El complejo minero romano de lapis specularis de las Vidriosas (H.II) en Huete (Cuenca, España)

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Dal lapis specularis alla scagliola

GeologiaeArcheologiadelGesso REGIONE SICILIANA Assessorato dei beni culturali e identitĂ siciliana Dipartimento dei beni culturali e identitĂ siciliana

Soprintendenza per i beni culturali e ambientali di Agrigento

GeologiaeArcheologiadelGesso

Dal lapis specularis alla scagliola

Grotta Inferno, Cattolica Eraclea Foto di Piero Lucci


a Sebastiano Tusa



Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali Agrigento

GeoArcheoGypsum2019 Geologia e Archeologia del Gesso Dal lapis specularis alla scagliola

a cura di Domenica Gullì, Stefano Lugli, Rosario Ruggieri, Rita Ferlisi

REGIONE SICILIANA Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana


Crediti

GeoArcheoGypsum2019

Geologia e Archeologia del Gesso Dal lapis specularis alla scagliola

REGIONE SICILIANA

Coordinamento generale Michele Benfari

Soprintendente per i Beni Culturali e Ambientali di Agrigento

S10.5 Sezione per i Beni Archeologici Comitato organizzatore Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Agrigento CIRS Ragusa- Centro Ibleo di Ricerche Speleo-idrogeologiche Ordine Regionale Geologi Sicilia Riserva naturale integrale “Grotta di Sant’Angelo Muxaro” Riserva naturale integrale “Grotta di S. Ninfa” Associazione Speleologica Kamikos Università degli Studi di Palermo Università di Modena e Reggio Emilia Responsabile Unico del Procedimento Calogero Gazzitano Progetto grafico Vincenzo Cucchiara Impaginazione Domenica Gullì Redazione Domenica Gullì, Rita Ferlisi, Giovanni Scicolone Docufilm: La Grotta Inferno di Cattolica Eraclea Realizzato da CIRS Ragusa- Centro Ibleo di Ricerche Speleo-idrogeologiche Documentazione fotografica Giovanni Buscaglia, Marco Interlandi, Piero Lucci, Manlio Nocito Ringraziamenti Eikon, Servizi per i Beni Culturali S.A.S. di C. Salvaggio, Marsala

© 2018 REGIONE SICILIANA Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Divieto di riproduzione - Edizione fuori commercio - Vietata la vendita Iniziativa direttamente promossa finanziata sul capitolo 376528 Es. fin. 2018 Servizio 6 - Fruizione, valorizzazione e promozione del Patrimonio culturale pubblico e privato U.O. S6.2 - Valorizzazione dei Beni culturali. Fondi regionali

Geologia e archeologia del gesso : dal lapis specularis alla scagliola / a cura di Domenica Gulli … [et al.]. - Palermo : Regione siciliana, Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana, Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana, 2018. ISBN 978-88-6164-503-5 1. Decorazione architettonica – Impiego [del] Gesso – Storia. I. Gullì, Domenica 729 CDD-23 SBN Pal0311409 CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”


Presentazioni

Nello Musumeci | Presidente della Regione Sergio Alessandro | Dirigente Generale Michele Benfari | Soprintendente per i Beni Culturali di Agrigento Domenica Gullì, Stefano Lugli, Rosario Ruggieri, Rita Ferlisi | Curatori del volume

Origine, architettura e arte

17

Il gesso in natura e nell’arte Stefano Lugli

I. Il gesso in natura. Storia naturale del gesso

35

Il carsismo nei gessi della Sicilia Giuliana Madonia, Marco Vattano, Cipriano Di Maggio, Vincenza Messana, Giulia Casamento, Marcello Panzica La Manna, Valerio Agnesi

53

Geo-trip alla ricerca di lapis specularis in alcune miniere e cavità e della Sicilia Rosario Ruggieri, Giovanni Gianninoto, Giorgio Sammito, Riccardo Orsini

73

La divulgazione ambientale e la didattica per la conoscenza e la valorizzazione delle aree carsiche gessose: le riserve naturali “Grotta di Santa Ninfa” e “Grotta di Entella” Giulia Casamento, Giuliana Madonia, Vincenza Messana

89

I gessi e la Riserva Naturale Integrale “Grotta di Sant’Angelo Muxaro” Marco M. Interlandi, Giovanni Bucaglia, Raffaella Giambra, Daniele Gucciardo, Ignazio Alessi

II. Il gesso nell’arte. Archeologia del gesso

109

Exploitation and use of gypsum in Minoan Architecture Stefania Clouveraki

127

Archeologia del gesso nella Grecia micenea: processi della produzione, circolazione di modelli e aspetti simbolici Massimo Cultraro

141

Per un’archeologia del gesso etrusco di Volterra Eleonora Romanò

147

Materiali pregiati in gesso alabastrino da alcuni centri sicani dell’entroterra della Sicilia: i contesti di riferimento Rosalba Panvini, Marina Congiu

159

Archeologia del gesso in Sicilia in età romana. Il complesso“Grotte Inferno” a Cattolica Eraclea Domenica Gullì, Stefano Lugli, Rosario Ruggieri

183 Lo stato dell’arte sull’archeologia del gesso in età romana: lapis specularis e cave di materiali da costruzione Chiara Guarnieri 199

Le cave di lapis specularis nella Vena del Gesso Romagnola. Scoperta, esplorazione e studi: il ruolo degli speleologi Massimo Ercolani, Piero Lucci, Baldo Sansavini

211 Il lapis specularis a Pompei. Tecnologia e applicazioni Stella Pisapia, Vega Ingravallo

Sommario


225

El complejo minero romano de lapis specularis de “Las Vidriosas”, en Huete (Cuenca, España) y el poblamiento romano de su entorno María José Bernárdez Gómez, Juan Carlos Guisado Di Monti, José Francisco Gallardo Bernal, José Martínez Hernández, Alejandro Navares Martín, Fernando Villaverde Mora

237

Il problema della chiusura degli spazi finestrati nell’Altomedioevo: transenne da finestra in pietra e in stucco di gesso e lapis specularis Simona Pannuzi, Stefano Lugli

III. Il gesso nell’arte. Uso artistico del gesso

265

Il gesso: un materiale seminale per gli artisti del futuro. Gipsoteche e raccolte di calchi in gesso nelle Accademie di Belle Arti in Italia Giovanna Cassese

283

Dal gesso allo stucco: il dominio del bianco borrominiano tra scultura e nobile ornamentazione per mano di Giacomo Serpotta Pierfrancesco Palazzotto

307

Le decorazioni in stucco della Basilica-Cattedrale di Agrigento Domenica Brancato, Giuseppe Pontillo

321

L’uso del gesso nelle decorazioni a stucco della Sicilia centrale. Alcuni casi studio Giuseppe Giugno

337

Il recupero e la manutenzione della Gipsoteca di scultura antica dal Dipartimento Culture e Società dell’Università degli Studi di Palermo Simone Rambaldi, Giuseppe Milazzo, Lorella Pellegrino

351

“Figuri sculpiti d’alabastru”. Francesco Laurana a Partanna Salvatore Arturo Alberti, Michele Benfari, Lorenzo Lazzarini, Francesco Mannuccia, Sebastiano Tusa

369

Della dissimulazione onesta. Storia e tecnica della scagliola artistica e alcuni inediti nel territorio siciliano Rita Ferlisi

389

L’alabastro di gesso e il suo uso nella città di Enna Valentina Di Natale

401

La scagliola carpigiana oggi Filippo Carnazza

IV. Uomo e gesso

411

I gessi dell’Emilia-Romagna tra natura e cultura. Una sintesi regionale Stefano Piastra

427

Paesaggi del gesso in territorio di Montallegro Valentina Caminneci

437

Le calcare di gesso a Montallegro Vincenzo Cucchiara

451

Le parole di gesso sono pietre Marina Castiglione

461

Studio etno-archeometrico di malte storiche a legante gessoso prodotte nella Sicilia centrale Giuseppe Montana, Luciana Randazzo, Anna Maria Polito, Renato Giarrusso


V. Sessione poster [cd rom]

475

L’utilizzazione dei gessi in un’area della Valle del Belìce (TP) Giulia Casamento, Angelo Pirrello, Giuseppe Salluzzo

487

L’alabastro di Volterra: caratteristiche geologiche, usi antropici e luoghi di estrazione Eleonora Romanò, Fabiana Susini

493 499

L’uso diacronico dell’alabastro di Volterra tra artigianato e produzione artistica Eleonora Romanò, Fabiana Susini I Gianforma rivelati Gaetano Grasso



Nello Musumeci Presidente della Regione Siciliana

Questo volume sulla geologia e l’archeologia del gesso è il risultato di uno studio interdisciplinare voluto e coordinato dalla Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali di Agrigento e finanziato dallo stesso Dipartimento regionale. Il tema trattato è il gesso, minerale fra i più comuni del nostro territorio: ne viene ripercorsa la straordinaria storia, sin dalla sua formazione (circa sei milioni di anni fa), e le sue diverse forme in natura, ipogee ed epigee, per poi passare al diffusissimo utilizzo, nelle arti e in architettura, dalla preistoria fino ai nostri giorni. Un obiettivo così ambizioso non poteva mai essere raggiunto senza mettere a confronto geologi, archeologi, speleologi, storici dell’arte, etnoantropologi, linguisti. Competenze che, in una sorta di lungo viaggio diacronico e diatopico, hanno offerto la possibilità di ricollegare le aree gessose dell’Italia e del continente europeo con scoperte inedite. Nella lettura di queste pagine incuriosisce, in particolare, anche perchè poco noto, il tema legato alla tradizione della scagliola colorata che veniva realizzata ad imitazione degli intarsi in pietre dure. Una tradizione che dalla Germania si sviluppò nel ‘600 a Carpi, nel Modenese, fino alla Lombardia ed alla Toscana e che ha trovato oggi significativi esempi anche in Sicilia: a Caltanissetta, a Piazza Armerina, a Caltagirone, per citarne alcuni. Ma la sorpresa più interessante la riserva Sant’Angelo Muxaro, un piccolo centro dell’entroterra agrigentino, dove si è registrata la fortunata riscoperta dei riquadri di uno splendido paliotto dalla struttura marmorea, realizzato in scagliola intarsiata, attribuito al più importante maestro scagliolista italiano del diciassettesimo secolo. Per questa interessante pubblicazione, che si offre alla piacevole lettura anche dei non addetti ai lavori, desidero rivolgere un sincero ringraziamento agli esperti autori degli scritti e, in particolare, al Soprintendente Michele Benfari, per la passione e la tenacia con cui ne ha curato la realizzazione.


Sergio Alessandro Dirigente Generale

Con questo volume si presentano i risultati dello studio multidisciplinare che la Soprintendenza di Agrigento porta avanti già da qualche anno sulla “Grotta Inferno”, sita nel territorio di Cattolica Eraclea, la prima cava romana di gesso identificata in Sicilia. La cava presenta i segni tangibili del duro lavoro dei minatori che all’interno della cava estraevano un particolare tipo di gesso, sotto forma di cristalli trasparenti, il lapis specularis dei romani, utilizzato al posto del vetro per la chiusura delle finestre. Dallo studio della cavità, sotto il profilo geologico e archeologico, è poi scaturito uno studio multidisciplinare sul gesso, minerale comunissimo e dalla disponibilità pressoché illimitata, soprattutto nella Sicilia centro meridionale: viene esaminato l’aspetto geologiconaturalistico, dalla sua formazione, circa sei milioni di anni fa, alla presentazione di spettacolari contesti epigei ed ipogei, a cui segue l’esame del suo variegato uso dalla preistoria ad età greca e romana, fino all’uso in campo artistico, che in Sicilia, fra il Seicento e il Settecento, ha dato esiti di altissimo livello con schiere di stuccatori e plastificatori della levatura di un Serpotta, fino all’utilizzo del gesso in epoca moderna con lo studio di aspetti anche poco noti della variegata “civiltà dei gessaioli”, tra cui anche quello linguistico. Lo studio mette in mutuo dialogo diversi saperi, coinvolgendo studiosi di altissimo livello, italiani e stranieri, superando e mettendo a confronto gli specialismi e coinvolgendoli in un obiettivo comune: creare positive sinergie in settori diversi fra loro, che contemplino i temi dello sviluppo culturale e della tutela del territorio.


Michele Benfari Soprintendente per i Beni Culturali di Agrigento

Il convegno internazionale GeoArcheoGypsum 2019 è il risultato di un progetto della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Agrigento, finanziato dall’Assessorato Regionale Beni Culturali, sullo studio della prima cava romana di gesso identificata in Sicilia, la “Grotta Inferno”, nel territorio di Cattolica Eraclea. Il particolare gesso che si cavava era il lapis specularis, il gesso trasparente utilizzato sin dall’età ellenistica per la realizzazione di vetri per le finestre delle case del tempo. Il progetto nasce con un determinato carattere interdisciplinare, in quanto, partendo dal caso specifico dello studio della cava di età romana, che ha già avuto importanti ricadute scientifiche a livello internazionale, si è voluto indagare su tutti gli aspetti riguardanti il gesso, dalla sua origine, e quindi le sue forme naturali, ipogee ed epigee, all’uso che ne è stato fatto dall’uomo, nelle arti e in architettura, dalla preistoria ai nostri giorni. Partendo dalle fonti letterarie, Plinio il Vecchio in particolare, che nella sua Naturalis Historia, nel I sec. d.C., descrive il lapis specularis e le principali aree di estrazione del Mediterraneo, studiosi provenienti da Sicilia, Campania, Emilia-Romagna, Grecia e Spagna, hanno messo insieme le loro esperienze creando per la prima volta un quadro organico su questo importante minerale, contribuendo in maniera significativa ad ampliare le conoscenze della cosiddetta archeologia mineraria, sia per ciò che riguarda le tecnologie estrattive sia per le dinamiche sociali connesse a questo settore economico. Il confronto poi fra geologi, speleologi, archeologi, storici dell’arte ed etnoantropologi ha consentito di uscire da una certa rigidità settoriale che spesso contraddistingue i progetti di studio, superando e mettendo a confronto gli specialismi e coinvolgendoli in un obiettivo comune: creare positive sinergie in settori diversi della conoscenza, verso una prospettiva che oggi assume i caratteri di un orientamento epistemologico condiviso: privilegiare una visione del patrimonio inteso in senso olistico, pluridisciplare e diacronico, senza limiti cronologici o di contenuto. Il coinvolgimento dei sindaci dei comuni di Santa Elisabetta, Sant’Angelo Muxaro, San Biagio Platani e Cattolica Eraclea, “comuni del gesso” per eccellenza, ha consentito anche di aprire il confronto su problematiche attuali, relative alle attività minerarie moderne e all’urgenza della piena e condivisa istanza della fruizione e valorizzazione dei geositi, come, ad esempio, Monte Cheli a Santa Elisabetta, spettacolare affioramento con interesse primario riconducibile alla presenza di cristalli giganti di gesso con origine sedimentaria. In questo complesso lavoro di ricerca, è inserito uno studio sull’alabastro partannese, a cui ho dedicato negli anni ‘90 una parte dei miei primi studi e che oggi, in questa importante occasione, voglio dedicare al mio amico Sebastiano Tusa che ci ha sempre aiutato nel nostro lavoro di ricerca e, nel caso specifico, insieme agli studiosi Alberti, Mannuccia, Lazzarini, ci ha supportato nella localizzazione dei siti e incoraggiato nella ricerca, in linea con quello che è sempre stato per lui ragione di vita: studio, ricerca e condivisione della conoscenza.


Domenica Gullì, Stefano Lugli, Rosario Ruggieri, Rita Ferlisi Curatori del volume

La scoperta della “Grotta Inferno” in territorio di Cattolica Eraclea, avvenne nel 1986 in occasione dei lavori per l’apertura di una strada interpoderale sul declive settentrionale di Cozzo di ‘Ddisi. In quell’occasione, Gaetano Buscaglia (Tano), speleologo, nonché capo cantiere della ditta che eseguiva i lavori di sbancamento, individuò una cavità, che esplorò in quella circostanza per la prima volta. Per la presenza di spettacolari cristalli di gesso trasparente, la chiamò “Grotta dei Cristalli”. Da lì a poco fu eseguito il rilievo e venne registrata al catasto delle grotte, con la sigla SI-AG 2049 e con la denominazione di “Grotta Inferno”. Il nome deriva dal toponimo della contrada, probabilmente legato alle asperità dei luoghi gessosi, inospitali e aridi, dove le numerose sorgenti naturali che costellano il territorio sono per lo più salate e sulfuree, inutilizzabili a scopi alimentari e irrigui; persino il fiume Platani, che incide i grandi banchi degli affioramenti gessoso-solfiferi, serpeggiando in stretti meandri e incanalandosi tra strette gole, per lunghi tratti è salato. Talmente salato che spesse croste di cloruro di sodio si formano in superficie, durante le aride estati dal calore estenuante. Sono le rocce riarse delle zolfare e delle masse gessose scintillanti alla luce del sole, con il sale e lo zolfo, diffusi in superficie e nel sottosuolo, che definiscono l’unicità del paesaggio della Valle del Platani. Questi riarsi paesaggi presero il nome di ‘Nfernu, l’inferno dei solfatai, dei carusi, dei picconieri, dei minatori di sale, dei braccianti e dei contadini che a fatica coltivavano aride zolle bruciate dal sole. Dalla prima esplorazione di Tano Buscaglia, si sono susseguite diverse altre diverse campagne esplorative da parte di gruppi della Federazione Speleologica Regionale Siciliana, fino alle esplorazioni, a partire dagli anni 2000, del gruppo Kamikos di Sant’Angelo Muxaro e del CIRS di Ragusa, che hanno completato il rilievo delle cavità. Nel frattempo, nella Vena del Gesso Romagnola, nei pressi del rifugio di Ca’ Carnè a Brisighella, Baldo Sansavini scoprì la “Grotta della Lucerna”, che venne identificata come una cava di lapis specularis, la prima fino ad allora riconosciuta in Italia, grazie anche al confronto con speleologi e archeologi spagnoli, che potevano vantare una lunga esperienza nel campo delle cave di lapis, utilizzato dai Romani come vetro per le finestre. È stato proprio grazie ai successivi contatti con la Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna e dell’associazione Lapis Specularis spagnola che anche la “Grotta Inferno” ha avuto la corretta identificazione come cava di lapis specularis, la prima riconosciuta in Sicilia, il più grande complesso ipogeo trasformato in cava fino ad oggi scoperto in Italia. Sull’affascinante tema del lapis specularis si sono tenuti ad oggi tre convegni internazionali; il primo, fondamentale, nel 2013 a Faenza, promosso da Chiara Guarnieri, nel 2015 a Cuenca (Spagna), promosso da Maria Josè Bernárdez Gómez e Juan Carlos Guisado di Monti e nel 2017 a Brisighella, con il coordinamento di Chiara Guarnieri. Con questo nostro quarto convegno agrigentino, GeoArcheoGypsum2019, ci si è posti l’obiettivo di indagare anche altri aspetti dell’utilizzo di questo minerale pregevolissimo. Non solo il lapis specularis utilizzato in età romana ma, grazie al contributo di geologi,


speleologi, archeologi, storici dell’arte ed etnoantropologi provenienti anche da Grecia e Spagna, si è voluto approfondire la straordinaria storia della sua genesi e delle sue diverse forme in natura, ipogee ed epigee, per passare al suo multiforme utilizzo, nelle arti e in architettura, dalla preistoria fino ai nostri giorni. Un viaggio veramente sorprendente, che è stato l’occasione per ricollegare le aree gessose d’Italia e d’Europa con scoperte inedite. Un posto di primo piano occupa la tradizione della scagliola colorata ad imitazione degli intarsi in pietre dure, che nacque in Germania e si sviluppò a Carpi nel modenese nel XVII secolo, fino in Lombardia e Toscana e che ha trovato oggi sorprendenti esempi anche in Sicilia, a Caltanissetta, Piazza Armerina, Caltagirone e, soprattutto, a Sant’Angelo Muxaro dove, all’interno della Chiesa Madre, si è registrata la fortunata riscoperta dei riquadri di uno splendido paliotto dalla struttura marmorea, realizzati in scagliola intarsiata, ascrivibile allo stile carpigiano e della Valle Intelvi. Relazioni che conducono fino ai nostri giorni, con l’unico artigiano scagliolista, Filippo Carnazza, di origini siciliane, che opera a Carpi. Lapis specularis, scagliola e, ancora, alabastro gessoso, utilizzato sin dalla preistoria per la realizzazione di pregevoli opere, dal mitico trono di Minosse a Creta, alle urne cinerarie etrusche a Volterra, agli alabastra della Sicilia greca, alle sculture della Spagna aragonese del XIV secolo fino alla tradizione scultorea siciliana del XVII e XVIII secolo. Tradizioni, perse nel tempo, che con questo volume si è voluto riunire, per la prima volta, in un sottile filo rosso, dalla formazione del gesso, circa sei milioni di anni fa, al suo multiforme utilizzo, che attraversa la storia e le vicende dell’uomo.



Origine, architettura e arte



El complejo minero romano de lapis specularis de “Las Vidriosas”, en Huete (Cuenca, España) y el poblamiento romano de su entorno María José Bernárdez Gómez1, Juan Carlos Guisado Di Monti1, José Francisco Gallardo Bernal2, José Martínez Hernández2, Alejandro Navares Martín2, Fernando Villaverde Mora2

L

as minas romanas de lapis specularis de “Las Vidriosas” se encuentran en el término municipal de Huete, ciudad, y la mayor población de la Alcarria conquense en Castilla-La Mancha (España). La denominación de “Las Vidriosas” del complejo minero, se debe al nombre del paraje y del camino que discurre por esta zona del municipio y que, toma tal apelativo por hacer referencia a la presencia de los cristales de yeso especular, y a los brillos y destellos que pueden observarse en el terreno (actuando como si fueran “vidrios”), cuando los rayos de la luz del sol inciden sobre los restos de los estériles de espejuelo, procedentes de las antiguas escombreras mineras. Los minados de “Las Vidriosas”se sitúan a poco más de dos kilómetros al norte de la actual población de Huete, en una elevación yesífera cercana a la vega del río Mayor, en la que el complejo minero se extiende por una superficie de unas sesenta hectáreas, y en donde los minados se distribuyen por un espacio de más de un kilómetro de largo por unos quinientos metros de ancho, a ambos lados del mencionado camino de Las Vidriosas. Geomorfológicamente, el panorama general que describe la región alcarreña es el de un relieve sedimentario con un gran altiplano, en el que se encajan los valles fluviales, como el valle del río Mayor. En la comarca destacan, como parte del paisaje dominante, sobre todo los suaves relieves, a los que se les conoce en la zona con el nombre genérico de “Alcarrias”, con algunas elevaciones aisladas o cerros testigos, generados a consecuencia de la erosión. Igualmente, son abundantes las zonas agrestes y de áridas parameras, en las que predominan los ambientes esteparios y en donde el sustrato de yesos es también uno de los grandes protagonistas del paisaje, no sólo por la importancia patrimonial e histórica de la explotación de las minas romanas de lapis specularis, sino también por su trascendencia ecológica y por sus altos valores medioambientales y de biodiversidad como parte integrante del ecosistema. Las zonas de yesos de la comarca constituyen uno de los espacios naturales más representativos del territorio, por lo que una parte importante de las mismas se encuentran catalogadas y protegidas medioambientalmente por su singularidad e interés como “zona ZEC” (Zona de Especial Conservación), bajo la denominación de

Museo Histórico Minero D. Felipe de Borbón y Grecia (ETSIME-Minas de Madrid); e-mail: mjbernardez@gmail.com; jcguisado@lapisspecularis.org. 2  Proyecto “Cien Mil Pasos Alrededor de Segóbriga”; e-mail: josef.gallardobernal@gmail.com; josemartinezhe@yahoo.es; alejandronavares@lapisspecularis.org; fvillaverde@lapisspecularis.org. 1

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María José Bernárdez Gómez et alii

“Estepas yesosas de La Alcarria conquense” y dentro de la llamada Región Biogeográfica Mediterránea de la Red Natura 2000 Europea3. En lo que respecta a las minas romanas de la zona, varios de los complejos mineros del término municipal de Huete se localizan y se incluyen en el área de esta zona de protección de yesos esteparios, como es el caso del complejo minero de las minas de Sanabrio, en Saceda del Río (H.SR), el complejo de Aldea de Carrascosilla (H.C), así como los complejos mineros de Moncalvillo (H.M) y La Mudarra (H.I). Igualmente, parte del terreno en el que se halla el complejo minero de“Las Vidriosas”(H.II), está incluido también en este espacio natural y ecológico de yesos, protegidos tanto a nivel nacional como por normativa comunitaria europea. Con respecto a la Geología y la formación del lapis specularis de la zona de estudio, las minas que conforman el grupo minero de “Las Vidriosas” se encuadran, al igual que los demás complejos mineros de la circunscripción del lapis specularis de Castilla-La Mancha, en la cubeta terciaria conocida como cuenca de Loranca o depresión intermedia. Se trata de una cuenca antepaís de la Cordillera Ibérica situada entre la Sierra de Altomira y la Serranía de Cuenca, que se formó durante el Eoceno-Oligoceno inferior y en la que se han identificado hasta cinco unidades estratigráficas de sedimentación que alcanzan los 1.300 m de espesor (Bernárdez Gómez et alii 2015, p. 23). En las minas de “Las Vidriosas”, y a semejanza con los demás complejos mineros de lapis specularis de la cuenca cenozoica de Loranca, los trabajos de documentación arqueológica permiten constatar de forma evidente que los indicios y registros de las labores mineras, bocaminas y pozos romanos identificados en la superficie del terreno, están normalmente asociados y superpuestos, o muy próximos, a alineaciones de fallas geológicas o líneas de fractura. Igualmente, algunos de los complejos mineros se ubican también en zonas de charnelas de pliegues anticlinales (Díaz Molina, Rossi Nieto, en prensa). Estas alineaciones que marcan el posicionamiento geográfico de las minas de lapis specularis y su correspondiente correlación con determinados ámbitos geológicos, refleja claramente la asociación existente entre las antiguas labores mineras y sus yacimientos arqueológicos, con el contexto geológico del terreno. Especialmente, en lo que se refiere a la localización de las zonas de mineralización del lapis specularis y su potencial explotación minera en época romana. Un contexto clave para interpretar la disposición del entramado minero del yeso especular, que es válido tanto para comprender el diseño organizativo y funcional de un complejo minero, como para colegir igualmente la estructura de algunas áreas mineras en las que se ordenan y cohesionan varios complejos mineros de lapis specularis (fig. 1). Esta sistematización geológica, demuestra también como los complejos mineros de yeso especular del territorio se encuentran siempre asociados a cabalgamientos, fallas inversas, fallas direccionales y pliegues que se originaron en la cuenca de Loranca al producirse una deformación de tipo compresivo durante el Mioceno medio y más concretamente durante el periodo Aragoniense (Díaz Molina, Rossi Nieto, en prensa). En cuanto a la génesis geológica del lapis specularis, estos yesos especulares tienen un origen diagenético y se hallan encajados en el interior de los yesos deposicionales primarios de las conocidas como unidades estratigráficas II y III de la cuenca de Loranca. En su formación, el lapis specularis cristalizó en conductos y fracturas de un paleokarst confinado, probablemente asociado a la mencionada deformación tectónica y compresiva

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Código RN 2000: ES4230012. Nombre: Estepas Yesosas de la Alcarria Conquense. Provincia: Cuenca. Extensión: 11.482 ha. Términos Municipales: Campos del Paraíso, Valle de Altomira, Gascueña, Huete, La Peraleja, Pineda de Gigüela, Portalrubio de Guadamejud, Tinajas, Torrejoncillo del Rey.

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El complejo minero romano de lapis specularis de “Las Vidriosas”

Fig. 1. Mapa de proyección de los complejos mineros romanos de lapis specularis más cercanos a la población de Huete (Cuenca / Castilla-La Mancha). Con la situación y alineación de los complejos sobre el mapa de contornos estructurales del techo del Cretácico (modificado de Díaz et alii - Equipo de Investigación Lapis Specularis).

que se produjo durante el Mioceno medio. Una serie geológica en la que seguramente también los acuíferos profundos de la depresión intermedia se convirtieron en artesianos, provocando la formación por relleno de las cavidades del paleokarst y la posterior cristalización del lapis specularis (Díaz, Rossi, en prensa). Gracias a las inclusiones fluidas de los cristales, conocemos que éstos se formaron a temperaturas entre 15 y 25º C (Canals, García Ruíz, en prensa). El contexto arqueológico del complejo minero de Las Vidriosas Las minas romanas de yeso especular de “Las Vidriosas” forman parte del área de explotación minera relacionada con la ciudad iberorromana que ha sido identificada por algunos investigadores con la ciudad de Istonium. Se trata de un emplazamiento de cierta entidad y envergadura, ubicado estratégicamente en una posición dominante sobre un promontorio que controla los valles del río Mayor, Borbotón y Aldehuela, en el conocido como cerro de Alvar Fáñez de Huete, y a escasos cuatro kilómetros del complejo minero de “Las Vidriosas”. El yacimiento arqueológico del “Cerro de Alvar Fáñez”, como enclave histórico, presenta un registro ocupacional y de continuidad como hábitat desde la etapa celtibérica hasta la tardorromanidad. En época alto imperial, su función prioritaria consistiría en ejercer como centro local organizativo y logístico en la explotación de los cercanos complejos mineros de lapis specularis que hay en su territorio (Bernárdez Gómez, Guisado di Monti 2009, p. 219). Así, la antigua ciudad de Istonium u Opta, con la que se identifica el yacimiento durante su etapa romana, actuaría como centro poblacional principal de la zona, integrado ya plenamente en la esfera de la romanidad, y experimentando en este período un proceso de desarrollo urbanístico e incluso monumental de sus espacios públicos, tal como han revelado las excavaciones e interpretaciones del enclave arqueológico (R. Castelo Ruano, 2000). Una etapa histórica de actividad y progreso, consecuente sin duda y relacionada con la proyección económica generada por la extracción y el comercio del lapis specularis, y los hasta ocho complejos mineros que, en sus inmediaciones, se encontraban por entonces a pleno rendimiento. La población y núcleo urbano de Istonium se halla prácticamente a medio camino entre Ercávica y Segóbriga, las dos grandes ciudades principales del área minera del | 227


María José Bernárdez Gómez et alii

lapis specularis de Castilla-La Mancha que, junto con Valeria, serían promocionadas por la reforma augustea a comienzos del Imperio (si no antes), al rango privilegiado de municipium. Una concesión y condición jurídica dentro de la nueva planificación organizativa del Imperio, destinada a que estas ciudades vertebrasen la administración del territorio circundante y que, entre otros objetivos, estaba encaminada a la integración de las comunidades de la zona y a la optimización en la gestión y explotación de los recursos existentes. En esa coyuntura organizativa del territorio, el papel desempeñado por la pequeña ciudad de Istonium nos es desconocido en cuanto a su estatus y a su posible grado de dependencia o subordinación con respecto a las dos comunidades cívicas y centros rectores de Ercávica o Segóbriga. Aunque una de las hipótesis verosímiles y también formulada en cuanto a su posible ordenamiento particular, apunta igualmente a su posible autogestión como centro o establecimiento independiente, dado su carácter de ciudad al servicio de las explotaciones mineras de lapis specularis. Una función ejercida quizá desde el rol de las circunstancias, actuando como posible “capital minera” y núcleo autónomo destinado al servicio de los intereses de la explotación minera. Fuera como fuese, la realidad del enclave en su fase romana imperial, giraría en torno al importante desarrollo y la dinámica que supuso para la ciudad la actividad de las numerosas minas de lapis specularis de su entorno y al éxito que le proporcionaría su participación en la extracción y comercialización del yeso especular. De manera que, en el período de referencia, asistimos a una expansión urbanística que rebasa con mucho el perímetro del antiguo oppidum de la Edad del Hierro II, extendiéndose la trama urbana por las inmediaciones del cerro de Alvar Fáñez y ocupando nuevos espacios de asentamiento en la falda del mismo, así como en la zona de vega próxima al río Borbotón (zona del área cercana a la actual estación de tren de Huete). Produciéndose así un incremento tanto de la superficie ocupada de forma regular por las nuevas viviendas y construcciones, como consecuentemente, un aumento demográfico del número de habitantes que poblaron la ciudad y sus inmediaciones. Igualmente, en lo que respecta a la esfera de influencia suburbana del yacimiento del “Cerro de Alvarfañez”, la posible Istonium, durante la etapa alto imperial asistimos también a la ocupación en el territorio circundante de nuevos lugares de asentamiento, especialmente en las áreas de llanura y vega cultivable de los valles cercanos. El modelo ocupacional de estos yacimientos se ajusta preferentemente al aprovechamiento de las pequeñas elevaciones sobre el terreno del propio valle y a las zonas más aptas como hábitat, en las que afloran las areniscas sedimentarias del oligoceno. Estas últimas, gracias a su fácil tratamiento, fueron trabajadas y aprovechadas, al igual que en época prerromana, utilizándose tanto para solar de las edificaciones (una vez rebajado y uniformado el terreno), como incluso para excavar en las formaciones de rocas areniscas pequeñas habitaciones, bodegas, huecos de almacenaje, así como algunos otros elementos tallados en la roca con los que complementar y acondicionar las construcciones. La categorización de los asentamientos y yacimientos de época romana altoimperial localizados en el entorno rural del enclave del Cerro de Alvar Fáñez, o Istonium, varía entre las pequeñas edificaciones dispersas y aisladas, que en muchas ocasiones son simples casas de aperos o almacenamiento, o pequeñas construcciones relacionadas posiblemente con zonas de huertos, cultivos y espacios de trabajo. Asimismo, se constatan otros establecimientos de mayor entidad, como las incipientes villas romanas, que empiezan en esos momentos a poblar y ocupar los ámbitos suburbanos del territorio. Estos últimos asentamientos, en su fase inicial, no dejan de ser simples granjas agrícolas, y sencillas casas de campo que, con el discurrir del tiempo, evolucionaron hacia estructuras más

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complejas y a lo que entendemos conceptualmente como la clásica villa romana, definida básicamente como una gran propiedad de carácter agropecuario. El comienzo de la implantación de estas villae como unidad de producción y modelo ocupacional del espacio rural en esta zona, coincide plenamente con el inicio y auge de la minería romana del yeso especular en la región. Las villas romanas como fenómeno en el territorium surgen a la par que las minas de lapis specularis a comienzos del Imperio, para, a mediados del siglo I d.C. y sobre todo con los emperadores Flavios, generalizarse como sistema básico de explotación del agro. Algunas de estas villae perduran en continuidad y evolucionarán los siglos siguientes, con sus correspondientes transformaciones y adaptaciones, hasta llegar en algunos casos a convertirse en las grandes y señoriales villas tardorromanas hispanas. Entre los yacimientos romanos altoimperiales conocidos y otros que hemos podido inventariar en el territorio y que están relacionados o cercanos al complejo minero de “Las Vidriosas”, destacan, junto al núcleo urbano del Cerro de Alvar Fáñez, los yacimientos del Camino del Tejar y la Peña del Palomar o Fábrica de Papel (Palomero Plaza 1987, p. 103). Al igual que a menor escala, conviene reseñar también los indicios de ocupación, así como de hallazgos de materiales romanos que se han podido documentar, en el sitio de Las Tiendas, el Cerro del Castillo de Huete, o la Peñuela, entre otros lugares próximos a la población actual de Huete (fig. 2). Entre las villas romanas o quintas rurales que se establecen y distribuyen por el territorio suburbano en estos momentos, se encuentran la villa del “Chozo de la Inclusa”, cercana a los complejos mineros de lapis specularis de “Las Vidriosas” y “Los Mares”, y otras villas romanas, como la de “Los Parrales”, próxima al complejo minero de Las Vidriosas. En estos yacimientos, la cronología que nos proporcionan los restos materiales, atestigua su inicio en época altoimperial, y su práctica continuación hasta la antigüedad tardía, como haciendas agrícolas. En el caso del Chozo de la Inclusa (fig. 3), se trata de un asentamiento rural más bien modesto y de un tamaño mediano, mientras que la “Villa romana de Los Parrales” se corresponde con un yacimiento de mayor entidad e importancia, sobre todo en su última fase de existencia. La Villa romana de Parrales es un fundus que tiene sus comienzos en época altoimperial y alcanza su apogeo en época tardía, momento en el que alcanzó su mayor esplendor y en el que su superficie constructiva ocuparía su máximo desarrollo, al contar con nuevas edificaciones y mayores espacios residenciales, tal como se puede precisar, y dejan entrever, los restos estructurales y arqueológicos del asentamiento. Entre estos restos arqueológicos que concretan los aspectos conformadores de la villa y la filiación cultural y cronológica de la misma en sus distintas etapas, se ha podido documentar también la presencia de piezas de lapis specularis, utilizadas como uno de los elementos constructivos y de prestigio que formaron parte de la edificación romana. Así como restos de teselas de mosaico, estucos y elementos arquitectónicos de ornato que, junto a cerámicas de lujo, vidrios y otras piezas de igual índole, determinan la importancia del yacimiento y su contextualización. En la última etapa del yacimiento como villa residencial y monumental en época | 229

Fig. 2. Mapa de las minas y del complejo minero romano de lapis specularis de “Las Vidriosas” (H.II), con los yacimientos romanos de época altoimperial de la zona (Equipo de Investigación Lapis Specularis).


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Fig. 3. Tumbas tardorromanas, en las areniscas del Oligoceno, del yacimiento arqueológico del “Chozo de la Inclusa” en Huete (fotografía J. Martínez Hernández).

tardorromana, destacan sobre todo los restos constructivos de un mausoleo de planta octogonal, precedido por un pasillo de entrada, que daría también acceso mediante una rampa a la cripta subterránea del panteón. El edificio funerario, datado por sus características constructivas y edilicias en el siglo IV d. C., mantiene aún muros con alzados de más de cuatro metros de altura, y su grado de conservación, pese a los derrumbes y, aunque carece de techumbre, es aún bastante aceptable. Por último y en lo que respecta a la distribución poblacional de las áreas mineras de lapis specularis del territorio, al igual que en los otros complejos mineros de la región, en el conjunto de las minas de “Las Vidriosas”, se hallan, en la zona de las labores mineras, algunos espacios arqueológicos de uso doméstico y de almacenaje relacionados con las explotaciones. Su localización como ámbitos de ocupación poblacional se ha podido establecer a partir de los restos materiales que afloran en superficie, sobre el terreno donde se encuentran las minas. Estos restos arqueológicos consisten, por lo general, en restos constructivos, así como fragmentos cerámicos y otros elementos muebles, que formaban Fig. 4. Fotogrametría del Mausoleo Romano de “Los Parrales” en Huete (Cuenca / CastillaLa Mancha) (fotogrametría M. Fernández Díaz).

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parte de los establecimientos mencionados y que, por su disposición y dispersión, dejan entrever de manera concisa su situación en el entramado minero del complejo, formando parte de la logística e infraestructura necesaria para el funcionamiento y buena marcha del minal. La explotación minera de lapis specularis de “Las Vidriosas” El conjunto de explotaciones mineras que constituyen el complejo minero romano de“Las Vidriosas”(H.II), lo componen un total de veintiún minados, a los que se añaden otros indicios mineros de lapis specularis. De los minados inventariados, actualmente sólo cuatro, los identificados como H.II-5, H.II-8, H.II-9 y H.II-16 son accesibles parcialmente a su interior. El terreno donde se sitúan las minas del complejo de “Las Vidriosas” se encuentra bastante transformado, y actualmente sometido a la explotación de la agricultura intensiva, por lo que los minados y vestigios mineros romanos aparecen profundamente alterados por las actuales labores agrícolas. En las fotografías aéreas de los vuelos de los años cincuenta del pasado siglo, muchos de los pozos y entradas mineras podían verse aún abiertos, en un paisaje que sólo en las últimas décadas se ha visto modificado en gran medida con la roturación de las tierras por la maquinaria de trabajo moderna. Así, muchas de las entradas a los pozos mineros y al interior de las minas se han cegado y tapado recientemente de forma intencionada, al arrojar a las mismas los grandes bloques de piedra y los escombros que, sobre la superficie del terreno, entorpecían los trabajos agrícolas y que procedían tanto de los restos de la antigua actividad minera, como de la nueva superficie roturada y puesta en labor. Pese a la variación y a la transformación del paisaje de la antigua zona minera, el estudio de fotointerpretación de las imágenes aéreas más antiguas de la zona y, sobre todo, la investigación arqueológica y la prospección intensiva efectuada sobre el terreno, nos ha permitido identificar y contextualizar en gran medida el ámbito minero de época romana del complejo de Las Vidriosas. Si bien, el paso del tiempo y los cambios acaecidos, dificultan, en determinados espacios, la interpretación de esos posibles indicios mineros relacionados con la explotación del cristal de yeso. Junto a los veintiún minados inventariados en “Las Vidriosas”, durante los trabajos de prospección, y documentación arqueológica del complejo minero, se ha podido también identificar otros indicios de la explotación, como un “Centro de Procesamiento” y trabajo del mineral, situado en la zona neurálgica del complejo minero e inmediato a las minas H.II-18 y H.II-21. Igualmente, en el entramado de superficie del área minera se han reconocido una serie de espacios de ocupación, relacionados por sus restos arqueológicos con posibles lugares de almacenaje y de servicio a las minas. Estos espacios habitacionales y de trabajo se han podido documentar principalmente en los parajes conocidos como “los Prados de la Beata” y el “Arroyo de Don Pedro”, así como en el entorno inmediato al Centro de Procesamiento y tratamiento de mineral del complejo minero. Con respecto a las minas del complejo de Las Vidriosas, las mismas presentan accesos al | 231

Fig. 5. Módulos comerciales de lapis specularis del complejo minero romano de “Las Vidriosas”, en Huete (Cuenca). En la imagen pueden observarse las huellas de corte de las herramientas en los bloques de yeso cristalino (fotografía A. Navares Martín).


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interior minero con entradas tanto horizontales como en rampa, aprovechando las zonas de pendiente y ladera que permiten ajustar al terreno el emboquille de ingreso minero y así acceder directamente al filón interno del yeso especular. El resto de los ingresos a estas minas de lapis specularis son los habituales pozos mineros que, de forma vertical y en profundidad, se adentran desde superficie en el subsuelo, incidiendo en el interior subterráneo, para igualmente alcanzar las bolsadas beneficiables de mineral. Actualmente, sólo cuatro de los minados de“Las Vidriosas”mantienen accesible la conexión con sus desarrollos mineros subterráneos, aunque sólo sea una pequeña parte y de forma parcial. En líneas generales se trata de exiguos tramos de recorrido que han subsistido en este tiempo a los cierres intencionados, derrumbamientos y colmataciones de los espacios mineros, siendo escasos vestigios de una realidad minera muchísimo mayor a lo que hoy podemos registrar y explorar. Si bien, la topografía y análisis de los restos de estos minados abiertos aportan, como es lógico, una parte esencial al estudio y conocimiento de la minería romana del lapis specularis. La descripción básica en cuanto a las características y morfología de estos minados abiertos es la siguiente: Mina de las Ovejas (H.II-5)

Fig. 6. Mina romana de lapis specularis de Las Ovejas (H.II5), en el complejo minero de “Las Vidriosas” en Huete (Cuenca- CLM). (dibujo F. Villaverde Mora).

Se trata de la mina más meridional del conjunto minero (fig. 6), con 10 m escasos de desarrollo subterráneo y una cota máxima en profundidad de – 5,12 m. Al exterior, la cavidad presenta un hundimiento en forma de embudo que conduce, tras salvar un desnivel de poco más de 5 m, hasta el escarpe desde el que se accede a la mina propiamente dicha. A unos metros al oeste de la mina se localizan otros dos posibles accesos mineros (H.II-3 y H.II-4), que con toda probabilidad formarían parte del mismo minado. En el interior de la mina y una vez descendido el escarpe, accedemos a un espacio distribuidor, de paredes irregulares y un suelo ligeramente basculado hacia el noreste, muy accidentado y alterado, así como recubierto de bloques de piedra y restos óseos de ovejas arrojadas a la sima, para deshacerse de ellas en su momento. Al oeste del minado se observa la embocadura de un pozo minero interior, de sección cuadrangular, con hastiales bien conservados y en donde son perfectamente apreciables las huellas de los punteros y herramientas con los que fue trazado, y que comunicaría, en su momento, con otro nivel inferior de explotación. La mina se encuentra actualmente, como hemos mencionado, muy colmatada, aunque es obvia la continuidad vertical de la misma. Mina del Ojuelo (H.II-8) La “Mina del Ojuelo” (H.II-8), es un gran minado hundido, que colapsó al vencer por gravedad la cámara principal y parte del espacio minero excavado. El resultado del derrumbe dejó la evidencia sobre el terreno de un gran hundimiento de contorno globular (conocido como “El Ojuelo”), donde el desplome externo presenta en la actualidad una profundidad de alrededor de 4 m y unas dimensiones que en su eje esteoeste llegan a los 84 m, siendo la longitud del eje norte-sur de 62 m. El hundimiento ha seccionado y separado dos espacios

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mineros accesibles a su interior, que formaban parte de una misma mina en su momento de explotación, a los que hemos denominado (H.II-8A y H.II-8B). El primero, situado en el extremo norte del Ojuelo y el segundo en su lado este (fig. 7). También hay que destacar como, en la ortofotografía del Vuelo Americano del año 1945, es visible con claridad una entrada minera al sur y en la base del hundimiento, hoy desaparecida, a la que no tenemos acceso y que, en su día, formaba, igualmente, parte del minado. La mina H.II-8A se localiza en la base occidental del talud del hundimiento y su acceso es un pequeño corredor o conducto, por el que se progresa entre los derrumbes y bloques mal encajados e inestables del colapso minero, y por el que, a partir de ahí, se puede descender por un cono de derrumbe o por un desfonde hasta cotas inferiores, donde nos encontramos con un espacio kárstico en gran parte. En el interior de este espacio minero es frecuente encontrar zonas inundadas de agua y espacios kársticos en yeso, formando cavidades de gran tamaño, algunas con alturas de 4 m y anchos cercanos a los 8 m. La actividad minera se hace evidente en las zonas de mineralización, especialmente en los sectores norte y sur de la mina, donde hay algunas galerías mineras de prospección de más de 30 m de longitud. El desarrollo interno que se ha podido explorar y topografiar del minado es de 221 m, mientras que el punto más bajo de cota de la mina se sitúa en – 15,84 m. La mina H.II-8B, al igual que el caso anterior, es un sector periférico y parcial del minado inicial, que se ha salvado del colapso, donde el acceso, por consiguiente, es el resultado del corte producido en una galería interior de la mina original. Esta galería, de suave pendiente descendente, da acceso a un espacio que actúa a modo de eje distribuidor vertical y en el que se suceden, según se avanza, un escarpe de aproximadamente un metro de profundidad, que conecta a su vez con un pozo interior de 1,80 m, y que comunica con un nuevo conducto vertical, hoy completamente colmatado. En este nivel, la mina traza una serie de corredores de estructura laberíntica, muy colmatados, y que se interrumpen en todos los casos por los efectos del derrumbe general. En la mina H.II-8B se aprecian con claridad y destacan los característicos lucernarios donde se depositaban las lucernas para la iluminación de la mina, así como se hallan marcas labradas en los hastiales y, rebajes en las paredes para la instalación de un sistema de polipastos o mecanismos de elevación a base de poleas, utilizados para el acarreo del mineral y su extracción hacia la superficie. Este espacio minero cuenta con un desarrollo total topografiado de unos 91 m, alcanzando su cota máxima de profundidad, en las zonas ya colmatadas por los derrumbes, en unos -9,93 m. Mina H.II-9 La mina H.II-9 tiene escasamente 5 m de recorrido interno, al encontrarse, a apenas unos metros de su entrada, ya colmatada (fig. 8). Los restos del minado tienen un desarrollo sencillo con tres accesos, de los cuales dos convergen en un mismo espacio interior. En sus cercanías se encuentra la mina H.II-15, con la que, en su momento de explotación, estaría comunicada.

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Fig. 7. Mina romana de lapis specularis del Ojuelo (H.II-8), en el complejo minero de “Las Vidriosas” de Huete (Cuenca/ CLM) (dibujo F. Villaverde Mora).


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Mina H.II-16 De esta mina sólo se ha conservado una pequeña sala de contorno circular de aproximadamente 10 x 8 m (fig. 9), donde a escasos 10 m de la entrada, la mina se colmata, imposibilitando su continuación de no mediar un desescombro y desobstrucción importantes. La altura de la sala de esta mina apena supera el metro y medio, con un suelo irregular conformado por bloques y restos de estériles, en donde el punto más bajo de cota está a -1,46 m. Con toda probabilidad nos encontramos ante una sala minera de distribución, de la que parten tres galerías, de las que son visibles aún sus arranques, aunque la colmatación y los derrumbes impiden cualquier progresión posible. Conclusiones

Fig. 8. Mina romana de lapis specularis H.II-9 del complejo minero de “Las Vidriosas” en Huete (Cuenca) (dibujo F. Villaverde Mora). Fig. 9. Mina romana de lapis specularis H.II-16 del complejo minero de “Las Vidriosas” en Huete (Cuenca) (dibujo F. Villaverde Mora).

El complejo minero de “Las Vidriosas” conforma una importante zona de explotación de la minería romana del lapis specularis. El inicio de las labores mineras coincide con los comienzos de la época altoimperial romana, y con un desarrollo significativo del principal núcleo poblacional de la zona, el yacimiento hispanorromano del “Cerro de Alvar Fáñez”, en Huete. El cambio administrativo y la implantación del sistema imperial supuso una importante transformación para la región, que experimenta entonces un crecimiento económico sin precedentes con el comienzo de la intensiva explotación minera de yeso especular. El análisis del territorio en esta etapa, determina un aumento del número de los asentamientos hispanorromanos y el establecimiento de las primeras villae altoimperiales, dentro del ordenamiento y aprovechamiento territorial de los espacios próximos tanto a las minas, como al enclave principal de Istonium. Entre estos nuevos asentamientos ocupacionales, la villa de Parrales es el yacimiento más relevante y cercano a las minas de Las Vidriosas, de las que se encuentra a apenas trescientos metros de distancia y se corresponde con uno de sus accesos. La articulación del territorio, en cuanto a su población y a los complejos mineros de lapis specularis de la comarca, se organiza en torno a la calzada principal que, desde Segóbriga, se dirigía a Ercávica para alcanzar más adelante Segontia (la denominada vía IA). La calzada discurría al lado del “Cerro de Alvar Fáñez”, desde donde a su vez partían otras vías y tramos secundarios, que conectaban igualmente la ciudad romana con los distintos complejos mineros de lapis specularis de la zona. En cuanto al complejo minero de “Las Vidriosas”, de sus numerosas minas, tan sólo en cuatro de ellas podemos acceder a pequeños espacios subterráneos, en cuyo interior se observan las manifestaciones distintivas y la estructuración y los recursos mineros representativos de la minería romana del lapis specularis. Los accesos al interior minero son a través de entradas horizontales, o en plano inclinado, y por pozos mineros, que

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Fig. 10. Interior de la mina romana de lapis specularis H.II-8 del complejo minero de “Las Vidriosas” en Huete (Cuenca) (fotografía J. Martínez Hernández).

llegan a grandes salas interiores, y por el método de laboreo de cámaras sustentadas por pilares, y el trazado de galerías, partir en busca de los filones y bolsadas de yeso especular para su explotación (fig. 10). Sin duda el complejo minero de Las Vidriosas, participa de las características generales que definen este tipo de minería lapídea, donde su unidad como conjunto minero comparte, junto a la entidad de sus minas subterráneas, las necesarias instalaciones e infraestructuras de superficie, con su centro de procesamiento de mineral y sus áreas de almacenamiento y trabajo, entre otros servicios básicos. Sin embargo, es el interior minero el que podría, a futuro, aportar un mayor conocimiento en información y contenidos, dado que la mayoría de estos minados, aunque cerrados en la actualidad, pueden ser viables técnicamente para su estudio, ya que, mantienen en gran parte preservado y apenas alterado, su contexto arqueológico y en donde esperemos, que las futuras investigaciones puedan tener acceso. Referencias bibliográficas Arlandi Rodríguez M., Bernárdez Gómez M. J., Guisado Di Monti J.C., Jordá Bordehore L. 2006, Detección geofísica de minados subterráneos. La intervención en las minas romanas de lapis specularis de “La Mudarra” (Huete - Cuenca), en Actas del III Simpósio sobre Mineração e Metalurgia Históricas no Sudoeste Europeu, SEDPGYM - IPPAR – FCT. Porto 2006, pp. 231-245. Bernárdez Gómez M. J., Díaz Molina M., Guisado Di Monti J. C. 2015, Las explotaciones mineras romanas de ‘lapis specularis’ en la ‘Hispania Citerior’ y su contexto arqueológico en el Imperio romano, en Guarnieri C. (Coord.), Il Vetro di Pietra. Il lapis specularis nel mondo romano dall´estrazione all’uso, Atti del Convegno Internazionale. Faenza 2015, pp. 19-30. Bernárdez Gómez M. J., Guisado Di Monti J. C. 2017, Le miniere romane di ‘lapis specularis’ di Spagna: una risorsa monumentale e ambientale in un paesaggio di cristallo, Rivista Cristalli, Faenza 2017, pp. 10-17. Bernárdez Gómez M. J., Guisado Di Monti J. C. 2016, El comercio del lapis specularis y las vías romanas en Castilla-La Mancha, en Carrasco Serrano G. (a cura di), Vías de comunicación romanas en Castilla-La Mancha (Homenaje a Pierre Sillières), Universidad de Castilla-La Mancha, Colección Estudios nº 152, Ciudad Real 2016, pp. 231-276. Bernárdez Gómez M.J., Guisado Di Monti J. C. 2016, Guía de las minas romanas de ‘lapis specularis’ de ¨Las Cuevas de Sanabrio”, Saceda del Río – (Huete -Cuenca), Cuenca 2016. Bernárdez Gómez, M. J., Guisado Di Monti, J. C. 2012, El distrito minero romano de lapis specularis de Castilla-La Mancha, en Orejas A., Rico C. (a cura di), Minería y Metalurgia Antiguas. Visiones y Revisiones (Homenaje a Claude Domergue). Collection de la Casa de Velázquez, vol. 128. Madrid 2012, pp.183-199. Bernárdez Gómez, M. J., Guisado Di Monti, J. C. 2009, La minería del lapis specularis y su relación con las ciudades

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RESUMEN- El complejo minero romano de lapis specularis de “Las Vidriosas”, en Huete (Cuenca, España) y el poblamiento romano de su entorno. El complejo minero romano de lapis specularis de “Las Vidriosas” se localiza a unos dos kilómetros al norte de la localidad conquense de Huete, en tierras de la Alcarria y en la actual Comunidad Autónoma de Castilla-La Mancha (España). Este complejo minero cuenta con más de veinte minados de yeso especular que se distribuyen por un espacio de unas sesenta hectáreas sobre una elevación yesífera en el entorno de la vega del río Mayor, donde las minas se alinean siguiendo una orientación norte-sur, a ambos lados del camino que, desde la población de Huete, se dirige hacia la localidad vecina de Garcinarro.El complejo minero de “Las Vidriosas”(H.II) se integra en la mayor zona de explotación de lapis specularis de CastillaLa Mancha, estando próximo también a la ciudad hispanorromana de Istonium, en el cerro Alvar Fáñez de Huete, uno de los núcleos urbanos más relacionados con la explotación minera del territorio. Próximas a las minas de “Las Vidriosas”se encuentran igualmente algunas villas romanas de cierta entidad, como serían la villa romana del “Chozo de la Inclusa” y la villa de Parrales, entre otros yacimientos arqueológicos de la época relacionados también con la minería romana del lapis specularis. La explotación minera de este complejo, tuvo lugar en época altoimperial romana, cuando el momento de mayor actividad de estas minas, conllevó un auge de los yacimientos de su entorno, relacionados con la minería del lapis specularis. Palabras Clave: Patrimonio minero, Lapis Specularis, Complejo Minero, Mina, Castilla-La Mancha.

SUMMARY - The Roman Lapis Lazuli Mining Complex of “Las Vidriosas”, in Huete (Cuenca, Spain) and the Roman settlement of its surroundings. The Roman mining complex of lapis specularis of “Las Vidriosas” is located about two kilometers north of the municipality of Huete (Cuenca), in lands of La Alcarria and in the current Autonomous Community of Castilla-La Mancha (Spain). This mining complex has more than twenty mines in a space of approximately sixty hectares, where the mines are distributed in a north-south orientation, on both sides of the road that goes from the town of Huete to the neighboring town of Garcinarro, in a gypsum hill near the valley of the Mayor river. The mining complex of “Las Vidriosas” (H.II) is integrated into the largest mining area of lapis specularis from Castilla-La Mancha, next to the Hispanic-Roman city of Istonium on the hill of “Alvar Fáñez” in Huete, one of the most important places related to the mining exploitation of the territory. Next to the mining complex, in the valley area, there are some important Roman villas, such as the Roman villa of “Chozo de la Inclusa” and the villa of Parrales among others. The exploitation of the mining complex of “Las Vidriosas” took place in the High Imperial period, moment of greatest activity of the mines and archaeological sites in times of the Roman mining of lapis specularis. Keywords: Mining Heritage, Lapis Specularis, Mining Complex, Mine, Castilla-La Mancha.

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