Tar dicembre 2017 sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di sei mesi

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TAR dicembre 2017 - sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di sei mesi

Pubblicato il 06/12/2017 N. 12033/2017 REG.PROV.COLL. N. 06977/2007 REG.RIC. logo REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6977 del 2007, proposto da: xxx xxx, rappresentato e difeso dall’Avvocato Salvatore Napolitano, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Zara n. 16; contro il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio; per l’annullamento - del decreto del Capo della Polizia- Direttore generale della Pubblica Sicurezza n. 333-D/xxx del 27.4.2007, notificato il 17.5.2007, con cui è stata inflitta al ricorrente la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di sei mesi, con conseguente riduzione dell’anzianità di servizio; - di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali e, in particolare, della delibera del Consiglio provinciale di Disciplina del 14.3.2007. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 17 novembre 2017, il Cons. Rita Tricarico e


uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO Il ricorrente, appartenente alla Polizia di Stato, in data 17.5.2007 è stato colpito dal decreto del Capo della Polizia datato 27.4.2007, con il quale è stata comminata nei suoi confronti la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di sei mesi, conformemente a quanto proposto dal Consiglio provinciale di Disciplina nella seduta del 14.3.2007. La suddetta sanzione è stata disposta ai sensi dell’art. 6, 3° comma, n. 1) (mancanze previste dal precedente art. 4, qualora rivestano carattere di particolare gravità ovvero siano reiterate o abituali), in relazione all’art. 4, 2° comma, n. 18 (qualsiasi altro comportamento, anche fuori dal servizio, non espressamente preveduto nelle precedenti ipotesi, comunque non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza), del d.P.R. n. 737/1981. Si rende necessario illustrare l’antefatto. Il Sig. xxx in data 1°.3.2006 ha avvisato l’Amministrazione di stare male, dicendo di essere a Roma. Il giorno successivo ha nuovamente telefonato ed in quell’occasione avrebbe comunicato di trovarsi a Torino. Alla data del 4.3.2006 il certificato di malattia risultava ancora non pervenuto all’Amministrazione, nonostante la Circolare dell’Ufficio del Personale del 13.1.2004 ne prevedesse la trasmissione all’Ufficio di appartenenza, salvi giustificati impedimenti, entro il termine massimo di 48 ore dall’inizio della malattia. Si precisa che il ricorrente aveva chiesto il congedo ordinario per 8 giorni a decorrere dal 26.2.2006 per doversi recare a Torino per un battesimo, ma, per motivi di servizio, gli erano stati concessi solo 3 giorni. Il 2.3.2006 lo stesso non è stato trovato alla visita fiscale presso la propria abitazione a Roma e, pur essendo stato invitato a presentarsi il giorno successivo, non lo ha fatto. Con nota del 22.3.2006, notificata il 29.4.2006, è stata eseguita la contestazione degli addebiti per la mancanza disciplinare di cui 4, 2° comma, n. 18 (qualsiasi altro comportamento, anche fuori dal servizio, non espressamente preveduto nelle precedenti ipotesi, comunque non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza), del d.P.R. n. 737/1981. L’inquisito ha giustificato la sua assenza al momento della visita fiscale, affermando di essersi recato presso lo studio odontoiatrico del dott. xxx e producendo relativo certificato. Al controllo effettuato presso il menzionato studio non figurava alcun appuntamento a suo nome per la suddetta data, ma il richiamato odontoiatra ha riconosciuto la firma apposta al certificato, spiegando che comunque il Sig. xxx era stato presso il suo studio, anche senza appuntamento, essendo suo amico. Anche la mancanza di una fattura per la prestazione resa è stata motivata dall’odontoiatra in considerazione del rapporto di amicizia intercorrente con il Sig. xxx, in ragione del quale lo stesso aveva


reso gratuitamente tale prestazione. Solo a maggio dall’Ambulatorio Servizio di Medicina del Lavoro dell’Ospedale di Tor Vergata sono stati trasmessi un certificato datato 4.5.2006, nel quale si spiegavano le ragioni per le quali il precedente certificato dell’1.3.2006 non era pervenuto a destinazione, nonché quest’ultimo certificato. Entrambi risultavano con il timbro e la firma del Prof. xxx xxx, che, tuttavia, interpellato successivamente, in sede di sommarie informazioni rese il 31.8.2006, ha disconosciuto la firma. È risultato che in realtà i suindicati certificati erano stati compilati, timbrati e sottoscritti dalla dottoressa xxx, collaboratrice del Prof. xxx ed amica del ricorrente. Con atto del 5.10.2006 è stata data comunicazione di notizia di reato ex art. 347 c.p.p. a carico del ricorrente, per aver lo stesso prodotto due certificati medici risultati falsi, a giustificazione di un periodo di congedo straordinario fruito per malattia. Con decreto del Capo della Polizia - Direttore generale della Pubblica Sicurezza del 22.12.2006, il ricorrente è stato sospeso cautelarmente dal servizio, a decorrere dal 23.12.2006, ai sensi dell’art. 92 del d.P.R. n. 3/1957. Con decreto del Questore di Roma anch’esso del 22.12.2006, il procedimento disciplinare precedentemente instaurato nei confronti del Sig. xxx è stato annullato a partire dalla contestazione degli addebiti, dal momento che “nel corso dell’istruttoria sono emersi comportamenti di profilo disciplinare ulteriori, più gravi e differenti rispetto a quelli originariamente contestati”. È stato quindi aperto un nuovo procedimento disciplinare per la mancanza di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 737/1981 per aver l’inquisito prodotto “due certificati medici falsi, quali attestazioni di un suo inesistente stato patologico”. L’iter procedimentale ha condotto alla deliberazione del Consiglio provinciale di Disciplina del 14.3.2007, con la quale detto organo ha proposto l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi sei. Perciò, conformemente a quanto proposto dal Consiglio provinciale di Disciplina, con decreto del Capo della Polizia- Direttore generale della Pubblica Sicurezza n. 333D/xxx del 27.4.2007, notificato il 17.5.2007, è stata inflitta al ricorrente la suddetta sanzione disciplinare, a decorrere dal 23.12.2006 (data dalla quale lo stesso era stato sospeso cautelarmente dal servizio). Avverso i richiamati decreto sanzionatorio del Capo della Polizia e deliberazione del Consiglio provinciale di Disciplina è stato proposto il presente ricorso, affidato ai seguenti motivi di censura: 1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 del d.P.R. 25.10.1981, n. 737, in combinato disposto con l’art. 61 c.p.p. – difetto di istruttoria e di motivazione. Nel provvedimento censurato si dà atto che “per gli stessi fatti oggetto del procedimento disciplinare” il ricorrente era stato sospeso cautelarmente dal servizio con decreto del 22.12.2006, ai sensi dell’art. 92 del d.P.R. n. 3/1957. Non si dà invece atto della circostanza che per gli stessi fatti questi era stato fatto oggetto di


comunicazione di reato ex art. 347 c.p.p., con nota della Questura di Roma del 5.10.2006 indirizzata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, e che perciò era stato sottoposto ad indagine penale. In base all’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981: “Quando l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza viene sottoposto, per gli stessi fatti, a procedimento disciplinare ed a procedimento penale, il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato”. L’Amministrazione non ha invece provveduto alla sospensione del procedimento disciplinare. L’art. 61 c.p.p. prevede poi che “i diritti e le garanzie dell’imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari”. Pertanto tale ultima disposizione conterrebbe il principio che parifica i diritti e le garanzie dell’inquisito, qualunque sia la fase del procedimento penale nel quale è coinvolto. 2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 7.8.1990, n. 241, per difetto di motivazione - violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.P.R. 25.10.1981, n. 737. Il decreto motiva l’irrogazione della sanzione disciplinare de qua, facendo riferimento ai “motivi contenuti nell’unita deliberazione del 14.3.2007” del Consiglio provinciale di Disciplina. Detta deliberazione sarebbe formulata in modo generico, con una motivazione solo apparente, senza l’indicazione degli elementi di valutazione atti a dimostrare un collegamento reale ed effettivo tra gli aspetti rilevanti, sotto il profilo disciplinare, dei fatti contestati e le ragioni che avrebbero dovuto giustificare l’immediata irrogazione della sanzione disciplinare. 3) Ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 7.8.1990, n. 241 – eccesso di potere per ogni profilo sintomatico, in particolare per illogicità e contraddittorietà – violazione del diritto di difesa dell’incolpato – difetto di istruttoria e travisamento degli elementi di fatto – abnormità ed ingiustizia della sanzione irrogata. La motivazione, oltre che generica, sarebbe viziata da contraddittorietà e da illogicità. Infatti la qualificazione del comportamento come di particolare gravità è seguita dalla constatazione dei favorevoli giudizi riportati nei rapporti informativi. In altre parole, lo status di servizio dell’inquisito, sebbene favorevole, è stato valutato dal Consiglio di Disciplina insufficiente ad evitare, non solo la sospensione dal servizio, ma addirittura l’irrogazione della sanzione nella misura massima. Inoltre gli atti impugnati sarebbero illegittimi anche perché fondati su una ricostruzione dei fatti che ignorano e non danno alcun rilievo agli elementi a discolpa, addotti dal ricorrente. L’Amministrazione dell’Interno, regolarmente intimata, non si è costituita in giudizio. Nella pubblica udienza del 17.11.2017 il ricorso è stato introitato per la decisione. DIRITTO 1 - Con il presente ricorso si censurano il provvedimento, i cui estremi sono riportati in epigrafe, recante la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata


di sei mesi, ai sensi dell’art. 6, 3° comma, n. 1) (mancanze previste dal precedente art. 4, qualora rivestano carattere di particolare gravità ovvero siano reiterate o abituali), in relazione all’art. 4, 2° comma, n. 18 (qualsiasi altro comportamento, anche fuori dal servizio, non espressamente preveduto nelle precedenti ipotesi, comunque non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza), del d.P.R. n. 737/1981, irrogata nei confronti del Sig. xxx, appartenente alla Polizia di Stato, nonché la presupposta deliberazione del Consiglio provinciale di Disciplina. 1.1 - Il ricorso è privo di fondamento. 2 - Col primo mezzo di gravame si assume che l’Amministrazione non avrebbe potuto comminare la sanzione disciplinare in parola, in quanto per i medesimi fatti che vi avevano dato origine pendeva un procedimento disciplinare. In proposito s’invoca la disposizione di cui all’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981, secondo cui, “quando l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza viene sottoposto, per gli stessi fatti, a procedimento disciplinare ed a procedimento penale, il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato”. Perciò il procedimento disciplinare conclusosi con la sanzione qui contestata avrebbe dovuto essere sospeso. 2.1 - Occorre inquadrare la portata di tale previsione normativa e, in particolare, stabilire in quali termini deve intendersi la locuzione “essere sottoposto a procedimento penale”. Si ritiene di condividere l’orientamento prevalente, sposato anche dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (cfr.: Cons. St. – A.P. n. 1 del 29.1.2009; Cons. St. – sez. III 24.3.2015, n. 1574). Secondo tale orientamento, presupposto ostativo all’attivazione o alla prosecuzione del procedimento disciplinare è l’esercizio dell’azione penale e la conseguente assunzione della veste di imputato del soggetto al quale è attribuito il fatto di rilevanza penale. L’esercizio dell’azione penale si realizza con la richiesta del Pubblico Ministero di rinvio a giudizio a norma dell’art. 416 c.p.p. e con gli altri atti con i quali si chiede al Giudice di decidere sulla pretesa punitiva. A tale soluzione concorrono ragioni di ordine sistematico e ragioni di ordine logico desumibili dalla stessa formulazione dell’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981. Quanto alle prime, occorre richiamare l’art. 117 del T.U. delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con il d.P.R. n. 3/1957, il quale recita così: “Qualora per il fatto addebitato all’impiegato sia stata iniziata azione penale il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziato, deve essere sospeso”. Tale ultima disposizione può valere come norma integrativa dell’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981. L’art. 117, infatti, fa parte del corpo di norme che disciplina, quanto alle posizioni di stato, il rapporto di pubblico impiego del personale in regime di diritto pubblico, nel


cui ambito è ricompreso quello del personale della Polizia di Stato, e, quindi, concernendo specificamente i rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, può essere richiamato a completare la fattispecie astratta di cui all’art. 11, nei profili in cui tale disposizione presenta lacune o difficoltà di applicazione. Lo stesso d.P.R. n. 737/1981, del resto, all’art. 31, dispone che, “per quanto non previsto dal presente decreto in materia di disciplina e di procedura, si applicano, in quanto compatibili, le corrispondenti norme contenute nel testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3”. Pertanto l'art. 117 integra l’art. 11, il quale, imponendo la sospensione del procedimento disciplinare quando per uno stesso fatto un appartenente ai ruoli della Polizia di Stato viene sottoposto anche a procedimento penale, non indica il momento a partire dal quale insorge tale dovere per l’Amministrazione, giacché la proposizione “viene sottoposto a procedimento penale”, stante l’indeterminatezza della nozione di ‘procedimento penale’, non indica tale momento, sebbene esso sia essenziale nell’operatività della disposizione. Deve poi aggiungersi che l’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 va interpretato alla stregua del codice di procedura penale introdotto nel 1988, tenendo quindi presente la struttura del processo penale ivi disegnata. Ebbene, l’art. 11 stabilisce che la sospensione del procedimento disciplinare debba durare “fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato”. Diversamente interpretando tale norma, vale a dire prescindendo l’obbligo di sospensione del procedimento disciplinare ivi stabilito dall’esercizio dell’azione penale, si avrebbe come conseguenza che, senza una sentenza passata in giudicato, fatti punibili in via disciplinare, che fossero anche oggetto di indagini penali e che si concludano con il decreto di archiviazione, rimarrebbero impuniti, perché, mancando una sentenza passata in giudicato, non potrebbe avviarsi il relativo procedimento disciplinare ovvero un procedimento già iniziato resterebbe indefinitamente sospeso, con effetti sostanzialmente estintivi. Anche da tale considerazione può quindi dedursi che il procedimento disciplinare non può iniziare e, se iniziato, deve essere sospeso soltanto quando in sede penale è stata esercitata l’azione penale. 2.2 - Nel caso che ci occupa, al momento dell’adozione della sanzione disciplinare, erano in corso le indagini penali, ma ancora non era stata iniziata l’azione penale, quindi il ricorrente non aveva ancora assunto la qualifica di imputato. 2.3 - Ne deriva che la censura in esame è infondata. 3 - Lo stesso vale per la doglianza dedotta sub 2), con la quale si deduce il difetto di motivazione. 3.1 - Il ricorrente, pur consapevole che il decreto sanzionatorio impugnato contiene una motivazione per relationem, rappresentata da quella addotta nella proposta del Consiglio provinciale di Disciplina di cui alla delibera del 14.3.2007, asserisce che tale motivazione sarebbe apparente.


3.2 - Basta leggere la suddetta delibera per pervenire a conclusioni diametralmente opposte. I fatti dai quali si desume la condotta grave del ricorrente, integrante la mancanza per la quale lo stesso ha subito la sanzione disciplinare de qua, sono dettagliatamente riportati in tale atto. Si tratta di quei fatti che sono stati indicati nella narrativa della presente disamina, alla quale, perciò, si rinvia. Tale condotta, anche reiterata, puntualmente specificata, è stata ritenuta “di particolare gravità”, “comunque non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti all’Amministrazione della P.S.”. Perciò, differentemente da quanto assunto dalla parte ricorrente, emergono gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche che hanno condotto l’Amministrazione ad adottare la sanzione qui oggetto di contestazione. 4 - Peraltro tale decisione non appare inficiata da illogicità, alla luce proprio della gravità dei fatti posti a fondamento. 5 - Neppure si ravvisa la dedotta contraddittorietà. 5.1 - Deve rammentarsi al riguardo che nella lettera di contestazione del 23.12.2006, notificata all’inquisito in pari data, con cui viene dato inizio al procedimento disciplinare sfociato nel decreto qui impugnato, il comportamento contestato è stato inquadrato nelle fattispecie di cui all’art. 7 del d.P.R. n. 737/1981. In altre parole esso è stato qualificato come meritevole della più grave sanzione disciplinare della destituzione. La scelta di comminare la più lieve sanzione della sospensione dal servizio, sebbene nella misura massima di sei mesi, si giustifica anche in ragione dei “favorevoli giudizi riportati nei rapporti informativi”. È quindi evidente che di essi si è tenuto debitamente conto. 5.2 - Deve aggiungersi che, come riportato nel decreto sanzionatorio, la sanzione qui in esame non rappresenta la prima inflitta al ricorrente, bensì la seconda. Secondo quanto si desume, infatti, dal foglio matricolare, in atti, in precedenza, e precisamente in data 17.11.1998, gli era stata comminata la sanzione disciplinare della pena pecuniaria, nella misura di 1/30 di una mensilità dello stipendio e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo. 6 - Alla luce di quanto rilevato e considerato nella presente disamina, deve concludersi che il ricorso è infondato e deve essere respinto. 7 - Stante la soccombenza del ricorrente, nulla deve, tuttavia, disporsi in ordine alle spese di giudizio, in assenza di costituzione dell’Amministrazione. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando: - respinge il ricorso in epigrafe; - nulla dispone in ordine alle spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2017, con


l’intervento dei Magistrati: Germana Panzironi,Presidente Rita Tricarico, Consigliere, Estensore Laura Marzano, Consigliere

L'ESTENSORE Rita Tricarico

IL SEGRETARIO

IL PRESIDENTE Germana Panzironi


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