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epidemic outbreak in Italy

Politica

Lack of differentiated measures in the first stage of COVID 19 epidemic outbreak in Italy

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Angelo Boglione

During Spring 2020, the Italy government led by the PM Prof. Conte issued a considerable number of law decrees of “urgent nature”. Bypassing the parliament, due to extraordinary emergency given by the pandemic situation, the government tried to redesign the public life of the Italian state.

In a very quick escalation, fundamental rights, such as the possibility to assembly and to move freely, were suspended.

One of the first policy mistakes was the non-differentiated measures that was applied along the peninsula.

On ninth march of 2020, the entire nation was locked down in the so called “zona rossa”. There was no difference between the overcrowded, heavy industrialized and epicenter of pandemic Lombardy and the agricultural region of Molise. With no reasonable argument [2], at that time still “Covid free” regions, such as the island of Sardinia, were treated in the same manner as outbreak zones. The mistake was aggravated by an incorrect framing delivered by the wrong terminology, especially insofar as the use of the words ‘quarantine’ and ‘lockdown’. The former, was interpreted by the Italian media as a necessitated measure to apply indiscriminately from the presence of an infection (or even the reasonable suspect of it). The theatrical way how the Govern proceeded to apply the “quarantena” went far beyond its actual literal meaning (i.e. a precautionary isolation of 40 days), - even in some regions showing no infections -, so that the entire related process lost its medical meaning, turning out to be a political fence. The latter term, ‘lockdown’ as is in the Italian info sphere, appeared to be a stereotyped umbrella term with no specific indication, that soon became an all-purpose “restriction”. Its content has been changeable and to be specified time by time, in accordance to the whirling pace of new decrees, changing nature and application of restrictions every time, never clear nor of immediate understanding.

[1]Deaths in Italy by underlying cause and region of occurrence, ISTAT

In essence, “Lockdown” worked as a “white check”. It was freely fillable as needed: sometimes it was loosed intended for the firms [2], in another occasions it was tightened up for the homeless [3]. “And you shall purge the Heretics in His name!” During Spring 2020, the public debate was annihilated, among others, in the name of the Science , impersonated by the newborn “Comitato tecnico Scientifico” (CTS) [4]. The CTS, composed by different consultants, has to advise the best public health practice to the government. After the desecration of the CTS’ minutes [5], it was cleared that the board advice during March 2020 was to make different policies zone by zone. The government itself disavowed the heavy sponsored board as he preached in his name.

The huge contradiction had no space in the media at the time, but highlights once more that the decisions were not taken following scientific reasons . Only during autumn 2020, with the “colored zone”, we saw a differentiated plan to counter the epidemic spread.

[2] https://www.fanpage.it/attualita/focolaio-bartolini-i-lavoratori-azienda-non-ha-mai-chiuso-siamo-fuggiti-per-paura-di-ammalarci/ [3] https://bologna.repubblica.it/cronaca/2020/03/16/news/coronavirus_la_denuncia_multati_anche_i_senzatetto_che_non_possono_stare_a_casa_perche_non_ce_l_hanno_-251436619/ [4] http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?id=5432&area=nuovoCoronavirus&menu=vuoto [5] Verbali desecretati disponibili online

Politica

A cento anni dalla nascita del PCI

Marco Dubini

Quattro anni fa, il 7 novembre del 2017, erano passati cento anni da quando il mondo vide gli operai di Pietrogrado abbattere in un tripudio di baionette il governo di Kerenskij, liberando così il popolo russo dal giogo della guerra. Il 2021, invece, vanta un altro centenario fondamentale nella storia della lotta di classe, un anniversario che ha avuto nella stampa nostrana una certa risonanza. Nel 1921, infatti, nasce il Partito Comunista d’Italia.

La storia del Partito Comunista d’Italia ha inizio il 16 gennaio di cento anni fa. Due giorni prima era stato aperto il XVII Congresso del Partito Socialista Italiano, momento in cui il delegato dell’Internazionale Comunista Kabakčiev aveva lanciato la sua invettiva contro coloro che, imponendo alla classe operaia di attendere un momento più propizio, si erano lasciati scorrere addosso l’occasione rappresentata dal biennio rosso per guadagnare terreno nella lotta rivoluzionaria.

L’aut aut è esplicito nei 21 punti sollevati dall’Internazionale: o con noi o con i riformisti.

Il 19 gennaio prende la parola Serrati, esponente massimalista accusato anch’egli di aver affiancato i riformisti nel loro temporeggiamento a danno degli scioperanti tra 1919 e 1920. Il suo intervento è uno strenuo appello all’unità in cui prova a spiegare che i socialdemocratici sono già stati allontanati dal partito, ma la scissione è ormai inevitabile. Il 21 gennaio i delegati comunisti lasciano la sala e si dirigono verso il Teatro San Marco, un edificio fatiscente; la pioggia entra dagli squarci nel tetto. Qui, durante il primo Congresso del Partito Comunista d’Italia, viene eletto un Comitato Esecutivo composto da Amadeo Bordiga, Umberto Terracini, Ruggero

Grieco, Bruno Fortichiari e Luigi Repossi. Il programma del nuovo partito viene pubblicato il 31 gennaio su Il comunista e tra i suoi punti fondamentali vi sono la rivolta armata (“Il proletariato non può infrangere né modificare il sistema dei rapporti capitalistici di produzione, senza l’abbattimento violento del potere borghese” ) e l’istituzione futura di una dittatura del proletariato (“Dopo

l’abbattimento del potere borghese, il proletariato non può organizzarsi in classe dominante che con la distruzione dell’apparato statale borghese e con la instaurazione dello Stato basato sulla sola classe produttiva ed escludendo da ogni diritto politico la classe borghese” ). La storiografia fino ai giorni nostri si è chiesta: la scissione fu la scelta corretta di fronte alle violenze fasciste? Esisteva davvero la possibilità che una sinistra più solida potesse opporsi alla reazione, nonostante l’appoggio di agrari, industriali e monarchia al fascismo? L’unica certezza che abbiamo è che nel 1921, in Italia, il fascismo era ormai dilagante. Infatti, a meno di un mese dalla fondazione, il PCd’I ha il suo primo martire. Si chiama Spartaco Lavagnini e quando Italo Capanni, camicia nera e armato di revolver, entra nella sede del sindacato ferrovieri fiorentino, è seduto alla sua scrivania. È sera, al sindacato rimane solo il militante comunista; gli squadristi hanno gioco facile ad entrare in un edificio sguarnito. Mentre i suoi camerati devastano, Capanni fissa dritto negli occhi il condannato. Esplode il primo colpo in faccia al sindacalista, il secondo lo colpisce ancora in testa mentre rivolto per terra è ormai cadavere, il resto del tamburo viene svuotato nel petto del fu Spartaco Lavagnini. Poi, Capanni solleva la sua vittima per i capelli e la rimette a sedere, estrae una sigaretta e, dopo averla infilata nella bocca insanguinata del cadavere, la accende per completare la sua sadica opera. Spartaco Lavagnini è solo la prima delle vittime comuniste cadute sotto il regime fascista e quelle comuniste non sono che una parte delle vittime del fascismo.

Non sappiamo se una sinistra unita avrebbe potuto fermare le violenze squadriste e dopotutto non è neanche importante: con i “se” e con i “ma” non si fa la storia.

Di concreto c’è che proprio i comunisti, collaborando con socialisti ed anarchici, fornirono la struttura gerarchica e ordinata alla resistenza tramite le Brigate Garibaldi, coordinate da Luigi Longo e Pietro Secchia, cacciando così le truppe della Wehrmacht e concedendo degna fine al duce degli italiani. Quando si parla delle grandi conquiste e battaglie del mondo operaio non manca mai chi senta il bisogno irrefrenabile

di elencare nome per nome le vittime della ceka o delle guardie rosse. I cento anni dalla nascita del Partito Comunista in Italia sono l’ennesima occasione per coloro che vogliano sollevare simili sterili polemiche su un capitolo orrendo del Novecento. In virtù di ciò è necessario precisare che le purghe staliniste nulla hanno a che vedere con Antonio Gramsci ed Amadeo Bordiga. Infatti, quest’ultimo, già dopo pochi anni dalla nomina di Stalin a segretario generale del PCUS, sottolinea l’abbandono progressivo di ogni compito rivoluzionario da parte della Russia, che oramai nulla aveva a che vedere con le sue origini socialiste. Tuttavia, ricordare a cento anni di distanza questi fatti non è un capriccio passatista; la nostalgia dei bei tempi che furono non serve a nessuno.

La storia cambia e, nonostante il vizio della sinistra di scindersi sia sempre uguale a sé stesso, i risultati elettorali valorizzano gli schieramenti capaci di fare fronte unitario.

Se realmente ci si vuole opporre ad un’avanzata di gruppi, più o meno, dichiaratamente fascistoidi, bisogna guardare agli errori del passato e superare le divergenze interne. Le avventure politiche che ottengono un glorioso 2% non procurano che danni. Oggi la sinistra italiana dovrebbe riconoscersi tutta come erede di quel partito che cento anni fa abbandonò i tiepidi riformisti e che sarebbe diventata il più grande partito comunista d’Europa grazie alla dirigenza di Togliatti. Lo scopo condiviso dovrebbe essere quello di valorizzare l’azione comune, volta all’unità delle sinistre contro ogni rigurgito di Ur-fascismo.

Foto di @analogpolimi

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