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2.3 Le cause del mobbing

2.3 Le cause del mobbing

I motivi che determinano il mobbing sono numerosi. Nei molti studi e sondaggi condotti sull’argomento si citano fra l’altro: avversione personale, invidia, paura di perdere il proprio posto di lavoro nell’ambito di una ristrutturazione, errori nella direzione, cattiva organizzazione, contatti personali carenti, stress e persino noia. Ci si può domandare se dipende dall’organizzazione il fatto che in alcuni settori il mobbing sia più diffuso e in altri meno. Un fatto comunque è certo: la disorganizzazione crea conflitti che sono il terreno di cultura del mobbing. Più i conflitti sono numerosi e restano insoluti a lungo, maggiori sono le occasioni di mobbing.

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Molti degli interessati citano la situazione economica, la globalizzazione e, non ultima, la società competitiva, poiché la pressione esterna, la paura di perdere il posto incidono sui rapporti sociali. Chi è impiegato nei livelli inferiori, riceve minore sostegno sociale dai colleghi e inoltre è sovraffaticato e più facile da attaccare. Il mobbing genera stress, ma nello stesso tempo lo stress è uno dei fattori scatenanti del suo insorgere, esso è dovuto alla disorganizzazione aziendale. Quest’ultima può essere una causa diretta di una cattiva definizione dei ruoli, di un clima organizzativo instabile, oppure di una mancanza di coinvolgimento, di una gerarchizzazione amministrativa (Hirigoyen, 2000). Nei settori in cui esistono dei termini di consegna da rispettare, nei campi in cui l’incidenza dello stress è più alta, esistono le premesse favorevoli al mobbing. Nessuno ha il tempo e la calma necessari per affrontare un problema in modo mirato e risolverlo; tutti sono nervosi e frenetici, la sensibilità si acui-

sce.

Dopo il cosiddetto “lean management”, ovvero la “gestione snella”, abbiamo un altro nuovo obiettivo, la globalizzazione. Coloro che sono riusciti a conservare il loro posto nelle imprese si vedono minacciati da altri pericoli. Lo scontro non soltanto fra nazionalità diverse, ma (anche quel che più conta) fra culture e strutture aziendali diverse, ci espone a nuove paure e ansie. In questo caso, il primo traguardo da raggiungere è la flessibilità dell’occupazione. Il posto di lavoro diventa un campo di battaglia, ogni collega può diventare un nemico, un aspirante al nostro posto. Ben presto il collettivo si sfalda, trasformandosi in un branco di contendenti isolati. E invece è proprio la solidarietà a renderci forti, come abbiamo appreso fin dai primi anni di vita, così si crea una nuova comunità. Il mobbing è una nuova disciplina di ricerca che descrive un fenomeno che senza ombra di dubbio esisteva nel passato, ma che non era mai stato sistema-

tizzato con precisione e che soprattutto non aveva mai ricevuto un proprio nome specifico che lo identificasse. Il suo insorgere è collegato direttamente al periodo di “transizione macroeconomica post-taylorista” (Menelao, Della Porta, Rindonone, 2001). Fino a pochi anni fa l’economia era garantita dallo Stato, quindi erano protetti dallo stesso, ci si trovava in un contesto di “capitalismo organizzativo”. Oggi invece, siamo di fronte al “capitalismo del caos”, cioè mercati globali caratterizzati da grande incertezza e da un livello molto elevato di competizioni tra lavoratori. E’ facile comprendere come tutto ciò abbia un effetto sulle aziende, provocando mobbing (Casilli, 2000). Le aziende moderne devono sopravvivere nei mercati globali, che creano concorrenza spietata tra le organizzazioni. Tutto ciò obbliga l’azienda a diminuire il costo del lavoro licenziando i dipendenti e riengegnerizzando le funzioni. In questo modo le aziende possono trasformarsi in breve tempo in reti di imprese.In questo nuovo contesto i lavoratori non sempre vengono licenziati, ma diventano “precari”, cioè vivono costantemente sotto la minaccia di perdere il proprio lavoro. I nuovi postulati aziendali sono, infatti, l’ottimizzazione del lavoro, l’utilizzo dei tempi morti, il dipendente molto attivo e sempre attento alle esigenze funzionali. Basta, quindi, con dipendenti svogliati, non efficienti, carenti di salute e non più produttivi di valore aggiunto. Questi vengono considerati esuberi, da recidere attraverso cassa integrazione, prepensionamenti, quando possibile anche con licenziamenti (Casilli, 2000). Un altro aspetto del “nuovo capitalismo” è che i lavoratori si trovano ad affrontare ambienti lavorativi in continua trasformazione tali da esigere l’imparare continuo e rapido di cose nuove atte a sviluppare le necessarie competenze, finalizzate allo svolgimento delle mansioni assegnate.

La formazione e l’aggiornamento professionale dei lavoratori meno giovani rappresenta un notevole costo per l’azienda, tanto che spesso i vertici aziendali preferiscono assumere nuove risorse (Ascenzi e Bergagio, 2000). Un’ulteriore conseguenza della nuova economia è la capacità di lavorare in team, ma esiste un livello di competitività molto alto che elimina lo spirito di gruppo e le collaborazioni fra dipendenti. La ricerca delle cause implica l’affiancamento di teorie diverse tra loro per offrire una descrizione dettagliata della loro sequenzialità e causalità. Lo studio del mobbing ha peraltro messo in evidenza la mancanza di un gruppo a rischio di mobbing. In altre parole, ognuno potrebbe risultare una vittima, ma molto spesso si diventa anche mobber senza rendersene conto. Le cause del fenomeno sono spesso molto più di una, diconseguenza si deve imparare a compiere analisi complesse, che tengano conto dell’insieme delle possibili ragioni che provocano il mobbing. Un contributo fondamentale sullo studio delle cause, è quello di Leymann (1993), poiché grazie alla sua priorità cronologica ha potuto fissare i canoni entro cui tutta la ricerca futura si sarebbe poi incanalata. Un altro contributo importante è quello di Walter (1993), che ha evidenziato l’importanza degli ultimi approfondimenti teorici, particolarmente descrittivi. Walter (1993), individua tre campi in cui si possono inscrivere le cause del mobbing: 1) il confronto e la relazione tra i tre stati dell’Io; 2) la presenza di elementi esterni o interni che possono contribuire a provocare stress sul lavoratore; 3) la creazione di micro-conflitti sul posto di lavoro, cioè situazioni che possono sviluppare conflittualità tra i colleghi. 1) I tre stati dell’Io non sono altro che categorie caratteriali in cui ognuno di noi può riconoscersi nel suo modo di agire e di rapportarsi agli altri. Il primo stato è detto del genitore-Io. Noi esseri umani pensiamo, parliamo e ci comportiamo prendendo come riferimento il modello offertoci nella nostra infanzia dai nostri genitori o da un’altra persona in qualche modo importante.

2) Nel secondo stato dell’Io ci troviamo nella sfera dell’adulto-Io, la cui principale caratteristica è la capacità di oggettività. In questo stadio giudichiamo il nostro ambiente sulla base della nostra esperienza ed il nostro giudizio risulta privo di emozioni ed orientato a parametri logici ed obiettivi. 3) Il terzo stato dell’Io viene definito bambino-Io. Qui troviamo tutti i desideri, le speranze, le paure e le preoccupazioni che assillano il nostro animo e annullano le nostre sicurezze. Secondo Walter (1993), i conflitti si creano quando le persone coinvolte si trovano su diversi livelli dell’Io: in questo modo, la valutazione delle situazioni che si presentano nella realtà risulta diversa da persona a persona e una base comune di intesa è difficilmente raggiungibile. Il mobbizzato è riconducibile caratterialmente allo stato del bambino-Io. Infatti, se fosse un genitore-Io, sarebbe anche lui convinto, come il mobber, di essere nel giusto e la condizione di equilibrio così creatosi escluderebbe a priori la presenza di mobbing. Solo se si trova nella situazione del bambinoIo,la persona che è attaccata dall’aggressore cade nel ruolo della vittima: egli infatti non cerca via di uscita sottomettendosi né affronta mai realmente la situazione, non essendo in grado di percepirla e comprenderla a fondo. I fattori stressanti sono costituiti da singoli avvenimenti separati, ma non solo: anche da circostanze che possono avvenire contemporaneamente. Gli indicatori di stress assumono peso e consistenza diversa a seconda della persona che li subisce. Non esiste una scala di misura che stabilisca in modo obiettivo quale indicatore sia più forte di un altro. Walter sostiene che il presupposto fondamentale perché si verifichi un atteggiamento positivo nei confronti del lavoro è la capacità da parte del lavoro stesso di soddisfare i nostri desideri materiali ed immateriali. Le cause per cui questo non avviene e per cui si crea un sentimento di malessere nei confronti del nostro impiego sono molteplici e vengono chiamati micro-conflitti sul posto di lavoro. L’autore ne evidenzia 15 : 1) insicurezza del posto di lavoro; 2)

mancanza di riconoscimento, di sostegno e di possibilità di promozioni; 3) fine della carriera; 4) mancanza di riposo; 5) determinazione, controllo e sorveglianza esterni; 6) intrighi e reticenza di informazioni; 7) conflitti con il superiore; 8) conflitti con i colleghi, simpatie e antipatie; 9) concorrenza tra colleghi; 10) compiti oscuri ed incongruenti; 11) noia e monotonia del lavoro; 12) richieste eccessive o insufficienti; 13) pressione causata da responsabilità non proprie; 14) isolamento sul lavoro e nella vita privata; 15) mancanza di identificazione con l’azienda ed i suoi scopi (Walter, 1993). Anche Leymann vede nel conflitto il presupposto fondamentale della nascita del mobbing. Qualsiasi azienda tende a garantire al suo interno rapporti equilibrati e normali. Tutto ciò che viene sentito come al di fuori di questa normalità risulta un problema: se questi problemi non si risolvono completamente, allora ecco che nascono i conflitti. Per risolvere un qualsiasi problema che interviene a minacciare l’equilibrio di un’organizzazione è necessaria, da parte dei vertici aziendali, una buona dose di saggezza e di buon senso. Il conflitto è caratterizzato dalla discordanza di opinioni: ognuna delle parti in causa è convinta di essere nel giusto e non è disposta a scendere a compromessi. Secondo Leymann sono individuabili sei campi in cui possono svilupparsi dei conflitti e quindi da cui il mobbing può svilupparsi: tre sono fattori esterni al gruppo di lavoro a rischio di mobbing e tre invece ad esso più strettamente legati: 1) l’organizzazione del lavoro. Un fattore cruciale per lo stress è dato da una cattiva organizzazione e distribuzione del lavoro. Leymann individua due errori fondamentali: l’eccesso di lavoro in senso quantitativo e l’insufficienza di lavoro in senso qualitativo. Se in azienda si verificano situazioni di questo tipo, i lavoratori avranno più probabilità di accusare problemi di tipo psicosomatico.

2) Le mansioni lavorative. Si tratta della qualità del lavoro: se esso è monotono e sottoqualificante, aumenteranno le probabilità che un lavoratore ricorra al mobbing per movimentare il suo tempo lavorativo e sfuggire così alla noia. 3) La direzione del lavoro. Una buona gestione del personale dovrebbe favorire la comunicazione tra i lavoratori, limitando il più possibile le organizzazioni del lavoro come la catena di montaggio o il lavoro a turni. Questi due sistemi tendono all’isolamento dell’individuo, che non può comunicare con i colleghi o perché impegnato nel lavoro in serie o perché isolato in turni. Un altro fattore che le gestioni del personale spesso trascurano, ma che risulta cruciale nell’allontanamento del mobbing, è la socializzazione. Le aziende tendono ad inserire i nuovi assunti o i trasferiti all’interno dei propri reparti senza preoccuparsi di presentarli ai presenti. I colleghi si trovano quindi di punto in bianco a dover operare con qualcuno che non conoscono e che sentono come estraneo ed imposto dall’alto. Se il nuovo assunto non riesce con le proprie forze ad inserirsi ed a socializzare, le probabilità che venga mobbizzato dai colleghi sono relativamente alte 4) La dinamica sociale del gruppo di lavoro. Un gruppo di lavoro messo in qualche modo sotto pressione, tenderà a sviluppare più facilmente conflitti rispetto ad un gruppo tranquillo. Il gruppo infatti tende sempre a trovare un equilibrio: se qualcosa, come una pressione, interviene a sbilanciarlo ed a mettere in crisi la sua esistenza stessa, esso immediatamente si difenderà, rinforzando le sue regole interne. 5) Le teorie sulla personalità. Per Leymann il carattere della vittima è indipendente dal mobbing. Esso può essere subìto da qualsiasi persona in qualsiasi posizione poiché esso dipende dalle circostanze e dall’ambiente sociale. 6) La funzione nascosta della psicologia nella società. Gli psicologi tendono a cercare ed a trovare la spiegazione di qualsiasi problema all’interno della vittima stessa. In questo modo, essi non fanno che avvalorare l’ipotesi che il mobbing sia causato dalla vittima medesima. Il problema degli psicologi, se-