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MENSILE A SFONDO SOCIALE DI PUBBLICA UTILITÀ

È ARRIVATA L’ESTATE...

Cosa ci porterà? Il solstizio, nelle tradizioni popolari, è avvolto da un’aura di mistero che sembrerebbe, negli occhi di oggi, qualcosa di arcaico. Purtroppo la parola mistero, o meglio ciò che accadrà domani, fa da sfondo alla nostra quotidianità. Prima la pandemia, poi le guerre e le tragedie del mare, l’evidente crisi sociale unita al degrado ambientale non costituiscono certo un buon auspicio, in contrasto con la serenità dellimmagine.

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In questo numero:

UNA GRANDE PERSONA_SAN GIOVANNI E LE SUE TRADIZIONI_BICI NEWS_IL LIBRO DEL MESE_LAVORI

SULL’OSELLINO_CONCORSO AMICI DI OLIVIERO LESSI_LA PAGINA DELL’ARCHEOLOGIA.

Nell’immagine di copertina

George Seurat

“Una domenica alla Grande Jatte”

UNA GRANDE PERSONA: DON LORENZO MILANI

Solo poche settimane sono trascorse, era il 23 maggio, dal centesimo anniversario della nascita di una delle personalità più originali e profetiche del cattolicesimo italiano del ‘900: don Lorenzo Milani. Il priore che impegnò la quasi totalità della sua esistenza vivendo accanto agli ultimi, abbarbicato nella pieve di Barbiana, nacque in una agiata e colta famiglia della borghesia fiorentina. Battezzato insieme ai suoi fratelli quando si prefigurano le leggi razziali – la madre, Alice Weiss, è di origine ebraica – Lorenzo consegue la maturità classica e inizia a frequentare l’Accademia di Belle Arti a Milano. Nel 1943, a venti anni, matura la scelta di entrare in seminario – scelta non compresa ma assecondata dalla famiglia – e il 13 luglio 1947 viene ordinato sacerdote.

Dopo alcuni mesi trascorsi come cappellano a Montespertoli, don Milani viene assegnato sempre come cappellano alla parrocchia di San Donato a Calenzano, un Comune a fortissima presenza operaia, in provincia di Firenze. Sono questi gli anni di un confronto rude aspro tra la Democrazia Cristiana e il blocco socialista e comunista, dopo la stagione della comune scrittura della Costituzione, che vedrà il culmine nelle elezioni politiche del 1948. In questo contesto don Milani organizza una scuola popolare, e la organizza nel segno della laicità, aperta tanto ai figli dei parrocchiani quanto a quelli dei comunisti. Una scelta che naturalmente insinua le prime fratture tra il giovane sacerdote e la chiesa ufficiale, ma che la dice già lunga sull’opzione preferenziale per gli ultimi, nello specifico per chi ha meno risorse culturali, che don Milani maturò prestissimo. Alla morte del parroco di San Donato, il 12 settembre 1954, don Lorenzo, anziché succedergli alla guida della parrocchia in cui già stava operando, viene nominato presso Sant’Andrea di Barbiana, una pieve remota e isolata nel Mugello, sui monti di Giovi. Si tratta non già di un borgo, ma di una manciata di case aggrappate alla collina, inaccessibile se non a piedi, senza luce né acqua corrente; la popolazione, sparsa in circa 40 case, consisteva fondamentalmente di famiglie contadine in condizione di povertà quasi estrema. Qui don Lorenzo Milano, ormai il “priore di Barbiana, traduce in un’esperienza ancora più radicale quanto aveva fatto a San Donato: mette l’istruzione e la cultura al centro della vita dei bambini e dei giovani di quel nido disperso, organizzando prima un doposcuola, poi un avviamento professionale e infine, quando nel 1963 nasce la scuola media unificata, un recupero. Due sono le convinzioni che orientano l’opera e il pensiero di don Milani: la prima è la fiducia sulla capacità di emancipazione della cultura, della scuola e della conoscenza, secondo cui finché esisterà chi conosce mille parole e chi ne conosce solo dieci la società continuerà ad essere sbilanciata nei confronti dei primi ed ingiusta. Questa forza emancipatrice della parola don Milani la interpreta in maniera originale, esercitando con i suoi ragazzi esperienze di analisi e scrittura collegiale: la lettera ai cappellani militari del 1965, anche nota come l’obbedienza non è più una virtù, e la straordinaria lettera ad una professoressa del 1967 sono testi che nascono insieme ai ragazzi della scuola, originati da atti di ingiustizia – la condanna dell’obiezione di coscienza nel primo caso, una bocciatura nel secondo – che originano una esperienza originale di scrittura.

La seconda convinzione è l’assunzione della cura, della responsabilità nei confronti degli altri, che rappresenta un’indiscussa messa in revoca di tutte le forme dittatoriali di dominio dell’uomo sull’uomo: non a caso il motto I care, traducibile in italiano con locuzioni come “mi sta a cuore”, “me ne occupo”, dipinto su una delle pareti della scuola di Barbiana, è posta esplicitamente e consapevolmente in opposizione al motto “me ne frego” che era stato assunto e predicato dal fascismo italiano. Alla fine, don Lorenzo restituì allora e continua a restituire ancora oggi il senso più intimo della politica, nel momento in cui, proprio nella Lettera ad una professoressa, afferma che “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.

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