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Analog Polimi

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Un golpe más

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Intrattenimento

Analog Polimi

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Analog Polimi

Perchè dovrei scattare in analogico? La verità è che non esiste una risposta. Ce ne sono molte, diverse, personali e non. Diciamo che è diverso dal digitale, e su questo saremo tutti d’accordo. Forse più trendy, più hipster, anche più costoso, ok, ma comunque diverso, non migliore. Non cercherò di convincervi a convertirvi, anche perchè io sono un felicissimo fotografo digitale da ormai molti anni, ma vi racconterò di come ho scoperto il mondo affascinante e “misterioso” della fotografia analogica, passione che mi ha spinto con altri studenti a fondare il progetto @analogpolimi. Nel mio caso appassionarmi è stato abbastanza semplice, almeno all’inizio. Ho chiesto consiglio a qualche amico, fatto una ricerca su subito.it e investito 60 euro in una Yaschica FX3 super 2000 in buone condizioni.

Pronti via, sapevo già che avrei bruciato qualche rullino, ma questa consapevolezza non mi ha fermato. Arrivano i primi risultati, mi appassiono, mi piace il rumore dei clic meccanici delle ghiere e le imperfezioni sui negativi, l’insicurezza di aver esposto correttamente o di aver messo a fuoco.

Ma i rullini costano, e sviluppare pure. Poi un’idea: perchè non proporre un laboratorio di sviluppo interno al Poli? Associarsi, tagliare i costi e avere una base a cui appoggiarsi, chiedere consiglio e confrontarsi. Con altri studenti facciamo partire la cosa, partecipiamo al bando, ordiniamo i materiali e cerchiamo di capire come gestire l’attività. Le aule del Politecnico non sono esattamente camere oscure, per cui ci siamo dovuti ingeniare ed elaborare piani B, C, e D. Lanciamo la call e veniamo sommersi da mail, tanto che dobbiamo dire di no a molti. Alla fine si parte: distibuiamo rullini a una trentina di partecipanti (architettura, design, ingegneria) e ci diamo appuntamento al mese successivo per svilupparli. Prendiamo il ritmo, mese dopo mese, miglioramento dopo miglioramento (scannerizzare negativi a colore non è esattamente banale), e l’aula G4 diventa la nostra base. Andiamo avanti e indietro dal bagno con brocche d’acqua da scaldare a 38° mentre discutiamo di questo o di quel problema tecnico, di come migliorare e ci scambiamo riferimenti. Contemporaneamente cerchiamo di dare un senso al nostro lavoro come gruppo, trovando analogie nei temi o nei risultati che ci permettono di strutturare un feed di instagram ordinato e metodico. Il risultato è una visione corale del mondo attorno agli studenti del Poli, visto attraverso la lente di chi è disposto a cimentarsi in qualcosa di “nuovo” e rischioso come la fotografia analogica. Riusciamo addirittura a stampare degli stickers per farci conoscere un po’, ma

poi arriva il lockdown. Abbiamo sfruttato questo tempo per riorganizzarci, imparare dagli errori e rilanciare (quest’anno svilupperemo anche bianco e nero). A fine semestre organizzeremo anche una piccola mostra esponendo i lavori degli studenti e raccontando questa esperienza a un pubblico “esterno”. Seguiteci su instagram (@analogpolimi) per rimanere aggiornati e partecipare al progetto.

Chi siete? Cosa fate?

Siamo Giacomo e Iacopo, due studenti di Architettura del Politecnico di Milano appassionati di fotografia analogica. Circa due anni fa abbiamo iniziato a pensare questa attività per condividere questa nostra passione e provare a diffonderla. Il progetto è collettivo (siamo circa una cinquantina di partecipanti), noi ci occupiamo di coordinare il tutto e interfacciarci col Poli per la burocrazia varia. Tra i partecipanti ci sono moltissimi ingegneri, designer e qualche architetto, meno di quelli che ci aspettavamo quando abbiamo lanciato l’attività. Il progetto non ha una vera e propria “direzione artistica”, anche se negli scatti è impossibile non notare come alcuni luoghi, facendo parte della vita di tutti i giorni degli studenti, ricorrano spesso. Il Politecnico finanzia per intero l’attività, che per gli studenti è gratuita.

Quale è l’obiettivo del progetto?

G: L’obiettivo è permettere agli studenti di avvicinarsi al mondo della fotografia analogica. Spesso il primo passo è quello più difficile, vuoi per i costi a cui si va incontro, vuoi per difficoltà tecniche, vuoi per paura di non essere “abbastanza bravi”. Tutti ostacoli che in gruppo è facile togliere di mezzo. La scelta di aprire le porte a chiunque, anche a chi è al primo rullino, è un segnale di inclusione e di rifiuto degli stereotipi che raccontano la fotografia analogica come qualcosa di difficile, riservato a una èlite. Certo molti scatti vengono scartati, ma dopo qualche errore i risultati arrivano e questo ci dà grande soddisfazione. Poi ci sono i veterani, quelli bravi (anche

più di noi), che scattano da tanti anni per conto proprio e vogliono essere parte del progetto, avere qualcuno con cui confrontarsi e condividere questa passione. I: Quello che proponiamo non è un corso di fotografia. Mettiamo a disposizione del materiale e delle competenze, ma fondamentalmente la nostra attività si struttura come un laboratorio condiviso. Pur essendoci molti “novellini”, il nostro obiettivo non è quello di insegnare, ma di fornire uno spazio aperto e libero per chiunque sia interessato.

Cosa ha la fotografia analogica che non ha il digitale?

G: La verità è che siamo affascinati dalla lunghezza del processo, dall’incertezza e dall’unicità del risultato. Non siamo interessati in immagini tecnicamente perfette, o con particolari tonalità e grana che solo l’analogica può dare. Per noi è importante il processo, il tempo tra lo scatto e l’immagine positiva. Il processo diventa pretesto per conoscersi, per esprimersi, per restituire una narrazione collettiva di chi siamo e cosa facciamo nella vita di tutti i giorni. I: Per quanto mi riguarda mi interessa il potenziale controllo totale dello scatto, questo ovviamente per mie carenze tecniche non porta sempre a buoni risultati, ma tra me e la fotografia si interpongono solo condizioni meccaniche e chimiche che posso controllare, è sempre un prodotto estremamente personale.

Quali consigli date a chi si volesse avvicinare all’analogico?

G: Non abbiate paura di sbagliare o di essere banali. Provate a dare un significato a ogni scatto che fate, per quanto insignificante esso sia: una faccia interessante, una luce particolare, la vostra noia, la voglia di provare combinazioni tempo/diaframma diverse… Il negativo che terrete in mano alla fine sarà un pezzo di voi: le vostre imperfezioni, i vostri errori, i vostri successi. E condividete questa passione

con qualcuno, perché non sono solo immagini. I: E’ un grande lavoro personale. Cercate di essere in confidenza con la macchina fotografica, tenetela a portata di mano, fate diventare lo scatto una normalità. Permettetevi di sbagliare, fatevi affascinare dall’errore, dall’imperfezione, dal dubbio, cercate la bellezza nelle cose banali.

Oltre a gestire la pagina instagram, quali altri momenti di contatto col pubblico ci sono?

G: Abbiamo fatto qualche uscita in giro per Milano per fare street photography e avevamo una mostra in cantiere che poi si è fermata causa Covid, ci riproveremo. I momenti più divertenti a mio parere rimangono le sessioni di sviluppo, quando ci troviamo in un’aula del Poli e insieme agli studenti sviluppiamo i negativi tra acidi, brocche d’acqua e mollette attaccapanni. Si crea un clima di curiosità (molti non sanno bene cosa stanno facendo), aspettativa e sorpresa nel vedere il risultato. Poi c’è un gruppo whatsapp per l’organizzazione, consigli, troubleshooting, mercatino...

Che futuro pensate per lo sviluppo del progetto?

G: Ci piacerebbe che il progetto continuasse a vivere, che diventasse una tradizione del Politecnico come tante altre associazioni studentesche che negli anni sono diventate dei punti di riferimento. Ci piacerebbe lasciare spazio ad altri studenti con voglia di mettersi in gioco e idee nuove. Le competenze che abbiamo acquisito dal punto di vista organizzativo e burocratico saranno sempre a disposizione di chiunque sia disposto a prendersi carico del progetto. Ci abbiamo investito molto tempo e molte energie in questi mesi, sarebbe un peccato se questo progetto si perdesse. Ci piacerebbe continuare a trovare i nostri sticker in giro per la città, ci piacerebbe raggiungere più studenti e dare loro la possibilità di raccontarsi come persone creative, non come punteggi o come medie ponderate.

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