essere propositivi e che non sono più quelli descritti da Sinisgalli. Noi camminatori siamo riusciti a conquistarci, è la parola giusta, un pezzetto di candidatura, uno spazio, piccolo, nella Storia della Basilicata. Lo abbiamo fatto senza chiedere il permesso e senza aspettative. Ho avuto l’onore di rappresentare tutti i camminatori e sono arrivato in testa al corteo con a fianco il Rumit. Mi sono emozionato quando ho visto la folla aprirsi e farci spazio.

Ho dato la mano ai commissari, mi sono presentato e gli ho detto perchè ci eravamo messi in cammino con parole semplici e dirette pensate durante il tratto più diicile e doloroso della camminata, sotto il diluvio tra Accettura e Grassano. Noi eravamo già tutti soddisfatti per aver camminato 7 giorni, parlato di speranza e di Matera 2019 a tutte le persone incontrate durante il cammino. Il resto della Storia la conoscete. Il 17 Ottobre Matera è stata eletta capitale europea della Cultura. I camminatori non si sono fermati e continuano ad andare avanti per costruire, insieme a Matera, la Basilicata 2019.


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Per la tua


pubblicitĂ


di Mimino Ricciardi

Titolo: Altrove, in Oriente Autore: Nicola Ciuffo

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CoderDojo è un termine a molti oggi sconosciuto. Qualcuno ne ha già sentito parlare in occasione del Go On Bas, l’evento che si è svolto su tutto il territorio regionale il 24 novembre scorso e che ha visto esplodere 148 eventi tutti concatenati al Dday (giorno digitale lucano). 131% Basilicata Digitale. Obiettivo raggiunto. L’hastag #GoOnBas ha innescato sui social un movimento partecipato e innovativo dal quale è impensabile tornare indietro e che ha rafforzato l’idea di una società digitale. Viviamo un tempo che corre e dobbiamo nutrirci di strumenti che volano. Usare le connessioni attraverso una rete strutturata e digitale che permette di far viaggiare le idee

su autostrade altrettanto veloci. E, convinti che la scuola debba avere un ruolo primario e determinante per la classe dirigente del domani, allo stesso tempo abbiamo bisogno di una scuola all’altezza dei sogni dei bambini. Serve una scuola aperta e nuova e con essa che bisogna intrecciarsi e condividere il progetto CoderDojo. Questa parola è composta da coder e dojo che in giapponese signiicano: programmazione e palestra. In sostanza il bambino davanti ad un pc, con il software “scratch” installato, potrà programmare divertendosi. A Lauria 76 studenti della Scuola Primaria “G. Marconi”, IV e V classe, hanno avuto la possibilità di avere una lezione di Coderdojo dal men-


Be Cool! Bullying/lying/ wasting people’s time and so on is uncool_ Be #CoderDojo!

tore Vincenzo Patruno che dopo aver proiettato delle slides per far comprendere il concetto del coding, ha attirato l’attenzione degli studenti attraverso pratiche di gioco. Il creative learning è importante per la pratica del CoderDojo, serve un insegnamento dal basso attraverso l’esercizio: serve provare e riprovare alimentando le connessioni, le capacità logiche e l’elaborazione attraverso la programmazione. Cibare le menti dei lucani con il CoderDojo signiica anche investire sul futuro. Questo è il mandato di una generazione, la nostra, che oggi ha la responsabilità decisionale sul futuro altrui.

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di Francesco Forte

Costantino Gatta racconta che la nostra terra sin dall’Antichità era conosciuta come Enotria e la sua prosperità di acqua, legname e materie prime era rinomata tanto da «aver fornito abbondevolmente dalla benignità del Cielo molti doni di natura, fu sovente da varie Nazioni, non solo ambita, ma stranamente occupata». Aristotele conferma che questa popolazione abitò l’Italia meridionale dal golfo di Taranto a quello di Policastro, spingendosi ino all’estremo sud della Calabria. Non possiamo pertanto escludere dalla genealogia della nostra cittadina la radice enotrica e i ritrovamenti avvenuti recentemente in loco confermano, se ce ne fosse ancora bisogno, la nostra argomentazione. L’etimologia del termine ‘enotrio’ è tuttavia molto incerta, probabilmente deriva dal greco oinos, cioè vino, che indicava appunto, più che il popolo, il ricco territorio di vigneti

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Si arriva quindi alla derivazione di Enotria, terra del vino, con cui gli antichi greci indicavano l’Italia meridionale. Altre ipotesi invece vogliono che il termine derivi dalla parola oinotron, a indicare la coltivazione della vite a palo corto. Gli Enotri si attestano nella nostra area sin dal XII sec. a.C., ma con il sopraggiungere dei greci, VIII sec. a. C., si spostano progressivamente dalle coste all’entroterra. Un secolo dopo cominciano le guerre tra la nostra popolazione indigena e le Città-Stato greche, ma le sventure dei nostri autoctoni aumentano con le progressive invasioni delle popolazioni di idioma Osco da nord-ovest: l’estinzione degli Enotri è di fatto già avvenuta nel V sec. a.C.. I Lucani pertanto «entrano in pieno nella storia della Magna Grecia, condizionandola per quasi mezzo secolo», estirpando contemporaneamente gli Enotri.



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Villa

Nitti

di Marilena Lovoi

«Fallimento totale con enorme danno economico e sociale aggravato dalla violenza accanita e continuata verso il bello», queste le parole forti che alcuni cittadini di Maratea hanno riservato alla gestione di Villa Nitti, patrimonio della Regione Basilicata dal 1970. Dure parole contenute in una lettera di protesta indirizzata al presidente regionale Pittella e al sindaco di Maratea Cipolla. Un testo conciso ma forte che richiama all’attenzione su un pezzo importante della storia regionale. Da vecchia casa rurale a villa in stile neogotico e decò, per volere di Francesco Saverio Nitti, politico meridionalista lucano, che acquistò la tenuta nel 1920 durante la sua breve nomina di presidente del Consiglio. Situata in un suggestivo punto della “perla del Tirreno”, fu tra il ‘21 e il ‘22 che la villa prese forma, grazie al lavoro dell’architetto veneziano

Rinaldo, che modellò “il luogo del pensiero” dello statista lucano. Così qualche decennio più tardi le studiose Bottini e Verrastro, appellarono l’incantevole villa, in una ricerca che ne ricompose puntualmente la storia. Uno studio attraverso cui si può conoscere ciò è stato di Villa Nitti ino al 1973, il seguito è perlopiù sconosciuto, sottolineano i cittadini marateoti che intitolano la missiva «Villa Nitti da luogo del pensiero a luogo dell’offesa». Villa Nitti è stata spogliata del suo arredamento, della pavimentazione e degli inissi A quarant’anni dalla promessa dell’ex governatore Verrastro di un “degno riutilizzo”, si può soltanto constatare il fallimento del progetto di Centro Studi Meridionalistici, “che richiese tra l’altro il sacriicio dell’aranceto di cui Nitti andava iero”.

Poche parole, suficienti a descrivere il degrado e l’offesa verso la “comunità locale e regionale” e un invito al governatore a fare una pubblica rilessione. Non è tardata ad arrivare la risposta del sindaco Cipolla che ha ribadito le passate sollecitazioni al presidente Pittella, da cui, afferma aver ricevuto riscontro positivo. Rassicurazioni dal presidente che, tramite il suo portavoce, parla di centro per studi sullo sviluppo o impiego turistico, lasciando la porta aperta a proposte dall’esterno. Riusciranno la sensibilità e l’indignazione dei cittadini a smuovere le acque e a restituire alla storia la Villa dimenticata? Nel frattempo, una nota positiva è il sentire comune di una cittadinanza capace di indignarsi e richiamare al dovere le istituzioni che con Villa Nitti, ino ad ora, hanno fallito.

Titolo: Villa Nitti Autore: Nicola Ciuffo

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di Gennaro Cosentino



Intervista a Giuseppe Mancuso agricoltore di Opio Lucano federato AsoCanapa

Se, per molti versi, il sistema produttivo italiano si trova in empasse, tra politiche di governo e di impresa; c’è un settore, che ripatendo dal primario, e per quanto di conoscenza antica, può rappresentare una valida strategia per il Mezzogiorno. La coltivazione e la trasformazione della canapa viene considerata, sempre più il futuro per molti segmenti di mercato. Si è conclusa di recente a Napoli la prima edizione italiana della iera della canapa. Come avete vissuto e interpretato questo appuntamento? Sicuramente un avvenimento molto importante e necessario al fine di permettere lo sviluppo della conoscenza in materia canapa. Eventi simili andrebbero promossi e sostenuti soprattutto in questo

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periodo in cui la canapa ha bisogno di tanto sostegno da parte degli operatori del settore e dagli utenti che si avvicinano per la prima volta a questa innovazione culturale, colturale ed economica. Da quanto tempo coltivate canapa? E in quali Comuni della Basilicata? Sono due anni che coltiviamo canapa. Finora l’abbiamo coltivata nei seguenti comuni: - Oppido Lucano, Acerenza, Genzano di Lucania, Montescaglioso. Con quali risultati? Non abbiamo avuto risultati positivi in questi primi anni, causa la mancanza di conoscenze tecniche che ci avrebbero permesso di ottenere risultati migliori. Stiamo a tal proposito sperimentando a nostre spese e con la collaborazione di altre aziende agricole diverse tipologie di densità di semina,

di concimazione, epoche di semina ecc, al ine di riuscire ad ottimizzare le varie fasi colturali e massimizzare la produzione sui livelli preissati. Siamo convinti che nel giro di due/tre anni riusciremo a raggiungere i risultati preissati e avere un prodotto 100% lucano. Come siete organizzati. Qual è, in sintesi, il vostro processo produttivo e commerciale? La nostra società propone contratti di coltivazione fornendo seme alle aziende agricole interessate alla semina della canapa, riacquistando poi il seme prodotto. La produzione viene poi trasformata presso impianti di trasformazione associati Assocanapa Basilicata, alla quale segue la commercializzazione dei prodotti con il marchio canapa lucana. La letteratura attuale sul tema rappresenta buona


capacità espansive. E’ così anche per la Basilicata e il Sud Italia, pur considerate alcuni ostacoli “morali” e “proibizionisti” di cui ancora si sente parlare? Dificoltà ce ne sono molte, la soddisfazione c’è nel momento in cui vengono esposte tutte le straordinarie proprietà di tale pianta soprattutto dal punto vista alimentare le quali fanno cambiare completamente idea al riguardo e si ha un avvicinamento da parte del consumatore al prodotto il quale lo assaggia e subito dopo ha tutte le intenzioni di acquistarlo e farlo provare ad amici e parenti, perché ha capito l’importanza della rivoluzione che è in atto e che anche lui con il suo contributo può sostenere.

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A3 Far West Di Fabio Falabella

«Quanti altri lavoratori dovranno morire sulla Salerno-Reggio Calabria prima che le istituzioni si decidano ad intervenire con fermezza?»

Se lo chiedeva il segretario generale della Filca Cisl Basilicata, Michele La Torre, commentando l’ennesimo incidente mortale occorso Domenico Setaro, l’operaio travolto da un camper al cui interno viaggiava una famiglia intera diretta in vacanza, mentre posizionava dei coni segnalatori di divisione a ridosso della corsia d’emergenza sul tratto tra Padula e Lagonegro. Proprio a Lagonegro era cominciata questa tremenda e odiosa scia di sangue, che sta segnando in maniera tremenda e sinistra

la fase di completamento dei lavori sul segmento lucano della A3, con la morte avvenuta il 30 marzo scorso di Giuseppe Palagano, un lavoratore esperto colpito da una centina staccatasi in fase di montaggio dalla volta della nuova galleria in costruzione Renazza, a poco più di due chilometri dal punto dove è avvenuto l’impatto mortale che ha stroncato ieri mattina Setaro: il cordoglio, lo sconforto e lo sconcerto espresso allora dalle maestranze, che a mezza bocca parlavano di condizioni al limite della legalità e di ritmi insostenibili in merito ai turni di lavoro delle diverse aziende appaltatrici e subappaltatrici coinvolte nell’opera, all’interno dei vari cantieri che insistono sulla carreggiata, erano stati raccolti dai sindacati, i quali avevano organizzato congiuntamente una manifestazione del primo maggio molto particolare, all’interno della stessa gal-

leria con il palco allestito sulla pala di un grande mezzo escavatore, alla presenza di centinaia di lavoratrici e lavoratori e all’insegna del lutto, del silenzio e della rilessione piuttosto che di festeggiamenti rituali e vacue celebrazioni. E tutti avevano sperato si fosse trattato solo di un accidente nel senso letterale del termine, di un accadimento imprevedibile, fortuito e del tutto casuale, di quelli da compendiare nei registri delle statistiche. Peccato che dopo Palagano, il primo maggio, la lettera accorata scritta dalla iglia, nella quale la ragazza ribadiva quanto inutili e offensive risultassero a posteriori «le dichiarazioni di intenti circa sicurezza e prevenzione» e implorava che si «mettesse ine allo stillicidio delle cosiddette morti bianche nel nostro paese» (più di quelle causate ogni anno dalla criminalità organizzata, ndr) nulla di concreto sia stato fatto.

Titolo: Salerno-Reggio Calabria Autore: Nicola Ciuffo 28


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di Carmine Cantisani



Commiato ad un artista lucano

Domenica. Di ritorno da una serata così e così...di quelle ormai in voga nella nostra zona...dove io mi annoio. Ho guardato per l’ennesima volta gli altri divertirsi. Ma tant’è. Sono le quattro di una notte dicembrina gelida. La mia ragazza ha fame, decidiamo di passare per l’unico posto aperto a quell’ora: l’area di servizio sulla Fondo Valle del Noce. Cornetto e cappuccino e via a casa (si spera). Speranza che svanisce presto, purtroppo. Mentre addento il cornetto alla crema, sento il benzinaio bisbigliare. Parla con l’unico cliente oltre a noi. Un autista di linea che va a lavoro. Distrattamente, non faccio caso a ciò che dicono, poi, dalle parole fugaci spunta un nome: Pino Mango. Mi volto incuriosito e vedo le loro facce stanche scurirsi ancor di più. Maleducatamente origlio, poi mi faccio coraggio e chiedo cosa fosse successo. Forse aspettavano solo questo. Per condividere

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un dolore appena fresco. Mi rispondono attoniti: Pino Mango è morto. Non c’è più. Se ne è andato su un palco, nella sua Basilicata, mentre cantava la canzone che più lo rappresenta. Mi fermo, ingoio a fatica l’ultimo pezzo di cornetto. Riformulo la domanda, chiedo conferma, bramoso di certezze. Pino Mango, il cantante di Lagonegro, è morto. Prendo il cellulare, cerco un appiglio, spero in uno di quegli scherzi virali di cattivo gusto a cui spesso (da demente) partecipo. L’Ansa non ha ancora battuto niente. Apro Twitter, controllo il proilo Facebook di un mio (e suo) amico. Ed è lì che trovo ciò che non volevo trovare. Pietro, lo ha già salutato per l’ultima volta, gli ha dedicato “Gli angeli non volano”, venti minuti prima. Resto disarmato. Lagonegro è deserta e ancora non sa che il suo risveglio, sarà uno dei più dolorosi della sua Storia. Non sa

ancora che da lì a poco vedrà il suo iglio più famoso morire su un palco; lo vedrà con i suoi occhi attraverso i TG e internet... in una corsa sfrontata e oscena verso una spettacolarizzazione della morte di cui avremmo fatto volentieri a meno. Mango non era (e non è) il mio cantante preferito, conosco i suoi pezzi più famosi ma non ho i suoi dischi, ho osservato di sbieco la sua carriera. Non dovrei star così male, penso. Invece quel cornetto mi rimane sullo stomaco e ho un nodo in gola. Continuo a ripetere “è assurdo”. Non l’ho mai amato veramente, ma non ho nemmeno messo in dubbio le qualità artistiche. Quelle doti vocali fuori dall’ordinario e riconoscibilissime; perché Mango poteva non piacerti ma non ti lasciava indifferente Mentre guido per tornare a casa capisco che l’arte e la musica c’entrano poco: ho avuto la sensazione reale di aver perso un amico, un parente, un vicino di casa. Penso a quando ho avuto la fortuna di conoscerlo, di vederlo lavorare “sul campo”,


in un studio di registrazione a Roma, tanti anni fa, dove di musica e di vita capivo poco o niente (e non è che oggi ci stia capendo chissà cosa). Ne ho ammirato la professionalità, il suo essere maniacale e a volte anche scontroso; ho ammirato il rapporto sacrale che aveva con la sua arte e l’immensa passione che metteva nel fare il suo lavoro. E’ uno dei pochi della sua generazione che non è stato investito dall’imbarbarimento artistico-musicale, ai limiti del ridicolo, di una scena italiana che ha perso completamente la bussola del buon gusto e della buona musica. E me ne vengono in mente tanti, o quasi tutti. C’è chi sceglie il talent, chi la canzonetta, chi l’ospitata di quattro soldi alle cinque di pomeriggio. Mango è rimasto ciò che meravigliosamente era per se e per i suoi fans. Lontano dai salotti e dalla TV; schivo, discreto, riservato. A costo di non vendere più, di non “tirare” più, di non piacere più. Per questo era un grande uomo, prima che un grande artista. Ciò che contava era la sua musica e la sua originalità. A vedere oggi, sembra se ne siano accorti in tanti. Probabilmente noi lucani non l’abbiamo mai apprezzato e ascoltato ino

in fondo, pur essendo stato, da sempre, portatore sano di “lucanità”; come spesso facciamo con i nostri luoghi, i nostri paesaggi, la nostra Terra in generale. Lui invece non aveva tagliato quel cordone ombelicale che lo legava indissolubilmente ai luoghi dov’era nato. Tra i vicoli di una Lagonegro affranta che oggi gli porge, tra le lacrime, il doveroso ultimo saluto. Con la certezza di non aver perso Mango il cantante, ma Pino l’amico. Ciao Pino, “in direzione ostinata e contraria” sempre. Per citare un altro che sicuramente hai raggiunto, nel irmamento delle stelle della musica italiana.

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Diario di un coninato a Lagonegro


La storia di un emigrante d’eccezione In un Sud d’altri tempi di Federica Olivo

Primo maggio 1942. Un medico ebreo torinese, dopo una lunga notte di viaggio in treno, arriva in una cittadina della Basilicata. I carabinieri lo accompagnano nella casa dove abiterà durante il suo soggiorno a Lagonegro ed egli riesce appena a notare la piazza ed il viale di questo paese che lo ospiterà per 122 giorni. Il verbo ospitare potrà sembrare inappropriato per raccontare di un conino. Però è proprio in quel verbo apparentemente fuori luogo la chiave di lettura della storia del dott. Abramo Modena. La sua storia è giunta ai lagonegresi nel 2006, quando il nipote, Antonio Modena, ora residente a Chicago - dove Abramo Modena emigrò dopo la guerra - inviò al Comune il diario di suo nonno, in cui raccontava la sua permanenza a Lagonegro. Nel 2010, Vincenzo Fucci, giornalista recentemente scomparso, che ha vissuto e operato nel-

la cittadina della valle del Noce, ha raccolto il diario nel suo libro “122 giorni a Lagonegro. Diario di un coninato ebreo”. Leggendo le pagine di questo diario, non si può rimanere indifferenti alle numerose testimonianze di solidarietà e di affetto che il dott. Modena ricevette sin dalle prime ore trascorse a Lagonegro. «Non capisco la generosità di questa gente. In Piemonte questo non accade» scrive il 19 maggio, quando una donna del posto gli regala un pollo, senza voler nulla in cambio. Nessuno conosceva quell’uomo venuto dall’altra parte d’Italia, eppure: il barbiere riiutava di farsi pagare, i salumieri, inito l’orzo, lo indirizzavano a casa di un medico, dove trovava l’alimento desiderato, senza che nessuno di loro gli chiedesse denaro. «Nessuno uficialmente mi conosce, ma tutti sanno chi sono e che non dovrebbero salutarmi, ma

tutti mi salutano» scrive Modena. Nella pagina di diario dove racconta uno dei suoi ultimi giorni di soggiorno, arriva a dire «Mi sto innamorando di questo paese e se trascorrerò qui anche il prossimo inverno, non me ne andrò più».


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3 euro

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