Lakersland Magazine Numero 1

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D N A L S ER

K A L

e n i z a g ma

LAMAR ODOM

NEW ORLEANS & CLEVELAND

MAGIC JOHNSON

I SEGRETI DE LA TRIANGOLO

NEW YEAR SAME GOAL

THE GAME OF THE MONTH

Le 82 partite, gli orari proibitivi, le difese che ballano. Ma siamo ancora qui, a dire che i conti per l’anello si fanno prima di tutto con noi.


LO STAPLES È TROPPO LONTANO PER TE? SEGUI www.lakersland.it PER RESPIRARE ARIA DI LOS ANGELES E DI LAKERS.


“INIZIO VIAGGIO” Sempre difficile scrivere l’editoriale di un primo numero, quasi un numero “zero”, soprattutto se non ne hai mai scritti in precedenza. Difficile perché i concetti sono sempre gli stessi, che si ripetono per qualsiasi tipo di argomento: da una rivista di taglio e cucito ad una di motori, ci sono sempre le promesse di grande impegno, professionalità, competenza ed un pizzico di originalità che non guasta mai, e dovrebbe essere proprio l’elemento che porterà il lettore a scegliere un prodotto piuttosto che un altro. Bene, noi abbiamo deciso di non volerci minimamente distaccare dal consueto e ripetere punto per punto gli argomenti sopra accennati. Scherzi a parte, crediamo che la nostra idea sia davvero originale, creando in Italia un magazine interamente dedicato ad una squadra Nba, i nostri amati Lakers. Tutto questo è possibile grazie alla passione con la quale ci seguite sul nostro sito gemello Lakersland.it, e al seguito sorprendente che sempre attraverso il sito, abbiamo avvertito nei confronti dei colori gialloviola, rendendo così i tifosi Lakers probabilmente unici, almeno in Italia. Quella stessa passione e quella voglia di Lakers che vi, e ci, tengono svegli di notte anche durante una inutile partita di regular season, sono le stesse che noi abbiamo messo in questo progetto, cercando di offrire un prodotto complementare al sito, con un lavoro che si coordinerà perfettamente insieme ai ragazzi della redazione di Lakersland.it. Anche perché sono gli stessi… Essendo un lavoro di periodicità mensile, saremo meno “sul pezzo” rispetto al sito, ma punteremo più su servizi di approfondimento, che siano piacevoli da leggere e che siano di attualità magari anche tra qualche mese, buoni per essere ritirati fuori anche per il solo piacere di leggerli. Ovviamente non mancherà uno sguardo al passato, né tantomeno a tutto quello che accade nella Nba al di fuori del mondo gialloviola. Per il resto, non vi resta che girare pagina e godervi il nostro lavoro. Dovrei aver toccato tutti i punti del perfetto primo editoriale, se leggendo queste righe non vi siete annoiati vuol dire che ho sbagliato qualcosa. Non resta che augurare una buona lettura a voi ed un buon lavoro a tutti i ragazzi della redazione.

IL CAPO REDATTORE Alan di Forte

LAKERSLAND magazine

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SOMMARIO

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Appunti a conclusione del primo mese di Regular Season...

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“POLIZZA ODOM”

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THE MAGIC MAN

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GAME OF THE MONTH

di federico rainaldi

di ALAN DI FORTE

di marco “magic” raguzzoni

di DAVIDE MAMONE

Numero 1 - Novembre 2010. SITO INTERNET www.lakersland-magazine.com www.lakersland.it

MAGAZINE TEAM PER IL NUMERO 1 Alan di Forte - Capo redattore Marco “Magic” Raguzzoni Federico Rainaldi - Davide Mamone Roberto Viarengo - Giuseppe Magnifico Lavoro grafico a cura di Marco Weps Pasqualotto


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IL VOLO DEI CALABRONI

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CLEVELAND 2010

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Lakersland Magazine è un iniziativa del sito Internet http:// www.lakersland.it con lo scopo di divulgare e raccogliere tutto il materiale in esso contenuto. Pertanto ai sensi della legge 62/2001 non può essere considerato un prodotto editoriale. Lakersland è un magazine dedicato agli appassionati di basket NBA, soprattutto per tifosi e simpatizzanti della famosa squadra losangelena. Contiene resoconti, diari mensili e det-

DI GIUSEPPE MAGNIFICO

di ROBERTO VIARENGO

I SEGRETI DELLA TPO di GIUSEPPE MAGNIFICO

tagli tecnici per permettere anche all’utente meno inserito nelle logiche della pallacanestro di sentirsi partecipe. Gli articoli e la grafica sono il frutto di notti insonni e di un lavoro meticoloso da parte di tutto il team di lavoro, non rubate.


Appunti a conclusione del primo mese di Regular Season... di FEDERICO RAINALDI

Il Toyota Center di El Segundo è il quartier generale gialloviola, il luogo segreto dove Kobe Bryant e Phil Jackson preparano, da 10 anni a questa parte, gli assalti al titolo NBA. Una palestra inaccessibile per i tifosi. Il campo dove viene studiato nei minimi dettagli l’attacco a triangolo di Tex Winter. Sulle pareti campeggiano i banner delle 16 cavalcate trionfali dei Lakers. In bella vista sono esposti i Larry O’Brien Trophy conquistati durante la gloriosa epopea Buss: un monito per i giocatori che, dal rettangolo di gioco, durante ogni allenamento o intervista, possono sempre ammirare cotanta gloria. Non è solo semplice ostentazione, ma è una vera e propria responsabilizzazione, un assumere la consapevolezza necessaria: in casa gialloviola si gioca esclusivamente per vincere. In questo luogo mistico giocatori e coaching staff non sono soli. Quotidianamente, infatti, sono affiancati dalla stampa locale e nazionale. Televisioni, radio e giornali californiani cercano di carpire i segreti del gruppo Lakers. Sono loro che, dopo una serie, anche breve, di vittorie si danno alla prematura organizzazione della parata quantificandone, con calcoli improbabili, il costo; sono gli stessi che, dopo un paio di sconfitte, ipotizzano trade fantasiose e parlano di ricostruzione. Questi stessi giornalisti, come sottolineato polemicamente da tutto l’entourage dei Lakers, hanno leggermente allentato la presa alla vigilia della stagione 2010/2011 spostando le loro attenzioni verso South Beach e la Florida, a margine dell’estate più importante dal punto di vista mediatico dell’intera storia della Lega. Un pò come se i gialloviola fossero stati prematuramente relegati all’insolito ruolo di comparse nella neonata stagione NBA, detronizzati ancor prima che sul campo, sulla carta dal nuovo trio magico di Miami. 6

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É così che nel mese di ottobre, all’apertura del training camp, nonostante il tanto criticato, dai nostri, tour europeo di esibizione, Jackson e soci hanno potuto lavorare con meno pressione del solito, senza gli abituali e fastidiosi riflettori puntati addosso. Questa può essere un’importante chiave di lettura per spiegare il convincente avvio di stagione gialloviola che ha messo in luce, oltre ai nomi soliti, l’inserimento lampo dei nuovi arrivati. Con il resto della Lega lanciatissimo nel tantivo di firmare LeBron, Bosh, Stoudemire e le altre superstar sul mercato, il g.m. Mitch Kupchak ha potuto lavorare, in estate, con tutta tranquillità per migliorare la rosa dei due volte campioni del mondo. I due principali volti nuovi, Steve Blake e Matt Barnes, si sono presentati benissimo al vernissage del nuovo anno frutto di un ambientamento facilitato, non solo da quozienti cestistici elevati e da tanto lavoro in palestra, ma anche, come detto, dalla minor pressione. Hanno studiato e bene durante le vacanze, come riferito dai Lakers, l’ex Maryland addirittura si è presentato ad El Segundo con una settimana di anticipo rispetto al resto della squadra per dedicarsi, da vero alunno modello, alla conoscenza della triangolo. Fondamentale in chiave RS, il veterano all’ottavo anno di carriera NBA si è calato perfettamente nel ruolo di vice Fisher. Proprio con il cocapitano dei Lakers, Blake si spartirà tutti i minuti in point guard, cercando di far arrivare le gambe del pesce fresche per la post season, ma soprattutto portando dalla panca tanta leadership e difesa. Un giocatore sicuramente meno fisico ed esplosivo di Farmar, partito alla volta di New Jersey, ma sicuramente un vero playmaker, in grado di dettare i tempi dell’attacco, dotato di un buon tiro da tre punti e di un’ottima difesa sui pari ruolo avversari.


A Matt Barnes sono bastati, invece, un paio di sms scambiati con Kobe e Odom per risolvere i problemi nati sul campo nella passata stagione, ma soprattutto per tatuarsi addosso la maglia gialloviola. Lamar l’aveva apostrofato come una “scimmia che salta” prendendo le difese di Bryant, dopo la polemica sfida tra Lakers e Magic dello scorso marzo, ora i tre sono compagni e, come dimostrano le prime gare stagionali, le scorie del passato sono ormai un ricordo. L’ex Bruins, Barnes, tutto voglia di vincere mista ad una cattiveria innata, dopo le discutibili vicende coniugali estive, ha immediatamente assunto i galloni di perfetto uomo panchina, un vero e proprio lusso. Sebbene le due aggiunte sul mercato abbiano bruciato i tempi per l’inserimento in un sistema complicato che già in passato aveva ucciso, cestisticamente parlando, giocatori del calibro di Payton o Ritchmond, il vero MVP dell’inizio di stagione è forse il terzo “incomodo” dalla panchina: Shannon Brown. La guardia, al terzo anno a L.A., è sin da ora in corsa per il riconoscimento di miglior sesto uomo dell’anno o comunque di giocatore più migliorato. Shannon, arrivato esclusivamente come giocatore fisico e gran saltatore da garbage time, dopo aver festeggiato il titolo vinto in gara 7 ed aver ottenuto la riconferma fortemente voluta, a cifre ristrette per lui, ha passato l’estate in palestra, sottoponendosi a dure sessioni di allenamento, migliorando visibilmente il suo tiro sul tiro. Nel primo mese di RS si è quasi sempre meritato il posto in quintetto nei finali di partita risultando decisivo, più che per il suo atletismo, per canestri pesanti dall’arco in momenti fondamentali. L’aggiunta di Barnes e Blake, ma anche la crescita di Brown hanno portato non solo nuova ninfa vitale alla panchina, ma anche alle gambe dei titolari. Fisher e Kobe, infatti, possono trascorrere molti più minuti sul pino con il ghiaccio sulle ginocchia, senza essere costretti agli straordinari in partite, nelle quali, fino allo scorso anno il loro impiego era “forzato” dalle costanti debacle della second unit. E’ ancora presto comunque per parlare di armata invicincibile o squadra perfetta, dieci

partite di regular season o poco costituiscono un arco di tempo troppo ristretto per emettere qualsiasi tipo di verdetto definitivo. Sono servite a far presente al resto della Lega che le soluzioni a disposizione di Jackson sono molteplici, se possibile raddoppiate rispetto ai due anni passati. Coach Zen in quella da lui già definita come “the last ride”, quando avrà recuperato dalla lista infortunati il cliente abituale Andrew Bynum, potrà disporre di una serie di armi infinita. I Lakers sono certi che, grazie ad i nuovi e ad una chimica di squadra ulteriormente migliorata eviteranno di arrivare spenti ed acciaccati all’inizio dei playoffs, cosa che nello scorso mese di aprile, destò parecchie preoccupazioni non solo tra i tifosi, ma all’interno dello stesso ambiente gialloviola. L’obiettivo, medio tempore, è quello di preservare il più possibile l’impiego delle stelle, Kobe in primis da impiegare con il contagocce e con rotazioni scientifiche, ma anche di chiudere il discorso primo posto ad Ovest. Ora il calendario non è affatto impossibile: fino a gennaio si passerà attraverso molte gare casalinghe e qualche viaggio non troppo proibitivo, nell’attesa della tanto chiacchierata partita di Natale e dei test più complessi programmati tra febbraio e marzo. I Lakers si stanno confermando una squadra esperta, in grado di giocare con le marce e di scalarle a piacimento soprattutto contro avversari da regular season. Difficilmente, un pò per (de)merito dei soliti cali di tensione, innati ed incorreggibili nella mentalità da “stelle holliwoodiane”, un po’ per un livello medio dell’Ovest che, nonostante qualche sentenza anticipata, si conferma più alto dell’est, i Lakers potranno competere con le potenze dell’Est per la conquista del miglior record della Lega, ma ciò non sembra spaventarli. Conoscendo Phil Jackson, grazie alle sue immani doti da motivatore, si partirà proprio dalla mancata conquista del top seed della NBA ad aprile per dare l’ultima spinta al gruppo nella difesa dell’anello. Discorsi comunque al momento troppo prematuri.

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“POLIZZA ODOM” di ALAN DI FORTE

Quando la scorsa estate le notizie riguardanti l’operazione al ginocchio di Andrew Bynum si facevano sempre più preoccupanti con l’andare delle settimane, fino a stabilire il ritorno in campo del centro probabilmente nei pressi di Natale (questo dicono gli ultimi aggiornamenti), in casa Lakers non si sono certo allarmati pensando alla situazione tecnica. Difatti, se da una parte l’organizzazione gialloviola è seccata per la negligenza di Bynum, che ha posticipato l’intervento di dieci giorni a luglio solo per piacere personale, e preoccupata perché il giovane centro non riesce ad avere una stagione libera da infortuni; dall’altra parte tutto lo staff tecnico, da Jackson in giù, sapeva di poter dormire sonni tranquilli grazie alla presenza di Lamar Odom, quasi una polizza assicurativa per gli infortuni di Bynum. Tutta la Nba, e non solo, sa che i veri Lakers sono quelli con Odom di fianco a Gasol, il che non vuol dire che Bynum non faccia parte in modo importante dei losangelini, perché porta comunque un contributo importante, ma non è certo un caso che quando Jackson vuole vincere le partite, di fianco al suo fuoriclasse spagnolo, inserisce Odom, perché libera il post basso del compagno e perché in difesa è un’altra marcia rispetto al “bimbo” con il 17. Non è stato certo un dramma quindi, per Jackson, affidarsi da subito in modo consistente al suo numero 7, considerando anche che coach Zen non ha mai dimostrato, e probabilmente mai avuto, una grande “passione” per Bynum. Lamar si è così visto aumentare la presenza in campo sui 34 minuti a partita, che sarebbero probabilmente di più se i Lakers non avessero ridotto molte partite a lunghi garbage time proprio grazie alle sue prestazioni. Ciò che ha più impressionato gli appassionati gialloviola di questo primo mese di Odom, è stata la sua continuità: raramente si ricorda un mese di regular season così costante da parte di Odom in maglia gialloviola. Il talento uscito da Rhode Island sta producendo, nel momento in cui scriviamo, 14.9 punti e 10.8


rimbalzi, con anche 3.7 assist di media. Sono da ricercare in più punti i motivi che spiegano un inizio così forte (novembre non è mai stato il mese di Lamar…) e continuo del newyorkese, sicuramente aiutato dall’essere da subito in forma grazie ai Mondiali giocati a settembre in Turchia, dove Odom ha portato un contributo decisivo nelle gare ad eliminazione diretta, dimostrandosi un’ottima spalla per Durant e alzando la Coppa da co-capitano insieme a Chauncey Billups. Anche Lamar crede che l’ottimo stato di forma sia stato fondamentale, ma non certo l’unico elemento che spieghi le sue prove, che lo hanno visto, nelle prime undici partite, solo due volte sotto la doppia cifra e spesso con impatto determinante: “Mi sento bene, sono in forma. Sto prendendo rimbalzi e provo a fare qualche giocata, specialmente da rimbalzo offensivo, sono attivo e mi sento in fiducia, voglio sentirmi coinvolto già ad inizio match, per trovare ritmo e una posizione in campo che mi permetta di prendere i miei tiri preferiti in qualsiasi momento; sto giocando in una squadra che ha oramai una chimica affinata e ognuno sa cosa aspettarsi dall’altro”. Questo della chimica oramai altamente sviluppata, è un concetto interessante da non sottovalutare, sul quale infatti Odom torna: “siamo a nostro agio con l’esecuzione offensiva, tutti quanti oramai abbiamo esperienza di triangolo e i nostri creatori di gioco creano opportunità per tutti”. Ed in effetti a vedere giocare i Lakers la sensazione è proprio di una squadra perfettamente rodata che gira come un orologio svizzero, in un meccanismo nel quale peraltro i nuovi arrivati Blake e Barnes si trovano a meraviglia, come se non avessero fatto altro che giocare questo sistema da anni. La grande novità rispetto alle passate regular season losangeline, è vedere una certa determinazione anche in difesa. In diverse partite i Lakers hanno difeso come era raramente successo a novembre, ed anche sotto questo aspetto l’apporto di Lamar è fondamentale, dal momento che Odom è da sempre l’anello forte della difesa di Jackson, sia individualmente che, soprattutto, di squadra, dove si fa apprezzare per raddoppi ed aiuti al momento giusto e nel posto giusto; qualità che, come detto, gli permette di essere in campo nei finali di partita grazie anche alla sua versatilità. In passato, infatti, quando le cose dietro non andavano bene, era proprio il numero 7 spesso a dire alla stampa come la difesa non funzionasse e cosa non andasse, ergendosi praticamente a leader difensivo dei gialloviola. Chi conosce bene i Lakers e in particolar modo la vita di Odom, sa che da Lamar c’è sempre da aspettarsi qualche colpo di scena. Per questo ragazzo, oramai 31enne, cresciuto sui playground di New York insieme ad Artest, vicino molte volte al perdersi definitivamente sia al liceo, che al college che in Nba e finito ora su uno dei reality più seguiti d’america grazie al suo matrimonio lampo con una delle sorelle Kardashian, la sorpresa è sempre dietro l’angolo. Così, come quando è capace di decidere una gara fondamentale di playoff dopo averne giocate due oscene, aspettiamoci prima o poi un calo, magari anche deciso, dell’impatto di Odom sui Lakers, probabilmente in concomitanza col ritorno di Bynum nello starting five e la retrocessione di Lamar a sesto uomo (ruolo mai perfettamente digerito). Ma non preoccupiamoci, anche quella fase passerà, e quando conterà davvero, come oramai hanno imparato bene Jackson e Kobe e da questa estate anche Team Usa, Odom sarà presente e probabilmente fondamentale, come negli ultimi due playoff dei Lakers, che lo hanno visto eroe positivo spesso nelle gare più im-


THE MAGIC MAN di MARCO “MAGIC” RAGUZZONI



Dal Titolo NCAA al secondo anello Nba Earvin ‘Magic’ Johnson nacque a Lansing (Michigan) il 14 Agosto 1959, che era un predestinato lo si capì immediatamente quando al college un giornalista locale, Fred Stabley, dopo aver visto una sua Earvin ‘Magic’ Johnson nacque a prestazione da 36 punti 18 Lansing (Michigan) il 14 Agosto rimbalzi e 16 assist, gli chiese 1959, che era un predestinato se poteva iniziare a chiamarlo lo si capì immediatamente quan- Magic, dal quel momento fu do al college un giornalista Magic per tutti ed Earvin rilocale, Fred Stabley, dopo aver mase solo per parenti e amici visto una sua prestazione da intimi. 36 punti 18 rimbalzi e 16 assist, La sua carriera è stata piena di gli chiese se poteva iniziare successi ma anche di fatti traa chiamarlo Magic, dal quel gici. momento fu Magic per tutti ed Nel ‘79, dopo aver subito l’eEarvin rimase solo per parenti liminazione ai quarti l’anno e amici intimi. precedente, vinse il titolo La sua carriera FU stata piena NCAA contro l’Indiana State di successi ma anche di fatti di un certo Larry Bird. tragici. L’approdo nell’Nba arrivò l’anno seguente, con il pick n.1 venne scelto dai Lakers che astutamente scambiarono i diritti su Gail Goodich con gli Utah Jazz in cambio della loro prima scelta poi si rivela la numero 1. Con questa mossa i Lakers cambiarono il destino della loro Franchigia. Magic ed LA sembravano fatti un per l’altro, lo showtime di Magic 12

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a Los Angeles era la miglior cosa che potesse capitare agli Stati Uniti, ai Lakers e al basket. Il primo anno fu subito trionfale, una cavalcata incredibile che porta il rookie Magic a giocarsi subito la finale Nba contro i Sixers di Doctor J. La squadra in quegli anni aveva il suo faro in Kareem Abdul Jabbar, ma l’infortunio in gara 5 al Forum di Inglewood aprì le porte del paradiso al giovane Magic. La storia narra che nel viaggio aereo verso lo Sprectrum di Philadelphia per la decisiva gara 6, Magic si sedette nel posto abitualmente occupato da Jabbar rassicurando i compagni che anche senza Kareem non ci sarebbero stati problemi perchè a guidarli ci sarebbe stato lui, Magic. Il nostro 32 partì in quintento nel ruolo di centro e sfoderò, a parer suo, la più grande partita della sua incredibile carriera mettendo a referto 42 punti, 15 rimbalzi e 7 assist, anello Nba ai Lakers e MVP a lui.


HAVE NO FEAR, MAGIC IS HERE

Non chiedere cosa i tuoi compagni possano fare per te. Chiedi piuttosto cosa tu possa fare per i tuoi compagni.

L’anno seguente complice un infortunio rientrò solo sul finere della regular season. Disputò i play-off contro Houston, i Lakers vennero eliminati e agli occhi di tutti si capì che Magic non era più lo stesso, tutto quello che prima era facile era diventato difficile e la stampa per queste sue opache prestazioni lo ribattezzò addirittura Tragic Johnson. La proprietà non mancò però di rinnovargli la fiducia e gli fece firmare un contratto da favola (per i tempi) di 25 milioni di dollari per 25 anni consegnandogli definitivamente le chiavi della squadra.

sformarono i Lakers nella più grande macchina da canestro della storia. Riley permise a Magic di giocare il basket che aveva sempre desiderato ed I Lakers cominciarono a volare. Arrivò la seconda finale in tre anni e sempre contro i Sixers di Doctor J. La serie terminò 4-2 per i Lakers con un Magic da 13 punti, 13 rimbalzi e 13 assist in gara 6.

L’anno dopo, i problemi non terminarono ma anzi i dissidi con coach Westhead diventarono sempre più evidenti, tant’è che Magic chiese la testa del coach al GM di allora un certo Jerry West. Johnson la ottenne ed in cambio in panchina arrivò, come soluzione temporanea, il coach in seconda, un certo Pat Riley. La scelta si rivelò azzeccatissima e il connubio con Riley divenne indissolubile e i due traLAKERSLAND magazine

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Da Big Game al Back to Back

Non credo che ci sarA’ mai più un’altra point-guard di 206cm che sorride mentre ti sta umiliando.

Dopo il trionfo dell’anno precedente i Lakers e Jerry West misero in atto un autentico miracolo, Mr. Logo infatti scippò l’ennesima prima scelta del draft ai Cavs in uno scambio di giocatori insignificanti. I Lakers nel 79-80 spedirono Chad Ford e la loro 1a scelta del 1980 in cambio di Butch Lee e la prima scelta Cavs dell’82. Nel 1982 i Lakers scelsero James ‘Big Game’ Worthy. Arrivò la finale contro i soliti Philadelphia 76ers ma questa volta dalla parte della città dell’amore fraterno c’era un certo Moses Malone che sotto le plance avrebbe battagliato con il nostro Kareem, Un clamoroso sweep portò il titolo a Phila anche se gli infortuni di Nixon, Worthy e McAdoo pesarono molto sull’esito finale. Nella stagione ‘83-’84 i Lakers si ripresentaro ai blocchi di partenza convinti di poter risalire sul tetto del mondo, Jerry West dimostrò nuova-

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mente le sue incredibili capacità, spedì Norm Nixon ai Clippers in cambio della prima scelta Byron Scott che per caratteristiche tecniche si sposava a meraviglia con il leader dei giallo-viola e permetteva inoltre al nostro 32 di giocare stabilmente da playmaker. Consegnatogli lo spot di pointguard full time Magic non tradì le aspettative e raggiunse la media assist stagionale più alta in carriera 13,1 assist a partita guidando LA alla finali. Questa volta i Lakers si scontrarono contro i Celtics di Larry Bird. Magic toccò uno dei momenti più bassi della carriera compiendo brutti errori nei finali di partita e consegnando di fatto il titolo a Larry Legend e compagni anche se riuscì a stabilire il record di assist in una finale (21). Gli spettri del passato tornarono ad aleggiare e la maledizione dei Celtics continuava...


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La prima cosa che facevo ogni mattina era di andare a vedere i boxscore per sapere cosa avesse fatto quella sera Magic. Non riuscivo a pensare a nient’altro. ( LARRY BIRD SU MAGIC )

Il 1984-85 e l’ennesima Finale contro i Celtics riportarono Magic sul trono Nba, i suoi Lakers dopo il famosissimo ‘Memorial Day Massacre’ di gara 1 (148-114 per i Celtics) riuscirono a spuntarla grazie ad uno straordinario Magic e ad un Kareem eccezionale MVP. La maledizione giunse finalmente al termine e solo due dei più forti giocatori di sempre, Magic e Kareem, potevano riuscire nell’impresa. All’inizio della stagione 85-86 i Lakers persero Jamal Wilkens (dopo 13 partite) che si ritirò, ma il processo di ringiovanimento continuava, difatti il front office losangelino pescò dal draft l’uomo di ferro, A.C. Green. La stagione si concluse con l’esclusione dei Lakers ai playoff da parte di Houston con il famosissimo jumper al volo di Ralph Sampson sulla sirena.

squadra ne divenne anche il terminale offensivo più temibile ed efficace, finì la stagione con il record in carriera di 23,9 punti ma comunque 12,2 assist. I Lakers fecero una cavalcata verso le finali Nba con un Magic Johnson incontenibile. I Lakers si scontrarono in finale contro i rivali eterni dei Boston Celtics e Magic compì il suo più grande capolavoro. In gara 4, sotto 105-106 con Kareem in lunetta, errore del 33 ma la sorte decide che era l’anno dei Lakers, un rimpallo consegna la rimessa ad LA con 7 sec sul cronometro, Magic prende la palla e inizia a palleggiare, si avvicina all’area dei 3 sec e dalla lunetta fà partire il suo ‘Baby sky hook’ che consegna partita e di fatto titolo ad LA e ad un Magic per la terza volta MVP. Il Garden è espugnato e i Lakers volano a Los Angeles a conquistarsi il suo 4 titolo dell’era Johnson.

L’86-87 fu l’anno della svolta, La vittoria dell’87-88 iniziò nei Magic cambiò il suo modo di festeggiamenti dell’anno prigiocare e oltre a condurre la ma quando alla parata Riley 16

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pronunciò la celebre frase :’I guarantee you next year we’ll win again’ perchè nessun team negli ultimi 19 anni c’era riuscito e il coach era sicuro che i suoi Lakers avrebbero rotto l’ennesimo incantesimo. I Lakers capitanati da Magic raggiunsero le 62 vittorie in regular season e nei playoff si sbarazzarono prima di San Antonio (3-0), poi di Utah (43) ed infine Dallas che andò più volte vicina all’impresa prima di perdere in una affascinante gara 7. In finale, per la prima volta, i Lakers incontrarono i Bad Boys di Detroit, guidati dal piccolo grande uomo Isiah Thomas, che finalmente avevano compiuto l’impresa di sconfiggere Boston, determinatissimi a far valere la durezza e fisicità del loro gioco la serie di presagiva molto difficile. Gara 1 al Forum diede subito il vantaggio del fattore campo a Detroit, mentre in gara 2 Magic (23 punti e 11 ast), spalleggiato da James Worthy (26), riportò la serie in parità. Dopo le prime 2 gare la serie si spostava nel Michigan e Zeke, stranamente presuntuoso, ebbe la buona idea di dichiarare: ‘Vinciamo le tre partite in casa e saremo campioni’. Nel suo natio Michigan e davanti ai propri genitori, Magic e compagni espugna-

rono subito il parquet avversario e si ripresero il vantaggio del fattore campo. Gara 4 fu dominata da Detroit e gara 5, dove un nervosissimo Magic atterrò l’amico Thomas, portò Detroit ad una vittoria dal titolo. Gara 6 al Forum fu da leggenda, nel 2° quarto Isiah si infortunò alla caviglia ma continuò a giocare disputando una delle più grandi performaces singole a livello di Finale, praticamente su una gamba sola stabilì il record di punti in un quarto (25) e chiuse la gara con 43. In un finale punto a punto Zeke fallì il tiro della vittoria e i Lakers con enorme fatica portarono la serie a gara 7, grazie soprattutto ai 28 punti di Worthy e ai 22 di Magic (11 nell’ultimo quarto). Gara 7: Con un Thomas sempre più dolorante, i Lakers riuscirono a scappare sul +15 ma Detroit ebbe ancora la forza di arrivare a -2 prima che due liberi di Scott consegnassero il titolo ai giallo-viola. James Worthy, autore della sua prima tripla doppia in carriera, fu nominato MVP delle finali. I Lakers e Magic entrarono nella storia del gioco, il back to back, dopo 19 anni, era realtà ed i Lakers una dinastia invincibile. LAKERSLAND magazine

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L’INIZIO DELLA FINE. IL RITIRO DI KAREEM E MJ La stagione successiva i Lakers si apprestavano ad entrare nella storia, anche se la serie di finale di playoff contro Detroit aveva fatto capire che un nuovo trionfo sarebbe stato difficilissimo per Magic e i Lakers la possibilità di riscrivere i libri di basket dava sicuramente un significato particolare alla stagione. Trascinati ancora da un Magic stratosferico, realizzatore (22,5 pt) e assistman (12,8) ai quali aggiungeva qualche rimbalzo (7,9!!) e caricati dalla passerella finale di Kareem (al suo ultimo anno), il tutto sembrava aver creato le giuste condizioni per ripetersi, ancora. Spazzati via gli avversari nei playoff (3-0 a POR; 4-0 a SEA; 4-0 a PHO), in realtà i Lakers non iniziarono mai la serie con Detroit(0-4), Scott saltò tutta la serie per problemi alla spalla e Magic, a causa 18

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di uno stiramento, non prese parte ad una gara di finale e di fatto giocò su una gamba sola il resto della serie. Chiusa l’era Kareem, i Lakers puntarono per il ruolo di centro su Thompson (10,1 pt) sperando nella veloce crescita del rookie europeo Divac (8,5) ed inoltre per cautelarsi ancor di più avevano acquisito Big O, Orlando Woolridge che in soli 27 minuti di impiego mise assieme una stagione da ben 12,7 punti. Il mix post Jabbar era perfettamente riuscito, uno strabiliante 63-19 poneva ancora i Lakers come prima forza Nba, capitanati e trascinati come sempre da Mister Showtime: Magic Johnson. I playoff furono una tremenda delusione, il solo Magic (25,2 p - 12,8 a - 6,3 r) e Big Game James giocarono da Lakers e la squadra venne eliminata al secondo turno da Pho.


Nel 90-91 I Lakers iniziarono una piccola rivoluzione che portò al cambiamento del coach più vincente degli ultimi anni a discapito di Mike Dunleavy. Il rischio era enorme ma i giallo-viola erano decisi a riprovarci. L’acquisto di Sam ‘The Big Smooth’ Perkins e Terry Teagle era un segnale molto forte, chi voleva vincere doveva passare da LA e Magic a dispetto degli altri anni non era più obbligato ad essere il primo terminale offensivo della squadra (19,4 p e 12,5 a). Secondo record in stagione dietro a Portland, nei playoff guidati da un Johnson extralusso (ancora primo realizzatore) arrivarono a disputare una stupenda serie con i Blazers contro i quali ebbero la

meglio in 6 partite e dopo un solo anno di assenza si ripresentarono alla finali: per Magic si trattava di un record incredibile, in 12 anni di Nba si apprestava a disputare la sua nona finale. Dopo il Doc, Larry e Isiah sfidava l’ultimo campione in ordine di tempo degli anni 90: Michael Jordan. Dopo l’enorme equilibrio di gara 1 e 2 la serie si spostò al Forum ma MJ (31,4 p e 8,4 a) e compagni non diedero scampo ai giallo-viola anche a causa di partite indecenti di Scott (se non mi ricordo male 0 punti in gara 4) e Green. Il passaggio di consegne da Magic a Michael sembrava imminente, ma il nostro 32 (a soli 31) non aveva nessuna intenzione di abdicare.

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La sieropositività, l’Olimpiade e il suo ultimo ritorno Nell’estate del 1991 i Lakers provarono a rafforzare la propria panchina acquisendo Sedale Threatt, playmaker di grande esperienza che visse in maglia Lakers i migliori momenti della sua carriera (al suo primo anno in giallo-viola fece registrare la sua miglior annata in carriera: 15,1 pts 7,2 ast.). Sedale doveva dare il cambio a Magic e nei momenti di poca lucidità di Scott affiancarlo nel reparto guardie. Purtroppo il 7 Novembre 1991, Magic sconvolse il mondo intero (e non solo quello sportivo) annunciando il suo ritiro dopo essere risultato positivo al test HIV. Il 32 però non aveva ancora scritto la parola fine alla sua carriera. A furor di popolo venne convocato per l’ASG di Orlando e dopo 5 mesi di inattività un Magic tirato a lucido strabiliò il mondo intero, dimostrando 20

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ancora una volta la sua immensa classe. La partita, nettamente dominata da Magic e il suo Ovest diventò nell’ultimo quarto una stupenda passerella per il nostro 32. Prima una bomba, poi un’altra, poi Isiah vs. Magic, MJ vs. Magic e la famosissima ultima bomba che decretò il finale anticipato della partita. Mi ricordo ancora quella partita, tele +2, un meraviglioso Dan Peterson telecronista, in una parola sola, la partita perfetta: 25 punti, 9 assist, 5 rimbalzi, 9-12 al tiro e 3-3 dalla lunga distanza.Da lacrime agli occhi. Dopo l’eccitante All Star Game, mentre i nostri Lakers cercavano di non sprofondare e si aggrappavano all’ultimo posto play-off ad Ovest, il nostro Magic, spinto da tifosi e stampa, comunicò la sua decisione di partecipare all’Olim-

piade di Barcellona. Magic capì che questa era una squadra speciale, che mai avrebbe avuto un’altra opportunità, doveva assolutamente farne parte, malattia o no, gli spettava di diritto e nessuno al mondo poteva negargliela. Con il suo carisma, la sua classe e la sua simpatia Magic prese, assieme ad MJ, le chiavi del Dream Team che cavalcò inesorabile verso un trionfo annunciato. Molta gente, giocatori inclusi, raccontarono che in allenamento i 5vs5 targati DREAM TEAM siano stati la miglior pallacanestro mai vista su un campo da gioco...12 delle più grandi All Star di tutti i tempi (11 per la verità) che si sfidavano su un campo da basket, nessuno voleva uscire dal campo sconfitto. Dopo la stupenda parentesi a 5 cerchi, Magic, sentito anche il parere dei suoi compagni di


Dream Team, decise di tornare a vestire la maglia gialloviola. Durante la preseason (penso contro UTAH) accadde l’inevitabile, il 32 si ferì con un piccolo taglio ad una braccio, il terrore negli occhi dei colleghi fu talmente evidente, che Magic, spinto anche dalle dichiarazioni di Karl Malone (dichiarò che lui e molti suoi colleghi avevano paura di giocare contro di lui, cosa che Magic mai gli perdonò perchè avrebbe preferito sentirsi dire queste cose in faccia durante l’Olimpiade trascorsa assieme), decise di ritirarsi definitivamente. Diventò un grandissimo uomo d’affari , impegnatissimo nel sociale e nella lotta all’AIDS ( http://magicjohnsonenterprises.com) Nella stagione 1993-94 il coproprietario Johnson (donazione di Buss per quello che ha fatto e rappresenta per i Lakers Magic) vedendo la squadra cadere a picco decise di sedersi sulla panchina giallo-viola per cercare di portare i suoi Lakers ai play-off, con un record di 28-38 l’impresa sembrava impossibile. Coach Magic portò i Lakers a 5 vittorie nelle prime 6 partite facendo sperare a tutti nell’ennesimo miracolo del 32. Purtroppo, nel momento decisivo, la squadra naufragò con 10 sconfitte consecutive e lo stesso Magic ammise che il ruolo di allenatore non faceva per lui perchè non riusciva a capacitarsi come cose elementari e facili per il Johnson giocatore fossero così difficili e complicate per i suoi atleti. Chiuso in fretta il capitolo allenatore, tornò al suo nuovo mondo di uomo d’affari e di

bandiera nella lotta all’Aids ( http://www.magicjohnson. org/home.php ). Magic comunque continuava a giocare a pallacanestro, a fare esibizioni ed era chiaro a tutti che la pallacanestro rimaneva ancora una parte importante della sua vita. Nel 1996 vedendo che ai suoi Lakers mancava pochissimo per tornare ai vertici Nba, a 36 anni e dopo 5 anni di assenza dai campi Nba, decise di ritornare ancora una volta al basket giocato. Un po’ appesantito rispetto ad un tempo e meno veloce si stabilì nel ruolo di ala grande, spot scoperto al tempo, lasciando le chiavi della squadra all’emergente Nick Van Exel e a Cedric Ceballos. Il suo esordio con GS fu strabiliante, in meno di 30 minuti mise a referto 19 punti, 10 assist e 8 rimbalzi. I Lakers passarono da un 24-18 ad uno incredibile 53-29 (con Magic in campo 29-11!!!), Magic accumulò buone statistiche, in soli 29 minuti mise assieme 14,6 punti, 6,9 assist e 5,7 rimbalzi (tenendo conto di 2 partite nelle quali giocò al max 7-9 minuti a causa di un infortunio e un’espulsione) ma comunque dentro di se non si sentiva più quello di una volta e la sua frustrazione diventò sempre più evidente (un paio di espulsioni di troppo) e l’eliminazione per mano di Houston fu l’ultima causa che scatenò l’addio definitivo del 32 (nei PO tenne comunque una media di 15,3 pt - 8,5 rimbalzi e 6,5 assist). Il rammarico diventò ancora più grande quando nell’estate i Lakers acquisirono come free agent Shaquille O’Neal (e presero al draft Kobe Bryant....),

una squadra da 29-11 e con Shaq nel motore unito ancora ad un Johnson comunque competitivo probabilmente avrebbe cambiato il futuro giallo-viola e i primi uno-due anni di Kobe avrebbero potuto finire diversamente... Il problema però era uno solo: Magic era un leader assoluto, era nato per dominare una partita, per guidarla e come tutti i grandi campioni avrebbe accettato a fatica un ruolo di comparsa. Magic era i Lakers e nell’immaginario di tutti doveva restare tale, non si sarebbe mai accettato in un ruolo diverso e questo lo convinse a prendere la decisione dell’ultimo definitivo ritiro, non avremo mai conferme in proposito ma quella squadra, con Magic leader sia in campo che fuori avrebbe potuto fare molto di più Nei Lakers d’oggi dì e il coproprietario dei gialloviola (5% delle azioni) e segue attentamente il destino della franchigia cercando, anche lui, di dare il suo contributo per la veloce rinascita gialloviola. E’ di pochi giorni fa la notizia che Magic è stato premiato con il ‘Civil Rights Award’ per il suo impegno nel sociale grazie alla sua fondazione. Anche in questo Earvin Johnson si è dimostrato Magic.

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High school: Everett HS College: Michigan State Drafted from LA LAKERS (1st pick 1979) College Michigan State 1977-78 30 partite 7.9 rebs 7.4 asts 17.0 pts 1978-79 32 partite 7.3 rebs 8.4 asts 17.1 pts 2 Seasons, 62 partite 7.6 rebs 7.9 asts 17.1 pts Los Angeles Lakers: Regular Season 1979-80 LAL NBA 77 gp 7.7 rebs_ 7.3 ast 2.4 stl 0.5 blk 18.0 pts 1980-81 LAL NBA 37 gp 8.6 rebs_ 8.6 ast 3.4 stl 0.7 blk 21.6 pts 1981-82 LAL NBA 78 gp 9.6 rebs_ 9.5 ast 2.7 stl 0.4 blk 18.6 pts 1982-83 LAL NBA 79 gp 8.6 rebs 10.5 ast 2.2 stl 0.6 blk 16.8 pts 1983-84 LAL NBA 67 gp 7.3 rebs 13.1 ast 2.2 stl 0.7 blk 17.6 pts 1984-85 LAL NBA 77 gp 6.2 rebs 12.6 ast 1.5 stl 0.3 blk 18.3 pts 1985-86 LAL NBA 72 gp 5.9 rebs 12.6 ast 1.6 stl 0.2 blk 18.8 pts 1986-87 LAL NBA 80 gp 6.3 rebs 12.2 ast 1.7 stl 0.5 blk 23.9 pts 1987-88 LAL NBA 72 gp 6.2 rebs 11.9 ast 1.6 stl 0.2 blk 19.6 pts 1988-89 LAL NBA 77 gp 7.9 rebs 12.8 ast 1.8 stl 0.3 blk 22.5 pts 1989-90 LAL NBA 79 gp 6.6 rebs 11.5 ast 1.7 stl 0.4 blk 22.3 pts 1990-91 LAL NBA 79 gp 7.0 rebs 12.5 ast 1.3 stl 0.2 blk 19.4 pts 1995-96 LAL NBA 32 gp 5.7 rebs_ 6.9 ast 0.8 stl 0.4 blk 14.6 pts 13 Seasons 906 gp 36.7 min 7.2 rebs 11.2 asts 1.9 stls 0.4 blks 19.5 pts Los Angeles Lakers: Playoff 1980 LAL NBA| 16 gp 10.5 rebs 9.4 ast 18.3 pts 1981 LAL NBA|| 3 gp 13.7 rebs 7.0 ast 17.0 pts 1982 LAL NBA| 14 gp 11.3 rebs 9.3 ast 17.4 pts 1983 LAL NBA| 15 gp 8.5 rebs 12.8 ast 17.9 pts 1984 LAL NBA| 21 gp 6.6 rebs 13.5 ast 18.2 pts 1985 LAL NBA| 19 gp 7.1 rebs 15.2 ast 17.5 pts 1986 LAL NBA| 14 gp 7.1 rebs 15.1 ast 21.6 pts 1987 LAL NBA| 18 gp 7.7 rebs 12.2 ast 21.8 pts 1988 LAL NBA| 24 gp 5.4 rebs 12.6 ast 19.9 pts 1989 LAL NBA| 14 gp 5.9 rebs 11.8 ast 18.4 pts 1990 LAL NBA|| 9 gp 6.3 rebs 12.8 ast 25.2 pts 1991 LAL NBA| 19 gp 8.1 rebs 12.6 ast 21.8 pts 1996 LAL NBA|| 4 gp 8.5 rebs 6.5 ast 15.3 pts 13 apparizioni Playoff 190 gp 7.7 rebs 12.3 ast 19.5 pts 11 ASG disputati, nel 1989 fu chiamato ma non lo disputò perchè infortunato 16,0 pts - 11,5 ast - 5,1 rebs in 30,1 minuti NBA champion (1980, ‘82, ‘85, ‘87, ‘88); NBA Finals MVP (1980, ‘82, ‘87) NBA MVP (1987, ‘89, ‘90) Nine-time All-NBA First Team (1983-91) All-NBA Second Team (1982) 12-time All-Star All-Star MVP (1990, ‘92) J. Walter Kennedy Citizenship Award (1992) Olympic gold medalist (1992) One of 50 Greatest Players in NBA History (1996) NCAA Champions (1978)

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di DAVIDE MAMONE Chi segue (e ha seguito nei mesi scorsi) il nostro forum Lakersland.it, sa sicuramente che, all’interno delle rubriche proposte ai nostri amici lettori, c’è il Game Of The Week, una sorta di preview del match più importante della settimana. In attesa che arrivi la nuova versione sul forum, propongo qui una breve analisi su uno dei match che credo possano essere più interessanti, a cavallo tra la fine del mese di novembre e l’inizio del mese di dicembre. Oggettivamente, il calendario non aiuta, nel senso che vi sono molti match in trasferta contro squadre temibili solo relativamente e poco degne di essere approfondite e molte partite dall’esito abbastanza scontato, specie se i ragazzi di coach Jackson seguiranno la falsariga di questo inizio di stagione. Per questo mese, ho deciso, quindi, di concentrarmi su una partita insidiosa, contro una squadra ostica, guidata da un grande rivale degli ultimi anni: i Chicago Bulls di Tom Thibodeau. 24

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WHEN? I Los Angeles Lakers voleranno a Chicago venerdì 10 dicembre, per disputare la prima trasferta del mini-tour ad Est, che porterà i Campioni NBA in carica a giocare 6 partite in 9 giorni. Tip-off a partire dalle 5pm di L.A. (02.00 italiane).

From L.A. Difficile dire come sarà la squadra di Jackson il 10 dicembre; molto spesso, infatti, la Regular Season cambia come se nulla fosse e porta novità da un giorno all’altro. Attualmente, però, Kobe Bryant e compagni volano alto, seguendo la programmazione preparata per la Regular Season, in ottica Playoffs. Tre i punti principali da rispettare: gestione dei minutaggi dei titolari, affiatamento dei


nuovi arrivati con il sistema della Triple Post Offense e recupero degli infortunati Bynum e Ratliff. Il primo, motivo di discussione assieme ad Odom, nelle conversazioni tra forumisti e perno fondamentale per le rotazioni di Jackson, dovrebbe ricominciare ad allenarsi con costanza proprio nel periodo in cui questo match si svolgerà e, teoricamente, potrebbe partire con la squadra per il tour nella East Coast, che inizierà proprio con questo match. Il secondo, invece, verrà recuperato qualche tempo dopo, probabilmente; i legamenti di Theo, comunque usurati, faticheranno a ritrovare quell’elasticità che potrà e dovrà permettergli di non far rimpiangere gli eventuali assenti nel reparto-lunghi. Jackson, contro una squadra come i Bulls allenati da quell’allenatore (Thibodeau, ndr), dovrà necessariamente preparare questo match, tatticamente al meglio, specie dal punto offensivo. La Triangolo, negli ultimi 3 anni si è dimostrata Sistema indomabile per tutti gli staff tecnici, a parte uno: quello dei

Boston Celtics, dove Thibodeau aveva evidentemente un certo tipo di peso. I neo arrivati, integratisi già molto bene (Barnes, a tratti, sembra giocare nei Lakers da anni) e pronti a dare nuova spinta dalla panchina, saranno fondamentali, così come le prestazioni che offriranno Odom e Gasol, con il secondo che dovrà vedersela con un Noah cestisticamente maturato.

From Chicago La città del vento, dopo un’estate calda e un mercato ben gestito dai vertici alti, può tornare a sorridere. Thibodeau, alla sua prima esperienza in carriera da head coach, sta dando soddisfazioni, a livello di gioco, di mentalità, di ordine e rigore tattico. La mano dell’ex Assistant Coach di Boston si vede, la si è notata sin dalle prime partite in stagione: difesa forte, intensa, pragmatica LAKERSLAND magazine

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e quadrata, attacco ordinato, senza troppi fronzoli ma senza neanche deludere, né annoiare in maniera eccessiva. Leader nella Central Division nelle prime settimane di stagione, i Bulls hanno dovuto affrontare un infortunio eccellente, anche loro nel reparto-lunghi: stiamo parlando di Carlos Boozer, Free Agent nella scorsa estate e perno fondamentale nel progetto nato con l’avvento di Thibodeau. L’ex Jazz tornerà in campo, con ogni probabilità, durante i primi giorni di dicembre e sarà uno dei fondamentali protagonisti della partita. L’infortunio di questo giocatore, che comunque rappresenta una presenza fondamentale all’interno dell’intero movimento Bulls, è stato affrontato in maniera davvero encomiabile dallo staff tecnico, aiutato dall’esplosione di un vero talento come Taj Gibson, scovato nel Draft 2009 e pronto a crescere sempre di più e dalla continuità mostrata da Noah in questo primo scorcio di stagione.

KEYS OF THE MATCH TRIPLE POST OFFENSE vs TOM THIBODEAU Come abbiamo accennato sopra, nelle news arrivate dalla città degli angeli, il modo e la maniera con cui viene sfruttato questo Sistema è sempre stato fondamentale e contro una squadra guidata da quel tipo di allenatore, lo sarà ancora di più. Ribaltare velocemente palla, allargare il campo, coinvolgere i due lunghi, sfruttare la transizione primaria e secondaria, giocare pick&roll tra Kobe e Pau, coinvolgendo l’altro lungo (che sarà Odom, con ogni probabilità) sul lato debole o in situazioni di alto-basso come terzo giocatore: questi sono alcuni degli aspetti che gli uomini di Jackson dovranno affrontare con continuità, in quella che è una delle prime vere trasferte complesse, di questo iniziale scorcio di stagione.

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23 VS 24 Personalmente, detesto fare paragoni tra Michael Jordan e Kobe Bryant. Detesto farlo, proprio perché si tratta di due giocatori che, nella loro formidabile strapotenza cestistica, saranno sempre distanti anni-luce: ciò che ha fatto il 23 nella città del vento è e sarà sempre impareggiabile (anche per Lebron Check my St ts James, per esempio) e gara7 delle ultime Finals ci hanno dato la conferma di come Kobe Bryant non potrà mai essere ricordato come e quanto Jordan. Però, va detto che ogni qual volta che Kobe va a giocare a Chicago, il collegamento viene fatto: c’è chi lo fa in maniera positiva, c’è chi in maniera negativa. Ma l’accostamento rimane. A livello di repertorio tecnico, di movimenti, di body language, la somiglianza tra i due rimane ed è anche piuttosto evidente. Lo scorso anno, il meritato MVP delle ultime due Finals, nonché il giocatore più forte dell’intero globo attualmente, in quel di Chicago giocò un match offensivamente pauroso (42 punti, con 15-26 dal campo). Bis?

UNITED CENTER Tolta la piccola parentesi dei Playoffs 2007, dopo anni di buio, a Chicago sono finalmente tornati a sorridere. Per quanto si sia trattato sempre di un pubblico caldo, ma al tempo stesso cestisticamente colto e nobile, l’inizio di questo nuovo progetto che ha come perni Thibodeau in panca e Rose-Boozer sul parquet, ha dato nuova linfa a tutto l’ambiente. Ambiente che ora, può tornare a dare man forte ai giocatori in campo, com’è accaduto sempre nel periodo d’oro di questa franchigia.

DERRICK ROSE Finalmente arginabile? – Per anni ed anni, i Los Angeles Lakers, contro le combo-guard rapide, veloci nel palleggio e brave nello sfruttare le situazioni di pick&roll, hanno dovuto subire le pene dell’inferno. Come ha detto Alessandro Mamoli nell’intervista esclusiva concessaci (visibile a tutti sul forum nella categoria dei LL On-air), finalmente ad L.A., dopo tanti anni, è arrivato un vero playmaker: stiamo parlando di Steve Blake, fatto e finitoper il Sistema di gioco offensivo di questa squadra e capace di far compiere al gruppo un vero e proprio upgrade dal punto di vista difensivo. Non è un fenomeno, né un playmaker perfetto, ma gli intangibles che riesce a regalare anche in aiuto e in situazioni di aiuto&recupero, sono a dir poco fondamentali.

10 DICEMBRE Appuntamento alle 2 per la partita. Commentate su Twitter e su Facebook!!

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20 luglio 2010. A New Orleans, Louisiana, si respira una situazione di tensione. Leon Rose, l’agente di LeBron che solo due settimane prima aveva scosso il panorama estivo con “The Decision”, continua a sentire GM da tutta la lega per cercare di piazzare un altro dei suoi assistiti illustri, l’uomo franchigia degli Hornets, Chris Paul. La società è senza general manager, dopo il licenziamento di Jeff Bowers. Mentre tutte le altre squadre si muovono, gli Heat costruiscono intorno ai “tres amigos”, Stoudemire firma per i Knicks, i Lakers si rinforzano con Blake e Barnes, gli Hornets si ritrovano ad un bivio. Non solo non si sa come sarà composto il roster dell’anno successivo, ma non si ha neanche un’idea a riguardo: tutto dipende da ciò che decide Paul. E’ in questo clima che il presidente Hugh Weber annuncia l’arrivo di Dell Denps, giovane uomo di fiducia di Popovich a San Antonio per di28

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versi anni, al suo primo incarico come general manager. Il giorno dopo l’annuncio, Denps incontra faccia a faccia Chris Paul. 11 Novembre 2010. A Denver, Colorado, i campioni del mondo dei Lakers perdono contro i padroni di casa dopo otto vittorie consecutive. Erano in quel momento la penultima squadra ad essere rimasta imbattuta dopo due settimane di regular season; l’altra erano i New Orleans Hornets. Cosa è successo in meno di quattro mesi per trasformare una squadra sull’orlo del baratro nella franchigia-sorpresa del primo mese di stagione? Torniamo a New Orleans a quel 20 di Luglio. Denps e Paul parlano per circa tre quarti d’ora; con loro anche il nuovo coach, il giovane Monty Williams. Paul parla chiaro: vuole giocare per una franchigia vincente, se questa


IL VOLO DEI CALABRONI Ovvero come passare dalla possibile partenza della tua stella alla costruzione di una squadra vincente nel giro di pochi mesi di GIUSEPPE MAGNIFICO

possa essere la sua squadra attuale, sarà lieto di farlo, ma le sue parole suonano come un ultimatum. Il compito di Denps è ingrato. A fine Luglio buona parte dei free agent più appetibili ha già firmato un contratto, e chi non lo ha ancora fatto ha discorsi molto avanzati con diverse franchigie e deciderà a giorni. Per smuovere la situazione ci vuole un coup de theatre. Detto, fatto. Denps mette su una trade a 4 squadre, con la quale rinuncia a Collison, emergente point guard oscurata dal talento di Paul, e al progetto fallito Posey, e porta a casa Trevor Ariza dagli Houston Rockets, giocatore perfetto per il sistema difensivo che coach Williams vuole imporre e in costante crescita offensiva. Ma non è finita qui. Dopo solo poche ore, gli Hornets ufficializzano un’altra trade. Un altro progetto fallito, quel Julian Wright che avrebbe dovuto portare difesa e dinamismo ma che aveva portato solo forzature e malumori, viene ceduto a Toronto in cambio di una nostra conoscenza: Marco Belinelli. Resta un’unica falla nel roster: il backup di Paul in point guard. Denps prende non uno, ma due giocatori per il ruolo: prima Willie Green (insieme al bianco Jason Smith in cambio di Songaila e un rookie, Brackins), poi Jerryd Bayless, rispettivamente da Phila e da Portland, discreti rincalzi un po’ nascosti nel sottobosco NBA. LAKERSLAND magazine

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Probabilmente non è una franchigia con la quale Paul può vincere l’anello, ma lo sforzo da parte della società è davvero rimarchevole. Ai blocchi di partenza gli Hornets sono fra i possibili underdog, le mine vaganti che secondo alcuni potrebbero anche arrivare ai Play Off, magari al posto dei Suns orfani di Amar’e. Da qui a pronosticare quello che è successo l’11 novembre però ce ne passa ancora molto. Passano due settimane per l’esattezza. C’è ancora un uomo, infatti, a cui abbiamo solo accennato, ma che è uno dei principali responsabili della partenza degli Hornets. Chiestogli come pensa che sarà questa stagione di ricostruzione per la squadra, quest’uomo ha risposto: “Non siamo in una fase di ricostruzione, ma non penso neanche che siamo vicini a vincere un anello. Penso che una volta capito il nostro sistema, tutti si sentiranno a proprio agio pronti per dare il massimo”. A parlare è il 39enne coach Monty Williams. Ragazzo umile, sempre tranquillo e devoto alla famiglia, da giocatore come da assistente allenatore da coach McMillan. Fare meglio di Jeff Bowers non era difficile, ma i meriti dell’ex Spurs e Blazers vanno ben oltre a questo. “The only way you can score points is to get a stop”, andava predicando per tutto il training camp. La difesa, prima di tutto. Ed è in questa filosofia che rientra perfettamente l’inserimento in quintetto di uno specialista del settore come Ariza che ha già dimostrato di saper difendere contro tutte le guardie ed ale piccoli dominanti di questa lega. Insieme ad Okafor, eccellente stoppatore e rimbalzista, e Paul, gran ladro di palloni, c’è il materiale per costruire l’ossatura di una grande difesa di squadra. Ma perchè la difesa funzioni, ha bisogno di un sistema, e sopratutto di un allenatore che lo insegni. Ed è questa la grande dote di Monty Williams, alla cui formazione hanno contribuito molto gli anni sotto coach McMillan. Gli Hornets chiudono il pitturato con principi tratti dalla celeberrima “packline defense” dei campioni NBA 2008, i Boston Celtics, ma hanno giocatori estremamente atletici e rapidi nel ruotare sul perimetro, tanto da costringere gli avversari a tirare appena il 29% da 3. La pressione sulla palla resta sempre alta, le guardie non hanno paura a restare attaccati ai

propri uomini perchè sanno che, anche se venissero battuti sul primo passo, ci sarebbero quattro compagni pronti ad aiutarlo e a sacrificarsi per lui. Dalla difesa nasce l’attacco, dice Williams. E in attacco le cose sono semplici quando hai un Paul in versione MVP. Finalmente libero da voci di mercato, messo in condizione di giocare in una squadra dal carattere vincente, CP3 sta giocando in modo paradisiaco, tirando meno ma con percentuali più alte che in passato, al massimo di recuperi in carriera. Ma è l’atteggiamento che ha in campo ciò che più rincuora i tifosi degli Hornets; non c’è più insicurezza nelle sue dichiarazioni, non c’è più quel leader smarrito e annoiato visto l’anno scorso. Al suo posto c’è un leader autentico, fiducioso nei compagni, fiducioso in un sistema offensivo e difensivo finalmente ritrovato e in una squadra che è forse anche più forte di quanto sperava in quel 30

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lontano 20 Luglio. Quando i suoi compagni sono in difficoltà li cerca costantemente, si mette in proprio se gli avversari provano a scappare via nel punteggio, ma appena ripresi torna a giocare per i compagni. Indifferentemente in grado di fare quarti da 12 punti e 2 assist oppure da 2 punti e 12 assist a seconda di ciò che la partita richiede. In particolare di un giocatore egli è apparso molto contento: “E’ un tiratore incredibile. Gli ho detto, quando sei in campo con me, stai sempre in movimento, e ti troverò. Giocando con lui sento la stessa fiducia che ho in Peja [Stojakovic, ndr]”. Paul sta parlando di Marco Belinelli. Anche la sua estate è stata particolarmente tribolata. Dopo aver fallito la stagione da rookie nei sovraffollati Warriors e aver altrettanto deluso l’anno scorso con i Raptors, dopo una qualificazione agli Europei con la Nazionale che ha lasciato tante ombre, oltre a tante luci, la sua carriera americana sembrava in parte compromessa. Per questo non ha potuto che accogliere con grande sollievo e gioia la chiamata di suo fratello Enrico, che gli comunicava l’ufficializzazione del suo arrivo alla corte di Chris Paul. “Sono stato felice di essere venuto in questa squadra”, ha detto il Beli dopo la trade, “É bello venire qui, il primo giorno in cui sono venuto ero felice perchè l’ambiente è molto positivo”. Frasi di circostanza, certo, ma che denotano una serenità di fondo che si respira in uno spogliatoio tornato ai bei fasti di un paio di stagioni fa. E la serenità che riflette nelle sue parole si mostra anche in campo, unita alla “confidence” che un giocatore come Paul riesce a instillarti in modo naturale. Non esita quando deve tirare, penetra con aggressività nel pitturato, non forza nulla ma prende esattamente i tiri che il contesto gli impone di prendere. Estremamente funzionale in attacco, educato ed aggressivo anche in difesa. E’, in un certo senso, l’uomo simbolo di questa squadra: più gioca forte in difesa, più Paul lo premia in attacco, e dunque più efficace è al tiro. L’attacco nasce dalla difesa. La volontà di convincere Chris Paul a restare a vita un Hornet è talmente chiara che attorno a lui la società ha piazzato esclusivamente giocatori di suo gradimento. Se sia stato lui a suggerirli in prima persona non si sa, ma lo si può ben immaginare. E’ in questa chiave che va letta l’ultima mossa di Dell Denps: la cessione di Peja Stojakovic (insieme a Bayless) in cambio di Jarret Jack, David Andersen e Marcus Banks. Jack infatti oltre ad offrire un cambio più affidabile rispetto all’ancora acerbo (ma promettentissimo) Bayless, è amico personale di Paul fuori dal campo, Ad avallare la trade c’è anche Monty Williams, che ha conosciuto e apprezzato Jack durante la sua esperienza sotto McMillan e si è detto molto favorevole del suo arrivo. Probabilmente con il contrattone in scadenza di Peja si poteva ottenere qualcosa di meglio in cambio, ma nulla conta di più per gli Hornets che fare contento Paul. Accanto a lui, Belinelli, Ariza e Okafor, a menare le danze in attacco c’è David West, entusiasta anche lui della squadra come non lo era da tempo e dell’atteggiamento difensivo che il nuovo coaching staff ha imposto sin dal training camp: “Vuole [coach Williams, ndr] che attacchiamo i nostri avversari. Difensivamente possiamo davvero fare la differenza quest’anno”. E sentire un noto eccellente attaccante ma rivedibile difensore come West parlare in questi termini significa che la mentalità proposta dall’allenatore è stata ben assimilata ed ha convinto tutti quanti, in campo e fra i tifosi. D’altro canto si sa, gli attacchi vendono i biglietti ma le difese vincono le partite, e i tifosi più che comprare biglietti ora vogliono finalmente vincere. LAKERSLAND magazine

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CLEVELAND 2010 l’anno zero dei cavaliers

di ROBERTO VIARENGO

La stagione da poco iniziata, senza ombra di dubbio, è da considerarsi per Cleveland l’anno zero, e i Cavs, vittime sacrificali del mercato Nba che in estate li ha privati del loro idolo. Come mai successo prima nella storia, con tanto cioè di diretta televisiva al momento di comunicare la scelta, l’ex numero 23 dell’Ohio, ha preferito lasciare la sua terra trasferendosi agli Heat di Miami, con tutto quello che poi ne è conseguito, principalmente per le critiche piovutegli poi addosso da ogni dove. Il primo a reagire male in seguito alla scelta di LeBron è stato proprio Dan Gilbert, proprietario della franchigia di Cleveland, il quale ha espresso tutto il suo disappunto con una lettera aperta sul sito ufficiale della squadra, nella quale non è stato di certo tenero nei confronti di chi, come dichiara il numero uno dei Cavs, “Si è auto-proclamato Re”. Ecco qualche passaggio di quello che è stato un vero e proprio sfogo: Per annunciare la sua scelta, ha messo in piedi per diversi giorni un giochino narcisistico e autopromozionale culminato in uno special TV nazionale centrato sulla sua “decisione”, rendendoci “testimoni” di una cosa mai vista nella storia dello sport e in quella dell’entertainment. (…) Non vi meritate questo tipo di tradimento da codardi. Avete dato molto e vi meritate molto di più. Nel frattempo, però, voglio affermare chiaramente una cosa: “Garantisco in prima persona che i Cleveland Cavaliers vinceranno un titolo Nba prima che lo faccia l’uomo che si è autoproclamato Re”. Potete contarci. (…) C’è chi pensa di poter andare in Paradiso senza dover per forza morire. Mi spiace, ma non funziona così. Questo scioccante atto di slealtà da parte di quel “prescelto” cresciuto qui con noi, comunica un messaggio che è esattamente il contrario di quello che vorremmo insegnare ai nostri bambini, e un modello di persona a cui non vogliamo che si ispirino crescendo. Ma la buona notizia è che questa decisione presa senza la minima sensibilità, senza cuore, non farà altro che agire da antidoto alla così detta “maledizione” di Cleveland Ohio. (…) Cleveland può dormire sonni tranquilli. Domani è un altro giorno, un giorno migliore… 32 LAKERSLAND magazine


Dal canto suo, James, ha acquistato un’intera pagina dell’Akron Beacon Journal per ringraziare e salutare appunto la sua città Natale di Akron, a pochi chilometri da Cleveland, che ha lasciato per trasferirsi in Florida: “Akron è la mia casa, e il centro della mia vita. “E’ dove ho cominciato, ed è dove tornerò sempre. Potete stare sicuri che continuerò a fare tutto quello che posso per questa città, così importante per me e per la mia famiglia. Grazie per il vostro amore e per il vostro sostegno. Per me significate tutto”. I tifosi, c’è da dire, sembra si siano schierati per la gran maggioranza dalla parte del loro presidente. Già la sera stessa dell’annuncio infatti, è stato possibile vedere molti di loro uscire in strada addirittura per bruciare le canottiere con il numero 23 e tutto ciò che riconducesse al loro ex-idolo. Come anticipato quindi, anno zero per Cleveland, e proprio Gilbert ha dato vita all’opera di rinnovo iniziando dallo staff dirigenziale, sostituendo il GM Danny Ferry con Chris Grant, e coach Brown con Byron Scott, consegnando all’ex di Nets e Hornets una squadra in mano che, oltre ad esser ormai priva di James, ha dovuto rinunciare anche a West, O’Neal e Ilgauskas. Dal draft è arrivato il rookie Christian Eyenga, e poi dal mercato Ramon Session, Joey Graham, Ryan Hollins e Samardo Samuel. Da chi ci si aspetta molto quest’anno però è JJ Hickson, individuato da molti come il futuro dei Cavs e che comunque sta già ben figurando in questa primissima parte di stagione. Punto interrogativo invece per ciò che riguarda Williams, Jamison e Varejao, è cioè da valutare il loro reale potenziale in un team ormai privo di una stella come James e quanto possano realmente rendere, discorso questo, valido principalmente per Williams. Con la partenza di O’Neal e Ilgauskas, Varejao ha finalmente trovato un posto da titolare nel pitturato. Molto ci si aspetta anche da Parker, Moon e Ramon Session, così come dallo stesso coach Scott, nella speranza che riesca a plasmare come meglio possa un gruppo che, se comunque sembra difficile possa puntare al titolo in brevissimo tempo, ha comunque gran

voglia di dimostrare tanto e levarsi qualche soddisfazione. Esordio di stagione migliore ad esempio non poteva esserci. Nella prima giornata infatti i Cavs sono stati in grado di regalare ai propri tifosi e a tutta la delusa Cleveland per l’estate travagliata, una bellissima vittoria contro Boston, vice-campione in carica, che si è dovuta inchinare contro una squadra che ha mostrato grande compattezza e, come anticipato, voglia di fare bene. Ovvio, una rondine non fa primavera, le tre sconfitte consecutive giunte dopo infatti contro Raptors, Kings e Hawks, hanno poi subito riportato i Cavaliers con i piedi a terra, ma come è convinto lo stesso Gilbert - date tempo a Scott e farà bene anche qui – e grande fiducia c’è anche in tutto l’organico. Il cammino che ha intrapreso Cleveland quest’anno infatti è proprio quello di “ritrovarsi”, di riavere cioè un’identità, per lo più tecnica, spazzata via dal tornado estivo che si è abbattuto con estrema violenza sulla città dell’Ohio, portandole via non solo un giocatore, ma un vero e proprio riferimento tattico, una prima opzione in qualsiasi momento della partita e un qualcosa che a modo suo era riuscito a dar colore al grigiore di una città che ha provato a sognare per 7 anni, ma alla quale, come suggerisce ancora Gilbert, non è riuscito comunque a far vincere nulla eccetto un titolo di conference nel 2007 per essere poi sweeppati dagli Spurs in finale.

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TOP OF THE EAST BESIKTAS IS THE ANSWER

di ROBERTO VIARENGO e GIUSEPPE MAGNIFICO

Se vi state chiedendo dove è finito Allen Iverson, Besiktas è la (sorprendente) risposta. Dopo aver ricevuto porte in faccia da una lunga serie di squadre alle quali avrebbe bussato in estate, l’ex fenomeno dei Philadelphia 76ers ha firmato un biennale da 4 milioni con la squadra turca del Besiktas e ne ha vestito i colori, con un insolito numero 4, per la prima volta il 16 Novembre in EuroCup contro l’Hemofarm segnando 15 punti in 24 minuti con 3/4 dall’arco. In attesa di vedere come andrà la sua avventura europea, buona fortuna, Allen I!

TUTTI PAZZI PER WALL La partenza di Wall in Nba è stata sicuramente di quelle esaltanti. La scelta numero 1 al draft 2010, è riuscito a portare nella capitale statunitense, quell’entusiasmo che mancava da tempo. Il ragazzo ha gran talento e da subito si è messo in testa di dimostrarlo a chiunque. Nella gara contro Houston, vinta dagli Wizards, l’ex Kentuky, alla sua sesta gara tra i professionisti, ha messo a segno la sua prima tripla doppia con 19 punti, 10 rimbalzi e 13 assist, il tutto ancora più affascinante perché avvenuto davanti uno spettatore d’eccezione, Magic Johnson, uno che di triple doppie se ne intendeva. Il numero 2 di Washington quindi ha tutte le carte in regola per far bene, punta di diritto al titolo di Rookie Of The Year,

LeBRON INFURIATO CON LA STAMPA DI MIAMI

Qualche crepa sembrava essersi aperta all’interno degli Heat dopo la gara persa contro i Celtics. Sui giornali infatti erano uscite dichiarazioni di James in conferenza stampa, nelle quali l’ex Cavs criticava aspramente il suo “mediocre” coach Spoelstra, per l’eccessivo minutaggio in cui il numero 6 e Wade erano stati impiegati contro Boston, non avendo di fatto abbastanza energie nel finale del match, cosa che si sarebbe ripetuta per tutta la stagione se il loro utilizzo continuava ad esser quello. Poco dopo però c’è da dire che è stato proprio LeBron a smentire il tutto, infuriandosi fortemente con la stampa, colpevolizzandola di aver completamente traviato le sue parole, dato che quelle che poi ha letto i giorni seguenti sui giornali, non sarebbero state le sue.

Prince-Kuester: clima di fuoco in casa Pistons I Pistons non se la passano bene, dopo un inizio di stagione non certo esaltante infatti, sembra ci siano diversi problemi anche all’interno dello spogliatoio. Un acceso diverbio, nel quale si è arrivati quasi al contatto fisico, s’è verificato durante il match tra Detroit e Golden State, quando cioè, dopo un timeout, il coach John Kuester avrebbe rimproverato Prince per la sua difesa “leggera” ed il giocatore avrebbe reagito piuttosto male alle parole dell’allenatore. Voci vicine allo spogliatoio inoltre sembra abbiano individuato anche in Gordon, Stuckey e Daye, altri che come Prince abbiano avuto in passato accese discussioni con il proprio head coach, il tutto quindi a confermare un clima abbastanza teso nella città dei motori.

NASH VERSO NEW YORK? Anche a stagione iniziata il mercato Nba continua ad essere vivo e altri big potrebbero ancora cambiare destinazione. Proprio New York, delusa dall’estate 2010 che non ha portato James al Madison, continua a sondare il territorio per rinforzare in maniera decisiva il proprio roster, specie dopo la serie di sconfitte consecutive che ha causato diverse lamentele sia da parte dei tifosi che dei giocatori come ad esempio Stoudmire. Il nome che inizia a circolare con più insistenza è quello di Nash. Il canadese sarebbe l’uomo ideale da affiancare a D’antoni e all’ex centro dei Suns, ma al momento ha problemi più gravi a cui pensare come la crisi familiare che sta vivendo, che sembra lo stia portando al divorzio dalla moglie, poco dopo la nascita del terzo figlio. 34

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TOP OF THE WEST LA CAVALCATA DEGLI SPURS Quelli che non ti aspetti, ma che alla fine ci sono sempre. Questi sono gli Spurs ad ovest anche quest’anno, si. Iniziata la stagione con una vittoria contro i Pacers ed una sconfitta subito dopo contro i sorprendenti Hornets di quest’anno di Paul e Belinelli, hanno poi dato vita ad una splendida cavalcata inanellando una serie di successi consecutivi, a conferma, come se ce ne fosse bisogno, della loro presenza ad ovest, anche quest’anno, a dire la loro. Parker non sembra risentire particolarmente della separazione dalla signora Longoria. Jefferson e Ginobili sono pronti a vivere una stagione da protagonisti, e anche la panchina, per quel che può, dà il suo contributo. Popovich e i suoi insomma, faranno di tutto quest’anno per insidiare i Lakers e chiunque ad ovest provi a puntare la vetta.

MILLSAP MONSTER NIGHT Clamorosa nottata quella del 9 Novembre per gli Utah Jazz e sopratutto per Paul Millsap. A casa dei Miami Heat di James, Wade e Bosh, l’ala forte dei Jazz ribalta in maniera clamorosa una partita che sembrava chiusa quando Miami si portava sul 98-90 a 30 secondi dal termine: Una tripla, un’altra tripla, un’altra tripla ancora. Ma non basta: anche il tap-in finale per portare tutto al supplementare e consentire a Utah di vincere sulle ali dell’entusiasmo 116-114. 46 punti, 9 rimbalzi, il mostruoso tabellino di Paul Millsap

IL CURIOSO CASO DEI PORTLAND TRAIL BLAZERS

O lo sfigato caso. All’infortunio di lunga data di Pryzbilla (vicino al rientro, forse) e a quello del rookie Elliot Williams, rotto pochi giorni dopo la scelta spesa da Portland per lui e fuori per la stagione, due tegole enormi si abbattono ancora. Greg Oden andrà ancora sotto i ferri, mircofracture surgery e stagione ancora finita. Ma, ancora peggio, Roy ha un deficit di cartilagine alle ginocchia per cui queste si gonfieranno e riempiranno di liquido ogni volta che le sforzerà. Un’autentica maledizione.

ALL YOU NEED IS LOVE

Era dai tempi di Moses Malone, dal lontano 1982, che nessuno riusciva a segnare 30 punti e catturare 30 rimbalzi in una sola partita. Ci è riuscito il 22enne Kevin Love, fresco campione del mondo con la maglia degli USA, contro i malcapitati Knicks. Love, che aveva chiuso con appena 7 punti e 9 rimbalzi il primo tempo, avrebbe detto a Beasley all’orecchio durante il terzo quarto:”Vado per i 30 stasera”. Beasley, incredulo, gli avrebbe risposto:”30 cosa??”. Il tabellino a fine serata indica 31 punti e 31 rimbalzi.

L’INFORTUNIO PIU’ IMPROBABILE Ciò che è successo a David Lee, neo acquisto dei Golden State Warriors, non era forse mai successo in questa lega. Dopo uno scontro con Wilson Chandler dei Knicks, un frammento di dente è rimasto conficcato nel gomito di Lee. Non accortosi dell’accaduto, lo staff dei Warriors ha richiuso la ferita, lasciando il dente ad infettare tutto il gomito, con conseguente infiammazione e notevole dolore per lo sfortunato centro dei Warriros. Un’operazione e degli antibiotici lo rimetteranno in sesto nel giro di venti giorni. Dal suo ritorno, Lee probabilmente indosserà una gomitiera.

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I SEGRETI DELLA TRIPLE POST OFFENSE

Un viaggio all’interno del sistema offensivo più vincente di GIUSEPPE MAGNIFICO

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Nell’NBA degli ultimi 20 anni, un solo sistema offensivo può vantarsi di aver portato alla vittoria la squadra che lo ha giocato per 11 volte. Un sistema offensivo partorito addirittura negli anni’30 da tale Sam Barry, storico allenatore di USC, ma rinnovato e reso perfetto dalla mente di coach Tex Winter: la Triple Post Offense. L’unione della sapienza di Winter con le doti innate di Phil Jackson ha consacrato la TPO come il sistema più vincente di sempre, prima nella I 7 PRINCIPI PER UN ATTACCO EQUILIBRATO sua versione “Chicagoana” con Michael Jordan protagonista, quindi nell’incarnazione a noi tutti familiare giocata dai Los Angeles Lakers. Cerchiamo dunque di 1 - deve penetrare la difesa conoscerne meglio le basi attraverso una serie di im2 - elevata velocita’à di esecuzione magini esplicative. 3 - spaziature tra i giocatori (deve sempre Innanzitutto bisogna premettere una cosa: la TPO esserci una distanza di 3-4 metri tra un gionon è uno schema, ma un sistema con delle regole catore e l’altro) 4 - tutti devono muoversi senza palla da rispettare. L’attacco si sviluppa seguendo i 7 princi5 - deve garantire sia copertura a rimbalzo pi proposti da Coach Winter (vd. Riquadro), pertanto, in attacco sia un buon bilanciamento difenpur avendo alcuni movimenti ricorrenti, può virtualsivo mente contenere letture infinite a discrezione di chi 6 - deve dare quattro possibilitA’à di passagle esegue. Questo è il motivo per cui certi giocatori gio all’uomo con la palla vengono definiti “adatti per la tpo” o “non adatti”: 7 - sfrutta al meglio l’abilitA’à per rendere al meglio in questo sistema bisogna esdei singoli giocatori sere in grado di leggere la difesa e reagire di conseguenza in breve tempo, dote che è più rara di quanto si pensi. Come detto però ci sono alcuni movimenti ricorrenti che gli stessi Lakers propongono partita dopo partita e che utilizziamo per semplificare la spiegazione. Il passaggio d’entrata nello schema è fatto dal portatore di palla verso l’ala. Una volta eseguito il passaggio, dalla posizione di guardia Fisher taglia e va a posizionarsi

in angolo (in gergo si chiama “shallow cut”). In questo modo si forma il “triangolo d’attacco” da cui prende il nome lo schema nella comune definizione di Triangle Offense. Sul lato debole lo schieramento prevede un giocatore in punta e uno in post basso/medio. Da questa partenza il gioco evolve in maniera diversa a seconda delle scelte difensive. Nei primi minuti della partita i Lakers preferiscono andare spesso dal post basso per far entrare in ritmo i lunghi: se l’ala con la palla, in questo caso Fisher, passa al post basso (Gasol), 38

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esegue un taglio insieme al giocatore in angolo (Artest) allo scopo sia di ricevere lo scarico sul taglio, sia sopratutto di liberare il lato per l’uno contro uno isolato in un quarto di campo(immagine 2). In questo modo l’attacco può sfruttare la potenza di Bynum, la letalità di Bryant o la capacità di creare attacco di Gasol spalle a canestro mettendo in difficoltà la difesa, sia che questa scelga di scommettere e restare in marcatura singola, sia che scelga di raddoppiare la palla (a suo rischio e pericolo, visto che Kobe e Pau sono tra i migliori passatori dell’intera lega contro il raddoppio).

Se la difesa pressa la palla e anticipa in post, o se il giocatore in post è ritenuto non affidabile per l’uno contro uno (ad es. Caracter o Ratliff) l’attacco deve leggere e reagire di conseguenza: la guardia può passare dunque in angolo e tagliare verso il canestro (immagine 3 ) liberando lo spazio per un pick and roll giocato dall’uomo in angolo (Brown) con il lungo (Gasol). Da questa giocata può nascere un arresto e tiro, una penetrazione o uno scarico sul roll per il lungo a seconda degli adeguamenti difensivi. Tante volte in questa situazione abbiamo visto Fisher, Blake o Brown prendersi l’arresto e tiro e punire l’avversario rimasto indietro sul blocco.

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C’è però la possibilità che né il passaggio in post né il passaggio in angolo siano possibili. In tal caso, è necessario ribaltare il lato. Il ribaltamento può essere eseguito in due modi: tramite il pinch post, o tramite un taglio flash. La prima soluzione è quella di passare la palla al giocatore in punta (immagine 4 ), in questo caso Blake, il quale ribalta il lato servendo Ratliff che sale nella posizione segnata dal cerchio, ovverosia il pinch post. Blake, dopo il passaggio, taglia verso la palla e gioca a due con il lungo. Anche in questo caso ai giocatori è richiesto di leggere l’adeguamento della difesa. Blake può: ricevere il passaggio consegnato, arrestarsi e tirare; penetrare verso l’area e cercare la conclusione da sotto; penetrare e scaricare sul perimetro. Da questa disposizione però i Lakers spesso giocano un pick and roll che coinvolga l’uomo in punta e il lungo, sopratutto quando in queste posizioni si trovano i loro attaccanti migliori. Riuscire a liberare sul lato debole attaccanti come Gasol, Odom o Bryant crea immancabilmente tiri ad alta percentuale. É a questa soluzione che ci si affida quando si vogliono punti veloci per togliere l’attacco da un momento di difficoltà o per ricucire un parziale messo a segno dagli avversari.

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La seconda soluzione, alternativa al pinch post, è il taglio flash. Se le altre ricezioni non sono possibili, l’attacco ha cioè un’ulteriore soluzione: il taglio dal lato debole verso la lunetta (immagine 5 ). Le soluzioni principali per l’uomo che riceve sono: servire il taglio backdoor dell’uomo in punta (Barnes); giocare alto-basso per l’altro lungo creando un tiro ad alta percentuale; servire l’uscita dell’uomo in angolo da un doppio blocco portato dalla guardia e dal post. Anche in questo caso, come notate, estrema versatilità.

Per concludere, vediamo cosa succede se il primo passaggio anziché essere verso la guardia nel lato “3” è all’altra guardia sul lato “2”. La necessità di ribaltare il lato sin da subito nasce dalla volontà da parte dell’attacco di muovere la difesa, fedelmente ai principi di Winter, ma è anche possibile che la difesa voglia negare le ricezioni sul lato forte e dunque costringere all’attacco a cercare un ingresso alternativo nei giochi.

post, ma esce sull’arco in posizione di guardia. Il triangolo verrà formato da Brown, Gasol, e da un uomo che taglierà verso il post: è Matt Barnes nell’immagine proposta. Anche questa giocata si è mostrata tante volte efficace, non solo quando a fare questo taglio è un lungo, ma anche quando è un piccolo che sa mettere la schiena a canestro ed essere efficace. Artest, Barnes e Bryant sfruttano spesso questa soluzione.

In questo caso Brown, invece di servire Barnes e tagliare verso l’angolo (con lo “shallow cut” visto in precedenza), passa a Blake, che è sull’altro lato, e taglia verso l’angolo opposto. Gasol non si mette in posizione di pinch

E’ facile intuire che avere giocatori con elevata intelligenza cestistica e rapidità di lettura consente di mettere in difficoltà la difesa contro un numero di soluzioni incalcolabile.

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Da questi movimenti base possono infatti originare un gran numero di aggiustamenti che l’attacco sfrutta a seconda di quale siano i suoi scopi. Ci saranno momenti della partita in cui si vorrà andare in post basso in isolamento e creare movimenti sul lato debole per impegnare la difesa; altre volte si vorrà sfruttare Kobe con ricezioni al gomito o in punta per giocare pick and roll e metterlo nelle condizioni di dominare offensivamente la partita. La difesa contro un attacco del genere è in difficoltà perchè deve prevedere e reagire tanti movimenti contemporaneamente, motivo per cui se non ha un sistema difensivo perfetto può solo contestare i tiri e sperare che non entrino. Ecco perchè la Triple Post Offense è il sistema offensivo più vincente di sempre.

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A I T I V I it . R D C N IS A L S R E K A L

an ta f as iu’ v na sola p y, la ad u t i n u ta ta omm dedica rna c ggio . c’E’ tra ente a s e o n m ent geles si g era alla t mpre Los an no, e ci citi iana in s i se ’ Un ital ’ c’e ltime da e e chi . a a t b n u ’ di base ch u i real i t lle p t u adra ol squ nostra inuto s he e ta as g ic m ama i nellato per ni tecn h mo c a . i o b u o t ab della ut utto. min a nozi esso. t a i m d , t ’ t ri h chi te lo s obe piu piu’ di diverse lacust k i diver hi ama a fisher ersone verso ta es p c m u i ’ a c’e o. chi di q co d passione e c t t par tut no un sa ne la ar f u a ci so i in com trare t tut ornia. i per en if cal iti a no c unis ta’ real www.lakersland.it twitter.com/lakersland www.facebook.com/pages/LakersLand/185622544743



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