La Rassegna d'Ischia n. 1-2014

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Anno XXXV N. 1 Marzo/Aprile 2014 Euro 2,00

L'eremo dell'Epomeo e la Chiesetta di S. Nicola

Ex libris : un tour classico per l'isola d'Ischia

Fonti archivistiche La Chiesa e il convento francescano di S. Maria delle Grazie (III)

Cinema La Grande Bellezza Rassegna Libri

Pagine in memoria di Giovanni Castagna

Il Museo di Pithecusae

Il Delfino come attributo e simbolo

V. Colonna in una lirica di Louis Aragon

Lamento per la morte di Vittoria Colonna

Pubblicazioni

La stampa isolana per Giovanni

G. Morgera: l'impegno in favore dei poveri

Presidente del Premio Ciro Coppola

Caro Raffaele... -- Caro Giovanni... Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Dir. responsabile Raffaele Castagna


La Rassegna d’Ischia Anno XXXV- n. 1 Marzo/Aprile 2014 Euro 2,00 Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Editore e Direttore responsabile : Raffaele Castagna

La Rassegna d’Ischia Via IV novembre 19 - 80076 Lacco Ameno (NA) Registrazione Tribunale di Napoli n. 2907 del 16.02.1980 Iscritto al Registro degli Operatori di Comunicazione n. 8661.

Stampa : Press Up - Ladispoli (Roma)

Sommario 3 Ischia Film Festival 2014 Cineforum

4 Ordine Militare di Santa Brigida Mostra Vanvitelli (Caserta) 5 Ex libris : un tour classico per l'isola d'Ischia 10 L'eremo dell'Epomeo e la chiesetta di S. Nicola

13 Un sito sul Santuario di S. Restituta in lingua russa e ucraina 15 Rassegna Libri

19 Pagine in memoria di Giovanni Castagna Il Museo di Pithecusae Il Delfino come attributo e simbolo V. Colonna in una lirica di Louis Aragon Lamento per la morte di V. Colonna Pubblicazioni La stampa isolana per Giovanni G. Morgera: l'impegno in favore dei poveri Presidente del Premio Ciro Coppola Caro Raffaele... Caro Giovanni... 35 L'isola d'Ischia e le sue piante (Oltremontano)

37 Cinema Sorrentino e la Grande Bellezza 41 Un inedito Francesco Buonocore 42 Insieme a Forio d'Ischia... 45 Fonti archivistiche : Convento di S. Francesco Rinviata al prossimo numero la continuazione del Ragguaglio historico topografico dell'isola d'Ischia

Lavori alla Torre Guevara Il 22 febbraio u.s. sono ripresi i lavori di restauro della Torre Guevara di Ischia e si prolungheranno fino al 15 marzo 2014; infatti 4 restauratori della Hochschule für Bildende Künste dell’Università di Dresda, ospiti del Circolo Sadoul, con il prof. Thomas Danzl, porteranno avanti i lavori a suo tempo concordati con la Soprintendenza ai Beni Culturali ed il Comune d’Ischia, proprietario del cespite. Come è noto, il Circolo Sadoul stipulò una convenzione con l’Università di Dresda per recuperare e restaurare gli affreschi della cinquecentesca Torre Guevara di Ischia. Negli anni passati quasi 40 esperti dell’Ateneo tedesco si sono avvicendati per riportare alla luce le immagini che erano state - in passato - ricoperte a scopo di conservazione. L’attività di restauro è stata documentata con conferenze e visite guidate e - sempre a cura del Circolo - la Torre è stata aperta al pubblico in coincidenza con le giornate del FAI. Il prof. Danzl esporrà i risultati della nuova campagna di restauri nel corso di una conferenza alla Biblioteca Antoniana di Ischia il giorno 13 marzo alle ore 18.00. In coincidenza con le giornate "Monumenti aperti" indetta dal FAI (Fondo Ambiente Italiano) le sale della Torre di Guevara saranno aperte per visite guidate. Sabato 22 marzo: dalle ore 10 alle ore 12.30 e dalle 15.00 alle 17.00. Domenica 23 marzo ore 10.00-12.30 e 15.00-18.00.

Giornata Internazionale della Donna Sabato 8 marzo 2014, presso la sede del Centro di Ricerche Storiche d’Ambra in Forio d’Ischia si è svolto un incontro culturale sul tema: Storie di donne Ischitane del passato: da Vittoria Colonna ad Anna Baldino. Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista La collaborazione ospitata s’intende offerta gratuitamente - Manoscritti, fotografie ed altro (anche se non pubblicati), libri e giornali non si restituiscono - La Direzione ha facoltà di condensare, secondo le esigenze di impaginazione e di spazio e senza alterarne la sostanza, gli scritti a disposizione. conto corrente postale n. 29034808 intestato a Raffaele Castagna - Via IV novembre 19 80076 Lacco Ameno (NA) www.larassegnadischia.i www.ischiainsula.eu info@larassegnadischia.it rassegna@alice.it


Ischia Film Festival 2014

Si terrà dal 28 giugno al 5 luglio 2014 la dodicesima edizione dell'Ischia Film Festival, concorso cinematografico internazionale dedicato alle location. L'entry form per l'iscrzione di lungometraggi, documentari e cortometraggi all'edizione 2014 è pubblicata sul sito del festival : www.ischiafilmfestival.it Nello stesso sito si possono trovare informazioni sulla precedente edizione del festival sfogliano i relativi cataloghi.

Al Festival possono partecipare tutte le opere che abbiano valorizzato il territorio attraverso la scelta delle location, promuovendone così la realtà storica, sociale ed umana, le tradizioni e la cultura: lungometraggi, documentari, cortometraggi, italiani ed internazionali, proiettati per la prima volta al pubblco nel 2013 o 2014. La deadlne per inviare le opere è fissata al 15 aprile 2014. L'elenco delle opere seleziona-

te sarà comunicato in conferenza stampa in Giugno 2014. "L'Ischia Film Festival è diventato un appuntamento internazionale dove ogni anno illustri ospti e giovani autori promuovono opere che raccontano attraverso l'audiovisivo il territorio e la sua diversificazine culturale" (Michelangelo Messina, fondatore e direttore artistico IFF) *

Ischia : cineforum (ogni mercoledì sino al 30 aprile 2014)

Mercoledì 26 febbraio 2014 è iniziato ad Ischia presso il Cinema Excelsior il cineforum, che proseguirà tutti i mercoledì fino al 30 aprile, con il seguente programma: 26 febbraio ore 20.30 PHILOMENA 
del 2013, di Stephen Frears. Ha vinto vari premi; narra di una donna irlandese costretta ad abbandonare suo figlio partorito in un convento.

 5 marzo ore 20.30 VENUTO AL MONDO 
film del 2012 di Sergio Castellitto, tratto dal romanzo di Margareth Mazzantini. 

 12 marzo ore 20.30 VIAGGIO SOLA 
del 2013, di Maria Sole Tognazzi. Narra di Irene, una donna che ha superato i quarant’anni, niente marito, niente figli e un lavoro che è il sogno di molti. Irene è l’”ospite a sorpresa”, si sente libera, privilegiata. Ma è vera libertà la sua? Qualcosa metterà in discussione questa certezza...

 19 marzo ore 20.30 HUNGER 
del 2008 di Steve Mc Queen, migliore opera al 61 Festival di Cannes. Ricostruisce il trattamento riservato ai prigionieri politici nel carcere di Long Kesh in Irlanda del Nord, ed evidenzia le violenze e le efferatezze delle guardie carcerarie.

 26 marzo ore 20.30 FIGLIO DELL’ALTRA 
un film francese diretto da Lorrain Lèvy. Narra di uno scambio di bambini, uno israeliano e l’altro palestinese poi adulti, alle prese con le vicende politiche dei loro paesi.

 2 aprile ore 20.30 L’ULTIMO PASTORE 
di Marco Bonfanti, è stato definito un film-documentario. Presenta la vita reale dell’ultimo pastore che vuole mostrare il suo gregge ai bambini della metropoli. Un inno alla libertà.

 9 aprile ore 20.30 FOXFIRE 
di Laurent Cantet. “Ragazze cattive”, un dramma sociale nella violenza della provincia americana, sotto il velo di una democrazia consolidata.

 16 aprile ore 20.30 IL VOLTO DI UN’ALTRA 
del giovane regista napoletano Pappi Corsicato. La protagonista è un’ambiziosa e arrogante star televisiva sposata con un affascinante chirurgo plastico. Film del 2013 con ben 4 riconoscimenti.

 23 aprile ore 20.30 LA VITA DI ADELE 
di Abdel Kechiche, ha vinto la Palma d’oro a Cannes. Storia di un’adolescente alla ricerca di sé.

 30 aprile ore 20.30 CHIAVE DI SARA 
film del 2010 diretto da Gilles P.-Brenner, ambientato fra gli ebrei parigini. E’ la storia di una bambina di dieci anni, deportata dai nazisti. La piccola, prima di partire riesce a nascondere il fratellino in un armadio. La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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L’Ordine Militare di S. Brigida di Svezia è affidato a Torino all’ischitano Giovanni Conte maresciallo dei Carabinieri presso la stazione di Grugliasco La provincia di Torino sarà rappre-

sentata da un ischitano nell’Ordine Militare di Santa Brigida di Svezia, l’antica istituzione nobiliare cavalleresca, nata nel 1366 ad opera di Santa Brigida con l’approvazione di Papa Urbano V e poi rifondata nel 1859 dal Conte Vincenzo Abbate de Castello Orleans con l’approvazione canonica del Cardinale Cosenza e la controfirma del Re delle Due Sicilie Francesco II di Borbone. Si tratta del dott. Giovanni Conte, maresciallo dei Carabinieri a Grugliasco, originario di Ischia e sempre molto impegnato nel sociale. A consegnare a Conte la nomina di delegato dell’Ordine per la città di Torino, firmata dal Luogotenente per l’Italia, Cavaliere di Gran Croce Giannangelo Marciano, è stato il cavaliere ufficiale Biagio Abbate, aiutante di campo del Gran Maestro, conte Federico Abbate de Castello Orleans. La semplice, significativa cerimonia di conferimento della nomina al ca-

valiere Giovanni Conte è avvenuta al Circolo Ufficiali di Torino. Onorato dell’importante incarico, il neo delegato ha dichiarato: adesso occorrerà lavorare sul territorio per realizzare concretamente gli scopi che si prefigge l’Ordine di Santa Brigida: rafforzare la pratica della vita cristia-

na, aiutare gli infermi, i bisognosi, gli ammalati, le ragazze madri, gli orfani, secondo gli insegnamenti della fondatrice e compatrona d’Europa, Santa Brigida di Svezia.

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Vanvitelli segreto i suoi pittori da Conca a Giaquinto – la “Cathedra Petri” Inaugurata il 4 marzo 2014, la mostra Vanvitelli segreto i suoi pittori da Conca a Giaquinto – la “Cathedra Petri”, allestita nel Palazzo Reale di Caserta, resterà aperta sino al prossimo 31 ottobre; l’esposizione è incentrata su due aspetti della produzione di Luigi Vanvitelli: “inventore” di opere di arte decorativa e pittore. Il primo aspetto è rivelato dal Trono di San Pietro, imponente manufatto tardo-barocco in marmo di Carrara a metà strada tra scultura e arte decorativa, ideato da Vanvitelli per la Basilica Vaticana. Il trono, commissionato da Benedetto XIV nel 1754, fu rifiutato dai canonici della basilica per il carattere esuberante rispetto alla celebre statua bronzea attribuita ad Arnolfo di Cambio. La mostra espone il suo bellissimo modello in terracotta e stucco dorato conservato presso la Fabbrica di San Pietro. 4 La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

Nell’ambito della pittura viene esposto per la prima volta il Ritratto di Gaspar van Wittel, il famoso vedutista olandese padre di Luigi Vanvitelli, concesso in prestito dall’Accademia Nazionale di San Luca. In mostra anche dipinti degli artisti più stimati da Vanvitelli, collaboratori in alcune sue opere: Sebastiano Conca che fu chiamato da Vanvitelli a Napoli per importanti commissioni; Corrado Giaquinto, uno dei massimi pittori del rococò, trasferitosi a Napoli dopo il soggiorno in Spagna come primo pittore di Corte. Nel filone classicista degli artisti stimati o attivi a fianco di Vanvitelli, vanno annoverati Pompeo Batoni, successore del Conca come caposcuola del 700 romano, e Anton Raphael Mengs, padre del Neoclassicismo. Tutti questi artisti sono presenti in mostra con varie opere, alcune mai esposte al pubblico italiano, come il Ri-

tratto di Clemente XIII di Mengs, uno dei capolavori della ritrattistica papale, il Ritratto del principe Guglielmo Ruffo in veste di Gran Camerario del Regno di Napoli di Francesco De Mura, tra i pochi artisti napoletani stimati da Vanvitelli, concesso in prestito dal principe Fulco Ruffo di Calabria. La mostra è arricchita dal Ritratto del Vanvitelli di Giacinto Diano, da due frammenti del quadro con la Natività di Sebastiano Conca, distrutto nei bombardamenti subiti durante la seconda guerra mondiale dalla Cappella Palatina della Reggia di Caserta, da una serie di dipinti di de Mura, Batoni, Pozzi, Giaquinto, modelli per gli arazzi che dovevano decorare la camera da letto di Ferdinando IV e Maria Carolina nel Palazzo Reale di Napoli e da una serie di disegni dello stesso Vanvitelli, manufatti del fondo casertano.

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Ex libris

Un tour classico attraverso l’Italia e la Sicilia di Sir Richard Colt Hoare

In due volumi, seconda edizione - Vol. I - Londra, 1819

Diario di un tour per l’isola di Ischia Domenica 12 settembre, 1790. - Ho navigato da Napoli, allo spuntar del giorno, in una robusta barca ischitana, con dieci uomini. Parzialmente coi remi, e in parte con l’aiuto di una fresca brezza, sono stato trasportato in modo sicuro all’isola d’Ischia, in quattro ore e mezzo. La distanza è calcolata in diciotto miglia. Con piacere, volgendo lo sguardo all’indietro, ho ammirato le sponde ben note di Pausilippo, Puzzuoli, Baia, e Miseno, le cui bellezze e antichità hanno richiamato tutto il mio entusiasmo classico. Sono passato vicino all’isola di Procida, la cui fortezza, che domina sul punto più alto, e dietro la quale si vedono le alte e scoscese montagne di Ischia, formava un oggetto altamente pittoresco. L’isola è pianeggiante e ben coltivata, e l’industria naturale degli abitanti è facilmente e riccamente pre-

miata. Mi è stato detto, che non meno di duecento vascelli chiamati Tartane appartenevano agli abitanti, e ne ho osservato molte galleggianti nel porto. Tra i venti e i trenta di questi sono di proprietà di un solo titolare. Quest’isola vanta con Salerno l’onore di aver dato i natali al celebre Giovanni di Procida, l’ideatore della ben nota insurrezione contro i Francesi, e un principale protagonista del massacro, che va sotto il titolo dei Vespri Siciliani. Un buon alloggio era stato preparato per me, alla Casa degli Inglesi, adiacente al Casino di Buonocuore, dove risiede il re durante le sue visite in questa isola. Esso aveva il vantaggio di offrire alla vista una prospettiva ampia e piacevole. L’isola d’Ischia è stata menzionata dagli antichi scrittori sotto i diversi nomi di Aenaria, Pithecusa e Inarime. Strabone immagina che, con Procida e Capri, sia stata separata dal continente da qualche convulsione naturale, e Plinio congettura che, come alcune delle Isole

A classical tour through Italy and Sicily By Sir Richard Colt Hoare In two volumes, second edition - Vol. I - London, 1819 Journal of a tour to the Island of Ischia Sunday, Sept. 12, J790. - I sailed from Naples, at break of day, in a stout Ischian boat, with ten men. Partly by rowing, and partly by the help of a fresh’ breeze, I was safely conveyed to the Island of Ischia in four hours and a half. The distance is computed at eighteen miles. With pleasure I looked back on the well-known shores of Pausilippo, Puzzuoli, Baiae, and Misenum; the beauties and antiquities of which had called forth all my classical enthusiasm. I passed close under the Island of Procida; whose fortress, towering on its highest point, and backed by the lofty and precipitous mountains of Ischia, formed an object highly picturesque. This island is flat and well cultivated, and the natural industry of the inhabitants is rewarded by ease, and even affluence. I was told, that no less than two hundred of the vessels called Tartans belonged to the inhabitants; and I observed many riding in the harbour. Between twenty and thirty of these are owned by one proprietor. This island disputed with Salerno the honour of giving birth to the celebrated Giovanni di Procida, the contriver of the well-known insurrection against the French, and a principal actor in the massacre, distinguished by the title of the Sicilian Vespers.

Lipari, debba la sua origine ad una eruzione vulcanica, che l’abbia sollevata dal mare. Dalla storia si apprende, che i suoi primi abitanti erano di una stessa nazione di quelli che occuparono la costa opposta di Cuma, e che in origine migrarono da Calcide in Eubea. In tempi più tardi fu scambiata con l’Isola di Capri dall’imperatore Augusto. Di questa isola Strabone ha conservato un interessante resoconto, dal quale si apprende che i Calcidesi abbandonarono l’isola in seguito a una sedizione sorta fra loro, e che subito dopo gli Eretriesi, così come gli abitanti mandati qui da Gerone, tiranno di Siracusa, furono egualmente costretti ad abbandonarla, a causa di terremoti ed eruzioni vulcaniche. «Pithecusas Eretrienses incoluerunt atque Chalcidenses. Quum autem, ob agri fertilitatem, atque auri metalla, rebus uterentur prosperis; seditione aborta, insulam Chalcidenses deseruerunt.

A good lodging had been prepared for me, at the Casa degli Inglesi, adjoining the Casino of Buonocuore, where the king resides during his visits to this island. It had the additional advantage of commanding a pleasing and extensive prospect. The Island of Ischia has been mentioned by ancient writers under the different names of Aenaria, Pithecusa, and Inarime. Strabo imagines, that, with Procida and Capri, it has been separated from the continent by some natural convulsion; and Pliny conjectures, that, like some of the Lipari Islands, it owes its origin to a volcanic eruption, which raised it up out of the sea. From history we learn, that its earliest inhabitants were of the same nation as those who occupied the opposite coast of Cuma, and who originally migrated from Chalcis in Euboea. In later times it was exchanged for the Isle of Capri, by the Emperor Augustus. Of this island Strabo has preserved an interesting account, by which we learn that the Chalcidenses quitted it in consequence of a sedition which arose among them; and that soon afterwards the Eretrienses, as well as the inhabitants sent hither by Hiero, tyrant of Syracuse, were also compelled to desert it, by earthquakes and volcanic eruptions. «Pithecusas Eretrienses incoluerunt atque Chalcidenses. Quum autem, ob agri fertilitatem, atque auri metalla, rebus uterentur prosperis; seditione aborta, insulam Chalcidenses deseruerunt. Mox etiam Eretrienses terra motibus exturbati, ignisque et maris

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Mox etiam Eretrienses terrae motibus exturbati, ignisque et maris et calidarum aquarum eruptione; patitur enim insula hujusmodi eructationes; propter quas, etiam missi eo, ab Hierone Syracusanorum Tyranno, et ipsi maenia ab se extructa, una cum insula deseruerunt, quam indie Neapolitani occuparunt. Atque hinc fabula est, Typhonem sub hac jacere insula, obversuque corporis flammas exspirare et aquas, quandoque etiam insulas minutas, ferventem habentes aquam. Timoeus de Pithecusis tradit, multa de iis fidem excedentia perhibuisse veteres: et paulo ante suam aetatem media in insula Epopeum collem, motu terrae concussum, ignes evomuisse, et quod terrae inter mare et eum erat rursum ad mare perpulisse; terramque in cineres versam, rursum, violento turbine, ad insulam accessisse, tribusque inde in altum recessisse. Paulo post, rursum ad terram dedisse impetum, marisqne reflexu insulam inundasse, ignemque, hoc pacto, in ea extinctum; fragore autem perculsos mortales, qui continentem incolebant, ab ora maritima in interiora Campaniae profugisse». Da questo antico documento storico si apprende, che i Calcidesi furono gli

abitanti originari, o primi colonizzator, d’Ischia, cui successero gli Eretriesi, e a questi i Napoletani. Troviamo, inoltre, che una montagna al centro dell’isola, chiamata Epopeus, improvvisamente vomitò fiamme; e che questa eruzione, insieme con la forza d’urto di un tremendo terremoto, provocò tanto spavento che gli abitanti del continente fuggirono dalla costa verso l’interno della Campania.Queste convulsioni sono citate da Plinio, e da altri scrittori classici; e Giulio Ossequente, nel suo Liber de Prodigiis, fissa la data di uno nell’anno di Roma «L. Marcio, Sex. Julio consulibus, Aenariae terrae hiatu flamma exorta in coelum emicuit». Tali fenomeni, così come la favola di Tifeo, hanno fornito temi e argomenti ai poeti. Omero osserva, Iliade, lib. II: … il suol gemea di sotto, come quando irato Giove le saette scagliava e flagellava il terreno d’intorno a Tifeo, là in Arime, ove era posto, secondo quanto si dicea, il suo letto….. Virgilio: … onde ne tremano Procida ed Inarime, e il gran Tifeo se n’ange, cui sì duro covile ha Giove imposto.

et calidarum aquarum eruptione; patitur enim insula hujusmodi eructationes; propter quas, etiam missi ed, ab Hierone Syracusanorum tyranno, et ipsi maenia ab se extmcta, una cum insult deseruerunt, quam inde Neapolitani occuparunt. Atque hinc fabula est, Typhonem sub hac jacere insula, obversuque corporis flammas exspirare et aquas, quandoque etiam insulas minutas, ferventem habentes aquam. Timaeus de Pithecusis tradit, multa de iis fidera excedentia perhibuisse veteres: at paulo ante suam aetatein media in insula Epopeum collem, motu terrae concussum,ignes evomuisse, et quod terrse inter mare et eum erat rursum ad mare perpulisse; terraraque in cineres versam, “rursum, violento turbine, ad insulam accessisse, tribusque inde in altum recessisse stadiis. Paulo post, rursum ad terram dedisse impetum, marisqne reflexu insulam innndasse, ignemque, hoc pacto, in ea extinctum; fragore autem perculsos mortales, qui continentem incolebant, ab ora maritima in interiora Campaniae profugisse». From this ancient historical record we learn, that the Chalcidenses were the original inhabitants, or first settlers, in Ischia; that they were succeeded by the Eretrians; and these by the Neapolitans. We find, also, that a mountain in the centre of the island, called Epopeus, suddenly vomited forth flames; and that this eruption, joined with the concussion of a tremendous earthquake, excited such terror, as to drive the inhabitants on the continent from the shore into the interior of Campania. These convulsions are mentioned by Pliny, and other classic writers; and Julius Obsequens, in his Liber de Prodigiis, fixes the date of one in the year of Rome «L. Marcio, Sex. Julio, consulibus, Aenariae terra hiatu flamma exorta in coelum emicuit». Such phoenomena, as well as the fable of Typhoeus, have furnished themes and comparisons to the poet. Homer observes, Iliad, lib. II,

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Annotazioni non sfuggite neppure all’attenzione di Lucano e Stazio. Per l’osservatore più superficiale, la superficie di questa isola mostra gli effetti del fuoco, e degli eventi vulcanici; oltre a numerosi crateri, da tempo estinti; e gli strati di lava, in fasi diverse di vegetazione. La lava dell’eruzione più recente, del 1301, ancora oggi porta sparso solo qualche filo d’erba, e alcune erbacce. Quindi possiamo giudicare quanto lentamente la natura operi su questa dura sostanza, quando non assistita da un terreno bagnato dai declivi delle montagne. Se esaminiamo i numerosi crateri di cui questo posto abbonda, in particolare il grande cratere tra Ischia e Testaccio, accanto al lato della strada; se volgiamo di nuovo la vista sulle montagne adiacenti, attualmente coperte da uno spesso suolo e da boschi, si può calcolare l’alta antichità, non solo di tali eruzioni, ma dello stesso pianeta. Infatti, tra le varie testimonianze che sono state addotte da quegli autori, che hanno scelto di discutere l’opinione generale sulla presunta età del mondo, nessuna sembra avere più vigore rispetto a quelle dedotte dalle indagini di materia vulcanica. Né sono queste evidenze fondate

Earth groan’d beneath them, as when angry Jove Hurls down the forky lightning from above On Arime, when he the thunder throws, And fires Typhoeus with redoubled blows; Where Typhon, press’d beneath the burning load, Still feels the fury of th’ avenging God. Virgil: Turn sonitu Prochyta alta tremit, durumque cubile Inarime, Jovis imperiis imposta Typhoeo. They have also not escaped the notice of Lucan and Statius. To the most superficial observer, the surface of this island exhibits the effects of fire, and volcanic productions; besides many craters, long extinct; and strata of lava, in different stages of vegetation. The lava of the most recent eruption,, in 1301, even now bears only a few scattered blades of grass, and some weeds. Hence we may judge how slowly nature operates on this hard substance, when not assisted by the soil washed down from the declivities of mountains, or wafted by the wind. If we examine the many craters with which this spot abounds, particularly the large crater between Ischia and Testaccio, close to the side of the road; if we next turn our view to the adjoining mountains, at the present covered with a deep soil, and clothed with wood; we may calculate the high antiquity, not only of such eruptions, but of the globe itself. Indeed, amidst the various evidences which have been adduced by those authors, who have chosen, to controvert the general opinion on the supposed age of the world, none seem to carry more force than those deduced from the investigation of volcanic matter. Nor are these evidences


su mere supposizioni; circa le date delle eruzioni, molte sono note e, considerando gli strati della lava, e gli organismi marini ivi formatisi, e confrontando l’andamento relativo della vegetazione, possiamo trarre una conclusione molto probabile per quanto riguarda l’età del più remoto, e, forse, possiamo essere indotti a dare al mondo un grado maggiore di antichità di quanto comunemente ammesso. Per quasi cinque secoli quest’isola ha cessato di manifestare qualsiasi forma di eruzioni vulcanicche, ma le numerose sorgenti di acqua calda, che continuano ad emettere i loro vapori, dimostrano che il fuoco sotterraneo esiste ancora. Oltre a queste sorgenti di acqua calda, tuttavia, ve ne sono altre di natura opposta, e dalla montagna stessa, che produce le acque sulfuree e medicinali, scaturisce una sorgente fredda, di elevata qualità, ed essa è portata con acquedotti alla città di Ischia. Inarime non ubere dives ab uno Fundit aquas. … quot medica celebres virtute renident . L’alto monte, che ora porta il nome di

San Nicolo, è l’Epopeus degli scrittori classici. In medio elatis caput inter nubila Rupibus, et valles late prospectat Epopeus. A me sembrava un Etna in miniatura, e, come questa montagna, l’Epopeo può essere diviso in tre regioni, in basso è coltivato, nella parte mediana rivestito di boschi ricchi di querce e castagni, e la parte superiore brulla e sterile, producendo solo pochi bassi arbusti e alberi nani. Non è, comunque, inabitato, perché sulla sua vetta alcuni eremiti hanno fissato la loro dimora, e certamente mai un anacoreta ha scelto un luogo più appropriato. Al di sopra delle abitazioni, essi affermano di essere al di sopra delle passioni degli uomini, e di poter guardare con un occhio di indifferenza su una prodigiosa distesa di territorio, fittamente punteggiata di città e villaggi; fanno da contrasto alla semplicità di vita e alla situazione di tranquillità le preoccupazioni e le difficoltà che caratterizzano la ricchezza e il lusso del mondo sottostante, sicché si può esclamare nella lingua del poeta,

founded on mere conjecture ; for the dates of many eruptions are known, and by tracing the strata of lava, and the marine bodies interspersed, and comparing the relative progress of vegetation over each, we may draw a very probable conclusion in regard to the age of the more remote; and, perhaps, may be induced to give the world a higher degree of antiquity than is commonly admitted. For nearly five centuries this island has ceased to exhibit any volcanic eruption; but the numerous hot springs, which continue to emit their vapour, prove that subterraneous fire still exists. Besides these warm springs, however, there are others of an opposite nature; and from the same mountain, which produces the sulphureous and medicinal waters, a cold spring issues, of the purest quality, and is conveyed by aqueducts to the town of Ischia. Inarime non ubere dives ab uno Fundit aquas. …… quot medica celebres virtute renident. The lofty mountain, now bearing the name of St. Nicolo, is the Epopeus of the classic writers. In medio elatis caput inter nubila condit Rupibus, et valles late prospectat Epopeus. To me it seemed an Aetna in miniature; and, like that mountain, it may be divided into three regions, the lower cultivated, the middle clothed with rich groves of oaks and chesnuts, and the upper bleak and barren, producing only a few low shrubs and dwarf trees. It is not, however, without inhabitants; for on this aerial summit some hermits have fixed their abode; and no anchorite certainly

Oh cara, cara, cella, Felice in libertà: Qui poco ognun si gode, E ricco ognun si crede; Né più bramando, impara Che cosa è Povertà. Nel contemplare le coste opposte di Pozzuoli, Baia, e Miseno, e confrontando il loro splendore passato con il declinante presente, abbiamo una viva e perpetua lezione della fragilità del potere umano, e della natura transitoria della mondana magnificenza. La vetta della montagna è composta da una terra biancastra, simile a quella della Solfatara, nei pressi di Puzzuoli, tetra e triste agli occhi, e offre una vista piuttosto impressionante, che piacevole. Per quanto riguarda la bellezza, la vista dalla regione mediana e dai luoghi meno elevati merita una decisa preferenza. L’isola è ben popolata e ben coltivata. Le città più notevoli sono Ischia (sede del vescovo), Furia, Laco, e Casamiccia. Di questi, Furia contiene un numero maggiore di abitanti. La situazione di Ischia è singolarmente suggestiva. È il

ever selected a more appropriate spot. Exalted above the dwellings, as they profess to be above the passions, of men, they may look down with an eye of indifference on a prodigious expanse of territory, thickly dotted with towns and villages; and, contrasting their homely fare, and tranquil situation, with the cares and troubles which attend the wealth and luxury of the world beneath, they may exclaim in the language of the poet, Oh cara, cara, cella, Felice in libertà: Qui poco ognun si gode, E ricco ognun si crede; Né più bramando, impara Che cosa è Povertà. In contemplating the opposite coasts of Puteoli, Baiae, and Misennm, and contrasting their past splendour with their present decline, we have a living and perpetual lesson on the frailty of human power, and the transitory nature of worldly magnificence. The summit of the mountain is composed of a whitish earth, similar to that of the Solfaterra, near Puzzuoli, dreary and dismal to the eye; and it commands rather a striking, than a pleasing, view. With respect to beauty, the views from the middle region, and the less elevated part, merit a decided preference. The island is well peopled and well cultivated. The most considerable towns are Ischia (the seat of the bishop), Furia, Laco, and Casamiccia. Of these, Furia contains the largest portion of inhabitants. The situation of Ischia is singularly picturesque. It crowns a high and rugged rock, which projects into the sea, and is connected

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coronamento di una roccia alta e robusta, che si protende in mare, ed è collegata con l’isola da un lungo molo, o ponte. Tutta la faccia di questa roccia è ricoperta da edifici, in alto presentandosi in una forma piramidale, con un nuovo e sorprendente aspetto. Poca o nessuna zona è seminata, e il paese è prevalentemente coltivato a vite, e altri alberi da frutto. Ad Ischia e a Testaccio, le viti sono legate ad alti alberi di pioppo; ma nelle vicinanze di Furia, e nella parte meridionale dell’isola, non sono così elevate. Terrazze sono state costruite per rimediare all’inconveniente derivato dal dislivello del terreno, e per rendere i declivi produttivi; ma i vini ottenuti da questa maniera di coltivazione, non assistita dai propizi raggi del sole, sono poco più che aceto. Quelli di Furia sono bianchi, e più apprezzati. L’isola produce abbondanza di fichi, e i suoi frutti sono, in generale, molto apprezzati. Le montagne, incolte, presentano principalmente boschetti di alberi di castagno, bosco ceduo e arbusti bassi, come corbezzolo, mirto, erica, &c. Anche in questa stagione afosa l’intera isola mostra un verde molto vivace, e le numerose abitazioni sparse lungo le pendici rendono molto piacevole la pro-

spettiva. L’aria è pura ed elastica; favorisce l’appetito, e rende il corpo agile e attivo. Cavalli e carrozze sono quasi rari qui come a Venezia, e sono principalmente usati gli asini, sia da soma che da viaggio. Si sta costruendo un’eccellente strada da Ischia a Furia, che, sebbene incompiuta, è praticabile a cavallo. Il quartiere a nord, e nei dintorni di Ischia, è di gran lunga più pittoresco che al sud, il quale è principalmente adatto per la cultura della vite, e reso sgradevole nel suo aspetto da numerosi muri di pietra e terrazze. Tra le tante belle prospettive che l’isola offre, preferisco quella di Campagnana, all’estremità sud-orientale dell’isola. Qui, con un unico sguardo, l’occhio può ammirare il golfo di Napoli, e seguire nettamente quelle classiche scene che sono descritte da Virgilio, e da altri scrittori dell’antichità. Iniziando dalle aspre rocce di Capri, rese famose dalla residenza imperiale di Augusto, e infamate da quella di Tiberio, lo spettatore può volgere la sua vista attraverso lo stretto canale che separa l’isola dal promontorio di Miner-

with the island by a long pier, or bridge. The whole face of this rock is covered with buildings, rising above each other in a pyramidical form, and presenting a novel and striking appearance. Little or no corn is sown, and the country is chiefly planted with vines, and other fruit-trees. Near Ischia and towards Testaccio, the vines are trained to lofty poplar trees; bat in the vicinity of Furia, and the southern part of the island, they are not trained so high. Terraces have been constructed to remedy the inconvenience derived from the ine* quality of the ground, and to render the declivities productive; bat the wines obtained by this mode of cultivation, unassisted by the genial rays of the sun, are little better than vinegar. Those near Furia are white, and more esteemed. The island produces abundance of figs, and its fruits in general are in high repute. The mountains, which are uncultivated, are chiefly clothed with groves of chesnut trees, or with coppice wood and low shrubs, such as arbutus, myrtle, heath, &c. Even in this sultry season the whole island exhibits the most lively verdure; and the numerous habitations scattered along the declivities add much to the gaiety of the prospect. The air is pure and elastic; creates an appetite; and renders the body alert and active. Horses and carriages are almost as rare here as at Venice; and asses are chiefly used, both for burthen and riding. An excellent road is now making from Ischia to Furia, which, though unfinished, is practicable on horseback. The northern district, and the environs of Ischia, are far more picturesque than the southern; which is chiefly appropriated to the culture of the vine, and rendered disagreeable in its appearance by numerous stone walls and terraces.

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va, e contemplare le splendide rive di Massa, Sorrento, Vico, e Castelamare. I siti attualmente occupati dalle rovine di Stabia, Pompei ed Ercolano, e dalla montagna di fuoco a cui si deve la loro rovina, può impegnare la sua attenzione. Egli rifletterà con sorpresa sull’audacia della generazione attuale, che ha eretto i suoi numerosi e sontuosi palazzi sulle stesse ceneri della città distrutte; e avrà il timore che si possa ripetere in futuro lo stesso tremendo fenomeno coinvolgendo in un destino simile le moderne costruzioni, e consegnando nuovamente a secoli di oblio i preziosi e curiosi residui di antichità, che sono stati recentemente portati alla luce. I sentimenti di malinconia, che questa prospettiva risveglia, sono calmati da una visione della gaia e lussuriosa Parthenope, il luogo delle agiatezze e delle voluttà, e dell’incantevole costa di Pausilippo, dove Lucullo, e molti altri illustri romani, cercarono un sollievo dagli affanni e dal caos della capitale. Di là l’occhio vaga sulla riva più vicina di Nisida, Puteoli e Baia, una volta sedi di piacere e di licenziosità: prima il ritiro di Mario, Silla, Cicerone, e i Cesari, e successivamente le dissolutezze, le

Of the many beautiful prospects which this island affords, I prefer that near Campagnana, at the south-eastern extremity of the island. Here, at a single glance, the eye may command the whole gulph of Naples, and trace distinctly those classic scenes which are described by Virgil, and other writers of antiquity. Beginning with the rugged rocks of Capreae, rendered famous by the imperial residence of Augustus, and infamous by that of Tiberius, the spectator may cast his view across the narrow channel, which separates the island from the Promontory of Minerva, and contemplate the beautiful shores of Massa, Sorrento, Vico, and Castelamare. The sites now occupied by the remains of Stabiae, Pompeii, and Herculaneum, and the fiery mountain to which they owe their ruin, may next engage his attention. He will reflect with surprise on the boldness of the present generation, who have erected their numerous and sumptuous palaces on the very ashes of the cities-destroyed ; and will dread lest a repetition of the same tremendous phenomena should at some future period involve the modern establishments in a similar fate, and again consign to ages of oblivion the valuable and curious remnant of antiquity, which have been recently brought to light. The melancholy feelings which this prospect awakens, are soothed by a view of the gay, the luxurious Parthenope, the abode of ease and voluptuousness ; and the enchanting coast of Pausilippo, where Lucullus, and many other distinguished Romans, sought a relief from the cares and bustle of the capital. From thence the eye will rove over the nearer shores of Nisida, Puteoli, and liaise, once the seats of pleasure and licentiousness : first the retreat of Marius, Sylla, Cicero, and the Caesars; and afterwards contaminated by the


crudeltà, e il parricidio, di Nerone. Da qui l’occhio può spaziare lungo il promontorio dirupato di Miseno, e i suoi campi Elisi, può notare la situazione dell’antica Cuma, e infine, dopo essersi soffermato sulla vicina isola di Procida, può riposare sull’osservatorio, che fornisce uno dei panorami più stupendi che la natura possa visualizzare, e far preferire; distinto sia per l’interesse storico e poetico, che per la bellezza pittoresca. Sufficientemente, credo, è stato detto per mostrare la gratificazione che l’uomo di gusto e di lettere può sperimentare, seguendo i miei passi a Ischia. L’artista, che ricerca la pittura di paesaggio, e che vuole ampliare le sue idee, studiando la natura in ogni suo aspetto, troverà qui scene di carattere domestico, piut-

tosto che sfarzoso, costituito da casette deliziose, estesi vigneti e boschi ricchi di castagni, &c. &c. Ma la posizione del comune di Ischia appare non meno insolita che pittoresca, mentre le coste ondulate di Baia, Miseno e Puteoli, e le coste più distanti di Napoli e Sorrento, saranno visualizzate con uguale soddisfazione e vantaggio. Molto, tuttavia, come questo luogo, può piacere all’artista, risvegliando un sentimento più alto nella mente dello studioso. Qui troverà il suo ricordo vivificato, e le sue idee ampliate; qui egli riconsidererà, in realtà, le scene che nella descrizione ha conquistato la sua giovanile fantasia, qui potrà soddisfare subito la sua memoria e il suo occhio, contemplando prospettive non meno piacevoli alla vista che grati-

debaucheries, the cruelties, and the parricide, of Nero. From hence the eye may range along the bold promontory of Misenum, and its Elysian fields; may mark the situation of the ancient Cuma; and finally, after dwelling on the neighbouring island of Procida, may repose on the observatory station, which has furnished one of the most exquisite panoramas that nature can display, or taste select; and no less distinguished by historical and poetical interest, than by picturesque beauty. Enough, I think, has been said to shew the gratification which the man of taste and letters may experience, by following my footsteps in Ischia. The artist, who makes landscape painting his pursuit, and who seeks to enlarge his ideas by studying nature in every garb, will here find scenes of domestic, rather than of a shewy, character; consisting of delightful cottages, extensive vineyards, and rich groves of chesnuts, &c. &c. But the position and construction of the town of Ischia will appear no less novel than picturesque; while the waving shores of Baias, Misenum, and Puteoli, and the more distant coasts of Naples and Sorrento, will be viewed and copied

ficanti per l’intelletto. Tali erano le mie sensazioni nel rivedere questo terreno veramente classico dalle alture di Inarime, e tali saranno senza dubbio quelle di molti viaggiatori futuri, che possono scegliere di dare spazio pieno allo spirito indagatore, e di deviare dai sentieri battuti, che sono generalmente indicati da guide e ciceroni. Sabato 18 settembre. Io dissi addio a questa incantevole isola, e dopo un piacevole viaggio di cinque ore e mezzo giunsi a Napoli, dove ho notato un evidente cambiamento nell’aspetto della baia, in seguito all’eruzione di un grande corso di lava dal monte Vesuvio.

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with equal satisfaction and advantage. Much, however, as this spot may please the artist, it will awaken a higher feeling in the mind of the scholar. Here he will find his recollection quickened, and his ideas expanded; here he will reconsider in reality the scenes which in description captivated his youthful fancy; here he may at once indulge his memory and his eye by contemplating prospects no less delightful to the view than gratifying to the understanding. Such were my sensations on reviewing this truly classic ground from the heights of Inarime; and such will doubtless be those of many a future traveller, who may choose to give full scope to the spirit of investigation, and deviate from the beaten track, which is too generally indicated by guides and ciceroni. Saturday, Sept. 18. I bade adieu to this charming island, and after an agreeable voyage of five hours and a half reached Naples; where I observed a manifest change in the aspect of the bay, in consequence of the eruption of a large body of lava from Mount Vesuvius.

Lacco Ameno - Il Fungo

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Note di Mons. Camillo D’Ambra

L’eremo dell’Epomeo e la chiesetta di San Nicola

Wilhelm Friederich Gmelin (1745/1760 - 1821) : Il romitorio del monte Epomeo

L’antico eremo del Monte Forte, cioè l’Epomeo, ebbe il suo periodo di maggiore floridezza nella seconda metà del secolo XVIII. Ne fu l’autore Giuseppe d’Argouth che, originario delle Fiandre, era venuto a Napoli al servizio degli Austriaci che allora avevano il dominio sulle regioni meridionali della penisola. Era governatore dell’isola e risiedeva con la sua guarnigione sul Castello d’Ischia. Durante un’operazione di polizia contro dei facinorosi che avevano trovato rifugio tra le rocce del monte Epoomeo fu accerchiato da quei malviventi e temé di essere ucciso; allora pregò San Nicola per essere liberato da quel pericolo promettendogli di lasciare il mondo e farsi eremita. Essendo stato esaudito, il d’Argouth mantenne la promessa e, insieme ad altri soldati che formavano la guarnigione, salì sull’Epomeo e 10 La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

vestì il saio eremitico, ne ampliò il piccolo oratorio di San Nicola, scavato nel tufo, e cominciò anche ad assistere spiritualmente gli agricoltori e i pastori che lavoravano sulla montagna; acquistò dei terreni sulla cima dell’Epomeo e costruì il Benefizio semplice di San Nicola con le rendite di quei terreni. Con istrumento del notaio Pietro Matarese del 1763 fu costituito beneficiato uno degli eremiti, fra Nicola Ramy. L’anno seguente fra Nicola fu ordinato sacerdote e il 21 ottobre1764 fu confermato come cappellano del Beneficio dal Vicario isolano, essendo impedito per infermità il Vescovo Mons. Felice Amati. Il Ramy fece un prezioso apostolato sulla montagna specialmente con i visitatori che si recavano là per diporto, tra i quali lo stesso Ferdinando IV di Borbone. Ottenne dalla Curia il permesso di conservare in chiesa il Santissimo Sacramento, dinanzi al

quale sostavano in preghiera i buoni contadini. Quest’apostolato durò per circa un decennio. Nicola Ramy morì a Casamicciola il 5 ottobre 1774. Dopo di lui tenne la cappellania di San Nicola il sacerdote Domenico Di Meglio fino al 1782. Intanto le rendite dell’eremo erano aumentate fino a 70 ducati annui. Queste rendite attrassero l’attenzione di un ingordo prete che tentò di appropriarsene. Per quanto si è potuto appurare da alcuni documenti dell’epoca conservati fortunosamente in Curia, dopo lo scempio subito nel periodo in cui il seminario divenne caserma dei soldati francesi, si è appreso che un certo Pietropaolo Iacono, uomo facoltoso e prepotente di Fontana, pretese che l’eremo fosse una cappellania della sua famiglia per un semplice legato di messe che egli diede da celebrare a suo figlio D. Giorgio Iacono. Questi si limitò solo a cele-


J. L. Philippe Coignet (1798 - 1866) : Monte San Nicola a Ischia

brare le 70 messe del legato senza per nulla curarsi della chiesa di San Nicola e tanto meno degli eremiti, i quali defraudati dei loro introiti stentavano a vivere. Stanchi di detti soprusi, nel 1802 gli eremiti fecero ricorso al Re, il quale inviò sul posto un revisore perché si rendesse conto dello stato delle cose e riferisse a chi di dovere. Fu fatto rapporto al Ministero sull’operato di Don Giorgio Iacono e tutto il dossier dell’inchiesta fu mandato alla Real Camera di S. Chiara. Questa ordinò allo stesso revisore e giudice, in data 11 settembre 1804, di sentire il Vicario Capitolare d’Ischia, gli eremiti e lo stesso Giorgio Iacono. Tenendo presente l’atto di fondazione del Beneficio di S. Nicola con le sue rendite e i suoi pesi, si volle verificare se il beneficiato Iacono fosse stato investito dello stesso beneficio a norma di legge. Dopo di che l’originale dell’inchiesta scritta venne presentato al Vicario Capitolare. Intanto gli eremiti continuarono a subire vessazioni da parte di quel prete per cui, impauriti, non parlavano, tanto più che, essendo cominciato il regno di Giuseppe Bonaparte, furono mandati sull’Epomeo dei soldati francesi, i quali occuparono l’eremo, trasformandolo in quar-

tiere militare adibito a vedetta sul mare circostante l’isola. Le celle degli eremiti furono saccheggiate, due degli eremiti furono arrestati e incarcerati come spie. La chiesa subì profanazioni. Rimase solo un eremita, vecchio, il quale salvò dalla distruzione l’occorrente per la celebrazione della Messa in modo che si poté celebrare la domenica. La prepotenza del prete Iacono obbligò con minacce quell’ultimo eremita a tacere su quanto aveva visto succedere sull’Epomeo; egli tacque sino al 1818. Intanto a Ischia era tornato il Vescovo dopo diciotto anni di vacanza e a Mons. D’Amante l’eremita svelò ogni cosa. Il Vescovo mandò a chiamare Giorgio Iacono e gli intimò di esibire in Curia la copia della bolla d’istituzione del Beneficio che egli deteneva, pena il sequestro da parte dell’Amministrazione diocesana delle rendite del Beneficio stesso. L’incontro con il Vescovo avvenne il 15 novembre 1818. D. Giorgio cercò di prendere tempo, adducendo false scuse, finché la Curia il 13 febbraio 1819 gli replicò l’ordine perentorio di presentare entro due giorni i documenti comprovanti il suo diritto alla cappellania. Il prete Iacono non comparve in Curia; si aspettò invano fino al 17

febbraio, quando la Curia emise il decreto che dichiarava vacante il Beneficio di S. Nicola, le cui rendite passavano immediatamente all’ufficio amministrativo diocesano, a norma del regolamento del 31 ottobre 1818. Fu pure notificata la vacanza ai patroni del Beneficio, invitati alla presentazione di un nuovo beneficiato. Quando lo Iacono venne a conoscenza del provvedimento, si precipitò ad Ischia, la sera del 18 febbraio, portando al Vescovo un documento risalente al 1782, con il quale la Real Camera di S. Chiara aveva dichiarato che il Beneficio in questione era un semplice “legato pio” fatto dalla famiglia Iacono e, in quanto tale, non soggetto alla giurisdizione del Vescovo per cui la Curia non doveva ingerirsi. Ci dovette essere uno scontro tempestoso. La Curia era ben edotta della macchinazione fatta dallo Iacono per appropriarsi dei beni della chiesa, ritenuto un intruso e un usurpatore. Per rappresaglia, costui devastò le terre, tagliò le viti e produsse molteplici danni. *** La chiesa rupestre intitolata a San Nicola di Bari sulla cima del monte Epomeo è ricavata da uno scavo nel tufo e già esisteva nel 14591. Era un beneficio semplice. Esiste una bolla del vescovo Donato Stinco datata 3 novembre 1512 con la quale viene concesso il diritto di patronato su questa chiesa a Giovan Battista Della Valle, un nobile dimorante all’interno del castello di Ischia per aver dato in dotazione della Chiesa un territorio sito in località Cufa. Nel 1534 il vescovo Agostino Falivene o

1 Note redazionali

Ne fa menzione lo storico Giovanni Pontano del ‘400 (De bello neapoletano), quando descrive la battaglia fra Giovani d’Angiò, che assediava il Castello d’Ischia, e le truppe dell’ammiraglio Giovanni Poo: “vi era una chiesetta dedicata a S. Nicola di Bari”.

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Pastineo rinnovò la precedente concessione di patronato allo stesso Della Valle e ai suoi eredi. Altro rinnovo da parte dello stesso vescovo ad Antonio Della Valle. Nella metà del 1600 il diritto di patronato si trova goduto dalla famiglia Mele. Nel 1671 il sacerdote Domenico Mele trasmette il benefizio al canonico Giovanni Mele. Forse in quest’anno già dovevano vivere degli eremiti nelle celle attigue alla chiesa, anch’esse scavate nel tufo. Nella chiesa infatti c’è una pietra tombale sulla quale è incisa la scritta: Sepultura fratrum – 1671, quindi anteriormente al D’Argouth. Gli eremiti del periodo del D’Argout furono: fra Giorgio il Bavaro († 1747); fra Gaspare, che († 1763); fra Valentino Moretti († 1767); fra Gabriele d’Ambra da Forio che morì a 94 anni nel 1768. Il D’Argout morì nel 1778 e gli successe come superiore alla guida dell’eremo fra Michele che morì nel 1811. Era con quest’ultimo, nei primi anni del 1800, pure fra Desiderio2; il detto Giorgio Iacono e fra Giovanni Mattera. Accenna all’isola e all’Epomeo lo scrittore russo Nikolaj Vasil’evič Gogol’ che venne ad Ischia nel 1838. Egli scrive: «L’isola ha un monte alto quasi come il Vesuvio e, a differenza della consorella (Capri, nda), tutta roccia e strapiombi vertiginosi, è ammantata di verde e le casette spuntano qua e là dalle chiome degli alberi come grossi nidi di aquile. Poco distante dal nostro approdo si eleva dal mare un isolotto roccioso di lava su cui è stata costruita una cittadella fortificata dagli Spagnoli che per molti secoli hanno governato sugli indigeni. Ischia è oltremodo famosa per le sorgenti termali quasi come quelle di Plombières. Dal mare gorgogliano acque sulfuree che guariscono gli storpi e le donne sterili».

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Fra Desiderio è citato dall’Oltremontano, in quanto accolse lui e altri sulla vetta dell’Epomeo: « Nous voilà donc sur le faîte de cette vaste pyra­mide… Descendus de dessus nos paisibles montures, qui nous ont portés, sans broncher, au terme de notre pèlerinage, Fra Desiderio nous reçoit à la porte de l’hermitage et nous conduit par un corridor un peu long et obscur, à travers la roche, sur une petite terrasse couverte et située au bord d’un précipice….» - Eccoci sulla cima di questa vasta piramide….. Discesi dalle nostre tranquille cavalcature, che ci hanno portato senza batter ciglio alla fine del nostro pellegrinaggio, Fra Desiderio ci riceve alla porta dell’eremo e ci conduce attraverso un corridoio un po’ lungo e buio, attraverso la roccia, su una piccola terrazza coperta e situata sul bordo di un precipizio… Ultramontain (Conrad Haller), Tableau topographique et historique des isles d’Ischia, de Ponza…. Naples 1822. Si possono anche consultare le seguenti opere: Agostino Di Lustro, L’Archivio vescovile d’Ischia attraverso i secoli, in Archivio storico per le Provincie Napoletane, serie IV vol. XIV, 1975, p. 308, n.4 – Enrico Iacono, L’Epomeo nella leggenda, nella storia, nel diritto, nella poesia, nell’avvenire, Firenze 1952 – Pietro Monti, Ischia archeologia e storia, 1980.

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C’è stato sempre un contenzioso tra il Comune di Serrara Fontana e la Curia vescovile circa il possesso della chiesa dell’eremo. Dopo la fine della guerra mondiale il Comune propose al Vescovo di erigere nella Chiesa di S. Nicola un’ara pacis in ricordo dei caduti in guerra. Era un sotterfugio. L’eremita fra Francesco Mattera resistette a quel progetto, che avrebbe sanzionato l’ingerenza del Comune, e rimase sino alla sua morte detentore del Beneficio di S. Nicola. Al beneficiato residente nel romitorio di S. Nicola veniva assegnato nell’atto di fondazione la cella attigua al refettorio, cioè la prima a mano manca, senza che potesse essere molestato, cella che era stata occupata in precedenza da fra Nicola Ramy e prima di lui dal D’Argouth. Qui morì nel 1933 fra Giovanni Mattera. Molti anni dopo fu posta questa scritta su una lapide, composta da D. Mario Iacono, parroco di Serrara: Fra Giovanni Mattera n. 1847 – morto il 20.04.1933 eremita dell’Epomeo che il salutare silenzio contemplativo contemperò incallendo le mani al lavoro semplice - arguto – ospitale l’onestà ebbe cara l’oscuro lucro a vile Il nipote Giuseppe Cenatiempo di Chester Pa con i parenti e gli Isolani d’America Donarono Anno 1952 Nel 1938 andò ad occupare l’eremo fra Luigi Luongo, un ex frate laico dei Minori, e vi rimase sino al 1949. Durante la guerra 1941-45 fra Luigi divenne cuoco del contingente militare che aveva preso stanza sulla cima dell’Epomeo, scelta come luogo di avvistamento. Mons. Camillo D’Amba

L. Th. Turpin de Crissé - Vetta dell'Epomeo vista da Lacco Ameno


Chiesa ortodossa russa dell'Apostolo Andrea a Napoli (Patriarcato di Mosca) con parroco l'arciprete Igor' Vyzhanov

Sul sito www.santandrea.ru curato dal prof. Mikhail Talalay, viene presentato il Santuario di Santa Restituta di Lacco Ameno, anche con cenni e alcune foto dell'omonimo Museo. Il testo è in lingua russa e quella ucraina, come qui riportato.

Раннехристианская базилика св. мученицы Реституты Карфагенской в Лакко-Амено, о-в Искья Лакко-Амено прибули мощі св. Рестітути, замученої за переказами 17 травня 284 р. в Карфагені. На Іскьї однак виникла пізніша легенда, що мощі прибули морем, в човні, веденої aнгелами, і були знайдені місцевою жителькою Лукіної (Лючиной).

Понтификальная базилика св. Реституты Карфагенской

(Ucraino) В Лакко-Амено з'явилася перша давньогрецька колонія в Західній Європі (VIII ст. до Р.Х.); при римлянах тут знаходилась адміністрація острова, а з приходом християнства, з ІІІ ст., тут утворився центр релігійного Іскьї. До того часу відноситься і заснування базиліки, фрагменти якої виявлені під час розкопок, початих y 1950-х рр. настоятелеи церкви П'етро Монті. Велика маса християн, разом із священками, прибула на Іскью в середині V ст з Північної Африки в резyльтаті руйнівних набігів туди вандалів. Ймовірно, саме тоді в

Прибытие морем мощей св. Реституты, современная скульптура

(Russo) Св. Реститута стала почитаться как Небесная покровительньница Лакко-Амено, а день 17 мая и поныне - торжественный престольный праздник. Однако в середине IX в., росле ряда надежное место - в древний кафедральный собор Неапола, который с той поры получил ее имя (в настоящее время вошел в состав нового собора, в качестве обширного левого придела, вместе с раннехристианским баптистерием). La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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начальной базилики и баптистерия. Экспозиция дает прекрасное представление об истории острова Искья, начиная с доисторического периода до грекоэллинско-римского и первых свидетельств христианства. Музей, вход в который находится справа от церковного двора, занимает площадь около 1550 квадратных метров и делится на две части. Верхний этаж составляют три зала, в которых представлена коллекция картин, священных облачений, фигурок рождественских вертепов, реликвариев, распятий, требников, предметов домашнего обихода, серебряных украшений.

Интерьер базилики

Древняя базилика в Лакко-Амено не раз перестраивалась, в последний раз – после катастрофического землетрясения 1883 г. Для храма, вновь освященного в 1886 г., живописец Ф. Мастроянни написал серию из десяти картин на тему Жития св. Реституты.

Нижняя часть, собственно археологическая зона, разделена на четыре сектора: 1) промышленная зона греков с печами по обжигу и сушке керамики, мастерскими для работы с глиной, декантационными чанами VII-II вв. до Р.Х.; 2) алтарь, хранивший первоначальную раку с мощами св. Реституты; 3) свидетельства первых греческих поселенцев; 4) раннехристианское кладбище, с найденными предметами, среди которых – керамические гробики для младенцев, устроенные из амфор. Михаил Талалай

Фрагменты раннехристианской купели

Мученичество св. Реституты Карфагенской, художник Ф. Мастроянни, 1880-е 22.

В храме, имеющем статус понтификального санктуария, хранится чтимый католиками скульптурный образ Мученицы (XVI в.) и часть ее мощей. В подземелье – музеефицированная археологическая зона с фрагментами 14 La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

Детские гробики-амфоры


Rassegna LIBRI

Le piante vascolari spontanee o coltivate nell'isola d'Inarime di Giovanni Gussone

Traduzione dal latino di Raffaele Castagna In aggiunta altri scritti (De Rivaz, Béguinot, Iovene, Vallariello...) sulla flora dell'isola d'Ischia Punto cardine di questa pubblicazione è l’opera del bo-

tanico Giovanni Gussone, intitolata Enumeratio plantarum vascularium in insula Inarime sponte provenientium vel oeconomico usu passim cultarum e scritta in latino, che qui presentiamo nella versione italiana, curata da Raffaele Castagna, anche se lontani appaiono e sono i tempi in cui questo studio fu presentato (1855) ed in cui tutto il territorio era ancora completamente naturale ed incontaminato (vi persisteva ancora l’ampia brulla distesa dell’Arso) e che l’uomo non aveva incominciato a modificare per le sue esigenze moderne, non sempre volto anche alla salvaguardia di un ambiente particolarmente dotato negli aspetti della vegetazione, ricevendo, come si è sempre favoleggiato, forza ed energia dal mitico Tifeo da Giove fatto giacere sotto il monte Epomeo. Giovanni Gussone dice nella dedica al re Ferdinando II che, trovandosi ad Ischia per i servigi alla Regia Casa, pensò di organizzare la sua Flora “soprattutto col proposito di rendere note ai botanici le condizioni particolari della vegetazione inarimense”. Egli prese così a scorrere l’isola in lungo e in largo ed annotò e descrisse 960 specie delle piante vascolari, mentre attendeva anche a rinverdire le lave dell’Arso. Nel periodo successivo ci sono stati altri studi particolari sulla flora inarimense, come si può anche desumere dalla bibliografia proposta, di alcuni dei quali si son voluti proporre qui ampi riferimenti (De Rivaz, Béguinot, Iovene…); in particolare si pone in evidenza la ricerca di alcuni studiosi (Ricciardi, Nazzaro, Caputo, Di Natale, Vallariello, dell’Università di Napoli Federico II e dell’Orto Botanico di Napoli) che negli anni 2003-2004 vollero procedere ad un aggiornamento delle conoscenze floristiche, riconoscendo piante nuove per l’isola e indicando quali entità segnalate già da Gussone e altri autori non furono rinvenute. Si legge all’inizio dell’opuscolo: «Intorno alla metà del secolo XIX, in un periodo particolarmente felice per gli studi floristici, il popolamento vegetale di Ischia fu accuratamente studiato e reso noto da Giovanni Gussone, la cui opera e il più recente ed ampio contributo di Béguinot, nel quale le notizie sull’isola d’Ischia sono inserite nell’ambito della monografia su flora e vegetazione delle isole ponziane e napoletane, restavano, per Ischia, le sole ma ormai antiche opere di notevole respiro a disposizione degli studiosi. Quest’isola

era in effetti l’unica, tra quelle che emergono al largo delle coste della Campania e del Lazio, ad essere priva di un aggiornamento delle conoscenze floristiche. Si hanno invece studi dedicati agli isolotti Li Galli (Caputo, 1961), alle minori delle isole flegree, cioè Procida e Vivara (Caputo, 1964-65), alle Isole Ponziane (Anzalone, 1953-54; Anzalone & Caputo, 1974-75) ed a Capri (Ricciardi, 1996). Nel primo decennio del 2000 alcuni studiosi (Ricciardi, Nazzaro, Caputo, Di Natale, Vallariello) ritennero di non trascurabile interesse rivolgere l’attenzione alla flora dell’isola d’Ischia, anche al fine di portare a termine l’aggiornamento delle conoscenze floristiche per le isole del Golfo di Napoli, «sempre nell’ambito delle iniziative dirette ad una più completa e approfondita esplorazione biologica degli ambienti microinsulari». L’aggiornamento si può facilmente leggere nel sito qui riportato: - http://www.herbariumporticense.unina.it/it/doc/pdf/ Flora/Ischia-flora.pdf Per le relative descrizioni delle piante abbiamo indicato negli ultimi studi segnalati un richiamo ed un riferimento alle pagine specifiche del Gussone. Infine sono stati riportati alcuni articoli sulla flora dell’isola che nel tempo furono pubblicati sul periodico La Rassegna d’Ischia. * La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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Melchi - vi racconto una storia di Sergio Schiazzano

Graus Editore, collana Tracce, pagine 232 L’Editore Graus di Napoli ha annunciato per il prossimo mese di aprile 2014 la pubblicazione del libro Melchi, vi racconto una storia di Sergio Schiazzano, giovane studente universitario di Giurisprudenza nato ad Ischia nel 1993, distintosi già negli anni di studio del Liceo in un concorso sui 150 anni dell’Unità d’Italia “L’identità nazionale nella cultura, nell’economia, nel costume”, indetto dalla Fondazione Nazionale FIDAPA. Il libro Un giovane scrittore vede crollare tutti i propri sogni quando perde ciò che ha cercato per tutta la vita: la sua Storia da Raccontare, la più bella di tutte le storie, l’unico racconto capace di procurare l’immortalità a chi sarà così fortunato da catturarlo. Ritornato sulla sua isola natia, incontra un eccentrico personaggio che darà una scossa alla sua esistenza disincantata: un vecchio vagabondo, apparentemente privo di passato, che, senza meta e senza scopo, erra per le strade dispensando sorrisi e regalando cianfrusaglie ai passanti. Eppure il vecchio non è benvoluto dagli isolani, e il motivo è che di notte, sotto la luce fatata dei lampioni, egli misteriosamente pare trasformarsi e ringiovanire. Malgrado la diffidenza dell’intero paese, il giovane scrittore si affeziona a lui, sperando inconsciamente che possa aiutarlo a ritrovare la sua Storia da Raccontare. Ma forse la storia che si nasconde dietro quell’uomo è ben lungi dal poter essere narrata... E così il segreto di cui è portatore peserà come un macigno

sul cuore del giovane scrittore, e il mondo in cui il vecchio lo trascina rovescerà tutte le sue certezze e lo indurrà a chiedersi se ciò che vede sia la realtà o solo un sogno.

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Il ricordo dell'esperienza politico-amministrativa dell'Avv. Giovanni Di Meglio del prof. Vincenzo Cenatiempo

C’è un’umanità di tempi passati – eppure consegnati scrupolosamente alla memoria - nello scritto che Vincenzo Cenatiempo dedica al ricordo di Giovanni Di Meglio (Il ricordo dell'esperienza politico-amministrativa dell'Avv. Giovanni Di Meglio che ha segnato la modernizzazione del Comune di Barano d'Ischia). Un’umanità alacre e gaia, solida, devota, operosa, disposta al sacrificio, caparbia, infaticabile. Incontri Donna Francesca Scotti che recita il rosario nella controra sul terrazzo ombroso della Villa dei Di Meglio; ti sembra di sentire i lavoratori delle vigne discutere della sua parsimonia, e i sacerdoti di famiglia, monsignori, vescovi, occupati da sempre nel ruolo di educatori al servizio della Chiesa e del popolo fedele. C’è tutto questo nelle pagine di Vincenzo Cenatiempo. C’è un pezzo della storia di Barano d’Ischia. Dei suoi anni migliori. Quelli del progresso civile e del benessere via via più diffuso. Di una comunità, quasi tutta contadina, talvolta aspramente divisa, ma unita intorno ai valori della famiglia, del lavoro, del focolare. Quegli anni febbrili vissuti da pro16 La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

tagonista dall’Avv. Giovanni Di Meglio, Sindaco per più lustri e uomo simbolo del comune collinare, in un tempo in cui, dell’isola verde “giardino d’Europa”, appena si vagheggiavano i tratti. Li racconta, emozionato, il Preside Cenatiempo. Con la stessa emozione con cui, sicuramente li visse. Testimone eccezionale delle doti umane, professionali e politiche dell’Avv. Giovanni Di Meglio, di cui fu seguace in politica ed amico personale, racconta senza sottacerla, la traumatica rottura di quel rapporto nel 1964, la vicenda del simbolo dello scudo crociato perso e riottenuto, il recupero quasi dieci anni più tardi di un leale rapporto di stima e fiducia che sarebbe durata fino alla fine. Sullo sfondo, un paese in crescita, che grazie alle intuizioni ed alle straordinarie doti relazionali e politiche di Giovanni Di Meglio, riceveva nel ‘52 la visita di Alcide De Gasperi ed otteneva la promessa di finanziamento per la realizzazione dell’opera più rilevante di tutti i tempi per lo sviluppo economico di Barano d’Ischia, la strada di collegamento Testaccio-Maronti. Pagine vere di storia locale, che è poi storia dell’uomo. Di legami in-


trecciati col lavoro della terra a terrazze coltivate a vigneti, di uomini che avevano imparato il latino e i classici greci negli studi in seminario e non li hanno mai più dimenticati. Di uomini che sapevano cos’era la pietas e - nel rispetto della memoria degli avi - continuavano il culto dei Lari. Leggi queste pagine di Vincenzo Cenatiempo e ti ricongiungi ad una storia che poi scopri essere anche una parte della tua storia, per quei legami di sangue oppure elettivi che sono fili intrecciati di famiglie e di uomini in un piccolo paese ai piedi di amene colline. In molte famiglie o comunque in alcune di esse, un figlio prescelto, un dono del Cielo, destinato a suggellare la devozione del popolo, era offerto alla Chiesa. Ce n’erano molti fra gli Scotti e i Di Meglio, alcuni in concetto di santità, e li incontri con rapidi tratti e vividi segni, nelle pagine che seguono dedicate a Giovanni Di Meglio; ce n’erano in casa Cenatiempo, sacerdoti e amministratori, - uno di essi - Don Francesco, tenace studioso del Sommo Poeta fu maestro e guida del giovane Vincenzo, autore del-

le pagine che seguono; ce n’erano nella numerosa famiglia di mia nonna materna, una Buono - nipote del Parroco Vincenzo per parte di padre - e D’Arco per parte di madre. Appartengono tutti costoro a quella “corona di spiriti magni” in cui Vincenzo Cenatiempo ha voluto

Alle fonti del Vesuvio dalle origini all'eruzione del 1631

di Salvatore Argenziano, Aniello Langella, Vincenzo Marasco, Armando Polito Edzione Il miolibro, colore, pagine 236, 2013 Nelle pagine che seguono abbiamo passato in rassegna, sulla scorta degli studi precedenti, le fonti conosciute integrandole per quanto la nostra capacita e la fortuna hanno consentito. In ogni caso le abbiamo riprodotte nella lingua originale corredandole della nostra traduzione, per la quale ci siamo sforzati di conservare per ogni vocabolo il significato originario o, perlomeno, quello, desumibile dal contesto, con il quale l’autore lo usa; tutto ciò ci è sembrato condizione primaria per consentire allo studioso specializzato in vulcanologia ma non in filologia di trarre le sue deduzioni scientifiche. Le nostre note, poi, hanno il compito di facilitare la comprensione e, ci illudiamo, anche l’nterpretazione del testo, nonché una funzione dl orientamento in un matertale non privo di insidie

provenienti non solo dalle numerose falsificaziani che un po’ in tutte le epo­ che sono state perpetrate. Non deve stupire che accanto a cronisti (autori di cronache), viaggiatori ed antiquari la nostra rassegna comprenda anche i poeti, i pittori, gli scultori: c’e chi, probabilmente esagerando, attribuisce all’arte l’unica conoscenza possibile della realtà, suscitando, naturalmente l’ilarità, anche questa, forse eccessiva, degli scienziati. Riteniamo che ogni voce vada ascoltata: non a caso, anche se il nostro spirito laico tendeva a considerarli, al di là dei grossissimi problemi di autenticità, dl cronologia e di tradizione testuale, poco più che una fanfaronata, abbiamo fat­to riferimento anche agli Oracula Sybillina, né abbiamo trascurato, nonostante fosse per lo più problematicato spre-

collocare la memoria dell’Avv. Giovanni Di Meglio, consegnandolo alla storia di Barano d’Ischia e dell’isola intera. «Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche perché le loro opere li seguono» (Ap.14,13). (Presentazione di Lello Montuori)

mere da loro qualche informazione concreta, nella valenza esemplare dei loro riferimenti, gli autori cristiani. Ma, tornando ai poeti, c’è da dire che, pur nella trasfigurazione che la superiore sensiblità e l’empito creativo del suo autore comportano, una poesia può consentire, attraverso riscontri esterni o indiretti (la Guardia di Finanza li chiamerebbe controlli incrociati), di collocare nel tempo un evento, per quanto approssimativamente. Qualche volta, c’è da aggiungere, i poeti fanno addirittura sorgere sospetti, forse avventati e precipitosi, di etilismo.... Ci auguriamo che gli stessi sospetti non siano avanzati nei nostri confronti da parte dei nostri lettori dl manzoniana memoria; ci dispiace pure dover chiudere queste poche note con una riflessione amara: la consultazione dei testi, molti dei quali antichi, rari e pressoché introvabili, è stata resa possibile dalla Rete, in cui l’Italia, detentrice della maggior parte del patrimonio culturale dell’Umanità, non escluso quello librario, rispetto ad altri paesi, di risorse digitalizzate. Nessuna iniziativa al momento è stata intrapresa dalle pubbliche istituzioni, per attuare la quale La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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sarebbe sufficiente, senza aggravio finanziario, dirottare alla digitalizzazione tutti coloro che attualmente (ma da tem­po immemorablle) nelle biblioteche e negli archivi (compresi quelli dei conventi) si grattano la pancia, e mettere poi in rete, a disposizione di tutti (questa è la vera democrazia, per parafrasare, in un certo modo, don Lorenzo Milani), i risultati della loro fatica (!). Quelli della nostra, invece, sono il frutto, per quanto modesto, di un lavoro comune al quale ognuno si è sforzato di dare il massimo contributo possibile in rapporto alla sua, reale o presunta, comunque mai suffi­ciente, preparazione specifica. Tuttavia, siccome spesso l’équipe costituisce, in buona o in mala fede, un comodo ed efficace espediente per rendere problematica l’individuazione delle responsabilità personali, sentiamo il dovere, soprattutto per rispetto del lettore, di quantificare, in linea generate, il tagllo della nostra individuale partecipazione: Salvatore Argenziano ha curato la veste grafica e la revisione flnaler Anlello Langella e Vincenzo Marasco si sono occupati del reperimento delle fonti, Armando Pohto del loro controllo, traduzione e commento filologico e, dirà qualcuno, in qualche caso, filollogico... Chiediamo scusa, infine, agli addettl ai lavori se il nostro scritto apparirà grondante, speciatmente nelle note, di riferimenti ovvi e banali per loro, non per il comune lettore: ci augunamo, sotto questo punto di vista, di non aver fallito nel nostro intento divulgativo (Premessa del libro).

Monte Vesuvio (da Wikipedia) 18 La Rassegna d’Ischia n. 1/2014


Pagine in memoria di

Giovanni Castagna Giovanni Castagna, nato a Lacco Ameno il 2 giugno 1934 e deceduto il 7 febbraio 2014 a Sucy en Brie (Francia), dove ha per lo più vissuto gli ultimi due anni, amorevolmente e costantemente assistito dalla figlia Valérie. Le sue spoglie sono state tumulate nel cimitero di Lacco Ameno, suo paese natìo, dopo il rito funebre svoltosi il 13 febbraio 2014 nella Parrocchia di S. Maria delle Grazie, dove ha celebrato la Santa Messa il parroco di Sant’Angelo don Vincenzo Fiorentino, assistito da don Pasquale Sferratore. Ne hanno tracciato la figura e l’attività prima lo stesso Fiorentino e il prof. Agostino Di Lustro (insieme elaborarono la voluminosa Positio super virtutibus per la canonizzazione del parroco Giuseppe Morgera) , e successivamente il prof. Giuseppe Amalfitano, il sindaco di Lacco Ameno dott. Carmine Monti e l’avv. Nino d’Ambra con un caloroso e commovente ricordo. Hanno espresso il loro cordoglio l’Amministrazione di Lacco Ameno e Museo di Pithecusae, l’Amministrazione di Casamicciola, l’Amministrazione di Forio, la Parrocchia di S. Maria Maddalena di Casamicciola, la Congrega dell’Assunta di Lacco Ameno, la Curia vescovile d’Ischia, l’Associazione “Le Ripe” di Lacco Ameno (organizzatrice della manifestazione dell'approdo di S. Restituta a San Montano di cui è stato collaboratore il Castagna), l’Associazione Pro Casamicciola Terme e Premio Ciro Coppola (del quale è stato Giovanni per vari anni presidente della giuria tecnica); sulla stampa isolana e sul Web vi sono stati vari articoli e richiami che hanno posto in rilievo gli aspetti di una intensa attività e partecipazione di Giovanni alla vita sociale e culturale dell’isola d’Ischia con la pubblicazione di libri a sfondo storico e letterario, oltre che come segretario amministrativo del Museo di Pithecusae. Numerosa anche la partecipazione di amici, conoscenti, compagni di infanzia e di lavoro.

La Rassegna d’Ischia, in memoria di Giovanni Castagna, fratello del direttore del periodico stesso, ne ricorda alcuni momenti in cui maggiormente si sono manifestati i risultati dei suoi studi nel campo storico e letterario, a cominciare da quelli sui dialetti dell’isola e particolarmente su quello foriano, in cui ha addirittura elaborato una guida grammaticale, e sulla produzione poetica del foriano Giovanni Maltese. La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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Pagine in memoria di Giovanni Castagna

Il Museo di Pithecusae *

"Di Nestore la coppa buona a bersi. ma chi beva da questa coppa, subito sarà preso dal desiderio d’Afrodite dalla bella corona”

Giovanni Castagna in Itine-

raries, some stories about gulf of Naples, n.1-2007, Luise Services & Communications, Napoli. 20 La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

Il Museo Civico Archeologico di Pithecusae ha sede nell’edificio principale del complesso di Villa Arbusto in Lacco Ameno. Fu aperto al pubblico nell’aprile del 1999, e si compone di 8 sale ove sono “esposti, secondo gli accorgimenti della museografia moderna, oltre tremila reperti, una parte soltanto di quelli portati alla luce dal dott. Giorgio Buchner, le cui ricerche archeologiche hanno fatto indicare in Pithecusae (l’odierno territorio di Lacco Ameno) il più antico stanziamento greco in Italia meridionale, confermando la tradizione delle fonti antiche (Strabone, Livio...). I reperti illustrano la storia dell’isola d’Ischia dalla preistoria fino all’età romana. Materiali ceramici e litici attestano insediamenti umani nel Neolitico Medio superiore (3500 a.C): strumenti di selce e di ossidiana, macine, ceramica d’impasto, pesi di terracotta. In un villaggio, databile dalla media età del Bronzo (1440-1300 a.C.) all’età del Ferro (X-prima metà VIII secolo a.C), individuato sulla collina del Castiglione, presso Casamicciola Terme, sono stati rinvenuti, oltre a materiale ceramico delle cosiddette civiltà Appenninica e Villanoviana, frammenti di ceramica micenea che evidenziano precoci scambi commerciali con il mondo egeo, già qualche secolo prima della colonizzazione greca, nonché fornelli fittili portabili. Degne di nota, le rondelle circolari, ricavate da cocci, che si ritrovano anche nelle epoche successive sino all’età ellenistica: rondelle che, secondo Giorgio Buchner, “costituirebbero la testimonianza di un antichissimo gioco che, sino agli anni intorno al 1960, i ragazzi giocavano ancora nelle strade”, il cosiddetto gioco delle pastore. Dallo stesso sito provengono fusaioli e piramidette troncoconiche “in terracotta e forate alla sommità” che attestano la pratica della tessitura. Avanzi di pasto “permettono di stabilire che venivano nell’età del Ferro, come già nell’età del Bronzo, allevati il bue, il maiale, la capra e la pecora e mangiati alcuni degli stessi molluschi marini che si mangiano ancora oggi, con prevalenza delle patelle”. Numerosi e importantissimi sono poi i reperti relativi all’insediamento greco di Pithecusae, fondato nel secondo quarto dell’VIII secolo a.C. da Greci provenienti dall’isola Eubea. Vi è esposta gran parte dei corredi della necropoli, ubicata nella Valle di San Montano, usata come luogo di sepoltura per un millennio a partire dall’VIII secolo a.C. I corredi funerari, infatti, sono costituiti da vasi ceramici, che permettono di delineare lo sviluppo morfologico e l’evoluzione delle decorazioni geometriche, da oggetti importati dalla madrepatria e dal Mediterraneo orientale, che testimoniano l’estesissima rete delle relazioni commerciali dei Pithecusani con il Vicino Oriente, Cartagine, la Grecia, la Spagna, l’Etruria meridionale, la Calabria e la Sardegna: scarabei egizi, amuleti in pietra dura con incisioni, resti di lavorazione di fibule in ferro, prodotte nelle fornaci metallurgiche del centro Mazzola. I corredi funerari hanno dimostrato, inoltre, che i fondatori non furono soltanto Greci di Eubea, ma anche “residenti orientali”, soprattutto Siriani e Fenici. Tipici ornamenti personali, ritrovati nelle tombe, sembrano, d’altra parte, lasciare supporre che la maggioranza delle donne dei coloni fossero donne indigene. Primo esempio, forse, di acculturazione.


Metalli preziosi, inoltre, messi a corredo permettono di conoscere i modi dell’ornamento personale in uso sull’isola. “Tutte le sepolture a cremazione femminili e parte delle sepolture ad inumazioni femminili posseggono quella che era la parure standard delle donne di Pithecusae di un certo livello medio o medio superiore: su ciascuna spalla una fibula a sanguisuga di lamina d’argento, talvolta accompagnata da una o più fibule di bronzo e in testa due anelli fermatreccia a spirali d’argento o spesso anche d’argento placcato con sottilissima lamina d’oro, ai quali si aggiunge frequentemente una collana di pendaglietti a globo o a ghianda di sottilissima

lamina d’argento e, più raramente, una coppia di larghi bracciali di lamina ondulata d’argento. Tra le tombe maschili ci sono alcune che contengono una piccola accetta di ferro, probabilmente uno strumento da carpentiere; una tomba di un giovane di circa 21 anni con intero arsenale di 11 strumenti di ferro, accetta, scalpelli, punteruoli, coltello, anch’essi da carpentiere” (Buchner 1975). Un’altra tomba a inumazione a fossa, detta tomba del pescatore, presenta un amo di bronzo, un’asticciola di piombo e undici pesi di piombo per le reti. Mancano sepolture di individui appartenenti al ceto sociale più elevato, i nobili guerrieri. Non sono state trovate,

infatti, armi. Tutte le tombe appartengono a famiglie di ceto medio e medio basso ove mancano ornamenti personali di oro e rari sono quelli di elettro. Dalla necropoli di San Montano provengono anche i più celebri vasi pithecusani. Il “cratere del naufragio” di fabbricazione locale (fine VIII secolo a.C), il più antico esempio di pittura vascolare che sia mai stato trovato in Italia: da un lato del vaso una grande nave capovolta con marinai che cercano scampo a nuoto, ma circondati da grandi pesci; dall’altro lato, si vede un pesce enorme divorare un uomo la cui testa è già nella sua bocca. La “gemma del museo”, la kotyle rodia, cosiddetta “coppa di Nestore”, ricomposta da minuscoli frammenti con pazienza e costanza da Giorgio Buchner, ormai celebre in tutto il mondo per gli studi pubblicati e, soprattutto, anche per le diverse opinioni espresse, sia per la datazione sia per l’iscrizione che porta scalfita, nonché per le interpretazioni a volte contrastanti che se ne danno. È decorata in due zone sovrapposte: nella parte inferiore, da ansa a ansa, seguendo i motivi lineari, vi è incisa un’iscrizione retrograda di tre versi in cui si allude alla coppa di Nestore, descritta da Omero nell’Iliade, ma l’anonimo incisore pithecusano, con un certo humour, ritiene la sua piccola coppa di argilla più pregiata di quel capolavoro dell’oreficeria micenea: “Di Nestore la coppa buona a bersi. Ma chi beva da questa coppa, subito sarà preso dal desiderio d’Afrodite dalla bella corona”. Alcuni studiosi asseriscono che l’iscrizione è “la maggiore testimonianza di scrittura, anzi di bello scrivere con sticometria metrica, segni diacritici, segni marginali, negli anni d’Omero” e fornisce, quindi, un valido argomento alla soluzione standard della questione omerica. Altri, invece, la consideraLa Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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Pagine in memoria di Giovanni Castagna no, con interesse archeologico e antropologico, soltanto come un’ammirabile testimonianza dell’ “estetica del banchetto” sin dall’VIII secolo a.C, di quel symposion che univa partners “capaci di raffinati giochi simbolici sulla scrittura e la poesia”. L’epigramma, in alfabeto euboico, vi è stato inciso dopo la cottura, sicuramente, quindi, a Pithecusae, “dove i Greci udirono per primi le nuove tendenze della poesia fenicia d’amore e di piacere nel contesto del primo symposion occidentale” (0. Murray). La celebre coppa cantata da Omero comportava quattro anse e su ciascuna di esse due colombe (uccello caro ad Afrodite) che, con il becco rivolto all’interno, “beccavano”. In questo modo sull’ansa aerea, scrive Robert Triomphe “la verginità alata dell’uccello, volta verso la soglia dove la preziosa bevanda è in attesa d’esser bevuta, annuncia a colui che porterà la mano su di essa una soddisfazione erotica perfetta”. Pur non essendoci colombe, l’iscrizione che figura sulla coppa di Nestore, trovata nella necropoli di Pithecusae, in termini chiari, “afferma che darà al bevitore il desiderio di Afrodite dalla bella corona” oggettivando così “il bisogno d’acqua, di miele o di vino dionisiaco, la sete di amore”. Il ritrovamento in un deposito votivo di due modelli di carri trainati ciascuno da due muli, sembra attestare la presenza di un piccolo tempio, dedicato ad Hera, dea protettrice degli amori legittimi e dei matrimoni, diversamente da Afrodite, dea della seduzione erotica e del piacere amoroso, e da Artemide, dea della castità e del rifiuto dell’unione sessuale; le tre dee, quindi, che presiedevano allo statuto della donna. I carretti e i muli, che dalla casa del padre conducevano la sposa alla casa dello sposo, sono offerte votive di ringraziamento e fanno pensare al canto d’augurio dell’Eiresione: “la sposa di tuo figlio su un carro 22 La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

giungerà a voi / e mule dai piedi robusti la porteranno a questa casa / e lei mentre tesse la tela poggi i piedi sull’oro” (Alien). Agli inizi del VII secolo a.C, per lo sviluppo di Cuma sulla terraferma, l’intensa attività commerciale di Pithecusae perde a poco a poco d’importanza, ma terrecotte architettoniche, tra cui una sima laterale con gocciolatoio in forma di testa d’ariete, attestano la presenza di templi sull’acropoli di Monte di Vico. Il periodo romano è documentato sia da corredi tombali, anche se assai poveri, sia da calchi dei rilievi votivi dedicati alle Ninfe Nitrodi, rinvenuti alla fine del '700 presso la sorgente termale di Nitrodi (Barano), nonché da reperti sottomarini (ceppi di ancore di piombo, ancore di pietre ed anfore vinarie) e da lingotti in piombo e stagno della fonderia di Cartaromana (Ischia), sommersa a causa di uno scoscendimento tettonico. Le sorgenti termali di Ischia, già note agli antichi, conservano perenne la loro efficacia. Pur avendo, all’epoca romana, l’isola cambiato nome in quello di Aenaria, pur tuttavia, i suoi abitanti, come già fece osservare Buchner, venivano ancora chiamati pitecusani, anzi “petecusani”. Un graffito, infatti, scoperto a Pom-

pei e datato al I secolo d.C, recita: “Buona fortuna agli abitanti di Pozzuoli, prosperità a quelli di Nuceria, l’uncino del carnefice ai Pompeiani e ai Pitecusani”. I reperti esposti sono tutti di piccole dimensioni e composti, in maggior parte, da ceramiche. Un Museo, quindi, che illustra la vita, con la sua cultura materiale, le relazioni commerciali, le attività industriali e il ruolo di primaria importanza che ebbe Pithecusae, dal 770 a.C. fino all’inizio del VII secolo a.C, quello, cioè, di emporio commerciale “attraverso il quale”, come è stato affermato, “le popolazioni etrusche e italiche conobbero per la prima volta i prodotti della civiltà greca e di quella del Vicino Oriente mediterraneo”, soprattutto, l’alfabeto, “uno dei tasselli fondamentali di quel patrimonio di conoscenze che le popolazioni dell’Italia centrale mutuarono dai Greci di Pithecusae”. Situato in un parco, unico per struttura, esposizione, varietà di piante e per il suggestivo panorama, ove storia, cultura, arte e tradizioni si fondono magicamente, il Museo offre la possibilità di ripercorrere i passi dell’uomo fin dall’età preistorica.

Cratere con scena di naufragio

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Il Delfino come attributo e simbolo * Il pesce, ICHTUS (nella trascrizione latina Iêsou Christos Theou Uios Sô­têr: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore) che simbolizzava la fede per i primi cristiani, aveva spesso la forma di un delfino. Il ricorso a una tale immagine affonda le sue radici nella tradizione antica e in alcune leggende che fanno del delfino il salvatore dell’uomo. Eppure, nell’Iliade (XXI,22-26) i Troiani, inseguiti dal furioso Achille che vuole vendi­care la morte di Patroclo, sono paragonati a pesci atterriti che riempiono «i recessi d’un porto sicuro» per sfuggire al «delfino grosso animale che avi­damente inghiotte» tutti quelli che raggiunge. Nell’Odissea (XII,9597), tut­tavia, anch’esso è vittima di Scilla, «mostro tremendo», insieme a «pescicani e mostri più grandi». Il settimo degli Inni omerici canta il rapimento di Dioniso ad opera di pi­rati Tirreni, che tentano di legare il dio, scambiandolo per un mortale, ma Dioniso manifesta la sua divinità con una serie di portenti e, alla fine, puni­sce gli aggressori, trasformandoli in delfini. Una coppa, decorata dal celebre ceramografo Exekias, attivo nel 545525 a.C., (Monaco, Antikensammtun­gen) rappresenta appunto Dioniso che «dall’alto della vela» fa germogliare una vite con grappoli penzolanti e incute terrore agli aggressori, i quali, per evi­tare la morte, si gettano nel mare e diventano delfini guizzanti. Sarà forse stato il pentimento a far sì che quei pirati crudeli, mutati in delfini, diventassero salvatori di naufraghi. Erodoto racconta, infatti, che il famoso citaredo Arione di Metimma, nell’isola di Lesbo (fine VII sec.-metà VI sec. a. C.), gettato in alto mare dai ma­rinai per impossessarsi delle sue ricchezze, fu preso in groppa da un del­fino e fu portato in salvo a riva al Tenaro. (Storie, I, 23,24) «La leggenda del delfino soccorritore si riflette anche sulle raffigu­razioni monetali di Ta­ranto, Corinto e Metimma», le tre città nominate da Erodoto, «dove è

Giovanni Castagna

in Delphis news, periodico di informazione dell'Associazio e Delphis, Isola d'Ischia, anno V n. IV / novembre 2006.

Coppa decorata dal ceramografo Exekias, attivo nel 545-525 a. C. (Monaco, Antikensammtungen)

rap­presen­tato un uomo sul dorso di un delfino». Su mo­ nete puniche, d’altronde, (di­dramma, tetradramma d’argento), delfini circon­dano teste femminili e del­fini sono spesso raffigurati nelle pitture vascolari, come, per esempio, su una delle «kimbai» (tazze) del Museo di Atene. Il delfino, inoltre, era l’attributo di alcune divinità dell’Olimpo e di Nereidi o ninfe del mare. Era consacrato a Posidone e spesso il dio lo cavalca. Anzi, quando si in­namora della nereide Amfitrite, che lo sfuggiva per sottrarsi alle sue assi­duità, Posidone invia una schiera di delfini ad inseguirla, i quali riescono a convincerla di ritornare per sposarlo. Nelle rappresentazioni, Amfitrite sta in groppa ad un delfino accanto al carro di Posidone; altre volte, invece, guida una grande conchiglia trainata da delfini. Lo stesso Posidone, mentre salva Am­ymoné, una delle cinquanta figlie di Danao, La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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Pagine in memoria di Giovanni Castagna

Testa di Core circondata da delfini (Napoli, Museo Archeologico Nazionale)

dall’abbraccio importuno di un satiro, è rappresentato su di un delfino, cingendo con un braccio la fan­ciulla per la vita. Quando poi personifica l’acqua è sempre accompagnato da tritoni, nereidi, ippocampi e delfini. Apollo, nell’inno omerico a lui dedicato, appare a marinai cretesi in forma di delfino e, dopo aver ripreso l’aspetto divino, con queste parole si rivolge a loro: «come prima sono apparso, sul mare coperto di nebbia, in forma di delfino e balzai sulla vostra nave veloce, allo stesso modo invocatemi con il nome di Delfinio ed anche il mio altare sarà chiamato Delfico e sarà celebre nel mondo». Licofrone nella sua Alexandra (v. 208), seguendo l’inno omerico, chiama Apollo «Delfinio». L’epiteto sta a significare che era il dio di Delfi (Δέλφοι) e, nello stesso tempo, il protettore dei marinai, che poteva assu­mere l’aspetto di un delfino (δέλφις). Pur se negli Inni Orfici Afrodite, andando sull’onda del mare in un coc­chio tirato da cigni, si rallegra delle «danze circolari dei cetacei» in genere, i del­fini, tuttavia, sono uno dei suoi attributi, ricordando che la dea della bellezza e dell’amore è nata dal mare. Delfini, con passeri e colombe, festeggiano, inoltre, la nascita della «Venere di Citara», cantata in parlata foriana dal po­eta Gio­vanni Maltese (1852-1913): Me cuntava stu tale ca na vòte Mmène nun sòcce a chi, anticamente, nda na tempest’e trònel’ e de viente cu nu mare tremènde che ghiembève quante ce sta de lèrie tra la pónt’u Seccùrz’e u Mberratore d’unu liette de scumme; mmiéz’a nule de pèsser’e palòmme e pisce a mmeliùne 24 La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

- che chiammave delfine pe ndènne ferùne – na gióna surprennènte quase cuccat’ammiez’a chégghia scumme, cumm’a nu giglie chine de rusate, vutata mère terr’iéva summe. Nun se su biste mei’é primm’e doppe - me cuntava stu sèvie che v’ho ditte – né ferune fa zùmpete cchiù ruósse né sbulazzà palomme cchiù briose; e dòppe tre menute, nda la réne, de pèsser’e palómme mbugghiecata, da facce Ceturrie, se smiccïava all’ért’ammiez’a gghióre na fémmen’a l’annule che teneve ngòpp’a le spagghie, ngàpe, mmène, mpètte -sbattènne cu le scégghiena quantetà d’aciégghie. […] Era nate la Vener’e Cetare! Mi raccontava quel tale ch’una volta Al tempo di non so chi, anticamente, in una tempesta di tuoni e di venti, ed un mare tremendo che riempiva tutto quanto si estende dal Soccorso alla Punta Imperatore d’un letto di schiuma tra nuvoli di passeri e colombe e pesci a milioni - che chiamava delfini per capirci «feruni» una fanciulla sorprendente quasi distesa sopra quella schiuma come giglio cosparso di rugiada veniva a galla guardando la spiaggia. Mai non si vide né prima né dopo -raccontava quel saggio che vi ho dettoné delfini far salti più grandi né con più brio svolazzar le colombe e dopo tre minuti sulla sabbia brulicante di passeri e colombe su da Citronia si scorgeva in piedi a mezzo a loro nuda una donna con sulle spalle, sulla testa e il petto innumeri uccelli dalle ali frementi. […] Era nata la Venere di Citara! Fra i canti orfici, quello dedicato al profumo del-


le Nereidi o ninfe del mare rappresenta le cinquanta fanciulle,«folleggianti tra le onde», cavalcando tri­toni, che si divertono ad ammirare «delfini vaganti nel mare, risonanti nei flutti, splendenti d’azzurro». La dea Fortuna, sovrana del mare, secondo Orazio, e temuta dai marinai, avendo come attributi un timone e una vela gonfia (simbolo dell’incostanza dei venti), appare nelle rappresentazioni in groppa ad un delfino. Nell’arte paleocristiana, come si è già accennato, il delfino è il simbolo di Gesù Cristo Salvatore. L’àncora, inoltre, simbolo della stabilità, della sicu­rezza e, secondo San Paolo, anche simbolo della Speranza, viene spesso ac­compagnata, nell’iconografia dei primi secoli cristiani, da un delfino.

Riferimenti bibliografici Oltre a quelle classiche, indicate nel testo, si è fatto ricorso alle se­guenti opere: James Hall, Dictionary of Subjects and Symbols in Art, 1974 Michel Feuillet, Lexique des symboles chrétiens, PUF, Que saisje?, 2004, n. 3697. Bollettino Numismatico, Monete puniche nelle colle­zioni italiane, Mono­grafia 6-3, a cura di Enrico Acquaro, Parte III, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato,2000. Semni Karouzou, Guida illustrata del Museo di Atene, Ekdotike Athenon S.A. Atene 2000. Pietro Monti, Ischia Altomedievale, Ricerche storico-archeologiche, Ischia 1991.

Al Museo e Scavi S. Restituta si può ammirare un frammento di pàtera, «a impasto e vernice rossa, il quale reca a rilievo l’immagine di un delfino, sormontato da un paffuto angioletto: dovrebbe trasmettere la fase di un momento difficile della vita del profeta Giona, inghiottito dal cetaceo, e ri­buttato dopo tre giorni sulla spiaggia (simbolo di Cristo sepolto e risorto)», come interpreta don Pietro Monti. La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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Pagine in memoria di Giovanni Castagna Ischia la mia terra natale

Eredità

L’isola dei miei antenati un ‘isola di vulcani Scoglio d’arcobaleni prigione d’un titano L’isola dove son nato è l’isola donde partirono I fondatori di Cuma nell’ora delle rivolte Fu l’isola del vasaio che in un mare di ginestre Sospirava parole d’amore Per un’ombra di tristezza in un cielo sereno a bagliori Isola aperta ai venti né le sue torri né le campane Risparmiarono ai miei padri la chitarra del dolore E le donne ombre nude nei marosi del ricordo Ritornavano sogno azzurro sui ginepri degli aprili Lo stornello del potatore beffeggiato dal marinaio Smoriva in un sussurro sulle labbra di Maria Quando Maria labbra-sorriso pregava i Santi [dell’in­fanzia Quando Maria labbra-singhiozzo pregava la Vergine tòrca Che il mare un giorno di maggio Fece fiorire sulla spiaggia Ho sempre nel mio cuore la boria catalana Ma nel mio sguardo brilla La dolcezza fanciulla d’Angiò E mai rinnegherò Quest’eredità di bastardo L’isola mia cuore violato Sulla sabbia delle sue spiagge Quante leggende cullarono la mia infanzia occhi-di-mare Allor che sul mare trascorrono Sussurri fremiti d’iridi Tenerezze devastatrici Oh la mia furia dì Saracino. Giovanni Castagna (1981)

Lacco Ameno, paese mio Case come ricordi, vicoli come vento, alberi sempre verdi, viti della filossera, vela nel maestrale, torpore di scirocco, tramontana gelida, reti sempre rotte: paese sul mare, paese mio. Ti sorveglia uno scoglio, ti sorveglia una torre, ti protegge una Santa o almeno lo credi sull’onda in tempesta o quando nel sole, distratto d’azzurro, dimentichi pur quella preghiera che trovasti nel pianto. Paese sul mare, paese mio, quando lotti, quando canti, quando piangi, quando le notti riportano a riva relitti e gli echi lontani, echi soltanto, già stanchi, già ieri. Paese sul mare, paese mio, 26 La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

quando ti lasciarono tombe, come in luogo sicuro le nenie i rimpianti, quando fosti greco, quando fosti romano, un asilo d’esuli vinti, briganti, una preda, quando schiavo ti portarono lontano, quando anche la terra ti scacciò col fuoco, con l’acqua o ti trattenne per sempre nelle rovine. Paese sul mare, paese mio, quando fosti pagano, Ercole il tuo dio, quando fosti cristiano, una vergine la tua Santa, quando la guerra ti bruciò pure il cuore d’una preghiera, quando i turchi ti rubarono pur la voce del pianto. Quando fosti analfabeta, ignorante, quando baciavi ogni mano, quando ti presero le donne, quando le accogliesti baciando le loro ferite, quando masticavi il tuo sangue senza sputarlo, quando temevi che t’avrebbero costretto a leccarlo, paese mio, paese mio. Giovanni Castagna (1957)

A mia madre Nell’ombra della notte insonne sul mio respir sta chino il biancor della testa di Maria. Sogni tremendi in un gridar d’angoscia... e tremula domanda nel sorriso stanco di veglie. S’allontana quel trepido silenzio d’amor! ...Una soave nanna appen distinta, una carezza e il pianto per ogni mio malanno, un dondolar di culla e nello sguardo incerto un dolorante amor, il bacio sulla bocca d’un lamento, un trepidar nell’ombra sempre a me daccanto da non ricordo quando... Ed or nell’ombra ho paura, Maria, d’invocarti col nome di mamma! Tanti, ma tanti dolori nel cuor sorridente nascondi ed il figlio, o mia bianca Maria, invocarti col nome di mamma non può. Ma tu stammi vicino, vicino nell’ombra a mostrarmi il chinar della testa tua bianca. Giovanni Castagna (1960)


Vittoria Colonna

in una lirica di Louis Aragon Nel corso di una ricerca, d’altronde ancora incompiuta, per raccogliere e analizzare testi su Vittoria Colonna, onde potere, infine, riuscire a comprendere ciò che per noi rimane, ancora e soltanto, un mito, il mito di Vittoria Colonna, abbiamo rilevato anche una lirica del poeta francese LOUIS ARAGON: Plainte pour la mort di Madame Vittoria Colonna, marquise de Pescaire. Pur se la lirica, ai fini della nostra ricerca, non offre alcun particolare che possa singolarizzare la Nobildonna, messo forse a parte quei “fiori leggeri” con i quali Vittoria, sembra, adornava la sua chioma, in cui Paolo Giovio scorgeva “riflessi dorati”, siamo tuttavia lieti di presentare a tutti gli innamorati ischitani di Donna Vittoria (e sono innumeri) un nuovo canto in onore della “Signora del Castello”. La lirica fa parte della raccolta LES YEUX D’ELSA, pubblicata da Aragon nel 1942, e si inserisce in un periodo in cui un popolo sconfitto, oppresso, sentiva il bisogno d’un canto nazionale ove poter attingere un sentimento di unione. Essa appartiene, inoltre, a quello che si può definire il primo ciclo dei lamenti sulle miserie della Francia. Ci sarà poi il ciclo della collera, ove lo spirito di resistenza diventa più violento e dove Aragon, sotto vari pseudonimi, si rivolgerà direttamente al nemico. Questa precisione è necessaria se si vuole ben comprendere la lirica. La quartina di Michelangelo, infatti, con cui Aragon inizia il suo lamento, non poche volte è stata presentata da commentatori come una confessione di desolato abbandono di fronte alle miserie della patria ed alcuni le hanno perfino opposto il patetico anche se retorico grido di Leopardi: L’armi, qua l’armi; io solo combatterò, procomberò sol io. Due temi prevalgono nella lirica: il tema della morte e il tema “de l’amour séparé”. Due motivi: l’esilio e la miseria della patria. Vittoria Colonna muore nel 1547 e Michelangelo è a Roma, lontano dalla sua Firenze che aveva tanto cercato di difendere durante l’assedio 1529-30 contro l’esercito imperiale e mediceo. Eccolo quindi in una “Roma straniera” dove la morte di Vittoria lo lascia ancor più nella sua angosciosa solitudine. Aragon intreccia il tema della morte e il tema della guerra: la guerra come la morte divide la coppia, unità naturale e quasi sacra “su cui il poeta fonda l’edificio morale e politico della società” (1). Guerra e morte sono i due mostri che separano la coppia d’una separazione fisica e morale.

Lamento per la morte di Donna Vittoria Colonna Marchesa di Pescara Come mi è dolce dormire il sogno della pietra Il sonno è profondo che le statue culla Quando il secolo è infame da far chiudere le palpebre Non-vedere e non-sentir divengono virtù Zitto Non mi destar Deh parla basso Chi parla nella camera ove la morte fa silenzio No non è lo scultore immobile e sognante Non avevo assai sofferto per la fine di Firenze Donna e bisognava che vi vedessi prima Di Michelangelo prima di me dinanzi al Dio vivente Sono geloso di Lui come dei fiori leggeri Che a volte frammischiavi ai tuoi capelli dorati Ho pianto troppo spesso nella Roma straniera Scuola d’esilio per l’amore separato La sventura per la quale piangerò domani Mia Vittoria dagli occhi chiusi che l’eterno imbelletta Te che le braccia mie mai mai stringeranno Ho sfiorato la tua mano fredda e per sempre ho nel cuore Il rimpianto di non avere osato toccare la tua fronte O terribile desiderio che più niente interrompe Donna Colonna sul letto a colonne Voi cambiate volto in questo giorno straziante E la notte delle tombe finalmente vi dona I lineamenti che ho dato cappella San Lorenzo A quella Notte che sogna un mondo diverso Amore non avrai pietà degli anni miei canuti Amore non m’hai già da troppo tempo odiato Amore nella bara si ama forse di più Niente potrà quietare questo povero vecchio cuore E né di aver perduto Vittoria e la mia patria. Il lettore, che conosce un po’ le poesie di Michelangelo, non può non rilevare nella lirica echi dei versi da quest’ultimo dedicati a Vittoria Colonna: il motivo del capo bianco (“mon grand àge”) e “ce pauvre coeur vieilli” (che il gioir vecchio picciol tempo dura). D’altra parte, tutta la lirica non è che un “un compianto su se stesso per la morte di Vittoria Colonna” secondo il modello delle liriche di Michelangelo in morte della “donna alta e sincera”. Aragon applica poi in questa lirica, come in tante altre, i principi esposti ne La Leçon de Ribérac (2): “Le culte de la femme, ici concilié avec la mission de l’homme, éclaire cette mission de justice et de vérité” (3).

Giovanni Castagna – Articolo e traduzione dal francese della poesia del poeta Louis Aragon “Plainte pour la mort de Madame Vittoria Colonna marquise de Pescaire” pubblicata nella raccolta “Les yeux d’Elsa” (1942). La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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Pu bbl i c a z ion i

Pagine in memoria di Giovanni Castagna

Dopo aver ricordato che i trovatori avevano “come primo oggetto l’amore e l’amore di Donne inaccessibili perchè sposate a mariti gelosi del loro onore”, Aragon continua: “Le clus trover” permettait aux poètes de chanter leurs Dames en présence mème de leur Seigneur” (4). Sull’esempio quindi di Arnaldo Daniello e degli altri trovatori, Aragon si serve dell’ermetismo della poesia per lottare contro Hitler e il potere di Vichy. V. Colonna, in questo accorato lamento di Michelangelo, è per Aragon “la donna schermo”, nello stesso tempo Elsa, da cui è lontano a causa della guerra, e la Francia, il suo paese, “con il piede straniero sopra il cuore”. 1981 28 La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

1) Lecherbonnier : aragon - bordas n. 805, pag. 125 2) Aragon si trovava a Ribérac nel giorno in cui Pétain firmò l’armistizio. Ribérac, cittadina poco lontana da Périgueux, fu la patria del trovatore Arnaut Daniel, lodato da Dante e da Petrarca. Guido Guinizelli lo addita a Dante come “miglior fabbro del parlar materno / Versi d’amore e prose di romanzi / Soverchiò tutti “ (Purgatorio, 26 vv. 115-142). “La leçon de Ribérac” prende lo spunto da questo riferimento storico per un lungo saggio erudito ove pur se si parla dei trovatori e della loro poesia nel XIII sec, il vero soggetto è quello dei poeti e del loro impegno nel 1940: Capitò che in quel 25 giugno 1940 noi uscissimo dall’inferno come Dante e Virgilio nell’alba pasquale del 1300 e che da Ribérac noi potessimo come loro dire: e quindi uscimmo a riveder le stelle. 3) Il culto della donna, ora riconciliato con la missione dell’uomo, illumina questa missione di giustizia e di verità. 4) Il trobar clus permetteva ai poeti di cantare le loro Dame pur in presenza del loro Signore.


“C’était la côte dentelée et à pic de la charmante île d’Ischia, que je devais tant habiter et tant aimer plus tard. Elle apparaissait pour la première fois, nageant dans la lumière, sortant de la mer, se perdant dans le bleu du ciel, et éclose comme d’un rêve de poète pendant le léger sommeil d’une nuit d’été...”. (Lamartine, Graziella) C’est presque toujours dans cette atmosphère couleur d’or et de rose que l’on aperçoit flotter Ischia avec sa double pyramide parfaitement isolée dans les récits de tant de voyageurs qui abordèrent ses rivages. Les deux auteurs que nous présentons dans cette plaquette font partie d’une édition bilingue en préparation, dédiée aux voyageurs français ou de langue française du XIXe siècle qui ont séjourné à Ischia. Le premier, Mme De la Recke, est, en réalité, un auteur allemand, mais son œuvre, traduite en français, dut, selon nous, jouir d’une certaine publicité, au moins chez ceux qui s’apprêtaient à partir pour l’Italie et pour Ischia. On relève, en effet, plusieurs échos dans les écrits d’autres voyageurs français et parfois des reprises de passages entiers presque mot pour mot. Sa présence, en outre, s’imposait car c’est l’unique texte, au moins à notre connaissance, qui permet une vision claire de l’Ile au début du XIXe siècle et annonce déjà la transformation du voyageur du Grand Tour du XVIIIe siècle en touriste moderne. Alphonse Kannengißer, Abbé alsacien, par contre, clôt le siècle et en même temps est le témoin de la fin de certaines habitudes de vie que l’Ile ne retrouvera plus après le tremblement de terre de 1883, tremblement qui, en plusieurs endroits, effaça «tous les témoignages des valeurs de l’ambiance et même l’image de la riche et vitale

stratification des lieux». Turpin de Crissé avec ses «Souvenirs du golfe de Naples recueillis en 1808, 1818 et 1824...» et avec sa peinture confie au sentiment la connaissance de la nature d’Ischia et préfère les sites les plus agrestes et les plus remarquables par leur sévérité. Conrad Haller (Tableau topographique et historique des isles de Ischia, de Ponza, de Ventotena, de Procida et de Ni-sida, du cap de Misène et du Pausillipe,1822) s’adresse aux amateurs de la simple Nature, qui «pour cacher les ravages du Temps, / Répand ses fleurs et sa verdure / Sur les antiques monuments». Presque tous les auteurs nous dépeignent le caractère des habitants de l’Ile, la singularité de leurs vêtements, et ils nous informent sur les ressources et l’exploitation du sol. Plusieurs d’entre eux en retracent l’histoire depuis l’antiquité et, sur la base des données archéologiques de leur époque, abordent la colonisation grecque et parlent de Pithécuse, d’Aenaria et du géant Typhon ou Typhée enseveli sous l’île d’Ischia. Seulement Conrad Haller, cependant, énonce l’hypothèse que les Eubéens débarquèrent d’abord à Ischia et ensuite à Cumes. Hypothèse que les fouilles menées par Giorgio Buchner depuis 1952 ont confirmée. Stendhal, Lamartine, Renan ( Ernest et Ary), Elisabeth Louise Vigée Lebrun, Corot, Louis Gay-Lussac, Paul De Musset, De La Chavanne et d’autres auteurs moins connus nous ont laissé des souvenirs d’Ischia si vivants que nous mêmes voyons notre île d’autrefois par les images qu’ils nous ont transmises.

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La stampa isolana per Giovanni

Pagine in memoria di Giovanni Castagna

Giuseppe Mazzella - Il Golfo (8 febbraio 2014)

Ida Trofa - Il Dispari (13 febbraio 2014)

Antonio Schiazzano - Il Dispari (13 febbraio 2014)

Costanza Gialanella (Dirigente della Soprintendenza archeologica di Napoli) - Il Golfo (13 febbraio 2014)

Antonella De Rosa - Il Dispari (8 febbraio 2014) 30 La Rassegna d’Ischia n. 1/2014


L'opera per il parroco Giuseppe Morgera

L’impegno in favore dei poveri * Per il parroco Morgera non poteva esserci amore verso Dio senza prima donarsi agli altri. Fu un padre premuroso sia per l’educazione ai valori eticosociali sia per i bisogni materiali, avendo come fine ultimo il bene della comunità a lui affidata, non per un punto d’onore che esige sacrifici gratuiti, ma per scelta autonoma di vita. Risollevare un uomo, una donna dalla miseria significava per lui ridare quella dignità che le vicissitudini della vita avevano loro strappato. Troppo lungo sarebbe, in questa sede, delineare, sia pure a grandi tratti, la sua opera per alleviare pene e dolori, opera che svolse con amore e costanza. Preferiamo, quindi, singolarizzare questo suo operare nel momento più triste dell’Isola d’Ischia e di Casamicciola, in particolare, quando il terremoto del 28 luglio 1883 sconvolse non solo le fondamenta del paese, ma lo stesso equilibrio fisico e spirituale dei suoi abitanti. Quando, com’egli scrisse, «non aveva più faccia di paese questa terra sventurata, perché i suoi figli raminghi, mutilati, infermi, senza tetto, senza chiesa, senza vie di comunicazioni tra diversi punti davano la immagine della desolazione». Tutto era sconvolto e tutto bisognava ricostruire, mattone dopo mattone. Ma bisognava, soprattutto, ridare fiducia nell’avvenire e infondere il coraggio di ricominciare dal nulla a ricostruire prima il proprio mondo interiore e poi l’ambiente nel quale operare e vivere. La gara di solidarietà mondiale che si creò intorno all’Isola d’Ischia certamente contribuì in modo efficace alla ricostruzione materiale, ma fu necessario, prima di tutto, ricostruire lo spirito dei superstiti. Comincia così per Morgera, eletto parroco nel dicembre 1883, il periodo più importante della sua vita e della sua attività sacerdotale, che caratterizzerà la fase più delicata della rinascita di Casamicciola. Giovanni Castagna in L'Osservatore Romano (venerdì 17 aprile 1998)

Positio super virtutibus relativa al Processo di canonizzazione del parroco G. Morgera (preparata insieme con il prof. Agostino Di Lustro)

Si dedicò alla costruzione della nuova parrocchia, perché ebbe chiara la visione che essa sarebbe stata non soltanto il simbolo di una Casamicciola risorta, ma soprattutto la prova tangibile d’una Casamicciola unita e rinnovata nello spirito della fratellanza, sopite le discordie e superati i meschini interessi. Segno, non solo di una comunità ritrovata, ma anche rivendicazione delle proprie radici e, quindi, della propria identità, dal momento in cui il terremoto aveva annullato tutte le testimonianze del passato e «perfino l’immagine della ricca e vitale stratificazione storica dei luoghi». Pur lodando e ringraziando quella gara di solidarietà, nazionale e internazionale, che aveva fatto sì che Casamicciola non si sentisse dimenticata né abbandonata al proprio destino, Morgera volgeva soprattutto lo sguardo ai suoi parrocchiani e si preoccupava. Figlio del popolo, viveva in mezzo al

Parte isolana relativa al Processo di canonizzazione del parroco Morgera Giovanni Castagna : il secondo da destra

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Pagine in memoria di Giovanni Castagna popolo, ne conosceva le esigenze, le capacità e le virtù, ma anche i difetti, i tentennamenti e, in quel periodo, quella tentazione a lasciarsi andare, perché ancora inebetiti dallo choc traumatico non solo, ma anche perché sollecitati da una certa facilità, in quel primo momento, di avere a volte sostanziosi sussidi. Il parroco si accorgeva che quella tentazione era naturale dopo una simile catastrofe, voleva salvare la loro dignità, voleva che non fossero degli eterni mendicanti, degli eterni assistiti, ma trovassero in loro stessi la forza di riprendersi,

di farsi strada, di risollevarsi da quella prostrazione che sembrava procrastinarsi. Diventerà così il punto di riferimento sicuro, non solo nel campo religioso, ma anche in quello materiale, perché a lui si rivolgeranno tutti coloro i quali avranno un dolore da lenire, una lacrima da asciugare, un aiuto per sopravvivere. Egli sarà il padre di una popolazione diventata all’improvviso povera di ricchezza materiale e spirituale e, alleviando le sofferenze materiali del suo popolo, ricostruirà anche spiritualmente la sua

gente, affidandola al Cuore di Gesù nel quale vuole tutto rinnovare ricostruendo la sua nuova Casamicciola. In questo periodo la personalità umana e sacerdotale di Morgera si rivela in tutta la sua molteplice ricchezza: maestro, pastore e padre d’un popolo, al quale offre tutto se stesso fino a donare la sua stessa vita. A lui si rivolgono tutti, non solo i suoi filiani, ma tutti quelli che hanno bisogno di una parola di conforto, siano essi dell’Isola d’Ischia o forestieri, capitati a Casamicciola per la cura dei bagni.

Presidente della giuria del Premio di poesia Ciro Coppola organizzato dall'Associazione Pro Casamicciola Terme

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Caro Raffaele, tu sai quanto me che nel momento in cui una persona cara ci lascia, resta sempre, coniugato al dolore per la scomparsa, il rammarico di non aver avuto poi tutte quelle occasioni, opportunità per poterla capire appieno, pur frequentandola con la parola del dialogo e dell’ascolto, anche in momenti importanti, a nostro sentire, della vita dove le occasioni sono sempre poche perché da dividere con altri e con altre circostanze della quotidianeità relazionale. Un rammarico questo che si materializza in un sentimento di nostalgia che ci porta a ripercorrere sentieri ormai lontani, per recuperare frammenti di un affetto, di un amore, di un’amicizia ancora più sentita se accompagnata dalla stima, sentimento nobile e raro perché disinteressato e motivato solo dal modo di essere e di agire della persona a cui ci si lega in affetto ed amicizia. Giovanni era amabile nei rapporti umani, rispettoso e discreto nel relazionarsi, essere in sintonia con gli altri; una presenza, la sua, degna di ogni attenzione e non solo intellettuale. Tanto il rispetto per il suo motivato impegno, la sua curiosità verso i vari e variegati aspetti delle manifestazioni culturali. Grazie a lui (come non accomunare, coniugare a1 tuo stesso operare) la cultura isolana ha conosciuto e conosce un periodo lungo di presenza autorevole, attenta e partecipe di momenti ricchi di saperi radicati, diversificati; quanti i titoli di pubblicazioni, testi tosti, quanti gli indici della tua, della vostra “La Rassegna d’Ischia”. Conoscendovi so bene il lavoro, tanto lavoro in solitario, quello che c’è dietro questo “tuo figlio unico”; quanti sacrifici e non solo economici, per poterlo far crescere, mantenerlo in vita, pur nella sordina di una realtà che nella più parte privilegia l’apparire all’essere. Giovanni mi è caro, mi è stato vicino sin dai primi momenti che l’ho

Gennaro Zivelli (a sinistra) e Giovanni Castagna

conosciuto; mi ha fatto dono di presentazioni per alcune mie pubblicazioni, recensioni preziose e curate nello studio dei testi, nell’analisi di una lettura attenta, nelle conclusioni che mi trovano del tutto partecipe nella loro declinazione. Giovanni mi è caro nel ricordo del sodalizio con Gennaro, coinvolto in tanti incontri dove si parlava di poesia e si leggeva poesia. Lui non potrà più sentire le nostre parole, noi continueremo a sentire le sue, a leggere il suo pensiero, il suo impegno, la sua ricerca, le sue traduzioni dotte e raffinate. Noi continueremo a parlargli per non dimenticare quanto ha dato in ricchezza e prestigio alla nostra vita culturale; certe voci arrivano ben oltre i confini dell’insularità quando confermano la primazia e la bellezza dell’impegno intellettuale, dello studio e della ricerca certosina che

hanno portato alla nostra attenzione pagine di storia, di letteratura, di avvenimenti artistici e di varia umanità, rivisitate o ricostruite grazie a La Rassegna d’Ischia di Raffaele e Giovanni Castagna. Mi piace ricordare Giovanni come persona amica da ringraziare per il solo fatto di esserci stato in tanti momenti che sono raccolti in una antologia preziosa di ricordi, tanti quante le pagine che ci ha regalato. Caro Raffaele, ti abbraccio con l’affetto di tanti anni in cui sempre, con quella scrupolosa, attenzione, premurosa e puntuale che ti carisma, mi hai dato e a tanti altri hai dato, la possibilità di parlare agli altri che quanto me ti stimano per tutto quanto hai fatto, una cum Giovanni, per la cultura sulla nostra isola (febbraio 2014, Pietro Paolo Zivelli)

.... Ora al subito sparir di tanto raggio, l'immagine cara di lui si è risvegliata nitida nel mio cuore. Ho celebrato una Messa in suo suffragio e spero che mai si spenga in me, finché vivrò, la lampada pia del ricordo. Ti sono vicino, caro Raffaele, e mi unisco al cordoglio con l'affetto e la preghiera (Mons. Camillo D'Ambra) La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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Caro Giovanni La casa, la vecchia casa costruita sulla pietra si apre all’intenso profumo della brezza marina nei momenti di quiete, protegge dal minaccioso e roboante infrangersi delle onde nei giorni di tempesta, porta sui muri e sui davanzali i segni di quanti l’hanno abitata. Porta impresse nelle pareti le vibrazioni delle voci familiari, ancora echeggia del rumore dei tuoi passi, del suono della tua voce. Quando il giorno dopo trovo il vuoto, in quello spazio fisico occupato dalla determinazione, dal respiro, dal calore e dal sentimento e da un sorriso discreto, resto sconcertato. Un buco nella mia rete di affetti, la rottura di un legame, la mancanza di un punto di riferimento, una debolezza, un collegamento in meno nella mia vita. Non riesco ad Iimaginare quel tavolo e quella sedia, che ti vedevano impegnato a scrivere, a riflettere e a immaginare di costruire un futuro prossimo o meno prossimo, consumati dalla polvere. Non posso perché questo è il posto dove non mi sento solo, questo è il posto dove mi sento a casa. Ho il timore di chiamare sul numero di casa e rendermi conto di non poter più ascoltare la tua voce che discretamente mi intratteneva per una breve saluto, mi chiedeva della mia salute, mi passava Raffaele. Certi ricordi restano nitidi nel tempo perché ci pare sempre di essere vissuti a lungo nei luoghi in cui abbiamo vissuto intensamente. Ricordo ancora quando con te ho avuto la fortuna di visitare Villa Arbusto, un complesso che hai trasformato ai miei occhi in una reggia fantastica sospesa tra il mare che la linea d’orizzonte rende infinito e il Monte Epomeo che in una sorte di protezione copre le spalle, rende più forti. Raccontavi con l’entusiasmo di un bambino la trasformazione di questa masseria, i lavori eseguiti alla fine del ‘700 dal duca di Atri, di Angelo Rizzoli nuovo proprietario, dell’acquisto da parte del Comune per farne sede del Museo Archeologico di Pithecusae, un museo che hai aiutato a nascere e a crescere. Ricordo ancora la corsa tra le sale e, tra un frammento di grande olla con motivi decorativi, uno scarabeo di tipo egizio o la più famosa coppa di Nestore, a percorrere un fantastico viaggio nel tempo. Erano i tuoi occhi a tradire la gioia, le tue labbra l’emozione il tuo sorriso a ricordare che ogni felicità è un’innocenza. Ora quei frammenti del passato, immersi in una atmosfera magica fatta di luce e di silenzio, vivono una nuova vita. “La memoria della maggior parte degli uomini è un cimitero abbandonato, dove giacciono senza onore i morti che essi hanno cessato di amare”. Guardo le tue numerosissime ricerche di linguistica e non solo. Penso quanto dobbiamo esserti grati, quanti morti hai richiamato alla vita, quanta storia dell’isola ci hai regalato. Il tuo lavoro schivo, silenzioso, incisivo ha nutrito e continuerà a nutrire il nostro desiderio di conoscenza e quello di coloro che verranno dopo di noi. Ci rende meno soli perché una parte delle tue parole sono dentro di noi, si sono confuse con le nostre e quando le comunichiamo continuiamo a partecipare di te e tu di noi. Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più... Cerchiamo d’entrare nella morte a occhi aperti... (Marguerite Yourcenar) Carmine Negro

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L'isola d'Ischia e le sue piante "già ornamento de' giardini d'Europa" L’Anonimo Oltramontano (Conrad Haller), autore di un’opera sull’isola d’Ischia (Tableau topographique et historique des isles d’Ischia....., 1822), nota in crescita sull’isola una quantità di piante “già ornamento de’ giardini d’Europa”. L’autore si sofferma in varie pagine sull’argomento, con particolare riguardo ai vini di qualità, esportati un po’ dovunque. Inoltre precisa che «la seta d’Ischia è superiore a quella di Calabria; la produzione però non va oltre le necessità locali, come quella del cotone (gossypium herbaceum), migliore di quello che forniscono i dintorni di Torre dell’Annunziata». Grande pregio dell’isola (“un vasto vigneto”), dopo il vino, sono i frutti e particolarmente i fichi, che costituiscono l’alimento quasi esclusivo delle classi povere per molti mesi dell’anno, citando le famose “chioppe”. La vegetazione in generale è rigogliosa, considerata la natura del terreno. «Nel vasto bacino di Campagnano e a Pieo il vitigno si arrampica liberamente sugli alti pioppi, come in Terra di Lavoro, ma nelle altre parti dell’isola si reprime il vigore dei tralci legandoli a pali; nei vigneti bassi si lascia salire la vite, ma la si tiene più giù a mano a mano che il terreno si eleva. Sui poggi che danno il miglior vino, i pali servono solamente d’appoggio a una o due traverse intorno alle quali i tralci s’attorcigliano, avanzano orizzontalmente a destra e a sinistra e formano pergole e pergolati a mezza altezza d’uomo, in modo che il vigneto, visto dall’alto, sembra essere tutto un reticolato. Ogni vigneto è circondato da muri a secco, senza malta, e la maggior parte dei vigneti situati sul pendio delle colline si compone di una successione di terrazze più o meno strette, murate davanti ed elevate a gradi, le une sulle altre. Nei piccoli sentieri che menano a questi vigneti chiusi, lo straniero può andare errando ore intere, come in un labirinto, fra due muri che non gli danno la possibilità di orientarsi. L’uva nera rappresenta soltanto una piccola parte rispetto all’uva bianca. Nei tempi antichi venivano mischiate nel torchio ricavandone un vino chiaretto poco gustato; ma ora si separa non solo l’uva bianca dalla nera, ma anche la precoce e la marcia dall’uva più perfetta, lasciandola leggermente appassire sulla vite stessa o dopo averla colta. In questo modo si ottengono vini di due colori distinti e di diverse qualità. La rarità dello zucchero e la necessità di supplirvi con altre sostanze meno care, favorirono l’introduzione dello sciroppo d’uva e ben presto l’isola d’Ischia ne fornì in abbondanza agli ospedali e agli abitanti della Capitale. Dato che l’uva bianca era più adatta alla confezione di questo sciroppo, i nostri ischitani impararono a separare ogni colore e a stare più attenti ai lavori della vendemmia. Questo miglioramento, una volta adottato da tutti, è diventato costume e per il loro stesso interesse lo hanno seguito anche dopo i cambiamenti politici, che hanno reso lo sciroppo d’uva del tutto superfluo.

I vini d’Ischia, infatti, adesso si vendono molto più facilmente di prima. Per la vendemmia ci si serve di tinelli nei quali si trasporta l’uva. L’uva si pigia nei palmenti in muratura, poco profondi ma larghi, e rivestiti d’eccellente cemento. È abitudine accumulare l’uva di una giornata di raccolta e di pigiarla insieme la sera. Lo stesso palmento, che è servito per quest’operazione, serve anche da torchio, dopo avervi fatto fermentare il vino. L’albero del torchio non ha alcuna vite: s’introduce uno dei capi dell’albero nel buco di un muro laterale del palmento e, sospendendo delle grosse pietre dall’altro capo, si riesce a premere l’uva quasi così bene che con gli attrezzi più complicati in uso al di là delle Alpi. Dopo la seconda torchiatura si mischia tutto il mosto compreso il crovello, e s’imbotta per terminare la fermentazione. In seguito si versa acqua sulle vinacce che restano nel palmento e ciò che ne scorre è il vinello che si fa bere ai braccianti. Ne possono bere in quantità e sono anche ben pagati; mal nutriti, però, ricevono, infatti, dal proprietario solo un pane e pochi pesci salati. Ben poco è il vino rosso, ha, però, forza e colore e i cantinieri di Napoli l’usano per correggere i vini della Terraferma, quando cominciano a guastarsi. A Ischia si produce un po’ di malvasia e del vino dolce, conosciuto sotto il nome di vino lambiccato e spesso serve a dare qualità ad altri vini. Viene preparato facendo filtrare il succo d’uva bianca selezionata attraverso una diecina di maniche di feltro, sospese le une sopra le altre. Gocciolando dalla manica più bassa, il vino è perfettamente limpido e si conserva senza farlo fermentare. I tre quarti dei vini che l’isola d’Ischia produce sono bianchi, secchi, più o meno generosi, ma non di lunga conservazione. Quello che si produce deve esser bevuto subito e il proprietario lo conserva raramente più di un anno. Ecco perché è difficile trovare sull’isola vino di due o tre anni. Il timore di perdere il vino arreca molti torti al coltivatore. Genova e Roma offrivano una volta lo sbocco più sicuro e più notevole ai vini d’Ischia, ma oggi l’esportazione per questi Stati si riduce a ben poca cosa, in seguito ai diritti di dogana sul vino d’Ischia che sono raddoppiati e triplicati. D’altra parte questi vini non sono molto richiesti nel Nord d’Europa, perché non sopportano bene il lungo tragitto per mare. Il povero proprietario dipende quasi esclusivamente dalla Capitale del Regno di Napoli per la vendita del suo vino. [...] Il dolce clima di Napoli garantisce la vite da un’infinità d’accidenti e malattie cui è soggetta nei paesi situati al di là delle Alpi, ma a Ischia, su quest’isola alta ed esposta a tutti i venti, il Libeccio impetuoso, lo Scirocco ardente arrecano spesso danni ai vigneti. La grandine, inoltre, vi causa anche più devastazione che sul continente vicino. È come se il Picco dell’Epomeo attirasse le nuvole tempeLa Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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stose. Quello che è certo è che in nessun’altra parte abbiamo visto scoppiare la tempesta con tanto furore, né sentito rimbonbare il tuono in un modo così spaventoso come a Ischia. Tra i frutti che l’isola produce i fichi meritano il primo posto. Sono d’un gusto squisito e l’alimento quasi esclusivo dei ceti poveri per molti mesi dell’anno. E quelli che non si mangiano quando son freschi, si fanno seccare per l’inverno, ma non si esportano. Di tutti gli alberi fruttiferi il fico è il più produttivo. Una parte dei frutti dello stesso albero matura in estate, il resto in autunno e spesso ancora più tardi. I primi fichi, cioè quelli dei mesi di luglio e agosto, sono più grossi ma meno dolci e meno sostanziosi di quelli che si colgono più tardi. Mentre i primi fichi maturano sull’albero, altri ne spuntano e così di seguito fino a novembre, persino fino a Natale, soprattutto se il tempo permette a questo frutto di giungere a maturazione. [...] A Ischia ogni famiglia un po’ agiata fa la sua provvista di fichi secchi per l’inverno. Le Chioppe (doppie) o fichi doppi sono i migliori fichi secchi. Si scelgono i fichi freschi più belli e vengono tagliati in modo che restino attaccati con il capo e su ogni fico aperto se ne applica un altro aperto allo stesso modo, e si mettono a seccare. I due fichi, conglutinati dal succo, diventano uno solo, ma doppio, piatto e allungato. Spesso vi si frammettono semi di finocchio per dare più sapore. Doo le Chioppe d’Ischia, quelle di Sorrento sono le migliori che abbiamo gustato. Nel vederle per la prima volta, capimmo infine l’epiteto che Orazio, in una delle sue Satire, dà a questo frutto. Fa dire all’onesto Ofello, nel numerare i semplici alimenti che offriva ai vicini: Non pesci cercati in città, ma un pollo e un capretto e poi come frutta uva appesa, noci con fichi doppi 1 . [...] Ottimi frutti sono anche i granati. Pochi sono i meli, ma abbondano peri di molte specie, tra cui uno o due veramente deliziosi e migliori di quelli del continente; ed è lo stesso per peschi, albicocchi, prugni e ciliegi. Un albero assai raro, che si incontra qua e là sull’isola, è il lazzeruolo (crataegus oxiacantha): ve ne sono di due specie. Il sorbo orna i viali delle case rurali. Il corbezzolo (arbutus unedo) cresce spontaneamente; il frutto, chiamato sorbo peloso e corbezzolo, passa nel maturare attraverso tutte le sfumature di verde, di giallo e di rosso sino allo scarlatto. L’albero si trova, nel suo stato selvaggio o piantato, in vari angoli dell’isola, ma non si fa gran caso ai frutti, per lo più mangiati dalla gente povera. Il castagno cresce bene in terreni vulcanici; e l’isola ne è ben ricca, soprattutto sul declivio orientale dell’Epomeo: alcuni sono lasciati crescere per ricavarne frutti, ma altri sono tagliati ogni otto anni. Ci si chiede spesso perché gli Ischioti non si applichino alla cultura degli olivi, albero già ben introdotto sull’isola: se 1 Orazio, Satire: ...non piscibus urbe petitis / sed pullo atque haedo, tum pensilis uva secundas / et nux ornabat mensas, cum duplice ficu.

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ne trovano presso le abitazioni, per utilizzarne quanto basta per la cucina e la tavola. In alcuni luoghi si hanno piccoli oliveti, che danno un buon risultato, e dimostrano che a Ischia si potrebbe ottenere un olio eccellente, paragonabile a quello di Capri e Sorrento. Gli Agrumi, cioè, i limoni e gli aranci sono ben pochi a Ischia, ma, come ogni produzione dell’isola, anche i loro frutti sono perfetti. Gli alberi sono un po’ gracili e piccoli rispetto a quelli di Sorrento. I Limoncelli sono piccoli, ma aromatici e pieni di succo, la scorza, infatti, non è più spessa d’un foglio di pergamena. Si colgono a novembre e dicembre, ancora verdi, perché sembra che si conservino meglio e diano più succo di quanto non ne diano se si lasciano maturare sull’albero. Ogni inverno si esportano una cinquantina di casse di limoncelli e altrettante botti di succo di limone, che è molto più forte di quello che fornisce la Sicilia.

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Corbezzolo

Monte Epomeo visto da Lacco Ameno


Cinema - La Grande Bellezza

di Carmine Negro

Interpretato da un cast di grandi attori italiani il film di Paolo Sorrentino continua a raccogliere forti consensi e numerosi premi internazionali

Sorrentino e la grande bellezza Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato. È un romanzo, nient’altro che una storia fittizia. Lo dice Littré, lui non sbaglia mai. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita (Louis-Ferdinand Céline) I primi fotogrammi del film partono da questa citazione di Céline, tratta dal suo lavoro più famoso: Viaggio al termine della notte (Voyage au bout de la nuit, 1932). In questa opera l’autore critica in modo quasi dissacrante la società e l’umanità attraverso un’esplorazione cupa della natura umana e delle sue miserie quotidiane. Su questa frase di Céline, intrisa di illusione e di realismo, si dipana il film di Sorrentino “La Grande Bellezza”, girato in una Roma imponente ed incantata nella quale i protagonisti sprecano le loro esistenze in feste sfrenate e volgari, in pettegolezzi, in discorsi vacui e ridondanti. Lo spettatore da subito è sospeso tra la bellezza monumentale della Capitale ed un’umanità “desolata e desolante”. *** I vari personaggi che costruiscono il film sono stati ben disegnati e caratterizzati eppure manca quel raccontare una storia, quella creazione di intrecci fra personaggi. Senza una trama nel senso classico del termine, le varie vicende che costituiscono il fluire narrativo del film presentano una propria peculiarità: un affiancamento audace di frammenti di storie che costruiscono un’esposizione più per evocazione che per descrizione. Il panorama struggente di Roma, reso magico da una tersa e calda luce d’estate, incanta alcuni turisti giapponesi: uno di loro si allontana dal gruppo per catturarne la bellezza, punta la macchina fotografica, ma quando sta per scattare la foto, d’improvviso crolla. Uno splendore che persiste oltre l’evento ultimo della vita. Fin dalla prima sequenza la morte è il tema portante di questa narrazione. Jep Gambardella (Toni Servillo) è un giornalista di costume e critico teatrale: intervista donne e uomini celebri per una rivista di grande prestigio. In gioventù si era cimentato nella scrittura con la pubblicazione del suo libro: L’apparato umano. Nonostante

questa sua prima opera fosse stata apprezzata, non ha più scritto altri libri, perché sente che nella sua vita non c’è più nulla in cui credere e comunicare ad altri che vivono come lui. Lo scopo della sua esistenza è stato quello di divenire non solo “un” mondano ma il primo dei mondani, come lui stesso racconta: «Quando sono arrivato a Roma, a 26 anni, sono precipitato abbastanza presto, quasi senza rendermene conto, in quello che potrebbe essere definito “il vortice della mondanità”. Ma io non volevo essere semplicemente un mondano. Volevo diventare il re dei mondani. Io non volevo solo partecipare alle feste. Volevo avere il potere di farle fallire.» Jep è un uomo schietto, ironico e tagliente. Si rende conto che la sua vita è legata ad un’esistenza vuota e frivola e nel rincorrere la grande bellezza sente di essere uno scrittore imprigionato da tempo in un La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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blocco creativo. L’intero film rappresenta una ricerca, a volte esplicita e a volte meno, delle ragioni che hanno portato a questo blocco della sua ispirazione con amare considerazioni: «Siamo tutti sull’orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che farci compagnia, prenderci un po’ in giro». Nel gruppo di amici che Jep frequenta c’è Romano (Carlo Verdone), scrittore teatrale succube di una giovane donna che lo sfrutta, Lello (Carlo Buccirosso) un venditore di giocattoli, sposato, che scarica le proprie frustrazioni frequentando diverse prostitute, Viola (Pamela Villoresi) facoltosa borghese con un figlio pazzo, Stefania (Galatea Ranzi) egocentrica scrittrice radical chic, Dadina (Giovanna Vignola) la direttrice nana del giornale per cui Jep scrive. Altri personaggi popolano l’universo di Jep ed ognuno lo porta a riflettere sulla povertà dei contenuti che scorge in queste feste e a dolorose confessioni: «Mi chiedono perché non ho più scritto un libro. Ma guarda qua attorno. Queste facce. Questa città, questa gente. Questa è la mia vita: il nulla. Flaubert voleva scrivere un romanzo sul nulla e non ci è riuscito: dovrei riuscirci io?». Una mattina, quando torna da una delle solite insignificanti feste, davanti alla porta di casa incontra Alfredo (Luciano Virgilio) il marito di Elisa, il suo primo e forse unico amore. Sua moglie è morta lasciando un diario in cui narra dell’amore, mai perduto, per Jep. Il marito che è stato un semplice surrogato per 35 anni, nient’altro che “un buon compagno” dopo aver dichiarato di voler continuare a vivere in adorazione della moglie ben presto troverà consolazione al suo dolore nell’accoglienza affettuosa della sua domestica straniera. Un incontro particolare è certamente quello con Ramona (Sabrina Ferilli) che rappresenta l’incontro con il suo opposto. L’anima di Jep si decompone, il corpo di Ramona sta morendo. Lei è malata e lavora con il corpo, per 38 La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

Sabrina Ferilli, Toni Servillo, Giorgio Pasotti

Roberto Herlitzka e Toni Servillo

curarlo e non morire. Ha sempre incontrato solo persone interessate al suo corpo. L’incontro con Jep la sorprende: è la prima persona che incontra interessata alla sua anima. Il tema della morte che ritorna. Dopo il turista giapponese, Alfredo che gli comunica la morte del suo amore giovanile, il figlio di Viola che si suicida, c’è Ramona. In un atelier diventato mausoleo lui l’accompagna a scegliere il vestito adatto per un funerale, descritto come appuntamento mondano per eccellenza. La vestizione di Ramona, che morirà poco dopo, è il racconto della sua morte. Il regista utilizza spesso allegorie iconiche per raccontare altro,

così che ciò che vediamo ci consente di conoscere ciò che non vediamo. Questi eventi e il compimento del suo compleanno spingono Jep a una lunga meditazione su se stesso e sul mondo che lo circonda. «La più sorprendente scoperta che ho fatto subito dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare!». È quello che pensa quando cammina per piazza Navona dopo aver abbandonato il letto di Orietta (Isabella Ferrari), una donna ricca, malata di noia e del culto narcisistico della propria bellezza. È quello che risponde a Stefania che ha rivendicato orgogliosa di essere


«donna e madre» che fa i «salti mortali» per riuscirci scrivendo «undici romanzi di impegno civile e il libro sulla storia ufficiale del partito». La risposta di Jep è puntuale e spietata: «La storia ufficiale del partito l’hai scritta perché per anni sei stata l’amante del capo del partito. I tuoi undici romanzi pubblicati da una piccola casa editrice foraggiata dal partito, recensiti da piccoli giornali vicini al partito, sono romanzi irrilevanti. L’educazione dei figli che tu condurresti con sacrificio... Mia cara tu lavori tutta la settimana in tv, esci tutte le sere pure il lunedì quando non si manifestano neppure gli spacciatori. Hai un cameriere, un maggiordomo, un cuoco, un autista che accompagna i bambini a scuola, tre baby sitter ... Come e quando si manifesta il tuo sacrificio?» Il breve monologo ristabilisce un punto di verità sulle scelte di vita fatte da Stefania, risponde al lungo soliloquio auto-incensante. Una risposta talmente ben piazzata e recitata da Servillo in modo così convincente da lasciarla senza parole e costringerla ad abbandonare la scena.

Iaia Forte

*** Inquadrature e virtuosismi tecnici rendono eccezionale l’uso della fotografia, la musica sacra affascina e incanta e la disco music, con la versione remixata da Bob Sinclair A far l’amore comincia tu, frastorna e stordisce. La visione del film non lascia indifferenti, coinvolge i sensi regalando straordinari, poetici e vi-

Toni Servillo

Cast tecnico

Regia : Paolo Sorrentino Sceneggiatura: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello Musiche: Lele Marchitelli Fotografia: Luca Bigazzi Montaggio: Cristiano Travaglioli Scenografia: Stefania Cella Costumi: Daniela Ciancio Soggetto: Paolo Sorrentino Cast Toni Servillo - Carlo Verdone - Sabrina Ferilli - Isabella Ferrati - Giorgio Pasotti - Luca Marinelli - Carlo Buccirosso - Giorgia Ferrero - Pamela Villoresi - Iaia Forte - Galatea Ranzi - Anna Della Rosa - Giovanna Vignola - Roberto Herlitzka - Massimo De Francovich - Massimo Popolizio - Giusi Merli - Franco Graziosi - Serena Grandi - Dario Cantarelli - Ivan Franek - Anira Kravo - Sonia Gessner - Giulio Brogi - Vemon Dobtchneff - Angelia Borghese. Dati Anno: 2013 Nazione: Italia Distribuzione: Medusa Data uscita in Italia: 21 maggio 2013

Sabrina Ferilli

sionari momenti di cinema. E alle critiche più spietate che accusano il film di essere un lungo e interminabile trailer privo di trama e di sceneggiatura si potrebbe obiettare che proprio questa è la “forma” della nostra vita sociale, liquida e frammentaria, priva di qualsiasi trama o disegno coerente. In una entusiasta recensione l’intellettuale americano Dwight Macdonald, inventore del concetto di midcult, scriveva che si tratta di un film che ha molte sfaccettature: storico, sensuale, lirico, arguto, satirico … Jep a 26 anni lascia la sua città natale, un’isola del sud, e ciò che ha realizzato, il suo primo romanzo, L’apparato umano che Suor Maria “La Santa” (Giusi Merli) uno degli ultimi personaggi a comparire nel film, definisce bello e feroce come il mondo degli uomini La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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per ricercare la grande bellezza. La locuzione che è poi il titolo del film è interessante perché l’aggettivo “grande”, termine oltremodo relativo a chi lo pronuncia o proclama, è associato a “bellezza”, un concetto di per sé vago e astratto. A Roma diventa il protagonista della mondanità, perdendosi in un labirinto di umanità fatta di persone oziose e senza obiettivi, che si aggirano inutilmente in feste e festini danzanti, di personaggi inutili che hanno più a cuore l’apparire che l’essere. Il film di Paolo Sorrentino diventa un viaggio, una ricerca, una via di uscita dal torpore esistenziale delle feste romane, «i cui trenini sono i più belli perché non portano da nessuna parte» e dai ritrovi di loschi maghi del lifting, chirurghi plastici venerati come santoni. E la stessa ricerca di un interlocutore valido, sotto l’aspetto spirituale, come il Cardinale Bellucci (Roberto Herlitzka) mostra che un certo clero è più interessato alla mondanità che alla propria missione pastorale. Il vescovo alla confidenza del protagonista sulle sue inquietudini spirituali si allontana o cambia discorso parlando di carne e vino. La suora, soprannominata “la Santa”, invece mangia radici e dorme per terra. Proprio lei in una scena suggestiva raduna attorno a sé bellissimi uccelli di cui dice di conoscere «il nome di battesimo», e li fa volare soffiando loro sopra, nell’alba. È lei a chiedere a Jep perché non ha più scritto un libro, è lei che gli spiega che mangia solo radici perché le radici sono importanti. Sarà questo riferimento alle radici, sarà che finalmente accetta di andare a scandagliare per il giornale il fallimento di un’intera società che nel film viene simboleggiato proprio dal grande scheletro della Costa Concordia, adagiato di lato sul fondale prospiciente l’Isola del Giglio, sarà la perdita di un’amicizia

per lo scrittore Romano, sarà la morte di una persona cara come Ramona, per cui sceglie di tornare indietro, agli inizi, quando i tempi erano colmi di speranza nella vita. E sulla nave di ritorno rivive i momenti di un amore giovanile interrotto che sa di morte. Anche il corpo e il viso della santa, tesi nello sforzo di salire una scala che dovrebbe garantirle l’indulgenza per sfuggire alle fiamme dell’inferno, sembrano spasimi di morte. «Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c’è l’altrove. Io non mi occupo dell’altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco». Per Sorrentino «Le ambizioni ed il tono del

“Viaggio al termine della notte” hanno ispirato molto questo film. Questo libro non è solo una critica alla società e all’umanità, è anche il più grande tentativo di conoscere l’uomo nelle sue bassezze e come dentro le sue bassezze si possa mirare alla bellezza. L’autore fa delle memorabili descrizioni di gente umanamente e moralmente miserabile che però è portatrice di bellezza». Carmine Negro

Oscar, "La grande bellezza" miglior film straniero Con Paolo Sorrentino la statuetta in Italia a 15 anni da "La vita è bella" di Benigni 40 La Rassegna d’Ischia n. 1/2014


Il protomedico Francesco Buonocore e il termalismo a Ischia nel Settecento

Un inedito Francesco Buonocore emerge dalle pagine di Luigi Ziviello Francesco Buonocore, figura emblematica della cultura scientifica ed umanistica del 700, rivestì un ruolo determinante come protomedico del Regno di Napoli e primo medico di Camera del Re Carlo di Borbone e del suo erede Ferdinando IV. L’8 agosto 2013, presso lo stabilimento termale militare di Ischia, è stato presentato il libro dell’architetto Luigi Ziviello intitolato Il protomedico Francesco Buonocore - il termalismo a Ischia nel 700. Nel testo sono presenti numerose novità ed importanti scoperte sulla vita del Buonocore che possono chiarirci i vari aspetti della sua prestigiosa carriera. La sede scelta per l’evento è di certo la più adatta per comprendere la personalità del nostro insigne concittadino. Infatti, fu proprio su quella collinetta, nota come il bosco dei Polverini (sopra la Piscinella, ossia sopra i bagni di Fornello e Fontana) che egli decise di costruire il suo palazzo. Il Buonocore era intenzionato a lasciare il segno del suo prestigio proprio nel luogo natio da cui era partito e che era

stato, per quasi un secolo, la residenza della famiglia Buonocore che lo possedeva come enfiteuta dei Signori Polverini. Nell’anno 1740, il medico riuscì a concludere una compera di grande importanza per 2325 ducati, con la quale tutti i terreni ischitani dei Polverini divenivano di sua legittima proprietà. La conferenza si è svolta nell’androne della Villa Reale dove un folto, attento e preparato pubblico ha potuto, nell’attesa, osservare la bellezza del luogo reso più incantevole dai colori di una tipica serata estiva ischitana. Il panorama non è più lo stesso di allora: possiamo solo immaginare come si presentasse grazie ai dipinti dell’epoca. Tuttavia, ancora oggi conserva tutto il suo fascino. Il presidente del Centro Studi di Ischia, Antonino Italiano, ha letto l’iscrizione di un’epigrafe del Mazzocchi (1), voluta dal Buonocore e posta all’entrata del palazzo, e che qui riportiamo nella sua interezza: “Villa di Francesco Buonocore, costruita fin dalle fondamenta colle grandi ricchezze che aveva acquistato in Ispagna colla perizia della sua arte e per la munificenza di re e principi”, Poi seguivano i seguenti versi: “Non oltrepassare, viaggiatore, già viene la sera. Fermati. Né ambisco ospiti regali, né caccio dalla porta gli umili. Da questa villa suburbana sia lontano soltanto ogni inganno e siano lontani i malvagi, i ladri e l’avvocato”. Dopo alcune riflessioni, il presidente fa notare che, prima che lo Ziviello pubblicasse il suo libro, si pensava di conoscere quasi tutto sulla vita del Protomedico, grazie soprattutto alle numerose ricerche svolte dal fondatore del Centro Studi (Onofrio Buonocore) prima e dal Buchner poi. Si trattava però di notizie che provengono essenzialmente da fonti indirette. Il merito della ricerca di Luigi Ziviello è nell’aver trovato fonti vicine al nostro protomedico e persino delle lettere scritte di proprio pugno. Dalla lettura emerge “il tratto intimo e personale e a volte perfino struggente di Francesco Buonocore, immerso nella intricata realtà della vita di corte, tra insidie e rivalità dalle quali dovette guardarsi per non soccombere. Diede prova di possedere una acuta intelligenza diplomatica e anche di essere mordace e irruente con i propri avversari”. La Prof.ssa Manuela Sanna, Direttrice dell’Istituto del ISPF-CNR, ha descritto il metodo di studio utilizzato La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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dall’autore, le scoperte fatte e l’importanza del libro, in cui sono state corrette le date errate del Nicolini relative alla nascita e morte del Buonocore. Il libro dedica anche ampio spazio al termalismo e alla sua importanza nel '700. Le terme erano come dei salotti mondani dove gli intellettuali del tempo, soprattutto i medici, potevano scambiarsi informazioni, metodologie e nuovi strumenti (2). L’autore descrive le parti salienti del suo scritto attraverso delle diapositive, in cui vengono mostrati un quadro di Giacinto Gigante, raffigurante il casino del Buonocore che domina sul lago, e importanti personaggi dell’epoca che hanno interagito e segnato la vita del Buonocore (3). Descrivendo la figura di quest’ultimo, afferma che il Buonocore fu un uomo dalla personalità complessa, talvolta irruente, decisamente sarcastico, ma indubbiamente un uomo di potere. Riuscì, infatti, a conservare, per circa 40 anni, la più alta carica che potesse essere ottenuta da un medico, liberandosi di volta in volta di diversi concorrenti. Molti personaggi illustri dell’epoca elogiarono il Buonocore per le sue molteplici qualità; non era dello stesso avviso il marchese Bernardo Tanucci che lo dipinge come un uomo che trama ed un ingannatore. L’autore fa notare che il Tanucci, in generale, era prevenuto verso i Napoletani; in particolare, l’odio mostrato nei confronti del Buonocore era dovuto essenzialmente a ciò che Ziviello ha definito antagonismo di carattere culturale. L’autore conclude la sua esposizione mostrando il Buonocore in una nuova veste, informandoci di quanto fu importante il suo contributo nelle sorti della guerra contro gli Austriaci. Infatti, egli riuscirà a salvare la vita del proprio re e di conseguenza il suo regno. L’episodio viene narrato dallo stesso Buonocore in una lettera inviata al duca di Sora: “Il nemico alle 5 della mat-

tina è entrato con 4000 e più soldati e se non fosse stato avido della preda haverebbe fatto senza dubio prigioniero il nostro Re. Io correndo a palazzo insieme con il marchese di Villafuerte havemo fortemente bussata la porta, l’havemo fatto vestire e poi a piede è corso per lo giardino nel campo insieme con tutta la scorta sopravvenuta” (Velletri, 11 Agosto 1744). Al termine della conferenza, l’unica domanda che è stata posta all’autore riguardava la possibilità di ritrovare un ritratto del Bonocore. Lo Ziviello in proposito è ottimista. Nell’attesa riportiamo i versi di Bartolomeo Donato che, come ha fatto notare il Buchner “potrebbero stare benissimo sotto un suo ritratto”: FRANCISCUS BONOCORIUS

REGIS, REGNIQUE ARCHIATER.

QUI MORBOS ARCERE VALET, QUIVE ABDITA CAECIS FARMACA VULNERIBUS SAEPE PARARE SOLET.

INDICAT EN VULTU QUANTA EST SAPIENTIA MENTI; QUANTA ILLI EST BONITAS MORIBUS IPSE DOCET.

INGENII EX OCULIS DECOR EMICAT, ATQUE VENUSTAS FRONTIS LANGUORES, TRISTITIAMQUE FUGAT,

REGIS VITA TIBI CONCREDITUR; ERGO SALUTEM REGNORUM TUA NUNC ARS OPEROSA REGIT. (4)

Note

1) Il Mazzocchi, famoso epigrafista, compose ulteriori versi per il casino del Buonocore. 2) In una lettera a Micheli, “Buonocore si fa portavoce della richiesta di Cirillo di un termometro”. 3) Cirillo, Vico, Pier A. Micheli, Giovanni Targioni Tozzetti ecc. 4) Tratto da Otia Sebethi ac Sabbati sive Heroes Monarchiae Caroli Borboni Illustriores (Stephanus Abbas, Napoli 1738).

Giacinto Gigante (1806.1876) : Porto d'Ischia

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Gianni Matarese


Insieme a Forio nell'isola d'Ischia

... Ad un tratto, improvvisamente, un gelido vento di maestrale... di Gaetano Ponzano Il cinque Novembre 1962, dopo dodici anni facevo ritorno, in compagnia della mia amata Maria Fiore, mia moglie da sette giorni, sull'isola d'Ischia, nella mia Forio. Ci trovavamo su di un piroscafo, adibito per il trasporto sia di merci che di passeggeri, in partenza da Napoli, molo Beverello. In un primo tempo prendemmo posto sulla sommità del piroscafo, all'aperto, comodamente seduti, mentre osservavamo, verso sinistra la maestosità del Vesuvio, e l'andirivieni di pallidi raggi di sole: la giornata si proponeva anche alquanto ventosa. Mentre amorevolmente osservavamo tutto ciò, io iniziai a preoccuparmi poiché, pur essendo ancora ormeggiati al molo, la nave oscillava, dondolando vistosamente. A quel punto convinsi mia moglie a scendere nella sala interna. Saggia fu la mia decisione, poiché appena salpati e usciti dal porto il piroscafo iniziò sia ad ondeggiare che a beccheggiare vistosamente. Io sapevo di non soffrire il mal di mare, ma la mia consorte soffriva e pertanto i miei timori e preoccupazioni per lei aumentavano. Le sue sofferenze crescevano vistosamente, l'acqua delle onde del mare, agitatissime, sotto lo sferzare di forti raffiche di vento, entravano dalla prora del piroscafo, per uscire dalla poppa. Cercai di tranquillizzarla, dicendole che al primo approdo sull'isola d'Ischia, saremmo scesi, senza arrivare fino all'approdo nel porto di Forio. Le mie parole la tranquillizzarono solo in parte, poiché continuava a star male. Finalmente, dopo tante indicibili ansie e trepidazioni, e una turbolenta navigazione, giungemmo nel porto d'Ischia. Appena sbarcati sul molo, messo piede a terra, come d'incanto il mal di mare e tutti i disturbi collegati svanirono, e subitamente iniziammo ad apprezzare tutte le bellezze dell'isola. Prendemmo una motocarrozzetta, per arrivare a Forio e comodamente seduti, ci guardavamo in volto stupiti e io ero sconvolto da quello di Maria: raggiante e felice. Io cercavo di farle da 'cicerone', anche se mancavo dalla mia mitica isola da dodici anni. Il conducente della motocarrozzetta procedeva a bassa velocità e a tratti interveniva anch'egli nella spiegazione di alcuni luoghi. Così, ad andatura moderata, viaggiavamo tra ville, alberghi, belve-

Forio - Veduta dal mare

Forio - Il Torrione

deri sul mare e fiori multicolori, dai profumi inebrianti, mentre io parlavo anche di me, della mia famiglia e di mio padre. Ad un certo punto, il conducente, avendo sentito nominare mio padre, fermò la motocarrozzetta, e rivolgendosi verso di me: voi siete forse il figlio del maresciallo Ponzano?...Venuto a conoscenza del fatto che io ero veramente il figlio, scese dalla motocarrozzetta: Voi siete 'padrone' di tutto, non dovete preoccuparvi di nulla, provvederemo a tutto noi, il vostro soggiorno a Forio, in viaggio di nozze, dovrà essere senza la minima preoccupazione né per voi, né tanto meno per la vostra sposa, questo è il minimo che possiamo fare, per onorare la persona integerrima quale era stato vostro padre, il Maresciallo Ponzano. Dettomi tutto ciò che poteva o voleva dirmi, con particolare moderata andatura riprendemmo il nostro itinerario di avvicinamento a Forio. Ormai il conducente mi aveva sostituito come cicerone. Ci trovammo così a percorrere un lungo tratto di strada, quella di Cavallaro, alberata di oleandri odorosi, sulla sommità della quale si poteva scorgere a mo' di cartolina illustrata, un panorama mozzafiato: scorgevamo un dolce declivio verdeggiante cosparso qua e là da basse casette multicolori che La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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dolcemente giungevano fino al nucleo abitativo della mia mitica Forio, con sullo sfondo, a picco sull'azzurro-verdeggiante distesa marina, la candida chiesetta della Madonna del Soccorso, con le sue croci lignee e il maestoso portale. All'orizzonte, dopo aver cinto in un caloroso abbraccio sia la chiesetta della Madonna del Soccorso che tutta la costa, baciata dalla variegata distesa marina, incantevole con tutti i suoi profumi, solcata qua e là da piccole leggere barchette che dolcemente venivano cullate dalle onde: visione mozzafiato! Eravamo esterrefatti da cotanta bellezza fino al punto che la mia consorte, a stento, emozionata, si espresse così dicendo: ma questi luoghi sono il Paradiso celeste sulla terra! Io, dolcemente, stringendo affettuosamente le sue tra le mie mani le sussurrai: di questi scorci paradisiaci sull'isola d'Ischia ce ne sono molti. Giungemmo così sulla litoranea che conduceva al centro di Forio. Dopo aver superato la vecchia, ormai in disuso centrale elettrica, sulla nostra sinistra, percorrendo la litoranea alberata da piante medio-alte, tutte colme di fiori profumati di oleandri, nonostante il periodo autunnale in cui eravamo, e con la brezza che dal mare spettinava i capelli giungemmo nella piazzetta, dove l'omonima chiesetta di San Gaetano, alcuni piccoli bar-ristoranti e un'agenzia turistica la circondavano rendendola caratteristica ed accogliente. Il conducente della motocarrozzetta soffermò la sua andatura, senza fermarsi, ed espresse l'intenzione di condurci fino alla piazzetta attigua all'abitazione della signora e del professor Luigi Polito: Largo Rosa Thea. Dopo aver voltato a destra, nel Corso Umberto I, una strada ciottolata con grosse pietre grezze, e dopo aver superato la piazzetta con una piccola fontana di pietra, al centro, con sul lato sinistro bar storici, caratteristici con relativi dehors, giungemmo nei pressi dell'abitazione della famiglia Polito. Il conducente della motocarrozzetta ci aiutò a scendere e, prendendoci l'unica valigia che avevamo, ci precedette avviandosi, salendo la lunga scalinata che ci avrebbe condotto dinanzi all'uscio di casa, e nel mentre rivolgendosi verso di me: Sig. Ponzano, voi non dovete preoccuparvi di nulla, pensiamo a tutto noi, voi qui siete padrone di tutto. Bussato alla porta, ci aprì la signora Polito che, solo nel vedermi, mi riconobbe immediatamente, dicendomi: ma tu sei Gaetano, siete in viaggio di nozze? Bene ora siete nostri ospiti, siete a casa vostra. Guardandomi attentamente: ma tu Gaetano, non sei affatto cambiato, sei identico a quando eri piccolo. Come è bella la tua sposa Maria, siete veramente una bella coppia. Fummo accolti con molto calore sia dalla signora Polito che da suo marito, il professor Luigi Polito. La famiglia Polito era composta, oltre che dai genitori, da quattro figli: Enzo, Giovanni, Lia e Rosatea. La mia Maria socializzò subito, sia con la signora Polito che con le figlie Lia 44 La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

e Rosatea. Frattanto, io ero trattato e considerato come un 'figlio aggiunto', stimato e amato come tale. A sera ci venne offerto, come era loro costume, di occupare la loro camera matrimoniale, come augurio propiziatorio di una lunga vita felice insieme. Dopo averli a lungo ringraziati, ci ritirammo, nell'alcova, elegantemente e finemente arredata. L’indomani ci destammo con il chicchirichì di un gallo che cantava nella piccola aia adiacente la casa dei Polito; erano le sette e trenta del sei novembre 1962. Decidemmo io e la mia giovane moglie Maria di uscire per una breve passeggiata, ci recammo in via Sopra Scaro, dove avevo abitato ed ero nato, e giungemmo così sulla balconata murale che s'affacciava sul vasto arenile di finissima candida sabbia, con sulla sinistra il molo antico con il maestoso faro dalla luce scandita con intermittenza e numerose barche multicolori di svariata stazza, alcune adagiate sul bagnasciuga, altre ancorate in mare, accarezzate da piccole onde che le cullavano. Ad un tratto, improvvisamente un gelido vento di maestrale, proveniente da nord-ovest, ci avvolse con tutti i suoi potenti sbuffi; i nostri volti vennero sconvolti e raggelati dalle potenti folate. Il mare, da calmo iniziò ad agitarsi e ben presto da azzurro-verdeggiante divenne azzurro-cupo, con onde dalla sommità coronata da candida spuma che emanava nell'aere una moltitudine di spruzzi salmastri. Il freddo maestrale ci avvolgeva interamente. Istantaneamente, così manifestai la mia ammirazione, per tali infinite sensazioni che scorgevo in mare, sconvolgendo il mio animo... e nacque:.... La Burrasca Riluceva la scogliera sotto gli argentei raggi della pallida luna che baciava i marosi che s'ergevano imperiosi spumeggianti ed impetuosi, trasportando qua e là le barchette alla deriva. Gaetano Ponzano

Forio - La candida chiesetta della Madonna del Soccorso


Colligite fragmenta, ne pereant

Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’Ischia A cura di Agostino Di Lustro

La Chiesa e il convento francescano di S. Maria delle Grazie o dell'Arena III

Continuando ad esaminare il fascio 5227 del fondo Corporazioni Religiose Soppresse, che stiamo indicando sempre con la sigla: C.R.S. dell’Archivio di Stato di Napoli, che fa parte della documentazione proveniente dal convento dei frati Conventuali di Santa Maria delle Grazia o dell’Arena fuori del borgo di Celsa sull’isola d’Ischia, notiamo che esso ci fornisce alcune indicazioni sulle entrate pervenute al convento nella seconda metà del secolo XVI. Pertanto dall’inventario dei beni e delle rendite dal 1560 al 1592 possiamo ricavare il seguente quadro riassuntivo delle rendite del convento: Anno Ducati 15601 56- 1-46 ?2 78- 2- 6 15893 108- 0- 11 15904 66- 2- 0 1592 119- 2- 0 15925 48- 5- 28 ( riscossioni ) Inoltre possiamo ricostruire in parte l’archivio e il patrimonio immobiliare del convento attraverso il fascio 5228 dello stesso fondo archivistico citato. Infatti questo presenta un lungo documento su questo aspetto particolare, dopo aver presentato una breve memoria sulla fondazione del convento. Esso così comincia: «Reassunto di tutti gl’istrumenti in carta pecora che si ratrovano in convento di Santa Maria delle Grazie d’Ischia, per tutt’oggi 20 agosto 1699. Si avverte che tutti istrumenti stanno segnati fuori con l’abbaco, incominciando dal 1, 2, 3 e seguito, onde quando in questo libro si trovarà nella fine del reassunto, numero 10 verbi gratia, si dinota quell’istromento in carta pecora con lo detto numero. Elaborato nel governo del molto Reverendo padre Maestro Clemente Bellabona di Napoli». Sarebbe molto interessante per la conoscenza della toponomastica, e anche dell’aspetto fisico di parecchie zone dell’Isola d’Ischia, riassumere il contenuto di questi documenti: Mi limito a trascriverne solo qualcuno che mi sembra 1) Compilato da fra Antonio d’Ischia (C.R.S. n. 5227 ff. 94-97). 2) L’anno non è indicato. È stato compilato da P. Francesco Mineo (ibidem, f. 98 ). 3) Compilato da fra Giovanni di Nola (ibidem, ff. 108-110). 4) Compilato da fra Gironimo d’Ischia. 5) Compilato da fra Giovanni Antonio da Nola guardiano (ibidem, ff. 114 e 115 ).

maggiormente interessante, dopo aver sottolineato che le pergamene qui citate sono ben cinquantotto. Il 13 dicembre 1557 il guardiano fra Vincenzo Balestriero di barano e gli altri padri, concedono in enfiteusi a Giacomo Monte di casamicciola due terre seminatorie ubicate nella stessa Casamicciola: una di mezzo moggio all’Arvanello a Boceta presso i beni della chiesa di S. Pietro a Pantaniello e S. Antonio della città e l’altra di un tomolo a Boceta con obbligo di pagare carlini otto il 1° novembre: L’atto viene rogato per notar Luca Marzia «di Mataloni, cittadino Isclano»6. Il 9 gennaio 1582, per notar Giovanni Aniello Mancusi, il guardiano fra Donato Loise di Caposele e gli altri frati, censuano alla vedova D. Costanza Caracciolo «un territorio sterile e orticello murato con piede di fico e granato, dove si dice l’Arso presso una pietra grossa, per scudi otto l’anno con patto che, volendo fabricare non bisogna fare finestre»7. Il 16 ottobre 1603 per not. Giavanni Aniello di Francesco, il P. Pietro di Maio concede in enfiteusi a mastro Nicola Capuano di Forio per ducati cinque una terra arbustata e vitata di tre quadre con casa terranea e palmento nel «loco dove si dice lo Scentone presso i beni del quondam Paulo Monte, Giovan Giacomo Capuano e via publica»8. Il 4 luglio 1605 Silvestro di Maio, erede di Tomasino di Maio di Forio, essendo debitore nei confronti del convento per ducati ventuno per frutti decorsi di un censo sopra una «casa terranea con astrico a sole cortile piscina cantaro forno con giardino» ubicati a Forio «a le cerque seu Casa di Maio presso i beni di Andrea di Maio, eredi di Agostino di Maio e di Giacomo Sportiello, via pubblica si impegna a pagare ducati ventuno in diverse rate come di stabilito per atto del not. Giovan Domenico Vitale»9. Il 14 maggio 1646 il guardiano fra Innocenzo di Napoli e gli altri frati danno a censo di cinquanta ducati a Bartolomeo Ferraro di Forio, di mestiere speziale, sopra un «magazzeno terraneo e una camera con astrico a sole sito dove si dice la Caccavaro, e nel detto magazzeno il detto Bartolomeo ci tiene la spezieria»; paga di censo ogni anno ducati cinque come per atto del not. Scipione Calosirto10. Scipione Vitale di Ischia vende a Salvatore Borrello, anche lui di Ischia, due territori «uno seminatorio con arbori frut6) Ibidem, f. 137. 7) Ibidem, f. 140. 8) Ibidem .f. 145. 9) Ibidem , f. 145. 10) Ibidem, f. 164 r. e v.

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tiferi et un boschetto da far legna di quarte sette» ubicato in Ischia «a lo Monte di Campagnano», un sambuco da bosco e da capra per il prezzo di ducati centocinquantacinque. «Non si mette giorno, ne mese, ne anno, perche non si puo leggere. L’istromento l’ha rogato notar Giovanni Aniello Mancuso d’Ischia ut in numero 57»11. Sebbene si riferisca ad un periodo molto tardi, tuttavia per le vicende del patrimonio immobiliare del convento assume particolare importanza questa «fede» che ci presenta la situazione di una proprietà del convento e dei beni da essa prodotti. Per il periodo dal 1796 al 1802 i frati hanno fittato un terreno per cui il padre guardiano e gli altri frati fecero fare una «perizia» o inventario di quanto si trovava nel terreno che veniva fittato. Tale fondo era ubicato in Ischia alla «Mandra», al confine dell’Arso, lungo la strada pubblica. ll terreno si estende per misurelle 32 delle quali sei sono vitate e sei paludosi. Gli aumenti, già realizzati nel fondo, vengono valutati ducati 138; le viti vecchie numerate ad una ad una sono in tutto 1350, quelle nuove, anch’esse numerate ad una ad una sono 200 di numero. Inoltre in questo territorio troviamo: «piedi di percoche, e pomi tra piccoli e grandi numero 115; piedi di crisomole piccoli n. 3; delli piccoli e grandi n. 57; un piede di cetrangolo agro e tre piccoli numero 4; un sorbo; piedi di fichi piccoli e grandi n. 16; pioppi tre piccoli e grandi numero 22; piedi di celsi numero 5, cioè due grandi e tre piccoli; ceppe di granate numero 7, cioè uno mezzano e sei piccole; finalmente due ceppe di canne, in tutto ducati 102 Criscienzo di Meglio»12. Altro documento molto indicativo che getta uno sprazzo di luce anche sul modo di gestirlo da parte dei frati, e supratutto dei vari padri guardiani che si sono succeduti nel tempo, i quali non sempre sono stati scrupolosamente attenti alla salvaguardia dei beni del convento, ci viene da un frate molto attento a questa problematica. Infatti egli ha compilato il fascio 5382 del fondo C.R.S. dell’Archivio di Stato di Napoli che così intitola: «Platea di questo convento di Santa Maria delle Grazie fatta dal Molto Reverendo padre maestro Garofalo nell’anno 1756». Egli ci presenta alcune notizie sia sull’archivio che sulle vicende della gestione del patrimonio fondiario. Archivio di Stato di Napoli Fondo: Corporazioni Religiose Soppresse Fascio 5382 f. 1 r. In questa Platea si chiamano i libri dove si trovano l’istrumenti, o fedi di essi, quali libri si conservano nell’archivio del convento, dove ancora si conservano le carte in pergameno, che si chiamano in Platea. Li quali libri sono segnati tanto sopra, quanto in essi colle seguenti Lettere, che si citano e chiamano in questa Platea, cioè libro Lettera A = Libro lettera B = Libro lettera H= Libro lettera E= Libro lettera J = Libro lettera O = Libro lettera U Libro degli strumenti= Libro degli affitti che in tutto sono libri nove che 11) Ibidem, f. 164 v. 12) Ibidem, fascio 52 31, f. 212 v.

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si conservano dal Convento segnati nella sudetta maniera e vi si conserva ancora il libro della tabella delle Messe; qual libro si cita anche nella presente Platea. f. 1 v.

Avviso

Sia noto a tutti i Guardiani pro tempore, e a religiosi stanzianti in questo convento, come per la poco, o niuna attenzione de’ Guardiani di detto convento in notare nella Platea vecchia i nomi de debitori del convento, quando succedevano i nuovi, o di notare nella restituzione di qualche capitale con chi si rimpiazzava, come ancora il nome del Notaro, che strumentava, e nell’anno si strumentava, tutto ciò è stato cagione che il convento ha perduto molti capitali, e per recuperarne alcuni si è dovuto fare molta fatica in ritrovare gl’istrumenti a caso, per evitare in tempo futuro un tanto male si e impetrata dal regnante sommo Pontefice Benedetto XIV una Bolla contra tutti i guardiani, che pro tempore saranno di questo convento, e contro tutti gli stanzianti, e privi della voce attiva, e passiva , e da non potersi assolvere che solamente dal Papa contro tutti li Religiosi stanzianti, in detto convento se saranno trascurati per lo spazio di giorni quattro compiti di notare, e registrare nella Platea del convento i nomi delli debitori, che succederanno a quelli cui sono notati, come ancora se trascuraranno di notare i capitoli con chi sono stati rimpiazzati, e sopra gli fondi sono stati, come ancora se trascureranno di notare i capitoli con chi sono stati ipotecati, e per mano di quale Notaro sono stati fatti gli strumenti, et in quale anno come appare tutto ciò, et altro dalla sudetta Bolla emanata a 18 Febbraro del 1754, e si conserva in carta pergamena segnata col numero 58 nell’Archivio del convento. Inoltre il fascio 5358 presenta un quadro sinottico di tutto il patrimonio immobiliare del convento. Credo sia utile riassumerlo e presentarlo in questa sede soprattutto perché ci vengono indicate le notizie fondamentali dei vari appezzamenti di terreno e delle case che fanno parte del patrimonio del convento. Da Francesco Buonocore per massaria di moggia 3 ½ sui suoi beni, duc. 26; da Giuseppe Lauro per territorio di un moggio ortalizio detto «La Pezza o Le Pezze», duc. 5; da Marino Lanfreschi per casa terragna a terrazappata: «la prima casa terragna a mano manca posta sul pontone quando si va da terra zappata a Casa Lauro sopra la quale sta una casa con astrico a sole» carlini 37; dalle Monache per magazzino e casa sopra a Celsa, duc. 7 e tarì 4; su territorio a Formicasa a Barano carlini 13; da Antonio e Alessando Penniello sopra magazzino a Celsa presso la «Torre della Città», duc. 6; da Giuseppe Sirabella per «un’aria seu sito di casa con azione di gradiata a Terrazappata sopra del magazzino del convento» carlini 5; dalla eredità dei Matarese, dai beni di Mascambruno come successori dei d’Avalos ; da Caterina Colonna per casa «dietro l’orto a Celsa», carlini 13; dagli Agostiniani per «casa dietro l’orto nel secondo vicolo principiando dalla parte di basso», carlini 13; da Giovanni Terzuolo per casa a Celsa «dietro l’orto come sopra» carlini 14; dalla Città per il patronato , duc. 4; da Giusepppe de Lellis «per casa terragna nel vicolo continguo alla fontana», carlini 20; dalla Regia Camera «per mantenimento de’ Religiosi


e senza verun peso» dal Banco di San Giacomo per ducati 2.000 di capitale, duc. 6 ½ ; erano duc. 140 di rendita al 7 ½ «sopra la regia Dogana di Napoli e altri arrendamenti», come per istrumento del not. Scipione Calosirto del 26 ottobre 1637. «Avendo poi il Re Filippo Quinto avuto bisogno di denaro, si servì delli denari dei Banchi, ed abbassò gl’arrendamenti, per la quale cagione il convento soggiacque alla annual perdita» e la rendita passò da 140 a 6 ducati; dal duca di Bovino sulla massaria di S. Anna, carlini 7; dal canonico Tommaso Scotto sul territorio di Soronzano di tomola 36 vitato e fruttato, duc. 5 e tarì 3; da Francesco Garofalo per massaria di moggia 5, carlini 20; da Domenico e altri Lauro per censi sopra una casa a Celsa, carlini 32; da Onorio Menga per casa soprana con terrazzo, piscina, croaca, nella parrocchia del vescovato, carlini 10; da Scipione Calosirto, ducati 5; da Francesco Coda per la cappella di S. Anna della chiesa del convento, carlini 7 ½ ; da Antonio Montefusco per «territorio di un moggio ½ ortalizio e mezzo vitato e arbustato con due case, una terranea e l’altra soprana con astrico a sole l’una posta sopra l’altra con due pozzi pure d’acqua dolce con peschiera da riporvi l’acqua per adacquare l’orto…. ubicati alla Mandra»; da Nicola Monicello per fitto di un giardino «nella marina del Pontano» di ½ moggio con pozzo d’acqua, «fruttato di fichi e celsi bianchi presso la Marina, l’Arzo, col Pontano, il cortile e il giardino del convento», duc. 10; da Agostino il Sardignolo per «un magazzino alla Marina del Pontano e propriamente la terza casa terragna seu magazeno principiando dalla parte del convento, presso giardino del Pontano, beni dei Gesuiti», la Marina il convento e Casa Siniscalchi ducati 3 e carlini 30; da Domenico Fiore per fitto di magazzino «nella Marina del Pontano, presso giardino del Pontano, beni del convento e dei Gesuiti, e la Marina», «secondo magazeno principiando dalla parte che guarda il convento», carlini 35; da Girolamo Candia per un magazzino. Il quarto dopo i precedenti e da Francesco Candia per il quinto magazzino, ducati 75 ½ ; da mastro Michele Manzo per una casa terragna presso i beni di Silvestro Bacco e via pubblica, carlini 20; da Domenico Mancuso «per una camera a terra zappata presso i beni dei Lanfreschi dall’Occidente con un vicoletto che non spunta, da mezzogiorno col largo di Terrazappata e via pubblica» ducati 8; da Crescenzo Capo di Pupo per un magazzino a terra zappata, confina con «l’altro del convento, sopra del quale sta una camera con astrico a sole» e presso i beni del convento, duc. 8; da Bartolomeo Tremaglia per fitto di un magazzino a Terrazappata, «posto al pontone di Terrazappata, beni di Isabella Guarniero, Canonico Lonardo Terzuolo, via pubblica e si trova sopra detto magazeno del canonico Terzuolo» duc. 15; da Giuseppe Sirabella per fitto di altro magazzino a terra zappata, presso i beni dei Lanfreschi, via pubblica ecc. ubicati sotto la casa di Giuseppe, duc. 5 ½; da Nunzio Trammontano per fitto di «una casa terragna seu basso a Celsa dietro l’orto e propriamente al primo vicolo principiando da quello della parte della piazza di Celsa presso i beni del convento», beni della chiesa dello Spirito Santo, e via pubblica «venuta da Marsilia Spiritiello per legato di ducati 10 e per esse carlini 10 sopra i beni, e sopra detta casa sulla quale si pagavano altri carlini 13 dalla eredità Matarese», duc. 5; da Cecilia Guarniero per «una casa

terragna dietro l’orto al secondo vicolo principiando dal vicolo della parte della piazza di Celsa» presso i beni della parrocchia di S. Domenico, di Domenico Castaldi e via pubblica, carlini 30; da Restituita Califano per una «una casa terragna a Celsa dietro l’orto nel primo vicolo principiando da quello che sta presso la piazza di Celsa, pressoi beni del convento, beni di D. Evangelista Morgioni e via pubblica con astrico a sole», duc. 4 ½ ; da Tammaro Onorato per una casa «dietro l’orto nel primo vicolo prossimo alla piazza con astrico a sole cataratta, gradiata coperta et altre comodità» presso i beni di Nicola Mazzella, di D. Evangelista Morgioni e via pubblica: «tiene due finestre una all’oriente e l’altra a occidente» duc. 7 ½ ; da Gipovanni Battista Mazzella per una massaria a «Campagnano sue casa Mormile di moggia 1 ½ vitata e arbustata a tramontana», duc. 5 e carlini 5; da gennaro Guarniero di Raimo per una masseria a «il Monte seu Cognulo seu delli Pignatielli di tre mogia aumentata di viti e altri alberi fruttiferi con casa terragna. Tiene l’azzione di passare dentro la massaria delli Vitali», duc, 6; da Giuseppe Iacono per territorio a Campagnano detto «Chiano Livuoro» vitata e ficata di moggia 1 ½ , duc. 6;

Irredimibili

Bernardino di Candia per territorio a Campagnano di moggia 4 «piantato di alberi di mele e parte seminatorio», carlini 20; dal canonico Orazio Albano per una massaria con bosco a Campagnano alla Fasolara, di moggia 8 vitato e arbustato, con il bosco di ceppe di querce. Nella masseria ci sono case, cisterna e altre comodità, duc. 9; da Aniello Canetta per una selva di moggia 2 di moggia al Crevore con ceppe castagnole di moggia 2, ducati 7; da Filippo Mazzella su due territori «nel luogo grotta di Terra piantati a viti: uno di maggia 1 e l’altro di moggia 5, carlini 32»; da Giuseppe Arcamone per il territorio a «Chiano di Livuoro» di moggia 2, duc.6 e tarì 3; da Silvestro Curcio per due territori «a Li Pignatielli di moggia 2 vitato e l’altro a Santo Antuono di moggia vitato» Vi sono due case matte e una cisterna, duc. 5 e tarì 1; da Gennaro Boccanfuso per un territorio a «Chiano Livuoro», carlini 12;dal reverendo Giovanni di Martini per un bosco «a Santo Antuono», carlini 24.

Censi

da Tommaso Buono, su una massaria Cufa di moggia 4, quadre 3 e none 7 con viti, ducati 19; da Carlo Brandi su un terreno «al luogo detto Schiajano di mogia 3 parte arbustato e parte boscoso», duc. 19; da Natale e Pancrazio Arcamone su un territorio a «La Schiappa di Barano», vitato e fruttato di misurelle 200 e un terzo di misurella, duc. 12 e carlini 5; da Nicola Malfitano, Filippo Gioacchio e Simone Lombardo di Moriello su un abitacolo di case e orto, carlini 20; da D. Girolamo Balestriero su case a Barano «al luogo detto casa Balestriero», carlini 6; da Andrea Balestriero su territorio a Barano «detto Impetra seu Mpetra» ducati 5 ½ .

Annue entrate

Da Domenico Michele e Gioacchino di Palma su capitale di ducati 162, ducati 12 e tarì 12; da Gennaro Santoro per capitale di ducati 12 ½ sopra alcune case a Celsa «pervenute al convento da D. Evangelista Morgioni. Restituite al La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

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convento fu rimpiazzato con Gennaro Santoro sopra un territorio vitato al Cardeto di moggio 1 ½ con casa matta …. e sopra un territorio boscoso a Cardeta di mezzo moggio e sopra due case terragne sempre a Cardeta con palmenti, cortili, cisterna e altre comodità», carlini 10; dal Can.co Domenico Garofalo su tre case con orto a «Casa Orcione» e su orto di misurelle 12, carlini 24; dal Reverendo Giorgio Mazzella su un territorio detto «San Domenico» di moggio 1 ½ vitato con casa terragna e altro, carlini 20; da Domenico Conte per il territorio della Impetra a Barano di un moggio; da Nicola di Meglio alias Quarè sopra rendita fatta da Nicola di Meglio sopra i primi frutti dei beni: territorio di moggia 2 con tre case terragne, altro territorio di moggia 2 e altre due case sovrapposte alla casa, nel territorio di Cufa, duc. 6 e tarì 2; dalle Monache su territorio detto «Monte formicoso» di moggia 10, 10; da Sebastiano e Giuseppe Iacono eredi di Crescenzo Iacono di «mattocia» su un territorio a «Rosato» vitato di moggia 10 con comprensorio di case, carlini 10;da Pietro e D. Filippo di Meglio sui loro beni per vari capitali, ducati 8; da Antonio Migliaccio «alias stimato» carlini 30.

Affitti

da Leonardo di Meglio, per un territorio al Mortito di misurelle 6 aumentato di viti, carlini 10; da Pietro di Meglio Angiola Mazzella, per un territorio di moggia 3 e misurelle 3 ½ ubicato a Piejo parte in piano e parte schiapposo «alla parte del piano colla via vicinale, e da detta via dalla parte del piano di basso va a uscire alla Croce di Piejo», duc. 16; da Franco e Nicola Malfitano per un territorio ubicato a «lo bosco, seu Chiano di manna di moggia 23 di cui 5 aumentato di viti e 23 boscoso di bosco selvaggio con alcuni alberi castagnoli presso i beni …di Francesco Buonocore di Cicciotto e via pubblica che principia sotto lo Montagnone sopra lo fondo ferraio». C’è una casa a travi ad uso di cantina, duc. 50.

Rendite

da Crescenzo di Scala di «Carcopalca» per un capitale di duc. 100, carlini 15; da Ignazio Malfitano per alcuni capitali, duc. 5 e grana 12; da Mattia e Gaetano Nobilione per capitale di duc. 20, carlini 20.

Affitti

da Tommaso di Scala per il territorio a Capo di maggio parte vitato e parte sterile «con tre catenelle di territorio seminatorio colla montagna da parte di mezzogiorno» di moggia 1 e misurelle 15 ½ , duc. 6; da Giuseppe Iovene per una selva nel luogo detto «Fratanza» di moggia 2 ½ «legnami castagnoli» di moggia 2 ½ , carlini 8; da Antonio, Giovan Giacomo, Ambruoso, Girolamo di Costanzo con i figli Vincenzo e Fabio, per legato su un territorio ubicato a Moropano, vitato, di moggio 4 ½ con casa e palmento, duc. 10; da Mattia e fra Pietro di Meglio, duc. 4; da Cecilia di Meglio alias Catena per un territorio a «Caperseto» di moggia 4 ½ piantato a viti, duc. 2.

Censi

Alessio Monti per due territori: uno a selva di moggia 1 ½ , terra seminatoria al «Larvanella seu Boceta e un altro a 48 La Rassegna d’Ischia n. 1/2014

Boceta di moggia 1», carlini 30; da Luca e Andrea Monti per una massaria «dentro Schiacchitiello di moggia 1 ½ sul quale si trovano alcune case, palmento e aumentata di viti», duc. 19; da Saverio Siano per capitale di duc. 68, duc. 5, tarì 5 e grana 18. Dalle stesse fonti possiamo anche tentare la compilazione di un elenco dei vari «frati guardiani» che si sono succeduti nel tempo, anche se non riusciamo a compilare un catalogo completo. A partire dal 1556 fino al 1801 questi sono i nomi che sono riuscito ad annotare. Catalogo dei frati Guardiani del convento 6 settembre 1556, fra Vincenzo Calosirto (C.R.S. fascio 5358 f. 136 r.); 13 dicembre 1557, fra Vincenzo Balestriero di Barano (ibidem f. 137 r); 24 febbraio 1578, fra Clemente Oliva (fascio 5230 f. 147); 9 gennaio 1582, fra Donato de Loise di Caposele (ibidem, f. 140 r.); 19 settembre 1582, fra Antonio Palumbo di Raniello (ibidem, f. 139 r.); 25 maggio 1590, fra Pietro di Majo di Ischia (ibidem , f. 141 v.); 1590, fra Giovanni Antonio di Nola (ibidem, fascio 5227 f. 4 v.); 16 ottobre 1603, fra Pietro di Majo (ibidem , f. 145 r. ); 22 aprile 1604, fra Felice de Rosa di Napoli (ibidem, f. 146 r.); 19 aprile 1636, fra Tommaso Rolla di Napoli (ibidem, f. 161 v.); 15 marzo 1643, fra Clemente di Napoli (ibidem, f. 163 r.); 14 maggio 1646, fra Innocenzo da Napoli (ibidem, f. 164); 17 luglio 1658, fra Francesco Antonio di Sora (ibidem, fascio 5233 f. 201); 20 agosto 1699, fra Clemente Bellabona (fascio 5228 f. 1); 1° ottobre 1704 fino a 1707, fra Gennaro Antonio Garofalo (ibidem, f. 170-173 r.); 27 settembre 1712, fra Gennaro Antonio Garofalo (ibidem. fascio 5230 f. 186); 25 maggio 1712, fra Tommaso de Martino (ibidem, f.180); 14 ottobre 1719, fra Ludovico Sansone (ibidem, fascio 5227 f. 267); 10 agosto 1735, fra Angelo Conti (ibidem , f. 202); 14 aprile 1755, fra Angelo Conti (ibidem, fascio 5231 f. 261); 9 marzo 1771, fra Giuseppe Garofalo (ibidem, fascio 5370 f.13); 16 ottobre 1780, fra Angelo Conti (ibidem, fascio 5230 ff.nn.); 19 novembre 1780, fra Nicola Giordano (ibdem, fascio 5230 f. 193 r,);


1788- 1789- 1790-1791, baccelliere fra Giuseppe Garofalo (ibidem, fascio 5373 ff. nn.); 1791-1792, fra Giuseppe Turco (ibidem, ff. nn. ); 1800-1801, fra Domenico Tammaro (ibidem, fascio 5373 ff. nn.); 22 aprile 1802, Domenico Lubrano (ibidem, fascio 5370 f. 58 ); 31 dicembre 1802, fra Bonaventura Tammaro. Sulla ricostruzione settecentesca della chiesa non possediamo notizie nè sul progettista né sulle maestranze che l’hanno costruita. A giudizio del Salvati, «questa è certamente l’esempio dell’architettura maggiormente progredita dell’Isola nella sua epoca. La facciata principale. Tutta bianca, con i grandi scuri dell’arcata centrale e del finestrone, col grande ordine composito, è quasi maestoso. Il campanile a destra è un’opera pregevole del vero barocco napoletano, il piccolo portale accanto al campanile, completa il quadro del complesso, chiesa , campanile convento. Lo stile mediterraneo, come spesso avviene, si rivela nella facciata laterale e nel retro. La facciata appare chiaramente barocca: la grossezza dei pilastri e l’ampiezza degli archi, e grossi fascioni della volta, la sua simmetria, la mancanza di navate ce lo dicono»13. I faldoni del fondo Corporazioni Religiose Soppresse dell’Archivio di Stato di Napoli, dai quali abbiamo attinto tante informazioni, non presentano alcuna testimonianza o relazione sulla ricostruzione settecentesca della chiesa. In essi non vi è traccia nemmeno dell’ammontare delle spese che sono state effettuate, né delle maestranze che l’anno realizzata. Solo l’Onorato, che certamente in prima persona ha assistito alla ricostruzione della chiesa15, ci ha lasciato la seguente testimonianza nella sua opera nella quale così scrive: «Essa chiesa è un’opera nuova fattasi per l’attenzione del fu maestro Teodoro Garofalo…. Siccome nella vecchia chiesa nulla mai di singolare ci fu in ordine a statue, a pitture, e marmo, e ad iscrizioni, così nella nuova altro non si vede, che la piccola quadreria formata, e dipinta da Spigna nella di lui decrepita età, e pattuita in modo serafico, e meschino»14. Il nostro canonico si riferisce alle due grandi tele del transetto raffiguranti «S. Francesco che riceve le stimmate» e «S. Antonio di Padova dinanzi al Bambino Gesù». Ma c’è da ricordare anche la «Levitazione di S. Giuseppe da Copertino» sul primo altare di destra, che costituisce uno degli ultimi capolavori del di Spigna. «È il miracolo della vecchiezza di un pittore raffinato e padrone della prospettiva, della scansione dello spazio, dell’accostamento dei colori qui schiariti al massimo direi purificati». Il viso del Santo è «trasfigurato da una luce terrena……forse esprimeva lo stato d’animo del vecchio pittore che in questi capolavori dava un addio alla lunga e laboriosa vita con un messaggio 13) F. P. Salvati, Architetture dell’isola d’Ischia, casa editrice Raffaele Pironti e figli, Napoli 1951, p. 43. 14) Infatti Vincenzo Onorato è nato nel borgo di Celsa il 25 aprile 1739. Un profilo biografico dell’Onorato si può leggere nella tesi di specializzazione in Storia dell’Arte Medioevale della Dott.ssa Ernesta Mazzella dell’anno accademico 2008-2009. 15) V. Onorato, op. cit. p. 62.

di arte e di fede che i posteri faranno bene a non ostracizzare per motivi che disonorano la storiografia antica»16. Nel 1809, in seguito allo scontro tra gli anglo-borbonici da un lato e i francesi dall’altro verificatosi nello specchio d’acqua intorno al castello d’Ischia, il monastero delle Clarisse, insieme con la cattedrale, subì seri danni a causa delle cannonate degli eserciti in lotta tra loro. Le monache dovettero abbandonare il loro monastero insieme con la nuova chiesa che non ancora era stata del tutto completata17. Per questo furono loro concessi i locali dell’abolito convento dei frati Minori Conventuali e così il 4 gennaio 1810 passarono nella loro nuova sede18. Così furono messe in salvo anche alcune opere d’arte di particolare importanza esistenti nel monastero, tra cui il famoso polittico che, forse proprio in questa occasione, fu smembrato per facilitare il trasporto delle varie formelle. Oggi queste sono conservate nella sacrestia della chiesa di Sant’Antonio19. Con il polittico furono portati nella nuova sede anche altri quadri, che oggi sono sistemati sia in sacrestia che nella chiesa. Sebbene per la legge n. 251 del 17 febbraio 1861 il monastero fosse stato soppresso, tuttavia le monache restarono al loro posto fino alla morte dell’ultima di esse avvenuta il 21 giugno 191120. I beni del convento furono acquisiti dalla Cassa Ecclesiastica per le Province di Napoli. I locali dell’ex convento, con verbale del 29 settembre 1903 approvato con decreto del 30 novembre dello stesso anno, furono ceduti in proprietà al comune di Ischia in applicazione dell’articolo 20 della legge 3036 del 7 luglio 1866. La proprietà della chiesa rimase al Fondo Edifici di Culto ( F.E.C.) che era succeduto alla Cassa Ecclesiastica. La chiesa fu ceduta in uso al vescovo d’Ischia Mario Palladino con verbale del 23 marzo 1906, approvato con decreto del 29 marzo successivo, con l’obbligo da parte del vescovo di mantenere aperto il sacro edificio, officiarlo e provvedere alla sua manutenzione ordinaria a proprie spese. Con la chiesa furono ceduti in uso anche alcuni locali ad essa adiacenti che dovevano servire ad uso di rettoria, rimanendone proprietario sempre il F.E.C. L’entità di questi locali fu ulteriormente precisata con una serie di atti del 1° aprile 1933 e 19 aprile 1934 approvati con decreto del Ministero dell’Interno il 12 maggio 1934 n. 2662 e registrati alla Corte dei Conti il 26 maggio successivo21. 16) G. Alparone, Ricerche su Alfonso di Spigna, in Ricerche contributi e memorie, vol. II cit. p.37. 17) Ne parleremo quando tratteremo più diffusamente del monastero di Santa Maria della Consolazione. 18) A.S.N., Intendenza Borbonica fascio 807 fascicolo 2955: «Ischia Padri Conventuali; il locale fu concesso alle Monache d’Ischia per superiore disposizione ai 4 gennaro 1810, ove attualmente si trovano perché il loro monistero soffrì delle devastazioni nel 1809» 19) Questo polittico smembrato è stato variamente attribuito. Tra i contributi più importanti su questo importante polittico, segnalo: G. Alparone, Un polittico del sec. XVI nel convento di S. Antonio dei Frati Minori d’Ischia, in Cenacolo Serafico n. 4, anno 1961; E. Persico Rolando, Dipinti dal XVI al XVIII secolo nelle chiese di Ischia, Napoli Edizioni GrafhatroniK 1991, pp. 102-106. 20) O. Buonocore, Ischia piccola Atene del Golfo, Rispoli Editore in Napoli 1955 p. 28. 21) A.D.I., Cartella chiesa di S. Antonio, lettera del 2 luglio 1997 del Ministero dell’Interno.

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Con la morte dell’ultima clarissa, Suor Teresa Scottion di Procida, i locali dell’ex convento-monastero furono liberi e il comune d’Ischia potè concederli in uso al canonico D. Onofrio Buonocore per le varie iniziative scolastiche da lui intraprese22. Ma fin dal 1916 gli amici ischitani del P. Valentino Barile, francescano, gli chiesero di adoperarsi perché i figli di S. Francesco ritornassero a Ischia. Il comune d’Ischia, dopo lunghe trattative, concesse metà dei locali dell’antico convento ai frati Minori di S. Francesco perché vi aprissero un nuovo convento, mentre l’altra metà rimase al Buonocore per le sue attività scolastiche. Così il 19 marzo 1920 il padre Valentino Barile potè insediare nuovamente i Francescani nell’antico convento di S. Maria delle Grazie o dell’Arena23. Successivamente fu trasferito nel convento di Ischia lo studentato dei Frati Minori della provincia monastica e qui si formarono le nuove leve dei figli di S.

Francesco. Questi, nel corso degli anni, si adoperarono perché la loro presenza a Ischia potesse diventare stabile e non soggetta ad eventuali colpi di testa delle autorità del comune che restava pur sempre proprietario dei locali del convento. Finalmente con atto del notar Bonaventura Morgera del 4 aprile 1933 il padre Giuseppe Faicchio, in nome e per conto della Provincia monastica francescana di S. Pietro ad Aram, comprava la maggior parte del convento24, mentre il resto dei locali restava di proprietà del comune di Ischia. La chiesa con i locali annessi, già concessi alla chiesa dal comune, restarono in uso alla stessa chiesa. Questa, ancora oggi, resta proprietà del F.E.C. ma affidata alla diocesi d’Ischia per quanto riguarda il culto che in essa si svolge. La diocesi, a sua volta, vi nomina un rettore nella persona del padre guardiano del convento di Sant’Antonio che provvede a quanto necessario all’ordinato svolgimento del culto liturgico.

22) O. Buonocore, op. cit. pp. 28-29; L. Iannicelli, Mons. Onofrio Buonocore, Ischia 2013 pp, 33 e ss. 23) O. Buonocore, op. cit. p. 31.

24) A.D.I., cartella convento di. S. Antonio cit.

Agostino Di Lustro

Il superiore della Chiesa di Sant’Andrea ha preso parte a un incontro interconfessionale a Ischia

Selezionati i 42 cortometraggi per la VII edizione di “A Corto di Donne” La manifestazione si terrà a Pozzuoli dal 10 al 13 aprile alle Terme Stufe di Nerone e a Palazzo Toledo Sono 42 i lavori selezionati che saranno presentati in concorso nella settima edizione di “A Corto di Donne”, rassegna di cortometraggi al femminile, in programma a Pozzuoli (Na), alle Terme Stufe di Nerone e alla Biblioteca di Palazzo Toledo, dal 10 al 13 aprile 2014. L’elenco completo dei cortometraggi finalisti e il programma del festival è disponibile sul sito www.acortodidonne.it.

Il 21 gennaio 2014 sull’isola di Ischia il superiore della chiesa del Santo Apostolo Andrea Primo, chiamato arciprete Igor' Vyzhanov, ha preso parte a uno degli incontri intercristiani svoltisi nell’ambito dell’annuale “settimana di preghiera per l’unità cristiana” indetta dalle Chiese occidentali. L’incontro si è tenuto nella parrocchia cattolica di Sant’Antonio da Padova nella città di Casamicciola Terme. L’iniziativa è stata presieduta dal vescovo di Ischia Monsignor Pietro Lanese. Su richiesta degli organizzatori dell’evento l’arciprete Igor' Vyzhanov si è rivolto ai presenti con un discorso a partire da un versetto tratto dalla Prima Lettera dell’apostolo Paolo ai Corinzi (1, 1-17) preso a fondamento per gli incontri comuni e le considerazioni durante gli incontri della settimana di preghiera per l’unità cristiana nel 2014. All’incontro ha partecipato anche il pastore della comunità luterana di Napoli Holgher Milkau.

Le giurie tecniche, formate da esponenti del mondo del cinema, della cultura e dello spettacolo, assegneranno il premio al miglior cortometraggio per ciascuna delle quattro categorie in cui è articolato il festival: a) Animazione; b) Documentari; c) Fiction; d) Sperimentale. Sarà inoltre attribuito dalla direzione del festival un premio speciale a un cortometraggio italiano, individuato tra tutti quelli selezionati per la fase finale della rassegna. Una rappresentanza di studenti degli istituti superiori flegrei assegnerà, infine, il premio “Giuria Giovani” al miglior cortometraggio di ciascuna categoria.


Edizioni La Rassegna d’Ischia Raffaele Castagna - Calcio Ischia - Storia, risultati, classifiche, protagonisti delle squadre isolane negli anni 1957/1980 - Supplemento al n. 1/aprile 1981 de La Rassegna d’Ischia. Giovanni Castagna - Guida grammaticale del dialetto foriano letterario – 1982. Giovanni e Raffaele Castagna - Ischia in bianco e nero - 1983. Giuseppe d’Ascia - Caterina d’Ambra (dramma storico del 1862) - Introduzione e note a cura di Giovanni Castagna - 1986. Giovanni Maltese - Poesie in dialetto foriano: Cerrenne I, II, III; Ncrocchie; Sonetti; Poesie inedite - Ristampa con introduzione, note, commento e versione in italiano a cura di Giovanni Castagna - 1988. Raffaele Castagna - Lacco Ameno e l’isola d’Ischia: gli anni ‘50 e ‘60, Angelo Rizzoli e lo sviluppo turistico (cronache e immagini) - 1990. Vincenzo Cuomo - La storia attraverso i suoi personaggi - Supplemento al n. 1-Febbraio 1991 de La Rassegna d’Ischia (edizione fuori commercio). Francesco De Siano - Brevi e succinte notizie di storia naturale e civile dell’isola d’Ischia (1801) - Ristampa Supplemento de La Rassegna d’Ischia / giugno 1994. Pietro Monti - Tradizioni omeriche nella navigazione mediterranea dei Pithecusani - Supplemento de La Rassegna d’Ischia n. 1/Gennaio 1996. Pietro Monti – Pithekoussai, segnalazione di siti archeologici - Parte I - La Rassegna d’Ischia n. 1/1997. Venanzio Marone - Memoria contenente un breve ragguaglio dell’isola d’Ischia e delle acque minerali (1847) - Ristampa con introduzione di Giovanni Castagna - Supplemento de La Rassegna d’Ischia/giugno 1996. Pasquale Balestriere - Effemeridi pithecusane (Poesie) - Giugno 1994 (edizione fuori commercio). Vincenzo Pascale - Descrizione storico-topografico-fisica delle Isole del regno di Napoli (1796) - Ristampa allegata a La Rassegna d’Ischia, aprile 1999. Vincenzo Mennella - Lacco Ameno, gli anni ‘40 - ‘80 nel contesto politico-amministrativo dell’isola d’Ischia, gennaio 1999 (edizione fuori commercio). Raffaele Castagna - Ischia e il suo poeta Camillo Eucherio de Quintiis, allegato a La Rassegna d’Ischia (edizione ridotta), settembre 1998. Chevalley De Rivaz J. E, - Déscription des eaux minéro-thermales et des étuves de l’île d’Ischia (1837) - Ristampa in versione italiana curata da Nicola Luongo, 1999. Philippe Champault - Phéniciens et Grecs en Italie d’après l’Odyssée (1906) - Ristampa in versione italiana curata da Raffaele Castagna con il titolo L’Odissea, Scheria, Ischia, 1999. AA.VV. - Il Castello d’Ischia: la rocca fulgente - scritti vari ed in particolare: Stanislao Erasmo Mariotti - Il Castello d’Ischia (1915). Raffaele Castagna (a cura di) - Ischia: un’isola nel Mar Tirreno... - Raccolta di articoli vari già pubblicati su La Rassegna d’Ischia (storia - archeologia - folclore....), settembre 2000. Antonio Moraldi - Ferdinando IV a Ischia (1783-1784) - Ristampa (allegato de La Rassegna d’Ischia n. 5 / Settembre 2001). Paolo Buchner - La Villa Reale presso il porto d’Ischia e il protomedico Francesco Buonocore (1689-1768) Ristampa (allegato de La Rassegna d’Ischia n. 5 /Settembre 2001). Assoc. Pro Casamicciola - Sotto il sole di Casamicciola - Raccolta di scritti vari sulla cittadina isolana, a cura dell’Associazione Pro Casamicciola Terme - (Edizione fuori commercio, distribuita ai partecipanti al Premio Ciro Coppola 2001). Camillo Eucherio de Quintiis - Inarime (poema in latino di oltre 8000 versi), pubblicato nel 1727. Versione integrale italiana curata da Raffaele Castagna, gennaio 2003. Rodrigo Iacono, Raffaele Castagna – La Flora dell’isola d’Ischia, la letteratura floristica (stampato in proprio ed edizione fuori commercio. Raffaele Castagna – Isola d’Ischia, tremila voci titoli immagini, gennaio 2006. Giovanni Castagna – La Parrocchia della SS. Annunziata alla Fundera di Lacco Ameno, supplemento allegato a La Rassegna d’Ischia n. 3 del 2007. Raffaele Castagna – Lacco Ameno e l’isola d’Ischia, gli anni ’50 e ’60, Angelo Rizzoli e lo sviluppo turistico (cronache e immagini). Ristampa dell’edizione 1990, dicembre 2010.



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