Corte di Giustizia Europea 2018: Il mandato d'arresto europeo, le procedure di consegna e la tutela

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Corte di Giustizia Europea 2018: Il mandato d'arresto europeo, le procedure di consegna e la tutela dei diritti fondamentali

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

25 luglio 2018 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Procedimento pregiudiziale d’urgenza – Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale – Mandato d’arresto europeo – Decisione quadro 2002/584/GAI – Articolo 1, paragrafo 3 – Procedure di consegna tra Stati membri – Condizioni di esecuzione – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 47 – Diritto a un giudice indipendente e imparziale»

Nella causa C-216/18 PPU, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla High Court (Alta Corte, Irlanda), con decisione del 23 marzo 2018, pervenuta in cancelleria il 27 marzo 2018, nel procedimento riguardante l’esecuzione di mandati d’arresto europei emessi nei confronti di LM, LA CORTE (Grande Sezione), composta da K. Lenaerts, presidente, A. Tizzano, vicepresidente, R. Silva de Lapuerta (relatore), M. Ilešič, J. L. da Cruz Vilaça, J. Malenovský, E. Levits e C. G. Fernlund, presidenti di sezione, A. Borg Barthet, J.-C. Bonichot, A. Arabadjiev, S. Rodin, F. Biltgen, C. Lycourgos et E. Regan, giudici, avvocato generale: E. Tanchev cancelliere: L. Hewlett, amministratore principale vista la domanda del giudice del rinvio del 23 marzo 2018, pervenuta in cancelleria il 27 marzo 2018, di assoggettare il rinvio pregiudiziale al procedimento d’urgenza, ai sensi dell’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte,


vista la decisione della Prima Sezione del 12 aprile 2018 di accogliere detta domanda, vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 1o giugno 2018, considerate le osservazioni presentate: –

per il Minister for Justice and Equality, da M. Browne, in qualità di agente, assistita da S. Ní Chúlacháin, BL, R. Farrell, SC, e K. Colmcille, BL;

per LM, da C. Ó Maolchallann, solicitor, M. Lynam, BL, S. Guerin, SC, e D. Stuart, BL;

per il governo spagnolo, da M. A. Sampol Pucurull, in qualità di agente;

per il governo ungherese, da M. Z. Fehér, in qualità di agente;

per il governo dei Paesi Bassi, da M. K. Bulterman, in qualità di agente;

per il governo polacco, da Ł. Piebiak, B. Majczyna e J. Sawicka, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da J. Tomkin, H. Krämer, B. Martenczuk, R. Troosters e K. Banks, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 28 giugno 2018, ha pronunciato la seguente

Sentenza 1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU 2002, L 190, pag. 1), come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009 (GU 2009, L 81, pag. 24) (in prosieguo: la «decisione quadro 2002/584»).

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Tale domanda è stata presentata nell’ambito dell’esecuzione, in Irlanda, di mandati d’arresto europei emessi dai giudici polacchi nei confronti di LM (in prosieguo: l’«interessato»).

Contesto normativo


Il Trattato UE 3

L’articolo 7 TUE dispone quanto segue: «1. Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura. Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi. 2. Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni. 3. Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche. Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dai trattati. (…)».

La Carta 4

Il titolo VI della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), denominato «Giustizia», comprende l’articolo 47, rubricato «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale», che dispone quanto segue: «Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. (…)».


5

Le spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17) precisano, quanto all’articolo 47, secondo comma, della Carta, che tale disposizione corrisponde all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).

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L’articolo 48 della Carta, intitolato «Presunzione di innocenza e diritti della difesa» dispone quanto segue: «1. Ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. 2.

Il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato».

La decisione quadro 2002/584 7

I considerando da 5 a 8, 10 e 12 della decisione quadro 2002/584 sono del seguente tenore: «(5)

(…) [L]’introduzione di un nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate, al fine dell’esecuzione delle sentenze di condanna in materia penale o per sottoporle all’azione penale, consente di eliminare la complessità e i potenziali ritardi inerenti alla disciplina attuale in materia di estradizione. (…)

(6)

Il mandato d’arresto europeo previsto nella presente decisione quadro costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco che il Consiglio europeo ha definito il fondamento della cooperazione giudiziaria.

(7)

Poiché l’obiettivo di sostituire il sistema multilaterale di estradizione creato sulla base della convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 non può essere sufficientemente realizzato unilateralmente dagli Stati membri e può dunque, a causa della dimensione e dell’effetto, essere realizzato meglio a livello dell’Unione, il Consiglio può adottare misure, nel rispetto del principio di sussidiarietà menzionato all’articolo 2 [UE] e all’articolo 5 [CE]. La presente decisione quadro si limita a quanto è necessario per conseguire tali scopi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.

(8)

Le decisioni relative all’esecuzione di un mandato d’arresto europeo devono essere sottoposte a un controllo sufficiente, il che implica che l’autorità giudiziaria dello Stato membro in cui la persona ricercata è stata arrestata dovrà prendere la decisione relativa alla sua consegna.

(…) (10)

Il meccanismo del mandato d’arresto europeo si basa su un elevato livello di fiducia tra gli Stati membri. L’attuazione di tale meccanismo può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti


all’articolo 6, paragrafo 1, [UE divenuto, in seguito a modifica, articolo 2 TUE], constatata dal Consiglio [europeo] in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, [UE divenuto, in seguito a modifica, articolo 7, paragrafo 2, TUE], e con le conseguenze previste al paragrafo 2 dello stesso articolo [divenuto, in seguito a modifica, articolo 7, paragrafo 3, TUE]. (…) (12)

La presente decisione quadro rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi sanciti dall’articolo 6 [UE] e contenuti nella [Carta], segnatamente il capo VI. Nessun elemento della presente decisione quadro può essere interpretato nel senso che non sia consentito rifiutare di procedere alla consegna di una persona che forma oggetto di un mandato d’arresto europeo qualora sussistano elementi oggettivi per ritenere che il mandato d’arresto europeo sia stato emesso al fine di perseguire penalmente o punire una persona a causa del suo sesso, della sua razza, religione, origine etnica, nazionalità, lingua, opinione politica o delle sue tendenze sessuali oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi.

(…)». 8

L’articolo 1 di tale decisione quadro, intitolato «Definizione del mandato d’arresto europeo ed obbligo di darne esecuzione», prevede quanto segue: «1. Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà. 2. Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro. 3. L’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 [UE] non può essere modificat[o] per effetto della presente decisione quadro».

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Gli articoli 3, 4 e 4 bis di detta decisione quadro indicano i motivi di non esecuzione obbligatoria e facoltativa del mandato d’arresto europeo.

10

Intitolato «Ricorso all’autorità centrale», l’articolo 7 della stessa decisione quadro così prevede: «1. Ciascuno Stato membro può designare un’autorità centrale o, quando il suo ordinamento giuridico lo prevede, delle autorità centrali per assistere le autorità giudiziarie competenti. 2. Uno Stato membro può, se l’organizzazione del proprio sistema giudiziario interno lo rende necessario, affidare alla (alle) propria (proprie) autorità centrale (centrali) la


trasmissione e la ricezione amministrativa dei mandati d’arresto europei e della corrispondenza ufficiale ad essi relativa. Lo Stato membro che voglia avvalersi delle facoltà descritte nel presente articolo comunica al Segretariato generale del Consiglio le informazioni relative all’autorità centrale (alle autorità centrali) designata(e). Dette indicazioni sono vincolanti per tutte le autorità dello Stato membro emittente». 11

L’articolo 15 della stessa decisione quadro, intitolato «Decisione sulla consegna», prevede quanto segue: «1. L’autorità giudiziaria dell’esecuzione decide la consegna della persona nei termini e alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro. 2. L’autorità giudiziaria dell’esecuzione che non ritiene le informazioni comunicatele dallo Stato membro emittente sufficienti per permetterle di prendere una decisione sulla consegna, richiede urgentemente le informazioni complementari necessarie segnatamente in relazione agli articoli 3, 4, 5 e 8 e può stabilire un termine per la ricezione delle stesse, tenendo conto dell’esigenza di rispettare i termini fissati all’articolo 17. (…)».

Diritto irlandese 12

La decisione quadro 2002/584 è stata recepita nell’ordinamento giuridico irlandese mediante lo European Arrest Warrant Act 2003 (legge del 2003 sul mandato d’arresto europeo).

13

L’articolo 37, paragrafo 1, della legge del 2003 sul mandato d’arresto europeo prevede: «Nessuno sarà consegnato in base alla presente legge ove: (a)

(b)

la sua consegna sia incompatibile con gli obblighi gravanti sullo Stato in forza: (i)

della [CEDU], o

(ii)

dei protocolli della [CEDU]

la sua consegna integri una violazione di una disposizione della Costituzione (…)».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali 14

Il 1o febbraio 2012, il 4 giugno 2012 e il 26 settembre 2013, le autorità giudiziarie polacche hanno emesso tre mandati d’arresto europei (in prosieguo: i «MAE») nei confronti dell’interessato, ai fini del suo arresto e della sua consegna a dette autorità giudiziarie per l’esercizio di azioni penali, segnatamente per traffico illecito di stupefacenti e di sostanze


psicotrope. 15

Il 5 maggio 2017 l’interessato è stato arrestato in Irlanda, in base a tali MAE, e condotto dinanzi al giudice del rinvio, la High Court (Alta Corte, Irlanda). Egli ha informato tale giudice che non acconsentiva alla propria consegna alle autorità giudiziarie polacche ed è stato incarcerato in attesa di una decisione sulla sua consegna a tali autorità.

16

A sostegno della sua opposizione alla consegna, l’interessato deduce, segnatamente, che tale consegna lo esporrebbe a un rischio reale di flagrante diniego di giustizia in violazione dell’articolo 6 della CEDU. Al riguardo, l’interessato sostiene, in particolare, che le recenti riforme legislative del sistema giudiziario nella Repubblica di Polonia lo privano del suo diritto a un equo processo. Tali riforme pregiudicherebbero in maniera sostanziale le fondamenta della fiducia reciproca tra l’autorità emittente il mandato d’arresto europeo e l’autorità dell’esecuzione di tale mandato, circostanza che rimetterebbe in discussione il funzionamento del meccanismo del mandato d’arresto europeo.

17

L’interessato si fonda, in particolare, sulla proposta motivata della Commissione, del 20 dicembre 2017, presentata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, del Trattato sull’Unione europea sullo Stato di diritto in Polonia [COM(2017) 835 final] (in prosieguo: la «proposta motivata») e sui documenti a cui questa fa riferimento.

18

Nella proposta motivata, la Commissione illustra anzitutto in maniera dettagliata il contesto e la genesi delle riforme legislative, tratta, poi, due particolari motivi di preoccupazione, ossia, da un lato, l’assenza di controllo di costituzionalità indipendente e legittimo e, dall’altro, i rischi di violazione dell’indipendenza dei giudici ordinari, e invita, infine, il Consiglio a constatare l’esistenza di un rischio evidente di violazione grave da parte della Repubblica di Polonia dei valori di cui all’articolo 2 TUE nonché a rivolgere a tale Stato membro le raccomandazioni necessarie a tal riguardo.

19

La proposta motivata riprende peraltro le constatazioni della Commissione per la democrazia attraverso il diritto del Consiglio d’Europa vertenti sulla situazione nella Repubblica di Polonia e sugli effetti delle recenti riforme legislative sul sistema giudiziario di tale Stato membro.

20

Da ultimo, la proposta motivata indica le gravi preoccupazioni espresse a tal riguardo, nel periodo precedente l’adozione di tale proposta, da varie istituzioni e vari organismi internazionali ed europei come il Comitato dei diritti dell’uomo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, il Consiglio europeo, il Parlamento europeo, la Rete europea dei Consigli di giustizia nonché, a livello nazionale, dal Sąd Najwyższy (Corte suprema, Polonia), dal Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale, Polonia), dal Rzecznik Praw Obywatelskich (Mediatore, Polonia), dalla Krajowa Rada Sądownictwa (Consiglio nazionale della magistratura, Polonia) e da associazioni di giudici e avvocati.

21

Sulla base delle informazioni contenute nella proposta motivata e delle constatazioni della Commissione per la democrazia attraverso il diritto del Consiglio d’Europa vertenti sulla situazione nella Repubblica di Polonia e sugli effetti delle recenti riforme legislative sul


sistema giudiziario di tale Stato membro, il giudice del rinvio giunge alla conclusione che, a causa dell’effetto combinato delle riforme legislative realizzate nella Repubblica di Polonia dal 2015 riguardanti, segnatamente, il Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale), il Sąd Najwyższy (Corte suprema), il Consiglio nazionale della magistratura, l’organizzazione dei giudici ordinari, la Scuola nazionale della magistratura e il pubblico ministero, in tale Stato membro è stato violato lo Stato di diritto. Il giudice del rinvio fonda tale conclusione sulla constatazione di mutamenti ritenuti particolarmente significativi, come: –

le modifiche del ruolo costituzionale di tutela dell’indipendenza della magistratura affidato al Consiglio nazionale della magistratura, abbinate alle nomine illegali al Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale) da parte del governo polacco e al rifiuto di quest’ultimo di pubblicare determinate decisioni;

il fatto che il ministro della Giustizia sia ormai il procuratore generale, che possa svolgere un ruolo attivo nell’azione penale e che rivesta un ruolo disciplinare nei confronti dei presidenti dei tribunali, la qual circostanza ha potenzialmente un effetto dissuasivo su tali presidenti, incidendo, conseguentemente, sull’amministrazione della giustizia;

il fatto che il Sąd Najwyższy (Corte suprema) subisca le conseguenze di pensionamenti d’ufficio e delle nomine future, e che le nomine politiche saranno largamente preponderanti nella nuova composizione del Consiglio nazionale della magistratura, e

il fatto che l’integrità e l’efficacia del Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale) siano state notevolmente perturbate in quanto non vi sono garanzie che le leggi in Polonia rispettino la Costituzione polacca, circostanza di per sé sufficiente a incidere sull’insieme del sistema della giustizia penale.

22

In tali circostanze, il giudice del rinvio considera che, in ragione dell’incompatibilità dei poteri «ampi e incontrollati» del sistema giudiziario nella Repubblica di Polonia con quelli concessi in uno Stato democratico retto dal principio dello Stato di diritto, esiste un rischio reale che l’interessato sia trattato arbitrariamente nel corso del processo a suo carico nello Stato membro emittente. Pertanto, la consegna dell’interessato comporterebbe una violazione dei suoi diritti sanciti all’articolo 6 della CEDU e dovrebbe, quindi, essere rifiutata, conformemente al diritto irlandese e all’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584, in combinato disposto con il considerando 10 di quest’ultima.

23

A tal riguardo, il giudice del rinvio rileva che, nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198), la Corte ha statuito, nell’ambito di


una consegna che avrebbe potuto comportare una violazione dell’articolo 3 della CEDU, che, qualora l’autorità giudiziaria dell’esecuzione accerti carenze sistemiche o generalizzate nelle tutele dello Stato membro emittente, tale autorità deve valutare, in modo concreto e preciso, se esistano motivi seri e comprovati per ritenere che la persona interessata corra un rischio reale di essere sottoposta a un trattamento inumano o degradante in tale Stato membro. In tale sentenza, la Corte avrebbe altresì stabilito una procedura in due fasi che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione dovrebbe applicare in siffatte circostanze. Tale autorità dovrebbe, anzitutto, accertare l’esistenza di carenze generalizzate o sistemiche nelle tutele offerte nello Stato membro emittente e, in seguito, chiedere all’autorità giudiziaria di quest’ultimo ogni informazione complementare necessaria in merito alle tutele del soggetto interessato. 24

Orbene, il giudice del rinvio si chiede se, qualora l’autorità giudiziaria dell’esecuzione abbia constatato che il valore comune dello Stato di diritto sancito all’articolo 2 TUE è stato violato dallo Stato membro emittente, e che tale violazione sistemica dello Stato di diritto costituisce, per sua natura, un difetto fondamentale del sistema giudiziario, sia ancora applicabile la necessità di valutare, in modo concreto e preciso, conformemente alla sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198), l’esistenza di motivi seri e comprovati per ritenere che la persona interessata sia esposta a un rischio di violazione del suo diritto a un equo processo, come sancito all’articolo 6 della CEDU, oppure se, in tali circostanze, si possa facilmente ritenere che un’autorità emittente non potrebbe mai fornire alcuna specifica garanzia di un processo equo per tale persona, data la natura sistemica della violazione dello Stato di diritto, cosicché l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non può essere tenuta ad accertare l’esistenza di siffatti motivi.

25

Alla luce di quanto precede, la High Court (Alta Corte) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1)

Se, nonostante le conclusioni cui è pervenuta la Corte di giustizia nella sentenza [del 5 aprile 2016,] Aranyosi e Căldăraru [(C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198)], quando un giudice nazionale accerta l’esistenza di prove concludenti attestanti l’incompatibilità delle condizioni nello Stato membro emittente con il diritto fondamentale a un equo processo, poiché il sistema giudiziario stesso di detto Stato membro non opera più in un contesto di Stato di diritto, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione sia tenuta a compiere ulteriori valutazioni, in modo concreto e preciso, in merito all’esposizione del singolo interessato al rischio di un processo iniquo nel caso in cui il suo processo si svolga all’interno di un sistema che non opera più in un contesto di Stato di diritto.

2)

Se, qualora il criterio che deve essere applicato imponga una valutazione specifica del rischio concreto per la persona ricercata di essere esposta a un flagrante diniego di giustizia e il giudice nazionale abbia accertato la sussistenza di una violazione sistemica dello Stato di diritto, il giudice nazionale, quale autorità giudiziaria dell’esecuzione, sia tenuto a rivolgersi all’autorità giudiziaria emittente per ottenere qualsiasi ulteriore informazione necessaria che possa consentirgli di escludere la


sussistenza del rischio di un processo iniquo e, in caso affermativo, quali garanzie sarebbero necessarie con riferimento a un processo equo».

Sul procedimento d’urgenza 26

Il giudice del rinvio ha chiesto di sottoporre il presente rinvio pregiudiziale al procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto all’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte.

27

A sostegno di tale domanda, il giudice del rinvio ha richiamato, in particolare, il fatto che l’interessato sia attualmente privato della libertà, in attesa della decisione sulla propria consegna alle autorità polacche, e che la risposta alle questioni sollevate sarà determinante per adottare una siffatta decisione.

28

A tale riguardo, occorre constatare, in primo luogo, che il presente rinvio pregiudiziale verte sull’interpretazione della decisione quadro 2002/584, la quale rientra nei settori di cui al titolo V della terza parte del Trattato FUE, relativo allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Di conseguenza, tale rinvio è idoneo a essere sottoposto al procedimento pregiudiziale d’urgenza.

29

In secondo luogo, quanto al criterio relativo all’urgenza, occorre, secondo giurisprudenza costante della Corte, prendere in considerazione la circostanza che l’interessato è attualmente privato della libertà e che il suo mantenimento in detenzione dipende dalla soluzione della controversia principale. Inoltre, la situazione dell’interessato dev’essere valutata quale si presenta alla data dell’esame della domanda diretta ad ottenere che al rinvio pregiudiziale sia applicato il procedimento d’urgenza (sentenza del 10 agosto 2017, Zdziaszek, C-271/17 PPU, EU:C:2017:629, punto 72 e giurisprudenza citata).

30

Orbene, nella fattispecie, da un lato è pacifico che, a tale data, l’interessato si trovava in detenzione. Dall’altro, il suo mantenimento in detenzione dipende dall’esito del procedimento principale, dal momento che la misura detentiva cui è sottoposto è stata disposta, secondo le indicazioni fornite dal giudice del rinvio, nel contesto dell’esecuzione dei MAE.

31

Alla luce di tali circostanze, in data 12 aprile 2018 la Prima Sezione della Corte ha deciso, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, di accogliere la richiesta del giudice del rinvio di trattare il presente rinvio pregiudiziale con procedimento d’urgenza.

32

È stato inoltre deciso di rinviare la causa dinanzi alla Corte affinché fosse attribuita alla Grande Sezione.

Sulle questioni pregiudiziali 33

In limine, risulta dalla motivazione della decisione di rinvio e dal riferimento alla sentenza


del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198), che figura nel testo stesso della prima questione, che le questioni sollevate dal giudice del rinvio vertono sulle condizioni che consentono all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di astenersi, sul fondamento dell’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584, dal dare corso a un mandato d’arresto europeo a causa del rischio di violazione, in caso di consegna del ricercato all’autorità giudiziaria emittente, del diritto fondamentale a un equo processo dinanzi a un giudice indipendente, come sancito all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, che, come risulta dal punto 5 della presente sentenza, corrisponde all’articolo 47, secondo comma, della Carta. 34

Pertanto, si deve ritenere che, con le sue due questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chieda, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584 debba essere interpretato nel senso che, qualora l’autorità giudiziaria dell’esecuzione chiamata a decidere sulla consegna di una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio dell’azione penale disponga di elementi, come quelli contenuti in una proposta motivata della Commissione, adottata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, idonei a dimostrare l’esistenza di un rischio reale di violazione del diritto fondamentale a un processo equo garantito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, a causa di carenze sistemiche o generalizzate riguardanti l’indipendenza del potere giudiziario dello Stato membro emittente, detta autorità deve verificare, in modo concreto e preciso, se esistano motivi seri e comprovati per ritenere che l’interessato corra un rischio di tal genere in caso di consegna a quest’ultimo Stato. In caso di risposta positiva, il giudice del rinvio chiede alla Corte di precisare le condizioni che una siffatta verifica deve soddisfare.

35

Per rispondere alle questioni sollevate, occorre rammentare che il diritto dell’Unione poggia sulla premessa fondamentale secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri, e riconosce che questi condividono con esso, una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda, così come precisato all’articolo 2 TUE. Tale premessa implica e giustifica l’esistenza della fiducia reciproca tra gli Stati membri nel riconoscimento di tali valori e, dunque, nel rispetto del diritto dell’Unione che li attua (sentenza del 6 marzo 2018, Achmea, C-284/16, EU:C:2018:158, punto 34 e giurisprudenza citata).

36

Tanto il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri quanto il principio del mutuo riconoscimento, che si fonda a sua volta sulla fiducia reciproca tra questi ultimi (v., in tal senso, sentenza del 10 agosto 2017, Tupikas, C-270/17 PPU, EU:C:2017:628, punto 49 e giurisprudenza citata), rivestono un’importanza fondamentale nel diritto dell’Unione, dato che consentono la creazione e il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne. Più specificamente, il principio della fiducia reciproca impone a ciascuno di tali Stati, segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, di ritenere, tranne che in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo (sentenza del 10 novembre 2016, Poltorak, C-452/16 PPU, EU:C:2016:858, punto 26 e giurisprudenza citata).


37

Quando attuano il diritto dell’Unione, gli Stati membri possono quindi essere tenuti, in forza di tale diritto, a presumere il rispetto dei diritti fondamentali da parte degli altri Stati membri, con la conseguenza che risulta loro preclusa la possibilità non solo di esigere da un altro Stato membro un livello di tutela nazionale dei diritti fondamentali più elevato di quello garantito dal diritto dell’Unione, ma anche, salvo in casi eccezionali, di verificare se tale altro Stato membro abbia effettivamente rispettato, in un caso concreto, i diritti fondamentali garantiti dall’Unione [parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 192].

38

Emerge dal considerando 6 della decisione quadro 2002/584 che il mandato d’arresto europeo di cui a tale decisione quadro costituisce la prima concretizzazione, nel settore del diritto penale, del principio di riconoscimento reciproco.

39

Come risulta, in particolare, dal suo articolo 1, paragrafi 1 e 2, nonché dai suoi considerando 5 e 7, la decisione quadro 2002/584 è intesa a sostituire il sistema multilaterale di estradizione fondato sulla convenzione europea di estradizione, del 13 dicembre 1957, con un sistema di consegna tra le autorità giudiziarie delle persone condannate o sospettate, ai fini dell’esecuzione di sentenze o dell’esercizio di azioni penali, sistema quest’ultimo che è basato sul principio del riconoscimento reciproco (sentenza del 10 novembre 2016, Kovalkovas, C-477/16 PPU, EU:C:2016:861, punto 25 e giurisprudenza citata).

40

La decisione quadro 2002/584 è quindi diretta, mediante l’instaurazione di un nuovo sistema semplificato e più efficace di consegna delle persone condannate o sospettate di aver violato la legge penale, a facilitare e ad accelerare la cooperazione giudiziaria allo scopo di contribuire a realizzare l’obiettivo assegnato all’Unione di diventare uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia fondandosi sull’elevato livello di fiducia che deve esistere tra gli Stati membri (sentenza del 10 novembre 2016, Poltorak, C-452/16 PPU, EU:C:2016:858, punto 25 e giurisprudenza citata).

41

Nel settore disciplinato dalla decisione quadro 2002/584, il principio di riconoscimento reciproco, che costituisce, come risulta in particolare dal considerando 6 della stessa, il «fondamento» della cooperazione giudiziaria in materia penale, trova applicazione all’articolo 1, paragrafo 2, di tale decisione quadro, che sancisce la regola secondo cui gli Stati membri sono tenuti a dare esecuzione a ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della medesima decisione quadro. Le autorità giudiziarie dell’esecuzione possono, dunque, in via di principio, rifiutare di eseguire un siffatto mandato solo per i motivi di non esecuzione tassativamente elencati dalla decisione quadro 2002/584 e possono subordinare l’esecuzione del mandato d’arresto europeo esclusivamente a una delle condizioni tassativamente previste all’articolo 5 di tale decisione quadro. Di conseguenza, mentre l’esecuzione del mandato d’arresto europeo costituisce il principio, il rifiuto di esecuzione è concepito come un’eccezione che deve essere oggetto di interpretazione restrittiva (v., in tal senso, sentenza del 10 agosto 2017, Tupikas, C-270/17 PPU, EU:C:2017:628, punti 49 e 50 e giurisprudenza citata).


42

Così, la decisione quadro 2002/584 enuncia espressamente i motivi di non esecuzione obbligatoria (articolo 3) e facoltativa (articoli 4 e 4 bis) del mandato d’arresto europeo, nonché le garanzie che lo Stato membro emittente deve fornire in casi particolari (articolo 5) (v. sentenza del 10 agosto 2017, Tupikas, C-270/17 PPU, EU:C:2017:628, punto 51).

43

Cionondimeno, la Corte ha ammesso che limitazioni ai principi di riconoscimento e di fiducia reciproci tra Stati membri possano essere apportate «in circostanze eccezionali» (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 82 e giurisprudenza citata).

44

In tale contesto, la Corte ha riconosciuto, a determinate condizioni, la facoltà per l’autorità giudiziaria dell’esecuzione di porre fine alla procedura di consegna istituita dalla decisione quadro 2002/584 qualora una siffatta consegna rischi di comportare un trattamento inumano o degradante del ricercato, ai sensi dell’articolo 4 della Carta (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 104).

45

A tal fine, la Corte si è fondata, da un lato, sull’articolo 1, paragrafo 3, di tale decisione quadro, che prevede che quest’ultima non può comportare la modifica dell’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti agli articoli 2 e 6 TUE e, dall’altro, sul carattere assoluto del diritto fondamentale garantito dall’articolo 4 della Carta (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 83 e 85).

46

Nel caso di specie, basandosi sulla proposta motivata e sui documenti a cui questa si riferisce, l’interessato si è opposto alla propria consegna alle autorità giudiziarie polacche, facendo valere, in particolare, che una siffatta consegna lo esporrebbe a un rischio reale di flagrante diniego di giustizia a causa della carenza di indipendenza dei giudici dello Stato membro emittente derivante dall’attuazione delle recenti riforme legislative del sistema giudiziario in tale Stato membro.

47

Pertanto, occorre anzitutto verificare se, al pari di un rischio reale di violazione dell’articolo 4 della Carta, un rischio reale di violazione del diritto fondamentale dell’interessato a un giudice indipendente e, quindi, del suo diritto fondamentale a un equo processo, come enunciato all’articolo 47, secondo comma, della Carta, consenta all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di astenersi, a titolo eccezionale, dal dare seguito a un mandato d’arresto europeo, in base all’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584.

48

A tal riguardo, si deve sottolineare che il requisito dell’indipendenza dei giudici attiene al contenuto essenziale del diritto fondamentale a un equo processo, che riveste importanza cardinale quale garanzia della tutela dell’insieme dei diritti derivanti al singolo dal diritto dell’Unione e della salvaguardia dei valori comuni agli Stati membri enunciati all’articolo 2 TUE, segnatamente, del valore dello Stato di diritto.

49

L’Unione è, infatti, un’Unione di diritto in cui i singoli hanno il diritto di contestare in sede giurisdizionale la legittimità di ogni decisione o di qualsiasi altro provvedimento nazionale relativo all’applicazione di un atto dell’Unione nei loro confronti (sentenza del 27 febbraio


2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C-64/16, EU:C:2018:117, punto 31 e giurisprudenza citata). 50

Conformemente all’articolo 19 TUE, che concretizza il valore dello Stato di diritto affermato all’articolo 2 TUE, compete ai giudici nazionali e alla Corte garantire la piena applicazione del diritto dell’Unione in tutti gli Stati membri nonché la tutela giurisdizionale dei diritti spettanti ai soggetti dell’ordinamento in forza di detto diritto (v., in tal senso, sentenze del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C-64/16, EU:C:2018:117, punto 32 e giurisprudenza citata, nonché del 6 marzo 2018, Achmea, C-284/16, EU:C:2018:158, punto 36 e giurisprudenza citata).

51

L’esistenza stessa di un controllo giurisdizionale effettivo destinato ad assicurare il rispetto del diritto dell’Unione è intrinseca ad uno Stato di diritto (sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C-64/16, EU:C:2018:117, punto 36 e giurisprudenza citata).

52

Ne consegue che ogni Stato membro deve garantire che gli organi rientranti, in quanto «giurisdizione», nel senso definito dal diritto dell’Unione, nel suo sistema di rimedi giurisdizionali nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione soddisfino i requisiti di una tutela giurisdizionale effettiva (sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C-64/16, EU:C:2018:117, punto 37).

53

Orbene, affinché sia garantita tale tutela, è di primaria importanza preservare l’indipendenza di detti organi, come confermato dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, che menziona l’accesso a un giudice «indipendente» tra i requisiti connessi al diritto fondamentale a un ricorso effettivo (sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C-64/16, EU:C:2018:117, punto 41).

54

L’indipendenza dei giudici nazionali è essenziale, in particolare, per il buon funzionamento del sistema di cooperazione giudiziaria costituito dal meccanismo del rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 267 TFUE, in quanto, conformemente alla costante giurisprudenza della Corte, tale meccanismo può essere attivato unicamente da un organo, incaricato di applicare il diritto dell’Unione, che soddisfi, segnatamente, tale criterio di indipendenza (sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C-64/16, EU:C:2018:117, punto 43).

55

Nei limiti in cui, come rilevato al punto 40 della presente sentenza, la decisione quadro 2002/584 è volta a instaurare un sistema semplificato di consegna tra «autorità giudiziarie» per assicurare la libera circolazione delle decisioni giudiziarie in materia penale nello spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, la salvaguardia dell’indipendenza di tali autorità è essenziale anche nell’ambito del meccanismo del mandato d’arresto europeo.

56

La decisione quadro 2002/584 si basa infatti sul principio secondo cui le decisioni in materia di mandato d’arresto europeo beneficiano di tutte le garanzie proprie delle decisioni giudiziarie, in particolare di quelle risultanti dai diritti fondamentali e dai principi giuridici fondamentali di cui all’articolo 1, paragrafo 3, di detta decisione quadro. Ciò comporta che


non soltanto la decisione relativa all’esecuzione del mandato d’arresto europeo ma anche quella concernente l’emissione di un siffatto mandato siano adottate da un’autorità giudiziaria che soddisfi i requisiti inerenti a una tutela giurisdizionale effettiva – tra cui la garanzia di indipendenza – in modo che l’intera procedura di consegna tra Stati membri prevista dalla decisione quadro 2002/584 sia esercitata sotto controllo giudiziario (v., in tal senso, sentenza del 10 novembre 2016, Kovalkovas, C-477/16 PPU, EU:C:2016:861, punto 37 e giurisprudenza citata). 57

Per di più, occorre osservare che, nell’ambito dell’esercizio dell’azione penale o dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza privative della libertà, o ancora nel contesto del procedimento penale di merito, i quali non rientrano nell’ambito di applicazione della decisione quadro 2002/584 e del diritto dell’Unione, gli Stati membri restano soggetti all’obbligo di rispettare i diritti fondamentali sanciti dalla CEDU o dal loro diritto nazionale, compresi il diritto a un equo processo e le garanzie che ne derivano (v., in tal senso, sentenza del 30 maggio 2013, F, C-168/13 PPU, EU:C:2013:358, punto 48).

58

L’alto grado di fiducia tra gli Stati membri su cui poggia il meccanismo del mandato d’arresto europeo si fonda, dunque, sulla premessa secondo cui i giudici penali degli altri Stati membri, che, a seguito dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo, dovranno esercitare l’azione penale o condurre il procedimento di esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, nonché il procedimento penale di merito, soddisfano i requisiti di una tutela giurisdizionale effettiva, tra cui figurano, segnatamente, l’indipendenza e l’imparzialità di detti giudici.

59

Occorre, quindi, considerare che l’esistenza di un rischio reale che la persona oggetto di un mandato d’arresto europeo subisca, in caso di consegna all’autorità giudiziaria emittente, una violazione del suo diritto fondamentale a un giudice indipendente e, pertanto, del contenuto essenziale del suo diritto fondamentale a un equo processo, garantito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, autorizza l’autorità giudiziaria dell’esecuzione ad astenersi, a titolo eccezionale, dal dare seguito a tale mandato d’arresto europeo, in base all’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584.

60

Pertanto, qualora, come nel procedimento principale, la persona oggetto di un mandato d’arresto europeo faccia valere, per opporsi alla propria consegna all’autorità giudiziaria emittente, l’esistenza di carenze sistemiche o, quanto meno, generalizzate che, a suo avviso, sono idonee a incidere sull’indipendenza del potere giudiziario nello Stato membro emittente e a pregiudicare così il contenuto essenziale del suo diritto fondamentale a un equo processo, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è tenuta a valutare, quando deve decidere in merito alla consegna dell’interessato alle autorità di detto Stato membro, l’esistenza di un rischio reale che egli subisca una violazione di tale diritto fondamentale (v., per analogia, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 88).

61

A tal fine, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, in una prima fase, deve valutare, in base a elementi oggettivi, attendibili, precisi e debitamente aggiornati riguardanti il funzionamento del sistema giudiziario nello Stato membro emittente (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile


2016, Aranyosi et Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 89), l’esistenza di un rischio reale di violazione del diritto fondamentale a un equo processo, connesso a una mancanza di indipendenza dei giudici di detto Stato membro, a causa di carenze sistemiche o generalizzate in quest’ultimo Stato. Le informazioni contenute in una proposta motivata recentemente rivolta dalla Commissione al Consiglio in base all’articolo 7, paragrafo 1, TUE costituiscono elementi di particolare rilevanza ai fini di tale valutazione. 62

Una siffatta valutazione deve essere effettuata tenendo conto del livello di tutela del diritto fondamentale garantito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta (v., per analogia, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 88 e giurisprudenza citata).

63

A tal riguardo, quanto al requisito d’indipendenza dei giudici, che attiene al contenuto essenziale di tale diritto, si deve rammentare che tale requisito è intrinseco alla funzione giurisdizionale e implica due aspetti. Il primo aspetto, di carattere esterno, presuppone che l’organo interessato eserciti le sue funzioni in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo gerarchico o di subordinazione nei confronti di alcuno e senza ricevere ordini o istruzioni da alcuna fonte, con la conseguenza di essere quindi tutelato dagli interventi o dalle pressioni esterne idonei a compromettere l’indipendenza del giudizio dei suoi membri e a influenzare le loro decisioni (v., in tal senso, sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C-64/16, EU:C:2018:117, punto 44 e giurisprudenza citata).

64

Tale indispensabile libertà da siffatti elementi esterni richiede talune garanzie idonee a tutelare le persone che svolgono la funzione giurisdizionale, come l’inamovibilità (sentenza del 19 settembre 2006, Wilson, C-506/04, EU:C:2006:587, punto 51 e giurisprudenza citata). Il fatto che queste ultime percepiscano una retribuzione di livello adeguato all’importanza delle funzioni che esercitano costituisce parimenti una garanzia inerente all’indipendenza dei giudici (sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C-64/16, EU:C:2018:117, punto 45).

65

Il secondo aspetto, di carattere interno, si ricollega alla nozione di imparzialità e riguarda l’equidistanza dalle parti della controversia e dai loro rispettivi interessi riguardo all’oggetto di quest’ultima. Tale aspetto richiede il rispetto dell’oggettività e l’assenza di qualsiasi interesse nella soluzione della controversia all’infuori della stretta applicazione della norma giuridica (sentenza del 19 settembre 2006, Wilson, C-506/04, EU:C:2006:587, punto 52 e giurisprudenza citata).

66

Tali garanzie di indipendenza e di imparzialità presuppongono l’esistenza di regole, relative in particolare alla composizione dell’organo, alla nomina, alla durata delle funzioni nonché alle cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all’impermeabilità di detto organo rispetto a elementi esterni e alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti. Per considerare soddisfatta la condizione relativa all’indipendenza dell’organo interessato, la giurisprudenza esige, in particolare, che i casi di revoca dei membri di tale organo siano determinati da espresse disposizioni di legge (sentenza del 9 ottobre 2014, TDC, C-222/13,


EU:C:2014:2265, punto 32 e giurisprudenza citata). 67

Il requisito di indipendenza richiede inoltre che il regime disciplinare di coloro che hanno una funzione giurisdizionale presenti le garanzie necessarie per evitare qualsiasi rischio di utilizzo di un siffatto regime come sistema di controllo politico del contenuto delle decisioni giudiziarie. A tal riguardo, l’emanazione di norme che definiscono, segnatamente, sia i comportamenti che integrano illeciti disciplinari sia le sanzioni concretamente applicabili, che prevedono l’intervento di un organo indipendente conformemente a una procedura che garantisca appieno i diritti consacrati agli articoli 47 e 48 della Carta, in particolare i diritti della difesa, e che sanciscono la possibilità di contestare in sede giurisdizionale le decisioni degli organi disciplinari costituisce un insieme di garanzie essenziali ai fini della salvaguardia dell’indipendenza del potere giudiziario.

68

Se, alla luce dei requisiti richiamati ai punti da 62 a 67 della presente sentenza, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione accerta che esiste, nello Stato membro emittente, un rischio reale di violazione del contenuto essenziale del diritto fondamentale a un equo processo a causa di carenze sistemiche o generalizzate riguardanti il potere giudiziario di tale Stato membro, tali da compromettere l’indipendenza dei giudici di detto Stato, tale autorità deve, in un secondo momento, valutare, in modo concreto e preciso, se, nelle circostanze del caso di specie, esistano motivi seri e comprovati per ritenere che, in seguito alla sua consegna allo Stato membro emittente, il ricercato corra tale rischio (v., per analogia, nell’ambito dell’articolo 4 della Carta, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 92 e 94).

69

Tale valutazione concreta è altresì necessaria quando, come nel caso di specie, da un lato, lo Stato membro emittente è stato oggetto di una proposta motivata della Commissione, adottata ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, diretta ad ottenere che il Consiglio constati l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave da parte di detto Stato membro dei valori di cui all’articolo 2 TUE, quali quello dello Stato di diritto, a causa, in particolare, di attentati all’indipendenza dei giudici nazionali e, dall’altro, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione ritiene, in particolare sulla base di una siffatta proposta, di disporre di elementi idonei a dimostrare l’esistenza di carenze sistemiche, in relazione a tali valori, sul piano del potere giudiziario di tale Stato membro.

70

Emerge infatti dal considerando 10 della decisione quadro 2002/584 che l’attuazione del meccanismo del mandato d’arresto europeo può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all’articolo 2 TUE, constatata dal Consiglio europeo in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, TUE, con le conseguenze previste al paragrafo 3 dello stesso articolo.

71

Risulta, dunque, dalla formulazione stessa di detto considerando che spetta al Consiglio europeo constatare una violazione, nello Stato membro emittente, dei principi sanciti all’articolo 2 TUE, tra cui quello dello Stato di diritto, ai fini della sospensione, nei confronti dello Stato membro, dell’applicazione del meccanismo del mandato d’arresto europeo.

72

Pertanto, soltanto in presenza di una decisione del Consiglio europeo che constati, alle


condizioni di cui all’articolo 7, paragrafo 2, TUE, una violazione grave e persistente nello Stato membro emittente dei principi sanciti all’articolo 2 TUE, come quelli inerenti allo Stato di diritto, seguita dalla sospensione da parte del Consiglio dell’applicazione della decisione quadro 2002/584 nei confronti di tale Stato membro, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione sarebbe tenuta a rifiutare automaticamente l’esecuzione di ogni mandato d’arresto europeo emesso da detto Stato membro, senza dover svolgere alcuna valutazione concreta del rischio reale, corso dall’interessato, di lesione del contenuto essenziale del suo diritto fondamentale a un equo processo. 73

Pertanto, fintantoché una siffatta decisione non sia adottata dal Consiglio europeo, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può astenersi, sulla base dell’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584, dal dare seguito a un mandato d’arresto europeo emesso da uno Stato membro che sia stato oggetto di una proposta motivata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, soltanto in circostanze eccezionali in cui detta autorità accerti, in esito una valutazione concreta e precisa del caso di specie, che vi sono motivi seri e comprovati per ritenere che la persona oggetto di tale mandato d’arresto europeo corra, a seguito della sua consegna all’autorità giudiziaria emittente, un rischio reale di violazione del suo diritto fondamentale a un giudice indipendente e, pertanto, del contenuto essenziale del suo diritto fondamentale a un equo processo.

74

Nell’ambito di una tale valutazione, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve, segnatamente, esaminare in quale misura le carenze sistemiche o generalizzate riguardanti l’indipendenza dei giudici dello Stato membro emittente, attestate dagli elementi a sua disposizione, siano idonee ad avere un impatto a livello dei giudici di tale Stato membro competenti a conoscere dei procedimenti cui sarà sottoposto il ricercato.

75

Se da tale esame risulta che dette carenze sono idonee a incidere su tali giudici, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve ancora valutare, alla luce delle specifiche preoccupazioni espresse dalla persona interessata e delle informazioni eventualmente fornite da quest’ultima, se esistano motivi seri e comprovati per ritenere che detta persona corra un rischio reale di violazione del suo diritto fondamentale a un giudice indipendente e, pertanto, del contenuto essenziale del suo diritto fondamentale a un equo processo, tenuto conto della sua situazione personale nonché della natura del reato per cui è perseguita e delle circostanze di fatto poste alla base del mandato d’arresto europeo.

76

Inoltre, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve chiedere all’autorità giudiziaria emittente, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584, ogni informazione complementare che reputi necessaria per la valutazione dell’esistenza di un siffatto rischio.

77

Nell’ambito di un tale dialogo tra l’autorità giudiziaria dell’esecuzione e l’autorità giudiziaria emittente, quest’ultima può, se del caso, fornire all’autorità giudiziaria dell’esecuzione qualsiasi elemento oggettivo, in merito alle eventuali modifiche riguardanti le condizioni di tutela nello Stato membro emittente della garanzia di indipendenza giudiziaria, che sia idoneo ad escludere l’esistenza di tale rischio per la persona interessata.

78

Nel caso in cui le informazioni che l’autorità giudiziaria emittente, dopo avere richiesto, ove


necessario, l’assistenza dell’autorità centrale o di una delle autorità centrali dello Stato membro emittente, ai sensi dell’articolo 7 della decisione quadro 2002/584 (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 97), ha comunicato all’autorità giudiziaria dell’esecuzione non inducano quest’ultima a escludere l’esistenza di un rischio reale che la persona interessata subisca, in detto Stato membro, una violazione del suo diritto fondamentale a un giudice indipendente e, quindi, del contenuto essenziale del suo diritto fondamentale a un equo processo, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve astenersi dal dare seguito al mandato d’arresto europeo di cui è oggetto tale persona. 79

Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584 deve essere interpretato nel senso che, qualora l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, chiamata a decidere sulla consegna di una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale, disponga di elementi, come quelli contenuti in una proposta motivata della Commissione adottata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, idonei a dimostrare l’esistenza di un rischio reale di violazione del diritto fondamentale a un equo processo garantito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, a causa di carenze sistemiche o generalizzate riguardanti l’indipendenza del potere giudiziario dello Stato membro emittente, detta autorità deve verificare in modo concreto e preciso se, alla luce della situazione personale di tale persona, nonché della natura del reato per cui è perseguita e delle circostanze di fatto poste alla base del mandato d’arresto europeo, e tenuto conto delle informazioni fornite dallo Stato membro emittente, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, di tale decisione quadro, vi siano motivi seri e comprovati di ritenere che, in caso di consegna a quest’ultimo Stato, detta persona corra un siffatto rischio.

Sulle spese 80

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: L’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, deve essere interpretato nel senso che, qualora l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, chiamata a decidere sulla consegna di una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale, disponga di elementi, come quelli contenuti in una proposta motivata della Commissione europea, adottata a norma dell’articolo 7,


paragrafo 1, TUE, idonei a dimostrare l’esistenza di un rischio reale di violazione del diritto fondamentale a un equo processo garantito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a causa di carenze sistemiche o generalizzate riguardanti l’indipendenza del potere giudiziario dello Stato membro emittente, detta autorità deve verificare in modo concreto e preciso se, alla luce della situazione personale di tale persona, nonché della natura del reato per cui è perseguita e delle circostanze di fatto poste alla base del mandato d’arresto europeo, e tenuto conto delle informazioni fornite dallo Stato membro emittente, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584, come modificata, vi siano motivi seri e comprovati di ritenere che, in caso di consegna a quest’ultimo Stato, detta persona corra un siffatto rischio. Firme

*

Lingua processuale: l’inglese.

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE EVGENI TANCHEV

presentate il 28 giugno 2018 (1)

Causa C-216/18 PPU

Minister for Justice and Equality contro LM (Carenze del sistema giudiziario)

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court (Alta Corte, Irlanda)]

«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Decisione quadro 2002/584/GAI – Mandato d’arresto europeo – Motivi di rifiuto dell’esecuzione – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 47 – Diritto a un equo processo – Stato di diritto – Articolo 7 TUE – Proposta motivata della Commissione che invita il Consiglio a constatare l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave, da parte della Repubblica di Polonia, di un valore di cui all’articolo 2 TUE»


Indice

I. Introduzione II. Contesto normativo A. Diritto dell’Unione 1. La Carta 2. Trattato sull’Unione europea 3. Decisione quadro B. Diritto irlandese III. Fatti e procedimento principale IV. Analisi A. Sulla ricevibilità B. Nel merito 1. Osservazioni preliminari 2. Sulla prima questione pregiudiziale a) Se un rischio concreto di violazione non già dell’articolo 4 della Carta, bensì dell’articolo 47, secondo comma, della stessa debba portare al rinvio dell’esecuzione del mandato d’arresto europeo b) Se qualsiasi violazione dell’articolo 47, secondo comma, della Carta, a prescindere dalla sua gravità, debba portare al rinvio dell’esecuzione del mandato d’arresto europeo 1) Introduzione 2) Necessità di un flagrante diniego di giustizia 3) Sussistenza di un flagrante diniego di giustizia alla luce dell’indipendenza dei giudici c) Se l’autorità giudiziaria di esecuzione debba constatare che la persona interessata rischia di subire un flagrante diniego di giustizia 1) Introduzione e osservazioni delle parti 2) Necessità di un esame individuale 3) Come dimostrare che la persona interessata corre un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia nello Stato membro emittente? 3. Sulla seconda questione pregiudiziale V. Conclusione


I.

Introduzione

1. Il presente rinvio pregiudiziale si inserisce nel contesto dell’evoluzione e delle riforme del sistema giudiziario polacco (2) che hanno indotto la Commissione europea ad adottare, il 20 dicembre 2017, una proposta motivata che invita il Consiglio dell’Unione europea a constatare, sulla base dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave, da parte della Repubblica di Polonia, di uno dei valori comuni agli Stati membri di cui all’articolo 2 TUE, vale a dire lo Stato di diritto (3) (in prosieguo: la «proposta motivata della Commissione»). 2. La procedura prevista dall’articolo 7 TUE, se portata a termine – vale a dire alla constatazione, da parte del Consiglio europeo, di una violazione grave e persistente, da parte di uno Stato membro, dei valori di cui all’articolo 2 TUE –, consente la sospensione di alcuni dei diritti attribuiti a tale Stato membro dai Trattati. Una siffatta procedura non è mai stata avviata, né tanto meno portata a termine. La proposta motivata della Commissione costituisce il primo tentativo in tal senso e, ad oggi, il Consiglio non ha adottato la decisione sollecitata da tale proposta.

3. Nella causa in esame, L. M., convenuto nel procedimento principale, è oggetto di tre mandati d’arresto emessi da giudici polacchi sulla base della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (4), come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009 (5) (in prosieguo: la «decisione quadro»). Egli afferma che, a causa delle riforme del sistema giudiziario polacco quali analizzate nella proposta motivata della Commissione, egli corre un rischio concreto di non beneficiare, in tale Stato membro, di un equo processo e sostiene che tale rischio osta alla sua consegna, da parte del giudice del rinvio, alle autorità giudiziarie polacche. 4. Orbene, in virtù del principio del riconoscimento reciproco, gli Stati membri sono tenuti ad eseguire ogni mandato d’arresto europeo (6). L’autorità giudiziaria di esecuzione può rifiutarsi di eseguire un siffatto mandato soltanto nei casi, tassativamente elencati, di non esecuzione obbligatoria, previsti dall’articolo 3 della decisione quadro, o di non esecuzione facoltativa, previsti dagli articoli 4 e 4 bis della decisione quadro (7).


5. Tuttavia, nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 98), la Corte ha dichiarato che, qualora l’autorità giudiziaria di esecuzione accerti che sussiste, rispetto alla persona oggetto del mandato d’arresto europeo, un rischio concreto di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), l’esecuzione di tale mandato deve essere rinviata. Per giungere a tale conclusione, la Corte si è basata, da una parte, sul parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014 (EU:C:2014:2454, punto 191), in cui essa ha ammesso che, «in circostanze eccezionali», possono essere apportate limitazioni ai principi di riconoscimento e di fiducia reciproci e, dall’altra, sull’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro, secondo il quale quest’ultima non può avere l’effetto di modificare «l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali» quali sanciti segnatamente dalla Carta (8). 6. Tuttavia, la Corte ha avuto cura, in detta sentenza Aranyosi e Căldăraru, di inquadrare il rinvio dell’esecuzione del mandato d’arresto europeo esigendo che l’autorità giudiziaria di esecuzione effettui un esame in due fasi.

7. In un primo tempo, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve accertare la sussistenza di un rischio concreto di trattamenti inumani o degradanti nello Stato membro emittente a causa «di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati centri di detenzione» (9). Al fine di accertare la sussistenza di tali carenze, essa deve fondarsi su «elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato membro emittente», in particolare su «decisioni giudiziarie internazionali, quali le sentenze della Corte [europea dei diritti dell’uomo], (…) decisioni giudiziarie dello Stato membro emittente, nonché (…) decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d’Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite» (10). 8. In un secondo tempo, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve assicurarsi che sussistano motivi gravi e comprovati di ritenere che l’interessato dal mandato d’arresto europeo corra il rischio stabilito sulla base degli elementi descritti al paragrafo precedente. Infatti, «[l]a mera sussistenza di (…) carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati centri di detenzione (…) non comporta necessariamente che, in un caso concreto,


l’interessato venga sottoposto a un trattamento inumano o degradante in caso di consegna» (11). L’autorità giudiziaria di esecuzione deve quindi, sulla base dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, richiedere all’autorità giudiziaria emittente informazioni complementari sulle condizioni di detenzione dell’interessato. Se, sulla base di tali informazioni, l’autorità giudiziaria di esecuzione ritiene che l’interessato non corra un rischio concreto di trattamento inumano o degradante, essa deve eseguire il mandato d’arresto europeo. Se, invece, essa constata, sulla base di dette informazioni, che l’interessato corre un siffatto rischio, essa deve rinviare l’esecuzione di tale mandato. 9. Nella causa in esame, il diritto fondamentale alla cui violazione il ricercato teme di essere esposto nello Stato membro emittente non è il divieto di trattamenti umani o degradanti in questione nella predetta sentenza Aranyosi e Căldăraru, bensì, come si è detto, il diritto a un equo processo. Alla Corte viene chiesto, in particolare, se la seconda fase dell’esame definito in detta sentenza Aranyosi e Căldăraru sia applicabile ad una situazione del genere. In altri termini, si chiede alla Corte se, affinché l’autorità giudiziaria di esecuzione sia tenuta a rinviare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo, essa debba accertare, da una parte, la sussistenza di carenze del sistema giudiziario polacco che costituiscono un rischio concreto di violazione del diritto a un equo processo e, dall’altra, che l’interessato sia esposto ad un siffatto rischio, o se sia sufficiente che essa accerti la sussistenza di carenze del sistema giudiziario polacco, senza doversi assicurare che l’interessato vi sia esposto.

10. La questione è importante, poiché il giudice del rinvio afferma di ritenere, sulla base della proposta motivata della Commissione e di due pareri (12) della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (in prosieguo: la «Commissione di Venezia»), che tali carenze siano constatate.

II.

Contesto normativo

A.

Diritto dell’Unione

1.

La Carta

11. L’articolo 47 della Carta, intitolato «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale», prevede quanto segue: «Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.


Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia». 2. 12.

Trattato sull’Unione europea A termini dell’articolo 2 TUE:

«L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini». 13.

L’articolo 7 TUE così dispone:

«1. Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura. Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi. 2. Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni. 3. Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche. Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dai trattati. 4. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può successivamente decidere di modificare o revocare le misure adottate a norma del paragrafo 3, per rispondere ai


cambiamenti nella situazione che ha portato alla loro imposizione. 5. Le modalità di voto che, ai fini del presente articolo, si applicano al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sono stabilite nell’articolo 354 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea». 3. 14.

Decisione quadro Il considerando 10 della decisione quadro prevede quanto segue:

«Il meccanismo del mandato d’arresto europeo si basa su un elevato livello di fiducia tra gli Stati membri. L’attuazione di tale meccanismo può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all’articolo 6, paragrafo 1, del trattato sull’Unione europea, constatata dal Consiglio in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, dello stesso trattato, e con le conseguenze previste al paragrafo 2 dello stesso articolo». 15. A termini dell’articolo 1 della decisione quadro, intitolato «Definizione del mandato d’arresto europeo ed obbligo di darne esecuzione»: «1. Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà. 2. Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro. 3. L’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 del trattato sull’Unione europea non può essere modificat[o] per effetto della presente decisione quadro». B.

Diritto irlandese

16. La legge del 2003 relativa al mandato di arresto europeo, che ha trasposto la decisione quadro (13), all’articolo 37, paragrafo 1, prevede quanto segue: «Nessuno sarà consegnato in base alla presente legge ove: a)

la sua consegna sia incompatibile con gli obblighi gravanti sullo Stato in forza: i)

della Convenzione [europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà] o

ii)

dei protocolli della Convenzione [europea per la salvaguardia dei diritti


dell’uomo e delle libertà], b)

la sua consegna integri una violazione di una disposizione della Costituzione (…)».

III. Fatti e procedimento principale 17. L. M., cittadino polacco, è oggetto di tre mandati d’arresto europei emessi dalla Repubblica di Polonia.

18. Il primo mandato d’arresto europeo è stato emesso (14), il 4 giugno 2012, dal Sąd Okręgowy w Poznaniu (Tribunale regionale di Poznań, Polonia) ai fini dell’esercizio di un’azione penale nei confronti di L. M. per due reati qualificati, rispettivamente, come «produzione e lavorazione illecite, contrabbando o traffico di sostanze stupefacenti, precursori, surrogati o sostanze psicotrope» e «partecipazione a un gruppo o a un’associazione criminale al fine di commettere reati». Secondo tale mandato d’arresto, tra il 2002 e la primavera 2006, L. M. avrebbe partecipato, a Poznań e a Włocławek, a un’organizzazione criminale finalizzata, in particolare, al traffico di grosse quantità di stupefacenti. Egli avrebbe venduto, durante tale periodo, almeno 50 kg di anfetamine per un valore di almeno 225 000 złoty polacchi (PLN), 200 000 pasticche di ecstasy per un valore di almeno PLN 290 000 e almeno 3,5 kg di marijuana per un valore di almeno PLN 47 950. 19. Il secondo mandato d’arresto europeo è stato emesso (15), il 1o febbraio 2012, dal Sąd Okręgowy w Warszawie (Tribunale regionale di Varsavia, Polonia) ai fini dell’esercizio di un’azione penale nei confronti di L. M. per due reati, qualificati entrambi come «traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope». Secondo tale mandato d’arresto, L. M. avrebbe consegnato in Olanda, durante l’estate 2007, almeno 6 kg di marijuana e, in seguito, almeno 5 kg di marijuana. Una lettera dell’autorità giudiziaria emittente precisa che la marijuana consegnata da L. M. agli altri membri dell’organizzazione criminale di cui egli faceva parte gli è stata in seguito venduta affinché la distribuisse in Polonia. 20. Il terzo mandato d’arresto europeo è stato emesso (16), il 26 settembre 2013, dal Sąd Okręgowy w Włocławku (Tribunale regionale di Wrocławek, Polonia), ai fini dell’esercizio di un’azione penale nei confronti di L. M. per un reato qualificato come «produzione e lavorazione illecite, contrabbando o traffico di sostanze stupefacenti, precursori, surrogati o sostanze psicotrope».


Secondo tale mandato d’arresto, L. M. avrebbe, tra il luglio 2006 e il novembre 2007, partecipato al traffico, a Włocławek, di almeno 30 kg di anfetamine per un valore di PLN 150 000, di 55 000 pasticche di ecstasy per un valore di almeno PLN 81 000 e di almeno 7,5 kg di marijuana per un valore di PLN 105 250. 21. L. M. è stato arrestato in Irlanda il 5 maggio 2017. Egli non ha acconsentito alla propria consegna alle autorità polacche, sostenendo segnatamente che, a causa delle recenti riforme legislative del sistema giudiziario polacco e del pubblico ministero, egli corre un rischio concreto di subire un flagrante diniego di giustizia in Polonia, in violazione dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). 22. Dopo alcuni ritardi dovuti, secondo il giudice del rinvio, a difficoltà connesse al patrocinio a spese dello Stato, alla sostituzione dell’avvocato e ad istanze di rinvio al fine di produrre nuovi elementi di prova e di fornire ulteriori informazioni sulle riforme legislative polacche, la High Court (Alta Corte, Irlanda) ha tenuto un’udienza il 1o e il 2 febbraio 2018. Con sentenza del 12 marzo 2018, la High Court (Alta Corte) ha deciso che era necessario interrogare la Corte sull’interpretazione della decisione quadro e ha invitato le parti del procedimento principale a presentare osservazioni sulle questioni che essa intendeva sottoporre alla Corte. 23. Il 23 marzo 2018 la High Court (Alta Corte) ha giudicato, sulla base della proposta motivata della Commissione e dei pareri della Commissione di Venezia, che le riforme legislative adottate dalla Repubblica di Polonia negli ultimi due anni, considerate nel loro insieme, violano il valore comune dello Stato di diritto di cui all’articolo 2 TUE. Essa ne ha tratto la conclusione che sussiste un rischio concreto che il convenuto nel procedimento principale non benefici di un equo processo in Polonia, poiché l’indipendenza dell’autorità giudiziaria non vi è più garantita e la conformità alla Costituzione polacca non vi è più assicurata. 24. La High Court (Alta Corte) si chiede se la seconda fase dell’esame definito dalla Corte nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198), sia applicabile qualora nello Stato membro emittente sussistano carenze del sistema giudiziario tali da costituire una violazione dello Stato di diritto. La High Court (Alta Corte) ritiene che la seconda fase di tale esame non sia applicabile. Infatti, in una siffatta ipotesi, sarebbe irrealistico esigere che l’interessato dimostri che tali carenze incidano sul procedimento di cui egli è oggetto. 25. Inoltre, la High Court (Alta Corte) considera che, a causa del carattere sistemico delle carenze di cui trattasi, l’autorità giudiziaria emittente non possa fornire alcuna garanzia individuale idonea ad escludere il rischio corso dall’interessato. Sarebbe irrealistico esigere garanzie quanto alle persone del procuratore e dei membri del collegio giudicante, compresi i giudici d’appello, o quanto al rispetto delle decisioni della Corte costituzionale che


dichiarino l’incostituzionalità di una disposizione che può incidere sul procedimento in questione. 26. La High Court (Alta Corte) ha quindi sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1)

Se, nonostante le conclusioni cui è pervenuta la Corte di giustizia nella sentenza Aranyosi e Căldăraru, quando un giudice nazionale accerta l’esistenza di prove concludenti attestanti l’incompatibilità delle condizioni nello Stato membro emittente con il diritto fondamentale a un equo processo, poiché il sistema giudiziario stesso di detto Stato membro non opera più in un contesto di Stato di diritto, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione sia tenuta a compiere ulteriori valutazioni, in modo concreto e preciso, in merito all’esposizione del singolo interessato al rischio di un processo iniquo nel caso in cui il suo processo si svolga all’interno di un sistema che non opera più in un contesto di Stato di diritto.

2)

Se, qualora il criterio che deve essere applicato imponga una valutazione specifica del rischio concreto per la persona ricercata di essere esposta a un flagrante diniego di giustizia e il giudice nazionale abbia accertato la sussistenza di una violazione sistemica dello Stato di diritto, il giudice nazionale, quale autorità giudiziaria dell’esecuzione, sia tenuto a rivolgersi all’autorità giudiziaria emittente per ottenere qualsiasi ulteriore informazione necessaria che possa consentirgli di escludere la sussistenza del rischio di un processo iniquo e, in caso affermativo, quali garanzie sarebbero necessarie con riferimento a un processo equo».

27. Il 12 aprile 2018, la Corte ha deciso di trattare il rinvio pregiudiziale con procedimento d’urgenza, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte. 28. La Corte ha inoltre deciso di invitare la Repubblica di Polonia a fornire per iscritto qualsiasi precisazione utile riguardo alla presente causa, a norma dell’articolo 109, paragrafo 3, del suo regolamento di procedura. 29. Le questioni pregiudiziali sono state oggetto di osservazioni scritte da parte del ricorrente, del convenuto nel procedimento principale, della Commissione e, sulla base dell’articolo 109, paragrafo 3, del regolamento di procedura della Corte, della Repubblica di Polonia. Tali parti, nonché il Regno di Spagna, l’Ungheria e il Regno dei Paesi Bassi, sono stati sentiti all’udienza del 1o giugno 2018.

IV.

Analisi

A.

Sulla ricevibilità

30. Il governo polacco sostiene che la questione è ipotetica, poiché non vi è alcuna ragione che giustifichi, sulla base del diritto a un equo processo, il rifiuto di eseguire i


mandati d’arresto europei di cui trattasi. Benché esso non sostenga espressamente l’irricevibilità del rinvio pregiudiziale, ne deduce tuttavia che la Corte non debba rispondere alle questioni sollevate dal giudice del rinvio. Il governo ungherese afferma, dal canto suo, che il rinvio pregiudiziale è irricevibile poiché la questione è ipotetica.

31. Secondo costante giurisprudenza, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale godono di una presunzione di rilevanza. Il rigetto, da parte della Corte, di una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (17). 32. A tale riguardo, sia dal dettato sia dal sistema dell’articolo 267 TFUE emerge che il procedimento pregiudiziale presuppone l’effettiva pendenza dinanzi ai giudici nazionali di una controversia, nell’ambito della quale essi dovranno emettere una pronuncia che possa tener conto della sentenza pregiudiziale. Infatti, la ragion d’essere del rinvio pregiudiziale non consiste nella formulazione di pareri a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche, bensì nella necessità di dirimere concretamente una controversia (18). 33. Nel caso di specie, si chiede alla Corte se sia sufficiente, affinché l’autorità giudiziaria di esecuzione sia tenuta a rinviare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo, che essa accerti la sussistenza di un rischio concreto di violazione del diritto a un equo processo a causa di carenze del sistema giudiziario dello Stato membro emittente, o se essa debba anche assicurarsi del fatto che la persona ricercata sia esposta ad un siffatto rischio. Si chiede inoltre alla Corte quali informazioni e garanzie l’autorità giudiziaria di esecuzione debba, se del caso, ottenere dall’autorità giudiziaria emittente al fine di escludere tale rischio. Orbene, L. M. è oggetto di tre mandati d’arresto europei emessi da giudici polacchi e il giudice del rinvio afferma di ritenere che le carenze da cui è affetto il sistema giudiziario polacco siano tali da compromettere lo Stato di diritto. Di conseguenza, la consegna di L. M. all’autorità giudiziaria emittente dipende dalla risposta fornita dalla Corte alle questioni pregiudiziali. Pertanto, le questioni non possono essere considerate ipotetiche. 34. Ritengo dunque che la domanda di pronuncia pregiudiziale debba essere dichiarata ricevibile. B.

Nel merito

1.

Osservazioni preliminari


35. Sottolineo che non spetta alla Corte pronunciarsi sulla sussistenza di un rischio concreto di violazione del diritto a un equo processo a causa di carenze del sistema giudiziario polacco, vale a dire sulla prima fase dell’esame definito nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198). Spetta all’autorità giudiziaria di esecuzione pronunciarsi sulla sussistenza di un siffatto rischio. Infatti, secondo il punto 88 di tale sentenza, l’autorità giudiziaria di esecuzione è tenuta, quando dispone di elementi che attestano un rischio concreto di trattamento inumano o degradante nello Stato membro emittente, a valutare la sussistenza di tale rischio.

36. Alla Corte spetterebbe di pronunciarsi sulla conformità della legislazione polacca al diritto dell’Unione, in particolare alle disposizioni della Carta, soltanto nell’ambito di un ricorso per inadempimento (19). Tuttavia, nell’ambito di un siffatto ricorso, la Corte accerterebbe, se del caso, la violazione di una norma di diritto dell’Unione, non il rischio di violazione di una tale norma. 37. Preciso inoltre che non può ritenersi che, fintantoché il Consiglio non abbia adottato una decisione constatante, sulla base dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, la sussistenza di un evidente rischio di violazione grave, da parte della Repubblica di Polonia, dello Stato di diritto, l’autorità giudiziaria di esecuzione non possa effettuare la valutazione descritta al paragrafo 35 delle presenti conclusioni. 38. Infatti, in primo luogo, la valutazione che sarà eventualmente effettuata dal Consiglio nell’ambito dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE non ha lo stesso oggetto di quella effettuata dall’autorità giudiziaria di esecuzione nell’ambito della prima fase dell’esame definito nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198). Nell’ambito dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, il Consiglio valuta se sussista un evidente rischio di violazione grave dei valori di cui all’articolo 2 TUE, vale a dire la dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo Stato di diritto e i diritti umani. Invece, in detta sentenza Aranyosi e Căldăraru, l’esame dell’autorità giudiziaria di esecuzione verteva sulla sussistenza di un rischio concreto di violazione non già di un valore comune agli Stati membri, bensì di un diritto fondamentale, vale a dire il divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti.

39. Nella causa in esame, il giudice del rinvio chiede alla Corte se sia sufficiente, affinché quest’ultimo sia tenuto a rinviare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo, che esso constati «l’incompatibilità delle condizioni nello Stato membro emittente con il diritto fondamentale a un equo processo, poiché il sistema giudiziario stesso di detto Stato membro non opera più in un contesto di Stato di diritto» (20). La Corte è interpellata, quindi, sulle conseguenze della violazione del diritto a un equo processo, non su quelle della violazione del valore dello Stato di diritto.


40. È pur vero che, nel caso di specie, ad indurre la Commissione ad adottare la propria proposta motivata sono state preoccupazioni riguardanti l’indipendenza dei giudici e la separazione dei poteri, quindi il diritto a un equo processo (21). Ciò non toglie che possa sussistere un rischio di violazione del diritto a un equo processo nello Stato membro emittente anche se quest’ultimo non viola lo Stato di diritto. Pertanto, a mio avviso, non si può negare che le due valutazioni condotte, rispettivamente, dal Consiglio e dall’autorità giudiziaria di esecuzione, quali descritte al precedente paragrafo 38, non abbiano lo stesso oggetto. 41. In secondo luogo, la constatazione, da parte del Consiglio, della sussistenza di un evidente rischio di violazione grave dei valori di cui all’articolo 2 TUE non ha le stesse conseguenze della constatazione, da parte dell’autorità giudiziaria di esecuzione, della sussistenza di un rischio concreto di violazione di un diritto fondamentale. 42. Infatti, la constatazione, da parte del Consiglio, della sussistenza di un evidente rischio di violazione grave, da parte di uno Stato membro, dei valori di cui all’articolo 2 TUE ha la sola conseguenza di consentire, se del caso, al Consiglio europeo di constatare, sulla base dell’articolo 7, paragrafo 2, TUE, la sussistenza di una violazione grave e persistente di tali valori. È quindi sulla base della constatazione di una violazione, e non di un semplice rischio di violazione, che il Consiglio può, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, TUE, sospendere alcuni dei diritti derivanti dall’applicazione del Trattato UE e del Trattato FUE allo Stato membro interessato. Esso può, in particolare, sospendere l’applicazione della decisione quadro nei confronti di tale Stato membro, come prevede il considerando 10 di quest’ultima.

43. Per contro, l’accertamento della sussistenza di un mero rischio concreto di violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti obbliga l’autorità giudiziaria di esecuzione a rinviare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo. Quest’ultima può, tuttavia, sospendere soltanto l’esecuzione del mandato d’arresto europeo di cui trattasi (22). 44. Condivido pertanto l’opinione del governo dei Paesi Bassi, il quale ha sostenuto, all’udienza, che la procedura prevista dall’articolo 7 TUE ha tutt’altra funzione rispetto all’esame effettuato dall’autorità giudiziaria di esecuzione in applicazione della sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198). La prima consente all’Unione di intervenire in caso di violazione grave e persistente, da parte di uno Stato membro, dei valori su cui si fonda l’Unione. Il secondo consente all’autorità giudiziaria di esecuzione di tutelare i diritti fondamentali della persona oggetto di un mandato d’arresto europeo.

45. In terzo luogo, rilevo che l’articolo 7, paragrafo 1, TUE non prevede il termine entro il quale il Consiglio, che abbia ricevuto una proposta motivata,


deve adottare una decisione che constata l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave dei valori di cui all’articolo 2 TUE. Esso non prevede neppure che il Consiglio, qualora ritenga insussistente un siffatto rischio, adotti una decisione in tal senso. Pertanto, considerare che, fintantoché il Consiglio non abbia adottato una decisione sulla base dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, l’autorità giudiziaria di esecuzione non possa valutare l’eventuale sussistenza di un rischio concreto di violazione di un diritto fondamentale nello Stato membro emittente equivarrebbe ad impedire a tale autorità, per un periodo quanto meno indeterminato, di rinviare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo. Rilevo che, nel caso di specie, la proposta motivata della Commissione è stata adottata il 20 dicembre 2017 e che, ad oggi, il Consiglio non ha adottato alcuna decisione sulla base dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE (23). 2.

Sulla prima questione pregiudiziale

46. Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte se la seconda fase dell’esame definito nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198) sia applicabile qualora lo Stato membro emittente violi il «diritto fondamentale a un equo processo». Orbene, benché la questione stessa non indichi su quale testo sia fondato il diritto a un equo processo, la motivazione della domanda di pronuncia pregiudiziale fanno riferimento all’articolo 6 della CEDU.

47. A tale riguardo, osservo che, sebbene, come precisa l’articolo 6, paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU facciano parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali, e sebbene, come prevede l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, i diritti contenuti in quest’ultima corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU abbiano lo stesso significato e la stessa portata di quelli conferiti dalla suddetta convenzione, rimane il fatto che quest’ultima non costituisce, fintantoché l’Unione non vi abbia aderito, uno strumento giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione (24). 48. Orbene, dalle spiegazioni relative alla Carta (25) risulta che l’articolo 47, secondo comma, di quest’ultima corrisponde all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, relativo al diritto a un equo processo. 49. Pertanto, occorre fare riferimento unicamente all’articolo 47, secondo comma, della Carta (26). 50. Si chiede quindi alla Corte se sia sufficiente, affinché l’autorità giudiziaria di esecuzione sia tenuta a rinviare l’esecuzione di un mandato


d’arresto europeo, che essa accerti la sussistenza di un rischio concreto (27) di violazione del diritto a un equo processo enunciato all’articolo 47, secondo comma, della Carta a causa di carenze del sistema giudiziario dello Stato membro emittente, o se essa debba anche assicurarsi del fatto che la persona interessata da tale mandato sarà esposta a tale rischio. 51. Al fine di rispondere a tale questione, mi chiederò, anzitutto, se un rischio concreto di violazione non già dell’articolo 4 della Carta, in questione nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198), bensì dell’articolo 47, secondo comma, del medesimo testo, possa portare al rinvio dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo. Poiché ritengo che la risposta sia affermativa, esaminerò poi se per portare al rinvio dell’esecuzione di un tale mandato basti qualsiasi violazione del diritto a un equo processo o sia necessaria una violazione di particolare gravità, come un flagrante diniego di giustizia. Infine, esaminerò l’applicabilità della seconda fase dell’esame definito in detta sentenza Aranyosi e Căldăraru all’ipotesi in cui sussista un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia a causa di carenze del sistema giudiziario dello Stato membro emittente (poiché, a mio avviso, il criterio pertinente è quello di un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia). Preciso fin d’ora che la seconda fase di tale esame è, a mio parere, applicabile ad una siffatta ipotesi. a) Se un rischio concreto di violazione non già dell’articolo 4 della Carta, bensì dell’articolo 47, secondo comma, della stessa debba portare al rinvio dell’esecuzione del mandato d’arresto europeo

52. Il Minister for Justice and Equality (Ministro della Giustizia e delle Pari opportunità, Irlanda) (in prosieguo: il «Ministro»), il governo dei Paesi Bassi, il governo polacco (28) e la Commissione ritengono che un rischio di violazione dell’articolo 47, secondo comma, della Carta possa dar luogo ad un obbligo di rinviare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo. L. M. nonché il giudice del rinvio e, sembra, il governo spagnolo danno per scontato tale punto (29). 53.

Considerata la sua importanza, ritengo necessario esaminare detto punto.

54. A questo proposito, osservo che il principio del riconoscimento reciproco, che costituisce il «fondamento» della cooperazione giudiziaria in materia penale (30), si basa a sua volta sul principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri. Come ha dichiarato la Corte nel parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, (EU:C:2014:2454, punti 191 e 192), il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri impone a ciascuno di tali Stati, segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, di ritenere, tranne «in circostanze eccezionali», che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti


fondamentali riconosciuti da quest’ultimo. Pertanto, agli Stati membri è preclusa, tranne «in circostanze eccezionali», la possibilità di verificare se un altro Stato membro abbia effettivamente rispettato, in un caso concreto, i diritti fondamentali garantiti dal diritto dell’Unione. 55. Come ho già fatto presente (31), è sulla possibilità di ammettere, «in circostanze eccezionali», limitazioni ai principi di riconoscimento e di fiducia reciproci, nonché sull’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro, che si è basata la Corte per definire, nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198), un obbligo di rinviare l’esecuzione del mandato d’arresto europeo. Tali limitazioni dimostrano che la fiducia reciproca non è una fiducia cieca (32). 56. Orbene, limitazioni al principio di riconoscimento reciproco sono state ammesse, finora, soltanto riguardo al diritto sancito dall’articolo 4 della Carta, per quanto concerne sia l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo sia il trasferimento, sulla base del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (33), di un richiedente asilo verso lo Stato membro competente per il trattamento della sua domanda (34). 57. Osservo, a tale riguardo, che, mentre il divieto di trattamenti inumani o degradanti previsto dall’articolo 4 della Carta ha un carattere assoluto (35), lo stesso non può dirsi del diritto a un equo processo enunciato dall’articolo 47 della stessa. Quest’ultimo, infatti, può essere soggetto a limitazioni (36). 58. Tuttavia, a mio avviso, da ciò non può dedursi che un rischio di violazione dell’articolo 47 della Carta non possa portare al rinvio dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo. Questa è anche l’opinione dell’avvocato generale Sharpston (37). 59. Infatti, in primo luogo, nulla, nel testo dell’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro indica che gli Stati membri, quando attuano quest’ultima, siano tenuti a rispettare soltanto i diritti fondamentali che non ammettono limitazioni, quale l’articolo 4 della Carta.

60. In secondo luogo, rammento che la decisione quadro ha istituito un sistema di consegna tra autorità giudiziarie, che ha sostituito l’estradizione tra Stati membri, la quale comportava l’intervento e la valutazione del potere politico (38). 61. Orbene, soltanto una decisione emessa al termine di un procedimento giudiziario che soddisfi i requisiti dell’articolo 47, secondo comma, della Carta può, a mio avviso,


beneficiare del reciproco riconoscimento ai sensi della decisione quadro.

62. A tale riguardo, rilevo che, nella sentenza del 9 marzo 2017, Pula Parking (C-551/15, EU:C:2017:193, punto 54), che riguardava, è pur vero, non l’interpretazione della decisione quadro, bensì quella del regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio (39), la Corte ha dichiarato che «il rispetto del principio della fiducia reciproca nell’amministrazione della giustizia negli Stati membri dell’Unione sotteso all’applicazione [del regolamento Bruxelles I bis] presuppone, in particolare, che le decisioni delle quali è richiesta l’esecuzione in uno Stato membro diverso da quello di origine siano state emesse nell’ambito di un procedimento giudiziario che offre garanzie di indipendenza e di imparzialità nonché il rispetto del principio del contraddittorio» (40). 63. Analogamente, mi sembra che il riconoscimento reciproco dei mandati d’arresto europei presupponga che le pene per la cui esecuzione essi sono stati emessi siano state pronunciate al termine di un procedimento giudiziario che soddisfa, in particolare, i requisiti di indipendenza e di imparzialità di cui all’articolo 47, secondo comma, della Carta. Per quanto riguarda i mandati d’arresto europei emessi ai fini di un’azione penale, essi devono rispettare, a mio avviso, il medesimo requisito di quelli emessi ai fini dell’esecuzione di una pena. La loro esecuzione presuppone, infatti, che l’azione penale sarà esercitata, nello Stato membro emittente, dinanzi ad un’autorità giudiziaria indipendente e imparziale.

64. È questa, d’altronde, la posizione dell’avvocato generale Bobek, secondo il quale «per poter partecipare al sistema europeo di riconoscimento reciproco (in qualsiasi settore del diritto: penale, civile e amministrativo), i giudici nazionali devono soddisfare tutti i criteri che definiscono un’“autorità giurisdizionale” nel diritto dell’Unione, ivi compresa la sua indipendenza». L’avvocato generale Bobek ne deduce che, qualora «i giudici penali di uno Stato membro non [potessero] più garantire il diritto ad un processo equo», «l’applicazione del principio della fiducia reciproca non sarebbe più opportuna» e il «riconoscimento reciproco automatico» sarebbe quindi escluso (41). 65. Di conseguenza, ove vi sia un rischio concreto che il procedimento condotto nello Stato membro emittente non soddisfi i requisiti dell’articolo 47, secondo comma, della Carta, la premessa su cui è basato l’obbligo di eseguire ogni mandato d’arresto europeo, previsto dall’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro, verrebbe meno. Il rischio di violazione, nello Stato membro emittente, dell’articolo 47, secondo comma, della Carta può quindi impedire


l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo (42). 66. In terzo luogo, la Corte europea dei diritti dell’uomo vieta agli Stati contraenti di espellere una persona qualora quest’ultima corra, nel paese di destinazione, un rischio concreto di essere sottoposta non soltanto a trattamenti contrari all’articolo 3 della CEDU (43) o alla pena di morte (44), in violazione dell’articolo 2 della CEDU e dell’articolo 1 del Protocollo n. 13 della CEDU (45), ma anche ad un flagrante diniego di giustizia, in violazione dell’articolo 6 della CEDU (46). 67. Ritengo, pertanto, che un rischio di violazione dell’articolo 47, secondo comma, della Carta possa dar luogo ad un obbligo di rinviare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo. 68. Tuttavia, tenuto conto del carattere eccezionale delle circostanze nelle quali, secondo il parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014 (EU:C:2014:2454, punto 191), sono ammesse limitazioni al principio del riconoscimento reciproco, occorre chiedersi se l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo debba essere rinviata qualora sussista un rischio concreto di violazione dell’articolo 47, secondo comma, della Carta, o se essa debba essere rinviata soltanto laddove sussista un rischio concreto di violazione particolarmente grave di tale disposizione. b) Se qualsiasi violazione dell’articolo 47, secondo comma, della Carta, a prescindere dalla sua gravità, debba portare al rinvio dell’esecuzione del mandato d’arresto europeo 1)

Introduzione

69. Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che, nel diritto irlandese, l’autorità giudiziaria di esecuzione è tenuta a non procedere alla consegna qualora sussista un rischio concreto che l’interessato sia esposto, nello Stato membro emittente, ad un flagrante diniego di giustizia (47). 70. La giurisprudenza irlandese è conforme a quella della Corte europea dei diritti dell’uomo. Infatti, nella sentenza Soering c. Regno Unito, quest’ultima ha dichiarato che una decisione di estradizione «[può] in via eccezionale sollevare una questione ai sensi dell’articolo 6 [della CEDU] in circostanze in cui la persona in fuga abbia subito o rischi di subire una flagrante negazione del diritto ad un equo processo» (48). 71. Sebbene il giudice del rinvio non chieda alla Corte se l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo debba essere rinviata qualora sussista un rischio concreto di violazione dell’articolo 47, secondo comma, della Carta, o se essa debba esserlo soltanto laddove sussista un rischio concreto di violazione particolarmente grave di tale disposizione, quale un


flagrante diniego di giustizia, ritengo necessario esaminare tale questione. Infatti, detta questione deriva da quella esaminata ai paragrafi da 52 a 68 delle presenti conclusioni. Inoltre, la seconda questione pregiudiziale fa espresso riferimento al rischio concreto di flagrante diniego di giustizia. 2)

Necessità di un flagrante diniego di giustizia

72. Ritengo che non sia sufficiente, affinché l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo debba essere rinviata, che sussista un rischio concreto di violazione, nello Stato membro emittente, dell’articolo 47, secondo comma, della Carta. È necessario che sussista un rischio concreto di diniego di giustizia flagrante.

73. Infatti, in primo luogo, secondo costante giurisprudenza, le limitazioni all’applicazione del principio della fiducia reciproca sono soggette a un’interpretazione restrittiva (49). 74. Per quanto riguarda la decisione quadro, ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 2, le autorità giudiziarie di esecuzione sono tenute ad eseguire ogni mandato d’arresto europeo. Esse possono rifiutarne l’esecuzione soltanto per i motivi tassativamente elencati agli articoli 3, 4 e 4 bis di detta decisione quadro. Di conseguenza, mentre l’esecuzione del mandato d’arresto europeo costituisce il principio, il rifiuto di esecuzione di tale mandato è concepito come un’eccezione che dev’essere, in quanto tale, oggetto di interpretazione restrittiva (50). 75. In secondo luogo, come ho già osservato (51), il diritto a un equo processo può essere soggetto a limitazioni, purché queste ultime, in particolare, rispettino il contenuto essenziale di tale diritto, come prevede l’articolo 52, paragrafo 1, della Carta. 76. Pertanto, mi sembra che l’autorità giudiziaria di esecuzione sia tenuta a rinviare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo soltanto qualora sussista un rischio concreto di violazione non già del diritto a un equo processo, bensì del contenuto essenziale di tale diritto. 77. In altri termini, nel caso di un diritto a carattere assoluto come il divieto di trattamenti inumani o degradanti, sarebbe sufficiente, affinché l’esecuzione debba essere rinviata, la sussistenza di un rischio concreto di violazione di tale diritto. Invece, nel caso di un diritto privo di carattere assoluto come il diritto a un equo processo, l’esecuzione dovrebbe essere rinviata soltanto se il rischio concreto di violazione riguardi il contenuto essenziale di tale diritto. 78. In terzo luogo, una tale posizione corrisponde a quella adottata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.


79. Infatti, come ho già osservato (52), la Corte europea dei diritti dell’uomo considera che, affinché uno Stato contraente sia tenuto a non espellere o estradare una persona, quest’ultima deve rischiare di subire, nello Stato richiedente, non già una semplice violazione dell’articolo 6 della CEDU, bensì una «flagrante negazione del diritto ad un equo processo» (53). Per quanto riguarda il diritto ad un equo processo, detta Corte non si accontenta, quindi, come fa per il divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti, di un semplice rischio concreto di «trattamento contrario all’articolo 3 della CEDU» (54). 80. In che cosa consiste, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, un flagrante diniego di giustizia?

81. Secondo detta Corte, «il flagrante diniego di giustizia va oltre semplici irregolarità o assenze di garanzia al processo tali da costituire una violazione dell’articolo 6 [della CEDU] se si verificassero nello Stato contraente stesso. Occorre che vi sia una violazione del principio di equità del processo sancito dall’articolo 6 [della CEDU] che sia talmente grave da comportare l’annullamento o addirittura la negazione totale dell’essenza stessa del diritto protetto da tale articolo» (55). 82. Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, possono quindi costituire un flagrante diniego di giustizia che impedisce l’estradizione o l’espulsione dell’interessato: una condanna in contumacia senza possibilità di ottenere un riesame nel merito dell’accusa (56); un processo di natura sommaria e svolto nel totale disprezzo dei diritti della difesa (57); una detenzione di cui non sia possibile far esaminare la regolarità da un giudice indipendente e imparziale; un rifiuto deliberato e sistematico di consentire ad un individuo, in particolare a un individuo detenuto in un paese straniero, di comunicare con un avvocato (58). Detta Corte attribuisce importanza, inoltre, al fatto che un civile debba comparire dinanzi a un tribunale composto, anche se solo in parte, da militari, i quali dipendono dal potere esecutivo (59). 83. Per quanto mi risulta, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato soltanto in quattro occasioni che un’estradizione o un’espulsione avrebbe comportato una violazione dell’articolo 6 della CEDU. Si tratta della sentenza Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito, nella quale il flagrante diniego di giustizia consisteva nell’ammissione di elementi di prova ottenuti con la tortura; della sentenza Husayn c. Polonia, nella quale il flagrante diniego di


giustizia consisteva, in particolare, nel mantenimento in detenzione del ricorrente nella base militare americana di Guantánamo per dodici anni senza che il medesimo fosse stato accusato; della sentenza Al Nashiri c. Polonia, emessa lo stesso giorno della sentenza Husayn c. Polonia e sulla quale desidero soffermarmi; e della recente sentenza Al Nashiri c. Romania (60). 84. Nella sentenza Al Nashiri c. Polonia (61), il ricorrente, cittadino saudita, era stato catturato negli Emirati arabi uniti e trasferito in un centro di detenzione segreto in Polonia e successivamente nella base militare americana di Guantánamo. Egli veniva processato dinanzi ad una commissione militare situata nella base di Guantánamo per aver organizzato un attentato suicida contro una nave da guerra americana e partecipato ad un attentato contro una petroliera francese. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato la sussistenza di un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia sulla base di tre elementi. In primo luogo, la commissione militare in questione non era né indipendente né imparziale e non poteva pertanto essere considerata un «tribunale» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU. Essa era stata istituita per giudicare «determinati cittadini stranieri nella guerra contro il terrorismo», non faceva parte del sistema giudiziario federale degli Stati Uniti ed era composta esclusivamente da militari. In secondo luogo, la Corte europea dei diritti dell’uomo si basa su una sentenza della US Supreme Court (Corte Suprema degli Stati Uniti) (62) per giudicare che tale commissione non è un tribunale «costituito per legge» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU. In terzo luogo, sussisteva, secondo la medesima Corte, una forte probabilità che contro il ricorrente fossero utilizzati elementi di prova ottenuti con la tortura (63). 85. Propongo di adottare il criterio utilizzato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e di considerare che l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo deve essere rinviata soltanto in presenza di un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia nello Stato membro emittente. 3)

Sussistenza di un flagrante diniego di giustizia alla luce dell’indipendenza dei giudici

86. Nel caso di specie, il giudice del rinvio considera che sussiste un rischio concreto che L. M. subisca, nello Stato membro emittente, un flagrante diniego di giustizia a causa, in particolare, della mancanza di indipendenza dei giudici di tale Stato membro. 87. Può ritenersi che la mancanza di indipendenza dei giudici dello Stato membro emittente costituisca un flagrante diniego di giustizia?


88. Rammento, a tale riguardo, che l’articolo 47, secondo comma, della Carta prevede che ogni persona abbia diritto a che la sua causa sia esaminata da un giudice indipendente e imparziale.

89. Secondo una giurisprudenza costante, la nozione di indipendenza implica due aspetti. Il primo aspetto, avente carattere esterno, presuppone che l’organo sia tutelato da interventi o pressioni dall’esterno idonei a mettere a repentaglio l’indipendenza di giudizio dei suoi membri per quanto riguarda le controversie loro sottoposte. Il secondo aspetto, avente carattere interno, si ricollega alla nozione di imparzialità e riguarda l’equidistanza dalle parti della controversia e dai loro rispettivi interessi concernenti l’oggetto di quest’ultima. Questo aspetto impone il rispetto dell’obiettività e l’assenza di qualsivoglia interesse nella soluzione da dare alla controversia all’infuori della stretta applicazione della norma giuridica (64). Tali garanzie di indipendenza e di imparzialità implicano l’esistenza di disposizioni, relative in particolare alla composizione dell’organo, alla nomina, alla durata delle funzioni, nonché alle cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all’impermeabilità di detto organo rispetto a elementi esterni e alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti (65). 90. Non può escludersi, a mio avviso, che la mancanza di indipendenza dei giudici dello Stato membro emittente possa, in linea di principio, costituire un flagrante diniego di giustizia.

91. Infatti, da una parte, la Corte ha dichiarato, nella sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses (C-64/16, EU:C:2018:117, punti 41 e 42), che «preservare l’indipendenza [dei giudici nazionali] è di primaria importanza» e che «[l]a garanzia di indipendenza [è] intrinseca alla funzione giurisdizionale» (66). In particolare, l’esistenza di garanzie in materia di composizione del tribunale rappresenta la pietra angolare del diritto a un equo processo (67). 92. Dall’altra, nelle sentenze Al Nashiri c. Polonia e Al Nashiri c. Romania (68), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato la sussistenza di un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia con la motivazione, in particolare, che la commissione militare istituita nella base di Guantánamo non era né indipendente né imparziale e non poteva pertanto essere considerata un «tribunale» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU (69).


93. Tuttavia, sottolineo che la mancanza di indipendenza e di imparzialità di un tribunale può essere ritenuta costitutiva di un flagrante diniego di giustizia soltanto se essa sia talmente grave da annientare l’equità del processo. Orbene, come ha osservato la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito, vi è una differenza radicale tra l’ammissione di elementi di prova ottenuti con la tortura, in questione in tale sentenza, e violazioni dell’articolo 6 della CEDU dovute, ad esempio, alla composizione del collegio giudicante (70). 94. Soprattutto, occorre ancora insistere sul fatto che le sentenze Al Nashiri c. Polonia e Al Nashiri c. Romania (71), che sono, ad oggi, le uniche in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia constatato una violazione dell’articolo 6 della CEDU a causa, in particolare, della mancanza di indipendenza e di imparzialità dei giudici del paese di destinazione, riguardavano giudici straordinari, competenti in materia di terrorismo e composti esclusivamente da militari. 95. Spetta al giudice del rinvio determinare, sulla base di tali considerazioni, se, nel caso di specie, l’asserita mancanza di indipendenza dei giudici polacchi sia talmente grave da annientare l’equità del processo e da costituire, pertanto, un flagrante diniego di giustizia. Come ha osservato la Corte nella sentenza Aranyosi et Căldăraru, esso deve, a tal fine, fondarsi su elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati sulle condizioni esistenti nello Stato membro emittente, che comprovino la presenza di carenze che inficiano il sistema giudiziario polacco (72). A tale riguardo, possono essere presi in considerazione la proposta motivata della Commissione nonché i pareri della Commissione di Venezia, a condizione che – come preciserò in seguito – il giudice del rinvio si informi sulle eventuali evoluzioni della situazione in Polonia che siano successive a tali documenti. 96. Supponendo che l’autorità giudiziaria di esecuzione constati la sussistenza di un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia a causa delle carenze del sistema giudiziario dello Stato membro emittente, essa è tenuta, sulla base di questa sola constatazione, a rinviare l’esecuzione del mandato d’arresto europeo? O deve piuttosto proseguire l’esame e constatare che la persona interessata da tale mandato è esposta ad un siffatto rischio? È a questa domanda che proverò adesso a rispondere. c) Se l’autorità giudiziaria di esecuzione debba constatare che la persona interessata rischia di subire un flagrante diniego di giustizia 1)

Introduzione e osservazioni delle parti


97. Nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti da 91 a 93), la Corte ha dichiarato, come si è detto, che l’autorità giudiziaria di esecuzione è tenuta a rinviare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo soltanto se essa constati, da una parte, la sussistenza, nello Stato membro emittente, di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante a causa delle condizioni generali di detenzione in tale Stato membro e, dall’altra, che la persona interessata sarà esposta a tale rischio (73). Infatti, secondo la Corte, la sussistenza di carenze del sistema carcerario, anche generalizzate, non riguarda necessariamente tutti i centri di detenzione. Dalla mera constatazione della sussistenza di carenze del sistema carcerario non può quindi dedursi che la persona interessata sarà sottoposta ad un trattamento inumano o degradante. 98. Il giudice del rinvio ritiene che, in un’ipotesi in cui le carenze del sistema giudiziario dello Stato membro emittente siano particolarmente gravi, vale a dire in cui tale Stato membro non rispetti più lo Stato di diritto, esso debba rifiutare la consegna senza dover verificare se la persona interessata sarà esposta ad un rischio del genere (74). 99. Il Ministro sostiene che la seconda fase dell’esame definito in detta sentenza Aranyosi e Căldăraru è applicabile. Se essa non lo fosse, ciò comporterebbe un rifiuto sistematico, da parte delle autorità giudiziarie irlandesi, di eseguire i mandati d’arresto europei emessi dalla Repubblica di Polonia. Esso sottolinea, in particolare, che un siffatto rifiuto sistematico non sarebbe conforme né al considerando 10 della decisione quadro, né al principio – di valore costituzionale – della fiducia reciproca, né al principio di uguaglianza tra Stati membri sancito dall’articolo 4 TUE. 100. L. M. sostiene che la seconda fase dell’esame definito in detta sentenza Aranyosi e Căldăraru non può essere applicata ad una situazione in cui la fiducia che gli Stati membri ripongono nel rispetto, da parte della Repubblica di Polonia, del più fondamentale dei valori, vale a dire lo Stato di diritto, è stata puramente e semplicemente annientata. 101. Il governo spagnolo ritiene che la seconda fase dell’esame definito in detta sentenza Aranyosi e Căldăraru sia applicabile. Il governo ungherese considera che la constatazione della sussistenza di carenze del sistema giudiziario polacco può essere effettuata soltanto nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 7 TUE e che la prima fase dell’esame definito nella medesima sentenza non è pertanto soddisfatta. Anche se lo fosse, la seconda fase di tale esame sarebbe, secondo il governo ungherese, applicabile. Il governo dei Paesi Bassi sostiene che tale seconda fase è applicabile. 102. Secondo il governo polacco, non sussiste né un rischio di violazione dello Stato di diritto in Polonia, né un rischio di violazione del diritto della persona interessata, L. M., a un


equo processo. Da una parte, il giudice del rinvio non può basarsi sulla proposta motivata della Commissione per constatare la violazione dello Stato di diritto in Polonia, poiché, in particolare, la legislazione polacca è stata modificata dopo l’adozione di tale proposta motivata. Il giudice del rinvio non sarebbe competente a constatare la violazione dello Stato di diritto da parte della Repubblica di Polonia, poiché tale competenza spetta, nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 7 TUE, al Consiglio europeo. Il giudice del rinvio non sarebbe competente neanche a sospendere l’applicazione della decisione quadro, poiché tale competenza spetta al Consiglio, ai sensi del considerando 10 della decisione quadro. Dall’altra, il giudice del rinvio non avrebbe accertato che L. M. sarebbe personalmente esposto a un rischio concreto di violazione del diritto a un equo processo. Invero, tale giudice non sarebbe stato in grado, in particolare, di indicare anche soltanto ragioni ipotetiche per le quali L. M. sarebbe esposto al rischio di non beneficiare di un equo processo. 103. La Commissione sostiene che la seconda fase dell’esame definito nella summenzionata sentenza Aranyosi e Căldăraru è applicabile. La circostanza che uno Stato membro sia stato oggetto di una proposta motivata ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE non comporterebbe che la consegna di una persona a tale Stato membro esponga automaticamente quest’ultima ad un rischio concreto di violazione del diritto a un equo processo. Infatti, non si può escludere che, in talune situazioni, i giudici di tale Stato membro siano in grado di trattare una causa con l’indipendenza richiesta dall’articolo 47, secondo comma, della Carta. Di conseguenza, si imporrebbe un esame caso per caso. Per svolgere tale esame individuale, l’autorità giudiziaria di esecuzione dovrebbe tenere conto sia dell’identità della persona interessata (in particolare, se si tratti di un oppositore politico o se appartenga ad una minoranza sociale o etnica oggetto di discriminazioni) sia della natura e delle circostanze del reato per il quale essa è ricercata (in particolare, se tale reato sia di natura politica, se sia stato commesso nell’esercizio della libertà di espressione o di associazione, o sia stato oggetto di dichiarazioni pubbliche da parte di rappresentanti del governo). Infine, il giudice del rinvio dovrebbe tenere conto della situazione dei magistrati che si avvicinano all’età della pensione (il cui mantenimento in servizio dopo tale età dipende da una decisione discrezionale del potere esecutivo) o delle norme relative all’avanzamento di carriera dei magistrati. 2)

Necessità di un esame individuale

104. Ritengo che l’autorità giudiziaria di esecuzione sia tenuta a rinviare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo solo qualora essa constati non soltanto che sussiste un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia a causa di carenze che inficiano il sistema giudiziario dello Stato membro emittente, ma anche che la persona interessata sarà esposta a tale rischio. 105. Infatti, in primo luogo, rilevo che, secondo il parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014 (EU:C:2014:2454, punto 192), la verifica eccezionale, da parte degli Stati membri, del rispetto dei diritti fondamentali da parte di un altro Stato membro può vertere soltanto sul rispetto di tali diritti «in un caso concreto».


106. Ritenere che l’autorità giudiziaria di esecuzione sia tenuta a rinviare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo senza verificare che la persona interessata sia esposta al rischio di flagrante diniego di giustizia che essa reputa costituito dalle carenze del sistema giudiziario sarebbe, a mio avviso, incompatibile con il considerando 10 della decisione quadro, secondo il quale «[l]’attuazione [del meccanismo del mandato d’arresto europeo] può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all’articolo 6, paragrafo 1, [TUE], constatata dal Consiglio in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, [TUE]». Tale considerando 10 vieta agli Stati membri di sospendere l’applicazione della decisione quadro nei confronti di uno Stato membro, a meno che il Consiglio europeo abbia adottato, nei confronti di tale Stato membro, una decisione sulla base di quello che è oggi l’articolo 7, paragrafo 2, TUE (75). Esso non vieta, invece, ad uno Stato membro di sospendere l’applicazione della decisione quadro «in un caso concreto», vale a dire di rinviare l’esecuzione di uno specifico mandato d’arresto europeo. Sottolineo, del resto, che, nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198), un rinvio del genere è stato ammesso dalla Corte in assenza di una siffatta decisione del Consiglio europeo. 107. Inoltre, poiché la sospensione riguarda l’esecuzione della decisione quadro «in un caso concreto», non vi sarebbe violazione dell’uguaglianza tra Stati membri sancita dall’articolo 4, paragrafo 2, TUE.

108. In secondo luogo, anche supponendo che vi sia, in Polonia, un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia a causa delle recenti riforme del sistema giudiziario (76), non se ne può dedurre che nessun giudice polacco sia in grado di trattare una causa, qualunque essa sia, nel rispetto dell’articolo 47, secondo comma, della Carta. Condivido pienamente l’argomento della Commissione secondo cui, «anche qualora si accerti che lo Stato di diritto nello Stato membro emittente è gravemente minacciato (…), non si può escludere l’esistenza di situazioni nelle quali la capacità dei giudici di tenere un processo con l’indipendenza necessaria a garantire il rispetto del diritto fondamentale sancito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta è preservata». 109. In terzo luogo, la Corte europea dei diritti dell’uomo, al fine di determinare se sussista un rischio concreto di trattamenti contrari all’articolo 3 della CEDU, «esamin[a] le conseguenze prevedibili del rinvio del ricorrente nel paese di destinazione, tenuto conto della situazione generale in quest’ultimo e


delle particolari circostanze della situazione dell’interessato» (77). Secondo detta Corte, il fatto che sussista un problema generale di rispetto dei diritti dell’uomo in un determinato paese non dimostra, di per sé, che il rinvio dell’interessato in tale paese sia contrario all’articolo 3 della CEDU (78). Analogamente, al fine di verificare se sussista un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia, essa tiene conto, in pratica, non solo della situazione nel paese di destinazione, ma anche delle circostanze particolari dell’interessato (79). 110. Ad esempio, per quanto riguarda l’articolo 3 della CEDU, nella sentenza Mo. M. c. Francia, la Corte europea dei diritti dell’uomo giudica che un rinvio del ricorrente in Ciad, da cui egli era fuggito dopo essere stato arrestato dai servizi segreti ciadiani e torturato, comporterebbe una violazione dell’articolo 3 della CEDU. Essa si basa sulle relazioni delle organizzazioni non governative locali e degli osservatori istituzionali, da cui risulta che la situazione generale in Ciad è caratterizzata dall’esistenza di prigioni militari gestite dai servizi segreti. Detta Corte esamina quindi la situazione personale del ricorrente. Essa rileva, a tale riguardo, da una parte, che alcuni certificati medici attestano che egli è già stato torturato in Ciad e, dall’altra, che egli correrebbe il rischio di essere torturato nuovamente qualora vi fosse rinviato, poiché egli milita, in Francia, in un partito di opposizione e sembra essere oggetto di un ordine di comparizione emesso dalle autorità ciadiane tre anni dopo la sua partenza dal Ciad (80). 111. Nella sentenza M. G. c. Bulgaria, la Corte europea dei diritti dell’uomo conclude che il ricorrente, che le autorità russe ricercano per condurlo dinanzi ai giudici penali di Inguscezia, una delle repubbliche del Caucaso settentrionale, per sospetta appartenenza alla guerriglia cecena, correrebbe un rischio serio e comprovato di essere torturato qualora fosse estradato in Russia. Detta Corte esamina, in un primo tempo, la situazione generale nel Caucaso settentrionale e constata che tale regione continua ad essere una zona di conflitto armato, caratterizzata, in particolare, da esecuzioni extragiudiziali, dalla tortura e da altri trattamenti inumani o degradanti. In un secondo tempo, essa esamina la situazione personale del ricorrente e osserva che egli è sottoposto a procedimento penale, in particolare, per partecipazione a un gruppo armato, preparazione di atti di terrorismo, traffico di armi e droga, che i servizi segreti russi hanno sequestrato una grossa quantità di armi presso il suo domicilio e che egli è sospettato dalle autorità russe di appartenenza a un


gruppo armato jihadista. Essa ne trae la conclusione che egli sarebbe particolarmente esposto al rischio di essere torturato qualora fosse detenuto in un istituto del Caucaso settentrionale (81). 112. Per quanto riguarda l’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, nella sentenza Ahorugeze c. Svezia, la Corte europea dei diritti dell’uomo giudica che l’estradizione del ricorrente, un cittadino ruandese di etnia hutu, in Ruanda, in cui egli deve essere giudicato per genocidio e crimini contro l’umanità, non lo esporrebbe ad un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia. Infatti, detta Corte considera, sulla base di sentenze del Tribunale penale internazionale per il Ruanda e di informazioni fornite da inquirenti olandesi e da agenti di polizia norvegesi, che non è dimostrato che i giudici ruandesi non siano indipendenti o imparziali. Inoltre, essa esamina la situazione personale del ricorrente. Essa ritiene che né la circostanza che egli abbia testimoniato per la difesa dinanzi al Tribunale penale internazionale per il Ruanda, né il fatto che egli abbia diretto l’autorità ruandese dell’aviazione civile, né la sua condanna per distruzione della proprietà altrui, durante il genocidio del 1994, lo espongano ad un flagrante diniego di giustizia (82). 3) Come dimostrare che la persona interessata corre un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia nello Stato membro emittente? 113. Ritengo che, come sostiene la Commissione, per dimostrare che la persona interessata sia esposta al rischio di flagrante diniego di giustizia, occorra accertare la sussistenza di circostanze particolari, relative o a tale persona o al reato per il quale essa è perseguita o è stata condannata, che la espongano ad un siffatto rischio. In tal senso, la Commissione propone, in particolare, di verificare se la persona oggetto del mandato d’arresto europeo sia un oppositore politico o appartenga ad un gruppo sociale o etnico che è stato oggetto di discriminazioni. La Commissione propone inoltre di esaminare, in particolare, se il reato per il quale la persona interessata è perseguita sia di natura politica o se il governo in carica abbia rilasciato dichiarazioni pubbliche riguardanti tale reato o la sua sanzione. A mio avviso, tali proposte devono essere adottate. 114. A tale riguardo, rilevo che la seconda frase del considerando 12 della decisione quadro prevede espressamente la possibilità di rifiutare la consegna di una persona qualora sussistano elementi oggettivi per ritenere che il mandato d’arresto europeo di cui essa è oggetto sia stato emesso al fine di perseguirla penalmente o punirla a causa, in particolare, delle sue opinioni politiche.

115. Per quanto riguarda l’onere della prova, occorre, a mio avviso, esigere che la persona interessata dimostri la sussistenza di motivi gravi e comprovati di ritenere che esista un rischio concreto che essa subisca un flagrante diniego di


giustizia nello Stato membro emittente. Detta posizione corrisponde a quella della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ritiene, inoltre, che, una volta fornita tale prova, spetti allo Stato interessato dissipare ogni dubbio a tale riguardo (83). 116. Nel caso di specie, L. M. sostiene di correre un rischio concreto di subire un flagrante diniego di giustizia in Polonia poiché lo Stato di diritto, «la cui essenza consiste nel diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo, che a sua volta può essere garantito soltanto dall’esistenza di un sistema giudiziario indipendente», non vi è più rispettato (84). 117. Spetta al giudice del rinvio valutare se tali affermazioni dimostrino che L. M. sarebbe, in caso di consegna all’autorità giudiziaria emittente, esposto al rischio concreto di flagrante diniego di giustizia a causa delle carenze del sistema giudiziario polacco, ammesso che un siffatto rischio sia accertato. 118. Tuttavia, osservo che L. M. non indica mai in che modo le recenti riforme del sistema giudiziario polacco pregiudicherebbero la sua situazione personale. Egli non spiega in che modo le carenze del sistema giudiziario polacco, ammesso che siano dimostrate, impedirebbero che la sua causa venisse trattata da un giudice indipendente e imparziale. L. M. si limita ad affermare, in generale, che il sistema giudiziario polacco non soddisfa i requisiti dello Stato di diritto.

119. A mio avviso, gli argomenti addotti da L. M. tendono quindi esclusivamente a dimostrare la sussistenza, a causa delle carenze del sistema giudiziario, di un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia in Polonia, ma non a dimostrare che egli stesso, se fosse consegnato all’autorità giudiziaria emittente, sarebbe esposto ad un siffatto rischio. Orbene, rammento che, come ha rilevato la Corte europea dei diritti dell’uomo, il fatto che sussista un problema generale di rispetto dei diritti dell’uomo in un determinato paese (ammesso che sia accertato) non dimostra, di per sé, che il rinvio dell’interessato in tale paese lo esporrebbe ad un rischio di flagrante diniego di giustizia (85). Ad esempio, nella sentenza Yefimova c. Russia, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha considerato che, sebbene vi fossero motivi per dubitare dell’indipendenza dei magistrati kazaki, la ricorrente non aveva dimostrato né che tali dubbi costituissero un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia, né che essa stessa, in caso di estradizione in Kazakistan, sarebbe stata esposta a tale rischio (86). 120. Rammento, a tale riguardo, che L. M. è perseguito per traffico di stupefacenti, e che niente, nel fascicolo, indica che tale reato o lo stesso L. M. abbiano caratteristiche tali da


esporre quest’ultimo al rischio di flagrante diniego di giustizia asserito. Interrogato su tale punto all’udienza, il rappresentante di L. M. non ha fornito ulteriori precisazioni. 121. Di conseguenza, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro deve essere interpretato nel senso che l’autorità giudiziaria di esecuzione è tenuta a rinviare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo qualora essa constati non soltanto che vi è un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia a causa delle carenze del sistema giudiziario dello Stato membro emittente, ma anche che la persona oggetto di tale mandato è esposta ad un siffatto rischio. Affinché una violazione del diritto a un equo processo sancito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta costituisca un flagrante diniego di giustizia, occorre che tale violazione sia talmente grave da vanificare il contenuto essenziale del diritto protetto da tale disposizione. Al fine di determinare se la persona interessata sia esposta al rischio di flagrante diniego di giustizia, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve tenere conto delle circostanze particolari relative sia a tale persona sia al reato per il quale quest’ultima è perseguita o è stata condannata. 3.

Sulla seconda questione pregiudiziale

122. Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, nell’ipotesi in cui la seconda fase dell’esame definito nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198) sia applicabile e in cui l’autorità giudiziaria di esecuzione constati che lo Stato membro emittente viola lo Stato di diritto a causa di carenze del sistema giudiziario, quest’ultima sia tenuta a chiedere all’autorità giudiziaria emittente di trasmetterle, sulla base dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, qualsiasi informazione complementare necessaria per quanto riguarda le condizioni nelle quali si svolgerà il processo della persona interessata. In caso affermativo, il giudice del rinvio chiede alla Corte quali garanzie potrebbe ottenere dall’autorità giudiziaria emittente al fine di escludere il rischio che la persona interessata non benefici di un processo equo.

123. Rilevo che, in detta sentenza Aranyosi e Căldăraru, la Corte ha dichiarato che l’autorità giudiziaria di esecuzione era tenuta a chiedere all’autorità giudiziaria emittente, sulla base dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, tutte le informazioni complementari necessarie in merito alle condizioni di detenzione della persona interessata. Soltanto se, alla luce di tali informazioni, l’autorità giudiziaria di esecuzione ritenga sussistente un rischio concreto che la persona interessata sia sottoposta a trattamenti inumani o degradanti, tale autorità è tenuta a rinviare l’esecuzione del mandato d’arresto europeo (87). 124. Secondo il Ministro, l’autorità giudiziaria di esecuzione è tenuta a richiedere all’autorità giudiziaria emittente tutte le informazioni che ritenga necessarie. L’oggetto di tali informazioni può essere determinato soltanto caso per caso, in funzione della ragione per la quale l’autorità giudiziaria di esecuzione ritiene che l’interessato corra un rischio concreto di non beneficiare di un processo equo. Non si può pretendere che l’autorità giudiziaria di


esecuzione dimostri l’assenza di carenze del sistema giudiziario polacco. 125. L. M. ritiene che non occorra rispondere alla seconda questione pregiudiziale. Egli precisa, tuttavia, che, nel caso di specie, non può essere fornita alcuna garanzia in grado di dissipare le preoccupazioni dell’autorità giudiziaria di esecuzione, poiché le carenze in questione sono di natura sistemica. 126. Secondo il governo spagnolo, l’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro consente di trovare una soluzione nel caso in cui l’autorità giudiziaria di esecuzione esiti sulla decisione da adottare. Il governo ungherese considera che, poiché l’autorità giudiziaria di esecuzione non è legittimata a constatare la sussistenza di carenze del sistema giudiziario polacco, essa non può chiedere a tale Stato membro di fornirle informazioni supplementari. Il governo dei Paesi Bassi ritiene che l’autorità giudiziaria di esecuzione sia tenuta ad utilizzare il meccanismo di cui all’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro. Il governo polacco non ha presentato osservazioni sulla seconda questione pregiudiziale. 127. La Commissione considera che l’autorità giudiziaria di esecuzione può richiedere all’autorità giudiziaria emittente informazioni complementari. Una siffatta richiesta di informazioni potrebbe vertere, in particolare, sulle riforme legislative più recenti. Tuttavia, tali informazioni sarebbero probabilmente meno idonee a fugare i dubbi dell’autorità giudiziaria di esecuzione rispetto a quelle vertenti, come nella summenzionata sentenza Aranyosi e Căldăraru, sulle condizioni di detenzione della persona interessata.

128. A mio avviso, qualora sussista un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia nello Stato membro emittente, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve utilizzare la facoltà offertale dall’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro per ottenere informazioni relative, da una parte, alla legislazione che sia stata adottata dopo la proposta motivata della Commissione e i pareri della Commissione di Venezia (88) e, dall’altra, alle caratteristiche inerenti alla persona interessata e alla natura del reato che possano esporre tale persona al rischio concreto di flagrante diniego di giustizia constatato. 129. Infatti, mi sembra che non si possa escludere che, specialmente in un’ipotesi in cui l’interessato non abbia dimostrato che egli sarebbe esposto personalmente al flagrante diniego di giustizia asserito, una siffatta richiesta di informazioni consenta di fugare i dubbi dell’autorità giudiziaria di esecuzione. 130. Qualora, alla luce delle informazioni ottenute sulla base dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, l’autorità giudiziaria di esecuzione consideri che la persona oggetto di un mandato d’arresto europeo non corre un rischio concreto di subire un flagrante diniego di giustizia nello Stato membro emittente, essa deve eseguire tale mandato.

131. Qualora, invece, alla luce di tali informazioni, l’autorità giudiziaria di esecuzione consideri che l’interessato corre un rischio concreto di subire un


flagrante diniego di giustizia nello Stato membro emittente, l’esecuzione di tale mandato deve essere rinviata ma non può essere abbandonata (89). In questa ipotesi, lo Stato membro di esecuzione deve, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 7, della decisione quadro, informare l’Eurojust di tale ritardo, precisando i motivi di detto rinvio. Qualora la sussistenza di un siffatto rischio non possa essere esclusa entro un termine ragionevole, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve decidere se occorre porre fine alla procedura di consegna (90). 132. Occorre pertanto rispondere alla seconda questione dichiarando che, qualora l’autorità giudiziaria di esecuzione constati che vi è un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia nello Stato membro emittente, essa è tenuta a richiedere all’autorità giudiziaria emittente, sulla base dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, tutte le informazioni complementari necessarie riguardanti, se del caso, da una parte, le evoluzioni legislative successive agli elementi di cui essa dispone per constatare la sussistenza di un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia e, dall’altra, le caratteristiche inerenti alla persona oggetto del mandato d’arresto europeo o alla natura del reato per il quale quest’ultima è perseguita o è stata condannata.

V.

Conclusione

133. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni sollevate dalla High Court (Alta Corte, Irlanda): 1)

L’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, deve essere interpretato nel senso che l’autorità giudiziaria di esecuzione è tenuta a rinviare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo qualora constati non soltanto che vi è un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia a causa delle carenze del sistema giudiziario dello Stato membro emittente, ma anche che la persona oggetto di tale mandato è esposta ad un siffatto rischio. Affinché una violazione del diritto a un equo processo sancito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea costituisca un flagrante diniego di giustizia, occorre che tale violazione sia talmente grave da vanificare il contenuto essenziale del diritto protetto da tale disposizione. Al fine di determinare se la persona interessata sia esposta al rischio di flagrante diniego di giustizia, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve tenere conto delle circostanze particolari relative sia a tale persona sia al reato per il quale quest’ultima è perseguita o è stata condannata.

2)

Qualora l’autorità giudiziaria di esecuzione constati che vi è un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia nello Stato membro emittente, essa è tenuta a richiedere all’autorità giudiziaria emittente, sulla base dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584, come modificata dalla decisione quadro 2009/299, tutte le


informazioni complementari necessarie riguardanti, se del caso, da una parte, le evoluzioni legislative successive agli elementi di cui essa dispone per constatare la sussistenza di un rischio concreto di flagrante diniego di giustizia e, dall’altra, le caratteristiche inerenti alla persona oggetto del mandato d’arresto europeo o alla natura del reato per il quale quest’ultima è perseguita o è stata condannata.

1

Lingua originale: il francese

2 Si tratta, in particolare, della nomina dei membri della Corte costituzionale e dell’assenza di pubblicazione di talune sentenze di quest’ultima. Si tratta inoltre dei nuovi regimi di pensionamento dei giudici della Corte suprema e dei giudici dei tribunali ordinari, della nuova procedura di ricorso straordinario presso la Corte suprema, della destituzione e della nomina dei presidenti dei tribunali ordinari, nonché della cessazione del mandato dei giudici membri del Consiglio nazionale della magistratura e della procedura di nomina di questi ultimi.

3 Proposta di decisione del Consiglio sulla constatazione dell’esistenza di un evidente rischio di violazione grave dello Stato di diritto da parte della Repubblica di Polonia, del 20 dicembre 2017, COM(2017) 835 final.

4

GU 2002, L 190, pag. 1.

5

GU 2009, L 81, pag. 24.

6

V. considerando 6 e articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro.

7 Sentenze del 16 luglio 2015, Lanigan (C-237/15 PPU, EU:C:2015:474, punto 36), e del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 80).

8

Sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU,


EU:C:2016:198, punti da 82 a 88).

9 I trattamenti inumani o degradanti risultavano, nella causa Aranyosi e Căldăraru, dalle condizioni di detenzione in Ungheria e in Romania.

10 Sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 89).

11 Sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 93) (il corsivo è mio).

12 Parere della Commissione di Venezia n. 904/2017, dell’11 dicembre 2017, sul progetto di legge di modifica della legge sul Consiglio nazionale della magistratura, sul progetto di legge di modifica della legge sulla Corte suprema, proposti dal Presidente della Repubblica di Polonia, e sulla legge sull’organizzazione dei tribunali ordinari; e parere della Commissione di Venezia n. 892/2017, dell’11 dicembre 2017, sulla legge relativa al pubblico ministero, come modificata (in prosieguo: i «pareri della Commissione di Venezia»). Tali documenti sono disponibili sul sito Internet della Commissione di Venezia al seguente indirizzo: http://www.venice.coe.int/webforms/events/.

13

European Arrest Warrant Act 2003.

14

Nel procedimento 2013/295 EXT.

15

Nel procedimento 2014/8 EXT.

16

Nel procedimento 2017/291 EXT.

17

Sentenza del 6 settembre 2016, Petruhhin (C-182/15, EU:C:2016:630, punto


20).

18 Sentenze dell’8 settembre 2010, Winner Wetten (C-409/06, EU:C:2010:503, punto 38), e del 27 febbraio 2014, Pohotovosť (C-470/12, EU:C:2014:101, punti 28 e 29).

19 Come quello di cui la Corte è investita nella causa C-192/18, Commissione/Polonia.

20

Il corsivo è mio.

21 V. punti da 171 a 186 della motivazione della proposta motivata della Commissione.

22

V., a tale riguardo, paragrafo 106 delle presenti conclusioni.

23 Ad ogni buon conto, osservo che il contesto politico nel quale si inserisce il presente rinvio pregiudiziale potrebbe suggerire, a prima vista, che la Corte non possa esaminare quest’ultimo. Invero, preciso che, ad esempio, la dottrina americana delle «political questions» considera generalmente che il giudice deve astenersi quando ritiene che la questione debba essere lasciata alla valutazione del potere legislativo o esecutivo. Tuttavia, la Corte non ammette limiti di tal genere al proprio controllo. D’altronde, nel caso di specie, le questioni sottoposte alla Corte non possono essere considerate «politiche», poiché la valutazione che deve essere effettuata nell’ambito della prima fase dell’esame definito nella summenzionata sentenza Aranyosi e Căldăraru si distingue, come abbiamo visto, da quella effettuata dal Consiglio nell’ambito dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE.

24 Sentenze del 15 febbraio 2016, N. (C-601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 45), e del 6 ottobre 2016, Paoletti e a. (C-218/15, EU:C:2016:748, punto 21).


25 Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17). Preciso che, secondo tali spiegazioni, l’articolo 47, primo comma, della Carta corrisponde all’articolo 13 della CEDU, intitolato «Diritto a un ricorso effettivo». L’articolo 47, terzo comma, della Carta, dal canto suo, corrisponde ad una giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

26 Sentenze dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione (C-386/10 P, EU:C:2011:815, punto 51), e del 6 novembre 2012, Otis e a. (C-199/11, EU:C:2012:684, punti 46 e 47).

27 Preciso, infatti, che, nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198), la Corte ha dichiarato che l’autorità giudiziaria di esecuzione è tenuta a rinviare l’esecuzione del mandato d’arresto europeo qualora essa accerti che sussiste un rischio concreto di trattamenti inumani o degradanti nello Stato membro emittente, non una violazione del divieto di tali trattamenti (e che la persona interessata è esposta ad un siffatto rischio). V., a tale riguardo, paragrafo 43 delle presenti conclusioni.

28 Secondo le osservazioni scritte del governo polacco, la circostanza che la sentenza Aranyosi e Caldararu riguardasse l’articolo 4 della Carta «non significa che le limitazioni apportate ai principi di riconoscimento e di fiducia reciproci non possano essere applicate per tutelare altri diritti fondamentali che non abbiano tale carattere assoluto, tra i quali il diritto a un equo processo».

29

Quanto al governo ungherese, esso non affronta direttamente detto punto.

30

V. considerando 6 della decisione quadro.

31

V. paragrafo 5 delle presenti conclusioni.

32

Conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa Ardic (C-571/17 PPU,


EU:C:2017:1013, paragrafo 74). V., a tale riguardo, Lenaerts, K., «La vie après l’avis: Exploring the principle of mutual (yet not blind) trust», Common Market Law Review 2017, n. 3, pag. 805.

33 Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31; in prosieguo: il «regolamento Dublino III»).

34 Qualora sussista, nello Stato membro inizialmente designato come competente per l’esame della domanda d’asilo sulla base dei criteri enumerati nel regolamento Dublino III, il rischio di un trattamento inumano o degradante, il richiedente asilo non può essere trasferito verso tale Stato. Lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente deve proseguire l’esame di tali criteri per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente. Qualora ciò non sia possibile, tale Stato diventa lo Stato competente. V. articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, che costituisce una codificazione della sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865, punto 94). V., inoltre, sentenze del 16 febbraio 2017, C. K. e a. (C-578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 65); del 26 luglio 2017, A.S. (C-490/16, EU:C:2017:585, punto 41), e del 26 luglio 2017, Jafari (C-646/16, EU:C:2017:586, punto 101).

35 Sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 85); del 6 settembre 2016, Petruhhin (C-182/15, EU:C:2016:630, punto 56); del 16 febbraio 2017, C. K. e a. (C-578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 59), e del 24 aprile 2018, MP (Protezione sussidiaria di una vittima di torture) (C-353/16, EU:C:2018:276, punto 36).

36 Secondo una giurisprudenza costante, il diritto a un ricorso effettivo può essere soggetto ad una limitazione purché, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, tale limitazione sia prevista dalla legge, rispetti il contenuto essenziale di tale diritto e, nel rispetto del principio di proporzionalità, sia necessaria e risponda


effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione europea o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui (sentenze del 4 giugno 2013, ZZ, C-300/11, EU:C:2013:363, punto 51; del 17 settembre 2014, Liivimaa Lihaveis, C-562/12, EU:C:2014:2229, punto 72; del 6 ottobre 2015, Schrems, C-362/14, EU:C:2015:650, punto 95; del 15 settembre 2016, Star Storage e a., C-439/14 e C-488/14, EU:C:2016:688, punto 49; del 27 settembre 2017, Puškár, C-73/16, EU:C:2017:725, punto 62, e del 20 dicembre 2017, Protect Natur-, Arten- und Landschaftsschutz Umweltorganisation, C-664/15, EU:C:2017:987, punto 90).

37 Conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Radu (C-396/11, EU:C:2012:648, paragrafo 97).

38 V. considerando 5 della decisione quadro e sentenza del 10 novembre 2016, Kovalkovas (C-477/16 PPU, EU:C:2016:861, punto 41).

39 Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2012, L 351, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento Bruxelles I bis»).

40

Il corsivo è mio.

41 Conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa Zdziaszek (C-271/17 PPU, EU:C:2017:612, paragrafo 86 e nota 16) (il corsivo è mio).

42 A tale riguardo, rilevo che, nella sentenza del 26 aprile 2018, Donnellan (C-34/17, EU:C:2018:282, punto 61), la Corte ha dichiarato che, poiché l’assistenza al recupero dei crediti istituita dalla direttiva 2010/24/UE [direttiva del Consiglio, del 16 marzo 2010, sull’assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed altre misure (GU 2010, L 84, pag. 1)] è qualificata come «reciproca», ciò «comporta, in particolare, che spetta all’autorità richiedente creare (…) le condizioni in presenza delle quali l’autorità adita potrà


(…) accordare la propria assistenza» (il corsivo è mio).

43 Corte EDU, 4 novembre 2014, Tarakhel c. Svizzera (CE:ECHR:2014:1104JUD002921712, § 93).

44 Corte EDU, 24 luglio 2014, Al Nashiri c. Polonia (CE:ECHR:2014:0724JUD002876111, §§ da 576 a 579).

45 Protocollo n. 13 della CEDU, relativo all’abolizione della pena di morte in ogni circostanza, firmato a Vilnius il 3 maggio 2002.

46 Corte EDU, 17 gennaio 2012, Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito (CE:ECHR:2012:0117JUD000813909, § 258).

47 La domanda di pronuncia pregiudiziale indica infatti che «[i]l criterio per stabilire se una consegna sia vietata in forza dell’articolo 6 della CEDU è ben consolidato nella giurisprudenza nazionale e consiste nel valutare se la persona interessata sia esposta a un rischio concreto di un flagrante diniego di giustizia. Nella sentenza Minister for Justice, Equality and Law Reform v Brennan [2007] IESC 24, la Supreme Court (Corte suprema, Irlanda) ha ritenuto che, per negare la consegna ai sensi della legge del 2003 sulla base di una violazione dei diritti sanciti dall’articolo 6 della CEDU, debbano sussistere circostanze eccezionali “quali un vizio essenziale e chiaramente accertato nel sistema giudiziario di uno Stato richiedente”».

48 Corte EDU, 7 luglio 1989, Soering c. Regno Unito (CE:ECHR:1989:0707JUD001403888, § 113).

49

Sentenza del 26 aprile 2018, Donnellan (C-34/17, EU:C:2018:282, punto 50).

50

Sentenza del 23 gennaio 2018, Piotrowski (C-367/16, EU:C:2018:27, punto


48).

51

V. paragrafo 57 e nota 36 delle presenti conclusioni.

52

V. paragrafo 70 delle presenti conclusioni.

53 Corte EDU, 7 luglio 1989, Soering c. Regno Unito (CE:ECHR:1989:0707JUD001403888, § 113); Corte EDU, 2 marzo 2010, AlSaadoon et Mufdhi c. Regno Unito (CE:ECHR:2010:0302JUD006149808, § 149); Corte EDU, 17 gennaio 2012, Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito (CE:ECHR:2012:0117JUD000813909, § 258); Corte EDU, 24 luglio 2014, Al Nashiri c. Polonia (CE:ECHR:2014:0724JUD002876111, §§ 456 e da 562 a 564), e decisione della Corte EDU del 15 giugno 2017, Harkins c. Regno Unito (CE:ECHR:2017:0615DEC007153714, § 62).

54 Corte EDU, 28 febbraio 2008, Saadi c. Italia (CE:ECHR:2008:0228JUD003720106, § 125).

55 Corte EDU, 17 gennaio 2012, Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito (CE:ECHR:2012:0117JUD000813909, § 260), e Corte EDU, 24 luglio 2014, Al Nashiri c. Polonia (CE:ECHR:2014:0724JUD002876111, § 563).

56 Decisione della Corte EDU del 16 ottobre 2001, Einhorn c. Francia (CE:ECHR:2001:1016DEC007155501, §§ 33 e 34). Nel caso di specie, la Corte EDU ha ritenuto che non vi fosse un manifesto diniego di giustizia poiché il ricorrente, che un giudice della Pennsylvania aveva condannato in contumacia per omicidio volontario, avrebbe potuto beneficiare di un nuovo processo al suo ritorno in Pennsylvania, se ne avesse fatto domanda.

57 Corte EDU, 8 novembre 2005, Bader e Kanbor c. Svezia (CE:ECHR:2005:1108JUD001328404, § 47). Un procedimento in cui all’udienza


non sia stato ascoltato alcun testimone, in cui tutti gli elementi di prova esaminati siano stati prodotti dal pubblico ministero e in cui né l’imputato né il suo avvocato siano comparsi si caratterizza per la sua natura sommaria e per la negazione totale dei diritti della difesa.

58 Decisione della Corte EDU del 20 febbraio 2007, Al-Moayad c. Germania (CE:ECHR:2007:0220DEC003586503, §§ da 100 a 108). Nel caso di specie, la Corte EDU ha concluso che non vi era un manifesto diniego di giustizia poiché il ricorrente, accusato di appartenenza a due organizzazioni terroristiche e oggetto di una richiesta di estradizione da parte delle autorità degli Stati Uniti, non sarebbe stato trasferito in uno dei centri di detenzione ubicati al di fuori degli Stati Uniti, in cui non avrebbe avuto accesso ad un avvocato e sarebbe stato giudicato da un tribunale militare o da un altro giudice speciale.

59 Corte EDU, 12 maggio 2005, Öcalan c. Turchia (CE:ECHR:2005:0512JUD004622199, § 112), e Corte EDU, 24 luglio 2014, Al Nashiri c. Polonia (CE:ECHR:2014:0724JUD002876111, § 562).

60 Corte EDU, 17 gennaio 2012, Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito (CE:ECHR:2012:0117JUD000813909, §§ da 263 a 287); Corte EDU, 24 luglio 2014, Husayn (Abu Zubaydah) c. Polonia (CE:ECHR:2014:0724JUD000751113, § 559); Corte EDU, 24 luglio 2014, Al Nashiri c. Polonia (CE:ECHR:2014:0724JUD002876111, §§ da 565 a 569), e Corte EDU, 31 maggio 2018, Al Nashiri c. Romania (CE:ECHR:2018:0531JUD003323412, §§ da 719 a 722).

61 Corte EDU, 24 luglio 2014, Al Nashiri c. Polonia (CE:ECHR:2014:0724JUD002876111).

62 Detta Corte osserva infatti, al paragrafo 567 (ii) della sua sentenza, quanto segue: «[the military commission] did not have legitimacy under US and international law resulting in, as the Supreme Court found, its lacking the “power to proceed” and (…), consequently, it was not “established by law” for the purposes of


Article 6 § 1».

63 Corte EDU, 24 luglio 2014, Al Nashiri c. Polonia (CE:ECHR:2014:0724JUD002876111, §§ da 565 a 569). Un ragionamento simile figura ai paragrafi da 719 a 722 della sentenza della Corte EDU del 31 maggio 2018, Al Nashiri c. Romania (CE:ECHR:2018:0531JUD003323412).

64 Sentenze del 19 settembre 2006, Wilson (C-506/04, EU:C:2006:587, punti 51 e 52); del 16 febbraio 2017, Margarit Panicello (C-503/15, EU:C:2017:126, punti 37 e 38), e del 14 giugno 2017, Online Games e a. (C-685/15, EU:C:2017:452, punti 60 e 61).

65 Sentenza del 19 settembre 2006, Wilson (C-506/04, EU:C:2006:587, punto 53); ordinanza del 14 maggio 2008, Pilato (C-109/07, EU:C:2008:274, punto 24); e sentenza del 31 gennaio 2013, D. e A. (C-175/11, EU:C:2013:45, punto 97).

66 V., inoltre, sentenze del 19 settembre 2006, Wilson (C-506/04, EU:C:2006:587, punto 49); del 14 giugno 2017, Online Games e a. (C-685/15, EU:C:2017:452, punto 60), e del 13 dicembre 2017, El Hassani (C-403/16, EU:C:2017:960, punto 40).

67 Sentenze del 1o luglio 2008, Chronopost e La Poste/UFEX e a. (C-341/06 P e C-342/06 P, EU:C:2008:375, punto 46); del 19 febbraio 2009, Gorostiaga Atxalandabaso/Parlamento (C-308/07 P, EU:C:2009:103, punto 42), e del 31 gennaio 2018, Gyarmathy/FRA (T-196/15 P, non pubblicata, EU:T:2018:47, punto 97).

68 Corte EDU, 24 luglio 2014, Al Nashiri c. Polonia (CE:ECHR:2014:0724JUD002876111); e Corte EDU, 31 maggio 2018, Al Nashiri c. Romania (CE:ECHR:2018:0531JUD003323412).


69

V. paragrafo 84 delle presenti conclusioni.

70 Corte EDU, 17 gennaio 2012, Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito (CE:ECHR:2012:0117JUD000813909, § 265).

71 Corte EDU, 24 luglio 2014, Al Nashiri c. Polonia (CE:ECHR:2014:0724JUD002876111); e Corte EDU, 31 maggio 2018, Al Nashiri c. Romania (CE:ECHR:2018:0531JUD003323412).

72 Sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 89). V., inoltre, sentenza del 21 dicembre 2011, N. S. e a. (C-411/10 e C-493/10, EU:C:2011:865, punto 91).

73 V., inoltre, sentenza del 6 settembre 2016, Petruhhin (C-182/15, EU:C:2016:630, punto 58), e ordinanza del 6 settembre 2017, Peter Schotthöfer & Florian Steiner (C-473/15, EU:C:2017:633, punti da 24 a 26).

74

V. paragrafo 24 delle presenti conclusioni.

75

Invero, la decisione quadro è stata adottata il 13 giugno 2002, vale a dire

prima dell’entrata in vigore, il 1o febbraio 2003, del Trattato di Nizza (GU 2001, C 80, pag. 1). Orbene, è l’articolo 1, paragrafo 1, del Trattato di Nizza che ha introdotto nell’articolo 7 il suo paragrafo 1. Pertanto, il riferimento, contenuto nel considerando 10 della decisione quadro, all’articolo 7, paragrafo 1, TUE dev’essere inteso oggi come un riferimento all’articolo 7, paragrafo 2, TUE.V., a tale riguardo, paragrafo 38 delle presenti conclusioni.

76 Valutazione che, come rilevato ai paragrafi 35 e 95 delle presenti conclusioni, spetta al giudice del rinvio.


77 Corte EDU, 30 ottobre 1991, Vilvarajah e altri c. Regno Unito (E:ECHR:1991:1030JUD001316387, § 108; Corte EDU, 28 febbraio 2008, Saadi c. Italia (CE:ECHR:2008:0228JUD003720106, § 130); Corte EDU, 17 gennaio 2012, Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito (CE:ECHR:2012:0117JUD000813909, § 187), e Corte EDU, 23 marzo 2016, F.G. c. Svezia (CE:ECHR:2016:0323JUD004361111, § 120) (il corsivo è mio).

78 Corte EDU, 28 febbraio 2008, Saadi c. Italia (CE:ECHR:2008:0228JUD003720106, § 131); Corte EDU, 25 aprile 2013, Savriddin Dzhurayev c. Russia (CE:ECHR:2013:0425JUD007138610, §§ 153 e 169), e Corte EDU, 25 marzo 2014, M. G. c. Bulgaria (CE:ECHR:2014:0325JUD005929712, § 79).

79 Corte EDU, 17 gennaio 2012, Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito (CE:ECHR:2012:0117JUD000813909, §§ 272 e da 277 a 279). V., inoltre, paragrafo 112 delle presenti conclusioni.

80 Corte EDU, 18 aprile 2013, Mo. M. c. Francia (CE:ECHR:2013:0418JUD001837210, §§ da 38 a 43).

81 Corte EDU, 25 marzo 2014, M. G. c. Bulgaria (CE:ECHR:2014:0325JUD005929712, §§ da 87 a 91).

82 Corte EDU, 27 ottobre 2011, Ahorugeze c. Svezia (CE:ECHR:2011:1027JUD003707509, §§ da 125 a 129).

83 Corte EDU, 27 ottobre 2011, Ahorugeze c. Svezia (CE:ECHR:2011:1027JUD003707509, § 116); Corte EDU, 17 gennaio 2012, Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito (CE:ECHR:2012:0117JUD000813909, § 261), e Corte EDU, 19 febbraio 2013, Yefimova c. Russia (CE:ECHR:2013:0219JUD003978609, § 220).


84 Preciso che, dalla sentenza della High Court (Alta Corte) del 12 marzo 2018, menzionata al paragrafo 22 delle presenti conclusioni, risulta che l’avvocato di L. M. ha cercato di ottenere elementi di prova relativi allo stato del sistema giudiziario in Polonia. Egli ha segnatamente prodotto, dinanzi al giudice del rinvio, un documento proveniente da un organo ufficiale polacco la cui esatta identità non è nota al giudice del rinvio. Secondo tale documento, l’autorità giudiziaria polacca sarebbe indipendente dagli altri poteri, la supervisione esercitata dal Ministro della Giustizia sui giudici ordinari sarebbe puramente amministrativa e tale Ministro non pregiudicherebbe l’indipendenza dei magistrati.

85 V. paragrafo 109 delle presenti conclusioni. V., inoltre, Corte EDU, 10 febbraio 2011, Dzhaksybergenov c. Ucraina (CE:ECHR:2011:0210JUD001234310, §§ 37 e 44).

86 Corte EDU, 19 febbraio 2013, Yefimova c. Russia (CE:ECHR:2013:0219JUD003978609, §§ da 221 a 225). V., inoltre, Corte EDU, 17 gennaio 2012, Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito (CE:ECHR:2012:0117JUD000813909, §§ 284 e 285).

87 Sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti da 95 a 98).

88 Rilevo, a tale riguardo, che, nelle sue osservazioni scritte, il governo polacco contesta al giudice del rinvio di non aver tenuto conto delle riforme legislative successive all’adozione della proposta motivata della Commissione.

89 Sentenze del 16 luglio 2015, Lanigan (C-237/15 PPU, EU:C:2015:474, punto 38) e del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 98).

90

Sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU,


EU:C:2016:198, punto 104).

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione) 25 luglio 2018 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Procedimento pregiudiziale d’urgenza – Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale – Mandato d’arresto europeo – Decisione quadro 2002/584/GAI – Articolo 1, paragrafo 3 – Procedure di consegna tra Stati membri – Condizioni di esecuzione – Motivi di non esecuzione – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 4 – Divieto di trattamenti inumani o degradanti – Condizioni di detenzione nello Stato membro emittente – Portata dell’esame effettuato dalle autorità giudiziarie dell’esecuzione – Esistenza di un ricorso nello Stato membro emittente – Garanzia fornita dalle autorità di tale Stato membro» Nella causa C-220/18 PPU, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land, Brema, Germania) con decisione del 27 marzo 2018, pervenuta in cancelleria il medesimo giorno, nell’ambito del procedimento relativo all’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso nei confronti di ML con l’intervento di: Generalstaatsanwaltschaft Bremen, LA CORTE (Prima Sezione), composta da R. Silva de Lapuerta, presidente di sezione, J.-C. Bonichot, A. Arabadjiev, S. Rodin ed E. Regan (relatore), giudici,


avvocato generale: M. Campos Sánchez-Bordona cancelliere: K. Malacek, amministratore vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 14 giugno 2018, considerate le osservazioni presentate: – –

per ML, da A. Jung, Rechtsanwalt; per la Generalstaatsanwaltschaft Oberstaatsanwalt;

Bremen,

da

M. Glasbrenner,

per il governo tedesco, da T. Henze e M. Hellmann, in qualità di agenti;

per il governo belga, da C. Van Lul, C. Pochet e A. Honhon, in qualità di agenti;

per il governo danese, da M. Søndahl Wolff, in qualità di agente;

per l’Irlanda, da G. Mullan, BL;

per il governo spagnolo, da Sampol Pucurull, in qualità di agente;

per il governo ungherese, da M.Z. Fehér, G. Tornyai e M.M. Tátrai, in qualità di agenti;

per il governo dei Paesi Bassi, da J. Langer, in qualità di agente;

per il governo rumeno, da E. Gane e C.-M. Florescu, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da R. Troosters e S. Grünheid, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 4 luglio 2018, ha pronunciato la seguente

Sentenza


1

La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») nonché dell’articolo 1, paragrafo 3, dell’articolo 5 e dell’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584/JAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU 2002, L 190, pag. 1), come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009 (GU 2009, L 81, pag. 24) (in prosieguo: la «decisione quadro»).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito dell’esecuzione, in Germania, di un mandato d’arresto europeo emesso il 31 ottobre 2017 dal Nyiregyházai Járásbíróság (Tribunale distrettuale di Nyiregyhéza, Ungheria) nei confronti di ML ai fini dell’esecuzione, in Ungheria, di una pena privativa della libertà.

Contesto normativo Diritto dell’Unione La Carta 3

Ai sensi dell’articolo 4 della Carta, rubricato «Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti»: «Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

4

Le spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17) precisano che «[i]l diritto di cui all’articolo 4 corrisponde a quello garantito dall’articolo 3 della [Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la “CEDU”)], la cui formulazione è identica (…). Ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3 della Carta, esso ha pertanto significato e portata identici a quelli del suddetto articolo».

5

L’articolo 47 della Carta, rubricato «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale», prevede quanto segue: «Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto


delle condizioni previste nel presente articolo. (…)». 6

L’articolo 51 della Carta, rubricato «Ambito di applicazione», al suo paragrafo 1 dispone come segue: «Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. (…)».

7

L’articolo 52 della Carta, rubricato «Portata e interpretazione dei diritti e dei principi», al suo paragrafo 3 enuncia: «Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla [CEDU], il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa». Decisione quadro

8

I considerando da 5 e 7 della decisione quadro sono del seguente tenore: «(5)

(…) [L]’introduzione di un nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate, al fine dell’esecuzione delle sentenze di condanna in materia penale o per sottoporle all’azione penale, consente di eliminare la complessità e i potenziali ritardi inerenti alla disciplina attuale in materia di estradizione. (…)

(6)

Il mandato d’arresto europeo previsto nella presente decisione quadro costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco che il Consiglio europeo ha definito il fondamento della cooperazione giudiziaria.

(7)

Poiché l’obiettivo di sostituire il sistema multilaterale di estradizione creato sulla base della convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 non può essere sufficientemente realizzato unilateralmente dagli Stati membri e può dunque, a causa della dimensione e dell’effetto, essere realizzato meglio a livello dell’Unione, il Consiglio può adottare misure, nel rispetto del principio di sussidiarietà menzionato all’articolo 2 [UE] e all’articolo 5 [CE]. La presente decisione quadro si limita a quanto


è necessario per conseguire tali scopi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo». 9

L’articolo 1 della decisione quadro, rubricato «Definizione del mandato d’arresto europeo ed obbligo di darne esecuzione», prevede quanto segue: «1. Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà. 2. Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro. 3. L’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 [UE] non può essere modificat[o] per effetto della presente decisione quadro».

10

Gli articoli 3, 4 e 4 bis della decisione quadro espongono i motivi di non esecuzione obbligatoria e facoltativa del mandato d’arresto europeo. In particolare, ai sensi dell’articolo 4, punto 6, della decisione quadro, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo «se il mandato d’arresto europeo è stato rilasciato ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno».

11

Ai sensi dell’articolo 5 della decisione quadro, rubricato «Garanzie che lo Stato emittente deve fornire in casi particolari»: «L’esecuzione del mandato d’arresto europeo da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione può essere subordinata dalla legge dello Stato membro di esecuzione ad una delle seguenti condizioni: (…) 2)

se il reato in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso è punibile con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà a vita, l’esecuzione di tale mandato può essere subordinata alla condizione


che lo Stato membro emittente preveda nel suo ordinamento giuridico una revisione della pena [inflitta] – su richiesta o al più tardi dopo 20 anni – oppure l’applicazione di misure di clemenza alle quali la persona ha diritto in virtù della legge o della prassi dello Stato membro emittente, affinché la pena o la misura in questione non siano eseguite. 3)

12

Se la persona oggetto del mandato d’arresto europeo ai fini di un’azione penale è cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione, la consegna può essere subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro emittente».

L’articolo 6 della decisione quadro, rubricato «Determinazione delle autorità giudiziarie competenti», al suo paragrafo 1 enuncia: «Per autorità giudiziaria emittente si intende l’autorità giudiziaria dello Stato membro emittente che, in base alla legge di detto Stato, è competente a emettere un mandato d’arresto europeo».

13

L’articolo 7 della decisione quadro, rubricato «Ricorso all’autorità centrale», prevede quanto segue: «Ciascuno Stato membro può designare un’autorità centrale o, quando il suo ordinamento giuridico lo prevede, delle autorità centrali per assistere le autorità giudiziarie competenti».

14

L’articolo 15 della decisione quadro, rubricato «Decisione sulla consegna», dispone come segue: «1. L’autorità giudiziaria dell’esecuzione decide la consegna della persona nei termini e alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro. 2. L’autorità giudiziaria dell’esecuzione che non ritiene le informazioni comunicatele dallo Stato membro emittente sufficienti per permetterle di prendere una decisione sulla consegna, richiede urgentemente le informazioni complementari necessarie segnatamente in relazione agli articoli 3, 4, 5 e 8 e può stabilire un termine per la ricezione delle stesse, tenendo conto dell’esigenza di rispettare i termini fissati all’articolo 17.


3. L’autorità giudiziaria emittente può, in qualsiasi momento, trasmettere tutte le informazioni supplementari utili all’autorità giudiziaria dell’esecuzione». 15

L’articolo 17 della decisione quadro, rubricato «Termini e modalità della decisione di esecuzione del mandato di arresto europeo», prevede quanto segue: «1. Un mandato d’arresto europeo deve essere trattato ed eseguito con la massima urgenza. 2. Nei casi in cui il ricercato acconsente alla propria consegna, la decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo dovrebbe essere presa entro 10 giorni dalla comunicazione del consenso. 3. Negli altri casi, la decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo dovrebbe essere presa entro 60 giorni dall’arresto del ricercato. 4. In casi particolari, se il mandato d’arresto europeo non può essere eseguito entro i termini di cui ai paragrafi 2 o 3, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione ne informa immediatamente l’autorità giudiziaria emittente e ne indica i motivi. In questi casi i termini possono essere prorogati di 30 giorni. 5. Fintanto che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non prende una decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo, essa si accerterà che siano soddisfatte le condizioni materiali necessarie per la consegna effettiva. (…) 7. Se, in circostanze eccezionali, uno Stato membro non è in grado di rispettare i termini stabiliti dal presente articolo, esso ne informa l’Eurojust, indicando i motivi del ritardo. Inoltre, uno Stato membro che ha subito ritardi ripetuti nell’esecuzione dei mandati d’arresto da parte di un altro Stato membro ne informa il Consiglio affinché sia valutata l’attuazione della presente decisione quadro a livello degli Stati membri». Diritto tedesco

16

La decisione quadro è stata recepita nell’ordinamento giuridico tedesco dagli


articoli da 78 a 83 k del Gesetz über die internationale Rechtshilfe in Strafsachen (legge sull’assistenza giudiziaria internazionale in materia penale) del 23 dicembre 1982, come modificata dall’Europäisches Haftbefehlsgesetz (legge sul mandato d’arresto europeo), del 20 luglio 2006 (BGBl. 2006 I, pag. 1721) (in prosieguo: l’«IRG»). 17

18

A norma dell’articolo 29, paragrafo 1, dell’IRG, l’Oberlandesgericht (Tribunale superiore del Land, Germania) si pronuncia, dietro richiesta del pubblico ministero, sulla legittimità dell’estradizione qualora l’imputato non abbia acconsentito all’estradizione. La decisione è resa mediante ordinanza, conformemente all’articolo 32 dell’IRG. L’articolo 73 dell’IRG recita: «In mancanza di una richiesta in tal senso, l’assistenza giudiziaria e la trasmissione di informazioni sono illegittime se contrastano con principi essenziali dell’ordinamento giuridico tedesco. In caso di richiesta in base alle parti ottava, nona e decima, l’assistenza giudiziaria è illegittima se contrasta con i principi sanciti dall’articolo 6 TUE».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali 19

Il 2 agosto 2017, il Nyiregyházai Járásbíróság (Tribunale distrettuale di Nyiregyhéza, Ungheria) ha emesso un mandato d’arresto europeo nei confronti di ML, cittadino ungherese, ai fini di sottoporlo ad azione penale per percosse e lesioni, danneggiamento, truffa semplice e furto con scasso, commessi a Nyiregyhéza (Ungheria) tra il mese di febbraio e il mese di luglio 2016.

20

Il 16 agosto 2017, il Ministero della Giustizia ungherese ha trasmesso detto mandato d’arresto europeo alla Generalstaatsanwaltschaft Bremen (pubblico ministero di Brema, Germania).

21

Con sentenza del 14 settembre 2017, il Nyiregyházai Járásbíróság (Tribunale distrettuale di Nyiregyhéza, Ungheria) ha condannato ML in contumacia a una pena privativa della libertà di un anno e otto mesi.

22

Con lettera del 20 settembre 2017, il Ministero della Giustizia ungherese ha informato il pubblico Ministero di Brema, in risposta ad una richiesta di quest’ultimo, che, in caso di consegna, ML sarebbe stato dapprima detenuto


nell’istituto penitenziario di Budapest (Ungheria) per la durata della procedura di consegna, e, successivamente, nell’istituto penitenziario regionale di Szombathely (Ungheria). Il Ministero ha garantito inoltre che ML non avrebbe subito alcun trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, a causa della detenzione prevista in Ungheria. Esso ha aggiunto che una tale garanzia poteva essere fornita anche nel caso di trasferimento di ML in un altro istituto penitenziario. 23

Il 31 ottobre 2017, il Nyíregyházi Járásbíróság (Tribunale distrettuale di Nyíregyháza) ha emesso un nuovo mandato d’arresto europeo nei confronti di ML ai fini, questa volta, dell’esecuzione della condanna alla pena privativa della libertà inflitta dal medesimo Tribunale il 14 settembre 2017.

24

Il 23 novembre 2017, lo Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land, Brema, Germania) ha disposto l’arresto provvisorio a fini estradizionali di ML nell’ambito dell’esecuzione del mandato d’arresto europeo emesso il 2 agosto 2017. A partire da tale data, ML è detenuto nell’istituto penitenziario di Bremen-Oslebshausen (Germania).

25

Il 12 dicembre 2017, l’Amtsgericht Bremen (Tribunale circoscrizionale di Brema, Germania) ha disposto nei confronti di ML l’arresto provvisorio a fini estradizionali sulla base del mandato d’arresto europeo emesso il 31 ottobre 2017, in attesa della sua eventuale consegna alle autorità ungheresi. ML non acconsentiva alla propria consegna.

26

Con ordinanza del 19 dicembre 2017, lo Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land, Brema) ha disposto il mantenimento dell’arresto provvisorio di ML a fini estradizionali sulla base di detto mandato d’arresto. Tuttavia, allo scopo di valutare la regolarità della consegna alla luce delle condizioni di detenzione esistenti negli istituti penitenziari ungheresi, detto Tribunale riteneva necessario ottenere ulteriori informazioni.

27

Nella sua decisione del 9 gennaio 2018, detto Tribunale ha dichiarato a tal riguardo che, sulla base delle informazioni di cui dispone, l’esecuzione della pena inflitta a ML nell’istituto penitenziario di Szombathely non sollevava obiezioni. Tuttavia, dato che, nella sua lettera del 20 settembre 2017, il Ministero della Giustizia ungherese aveva accennato alla possibilità di un trasferimento ad altri istituti penitenziari, detto Tribunale aveva ritenuto necessario inviare a quest’ultimo una richiesta di informazioni contenente un elenco di 78 domande sulle condizioni di detenzione delle persone nell’istituto


penitenziario di Budapest nonché in altri istituti verso i quali ML potrebbe essere trasferito. 28

Il 10 gennaio 2018, il pubblico ministero di Brema ha trasmesso siffatta richiesta al Ministero della Giustizia ungherese.

29

Il 12 gennaio 2018, in risposta a tale domanda, quest’ultimo ha indicato che il legislatore nazionale, mediante la legge n. CX adottata il 25 ottobre 2016, recante modifica, in particolare, della legge n. CCXL del 2013 sull’esecuzione delle pene e delle misure penali, di talune misure coercitive e del trattenimento amministrativo (in prosieguo: la «legge del 2016»), ha introdotto, da un lato, un mezzo di ricorso che permette ai detenuti di contestare la legittimità delle condizioni della loro detenzione e, dall’altro, una nuova modalità di detenzione, detta di «reinserimento». Nell’ambito di quest’ultimo, i detenuti che non hanno ancora integralmente scontato la pena privativa della libertà loro inflitta, possono ottenere che la detenzione sia commutata in arresti domiciliari. Il Ministero della Giustizia ungherese ha aggiunto inoltre che, dal 2015, la creazione di oltre 1 000 nuovi posti negli istituti penitenziari aveva contribuito a ridurre il sovraffollamento delle carceri.

30

In un messaggio di posta elettronica del 1o febbraio 2018, inviato al pubblico ministero di Brema, un funzionario del Ministero della Giustizia ungherese ha indicato che, fatte salve circostanze ostative, ML sarà accolto nel penitenziario di Budapest per un periodo da una a tre settimane, allo scopo di consentire l’adozione nei suoi confronti di misure non meglio specificate aventi ad oggetto l’esecuzione della consegna.

31

Con ordinanza del 12 febbraio 2018, lo Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land, Brema) ha chiesto alle autorità ungheresi di fornire, entro il 28 febbraio 2018, informazioni sulle condizioni nelle quali le persone sono detenute, da un lato, nell’istituto penitenziario di Budapest, e, dall’altro, negli altri istituti penitenziari dove ML potrebbe essere trasferito. Detto Tribunale ha chiesto altresì di conoscere gli elementi sulla base dei quali possa verificare le condizioni alle quali le persone sono ivi detenute.

32

Il 15 febbraio 2018, il pubblico ministero di Brema ha trasmesso siffatta richiesta al Ministero della Giustizia ungherese.

33

Il 27 marzo 2018, il Ministero della Giustizia ungherese, di concerto con la Direzione generale per l’esecuzione delle pene, ha fornito nuovamente la


garanzia che ML, durante la sua detenzione in Ungheria, non sarà sottoposto a trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta, a prescindere dall’istituto penitenziario nel quale sarà accolto. 34

Nella sua ordinanza di rinvio, lo Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land, Brema) ha rilevato che ML non ha un interesse meritevole di tutela a che la pena inflittagli venga eseguita in Germania. In effetti, dato che ML non conosce la lingua tedesca e che la sua compagna non ha né lavoro né diritto a prestazioni sociali in questo Stato membro, il fatto di scontare la sua pena nel territorio nazionale non può accrescere le sue possibilità di reinserimento sociale. ML dovrebbe quindi, in linea di principio, essere consegnato all’Ungheria.

35

Tuttavia, prima di adottare una decisione definitiva al riguardo, detto Tribunale ritiene di essere tenuto a verificare se gli elementi forniti dalle autorità ungheresi in risposta alle sue richieste di informazioni siano sufficienti ad escludere, nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 73 dell’IRG, e tenendo conto dell’interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 3, dell’articolo 5 e dell’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro nonché dell’articolo 4 della Carta, l’esistenza di un rischio reale di trattamento inumano o degradante.

36

A tal fine, il giudice del rinvio si interroga, in primo luogo, sulla portata dell’esame che è tenuto ad effettuare, tenendo conto del fatto che ormai in Ungheria esiste un mezzo di ricorso che consente ai detenuti di contestare le loro condizioni di detenzione a fronte dei diritti fondamentali. Più in particolare, esso si chiede se tale mezzo di ricorso consenta di escludere ogni rischio reale di trattamento inumano o degradante qualora esistano – come risulta, in particolare, dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 10 marzo 2015, Varga e altri c. Ungheria (CE:ECHR:2015:0310JUD001409712, §§ da 79 a 92) – prove dell’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate nelle condizioni di detenzione in Ungheria. A tal riguardo, detto giudice si interroga sulla rilevanza da riconoscere al fatto che la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia recentemente considerato, nella sentenza del 14 novembre 2017, Domján c. Ungheria (CE:ECHR:2017:1114DEC000543317, § 22), che non risulta dimostrato che il suddetto mezzo di ricorso non offrirà prospettive realistiche di miglioramento delle condizioni inadeguate in cui le persone sono detenute, al fine di rispettare i requisiti di cui all’articolo 3 della CEDU.


37

Nell’ipotesi in cui il medesimo mezzo di ricorso non fosse idoneo ad escludere il rischio che un detenuto subisca un trattamento inumano o degradante a causa delle sue condizioni di detenzione, il giudice del rinvio si interroga, in secondo luogo, sulla portata, alla luce delle informazioni e delle garanzie ottenute dalle autorità ungheresi, del suo eventuale obbligo di verificare le modalità e le condizioni di detenzione in tutti gli istituti penitenziari nei quali ML potrebbe essere detenuto.

38

A tal riguardo, il giudice del rinvio si chiede, anzitutto, se la verifica delle condizioni di detenzione debba estendersi a tutti gli istituti penitenziari nei quali ML potrebbe essere detenuto, in particolare a quelli utilizzati a titolo provvisorio o temporaneo, oppure se detta verifica possa limitarsi a quelli dove, in base alle informazioni fornite dalle autorità dello Stato membro emittente, è probabile che ML sarà detenuto per la parte sostanziale della sua pena. Infatti, se detto giudice è in grado di escludere qualsiasi rischio di trattamento inumano o degradante nell’istituto penitenziario di Szombathely, le informazioni comunicate dalle autorità ungheresi sarebbero insufficienti per compiere una simile constatazione riguardo all’istituto penitenziario di Budapest nonché agli altri istituti verso i quali le predette autorità si sono riservate la possibilità di un successivo trasferimento di ML. Inoltre, il giudice del rinvio si interroga sulla portata e sui criteri dell’esame da effettuare a tal riguardo. Segnatamente, si chiede se è tenuto a prendere in considerazione la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, quale risultante dalla sua sentenza del 20 ottobre 2016, Muršić c. Croazia (CE:ECHR:2016:1020JUD000733413).

39

Inoltre, nel caso in cui le autorità giudiziarie dell’esecuzione dovessero esaminare tutti gli istituti penitenziari dove ML potrebbe essere detenuto, il giudice del rinvio si chiede, in primis, se possa accontentarsi delle dichiarazioni generali fornite dalle autorità ungheresi, secondo le quali ML non sarà esposto a un rischio di trattamenti inumani o degradanti, oppure se possa subordinare la consegna di ML unicamente alla condizione che costui non sarà esposto a siffatti trattamenti. In caso contrario, il giudice del rinvio si chiede, in primo luogo, quale importanza debba attribuire al fatto che le autorità ungheresi hanno indicato che la detenzione di ML a titolo transitorio non supererà le tre settimane, posto che tale affermazione è formulata facendo salve «circostanze ostative». Dall’altro lato, si chiede se possa prendere in considerazione informazioni riguardo alle quali non sia possibile verificare se provengano dalla stessa autorità giudiziaria dell’emissione, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1


della decisione quadro, oppure da un’autorità centrale che agisce su richiesta dell’autorità giudiziaria emittente, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, di tale decisione quadro. 40

In tale contesto, lo Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land, Brema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1)

2)

Quale rilievo abbia, nell’ambito dell’interpretazione [dell’articolo 1, paragrafo 3, dell’articolo 5 e dell’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro, letti in combinato disposto con il divieto di trattamenti inumani o degradanti sancito all’articolo 4 della Carta], il fatto che nello Stato membro emittente ci siano mezzi di ricorso per la tutela dei reclusi con riguardo alle loro condizioni di detenzione. a)

Ove siano dedotte alle autorità giudiziarie dell’esecuzione prove dell’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente che colpiscono determinati gruppi di persone oppure determinati istituti penitenziari, se, nel rispetto delle norme summenzionate, già per la disponibilità di siffatti mezzi di ricorso debba essere escluso un rischio concreto di trattamento inumano o degradante della persona di cui è chiesta la consegna in caso di sua estradizione, il quale osti all’ammissibilità di quest’ultima, senza che sia necessario un ulteriore esame delle concrete condizioni di detenzione.

b)

Se sia rilevante a tal riguardo la circostanza che, in ordine a detti mezzi di ricorso, la Corte europea dei diritti dell’uomo non abbia rinvenuto elementi a favore del fatto che tali rimedi non offrano ai reclusi prospettive realistiche di miglioramento delle condizioni di detenzione inadeguate.

Qualora la risposta alla questione pregiudiziale sub 1) dovesse essere nel senso che l’esistenza di tali mezzi di ricorso per la tutela dei reclusi non sia idonea ad escludere un rischio concreto di trattamento inumano o degradante della persona di cui è chiesta la consegna senza un ulteriore esame delle concrete condizioni di detenzione nello Stato membro emittente da parte delle autorità giudiziarie dell’esecuzione: a)

Se le norme summenzionate debbano essere interpretate in modo tale


che l’esame delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente da parte delle autorità giudiziarie dell’esecuzione si estenda a tutti gli istituti penitenziari o altre strutture carcerarie in cui la persona di cui è chiesta la consegna potrebbe essere eventualmente accolto. Se ciò trovi applicazione anche qualora si tratti di detenzione in determinati istituti penitenziari a titolo provvisorio oppure a fini di trasferimento. Oppure se l’esame possa limitarsi a quell’istituto penitenziario in cui la persona di cui è chiesta la consegna, in base a quanto indicato dalle autorità dello Stato membro emittente, dovrebbe essere probabilmente accolto per la maggior parte del periodo. b)

3)

4)

Se sia a tal proposito necessario di volta in volta un esame completo delle rispettive condizioni di detenzione volto ad accertare sia la superficie dello spazio individuale per detenuto sia le altre condizioni della reclusione. Se occorra tener conto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di cui alla decisione Muršić/Croazia del 20 ottobre 2016, n. 2016/13 [CE:ECHR:2016:1020JUD000733413] nella valutazione delle condizioni di detenzione così accertate.

Qualora anche la risposta alla questione pregiudiziale sub 2) fosse nel senso che occorre riconoscere un’estensione degli obblighi di esame delle autorità giudiziarie dell’esecuzione a tutti gli istituti penitenziari [verso i quali l’interessato potrebbe essere trasferito]: a)

Se l’esame delle condizioni di detenzione di ciascun istituto penitenziario da parte delle autorità giudiziarie dell’esecuzione possa non risultare necessario nel caso in cui lo Stato membro emittente garantisca, in generale, che la persona di cui è chiesta la consegna non correrà il rischio di un trattamento inumano o degradante.

b)

Oppure se, invece di un esame delle condizioni di detenzione di ciascun istituto penitenziario in questione, la decisione delle autorità giudiziarie dell’esecuzione circa l’ammissibilità dell’estradizione possa essere condizionata al fatto che l’imputato non venga sottoposto ad un siffatto trattamento.

Qualora anche la risposta alla questione pregiudiziale sub 3) fosse nel senso che le garanzie e le condizioni non sono idonee a rendere superfluo


l’esame delle condizioni di detenzione di ciascun istituto penitenziario [verso il quale l’interessato potrebbe essere trasferito] nello Stato membro emittente da parte delle autorità giudiziarie dell’esecuzione: a)

Se l’obbligo di esame delle autorità giudiziarie dell’esecuzione debba estendersi alle condizioni di detenzione di ciascuno dei possibili istituti penitenziari anche nel caso in cui le autorità giudiziarie dello Stato membro emittente comunichino che la durata della reclusione in un determinato istituto della persona di cui è chiesta la consegna sarà limitata ad un periodo massimo di tre settimane, fatto salvo però il verificarsi di circostanze ostative.

b)

Se ciò trovi applicazione anche nel caso in cui le autorità giudiziarie dell’esecuzione non possano sapere se tali dati siano stati dichiarati dall’autorità giudiziaria emittente ovvero se essi provengano da una delle autorità centrali dello Stato membro emittente le quali si siano attivate a seguito di richiesta di assistenza da parte dell’autorità giudiziaria emittente».

Sul procedimento pregiudiziale d’urgenza 41

Il giudice del rinvio ha chiesto di sottoporre il presente rinvio pregiudiziale al procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto dall’articolo 107, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte.

42

A sostegno di tale richiesta, detto giudice ha indicato che la persona interessata è privata della libertà dal 23 novembre 2017 a titolo dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso dalle autorità giudiziarie ungheresi. Inoltre, detto giudice ritiene che, se fosse tenuto ad esaminare le condizioni di detenzione negli istituti penitenziari di transito o negli altri istituti dove tale persona potrebbe essere successivamente trasferita, esso dovrebbe inferirne che la consegna richiesta è illegittima, a meno di essere in grado di escludere qualsiasi rischio di trattamento inumano o degradante. Di conseguenza, sarebbe altresì tenuto a revocare l’arresto provvisorio a fini estradizionali.

43

A tale riguardo, occorre constatare, in primo luogo, che il presente rinvio pregiudiziale verte sull’interpretazione della decisione quadro, la quale rientra nei settori disciplinati dal titolo V della terza parte del Trattato FUE, relativo allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. A tale rinvio può dunque essere


applicato il procedimento pregiudiziale d’urgenza. 44

In secondo luogo, quanto al criterio relativo all’urgenza, occorre, sulla scorta della giurisprudenza costante della Corte, prendere in considerazione la circostanza che la persona interessata sia attualmente privata della libertà e che il suo mantenimento in detenzione dipenda dalla soluzione della controversia principale. Inoltre, la situazione di tale persona dev’essere valutata così come essa si presenta alla data dell’esame della domanda diretta ad ottenere che al rinvio pregiudiziale sia applicato il procedimento d’urgenza (sentenza del 22 dicembre 2017, Ardic, C-571/17 PPU, EU:C:2017:1026, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).

45

Orbene, nel caso di specie, da un lato, è pacifico che, a tale data, la persona interessata, trovandosi in stato di detenzione, fosse privata della libertà. Dall’altro, come risulta dalle spiegazioni fornite dal giudice del rinvio, il mantenimento in detenzione di quest’ultima dipende dall’esito del procedimento principale. Difatti, la misura di detenzione cui tale persona è sottoposta è stata ordinata nell’ambito dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso nei suoi confronti. Ne consegue che la decisione di detto giudice sulla sua eventuale consegna alle autorità ungheresi è in funzione delle risposte che la Corte darà alle presenti questioni pregiudiziali.

46

Alla luce di tali circostanze, la Prima Sezione della Corte ha deciso, il 17 aprile 2018, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, di accogliere la richiesta del giudice del rinvio di trattare il presente rinvio pregiudiziale con procedimento d’urgenza.

Sulle questioni pregiudiziali 47

Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafo 3, l’articolo 5 e l’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro debbano essere interpretati nel senso che, qualora disponga di elementi comprovanti l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione all’interno degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione possa escludere l’esistenza di un rischio reale che la persona interessata da un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà sia oggetto di un trattamento inumano o degradante, ai sensi


dell’articolo 4 della Carta, per il solo motivo che tale persona dispone, nello Stato membro emittente, di un mezzo di ricorso che le permette di contestare le sue condizioni di detenzione, e, in caso di risposta negativa, se detta autorità sia allora tenuta ad esaminare le condizioni di detenzione esistenti all’interno di tutti gli istituti penitenziari nei quali tale persona potrebbe eventualmente essere detenuta, ivi incluso a titolo temporaneo o transitorio, oppure soltanto le condizioni di detenzione esistenti nell’istituto dove, secondo le informazioni a disposizione di detta autorità, è probabile che essa sarà detenuta per la parte sostanziale della sua pena. Detto giudice chiede, inoltre, se le medesime disposizioni debbano essere interpretate nel senso che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione debba esaminare l’insieme delle condizioni di detenzione e se, nell’ambito di siffatto esame, questa autorità possa prendere in considerazione talune informazioni fornite da autorità dello Stato membro emittente diverse dall’autorità giudiziaria emittente, quali, in particolare, la garanzia che la persona interessata non sarà sottoposta a un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta. Osservazioni preliminari 48

Per rispondere alle questioni sollevate, occorre rammentare che il diritto dell’Unione poggia sulla premessa fondamentale secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri, e riconosce che questi condividono con esso, una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda, così come precisato all’articolo 2 TUE. Tale premessa implica e giustifica l’esistenza della fiducia reciproca tra gli Stati membri nel riconoscimento di tali valori e, dunque, nel rispetto del diritto dell’Unione che li attua [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 35 e giurisprudenza ivi citata].

49

Tanto il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri quanto il principio del mutuo riconoscimento, che si fonda a sua volta sulla fiducia reciproca tra questi ultimi, rivestono un’importanza fondamentale nel diritto dell’Unione, dato che consentono la creazione e il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne. Più specificamente, il principio della fiducia reciproca impone a ciascuno di tali Stati, segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, di ritenere, tranne che in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario),


C-216/18 PPU, punto 36 e giurisprudenza ivi citata]. 50

Quando attuano il diritto dell’Unione, gli Stati membri possono quindi essere tenuti, in forza di tale diritto, a presumere il rispetto dei diritti fondamentali da parte degli altri Stati membri, con la conseguenza che risulta loro preclusa la possibilità non solo di esigere da un altro Stato membro un livello di tutela nazionale dei diritti fondamentali più elevato di quello garantito dal diritto dell’Unione, ma anche, salvo in casi eccezionali, di verificare se tale altro Stato membro abbia effettivamente rispettato, in un caso concreto, i diritti fondamentali garantiti dall’Unione [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 37 e giurisprudenza ivi citata].

51

Emerge dal considerando 6 della decisione quadro che il mandato d’arresto europeo da essa previsto costituisce la prima concretizzazione, nel settore del diritto penale, del principio di riconoscimento reciproco. [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 38].

52

Come risulta, in particolare, dall’articolo 1, paragrafi 1 e 2, e dai considerando 5 e 7, della decisione quadro, quest’ultima è intesa a sostituire il sistema multilaterale di estradizione fondato sulla convenzione europea di estradizione, del 13 dicembre 1957, con un sistema di consegna tra le autorità giudiziarie delle persone condannate o sospettate, ai fini dell’esecuzione di sentenze o dell’esercizio di azioni penali, sistema quest’ultimo che è basato sul principio del riconoscimento reciproco [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 39 e giurisprudenza ivi citata].

53

La decisione quadro è quindi diretta, mediante l’instaurazione di un nuovo sistema semplificato e più efficace di consegna delle persone condannate o sospettate di aver violato la legge penale, a facilitare e ad accelerare la cooperazione giudiziaria allo scopo di contribuire a realizzare l’obiettivo assegnato all’Unione di diventare uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia fondandosi sull’elevato livello di fiducia che deve esistere tra gli Stati membri [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 40 e giurisprudenza ivi citata].

54

Nel settore disciplinato dalla decisione quadro, il principio di riconoscimento reciproco, che costituisce, come risulta in particolare dal considerando 6 della


stessa, il «fondamento» della cooperazione giudiziaria in materia penale, trova applicazione all’articolo 1, paragrafo 2, di tale decisione quadro, che sancisce la regola secondo cui gli Stati membri sono tenuti a dare esecuzione a ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della medesima decisione quadro. Le autorità giudiziarie dell’esecuzione possono, dunque, in via di principio, rifiutare di eseguire un siffatto mandato solo per i motivi di non esecuzione, tassativamente elencati, previsti dalla decisione quadro e possono subordinare l’esecuzione del mandato d’arresto europeo esclusivamente a una delle condizioni tassativamente previste all’articolo 5 di tale decisione quadro. Di conseguenza, mentre l’esecuzione del mandato d’arresto europeo costituisce il principio, il rifiuto di esecuzione è concepito come un’eccezione che deve essere oggetto di interpretazione restrittiva [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 41 e giurisprudenza ivi citata]. 55

Così, la decisione quadro enuncia espressamente i motivi di non esecuzione obbligatoria (articolo 3) e facoltativa (articoli 4 e 4 bis) del mandato d’arresto europeo, nonché le garanzie che lo Stato membro emittente deve fornire in casi particolari (articolo 5) [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

56

Cionondimeno, la Corte ha ammesso che limitazioni ai principi di riconoscimento e di fiducia reciproci tra Stati membri possano essere apportate «in circostanze eccezionali» [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 43 e giurisprudenza ivi citata].

57

In tale contesto, la Corte ha riconosciuto, a determinate condizioni, la facoltà per l’autorità giudiziaria dell’esecuzione di porre fine alla procedura di consegna istituita dalla decisione quadro qualora una siffatta consegna rischi di comportare un trattamento inumano o degradante del ricercato, ai sensi dell’articolo 4 della Carta [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 44 e giurisprudenza ivi citata].

58

A tal fine, la Corte si è fondata, da un lato, sull’articolo 1, paragrafo 3, di tale decisione quadro, che prevede che quest’ultima non può comportare la


modifica dell’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti agli articoli 2 e 6 TUE e, dall’altro, sul carattere assoluto del diritto fondamentale garantito dall’articolo 4 della Carta [sentenza odierna, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario), C-216/18 PPU, punto 45 e giurisprudenza ivi citata]. 59

Così, se l’autorità giudiziaria dello Stato membro d’esecuzione dispone di elementi che attestano un rischio reale di trattamento inumano o degradante delle persone detenute nello Stato membro emittente, tenuto conto del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione e, in particolare, dall’articolo 4 della Carta, essa è tenuta a valutare l’esistenza di tale rischio quando deve decidere sulla consegna della persona colpita da un mandato d’arresto europeo alle autorità dello Stato membro emittente. Invero, l’esecuzione di un siffatto mandato non può condurre a un trattamento inumano o degradante di tale persona (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 88).

60

A tal fine, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve, anzitutto, fondarsi su elementi oggettivi, attendibili, precisi e debitamente aggiornati sulle condizioni di detenzione all’interno degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente che dimostrino la presenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati istituti penitenziari. Tali elementi possono risultare, in particolare, da decisioni giudiziarie internazionali, quali le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, da decisioni giudiziarie dello Stato membro emittente, nonché da decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d’Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 89).

61

Tuttavia, l’accertamento dell’esistenza di un rischio reale di trattamento inumano o degradante a causa delle condizioni generali di detenzione nello Stato membro emittente non può condurre, di per sé, al rifiuto di dare esecuzione a un mandato d’arresto europeo. Infatti, la mera esistenza di elementi che attestano carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati istituti penitenziari nello Stato membro emittente, non comporta necessariamente che, in un caso concreto, la persona interessata sia sottoposta a un trattamento inumano o degradante in caso di consegna alle autorità di tale


Stato membro (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 91 e 93). 62

Quindi, per garantire il rispetto dell’articolo 4 della Carta nel caso specifico di una persona oggetto del mandato d’arresto europeo, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, a fronte di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati comprovanti l’esistenza di siffatte carenze, è tenuta, in seguito, a verificare in modo concreto e preciso se, nelle circostanze della fattispecie, sussistano motivi gravi e comprovati di ritenere che, dopo la sua consegna al suddetto Stato membro, tale persona correrà un rischio reale di essere ivi sottoposta a un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo in parola, a causa delle condizioni nelle quali sarà detenuta nello Stato membro emittente (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 92 e 94).

63

A tal fine, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, detta autorità deve chiedere all’autorità giudiziaria dello Stato membro emittente di fornire con urgenza ogni informazione complementare necessaria riguardante le condizioni alle quali si prevede di detenere la persona interessata all’interno di tale Stato membro. Siffatta richiesta può anche riguardare l’esistenza, nello Stato membro emittente, di eventuali procedimenti e meccanismi nazionali o internazionali di controllo delle condizioni di detenzione collegati, ad esempio, a visite negli istituti penitenziari, che consentano di valutare lo stato attuale delle condizioni di detenzione in tali istituti (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punti 95 e 96).

64

L’autorità giudiziaria emittente è tenuta a fornire tali informazioni all’autorità giudiziaria dell’esecuzione (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 97).

65

Se, tenuto conto delle informazioni fornite in forza dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, nonché di ogni altra informazione in possesso dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione, quest’ultima constata che sussiste, rispetto alla persona oggetto del mandato d’arresto europeo, un rischio reale di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta, l’esecuzione del mandato in parola deve essere rinviata ma non può essere abbandonata (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 98).


66

Per contro, nell’ipotesi in cui le informazioni ricevute dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione da parte dell’autorità giudiziaria emittente inducano ad escludere l’esistenza di un rischio reale che la persona interessata sia oggetto di un trattamento inumano o degradante nello Stato membro emittente, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve adottare, entro i termini fissati dalla decisione quadro, la propria decisione sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo, fatta salva la possibilità per la persona interessata, una volta consegnata, di esperire nell’ordinamento giuridico dello Stato membro emittente i mezzi di ricorso che gli permettono di contestare, se del caso, la legittimità delle sue condizioni di detenzione in un istituto penitenziario di tale Stato membro (sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 103).

67

Nel caso di specie, il giudice del rinvio ritiene di disporre di elementi comprovanti l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate nelle condizioni di detenzione in Ungheria. Infatti, secondo detto giudice, dalla sentenza della Corte EDU del 10 marzo 2015, Varga e altri c. Ungheria (CE:ECHR:2015:0310JUD001409712, §§ da 79 a 92) risulta che, poiché tale Stato membro sperimenta una situazione di sovraffollamento delle carceri, sussiste un rischio che le persone ivi detenute subiscano un trattamento inumano o degradante. Il giudice del rinvio considera che, alla data della pronuncia della decisione di rinvio, tale situazione perdurerebbe, in quanto, secondo le autorità ungheresi, sarebbero stati creati 1 000 posti negli istituti penitenziari, mentre il numero di posti mancanti sarebbe di 5 500. Peraltro, secondo detto giudice, è difficile valutare l’incidenza effettiva sulla riduzione del sovraffollamento delle carceri in Ungheria della possibilità di commutare la detenzione in arresti domiciliari, introdotta dalla legge del 2016.

68

Nelle sue osservazioni scritte e in sede di udienza, l’Ungheria ha contestato l’esistenza di tali carenze relative alle condizioni di detenzione sul suo territorio. Tale Stato membro ritiene che il giudice del rinvio riconosca a torto un’importanza smisurata alla sentenza della Corte EDU del 10 marzo 2015, Varga e altri c. Ungheria (CE:ECHR:2015:0310JUD001409712), senza tener conto dei fatti successivi alla pronuncia di tale sentenza. In particolare, detto giudice non avrebbe preso in considerazione né i miglioramenti apportati alla vita carceraria, né le modifiche legislative ai fini dell’ottemperanza alla suddetta sentenza o alle più recenti decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo.


69

A tal riguardo, occorre tuttavia sottolineare che, nell’ambito del presente rinvio, la Corte non è interrogata in merito all’esistenza di carenze sistematiche o generalizzate delle condizioni di detenzione in Ungheria.

70

Difatti, tramite le sue questioni, il giudice del rinvio, fondandosi sulla premessa dell’esistenza di simili carenze, mira, in sostanza, a determinare, alla luce della giurisprudenza richiamata ai punti da 61 a 66 della presente sentenza, se i vari elementi d’informazione che gli sono stati trasmessi dalle autorità dello Stato membro emittente siano tali da consentirgli di escludere l’esistenza di un rischio reale che la persona interessata sia sottoposta, nel suddetto Stato membro, a un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

71

Occorre pertanto rispondere a tali questioni partendo dalla premessa su cui si è fondato il giudice del rinvio, sotto la sua esclusiva responsabilità, e della quale è tenuto a verificare l’esattezza tenendo conto di dati debitamente aggiornati, come è stato rilevato al punto 60 della presente sentenza, alla luce, in particolare, dell’attuazione, a partire dal 1 o gennaio 2017, delle disposizioni della legge del 2016, dato che queste ultime sono potenzialmente in grado di rimettere in discussione tale premessa. Sull’esistenza di un mezzo di ricorso nello Stato membro emittente avente ad oggetto la legittimità delle condizioni di detenzione alla luce dei diritti fondamentali

72

È pacifico che, con la legge del 2016, l’Ungheria ha istituito, a partire dal 1o gennaio 2017, un mezzo di ricorso che permette ai detenuti di contestare, nell’ambito di un ricorso giurisdizionale, la legittimità delle loro condizioni di detenzione alla luce dei diritti fondamentali.

73

Come fanno valere tutti i soggetti interessati che hanno partecipato al presente procedimento, un simile mezzo di ricorso, benché idoneo a costituire un ricorso giurisdizionale effettivo, ai sensi dell’articolo 47 della Carta, non può, di per sé, essere sufficiente per escludere l’esistenza di un rischio reale che la persona interessata subisca un trattamento inumano o degradante nello Stato membro emittente, ai sensi dell’articolo 4 della suddetta Carta.

74

In effetti, benché un simile sindacato giurisdizionale a posteriori delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente costituisca uno sviluppo


importante tale da contribuire ad incoraggiare le autorità di quest’ultimo a migliorare dette condizioni e, di conseguenza, tale da poter essere preso in considerazione dalle autorità giudiziarie dell’esecuzione durante la valutazione complessiva delle previste condizioni di detenzione di una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo ai fini di decidere sulla consegna di quest’ultima, esso non è, di per sé, idoneo ad eliminare il rischio che tale persona sia sottoposta, in seguito alla sua consegna, a un trattamento contrario all’articolo 4 della Carta a causa delle sue condizioni di detenzione. 75

Pertanto, anche se lo Stato membro emittente prevede mezzi di ricorso volti a verificare la legittimità delle condizioni di detenzione alla luce dei diritti fondamentali, le autorità giudiziarie dell’esecuzione restano obbligate a procedere ad un esame individuale della situazione di ciascuna persona interessata, al fine di assicurarsi che la loro decisione sulla consegna di tale persona non esporrà quest’ultima, a causa delle predette condizioni, a un rischio reale di essere sottoposta ad un trattamento inumano o degradante ai sensi di tale disposizione.

76

Questa interpretazione non si pone affatto in contraddizione con quanto è stato giudicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza del 14 novembre 2017, Domján c. Ungheria (CE:ECHR:2017:1114DEC000543317). Infatti, in tale sentenza, la Corte europea dei diritti dell’uomo, da un lato, si è limitata a constatare che, poiché i ricorsi introdotti dalla legge del 2016 garantiscono, in via di principio, una effettiva correzione delle violazioni della CEDU derivanti dal sovraffollamento delle carceri e da altre condizioni di detenzione inadeguate in Ungheria, il ricorso introdotto dinanzi ad essa in quella causa doveva essere respinto in quanto irricevibile fintanto che non fossero stati esauriti i suddetti ricorsi di diritto interno. Dall’altro lato, essa ha precisato che si riservava il diritto di riesaminare l’effettività di tali ricorsi alla luce della loro applicazione pratica. Sulla portata dell’esame delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente Sugli istituti penitenziari da esaminare

77

Sulla scorta della giurisprudenza richiamata ai punti da 61 a 66 della presente sentenza, le autorità giudiziarie dell’esecuzione chiamate a decidere sulla consegna di una persona che è oggetto di un mandato d’arresto europeo devono


valutare, in modo concreto e preciso, se, nelle circostanze di specie, esista un rischio reale che nello Stato membro emittente tale persona sarà sottoposta a un trattamento inumano o degradante. 78

Ne consegue che l’esame che tali autorità sono tenute ad effettuare, alla luce del suo carattere concreto e preciso, non può vertere sulle condizioni generali di detenzione esistenti all’interno di tutti gli istituti penitenziari di quest’ultimo Stato membro nei quali la persona interessata potrebbe essere incarcerata.

79

A tale riguardo, si deve sottolineare che la possibilità per le autorità giudiziarie dell’esecuzione, conformemente all’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, di chiedere urgentemente le informazioni complementari necessarie, qualora non ritengano le informazioni comunicatele dallo Stato membro emittente sufficienti per permettere loro di adottare una decisione sulla consegna, è una soluzione di extrema ratio, applicabile ai soli casi eccezionali nei quali l’autorità giudiziaria dell’esecuzione ritenga di non disporre di tutti gli elementi formali necessari ai fini dell’adozione urgente della sua decisione sulla consegna (v., in tal senso, sentenza del 23 gennaio 2018, Piotrowski, C-367/16, EU:C:2018:27, punti 60 e 61).

80

Tale disposizione non può dunque essere utilizzata dalle autorità giudiziarie dell’esecuzione per chiedere, in modo sistematico, alle autorità dello Stato membro emittente informazioni generali concernenti le condizioni di detenzione degli istituti penitenziari nei quali una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo potrebbe essere incarcerata.

81

Del resto, una siffatta domanda finirebbe, nella maggior parte dei casi, con il chiedere informazioni su tutti gli istituti penitenziari situati nel territorio dello Stato membro emittente, dato che una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo potrebbe, di norma, essere detenuta in qualsiasi istituto penitenziario situato nel territorio di quest’ultimo. Orbene, in generale non è possibile, nella fase di esecuzione di un mandato d’arresto europeo, identificare tutti gli istituti penitenziari nei quali tale persona sarà effettivamente detenuta, giacché un trasferimento da un istituto ad un altro potrebbe essere giustificato dal sopravvenire di circostanze imprevedibili, o addirittura estranee alla persona interessata.

82

Tali considerazioni sono corroborate dall’obiettivo perseguito dalla decisione quadro, il quale, come risulta già dal punto 53 della presente sentenza, consiste, mediante l’instaurazione di un sistema semplificato e più efficace di consegna


tra autorità giudiziarie delle persone condannate o sospettate di aver violato la legge penale, a facilitare e ad accelerare le consegne. 83

Infatti, tale obiettivo è sotteso, in particolare, alla disciplina dei termini per l’emanazione delle decisioni relative al mandato d’arresto europeo, che gli Stati membri devono rispettare e la cui importanza è espressa in diverse disposizioni della decisione quadro, tra le quali, in particolare, il suo articolo 17 (v., in tal senso, sentenza del 23 gennaio 2018, Piotrowski, C-367/16, EU:C:2018:27, punti 55 e 56).

84

Ebbene, l’obbligo per le autorità giudiziarie dell’esecuzione di esaminare le condizioni di detenzione esistenti all’interno di tutti gli istituti penitenziari nei quali la persona interessata potrebbe essere detenuta nello Stato membro emittente è manifestamente eccessivo. Esso è peraltro impossibile da realizzare entro i termini previsti dall’articolo 17 della decisione quadro. Un simile esame sarebbe infatti tale da differire in modo sostanziale la consegna della persona interessata e, pertanto, da privare di ogni effetto utile il funzionamento del sistema del mandato d’arresto europeo.

85

Ne conseguirebbe un rischio di impunità della persona ricercata e ciò tanto più qualora, come nel procedimento principale, che riguarda l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione abbia constatato che non risultano soddisfatte le condizioni di applicazione del motivo di non esecuzione facoltativa del mandato di arresto europeo di cui all’articolo 4, punto 6, della decisione quadro, il quale permette allo Stato membro di esecuzione di impegnarsi ad eseguire esso stesso tale pena conformemente al suo diritto interno, allo scopo, in particolare, di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona interessata (v., in particolare, sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU:C:2012:517, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

86

Orbene, una siffatta impunità sarebbe incompatibile con l’obiettivo perseguito tanto dalla decisione quadro (v., in tal senso, sentenza del 29 giugno 2017, Popławski, C-579/15, EU:C:2017:503, punto 23) quanto dall’articolo 3, paragrafo 2, TUE, nel cui ambito s’inscrive tale decisione quadro, e secondo il quale l’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere


esterne, nonché la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima (sentenza del 6 settembre 2016, Petruhhin, C-182/15, EU:C:2016:630, punti 36 e 37). 87

Di conseguenza, in considerazione della fiducia reciproca che deve sussistere tra gli Stati membri, sulla quale si fonda il sistema del mandato d’arresto europeo, e tenuto conto, in particolare, dei termini per l’esecuzione di un tale mandato impartiti alle autorità giudiziarie dell’esecuzione dall’articolo 17 della decisione quadro, dette autorità sono tenute unicamente ad esaminare le condizioni di detenzione negli istituti penitenziari nei quali, secondo le informazioni di cui esse dispongono, sia concretamente previsto che tale persona sarà detenuta, anche in via temporanea o transitoria. La conformità, alla luce dei diritti fondamentali, delle condizioni di detenzione esistenti negli altri istituti penitenziari dove detta persona potrebbe eventualmente essere incarcerata in seguito rientra, sulla scorta della giurisprudenza ricordata al punto 66 della presente sentenza, nella sola competenza degli organi giurisdizionali dello Stato membro emittente.

88

Nel caso di specie, anche se tali informazioni non sono state fornite dall’autorità giudiziaria emittente, è incontestato fra tutti i soggetti che hanno partecipato al presente procedimento che la persona interessata, in caso di consegna alle autorità ungheresi, sarà detenuta inizialmente nell’istituto penitenziario di Budapest per un periodo da una a tre settimane, prima di essere trasferita nell’istituto penitenziario di Szombathely, ma non è stato escluso che la stessa possa essere successivamente trasferita verso un altro istituto penitenziario.

89

Ciò posto, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve controllare le condizioni di detenzione della persona interessata soltanto in tali due istituti penitenziari. Sull’esame delle condizioni di detenzione

90

In assenza di regole minime, nel diritto dell’Unione, relative alle condizioni di detenzione, si deve ricordare che, come già constatato nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi et Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 90), l’articolo 3 della CEDU fa gravare sulle autorità dello Stato sul cui territorio viene eseguita una detenzione un obbligo positivo consistente nell’assicurare che ogni detenuto sia incarcerato in condizioni che garantiscano il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della


misura non sottopongano l’interessato ad uno stato di sconforto né ad una prova d’intensità che ecceda l’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati adeguatamente (Corte EDU, 25 aprile 2017, Rezmiveș e altri c. Romania, CE:ECHR:2017:0425JUD00614672, § 72). 91

A tal riguardo, al fine di rientrare nell’articolo 3 della CEDU, un maltrattamento deve raggiungere una soglia minima di gravità, che dipende dall’insieme dei dati della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o psichici nonché, in certi casi, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima (Corte EDU, 20 ottobre 2016, Muršić c. Croazia, CE:ECHR:2016:0904JUD000014010, §§ 97 e 122).

92

Tenuto conto dell’importanza attribuita al fattore spaziale nella valutazione globale delle condizioni di detenzione, il fatto che lo spazio personale di cui dispone un detenuto sia inferiore a 3 m² in una cella collettiva fa nascere una forte presunzione di violazione dell’articolo 3 della CEDU (Corte EDU, 20 ottobre 2016, Muršić c. Croazia, CE:ECHR:2016:0904JUD000014010, § 124).

93

Tale forte presunzione di violazione dell’articolo 3 della CEDU può, di norma, essere superata solo se: in primo luogo, le riduzioni dello spazio personale in rapporto al minimo obbligatorio di 3 m2sono brevi, occasionali e minori; in secondo luogo, esse si accompagnano a una libertà di movimento sufficiente fuori della cella e ad attività fuori cella adeguate, e, in terzo luogo, l’istituto offre, in linea generale, condizioni di detenzione dignitose e la persona interessata non è sottoposta ad altri elementi ritenuti circostanze aggravanti delle cattive condizioni di detenzione (Corte EDU, 20 ottobre 2016, Muršić c. Croazia, CE:ECHR:2016:0904JUD000014010, § 138).

94

Nel caso di specie, a parere del giudice del rinvio stesso, le informazioni a sua disposizione in merito alle condizioni di detenzione nell’istituto penitenziario di Szombathely, nel quale è pacifico che la persona interessata dovrebbe scontare la parte sostanziale della pena privativa della libertà che le è stata inflitta in Ungheria, inducono ad escludere l’esistenza di un rischio reale che essa sia oggetto di un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, ciò che nessuno degli interessati che hanno partecipato al presente procedimento ha, del resto, contestato.

95

Pertanto, spetta all’autorità giudiziaria dell’esecuzione verificare se la persona


interessata sarebbe, invece, esposta a un simile rischio nell’istituto penitenziario di Budapest. 96

Non è decisivo, a tal riguardo, il fatto che la detenzione in tale istituto sia prevista solo per la durata della procedura di consegna e non dovrebbe pertanto eccedere, secondo le informazioni fornite dalle autorità dello Stato membro emittente, in via di principio, le tre settimane.

97

È vero che dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo risulta che la durata di un periodo di detenzione può, come risulta già dai punti 91 e 93 della presente sentenza, essere un fattore rilevante ai fini della valutazione della gravità della sofferenza o dell’umiliazione subite da un detenuto a causa delle cattive condizioni di detenzione (Corte EDU, 20 ottobre 2016, Muršić c. Croazia, CE:ECHR:2016:0904JUD000014010, § 131).

98

Tuttavia, la brevità relativa di un periodo di detenzione, di per sé, non sottrae automaticamente il trattamento controverso all’ambito di applicazione dell’articolo 3 della CEDU qualora altri elementi siano sufficienti per farlo rientrare nell’ambito di tale disposizione.

99

Inoltre, se la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che, quando il detenuto dispone di uno spazio inferiore a 3 m², un periodo di detenzione di qualche giorno può essere assimilato a un breve periodo, un periodo di circa 20 giorni, come quello considerato nel procedimento principale dalle autorità dello Stato membro emittente, che non è, per di più, neppure escluso che possa essere prolungato nel caso di sopravvenienza di «circostanze ostative» non altrimenti specificate, non può essere considerato come un periodo breve (Corte EDU, 20 ottobre 2016, Muršić c. Croazia, CE:ECHR:2016:0904JUD000014010, §§ 146, 152 e 154).

100

Ne consegue che il carattere temporaneo o transitorio di una detenzione in siffatte condizioni non è idoneo, di per sé solo, ad escludere qualsiasi rischio reale di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

101

Pertanto, come è già stato constatato al punto 63 della presente sentenza, se l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non ritiene le informazioni a sua disposizione sufficienti per permetterle di adottare una decisione sulla consegna, essa può chiedere urgentemente all’autorità giudiziaria emittente, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, di fornire le informazioni complementari da essa ritenute necessarie, in modo da ottenere


chiarimenti in merito alle condizioni di detenzione concrete e precise della persona interessata nell’istituto penitenziario di cui trattasi. 102

Nel caso di specie, dagli elementi presentati alla Corte risulta che le autorità ungheresi non hanno fornito risposte alle 78 domande trasmesse il 10 gennaio 2018, in attuazione dell’ordinanza del giudice del rinvio del 9 gennaio 2018, dal pubblico ministero di Brema, e relative alle condizioni di detenzione esistenti nell’istituto penitenziario di Budapest nonché in qualsiasi altro istituto in cui la persona interessata potrebbe, eventualmente, essere incarcerata.

103

Se alcune di queste domande, prese singolarmente, sono rilevanti ai fini dell’esame delle concrete e precise condizioni di detenzione della persona interessata in relazione agli elementi indicati al punto 93 della presente sentenza, risulta tuttavia evidente che, come pure sostanzialmente rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 76 delle sue conclusioni, dette domande, per numero e portata, comprendenti ogni istituto penitenziario in cui la persona interessata potrebbe essere incarcerata, e per contenuto, che copre aspetti della detenzione senza evidente rilevanza ai fini del suddetto esame, quali, fra l’altro, la pratica di un culto, la possibilità di fumare, le modalità di lavaggio dei vestiti nonché l’installazione di barre o di persiane alle finestre delle celle, renderebbero praticamente impossibile qualsiasi risposta utile da parte delle autorità dello Stato membro emittente, tenuto conto, in particolare, dei termini molto brevi previsti all’articolo 17 della decisione quadro per l’esecuzione di un mandato di arresto europeo.

104

Una richiesta di questo tipo, che finisce col paralizzare il funzionamento del mandato d’arresto europeo, non è compatibile con l’obbligo di leale cooperazione sancito all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, TUE, sul quale deve essere improntato il dialogo tra le autorità giudiziarie dell’esecuzione e le autorità giudiziarie emittenti, in particolare, nell’ambito della comunicazione di informazioni di cui all’articolo 15, paragrafi 2 e 3, della decisione quadro.

105

In udienza, il pubblico ministero di Brema ha affermato in proposito di non aver mai ricevuto una risposta a questo tipo di richieste di informazioni, che il giudice del rinvio indirizzerebbe sistematicamente alle autorità di tre Stati membri emittenti, tra cui l’Ungheria. Esso ha precisato che una prassi di questo tipo ha per conseguenza che, in assenza di decisioni di approvazione delle consegne da parte di tale giudice, ormai nessun mandato d’arresto europeo emesso da un’autorità giudiziaria di uno di questi tre Stati membri viene più


eseguito da tale pubblico ministero. 106

Ciò precisato, consta che, in risposta alla richiesta del 10 gennaio 2018, le autorità ungheresi hanno fornito al pubblico ministero di Brema, nelle loro lettere del 20 settembre 2017 e del 27 marzo 2018, la garanzia che la persona interessata non sarà sottoposta, a causa della sua detenzione in Ungheria, ad alcun trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta, a prescindere dall’istituto nel quale sarà incarcerata.

107

Occorre quindi esaminare se, e in quale misura, una simile garanzia possa essere presa in considerazione dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione ai fini dell’adozione della sua decisione sulla consegna della persona interessata. Sulla presa in considerazione delle rassicurazioni fornite dalle autorità dello Stato membro emittente

108

Si deve ricordare che l’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro autorizza espressamente l’autorità giudiziaria dell’esecuzione che non ritenga le informazioni comunicatele dallo Stato membro emittente sufficienti per permetterle di adottare una decisione sulla consegna, a chiedere urgentemente le informazioni complementari necessarie. Inoltre, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 3, della decisione quadro, l’autorità giudiziaria emittente può, in qualsiasi momento, trasmettere tutte le informazioni supplementari utili all’autorità giudiziaria dell’esecuzione.

109

Inoltre, in forza del principio di leale cooperazione sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, TUE, l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati (sentenza del 6 settembre 2016, Petruhhin, C-182/15, EU:C:2016:630, punto 42).

110

Conformemente a tali disposizioni, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione e l’autorità giudiziaria emittente possono, rispettivamente, chiedere informazioni o fornire garanzie in merito alle condizioni concrete e precise nelle quali la persona interessata sarà detenuta nello Stato membro emittente.

111

La garanzia fornita dalle autorità competenti dello Stato membro emittente circa il fatto che la persona interessata non sarà sottoposta ad un trattamento inumano o degradante a causa delle sue concrete e precise condizioni di detenzione a prescindere dall’istituto penitenziario in cui sarà incarcerata nello


Stato membro emittente è un elemento che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non può ignorare. In effetti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 64 delle sue conclusioni, la violazione di una simile garanzia, poiché è idonea a vincolare il suo autore, potrebbe essere fatta valere, in caso di sua violazione, dinanzi alle autorità giudiziarie dello Stato membro emittente. 112

Qualora tale garanzia sia stata apportata o, quanto meno, approvata dall’autorità giudiziaria emittente, ove necessario, previa richiesta di assistenza all’autorità centrale o a una delle autorità centrali dello Stato membro emittente ai sensi dell’articolo 7 della decisione quadro, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, tenuto conto della fiducia reciproca che deve sussistere tra le autorità giudiziarie degli Stati membri, e sulla quale si fonda il sistema del mandato d’arresto europeo, deve fidarsi della prima, perlomeno in assenza di qualsivoglia elemento preciso che permetta di ritenere che le condizioni di detenzione esistenti all’interno di un determinato istituto penitenziario siano contrarie all’articolo 4 della Carta.

113

Nel caso di specie, la garanzia fornita dal Ministero della Giustizia ungherese il 20 settembre 2017, e reiterata il 27 marzo 2018, circa il fatto che la persona interessata non sarà sottoposta ad alcun trattamento inumano o degradante a causa delle sue condizioni di detenzione in Ungheria non è stata, tuttavia, né fornita né approvata dall’autorità giudiziaria emittente, come espressamente confermato dal governo ungherese durante l’udienza.

114

Dal momento che non promana da un’autorità giudiziaria, il contenuto di una simile garanzia deve essere determinato procedendo a una valutazione globale dell’insieme degli elementi a disposizione dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione.

115

Orbene, a tal proposito, si deve osservare che la garanzia fornita dal Ministero della Giustizia ungherese risulta corroborata dalle informazioni di cui dispone il pubblico ministero di Brema. Infatti, in risposta ai quesiti della Corte, quest’ultima ha affermato, in udienza, che tali elementi, risultanti, in particolare, dell’esperienza acquisita durante le procedure di consegna attuate prima della pronuncia della sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198), gli permettono di considerare che le condizioni di detenzione nell’istituto penitenziario di Budapest, attraverso il quale transita chiunque sia oggetto di un mandato d’arresto europeo emesso


dalle autorità ungheresi, non sono in contrasto con l’articolo 4 della Carta. 116

Ciò posto, la consegna della persona interessata alle autorità ungheresi sembra consentita nel rispetto dell’articolo 4 della Carta, tuttavia la verifica di tale circostanza compete al giudice del rinvio.

117

In considerazione di tutto quanto precede, alle questioni sollevate occorre rispondere nel senso che l’articolo 1, paragrafo 3, l’articolo 5 e l’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro devono essere interpretati nel senso che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, qualora disponga di elementi comprovanti l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione all’interno degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, dei quali compete al giudice del rinvio verificare l’esattezza tenendo conto di tutti i dati aggiornati disponibili: –

l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non può escludere l’esistenza di un rischio reale che la persona interessata da un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà sia oggetto di un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, per il solo motivo che tale persona disponga, nello Stato membro emittente, di un mezzo di ricorso che le permette di contestare le sue condizioni di detenzione, sebbene l’esistenza di un simile mezzo di ricorso possa essere presa in considerazione da parte della medesima autorità al fine di adottare una decisione sulla consegna della persona interessata;

l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è tenuta unicamente ad esaminare le condizioni di detenzione negli istituti penitenziari nei quali è probabile, secondo le informazioni a sua disposizione, che la suddetta persona sarà detenuta, anche in via temporanea o transitoria;

l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve verificare, a tal fine, solo le condizioni di detenzione concrete e precise della persona interessata che siano rilevanti al fine di stabilire se essa correrà un rischio reale di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta;

l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può prendere in considerazione talune informazioni fornite da autorità dello Stato membro emittente diverse dall’autorità giudiziaria emittente, quali, in particolare, la garanzia che la persona interessata non sarà sottoposta a un trattamento inumano o


degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

Sulle spese 118

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara: L’articolo 1, paragrafo 3, l’articolo 5 e l’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, devono essere interpretati nel senso che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, qualora disponga di elementi comprovanti l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione all’interno degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, dei quali compete al giudice del rinvio verificare l’esattezza tenendo conto di tutti i dati aggiornati disponibili: –

l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non può escludere l’esistenza di un rischio reale che la persona interessata da un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà sia oggetto di un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, per il solo motivo che tale persona disponga, nello Stato membro emittente, di un mezzo di ricorso che le permette di contestare le sue condizioni di detenzione, sebbene l’esistenza di un simile mezzo di ricorso possa essere presa in considerazione da parte della medesima autorità al fine di adottare una decisione sulla consegna della persona interessata;

l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è tenuta unicamente ad esaminare le condizioni di detenzione negli istituti penitenziari nei quali è probabile, secondo le informazioni a sua disposizione, che la


suddetta persona sarà detenuta, anche in via temporanea o transitoria; –

l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve verificare, a tal fine, solo le condizioni di detenzione concrete e precise della persona interessata che siano rilevanti al fine di stabilire se essa correrà un rischio reale di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;

l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può prendere in considerazione talune informazioni fornite da autorità dello Stato membro emittente diverse dall’autorità giudiziaria emittente, quali, in particolare, la garanzia che la persona interessata non sarà sottoposta a un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Firme

*

Lingua processuale: il tedesco.

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE M. CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA presentate il 4 luglio 2018 (1)

Causa C-220/18 PPU

ML con l’intervento di: Generalstaatsanwaltschaft Bremen [Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land di Brema,


Germania)] «Rinvio pregiudiziale – Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale – Decisione quadro 2002/584/GAI – Mandato d’arresto europeo – Motivi di rifiuto dell’esecuzione – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 4 – Divieto di trattamenti inumani o degradanti – Condizioni di detenzione nello Stato membro emittente»

1. Nel presente rinvio pregiudiziale vengono sollevate nuovamente questioni concernenti un mandato d’arresto europeo (MAE) in seguito all’interpretazione della decisione quadro 2002/584/GAI (2) da parte della Corte nella sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (3). 2. Il giudice del rinvio chiede alla Corte di fornire ulteriori chiarimenti in merito all’orientamento contenuto in tale sentenza, segnatamente per il caso in cui le (eventuali) violazioni del diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti negli istituti penitenziari dello Stato emittente del MAE siano suscettibili di rimedio da parte degli organi giudiziari di tale Stato.

I.

Contesto normativo

A.

Diritto dell’Unione

1.

Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

3.

L’articolo 4 sancisce:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti». 2.

Decisione quadro


4.

I considerando 5, 6, 8, 10 e 12 sono del seguente tenore:

«(5)

(…) l’introduzione di un nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate, al fine dell’esecuzione delle sentenze di condanna in materia penale o per sottoporle all’azione penale, consente di eliminare la complessità e i potenziali ritardi inerenti alla disciplina attuale in materia di estradizione. (…)

(6)

Il mandato d’arresto europeo previsto nella presente decisione quadro costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco che il Consiglio europeo ha definito il fondamento della cooperazione giudiziaria.

(…) (8)

Le decisioni relative all’esecuzione di un mandato d’arresto europeo devono essere sottoposte a un controllo sufficiente, il che implica che l’autorità giudiziaria dello Stato membro in cui la persona ricercata è stata arrestata dovrà prendere la decisione relativa alla sua consegna.

(…) (10)

Il meccanismo del mandato d’arresto europeo si basa su un elevato livello di fiducia tra gli Stati membri. L’attuazione di tale meccanismo può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all’articolo 6, paragrafo 1, [UE divenuto, in seguito a modifica, articolo 2 TUE], constatata dal Consiglio in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, [UE divenuto, in seguito a modifica, articolo 7, paragrafo 2, TUE], e con le conseguenze previste al paragrafo 2 dello stesso articolo.

(…) (12)

La presente decisione quadro rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi sanciti dall’articolo 6 [UE] e contenuti nella Carta (…), segnatamente il capo VI. Nessun elemento della presente decisione quadro può essere interpretato nel senso che non sia consentito rifiutare di procedere alla consegna di una persona che forma oggetto di un mandato d’arresto europeo qualora sussistano elementi oggettivi per ritenere che il mandato d’arresto europeo sia stato emesso al fine di perseguire penalmente o punire una persona a causa del suo sesso, della sua razza,


religione, origine etnica, nazionalità, lingua, opinione politica o delle sue tendenze sessuali oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi. (…)» 5.

L’articolo 1 dispone:

«1. Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà. 2. Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro. 3. L’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 [UE] non può essere modificato per effetto della presente decisione quadro». 6.

L’articolo 5 sancisce:

«L’esecuzione del mandato d’arresto europeo da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione può essere subordinata dalla legge dello Stato membro di esecuzione ad una delle seguenti condizioni: (…) 2)

Se il reato in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso è punibile con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà a vita, l’esecuzione di tale mandato può essere subordinata alla condizione che lo Stato membro emittente preveda nel suo ordinamento giuridico una revisione della pena comminata – su richiesta o al più tardi dopo 20 anni – oppure l’applicazione di misure di clemenza alle quali la persona ha diritto in virtù della legge o della prassi dello Stato membro di emissione, affinché la pena o la misura in questione non siano eseguite.

3)

Se la persona oggetto del mandato d’arresto europeo ai fini di un’azione penale è cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione, la consegna può essere subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà


eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro emittente». 7.

Ai sensi dell’articolo 6:

«1. Per autorità giudiziaria emittente si intende l’autorità giudiziaria dello Stato membro emittente che, in base alla legge di detto Stato, è competente a emettere un mandato d’arresto europeo. 2. Per autorità giudiziaria dell’esecuzione si intende l’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione che, in base alla legge di detto Stato, è competente dell’esecuzione del mandato di arresto europeo. 3. Ciascuno Stato membro comunica al Segretariato generale del Consiglio qual è l’autorità competente in base al proprio diritto interno». 8.

L’articolo 7 recita:

«1. Ciascuno Stato membro può designare un’autorità centrale o, quando il suo ordinamento giuridico lo prevede, delle autorità centrali per assistere le autorità giudiziarie competenti. 2. Uno Stato membro può, se l’organizzazione del proprio sistema giudiziario interno lo rende necessario, affidare alla (alle) propria (proprie) autorità centrale (centrali) la trasmissione e la ricezione amministrativa dei mandati d’arresto europei e della corrispondenza ufficiale ad essi relativa. Lo Stato membro che voglia avvalersi delle facoltà descritte nel presente articolo comunica al Segretariato generale del Consiglio le informazioni relative all’autorità centrale (alle autorità centrali) designata(e). Dette indicazioni sono vincolanti per tutte le autorità dello Stato membro emittente». 9.

Ai sensi dell’articolo 15:

«1. L’autorità giudiziaria dell’esecuzione decide la consegna della persona nei termini e alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro. 2. L’autorità giudiziaria dell’esecuzione che non ritiene le informazioni comunicatele dallo Stato membro emittente sufficienti per permetterle di prendere una decisione sulla consegna, richiede urgentemente le informazioni complementari necessarie segnatamente in relazione agli articoli 3, 4, 5 e 8 e può stabilire un termine per la ricezione delle stesse, tenendo conto


dell’esigenza di rispettare i termini fissati all’articolo 17. 3. L’autorità giudiziaria emittente può, in qualsiasi momento, trasmettere tutte le informazioni supplementari utili all’autorità giudiziaria dell’esecuzione». B. Diritto tedesco. Gesetz über die internationale Rechtshilfe in Strafsachen (4) 10. La decisione quadro è stata recepita nell’ordinamento giuridico tedesco dagli articoli da 78 a 83, lettera k), modificati (5), dell’IRG. 11. Ai sensi dell’articolo 29, comma 1, dell’IRG, l’Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land di Brema, Germania) decide in merito all’ammissibilità della consegna qualora l’imputato non abbia acconsentito alla stessa. 12.

L’articolo 73 dell’IRG prevede:

«In mancanza di una richiesta in tal senso, l’assistenza giudiziaria e la trasmissione di informazioni sono illegittime se contrastano con principi essenziali dell’ordinamento giuridico tedesco. In caso di richiesta ai sensi delle parti ottava, nona e decima, l’assistenza giudiziaria è illegittima se contrasta con i principi sanciti dall’articolo 6 [TUE]».

II.

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

13. Il 31 ottobre 2017, il Nyiregyházai járásbíróság (Tribunale distrettuale di Nyiregyhéza, Ungheria) emetteva un MAE ai fini dell’esecuzione della condanna di un anno e otto mesi di reclusione inflitta a ML, cittadino ungherese, ritenuto colpevole dei reati di lesioni, danni, truffa e furto, con sentenza pronunciata (in absentia) il 14 settembre 2017. 14. Il medesimo giudice ungherese aveva emesso precedentemente, in data 2 agosto 2017, un altro MAE volto a ottenere la consegna di ML ai fini di sottoporlo a giudizio per i fatti riguardo ai quali sarebbe stato successivamente condannato. 15. L’Amtsgericht Bremen (Tribunale circoscrizionale di Brema, Germania) ha disposto l’arresto di ML il 12 dicembre 2017. Tuttavia, ML era già detenuto


dal 23 novembre dello stesso anno, in esecuzione del primo MAE. 16. Con ordinanza del 19 dicembre 2017, l’Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land di Brema), dopo aver revocato l’arresto eseguito in attuazione del primo MAE, ha disposto l’arresto di ML ai fini di dare esecuzione al MAE del 31 ottobre 2017. 17. ML si è opposto alla sua consegna alle autorità ungheresi, richiedendo la presentazione di una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte. Prima di pronunciarsi sulla consegna, l’autorità giudiziaria ha richiesto ulteriori chiarimenti. 18. Nell’ambito del primo MAE, il Ministero della Giustizia ungherese aveva già trasmesso all’Hanseatisches Oberlandesgericht di Brema (Tribunale superiore del Land di Brema) informazioni riguardo agli istituti penitenziari in cui ML sarebbe stato detenuto, garantendo che in nessun caso sarebbe stato sottoposto a trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). 19. Sulla base di tali informazioni, il giudice dell’esecuzione, con decisione del 9 gennaio 2018, dichiarava che la detenzione di ML in uno degli istituti penitenziari indicati dal Ministero della Giustizia ungherese non presentava difficoltà. Tuttavia, nutriva dubbi in merito alle condizioni di altri istituti penitenziari, indicati anch’essi da tale Ministero come possibili strutture in cui l’interessato avrebbe potuto essere accolto, motivo per cui, in applicazione dei principi sull’esecuzione delle pene approvati dal Consiglio d’Europa nel 2006 (6) e delle regole minime per il trattamento dei detenuti delle Nazioni Unite (7), rivolgeva alle autorità ungheresi una serie di quesiti (8). 20. Nella risposta del Ministero della Giustizia ungherese del 12 gennaio 2018, si rilevava che il 25 ottobre 2016 erano entrate in vigore leggi atte a consentire ai detenuti di esperire mezzi di ricorso contro le loro condizioni di detenzione. 21.

Tali informazioni sono state integrate dal Ministero della Giustizia

ungherese, il 1o febbraio 2018, con il dato che l’imputato sarebbe stato accolto nel penitenziario di Budapest per un periodo da una a tre settimane, fatte salve circostanze ostative. In tale periodo di tempo, sarebbero state adottate misure non specificate in relazione all’esecuzione della consegna.


22. Il 12 febbraio 2018, il giudice dell’esecuzione ha chiesto alcuni dettagli sulle condizioni del carcere di Budapest. Ha chiesto, inoltre, in quali altri istituti penitenziari avrebbe potuto essere accolto ML e su quale base concreta avrebbe potuto verificare le condizioni di detenzione ivi sussistenti. Le autorità ungheresi non hanno risposto a siffatta richiesta entro il termine fissato da detto giudice dell’esecuzione (28 febbraio 2018) (9). 23. La Procura tedesca si è dichiarata favorevole all’esecuzione del MAE a cui ML si oppone. In tali circostanze, l’Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land di Brema) ha sottoposto le seguenti questioni pregiudiziali, richiedendo l’adozione del procedimento d’urgenza: «1)

2)

Quale rilievo abbia, nell’ambito dell’interpretazione delle norme summenzionate, il fatto che nello Stato membro emittente ci siano mezzi di ricorso per la tutela dei reclusi con riguardo alle loro condizioni di detenzione. a)

Ove siano dedotte alle autorità giudiziarie dell’esecuzione prove dell’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente che colpiscono determinati gruppi di persone oppure determinati istituti penitenziari, se, nel rispetto delle norme summenzionate, già per la disponibilità di siffatti mezzi di ricorso debba essere escluso un rischio concreto di trattamento inumano o degradante della persona di cui è chiesta la consegna in caso di sua estradizione, il quale osti all’ammissibilità di quest’ultima, senza che sia necessario un ulteriore esame delle concrete condizioni di detenzione.

b)

Se sia rilevante a tal riguardo la circostanza che, in ordine a detti mezzi di ricorso, la Corte europea dei diritti dell’uomo non abbia rinvenuto elementi a favore del fatto che tali rimedi non offrano ai reclusi prospettive realistiche di miglioramento delle condizioni di detenzione inadeguate.

Qualora la risposta alla questione pregiudiziale sub 1) dovesse essere nel senso che l’esistenza di tali mezzi di ricorso per la tutela dei reclusi non sia idonea ad escludere un rischio concreto di trattamento inumano o degradante della persona di cui è chiesta la consegna senza un ulteriore esame delle concrete condizioni di detenzione nello Stato membro emittente da parte delle autorità giudiziarie dell’esecuzione:


3)

4)

a)

Se le norme summenzionate debbano essere interpretate in modo tale che l’esame delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente da parte delle autorità giudiziarie dell’esecuzione si estenda a tutti gli istituti penitenziari o altre strutture carcerarie in cui la persona di cui è chiesta la consegna potrebbe essere eventualmente accolto. Se ciò trovi applicazione anche qualora si tratti di detenzione in determinati istituti penitenziari a titolo provvisorio oppure a fini di trasferimento. Oppure se l’esame possa limitarsi a quell’istituto penitenziario in cui la persona di cui è chiesta la consegna, in base a quanto indicato dalle autorità dello Stato membro emittente, dovrebbe essere probabilmente accolto per la maggior parte del periodo.

b)

Se sia a tal proposito necessario di volta in volta un esame completo delle rispettive condizioni di detenzione volto ad accertare sia la superficie dello spazio individuale per detenuto sia le altre condizioni della reclusione. Se occorra tener conto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di cui alla decisione Muršić/Croazia (sentenza del [20] ottobre 2016, n. 7334/13 [CE:ECHR:2016:1020JUD000733413]) nella valutazione delle condizioni di detenzione così accertate.

Qualora anche a la risposta alla questione pregiudiziale sub 2) fosse nel senso che occorre riconoscere un’estensione degli obblighi di esame delle autorità giudiziarie dell’esecuzione a tutti gli istituti penitenziari in questione: a)

Se l’esame delle condizioni di detenzione di ciascun istituto penitenziario da parte delle autorità giudiziarie dell’esecuzione possa non risultare necessario nel caso in cui lo Stato membro emittente garantisca, in generale, che la persona di cui è chiesta la consegna non correrà il rischio di un trattamento inumano o degradante.

b)

Oppure se, invece di un esame delle condizioni di detenzione di ciascun istituto penitenziario in questione, la decisione delle autorità giudiziarie dell’esecuzione circa l’ammissibilità dell’estradizione possa essere condizionata al fatto che l’imputato non venga sottoposto ad un siffatto trattamento.

Qualora anche la risposta alla questione pregiudiziale sub 3) fosse nel


senso che le garanzie e le condizioni non sono idonee a rendere superfluo l’esame delle condizioni di detenzione di ciascun istituto penitenziario nello Stato membro emittente da parte delle autorità giudiziarie dell’esecuzione: a)

Se l’obbligo di esame delle autorità giudiziarie dell’esecuzione debba estendersi alle condizioni di detenzione di ciascuno dei possibili istituti penitenziari anche nel caso in cui le autorità giudiziarie dello Stato membro emittente comunichino che la durata della reclusione in un determinato istituto della persona di cui è chiesta la consegna sarà limitata ad un periodo massimo di tre settimane, fatto salvo però il verificarsi di circostanze ostative.

b)

Se ciò trovi applicazione anche nel caso in cui le autorità giudiziarie dell’esecuzione non possano sapere se tali dati siano stati dichiarati dall’autorità giudiziaria emittente ovvero se essi provengano da una delle autorità centrali dello Stato membro emittente le quali si siano attivate a seguito di richiesta di assistenza da parte dell’autorità giudiziaria emittente».

III. Il procedimento dinanzi alla Corte 24. La decisione di rinvio è pervenuta alla Corte il 27 marzo 2018 ed è stata accolta la richiesta di adozione del procedimento pregiudiziale d’urgenza. 25. Hanno presentato osservazioni scritte ML, i governi tedesco e ungherese, nonché la Commissione, che sono comparsi, unitamente al pubblico ministero tedesco e ai governi belga, danese, irlandese, spagnolo, olandese e rumeno, all’udienza pubblica svoltasi il 14 giugno del 2018.

IV.

Analisi

A.

Considerazioni preliminari

26. Nella sentenza Aranyosi, che ha dato risposta a una questione pregiudiziale sollevata dal medesimo giudice che propone il presente rinvio, la Corte ha stabilito che gli articoli 1, paragrafo 3, 5 e 6, paragrafo 1, della decisione quadro devono essere interpretati nel senso che «in presenza di


elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati comprovanti la presenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati centri di detenzione per quanto riguarda le condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve verificare, in modo concreto e preciso, se sussistono motivi seri e comprovati di ritenere che la persona colpita da un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio dell’azione penale o dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, a causa delle condizioni di detenzione in tale Stato membro, corra un rischio concreto di trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in caso di consegna al suddetto Stato membro» (10). 27. «A tal fine – prosegue la sentenza–, essa deve chiedere la trasmissione di informazioni complementari all’autorità giudiziaria emittente, la quale, dopo avere richiesto, ove necessario, l’assistenza dell’autorità centrale o di una delle autorità centrali dello Stato membro emittente (…) deve trasmettere tali informazioni entro il termine fissato nella suddetta domanda. L’autorità giudiziaria di esecuzione deve rinviare la propria decisione sulla consegna dell’interessato fino all’ottenimento delle informazioni complementari che le consentano di escludere la sussistenza di siffatto rischio. Qualora la sussistenza di siffatto rischio non possa essere esclusa entro un termine ragionevole, tale autorità deve decidere se occorre porre fine alla procedura di consegna» (11). 28. L’Hanseatisches Oberlandesgericht di Brema (Tribunale superiore del Land di Brema) aveva chiesto, nel 2016, alla Corte di chiarire il suo orientamento sottoponendole una serie di domande supplementari. Tuttavia, non era stato possibile dare risposta a dette domande poiché il MAE era stato ritirato prima che la Corte si pronunciasse, il che aveva determinato l’archiviazione del procedimento pregiudiziale (12). 29. In questa (terza) circostanza, il giudice a quo chiede, in concreto, che la Corte interpreti gli articoli 1, paragrafo 3, 5 e 6, paragrafo 1, della decisione quadro, in combinato disposto con l’articolo 4 della Carta, con riguardo al «procedimento di esame stabilito dalla Corte (…) nella sentenza pronunciata nelle cause Aranyosi e Căldăraru (…) avente ad oggetto le condizioni di detenzione nello Stato membro emittente da parte delle autorità giudiziarie dell’esecuzione» (13).


30. Prima di passare all’esame delle questioni sottoposte, non è superfluo ricordare che la decisione quadro è intesa a sostituire il sistema di estradizione tradizionale, caratterizzato da una significativa componente politica di opportunità, con un sistema di consegna tra autorità giudiziarie, fondato sul principio del reciproco riconoscimento e che si basa sull’elevato livello di fiducia tra gli Stati membri (14). 31. Il riconoscimento reciproco, «il quale costituisce la “pietra angolare” della cooperazione giudiziaria, implica, a norma dell’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro, che gli Stati membri sono tenuti, in linea di principio, a dar corso ad un mandato d’arresto europeo» (15). A sua volta, tale principio «si basa (…) sulla fiducia reciproca tra gli Stati membri circa il fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali sono in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti a livello dell’Unione, in particolare nella Carta» (16). 32. I principi del riconoscimento reciproco e della fiducia reciproca rivestono un’importanza fondamentale per il diritto dell’Unione, in quanto, come affermato dalla Corte nella sentenza Aranyosi, citando il parere 2/13 (17), «consentono la creazione e il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne», dato che, «specificamente, il principio della fiducia reciproca impone a ciascuno di detti Stati, segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, di ritenere, tranne in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo» (18). 33. Pertanto, al di fuori dei casi di non esecuzione obbligatoria tassativamente elencati all’articolo 3 della decisione quadro e di quelli di non esecuzione facoltativa previsti dagli articoli 4 e 4 bis della medesima decisione quadro, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è tenuta, in linea di principio, a dare esecuzione al MAE, senza poterlo subordinare a condizioni diverse da quelle di cui all’articolo 5 della decisione quadro. 34. Di conseguenza, «mentre l’esecuzione del mandato d’arresto europeo costituisce il principio, il rifiuto di esecuzione di tale mandato è concepito come un’eccezione che dev’essere oggetto di interpretazione restrittiva» (19). 35. Il legislatore dell’Unione ha disposto che l’attuazione del meccanismo del MAE «può essere sospesa solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all’articolo [2 TUE], constatata


dal Consiglio in applicazione dell’[articolo 7, paragrafo 1, TUE], e con le conseguenze previste al paragrafo 2 dello stesso articolo» (20). 36. Tuttavia, dalla sentenza Aranyosi emerge che, oltre all’ipotesi cui ho appena fatto riferimento (vale a dire, a parte il caso in cui il Consiglio abbia constatato formalmente, ex articolo 7 TUE, una grave e persistente violazione dei valori e dei diritti sanciti all’articolo 2 TUE), il diritto dell’Unione consente la non attuazione di un MAE in altri casi specifici, in via eccezionale. L’analisi della seconda, terza e quarta questione pregiudiziale permetterà di valutare la portata di tale eccezione. 1. Sull’incidenza dei mezzi di ricorso offerti dallo Stato membro emittente (prima questione pregiudiziale) 37. L’Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land di Brema) sottopone la sua prima questione inquadrandola in un contesto di fatto molto preciso: ove le autorità giudiziarie dell’esecuzione dispongano di «prove dell’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente che colpiscono determinati gruppi di persone oppure determinati istituti penitenziari». 38. Partendo da questa premessa, il giudice a quo chiede «che incidenza abbiano i mezzi di ricorso che lo Stato membro emittente offre alla persona detenuta per quanto riguarda le sue condizioni di detenzione». 39. Ritengo che, con questo approccio, il giudice del rinvio potrebbe trovare, da solo, la risposta che chiede alla Corte. Se «i mezzi di ricorso [offerti] dallo Stato membro emittente» fossero sufficienti ad escludere il rischio di trattamenti inumani o degradanti, non si potrebbe più parlare dell’«esistenza di carenze sistemiche o generalizzate». 40. A mio parere, la situazione presentata dal giudice del rinvio non corrisponde esattamente a quella che ha dato luogo alla sentenza Aranyosi: —

Allora (2015) il giudice del rinvio sosteneva di essere convinto, sulla base delle informazioni disponibili, che sussistevano indizi probatori che il sig. Aranyosi avrebbe potuto essere sottoposto a condizioni detentive contrarie all’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU») e all’articolo 6 TUE, in particolare a causa del sovraffollamento degli istituti


penitenziari (21). —

Attualmente (2018), il contesto è mutato e, giustamente per aggiornare(22) gli elementi di valutazione ai fini della conferma o modifica della convinzione maturata a suo tempo, il giudice del rinvio ha richiesto ulteriori informazioni alle autorità ungheresi. Alla luce delle informazioni ottenute, detto giudice ritiene opportuno considerare un nuovo fattore rilevante, vale a dire l’introduzione di mezzi di ricorso che non erano disponibili nello Stato emittente al momento della presentazione della questione pregiudiziale risolta nella sentenza Aranyosi (23).

41. La (nuova) informazione fornita al giudice a quo dalle autorità ungheresi sottolinea che in data 25 ottobre 2016 sono state emanate talune disposizioni legislative che consentono ai detenuti di denunciare le loro condizioni di detenzione. Secondo l’ordinanza di rinvio, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) ha affermato di non aver rinvenuto elementi attestanti che tali rimedi non offrono prospettive realistiche di miglioramento delle condizioni di detenzione, così da renderle conformi al divieto di trattamenti inumani o degradanti (24). 42. In tal senso, in base alla sentenza della Corte EDU del 14 novembre 2017 (25),citata dal giudice del rinvio, «non vi è alcuna prova che [le nuove misure adottate dal legislatore ungherese] non offrano prospettive realistiche di miglioramento delle condizioni di detenzione inadeguate e non siano in grado di fornire ai detenuti un’effettiva possibilità di rendere tali condizioni coerenti con i requisiti di cui all’articolo 3 della Convenzione» (26), essendo esplicitamente garantito il controllo giurisdizionale della condotta dell’autorità penitenziaria (27). 43. Il fatto che dal 2016 la normativa ungherese preveda un meccanismo di ricorso che consente ai detenuti di invocare la tutela dell’autorità giudiziaria nei confronti di condizioni di detenzione inadeguate dovrebbe essere sufficiente, qualora siffatto meccanismo funzionasse adeguatamente, per escludere carenze sistemiche o generalizzate nel sistema penitenziario nazionale, per quanto concerne la garanzia del diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti. La fiducia reciproca che, come menzionato anteriormente, è alla base del sistema del MAE e, con esso, della ragion d’essere del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, depone in tal senso.


44. Potrebbe accadere, tuttavia, che la nuova normativa abbia solo un carattere simbolico, più che effettivo, in modo da non implicare una tutela adeguata. Se così fosse, visto il «carattere assoluto del diritto garantito dall’articolo 4 della Carta» (28), si imporrebbe la sua tutela da parte dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione non appena «dispon[ga] di elementi che attestano un rischio concreto di trattamento inumano o degradante dei detenuti nello Stato membro emittente» (29). 45. Al fine di valutare la reale applicazione di tale meccanismo di tutela, ricordo che, secondo la sentenza Aranyosi, gli «elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato membro emittente (…) possono risultare in particolare da decisioni giudiziarie internazionali, quali le sentenze della Corte EDU, da decisioni giudiziarie dello Stato membro emittente, nonché da decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d’Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite» (30). 46. Orbene, i dati raccolti nel caso di specie consentono di concludere che i rimedi predisposti dal legislatore ungherese non costituiscono soluzioni teoriche o impraticabili, ma sono in grado di produrre effettive conseguenze pratiche. 47. Così ha ritenuto, in primo luogo, la Corte EDU, quando ha dichiarato che le nuove norme non sono lettera morta, ma forniscono in maniera efficace la garanzia del diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti. 48. In secondo luogo, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, nella sua decisione del giugno 2017 (31), ha accolto con favore l’impegno delle autorità ungheresi nel risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, constatando che le misure già adottate sembrano aver prodotto i primi risultati e auspicandosi che tali misure e altre che possano essere adottate in futuro aiutino le autorità nazionali a realizzare, caso per caso, azioni concrete ed efficaci per continuare ad affrontare il problema (32). 49. Il giudice del rinvio riconosce che, alla luce della posizione sostenuta dalla Corte EDU, «l’autorità giudiziaria dell’esecuzione potrebbe vedersi costretta ad ammettere che i nuovi mezzi di ricorso (…) escludono un rischio concreto che l’imputato sia sottoposto a trattamenti inumani o degradanti a causa delle condizioni della sua detenzione» (33). Tuttavia, nella misura in cui


la Corte EDU si è riservata la facoltà di pronunciarsi su possibili violazioni dell’articolo 3 della CEDU qualora i mezzi di ricorso interni si rivelassero inefficaci, il giudice del rinvio ritiene che ciò suggerisce che tale tribunale non escluda in assoluto il rischio che l’imputato venga sottoposto a trattamenti disumani o degradanti (34). 50. In realtà, la disponibilità espressa dalla Corte EDU a conoscere dei ricorsi che i detenuti vogliano eventualmente presentare qualora i loro ricorsi non trovino accoglimento davanti ai giudici nazionali non deve intendersi come una manifestazione di sfiducia generalizzata e in linea di principio nei confronti del sistema nazionale di garanzie. Si tratta, piuttosto, di un’osservazione volta a ricordare che, di fronte a decisioni giudiziarie interne che non pongano rimedio a concrete violazioni di diritti garantiti dalla CEDU, resta aperta la via del ricorso dinanzi alla stessa Corte EDU (35). 51. Precisamente, in tale causa, la Corte EDU ha dichiarato che i rimedi introdotti in Ungheria con la riforma del 2016 dovevano essere esperiti dal sig. Domján, «e [da] chiunque altro nella sua posizione», prima di adire la Corte medesima (36). In tal modo, si ammette implicitamente l’efficacia potenziale di tali ricorsi per garantire la protezione della CEDU, senza dover adire la via di ricorso straordinaria che, per definizione, rappresenta la giurisdizione europea (37). 52. È pur vero, come la Corte EDU avverte nel prosieguo, che essa può modificare il proprio orientamento «per quanto riguarda l’efficacia potenziale dei rimedi nazionali in oggetto, qualora la prassi delle autorità nazionali dimostri, a lungo termine, che ai detenuti viene negato il trasferimento e/o il risarcimento per motivi formali, che le procedure interne sono eccessivamente lunghe o che la giurisprudenza nazionale non si conforma ai requisiti della Convenzione».(38) Ma, finché non si verifica siffatto cambiamento, si deve presumere che i rimedi stabiliti nel 2016 siano efficaci. 53. Di conseguenza, se la situazione penitenziaria si è evoluta favorevolmente nel senso suddetto; se esiste ora una normativa interna che garantisce la tutela giudiziaria effettiva dei detenuti rispetto a possibili violazioni dell’articolo 4 della Carta a causa delle condizioni della loro detenzione; e se tale normativa è efficace e non meramente formale o nominalistica, non è più possibile presumere aprioristicamente il concorso di «elementi oggettivi, attendibili, precisi (…) comprovanti la presenza di carenze


vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati centri di detenzione». 54. Ritengo che siffatta soluzione sia la più coerente con la sentenza Aranyosi, con i principi sottesi alla decisione quadro e con il rispetto dovuto agli organi giurisdizionali di ciascuno Stato (nella fattispecie, l’Ungheria), nei confronti dei quali non può sussistere, in maniera infondata, un sospetto di connivenza generalizzata nella violazione dell’articolo 4 della Carta quando emettono un MAE. Un sistema di cooperazione penale fondato sulla fiducia giudiziaria reciproca non può sopravvivere se i giudici dello Stato ricevente rispondono alle richieste effettuate da quelli dello Stato emittente come se la sensibilità di questi ultimi nel garantire la protezione dei diritti fondamentali fosse inferiore alla loro. 55. In ogni caso, la ricezione di un MAE non può costituire il pretesto, per il giudice dell’esecuzione, per sottoporre a giudizio la qualità del sistema penitenziario dello Stato emittente nel suo complesso né per giudicarlo alla luce del proprio diritto nazionale. Il parametro di controllo non può essere altro che l’articolo 4 della Carta. Una garanzia minima, ma assoluta, al cui servizio deve essere predisposta una tutela giudiziaria effettiva, in grado di garantire una tutela reale ed efficace contro la tortura e i trattamenti inumani o degradanti. 56. Il fatto che la Corte EDU abbia constatato che il nuovo sistema di ricorsi consente di offrire una simile tutela rappresenta, a mio parere, un elemento della massima rilevanza in sede di valutazione della situazione generale (primo passo della doppia verifica Aranyosi) delle condizioni di detenzione nello Stato emittente del MAE. Sarei quasi indotto ad affermare che rappresenta un fattore determinante ai fini della presente valutazione. 57. Ciononostante, nella misura in cui, in ultima analisi, si tratta della garanzia di un diritto assoluto, al quale per sua stessa natura è opportuno fornire una protezione preventiva piuttosto che riparatoria, ritengo che, malgrado la sua importanza, l’esistenza di un regime di ricorsi effettivi potrebbe non essere sufficiente qualora il tribunale dell’esecuzione nutrisse dubbi fondati in merito all’eventualità che la persona di cui nella fattispecie è chiesta la consegna possa subire nell’immediato un trattamento inumano o degradante, indipendentemente dal fatto che tale pregiudizio venga successivamente riparato per mezzo di ricorsi giudiziari efficaci nello Stato emittente. 58.

Ciò posto, in una situazione come quella oggetto del procedimento


principale, in cui la recente introduzione di uno specifico sistema giudiziario di garanzia del diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti durante la detenzione nello Stato emittente può non aver dispiegato tutti i suoi potenziali effetti fino al punto di aver reso eccezionale il rischio di una sua violazione, sarebbe giustificato se l’autorità giudiziaria dell’esecuzione richiedesse informazioni in merito alle condizioni di detenzione a cui sarebbe sottoposta la persona di cui è chiesta la consegna (secondo passo della verifica Aranyosi). 2. Sulla portata del controllo a carico dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione (seconda, terza e quarta questione) 59. Il presupposto da cui partono tali questioni è che persisterebbe un grave rischio di violazione dell’articolo 4 della Carta qualora il giudice del rinvio acconsente a dare esecuzione al MAE. 60. Tuttavia, la Corte ha dichiarato nella causa Aranyosi che non era sufficiente l’accertamento di tale rischio,(39), ma che, «[u]na volta accertata la sussistenza di tale rischio, è poi anche necessario che l’autorità giudiziaria di esecuzione valuti, in modo concreto e preciso, se sussistono motivi gravi e comprovati di ritenere che l’interessato corra tale rischio a causa delle condizioni di detenzione previste nei suoi confronti nello Stato membro emittente» (40). 61. È imprescindibile, pertanto, che, oltre a dare per comprovate le carenze sistemiche (generalizzate) negli istituti penitenziari dello Stato emittente, l’autorità giudiziaria di esecuzione verifichi «se, nelle circostanze della fattispecie, sussistano motivi gravi e comprovati di ritenere che, in seguito alla sua consegna allo Stato membro emittente, tale persona corra un rischio concreto di essere sottoposta nello Stato membro di cui trattasi a un trattamento inumano o degradante (…)» (41). 62. Il giudice del rinvio si attiene a tale criterio quando cerca di verificare a quali condizioni di detenzione sarebbe sottoposto ML e, a tal fine, richiede informazioni complementari (42). La sua verifica dovrebbe essere limitata, lo ribadisco, ai dati oggettivi e ragionevoli che possano venirgli forniti in relazione alle condizioni concrete e specifiche a cui sarebbe sottoposta tale persona. Non deve indagare, quindi, in questa fase, sulle condizioni generali esistenti nel sistema penitenziario dello Stato emittente.


63. Il giudice del rinvio chiede, per il caso in cui disponga di prove di carenze sistemiche o generalizzate in tutti o in determinati istituti penitenziari, se possa escludere il rischio che ne consegue per l’integrità dell’imputato quando lo Stato emittente abbia offerto «una garanzia generale» che detta persona non sarà soggetta a tali trattamenti (43). 64. Come riconosce lo stesso giudice del rinvio, la decisione quadro non contempla tale tipo di garanzie. Tantomeno autorizza ad esigerle. (44) Tuttavia, nella misura in cui ciò che è in discussione nel procedimento principale è l’esecuzione di uno specifico MAE e non la qualità del sistema penitenziario dello Stato emittente nel suo complesso, ritengo che, se le autorità di tale Stato si impegnano (45) a garantire che le condizioni effettive di detenzione dell’imputato non comportino un rischio concreto di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è tenuta a riconoscere a siffatto impegno la debita importanza. In quanto espressione di un obbligo assunto formalmente, siffatta garanzia potrà essere fatta valere, in caso di sua violazione, dinanzi all’autorità giudiziaria dello Stato emittente da parte dell’imputato. a) Sulla provenienza delle informazioni dell’accertamento delle condizioni di detenzione

necessarie

ai

fini

65. In via preliminare, si solleva la questione di quali informazioni possa utilizzare, a tali fini, il giudice dell’esecuzione e, in particolare, da quale autorità possa esigerle o riceverle. 66. L’articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro stabilisce che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve interagire, in linea di principio, con l’autorità giudiziaria che ha emesso il MAE. Il riconoscimento reciproco si crea, per l’appunto, attraverso il dialogo inter pares previsto da tale articolo, vale a dire tra l’autorità giudiziaria emittente, che emana il MAE, e quella di esecuzione, o di ricezione, che deve attuarlo (46). 67. Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della decisione quadro, gli Stati membri possono designare una o più autorità centrali «per assistere le autorità giudiziarie competenti» e alle quali si può altresì affidare, in conformità al paragrafo 2 di tale articolo, «la trasmissione e la ricezione amministrativa dei mandati d’arresto europei e della corrispondenza ufficiale ad essi relativa» (47). 68.

Tale aspetto è rilevante in quanto il giudice del rinvio si chiede se possa


prendere in considerazione, ai fini della formulazione di un giudizio sulle condizioni di detenzione di ML in Ungheria, informazioni riguardo alle quali non è possibile verificare se provengano dalla stessa autorità giudiziaria dell’emissione o se siano state richieste da quest’ultima (48). 69. Secondo l’ordinanza di rinvio, tali informazioni sarebbero state fornite dal Ministero della Giustizia ungherese, senza specificare se in modo diretto o per il tramite dell’autorità giudiziaria emittente. In questo secondo caso, logicamente, costituirebbero dati rilevanti per l’esecuzione del MAE dato che il loro valore giuridico deriva dal fatto che sono stati riconosciuti e avallati dal tribunale emittente. 70. L’autorità giudiziaria emittente e quella dell’esecuzione sono gli unici protagonisti attivi nel trattamento del MAE. L’autorità dell’esecuzione deve quindi trasmettere le sue richieste di informazioni all’autorità emittente, che è tenuta a rispondervi (49). Questo ruolo principale delle autorità giudiziarie non osta alla funzione meramente ausiliaria che possono all’occorrenza svolgere le autorità centrali designate dagli Stati membri ai sensi dell’articolo 7 della decisione quadro (50). 71. Pertanto, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione dovrà tenere conto delle informazioni che siano state fornite dall’autorità emittente o che, provenienti dall’autorità centrale (o da una delle autorità centrali) dello Stato di emissione, siano state fatte proprie e trasmesse dall’autorità giudiziaria emittente. 72. Quanto precede non osta a che l’autorità giudiziaria di esecuzione si avvalga, altresì, di tutte le informazioni che possa raccogliere al fine di accertare l’esistenza di «elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati» (51) idonei a comprovare la sussistenza di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante. 73. Tali ulteriori informazioni possono pervenirle nel corso della procedura interna di trattamento del MAE, su iniziativa della persona di cui è chiesta la consegna o del pubblico ministero, il quale, in Germania, funge da autorità giudiziaria dell’esecuzione (52). Tuttavia, così come tutte le informazioni ottenute in tali modi devono essere oggetto di valutazione prudente da parte di chi le richiede, (53) quelle fornite dal giudice dell’emissione - direttamente o con l’assistenza della sua autorità - non consentono un esame che vada oltre l’accertamento della loro provenienza, poiché in ordine al loro contenuto deve prevalere, in linea di principio, la fiducia che è alla base del riconoscimento


reciproco. b) Sulla portata delle informazioni necessarie ai fini dell’accertamento delle condizioni di detenzione 74. Secondo l’ordinanza di rinvio, decorso il termine fissato dal giudice del rinvio, questi non ha ricevuto tutte le informazioni che aveva richiesto (54). Si rende quindi necessario esaminare quali conseguenze potrebbe avere tale condotta (omissiva) da parte dell’autorità giudiziaria emittente. 75. Prima di esprimere il mio parere in merito a tali conseguenze, è opportuno rilevare che la richiesta di informazioni deve essere limitata alle informazioni essenziali in ciascun caso. Le informazioni richieste servono a verificare se sussiste un rischio concreto che l’imputato venga sottoposto a trattamenti inumani o degradanti. La richiesta non dovrebbe estendersi ad altre questioni, anche di carattere carcerario, che non si riferiscano strettamente a tale rischio specifico e che riguardino le condizioni di benessere più o meno elevate negli istituti penitenziari. 76. Orbene, tra le molteplici domande rivolte dal giudice dell’esecuzione a quello dell’emissione, alcune risultano di gran lunga eccessive ai fini della valutazione di un rischio di trattamento inumano o degradante. In tal senso, quelle relative alla possibilità di fumare, al lavaggio dei vestiti dei detenuti o all’installazione di barre o grate alle finestre delle celle (55), fra le altre, ritengo che vadano oltre quanto è indispensabile al fine di accertare la sussistenza di siffatto rischio. 77. Analogamente, a mio parere, le informazioni richieste non devono riferirsi a tutti gli istituti penitenziari dello Stato membro emittente, ma solo a quelli che accoglieranno l’imputato. 78. Concordo su questo punto con la Commissione (56) e ritengo, come anche il governo tedesco (57), la cui posizione è stata adottata, durante l’udienza pubblica, dalla maggior parte dei governi che sono intervenuti, che si dovrebbe limitare la messa a fuoco agli effetti prevedibili della consegna che lo Stato membro dell’esecuzione poteva o doveva conoscere al momento di eseguirla. Ritengo che si tratti di un criterio ragionevole e in linea, altresì, con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per quanto riguarda la responsabilità dello Stato di esecuzione (58).


79. Secondo tale prospettiva, il prevedibile comprende sia l’istituto penitenziario in cui, subito dopo la consegna, sarà accolto l’imputato, sia l’istituto al quale sarà trasferito per la successiva reclusione. (59) Gli altri istituti in cui, in futuro, potrebbe essere trasferito nel corso dell’esecuzione della condanna privativa della libertà (60) non rientrerebbero nell’ambito degli effetti prevedibili di cui può essere richiesta la conoscenza da parte dello Stato di esecuzione. c) Sugli effetti della mancata risposta del giudice emittente alle richieste di informazioni del giudice dell’esecuzione 80. Se le informazioni richieste e non ricevute sono pertinenti ai fini dell’esclusione del rischio di trattamenti inumani o degradanti, il dovere di leale cooperazione e la diligenza nella gestione dei propri interessi devono indurre il giudice emittente del MAE a fornire all’autorità giudiziaria dell’esecuzione tutte le informazioni da essa richieste. 81. Se persistono i dubbi dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione a causa dell’assenza di informazioni complementari, laddove, ribadisco, le stesse siano indispensabili ai fini della sua valutazione, detta autorità può rinviare la sua decisione finale. Dico rinviare e non rifiutare poiché la dottrina stabilita nella causa Aranyosi non implica inevitabilmente che, in caso di accertamento di un rischio, non già generale e astratto, ma concreto e personale, di violazione dell’articolo 4 della Carta, l’autorità giudiziaria di esecuzione sia costretta a respingere la consegna dell’imputato. 82. Infatti, la Corte ha dichiarato che, qualora il giudice dell’esecuzione accertasse, alla luce delle informazioni fornite, «che sussiste, rispetto alla persona oggetto del mandato d’arresto europeo, un rischio concreto di trattamento inumano o degradante (…) l’esecuzione del mandato in parola deve essere rinviata ma non può essere abbandonata» (61). 83. In tale eventualità, ciò che conta è, anzitutto, garantire il diritto alla libertà (articolo 6 della Carta) della persona di cui è chiesta la consegna, se è detenuto per effetto del MAE. (62) Tuttavia, le misure adottate a favore del diritto alla libertà non possono andare a scapito dell’esecuzione del MAE, fintantoché non venga adottata una decisione definitiva sull’esecuzione (63). 84. La Corte aggiunge che «[q]ualora la sussistenza di siffatto rischio [di trattamento inumano o degradante] non possa essere esclusa entro un termine


ragionevole, tale autorità deve decidere se occorre porre fine alla procedura di consegna» (64). Ritengo, pertanto, che la procedura non si concluda automaticamente dopo l’accertamento di tale rischio, ma che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione possa prendersi del tempo per decidere se la procedura è conclusa. A mio avviso, utilizzando l’espressione «porre fine alla procedura di consegna» al posto di «rifiutare o non eseguire il MAE», la Corte trasferisce, in una certa misura, la responsabilità della continuità della procedura all’autorità giudiziaria emittente che non risponde alle richieste di informazioni complementari. 85. Ove non sia stato possibile escludere l’esistenza del rischio a causa della mancanza di risposta del giudice emittente alla richiesta di informazioni trasmessa dall’autorità di esecuzione, quest’ultima può comunicare alla predetta autorità giudiziaria informandola che, in tali condizioni, non darà ulteriore seguito alla procedura di consegna. 86. In definitiva, l’organo giudiziario di esecuzione, prima di decidere di non continuare la procedura di consegna, deve valutare se, sulla base delle informazioni a sua disposizione, possa essere escluso il rischio di trattamenti inumani o degradanti: a) nell’istituto penitenziario in cui, secondo le autorità ungheresi, verrebbe accolto l’imputato subito dopo la sua consegna; e (b) nell’istituto penitenziario a cui sarebbe prevedibilmente trasferito per scontare la pena per cui è stato emesso il mandato di arresto. 87. Siffatta valutazione, tuttavia, non può andare al di là delle circostanze strettamente necessarie ad escludere il rischio di un trattamento inumano o degradante, il quale non può essere aprioristicamente identificato con le condizioni di maggiore o minore benessere nell’istituto penitenziario.

V.

Conclusioni

88. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere nei termini seguenti alle questioni sollevate dall’Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen (Tribunale superiore del Land di Brema, Germania): «Gli articoli 1, paragrafo 3, 5 e 6, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla


decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, in combinato disposto con l’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che: 1)

L’esistenza di ricorsi giurisdizionali interni che garantiscano in modo efficace, in concreto, la tutela del diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti nelle condizioni di detenzione costituisce un fattore particolarmente rilevante ai fini dell’esclusione del rischio di subire tali trattamenti a causa di carenze sistemiche o generalizzate che colpiscano determinati gruppi di persone o determinati istituti penitenziari.

2)

In una situazione come quella discussa nel procedimento principale – in cui la recente introduzione di un sistema giudiziario di garanzia del diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti a causa delle condizioni di detenzione nello Stato emittente può non aver dispiegato tutti i suoi potenziali effetti fino al punto di aver reso eccezionale il rischio di una sua violazione – è giustificato che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione richieda informazioni sulle condizioni di detenzione a cui sarebbe sottoposta la persona di cui è chiesta la consegna.

3)

L’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve altresì valutare, come fattore particolarmente rilevante, la garanzia che, nel singolo caso, abbia fornito l’autorità competente, amministrativa o giudiziaria, dello Stato emittente, mediante la quale si impegna ad assicurare che l’imputato non verrà sottoposto a trattamenti inumani o degradanti durante la sua detenzione. In quanto espressione di un obbligo assunto formalmente, siffatta garanzia può essere fatta valere, in caso di sua violazione, dinanzi all’autorità giudiziaria dello Stato emittente.

4)

Le informazioni rilevanti ai fini di valutare se l’imputato corra il rischio di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti a causa delle sue specifiche condizioni di detenzione, devono essere, in linea di principio, richieste alla e ricevute da parte dell’autorità giudiziaria emittente. Le informazioni riconosciute o avallate dall’autorità giudiziaria emittente devono avere la priorità nella valutazione che dev’essere effettuata dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione.

5)

Gli istituti penitenziari riguardo ai quali è opportuno raccogliere informazioni complementari sono quelli in cui sia probabile che la persona di cui è chiesta la consegna venga accolta per scontare la pena che gli è


stata inflitta. 6)

1

Se l’autorità giudiziaria emittente non fornisce all’autorità giudiziaria dell’esecuzione le informazioni dalla stessa richieste ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584/GAI, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può comunicare all’autorità giudiziaria emittente che, in tali condizioni, non darà ulteriore seguito alla procedura di consegna».

Lingua originale: lo spagnolo.

2 Decisione quadro del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU 2002, L 190, pag. 1), come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009 (GU 2009, L 81, pag. 24) (in prosieguo: la «decisione quadro»). 3 Cause C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198 (in prosieguo: la «sentenza Aranyosi»). 4 Legge sull’assistenza giudiziaria internazionale in materia penale, del 23 dicembre 1982 (in prosieguo: l’«IRG»). 5 La modifica è avvenuta per effetto della Europäisches Haftbefehlsgesetz (legge sul mandato d’arresto europeo), del 20 luglio 2006 (BGBl. 2006 I, pag. 1721). 6 Raccomandazione R(2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee (http://www.interiuris.org/archivos/REGLAS_PENITENCIARIAS_EUROPEAS.pdf ). 7 Note come «Regole Nelson Mandela» (https://www.unodc.org/documents/justice-and-prison-reform/Brochure _on_the_The_UN_Standard_Minimum_the_Nelson_Mandela_Rules-S.pdf).


8 Il giudice richiedeva informazioni molto dettagliate sulle condizioni di detenzione, in concreto, riguardo a: le dimensioni e caratteristiche delle celle, l’assistenza medica, il regime di alimentazione, le condizioni di igiene, l’abbigliamento, il riscaldamento e la pulizia, le visite, le attività e il tempo libero, l’esistenza di episodi di violenza tra detenuti e l’uso di mezzi coercitivi da parte del personale penitenziario. 9 La Procura tedesca ha riconosciuto all’udienza che il 27 marzo 2018 le autorità ungheresi hanno ribadito, per iscritto, la garanzia menzionata al punto 18 delle presenti conclusioni. 10

Sentenza Aranyosi, dispositivo.

11

Ibidem.

12 La nuova causa Aranyosi II era rimasta quindi priva del suo oggetto, come dichiarato dalla Corte nell’ordinanza del 15 novembre 2017 Aranyosi (C-496/16, non pubblicata EU:C:2017:866). 13

Ordinanza di rinvio, punto I, secondo paragrafo in fine.

14 Per tutte, la sentenza del 16 luglio 2015, Laningan (C-237/15 PPU, EU:C:2015:474), punto 27. 15

Sentenza del 25 gennaio 2017, Vilkas (C-640/15, EU:C:2017:39), punto 68.

16

Sentenza Aranyosi, punto 77, con citazione di giurisprudenza.

17 Parere (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 191.


18 Sentenza Aranyosi, punto 78. In un altro ambito (quello del riconoscimento e dell’esecuzione di decisioni giudiziarie in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale), ma nello stesso senso, la Corte ha dichiarato che «i sistemi di riconoscimento e di esecuzione delle decisioni emanate in uno Stato membro istituiti da detto regolamento [(CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 (GU 2003, L 338, pag. 1)] sono fondati sul principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri in ordine al fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali siano in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti a livello dell’Unione, in particolare nella Carta dei diritti fondamentali» (sentenza del 22 dicembre 2010, Aguirre Zarraga, C-491/10 PPU, EU:C:2010:828, punto 70). 19 48.

Sentenza del 23 gennaio 2018, Piotrowski (C-367/16, EU:C:2018:27), punto

20

Considerando 10 della decisione quadro.

21

In tal senso, la sentenza Aranyosi, punti da 42 a 45.

22 La Corte ha chiarito nella sua risposta che «la presenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone, vuoi ancora che colpiscono determinati centri di detenzione» «deve (…) fondarsi su elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati» (sentenza Aranyosi, punto 89; il corsivo è mio). 23 Il governo ungherese contesta al giudice del rinvio di non aver ponderato adeguatamente, oltre all’introduzione di tali rimedi, i progressi compiuti nella situazione delle carceri ungheresi come risultato della diminuzione del numero dei detenuti, dell’aumento dei istituti penitenziari e del crescente impiego del regime di detenzione domiciliare (paragrafi 13 e 14 della memoria contenente osservazioni scritte).


24

Punto 30 dell’ordinanza di rinvio.

25

Corte EDU, Domján c. Ungheria, CE:ECHR:2017:1114DEC000543317.

26

Ibidem, punto 22.

27 Ibidem, punto 22 in fine. Nella stessa sentenza, la Corte EDU ha esaminato se le misure legislative del 2016 siano servite a porre rimedio in modo efficace alle carenze rilevate nel sistema penitenziario ungherese dalla sentenza del 10 marzo 2015, Varga e altri c. Ungheria, CE: ECHR:2015:0310JUD001409712. 28

Sentenza Aranyosi, punto 86.

29

Sentenza Aranyosi, punto 88.

30

Sentenza Aranyosi, punto 89, il corsivo è mio.

31 Decisione adottata nella sua sessione n. 1288, tenutasi il 6 e 7 giugno 2017 (CM/Note/1288/H46-16). A tale decisione fa riferimento la Corte EDU nella sentenza del 14 novembre 2017, Domján c. Ungheria, CE:ECHR:2017:1114DEC000543317, punto 23. 32 Il giudice del rinvio sostiene, nondimeno, che persiste la situazione di sovraffollamento (ritiene insufficiente la creazione, dal 2015, di oltre mille nuovi istituti penitenziari) e che non dispone di dati sull’incidenza della commutazione della pena della reclusione in arresti domiciliari (punto 28 dell’ordinanza di rinvio). 33

Ordinanza di rinvio, punto 34.

34

Ibidem, punto 35.


35 Come è noto, la Corte EDU può pronunciarsi solo dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne obbligatorie. Pertanto, ciascuna delle sue sentenze di accoglimento presuppone l’esistenza di una decisione giudiziaria interna che non sia servita a porre rimedio alla violazione accertata in via definitiva, senza che ciò comporti mettere in discussione l’efficacia pratica del sistema nazionale di garanzia dei diritti fondamentali nel suo complesso. 36 Corte EDU, sentenza del 14 novembre 2017, Domján c. Ungheria, CE:ECHR:2017:1114DEC000543317, punto 35. 37 In tale causa, la Corte EDU ha segnalato che i ricorsi nazionali interposti dalla persona interessata erano ancora pendenti. 38 Corte EDU, sentenza del 14 novembre 2017, Domján c. Ungheria, CE:ECHR:2017:1114DEC000543317, punto 38. 39 «L’accertamento della sussistenza di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante dovuto alle condizioni generali di detenzione nello Stato membro emittente, di per sé, non può condurre al rifiuto di dare esecuzione a un mandato d’arresto europeo» (sentenza Aranyosi, punto 91). 40

Sentenza Aranyosi, punto 92; il corsivo è mio.

41

Sentenza Aranyosi, punto 94.

42 Si è attenuto pertanto al punto 95 della sentenza Aranyosi: «A norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro detta autorità [giudiziaria di esecuzione] deve chiedere all’autorità giudiziaria dello Stato membro emittente di fornire con urgenza qualsiasi informazione complementare necessaria per quanto riguarda le condizioni di detenzione previste nei confronti dell’interessato in tale Stato membro».


43 Punto 48, lettera c), dell’ordinanza di rinvio. In realtà, si trattava di una garanzia individuale, piuttosto che generale, poiché era specificatamente fornita in relazione a ML. 44 L’esecuzione del MAE può essere subordinata solo ad una delle condizioni specifiche di cui all’articolo 5 della decisione quadro (sentenze pronunciate “in absentia”, reclusione perpetua e cittadini o residenti dello Stato di esecuzione). 45 L’impegno deve provenire dall’autorità competente in materia di istituti penitenziari che, normalmente, non sarà il giudice che ha disposto la condanna né quello che emette il MAE. 46 Rinvio alle mie conclusioni nella causa Poltorak (C-452/16 PPU,, EU: C: 2016: 782), punto 43. 47 Ibidem punti da 44 a 50, sulla funzione meramente amministrativa di tali autorità. 48

Punto 59 dell’ordinanza di rinvio.

49 Richiamandosi, nuovamente, al punto 97 della sentenza Aranyosi: «A norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, l’autorità giudiziaria di esecuzione può fissare un termine ultimo per la ricezione delle informazioni complementari richieste all’autorità giudiziaria emittente. Tale termine deve essere adattato al caso di specie, al fine di lasciare a quest’ultima autorità il tempo necessario per raccogliere dette informazioni, se necessario ricorrendo a tal fine all’assistenza dell’autorità centrale o di una delle autorità centrali dello Stato membro emittente (…). In forza dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, detto termine deve tuttavia tener conto della necessità di rispettare i termini fissati dall’articolo 17 della medesima decisione quadro. L’autorità giudiziaria emittente è tenuta a fornire tali informazioni all’autorità giudiziaria di esecuzione». Il corsivo è mio. 50

L’autorità designata in Ungheria è il Ministero della Giustizia, come emerge


dalla comunicazione indirizzata dal governo ungherese al Segretariato generale del Consiglio, il 26 aprile 2004, ai sensi di quanto disposto nell’articolo 7, paragrafo 2, secondo comma, della decisione quadro (ST 8929 2004 INIT, del 27 aprile 2004). 51

Sentenza Aranyosi, punto 89.

52 In base alla nota trasmessa dal governo tedesco al Segretariato generale del Consiglio, il 7 agosto 2006 (ST 12509 2006 INIT, 7 settembre 2006), «le autorità giudiziarie competenti ai sensi dell’articolo 6 [della decisione quadro] sono i Ministeri della Giustizia della Federazione e degli Stati federati (Länder). Come regola generale, gli Stati federati hanno trasferito l’esercizio delle loro competenze derivanti dalla decisione quadro (…) relative all’ammissione dei requisiti presentati dinanzi a loro (articolo 6, paragrafo 2) alle Procure generali degli Stati federati». Non risulta che tale comunicazione sia stata modificata dopo la sentenza della Corte del 10 novembre 2016, Kovalkovas (C-477/16 PPU, EU:C:2016:861), in cui è stato dichiarato che il Ministero della Giustizia della Lituania non può essere considerato come autorità giudiziaria ai sensi dell’articolo 6 della decisione quadro. 53 Il giudice del rinvio nel caso di specie assume altresì, in una certa misura, il ruolo di autorità giudiziaria dell’esecuzione, nonostante quanto indicato nella nota precedente, poiché interviene nella fase di ammissibilità del MAE, conformemente agli articoli 29 e 32 dell’IRG (punto 17 dell’ordinanza di rinvio). La dualità delle autorità coinvolte sembrerebbe ispirata alla stessa procedura e agli stessi principi che governano l’estradizione. Come già rilevato in un rapporto del 31 marzo 2009, presentato dal Consiglio agli Stati membri dopo il quarto ciclo di valutazioni reciproche sull’applicazione pratica dei MAE, le disposizioni dell’IRG in materia, anche dopo la riforma del 2006, «non aiutano a comprendere che la consegna sulla base di un MAE è non già una variante leggermente differente di estradizione tradizionale, bensì una nuova forma di assistenza fondata su principi completamente diversi (…) In tale situazione, gli esperti ritengono che sussiste il rischio che le autorità giudiziarie [tedesche] ricorrano alla normativa e giurisprudenza in materia di estradizione (…)» (ST 7058 2009 REV 2, del 30 aprile 2009, Evaluation report on the fourth round of mutual evaluations «The practical application of the European arrest warrant and corresponding surrender procedures between Member States», report on Germany, pag. 35).


54 Nel paragrafo 21 della sua memoria contenente osservazioni scritte, il governo ungherese contesta al giudice del rinvio di non aver atteso di ricevere la sua risposta. 55

Punto 10 dell’ordinanza di rinvio. V. la nota 8 delle presenti conclusioni.

56

Paragrafi da 14 a 19 delle memoria contenente osservazioni scritte.

57 Paragrafi da 19 a 20 della sua memoria contenente osservazioni scritte che fa riferimento alla raccomandazione del governo dei Paesi Bassi in occasione della causa Aranyosi II (ordinanza del 15 novembre 2017, Aranyosi, C-496/16, non pubblicata, EU: C: 2017: 866). 58 Sentenze del 30 ottobre 1991, Vilvarajah e altri c. Regno Unito (ricorsi numero 13163/87, 13164/87, 13165/87, 13447/87 e 13448/87, CE:ECHR:1991:1030JUD001316387), e del 4 febbraio 2005, Mamatkulov e Askarov c. Turchia (ricorsi numero 46827/99 e 46951/99, CE:ECHR:2005:0204JUD004682799). 59 Il giudice del rinvio segnala che, secondo il Ministero della Giustizia ungherese, ML «sarebbe stato accolto, in un primo momento, per la durata della procedura di consegna, nel carcere della capitale Budapest e successivamente trasferito nel penitenziario regionale di Szombathely». Aggiunge che, «in base alle informazioni in suo possesso», il Collegio aveva già stabilito, il 9 gennaio 2018, che non avrebbe presentato difficoltà «un’esecuzione della pena nel previsto istituto penitenziario di Szombathely» (ordinanza di rinvio, punti 9 e 10). Ciò posto, il problema è circoscritto al tempo limitato di detenzione nella carcere di Budapest. 60 I fattori per l’assegnazione di un detenuto a un determinato centro penitenziario sono molto vari (periodo scontato della pena, situazione personale e familiare, trattamento carcerario ecc.) e difficili da valutare in anticipo. 61

Sentenza Aranyosi, punto 98. Il corsivo è mio.


62 La Corte insiste sul fatto che «l’autorità giudiziaria di esecuzione deve rispettare il requisito della proporzionalità, previsto dall’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, quanto alla limitazione di qualsiasi diritto o libertà riconosciuti da quest’ultima. Infatti, l’emissione di un mandato d’arresto europeo non può giustificare il protrarsi della detenzione dell’interessato senza alcun limite temporale» (sentenza Aranyosi, punto 101). 63 Laddove «l’autorità giudiziaria di esecuzione concluda (…) di essere tenuta a porre fine alla detenzione del ricercato, spetta allora alla medesima, in forza degli articoli 12 e 17, paragrafo 5, della decisione quadro, disporre, unitamente al rilascio provvisorio di tale persona, qualsiasi misura da essa ritenuta necessaria per evitare che quest’ultima si dia alla fuga e assicurarsi che permangano le condizioni materiali necessarie alla sua effettiva consegna fintantoché non venga adottata una decisione definitiva sull’esecuzione del [MAE]» (sentenza Aranyosi, punto 102; il corsivo è mio). 64

Sentenza Aranyosi, punto 104 in fine.

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione) 25 luglio 2018 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Mandato d’arresto europeo – Decisione quadro 2002/584/GAI – Articolo 1, paragrafo 2, articolo 3, punto 2, e articolo 4, punto 3 – Motivi di non esecuzione – Chiusura delle indagini preliminari – Principio del ne bis in idem – Persona ricercata sentita in qualità di testimone in un precedente procedimento vertente sui medesimi fatti – Emissione di più mandati d’arresto europei nei confronti della stessa persona» Nella causa C-268/17,


avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Županijski sud u Zagrebu (Tribunale di comitato di Zagabria, Croazia), con decisione del 16 maggio 2017, pervenuta in cancelleria il 18 maggio 2017, nel procedimento concernente l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso nei confronti di AY, LA CORTE (Quinta Sezione), composta da J. L. da Cruz Vilaça, presidente di sezione, E. Levits, A. Borg Barthet, M. Berger (relatore) e F. Biltgen, giudici, avvocato generale: M. Szpunar cancelliere: M. Aleksejev, amministratore vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 28 febbraio 2018 considerate le osservazioni presentate: –

per AY, da L. Valković e G. Mikuličić, odvjetnici, M. Lester, QC, S. Abram e P. FitzGerald, barristers, e M. O’Kane, solicitor;

per l’Ured za suzbijanje korupcije i organiziranog kriminaliteta, da T. Laptoš, V. Marušić e D. Hržina, in qualità di agenti;

per il governo croato, da T. Galli, in qualità di agente;

per il governo ceco, da M. Smolek, J. Vláčil e O. Serdula, in qualità di agenti;

per l’Irlanda, da M. Browne, L. Williams e A. Joyce, in qualità di agenti, assistiti da G. Mullan, BL;

per il governo ungherese, da M. Z. Fehér, G. Koós e M. Tátrai, in qualità di agenti;

per il governo austriaco, da G. Eberhard, in qualità di agente;

per il governo rumeno, da E. Gane, C.-M. Florescu e R.-M. Mangu, in


qualità di agenti; –

per la Commissione europea, da R. Troosters, M. Mataija e S. Grünheid, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 maggio 2018, ha pronunciato la seguente

Sentenza 1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 2, dell’articolo 3, punto 2, e dell’articolo 4, punto 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU 2002, L 190, pag. 1), come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009 (GU 2009, L 81, pag. 24) (in prosieguo: la «decisione quadro 2002/584»).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento riguardante l’emissione di un mandato d’arresto europeo (in prosieguo: il «MAE») nei confronti di AY, cittadino ungherese, da parte dello Županijski sud u Zagrebu (Tribunale di comitato di Zagabria, Croazia).

Contesto normativo 3

L’articolo 1 della decisione quadro 2002/584 prevede quanto segue: «1. Il [MAE] è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà. 2. Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni [MAE] in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro.


3. L’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 del trattato sull’Unione europea non può essere modificata per effetto della presente decisione quadro». 4

L’articolo 2 di tale decisione quadro, intitolato «Campo d’applicazione del [MAE]», ai suoi paragrafi 1 e 2, così dispone: «1. Il [MAE] può essere emesso per dei fatti puniti dalle leggi dello Stato membro emittente con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privative della libertà della durata massima non inferiore a dodici mesi oppure, se è stata disposta la condanna a una pena o è stata inflitta una misura di sicurezza, per condanne pronunciate di durata non inferiore a quattro mesi. 2. Danno luogo a consegna in base al [MAE], alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro e indipendentemente dalla doppia incriminazione per il reato, i reati seguenti, quali definiti dalla legge dello Stato membro emittente, se in detto Stato membro il massimo della pena o della misura di sicurezza privative della libertà per tali reati è pari o superiore a tre anni: (…) –

corruzione,

(…)». 5

L’articolo 3 di detta decisione quadro, intitolato «Motivi di non esecuzione obbligatoria del [MAE]», prevede quanto segue: «L’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione (in prosieguo: “autorità giudiziaria dell’esecuzione”) rifiuta di eseguire il [MAE] nei casi seguenti: (…) 2)

se in base ad informazioni in possesso dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno Stato membro a condizione che, in caso di condanna, la sanzione sia stata applicata o sia in fase di esecuzione o non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato membro della condanna;


(…)». 6

L’articolo 4 della decisione quadro 2002/584, intitolato «Motivi di non esecuzione facoltativa del [MAE]», così dispone: «L’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il [MAE]: (…) 3)

se le autorità giudiziarie dello Stato membro dell’esecuzione hanno deciso di non esercitare l’azione penale per il reato oggetto del [MAE] oppure di porvi fine, o se la persona ricercata ha formato oggetto in uno Stato membro di una sentenza definitiva per gli stessi fatti che osta all’esercizio di ulteriori azioni;

(…)».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali 7

AY, cittadino ungherese e presidente del consiglio di amministrazione di una società ungherese, è stato rinviato a giudizio in Croazia il 31 marzo 2014 per corruzione attiva. Secondo l’imputazione dell’Ured za suzbijanje korupcije i organiziranog kriminaliteta (ufficio per la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, Croazia) gli è contestato di avere fatto illegittimamente versare una significativa somma di denaro a un alto funzionario politico croato per ottenere in cambio la conclusione di un contratto.

8

Le indagini preliminari a carico di AY sono state avviate, in Croazia, il 10 giugno 2011. Al momento dell’adozione della decisione di avvio di tali indagini, è stato chiesto alla competente autorità ungherese di fornire un’assistenza giuridica internazionale interrogando AY in qualità di indagato e consegnandogli un invito a comparire.

9

Le autorità croate hanno più volte reiterato tale richiesta mediante commissione rogatoria. Tuttavia, l’Ungheria non vi ha dato seguito sulla base del rilievo che la sua esecuzione avrebbe pregiudicato gli interessi nazionali ungheresi. Di conseguenza, le indagini preliminari croate sono state sospese nel mese di dicembre 2012.

10

Ciò nondimeno, sulla base dei dati comunicati dalle autorità croate, il


procuratore generale dell’Ungheria ha avviato, il 14 luglio 2011, indagini preliminari fondate sull’esistenza di ragionevoli motivi per sospettare che fosse stato commesso un reato consistente in fatti di corruzione attiva in ambito internazionale, previsto dal codice penale ungherese. Il giudice del rinvio indica che tali indagini sono state chiuse, con decisione dell’ufficio centrale delle indagini preliminari ungherese del 20 gennaio 2012, poiché gli atti commessi non costituivano reato ai sensi del diritto ungherese. 11

Dette indagini preliminari non sono state avviate nei confronti di AY in qualità di indagato, bensì unicamente in relazione al reato a carico di ignoti. In tale contesto, AY è stato sentito soltanto in qualità di testimone. Inoltre, non è stato sentito l’alto funzionario politico croato a cui era stata versata la somma di denaro.

12

Il 1o ottobre 2013, dopo l’adesione della Repubblica di Croazia all’Unione europea e prima dell’avvio di indagini preliminari in Croazia, l’ufficio per la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata ha emesso un MAE nei confronti di AY.

13

L’esecuzione di tale MAE è stata negata con decisione della Fővárosi Törvényszék (Corte della capitale, Ungheria), del 7 ottobre 2013, sulla base del rilievo che le informazioni disponibili consentivano di stabilire che era già stato intentato un procedimento penale in Ungheria in base ai medesimi fatti su cui si fondava il MAE e che detto procedimento si era concluso.

14

Dopo il rifiuto di esecuzione del MAE, AY è stato localizzato in Germania e in Austria, ma tali due Stati membri hanno dichiarato di aver deciso di non dare seguito all’avviso di ricerca internazionale emesso tramite l’Interpol, poiché la sua esecuzione era idonea a integrare una violazione del principio del ne bis in idem. Successivamente, il segretariato dell’Interpol ha deciso di cancellare l’avviso di ricerca internazionale spiccato contro AY e di negare alla Repubblica di Croazia l’utilizzo dei canali dell’Interpol a motivo dell’esistenza di un rischio di violazione del principio del ne bis in idem e per le ragioni di sicurezza internazionale dedotte dall’Ungheria.

15

Dopo il rinvio a giudizio di AY in Croazia, è stato emesso un nuovo MAE il 15 dicembre 2015, questa volta dalla sezione competente per i MAE del giudice del rinvio, che non è stato tuttavia eseguito dall’Ungheria.

16

Il 27 gennaio 2017 il giudice del rinvio ha nuovamente comunicato tale MAE


alla competente autorità ungherese. Al riguardo tale giudice ha precisato che, dato che era stato già avviato davanti al medesimo un procedimento penale a carico di AY e che il MAE era stato inizialmente emesso dal pubblico ministero nella fase precedente all’apertura di tale procedimento, le circostanze nello Stato membro emittente erano mutate. 17

Dal momento che, dopo l’invio di tale secondo MAE, erano trascorsi 60 giorni senza risposta, il giudice del rinvio si è rivolto al membro croato di Eurojust. Tale giudice ha indicato che, dopo essere intervenuto, tale membro gli ha trasmesso il parere della competente autorità ungherese, in cui era precisato che quest’ultima riteneva di non essere obbligata a dare seguito al MAE emesso, sul quale si era già pronunciata durante la fase istruttoria del procedimento penale in Croazia. Pertanto, essa non sarebbe stata nemmeno vincolata dai termini per l’esame previsti nella decisione quadro 2002/584. Veniva inoltre indicato che in Ungheria non esistevano rimedi giuridici che autorizzavano l’arresto di AY o l’avvio di una nuova procedura di esecuzione del secondo MAE emesso in Croazia il 15 dicembre 2015. Un identico parere della competente autorità giudiziaria ungherese è stato trasmesso al giudice del rinvio il 4 aprile 2017.

18

In tali circostanze, il giudice del rinvio, da un lato, solleva dubbi in merito all’interpretazione dei motivi di non esecuzione di cui all’articolo 3, punto 2, e all’articolo 4, punto 3, della decisione quadro 2002/584. Tale giudice considera, infatti, che è la persona ricercata a formare l’oggetto del MAE, con la conseguenza che una decisione, invocata quale motivo di non esecuzione del MAE, deve riferirsi alla persona ricercata nella sua veste di indagato o di imputato. Qualora la persona ricercata sia stata sentita quale testimone nel corso del procedimento all’origine di tale decisione, quest’ultima non può costituire il fondamento di un rifiuto dell’esecuzione del MAE. Di conseguenza, la decisione di chiusura delle indagini preliminari in Ungheria, le quali non erano dirette nei confronti di AY, non potrebbe giustificare un rifiuto di consegna.

19

Dall’altro lato, detto giudice ritiene necessario adire la Corte per conoscere quali siano gli obblighi dello Stato membro dell’esecuzione, qualora un MAE sia stato emesso più volte da diverse autorità competenti, nel corso di fasi antecedenti e successive all’avvio di un procedimento penale.

20

Pertanto, lo Županijski sud u Zagrebu (Tribunale di comitato di Zagabria,


Croazia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1)

Se l’articolo 4, punto 3, della decisione quadro [2002/584] debba essere interpretato nel senso che il fatto di non avviare un’azione penale per il reato oggetto di un [MAE] o di porvi fine si riferisca unicamente al reato che formi oggetto del [MAE] ovvero se tale disposizione debba essere intesa nel senso che la rinuncia all’azione penale o il ritiro delle accuse debba altresì riguardare la persona ricercata in qualità di indagato/imputato nell’ambito dell’azione penale medesima.

2)

Se uno Stato membro, ai sensi dell’articolo 4, punto 3, della decisione quadro [2002/584], possa negare di dare esecuzione ad un [MAE] emesso, qualora l’autorità giudiziaria di un altro Stato membro abbia deciso, vuoi di non avviare un’azione penale per il reato oggetto del [MAE], vuoi di porvi fine, nel caso in cui, nell’ambito di tale azione penale, la persona ricercata sia interessata in veste di testimone e non in veste di indagato/imputato.

3)

Se la decisione di porre fine ad un’istruttoria nell’ambito della quale la persona ricercata non possedesse lo status di indagato, essendo stata sentita in qualità di testimone, costituisca, per l’altro Stato membro, un motivo per non dar seguito al [MAE] emesso, conformemente all’articolo 3, punto 2, della decisione quadro [2002/584].

4)

Quale sia il collegamento tra il motivo obbligatorio di diniego di consegna di cui all’articolo 3, punto 2, della decisione quadro nel caso in cui “in base ad informazioni in possesso dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno Stato membro [...]” e il motivo facoltativo di rifiuto di consegna previsto all’articolo 4, punto 3, della decisione quadro nel caso in cui «la persona ricercata ha formato oggetto in uno Stato membro di una sentenza definitiva per gli stessi fatti che osta all’esercizio di ulteriori azioni.

5)

Se l’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro [2002/584] debba essere interpretato nel senso che lo Stato di esecuzione è tenuto ad adottare una decisione in merito ad ogni [MAE] che gli venga trasmesso, e ciò anche qualora esso abbia già statuito su un precedente [MAE] emesso dall’altra autorità giudiziaria contro la stessa persona ricercata nell’ambito


dello stesso procedimento penale e qualora il nuovo [MAE] venga emesso a seguito di un mutamento di circostanze nello Stato di emissione del [MAE] (decisione di rinvio a giudizio – avvio del procedimento penale, criterio più rigoroso in materia di indizi della commissione del reato, nuova autorità giudiziaria/nuovo giudice competente)».

Procedimento dinanzi alla Corte 21

Il giudice del rinvio ha chiesto di sottoporre il presente rinvio pregiudiziale al procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto all’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte. A sostegno della sua domanda, tale giudice ha precisato, segnatamente, che la persona ricercata potrebbe essere arrestata e che è stata pronunciata una misura di custodia cautelare nei suoi confronti.

22

In data 1o giugno 2017, la Quinta Sezione, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, ha deciso di non accogliere tale domanda. Tuttavia, in considerazione delle circostanze della causa principale, il presidente della Corte, con decisione del 9 giugno 2017, ha disposto che la causa venga decisa in via prioritaria ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 3, del regolamento di procedura.

Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale 23

AY contesta la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale sulla base del rilievo che le risposte alle questioni sollevate non sarebbero rilevanti ai fini del procedimento contumaciale diretto nei suoi confronti in Croazia. Oggetto delle questioni è l’interrogativo se altri Stati membri fossero e siano tenuti a eseguire il primo e il secondo MAE emesso a suo carico. Orbene, non sarebbe necessario che siano definite tali questioni affinché il giudice del rinvio possa pronunciare la sua decisione sull’imputazione.

24

Occorre rammentare, a tale riguardo, che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, nell’ambito della cooperazione tra quest’ultima e i giudici nazionali istituita all’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, investito della controversia e tenuto ad assumere la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia


pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (sentenza del 12 ottobre 2017, Sleutjes, C-278/16, EU:C:2017:757, punto 21 e giurisprudenza citata). 25

Da ciò consegue che le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione proposte dal giudice nazionale nell’ambito del contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il rigetto da parte della Corte di una domanda presentata da un giudice nazionale è possibile soltanto se appare in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (sentenza del 12 ottobre 2017, Sleutjes, C-278/16, EU:C:2017:757, punto 22 e giurisprudenza citata).

26

Nel caso di specie, dal fascicolo di causa presentato alla Corte non emerge in maniera evidente che la situazione in oggetto corrisponde a una di queste ipotesi. Infatti, dinanzi al giudice del rinvio sono attualmente pendenti due distinti procedimenti riguardanti AY, vale a dire un procedimento penale in contumacia dinanzi alla camera di deliberazione di tale giudice e un procedimento riguardante l’emissione di un MAE davanti alla camera competente in materia. Orbene, la presente domanda di pronuncia pregiudiziale s’inserisce nell’ambito di quest’ultimo procedimento.

27

A tal riguardo, il giudice del rinvio precisa di adire la Corte al fine di adottare, in base alle risposte fornite alle questioni sollevate, una decisione di revoca del MAE emesso nei confronti di AY. Pertanto, non è possibile sostenere che le questioni proposte non hanno alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento pendente dinanzi al giudice del rinvio né che il problema è di natura ipotetica.

28

In ogni caso, la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale non è messa in questione dalla circostanza che le questioni sollevate vertono sugli obblighi dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione, mentre il giudice del rinvio è l’autorità giudiziaria di emissione del MAE. Invero, l’emissione di un MAE ha


quale conseguenza il possibile arresto della persona ricercata e, pertanto, pregiudica la libertà personale di quest’ultima. Orbene, la Corte ha dichiarato che, nel caso di una procedura riguardante un MAE, la garanzia dei diritti fondamentali spetta, in primo luogo, allo Stato membro emittente (sentenza del 23 gennaio 2018, Piotrowski, C-367/16, EU:C:2018:27, punto 50). 29

Pertanto, per assicurare la tutela di tali diritti – la quale può condurre un’autorità giudiziaria ad adottare una decisione di revoca del MAE che ha emesso – occorre che una siffatta autorità disponga della facoltà di adire la Corte in via pregiudiziale.

30

Si deve, dunque, rilevare che, nel procedimento principale, il mantenimento in vigore del MAE di cui trattasi o l’adozione di una decisione di revoca dello stesso dipende dalla questione se la decisione quadro 2002/584 debba essere interpretata nel senso che l’autorità giudiziaria dello Stato membro dell’esecuzione possa o, eventualmente, debba, in circostanze come quelle di cui al caso di specie, non adottare alcuna decisione rispetto al MAE che le sia stato trasmesso o rifiutarne l’esecuzione.

31

Di conseguenza, la presente domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

Sulle questioni pregiudiziali Sulla quinta questione 32

Con la sua quinta questione, che è opportuno esaminare per prima, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584 debba essere interpretato nel senso che l’autorità giudiziaria dello Stato membro dell’esecuzione sia tenuta ad adottare una decisione rispetto a ogni MAE trasmessole, anche nel caso in cui, in tale Stato membro, sia stato già statuito su un precedente MAE riguardante la stessa persona e vertente sui medesimi fatti e in cui, tuttavia, il secondo MAE sia stato emesso soltanto in ragione del rinvio a giudizio, nello Stato membro emittente, della persona ricercata.

33

Come emerge dalla formulazione dell’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584, gli Stati membri sono obbligati a eseguire ogni MAE, in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della decisione quadro. Salvo circostanze eccezionali, le autorità giudiziarie


dell’esecuzione possono dunque rifiutarsi di eseguire un siffatto mandato solo nei casi, esclusivamente elencati, di non esecuzione previsti da tale decisione quadro e possono subordinare l’esecuzione del MAE esclusivamente a una delle condizioni da essa tassativamente previste. Detta decisione quadro enuncia, dunque, espressamente i motivi di non esecuzione obbligatoria (articolo 3) e facoltativa (articoli 4 e 4 bis) del MAE (v. sentenza del 10 agosto 2017, Tupikas, C-270/17 PPU, EU:C:2017:628, punti 50 e 51). 34

In tale contesto, l’articolo 15, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584 prevede che «[l]’autorità giudiziaria dell’esecuzione decide la consegna della persona nei termini e alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro». Inoltre, l’articolo 17, paragrafi 1 e 6, della decisione quadro dispone che «[u]n [MAE] deve essere trattato ed eseguito con la massima urgenza» e che «[q]ualsiasi rifiuto di eseguire un [siffatto mandato] deve essere motivato». Ancora, l’articolo 22 della decisione quadro enuncia che «[l]’autorità giudiziaria dell’esecuzione notifica immediatamente all’autorità giudiziaria emittente la decisione riguardante il seguito dato al [MAE]».

35

Di conseguenza, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 38 delle sue conclusioni, un’autorità giudiziaria dell’esecuzione che non si pronuncia in seguito all’emissione di un MAE e non trasmette quindi alcuna decisione all’autorità giudiziaria di emissione dello stesso viene meno agli obblighi che le incombono in forza di dette disposizioni della decisione quadro 2002/584.

36

Pertanto, occorre rispondere alla quinta questione dichiarando che l’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584 deve essere interpretato nel senso che l’autorità giudiziaria dello Stato membro dell’esecuzione è tenuta ad adottare una decisione rispetto a ogni MAE trasmessole, anche nel caso in cui, in tale Stato membro, sia stato già statuito su un precedente MAE riguardante la stessa persona e vertente sui medesimi fatti e in cui, tuttavia, il secondo MAE sia stato emesso soltanto in ragione del rinvio a giudizio, nello Stato membro emittente, della persona ricercata. Sulle questioni dalla prima alla quarta

37

Con le sue questioni dalla prima alla quarta, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3, punto 2, e l’articolo 4, punto 3, della decisione quadro 2002/584 debbano essere interpretati nel senso che una decisione del pubblico ministero, come quella


dell’ufficio centrale delle indagini preliminari ungherese di cui trattasi nel procedimento principale, che ha posto fine a indagini preliminari avviate contro ignoti, nel corso delle quali la persona oggetto di un MAE è stata sentita soltanto in veste di testimone, possa essere invocata per rifiutare l’esecuzione di tale MAE in base all’una o all’altra di tali disposizioni. Sull’articolo 3, punto 2, della decisione quadro 2002/584 38

L’articolo 3, punto 2, della decisione quadro 2002/584 prevede un motivo di non esecuzione obbligatoria, in forza del quale l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve rifiutare di eseguire il MAE qualora sia informata che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti in uno Stato membro a condizione che, in caso di condanna, la sanzione sia stata applicata o sia in fase di esecuzione o non possa più essere eseguita in base alle leggi dello Stato membro della condanna.

39

Tale disposizione mira a evitare che una persona sia nuovamente perseguita o giudicata penalmente per gli stessi fatti (sentenza del 16 novembre 2010, Mantello, C-261/09, EU:C:2010:683, punto 40) e rispecchia il principio del ne bis in idem, sancito all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, secondo il quale nessuno può essere perseguito o condannato penalmente due volte per lo stesso reato.

40

Una delle condizioni a cui è subordinato il rifiuto di esecuzione del MAE è che la persona ricercata sia «stata giudicata con sentenza definitiva».

41

A tal riguardo, occorre precisare che, sebbene l’articolo 3, punto 2, della decisione quadro 2002/584 si riferisca, nella sua formulazione, a una «sentenza», tale disposizione è altresì applicabile a decisioni emesse da un’autorità incaricata di amministrare la giustizia penale nell’ordinamento giuridico nazionale interessato, che chiudono definitivamente il procedimento penale in uno Stato membro, benché tali decisioni siano adottate senza l’intervento di un giudice e non assumano la forma di una sentenza (v., per analogia, sentenza del 29 giugno 2016, Kossowski, C-486/14, EU:C:2016:483, punto 39 e giurisprudenza citata).

42

Secondo la giurisprudenza della Corte, si considera che una persona ricercata è stata oggetto di una sentenza definitiva per gli stessi fatti, ai sensi dell’articolo 3, punto 2, della decisione quadro 2002/584, nel caso in cui, in esito a un procedimento penale, l’azione penale si sia definitivamente estinta o, ancora,


qualora le autorità giudiziarie di uno Stato membro abbiano emanato una decisione di definitivo proscioglimento dell’imputato per i fatti contestatigli (sentenza del 16 novembre 2010, Mantello, C-261/09, EU:C:2010:683, punto 45 e giurisprudenza citata). 43

La pronuncia di una «sentenza definitiva» ai sensi dell’articolo 3, punto 2, della decisione quadro 2002/584, presuppone quindi l’esistenza di un’azione penale anteriore, esercitata nei confronti della persona ricercata (v., in tal senso, sentenze del 16 novembre 2010, Mantello, C-261/09, EU:C:2010:683, punti 46 e 47; del 5 giugno 2014, M, C-398/12, EU:C:2014:1057, punti 31 e 32, nonché del 29 giugno 2016, Kossowski, C-486/14, EU:C:2016:483, punti 34 e 35).

44

Inoltre, il principio del ne bis in idem si applica soltanto alle persone giudicate con sentenza definitiva in uno Stato membro (v. sentenza del 28 settembre 2006, Gasparini e a., C-467/04, EU:C:2006:610, punto 37). Esso non si estende, invece, alle persone che sono state esclusivamente sentite nell’ambito di indagini preliminari, come i testimoni.

45

Nel caso di specie, emerge dal fascicolo presentato alla Corte che l’istruttoria svolta in Ungheria in seguito alla commissione rogatoria croata, che è stata chiusa con la decisione dell’ufficio centrale delle indagini preliminari ungherese del 20 gennaio 2012, è stata avviata contro ignoti. Essa non è stata condotta nei confronti di AY quale indagato o imputato, dato che la competente autorità ungherese ha sentito tale persona sono in veste di testimone. Pertanto, in assenza di un’azione penale nei suoi confronti, non è possibile ritenere che AY sia stato giudicato con sentenza definitiva, ai sensi dell’articolo 3, punto 2, della decisione quadro 2002/584.

46

Di conseguenza, una decisione del pubblico ministero, come quella dell’ufficio centrale delle indagini preliminari ungherese di cui al procedimento principale, che ha posto fine a indagini nel corso delle quali la persona oggetto di un MAE è stata sentita soltanto in veste di testimone, non può essere invocata per rifiutare l’esecuzione di tale MAE in base all’articolo 3, punto 2, della decisione quadro 2002/584. Sull’articolo 4, punto 3, della decisione quadro 2002/584

47

L’articolo 4, punto 3, della decisione quadro 2002/584 prevede tre motivi di non esecuzione facoltativi.


48

In base al primo motivo di non esecuzione di cui all’articolo 4, punto 3, di tale decisione quadro, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il MAE se le autorità giudiziarie dello Stato membro dell’esecuzione hanno deciso di non esercitare l’azione penale per il reato oggetto del MAE.

49

Orbene, la decisione dell’ufficio centrale delle indagini preliminari ungherese di cui al procedimento principale non verte su una rinuncia all’esercizio dell’azione penale, sicché tale motivo di non esecuzione è irrilevante in circostanze come quelle di cui al caso di specie.

50

Ai sensi del secondo motivo di non esecuzione previsto all’articolo 4, punto 3, della decisione quadro 2002/584, l’esecuzione del MAE può essere rifiutata se, nello Stato membro dell’esecuzione, le autorità giudiziarie hanno deciso di porre fine all’azione penale per il reato oggetto del MAE.

51

Al riguardo, occorre rilevare che l’articolo 4, punto 3, prima parte, della decisione quadro 2002/584, che indica tale motivo di non esecuzione, si riferisce esclusivamente al «reato oggetto del [MAE]» e non alla persona ricercata.

52

Si deve altresì rammentare che, poiché il rifiuto di un MAE costituisce l’eccezione, i motivi di non esecuzione di un siffatto mandato devono essere oggetto di interpretazione restrittiva (v. sentenza del 23 gennaio 2018, Piotrowski, C-367/16, EU:C:2018:27, punto 48 e giurisprudenza citata).

53

Orbene, come fatto valere dalla Commissione, un’interpretazione secondo cui l’esecuzione di un MAE potrebbe essere rifiutata, sulla base del secondo motivo di non esecuzione di cui all’articolo 4, punto 3, della decisione quadro 2002/584, qualora tale mandato verta su fatti identici a quelli già oggetto di una precedente decisione, indipendentemente dall’identità della persona nei cui confronti è stata esercitata l’azione penale, sarebbe manifestamente troppo ampia e comporterebbe un rischio di elusione dell’obbligo di eseguire un MAE.

54

Infatti, come emerge dall’articolo 1, paragrafo 1, di tale decisione quadro, il MAE è una decisione giudiziaria in vista dell’arresto e della consegna di una persona ricercata. Pertanto, un MAE non è emesso soltanto a fronte di un reato, ma riguarda necessariamente una persona determinata.

55

Inoltre, tale motivo di non esecuzione non ha lo scopo di tutelare una persona dall’eventualità di doversi sottoporre a ulteriori accertamenti, per gli stessi fatti,


in più Stati membri (v., per analogia, sentenza del 29 giugno 2016, Kossowski, C-486/14, EU:C:2016:483, punto 45 e giurisprudenza citata). 56

Invero, la decisione quadro 2002/584 si inserisce nel contesto dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, in cui è assicurata, da un lato, la libera circolazione delle persone, associata, dall’altro, a misure appropriate, segnatamente, in materia di prevenzione della criminalità e di lotta contro tale fenomeno (v., per analogia, sentenza del 29 giugno 2016, Kossowski, C-486/14, EU:C:2016:483, punto 46).

57

Pertanto, il secondo motivo di non esecuzione previsto all’articolo 4, punto 3, della decisione quadro 2002/584 deve essere interpretato alla luce della necessità di promuovere la prevenzione della criminalità e di lottare contro tale fenomeno (v., per analogia, sentenza del 29 giugno 2016, Kossowski, C-486/14, EU:C:2016:483, punto 47).

58

Orbene, si deve constatare che, in circostanze come quelle di cui al caso di specie, nelle quali, da un lato, sono state condotte indagini preliminari contro ignoti e non nei confronti della persona ricercata mediante il MAE, e, dall’altro, la decisione che ha posto fine a tali indagini non è stata adottata nei confronti di quest’ultima, non vi è stato alcun coinvolgimento di tale persona, nell’azione penale di cui all’articolo 4, punto 3, prima parte, della decisione quadro 2002/584, che giustifichi il rifiuto di esecuzione del MAE.

59

Tale interpretazione è suffragata dalla genesi della decisione quadro 2002/584, considerato che emerge dalla proposta iniziale della Commissione (COM[2001] 522 def., pag. 18) che l’articolo 4, punto 3, prima parte, di tale decisione quadro riflette l’articolo 9, seconda frase, della Convenzione europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957. A mente di tale disposizione «[l’estradizione] potrà essere rifiutata se le autorità competenti della Parte richiesta hanno deciso di non aprire un perseguimento penale o di chiuderne uno già avviato per gli stessi fatti». A tal riguardo, la relazione esplicativa di tale Convenzione precisa che la disposizione in parola si riferisce al caso di un individuo che «è stato oggetto» di una decisione che osta o pone fine all’esercizio dell’azione penale (v. pag. 9 della relazione esplicativa della Convenzione europea di estradizione [Parigi, 13.XII.1957, serie dei trattati europei – n. 24]).

60

Pertanto, in circostanze come quelle indicate al punto 58 della presente sentenza, detta decisione non può essere invocata per rifiutare l’esecuzione di


un MAE, sulla base del secondo motivo di non esecuzione di cui all’articolo 4, punto 3, della decisione quadro 2002/584. 61

Da ultimo, in forza del terzo motivo di non esecuzione previsto all’articolo 4, punto 3, della decisione quadro 2002/584, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il MAE se la persona ricercata ha formato oggetto in uno Stato membro di una sentenza definitiva per gli stessi fatti che osta all’esercizio di ulteriori azioni.

62

Al riguardo, è sufficiente rilevare che tale motivo di non esecuzione non può trovare applicazione in una situazione come quella di cui alla presente fattispecie, poiché non sono soddisfatte le condizioni di applicazione dello stesso.

63

Pertanto, alla luce delle suesposte considerazioni, si deve rispondere alle questioni dalla prima alla quarta, dichiarando che l’articolo 3, punto 2, e l’articolo 4, punto 3, della decisione quadro 2002/584 devono essere interpretati nel senso che una decisione del pubblico ministero, come quella dell’ufficio centrale delle indagini preliminari ungherese di cui al procedimento principale, che ha posto fine a indagini preliminari avviate contro ignoti, nel corso delle quali la persona oggetto di un MAE è stata sentita soltanto in veste di testimone, senza che sia stata esercitata l’azione penale contro tale persona e senza che detta decisione sia stata adottata nei suoi confronti, non può essere invocata per rifiutare l’esecuzione di tale MAE in base all’una o all’altra di tali disposizioni.

Sulle spese 64

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara: 1)

L’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla


decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, deve essere interpretato nel senso che l’autorità giudiziaria dello Stato membro dell’esecuzione è tenuta ad adottare una decisione rispetto a ogni mandato d’arresto europeo trasmessole, anche nel caso in cui, in tale Stato membro, sia stato già statuito su un precedente mandato d’arresto europeo riguardante la stessa persona e vertente sui medesimi fatti e in cui, tuttavia, il secondo mandato d’arresto europeo sia stato emesso soltanto in ragione del rinvio a giudizio, nello Stato membro emittente, della persona ricercata. 2)

L’articolo 3, punto 2, e l’articolo 4, punto 3, della decisione quadro 2002/584, come modificata dalla decisione quadro 2009/299, devono essere interpretati nel senso che una decisione del pubblico ministero, come quella dell’ufficio centrale delle indagini preliminari ungherese di cui al procedimento principale, che ha posto fine a indagini preliminari avviate contro ignoti, nel corso delle quali la persona oggetto di un mandato d’arresto europeo è stata sentita soltanto in veste di testimone, senza che sia stata esercitata l’azione penale contro tale persona e senza che detta decisione sia stata adottata nei suoi confronti, non può essere invocata per rifiutare l’esecuzione di tale mandato d’arresto europeo in base all’una o all’altra di tali disposizioni.

Firme

*

Lingua processuale: il croato.

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE MACIEJ SZPUNAR presentate il 16 maggio 2018(1)

Causa C-268/17


Ured za suzbijanje korupcije i organiziranog kriminaliteta contro AY [Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Županijski sud u Zagrebu (Tribunale di comitato di Zagabria, Croazia)] «Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Decisione quadro 2002/584/GAI – Articolo 3, punto 2, e articolo 4, punto 3 – Mandato di arresto europeo – Motivi di non esecuzione – Nozione di sentenza definitiva per gli stessi fatti – Persona ricercata – Qualità di testimone nello Stato membro di esecuzione»

1. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Županijski sud u Zagrebu (Tribunale di comitato di Zagabria, Croazia) darà alla Corte l’occasione di chiarire che, in linea di principio, essa non ha la competenza in materia d’interpretazione di disposizioni sulla non esecuzione di un mandato di arresto europeo (in prosieguo: il «MAE»), laddove le questioni provengano da un giudice dello Stato membro che ha emesso detto MAE in conformità alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (in prosieguo: la «decisione quadro») (2).

Contesto normativo 2. L’articolo 1 della decisione quadro, intitolato «Definizione del mandato d’arresto europeo ed obbligo di darne esecuzione», prevede quanto segue: «1. Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o


dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà. 2. Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro. 3. L’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 del trattato sull’Unione europea non può essere modificata per effetto della presente decisione quadro». 3. L’articolo 2, intitolato «Campo d’applicazione del mandato d’arresto europeo» stabilisce, ai paragrafi 1 e 2, quanto segue: «1. Il mandato d’arresto europeo può essere emesso per dei fatti puniti dalle leggi dello Stato membro emittente con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privative della libertà della durata massima non inferiore a dodici mesi oppure, se è stata disposta la condanna a una pena o è stata inflitta una misura di sicurezza, per condanne pronunciate di durata non inferiore a quattro mesi. 2. Danno luogo a consegna in base al mandato d’arresto europeo, alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro e indipendentemente dalla doppia incriminazione per il reato, i reati seguenti, quali definiti dalla legge dello Stato membro emittente, se in detto Stato membro il massimo della pena o della misura di sicurezza privative della libertà per tali reati è pari o superiore a tre anni: (…) –

corruzione,

(…)». 4. I «Motivi di non esecuzione obbligatoria del mandato di arresto europeo» sono elencati all’articolo 3 della citata decisione quadro, a norma del quale: «L’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione (in prosieguo: “autorità giudiziaria dell’esecuzione”) rifiuta di eseguire il mandato d’arresto europeo nei casi seguenti:


(…) 2)

se in base ad informazioni in possesso dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno Stato membro a condizione che, in caso di condanna, la sanzione sia stata applicata o sia in fase di esecuzione o non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato membro della condanna;

(…)». 5. Ai sensi dell’articolo 4 della decisione quadro, intitolato «Motivi di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo»: «L’autorità giudiziaria d’esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo: (…) 3)

se le autorità giudiziarie dello Stato membro dell’esecuzione hanno deciso di non esercitare l’azione penale per il reato oggetto del mandato d’arresto europeo oppure di porvi fine, o se la persona ricercata ha formato oggetto in uno Stato membro di una sentenza definitiva per gli stessi fatti che osta all’esercizio di ulteriori azioni;

(…)».

Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali 6. AY è un cittadino ungherese, presidente del consiglio di amministrazione di una società ungherese, imputato in un procedimento penale dinanzi al giudice del rinvio. Nell’atto d’imputazione emesso dallo Ured za suzbijanje korupcije ho organiziranog (ufficio incaricato della lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, in prosieguo: l’«USKOK»), il 31 marzo 2014 gli viene contestato di essersi accordato per versare una notevole quantità di denaro a un alto funzionario in Croazia, in cambio della conclusione di un accordo fra la società ungherese e il governo croato. 7. Il 10 giugno 2011 l’USKOK ha avviato un’indagine nei confronti dell’indagato AY per fatti configuranti corruzione attiva, informando in maniera


esauriente, prima dell’avvio dell’indagine, la procura generale ungherese e il procuratore generale ungherese in persona. Al momento dell’adozione della decisione di avviare un’indagine è stato chiesto alla competente autorità ungherese di fornire assistenza giuridica internazionale sentendo AY in veste di indagato e consegnandogli una convocazione. Le commissioni rogatorie sono state inviate tra il 10 giugno 2011 e il settembre 2013. 8. Le autorità ungheresi non hanno dato esecuzione alle commissioni rogatorie. Le competenti autorità croate non sono perciò riuscite a reperire l’indagato A e, l’indagine croata contro l’indagato AY è stata sospesa nel dicembre 2012. 9. Tuttavia, sulla base delle informazioni comunicategli in allegato alla commissione rogatoria, il procuratore generale ungherese ha avviato un’indagine, sussistendo ragionevoli motivi per sospettare che fosse stato commesso un reato recante pregiudizio all’integrità della vita pubblica, sotto forma di corruzione attiva in ambito internazionale, contemplata dal codice penale ungherese. Il 20 gennaio 2012 tale indagine è stata chiusa con decisione dell’ufficio centrale delle indagini ungherese, in forza della legge ungherese sul procedimento penale, in quanto gli atti commessi non costituivano reato. Tuttavia, l’indagine non era stata avviata nei confronti di AY in veste di indagato, ma unicamente in relazione al reato. AY, relativamente a questo reato, è stato sentito in veste di testimone. Il funzionario croato non è stato sentito in veste di testimone nell’ambito di tale procedimento d’indagine. 10. Secondo il giudice del rinvio, gli altri procedimenti che si sono svolti in Ungheria sono stati archiviati in assenza di circostanze nuove successive a quelle menzionate nella decisione del 20 gennaio 2012. 11. Il 1o ottobre 2013, dopo l’adesione della Croazia all’Unione europea e prima dell’avvio in Croazia di un procedimento penale ai sensi delle disposizioni nazionali applicabili, l’USKOK ha emesso, un MAE contro AY. 12. L’esecuzione di tale MAE è stata negata con decisione della Fővárosi Törvényszék (Corte della capitale, Ungheria) del 7 ottobre 2013, in quanto le informazioni disponibili permettevano di accertare che, sulla base degli stessi fatti su cui era fondato il mandato d’arresto, era già stato intentato in Ungheria un procedimento penale al quale l’autorità giudiziaria ungherese aveva posto fine.


13. Dopo la richiesta di rinvio a giudizio e la decisione di rinvio a giudizio di AY dinanzi al giudice del rinvio, la causa è stata assegnata alla camera istruttoria di detto giudice, sezione dei mandati d’arresto europei, ai sensi della pertinente disposizione del codice di procedura penale croato. Un secondo mandato di arresto europeo contro AY, la persona ricercata, è stato emesso il 15 dicembre 2015. La repubblica di Ungheria non gli ha mai dato esecuzione. 14. Il 27 gennaio 2017 il giudice del rinvio ha nuovamente trasmesso il secondo MAE alle autorità ungheresi competenti. 15. Essendo trascorsi 60 giorni da tale ultimo invio del secondo MAE, il giudice del rinvio si è successivamente rivolto al membro croato di Eurojust. Dopo essere intervenuto, il membro croato di Eurojust ha inviato al giudice del rinvio il parere della competente autorità ungherese, nel quale si afferma che quest’ultima ritiene di non essere tenuta a dar seguito al MAE emesso e che in Ungheria non esisterebbe alcuna possibilità legale di arrestare l’imputato AY o di avviare una nuova procedura di esecuzione del MAE emesso in Croazia il 15 dicembre 2015. Il 4 aprile 2017 è stato trasmesso al giudice del rinvio un identico parere della competente autorità giudiziaria ungherese. 16. Il giudice del rinvio, nutrendo dubbi sull’interpretazione dei motivi di non esecuzione del MAE previsti all’articolo 3, punto 2, e all’articolo 4, punto 3, della decisione quadro, con ordinanza del 16 maggio 2017, ricevuta dalla Corte il 18 maggio 2017, ha sottoposto le seguenti questioni pregiudiziali: «1)

Se l’articolo 4, punto 3, della decisione quadro (…) debba essere interpretato nel senso che il fatto di non avviare un’azione penale per il reato oggetto di un mandato di arresto europeo o di porvi fine si riferisca unicamente al reato che formi oggetto del mandato di arresto europeo ovvero se tale disposizione debba essere intesa nel senso che la rinuncia all’azione penale o il ritiro delle accuse debba altresì riguardare la persona ricercata in qualità di indagato/imputato nell’ambito dell’azione penale medesima.

2)

Se uno Stato membro, ai sensi dell’articolo 4, punto 3, della decisione quadro (…), possa negare di dare esecuzione ad un mandato di arresto europeo emesso, qualora l’autorità giudiziaria di un altro Stato membro abbia deciso, vuoi di non avviare un’azione penale per il reato oggetto del mandato di arresto europeo, vuoi di porvi fine, nel caso in cui, nell’ambito di tale azione penale, la persona ricercata sia interessata in veste di


testimone e non in veste di indagato/imputato. 3)

Se la decisione di porre fine ad un’istruttoria nell’ambito della quale la persona ricercata non possedesse lo status di indagato, essendo stata sentita in qualità di testimone, costituisca, per l’altro Stato membro, un motivo per non dar seguito al mandato d’arresto europeo emesso, conformemente all’articolo 3, punto 2, della decisione quadro (…)

4)

Quale sia il collegamento tra il motivo obbligatorio di diniego di consegna di cui all’articolo 3, punto 2, della decisione quadro nel caso in cui “in base ad informazioni in possesso dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno Stato membro” e il motivo facoltativo di rifiuto di consegna previsto all’articolo 4, punto 3, della decisione quadro nel caso in cui “la persona ricercata ha formato oggetto in uno Stato membro di una sentenza definitiva per gli stessi fatti che osta all’esercizio di ulteriori azioni”.

5)

Se l’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro (…) debba essere interpretato nel senso che lo Stato di esecuzione è tenuto ad adottare una decisione in merito ad ogni mandato d’arresto europeo che gli venga trasmesso, e ciò anche qualora esso abbia già statuito su un precedente mandato d’arresto europeo emesso dall’altra autorità giudiziaria contro la stessa persona ricercata nell’ambito dello stesso procedimento penale e qualora il nuovo mandato d’arresto europeo venga emesso a seguito di un mutamento di circostanze nello Stato di emissione del mandato d’arresto europeo (decisione di rinvio a giudizio – avvio del procedimento penale, criterio più rigoroso in materia di indizi della commissione del reato, nuova autorità giudiziaria/nuovo giudice competente)».

17. Alla luce delle particolari circostanze della presente causa, è stato disposto che essa venga decisa in via prioritaria, ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 3, del regolamento di procedura della Corte di giustizia. 18. Osservazioni scritte sono state presentate dalle parti nel procedimento principale, dai governi della Croazia, della Repubblica ceca, dell’Ungheria, dell’Austria, della Romania e dall’Irlanda, nonché dalla Commissione. Le parti nel procedimento principale, i governi croato e ungherese e la Commissione hanno preso parte all’udienza che si è svolta il 28 febbraio 2018.


Valutazione Competenza della Corte di giustizia 19. Nella presente causa, il giudice dello Stato membro di emissione del MAE chiede chiarimenti sull’esecuzione di tale MAE. In relazione a ciò, il giudice del rinvio sottopone una serie di questioni sui motivi di non esecuzione di un MAE previsti agli articoli 3, punto 2, e 4 punto 3, della decisione quadro. 20. Ciò appare strano, in quanto la risposta fornita dalla Corte riguarderebbe soltanto le autorità dell’esecuzione. 21. Le cause relative ai MAE tipicamente derivano da una controversia tra le autorità giudiziarie di due Stati membri. Le autorità di uno Stato membro emettono un MAE, mentre le autorità di un altro Stato membro danno esecuzione a tale MAE. 22. Di conseguenza, solitamente, le cause relative alle questioni sull’esecuzione, e più in particolare, sui possibili motivi di rifiuto di esecuzione, provengono dalle autorità giudiziarie dell’esecuzione, in quanto dette autorità cercano chiarezza sui parametri di tali motivi di rifiuto (3). Tali autorità mirano ad accertare se possano o debbano non eseguire un MAE. 23. Sembra che il giudice del rinvio ritenga che, in base alla risposta della Corte, potrebbe trovarsi in una situazione in cui debba revocare il MAE. Pertanto, qualora la Corte dichiarasse l’esistenza di motivi per i quali le autorità ungheresi non debbano dare esecuzione al MAE, il giudice del rinvio dovrebbe assicurare la revoca del MAE. 24. Non credo che la Corte sia in grado di rispondere alle questioni pregiudiziali da 1 a 4. A mio parere, infatti, la Corte non è competente a farlo (4). 25. Si evince dall’articolo 267, paragrafo 2, TFUE che la Corte di giustizia è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale qualora una tale questione sia considerata dal giudice del rinvio «necessaria» per consentirgli di emettere una sentenza. 26. In una causa come quella di cui trattasi non vedo proprio la necessità della risposta della Corte ai fini del procedimento dinanzi al giudice del rinvio.


Vero è che, di norma, le domande di pronuncia pregiudiziale sono ricevibili ed è solo in casi rari ed estremi che la Corte nega loro una risposta. Tali domande godono di una presunzione di rilevanza (5). La rilevanza di una questione pregiudiziale è un dato oggettivo. 27. In quelli che essa stessa definisce «casi eccezionali» (6) la Corte ha pertanto rifiutato di rispondere alle questioni pregiudiziali in fattispecie ipotetiche, laddove le questioni sollevate non erano pertinenti per la decisione sulla controversia, le questioni non erano formulate in modo sufficientemente chiaro o i fatti non erano sufficientemente chiari. 28. Le questioni da 1 a 4, a prima vista, non sembrano rientrare in nessuna delle categorie di casi in cui la Corte ha rifiutato di rispondere alle questioni. E inoltre, a mia conoscenza, la Corte non si è ancora trovata di fronte a una situazione come quella del caso di specie, vale a dire nel caso in cui le autorità di uno Stato membro che emettono un MAE cercano orientamenti sui diritti e gli obblighi di coloro che devono eseguire il MAE. 29. La questione di sapere se un’autorità che emette il MAE decida di mantenere o no un MAE è e dovrebbe essere indipendente dalla determinazione dei possibili motivi di non esecuzione. Se, diciamo, la Corte dovesse considerare che le autorità ungheresi possono far valere gli articoli 3, punto 2, o 4, punto 3, della decisione quadro al fine di non eseguire il MAE, giuridicamente ciò non ha alcuna rilevanza sulla questione se l’autorità emittente mantenga o no il MAE. Il giudice del rinvio potrebbe mantenere il MAE o potrebbe revocarlo. 30. Il caso che sta alla base della presente domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione, in un caso concreto, di disposizioni del diritto ungherese alla luce delle disposizioni della decisione quadro. La decisione finale sulla questione se i requisiti di cui agli articoli 3, punto 2, o 4, punto 3, della decisione quadro siano soddisfatti o meno, è una decisione che spetta alle autorità ungheresi. Il giudice del rinvio non può adempiere a questo compito e, in concreto, sostituirsi alle autorità ungheresi. 31. Se la Corte dovesse rispondere alle questioni da 1 a 4 nella presente causa, la sua decisione non avrebbe, naturalmente, «valore puramente consultivo [senza] efficacia vincolante» (7). Tuttavia, in realtà e per quanto riguarda il giudice del rinvio nel caso specifico di cui trattasi, sarebbe proprio questo: senza dubbio interessante sulla carta, ma non in grado di essere


applicata in pratica da parte delle autorità croate al caso concreto controverso. La decisione potrebbe essere rilevante solo per le autorità ungheresi – che non sono la fonte della presente domanda di pronuncia pregiudiziale. 32. Non va inoltre dimenticato che tutto il sistema su cui si fonda il MAE si basa sulla reciproca fiducia e il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri di emissione e dell’esecuzione. Va da sé che spetta in primo luogo e soprattutto allo Stato membro di esecuzione riporre fiducia nelle azioni dello Stato membro emittente. Tuttavia, anche lo Stato membro emittente deve riporre fiducia nelle azioni dello Stato membro di esecuzione quando quest’ultimo fa valere dei motivi di non esecuzione di un MAE. Se lo Stato membro di emissione inizia ad applicare e interpretare il diritto dello Stato membro di esecuzione e tenta di accertare se quest’ultimo ha correttamente applicato la legge, esso si muove pericolosamente vicino ad una violazione di tale fiducia reciproca. A tal proposito, diversamente, ad esempio, dalle questioni di diritto civile, non è comune che le autorità di un paese applichino, interpretino e valutino il diritto di un altro paese. Nel sistema istituito mediante la procedura di pronuncia pregiudiziale, i giudici nazionali forniscono i fatti e la descrizione del diritto nazionale di cui trattasi al fine di consentire alla Corte di fornire un’interpretazione utile e teleologica del diritto dell’Unione. Ciò può tuttavia essere garantito solo se il giudice del rinvio è effettivamente in grado di applicare poi l’interpretazione della Corte alla causa di cui si sta occupando. Poiché il giudice croato non può applicare il diritto penale ungherese, la risposta della Corte sarà priva di scopo in questo contesto (8). 33. In conclusione, dato che le questioni sollevate riguardano l’interpretazione della decisione quadro nel contesto di questioni appartenenti alla competenza delle autorità dello Stato membro di esecuzione, ritengo che la Corte non sia competente a risolvere le questioni sottopostele. 34. Per quanto riguarda la questione n. 5, non mi sembra si ponga un problema di competenza. A norma della decisione quadro, il cui fondamento è lo spirito di cooperazione tra le autorità di vari Stati membri, la risposta a tale questione è prima di tutto e soprattutto rilevante per le autorità dello Stato membro di esecuzione. Tuttavia, una decisione su tale questione, con la quale il giudice del rinvio, in sostanza, mira ad accertare se, in virtù dell’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione sia tenuta ad adottare una decisione su un MAE che le è stato trasmesso, è necessaria anche per il giudice di rinvio, al fine di sapere se possa


giuridicamente aspettarsi una risposta dall’autorità giudiziaria di esecuzione. Ciò consentirà al giudice del rinvio di determinare se debba revocare il secondo MAE o meno. Inoltre, si deve tenere presente che la questione n. 5 è l’unica che non richiede un’interpretazione del diritto ungherese da parte del giudice del rinvio croato. Nel merito

Questione n. 5 35. Con la quinta questione il giudice del rinvio intende in sostanza accertare se, in virtù dell’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è tenuta ad adottare una decisione su un MAE che le è stato trasmesso, anche nel caso in cui in tale Stato membro sia già intervenuta una pronuncia su un precedente MAE con riguardo alla stessa persona ricercata, nello stesso procedimento penale, laddove il secondo MAE è stato emesso da una diversa autorità giudiziaria a causa di una modifica delle circostanze nello Stato membro emittente. 36. Ai sensi della chiara formulazione dell’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro, gli Stati membri danno esecuzione ad ogni MAE in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della decisione quadro. In questo contesto, l’articolo 15, paragrafo 1, della decisione quadro prevede che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione decida entro i limiti di tempo stabiliti nella decisione quadro sulla consegna della persona ricercata. Inoltre, l’articolo 17, paragrafo 1, della decisione quadro prevede che un MAE debba essere trattato ed eseguito con la massima urgenza e che qualsiasi rifiuto di eseguirlo, in conformità con il paragrafo 6 di tale articolo, deve essere motivato. Inoltre, l’articolo 22 della decisione quadro prevede che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione notifichi immediatamente all’autorità giudiziaria emittente la decisione riguardante il seguito dato al MAE. 37. In aggiunta a ciò, come si vedrà più in dettaglio nel seguito, i motivi di non esecuzione di un MAE sono tassativamente elencati agli articoli 3 e seguenti della decisione quadro. L’esistenza di un precedente MAE non figura tra i motivi di rifiuto. 38. Di conseguenza, le autorità di uno Stato membro di esecuzione che non rispondono a un MAE violano gli obblighi che incombono loro ai sensi della


decisione quadro. 39. La risposta che propongo alla questione n. 5 è pertanto che, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è tenuta a rendere una decisione su un MAE che le è stato trasmesso, anche nel caso in cui in tale Stato membro sia già intervenuta una pronuncia su un precedente MAE con riguardo alla stessa persona ricercata, nello stesso procedimento penale, ma il secondo MAE sia stato emesso da una diversa autorità giudiziaria a causa di una modifica delle circostanze nello Stato membro emittente. Questioni da 1 a 4 40. Qualora la Corte non condivida la mia analisi sulla competenza giurisdizionale relativamente alle questioni da 1 a 4, a titolo ipotetico, affronterò adesso le restanti questioni sollevate. 41. Con le questioni dalla prima alla quarta, che dovrebbero trattarsi congiuntamente, il giudice del rinvio in sostanza chiede se una decisione, come quella del 20 gennaio 2012 della procura centrale per le indagini preliminari ungherese di interrompere le indagini condotte in Ungheria, possa costituire un motivo di rifiuto ai sensi degli articoli 3, punto 2, o 4, punto 3, della decisione quadro, che impedirebbe l’esecuzione del MAE emesso contro AY. Chiede inoltre quale sia la relazione tra queste due disposizioni. Relazione fra gli articoli 3, punto 2, e 4 punto 3, nel contesto della decisione quadro 42. Le caratteristiche fondamentali della decisione quadro riguardanti i motivi di non esecuzione di un MAE sono già ben note alla Corte: la decisione quadro si basa sul principio del riconoscimento reciproco, che di per sé, quale «fondamento» della cooperazione giudiziaria, si basa sulla fiducia reciproca (9) tra gli Stati membri al fine di raggiungere l’obiettivo stabilito per l’Unione di diventare uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia (10). In tale prospettiva, la decisione quadro stabilisce, al suo articolo 1, paragrafo 2, la regola secondo cui gli Stati membri sono obbligati a dare esecuzione ad ogni MAE in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della stessa decisione quadro. Salvo in circostanze eccezionali, le autorità giudiziarie dell’esecuzione possono quindi rifiutarsi di eseguire un tale mandato solo nei casi tassativamente elencati di non esecuzione previsti dalla


decisione quadro e l’esecuzione del MAE può essere subordinata ad una sola delle condizioni tassativamente elencate in esso. Di conseguenza, dato che l’esecuzione del MAE costituisce la regola, il rifiuto di esecuzione è concepito come un’eccezione che dev’essere oggetto di interpretazione restrittiva (11). 43. L’articolo 3 della decisione quadro prevede i motivi di non esecuzione obbligatoria del MAE, mentre l’articolo 4 della decisione quadro elenca motivi di non esecuzione facoltativa del MAE. 44. Al fine di accertare se, nel caso in questione, le autorità ungheresi possano rifiutarsi di eseguire il MAE, tratterò, in primo luogo, i motivi di non esecuzione obbligatoria, prima di passare a quelli facoltativi. L’articolo 3, punto 2, della decisione quadro 45. Ai sensi dell’articolo 3, punto 2, della decisione quadro, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione rifiuta di eseguire il MAE se, in base ad informazioni in suo possesso, risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno Stato membro a condizione che, in caso di condanna, la sanzione sia stata applicata o sia in fase di esecuzione o non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato membro della condanna. 46. Orbene, la questione adesso è se, nel caso di specie, la persona in questione sia stata «giudicata con sentenza definitiva» ai sensi dell’articolo 3, punto 2, della decisione quadro e se la decisione del 20 gennaio 2012 della procura centrale per le indagini preliminari ungherese, che ha posto fine all’indagine preliminare in cui la persona successivamente ricercata con un MAE è stata interrogata solo in qualità di testimone, costituisca in quanto tale una sentenza definitiva. 47. L’articolo 3, punto 2, della decisione quadro è un’espressione del principio del ne bis in idem, secondo cui una persona non può essere condannata o processata due volte per lo stesso atto (12). Questo principio, che negli ordinamenti di common law è denominato «double jeopardy rule» (13), per quanto riguarda l’ordinamento giuridico dell’Unione, è ora definito all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che prevede che «[n]essuno p[ossa] essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza


penale definitiva conformemente alla legge» (14). 48. Mentre AY e il governo ungherese ritengono che tale decisione costituisca una «sentenza definitiva» ai sensi dell’articolo 3, punto 2, della decisione quadro, tutte le altre parti nel procedimento ritengono che non sia così. 49. La formulazione della disposizione non fornisce un orientamento inequivocabile. Mentre almeno una versione linguistica dell’articolo 3, punto 2, della decisione quadro precisa espressamente che la persona ricercata deve essere stata definitivamente condannata con una sentenza passata in giudicato (15), nella stragrande maggioranza delle versioni linguistiche, la situazione non è altrettanto chiara. 50. La giurisprudenza della Corte fino ad oggi non sembra fornire una risposta cristallina alla suddetta domanda. 51. Nella sentenza Mantello (16), la Corte ha optato per un’interpretazione piuttosto ampia dell’articolo 3, punto 2, della decisione quadro. Essa ha sostanzialmente applicato la sua giurisprudenza derivante dall’articolo 54 della convenzione di applicazione dell’accordo Schengen e ha dichiarato che una persona ricercata è stata oggetto di una sentenza definitiva per gli stessi fatti, ai sensi dell’articolo 3, punto 2, della decisione quadro, quando, in esito ad un procedimento penale, l’azione penale sia definitivamente estinta ovvero qualora l’autorità giudiziaria di uno Stato membro abbia emanato una decisione di definitivo proscioglimento dell’imputato per i fatti contestatigli. 52. Al tempo stesso, la Corte ha dichiarato che la natura «definitiva» di una sentenza, ai sensi dell’articolo 3, punto 2, della decisione quadro rientra nella sfera del diritto dello Stato membro in cui tale sentenza è stata pronunciata (17). 53. Nelle indagini ungheresi, AY aveva solo la qualità di testimone. Egli non era un imputato. A mio parere, per essere considerato «giudicato con sentenza definitiva», un singolo deve essere stato un imputato in una qualche fase del procedimento. In altre parole, come giustamente sottolineato anche dalla Commissione, affinché una situazione rientri nel campo di applicazione dell’articolo 3, punto 2, della decisione quadro, il procedimento deve essere stato intentato contro quella persona.


54. Inoltre, si può dedurre dalla sentenza Turanský che il principio del ne bis in idem non si applica ad una decisione mediante la quale un’autorità di uno Stato membro, al termine di un esame nel merito della causa sottopostale, dispone, in una fase precedente all’incriminazione di una persona sospettata di aver commesso un reato, la sospensione del procedimento penale, qualora detta decisione di sospensione, secondo il diritto nazionale di tale Stato, non estingua definitivamente l’azione penale e non costituisca quindi un ostacolo a nuovi procedimenti penali, per gli stessi fatti, in detto Stato (18). 55. Infine, la Corte ha statuito, nella sentenza Kossowski, che una decisione del pubblico ministero che pone fine all’azione penale e conclude definitivamente il procedimento di istruzione condotto nei confronti di una persona, non può essere considerata una decisione definitiva, qualora risulti che il suddetto procedimento è stato chiuso senza che sia stata condotta un’istruzione approfondita (19). 56. Riguardo al caso in esame, sulla base delle informazioni fornite dal giudice del rinvio, sarà difficile stabilire se sia stata condotta un’istruzione approfondita. In base al principio della fiducia reciproca, sussiste, a mio avviso una presunzione che sia stata condotta un’istruzione completa. In questo contesto, anche se il giudice (croato) del rinvio è effettivamente in una posizione che gli rende difficile approfondire la prassi delle autorità ungheresi, non mi risulta che tale presunzione sia stata confutata dal giudice del rinvio. E ancora, queste considerazioni sono ipotetiche dato che, come detto in precedenza, il procedimento non è stato intentato contro AY, il che significa che l’articolo 3, punto 2, della decisione quadro non viene attivato. 57. Ritengo quindi che una persona che è stata sentita come testimone in un procedimento penale non può essere stata «giudicat[a] con sentenza definitiva» da uno Stato membro ai sensi dell’articolo 3, punto 2, della decisione quadro. L’articolo 4, punto 3, della decisione quadro 58. La prima e la seconda questione fanno riferimento all’articolo 4, punto 3, della decisione quadro. La prima parte di questa disposizione consente di rifiutare l’esecuzione di un MAE se le autorità giudiziarie dello Stato membro dell’esecuzione hanno deciso di non esercitare l’azione penale per il reato oggetto del MAE oppure di porvi fine. 59.

Risulta che le autorità ungheresi competenti si basano sulla disposizione


nazionale che recepisce l’articolo 4, punto 3, della decisione quadro al fine di rifiutare l’esecuzione di tale MAE. 60. Innanzitutto, va sottolineato che l’articolo 4, punto 3, della decisione quadro, che finora non è stato interpretato dalla Corte, costituisce un motivo facoltativo di non esecuzione di un MAE. In forza di tale disposizione, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutarsi di eseguire il MAE se ha deciso di non esercitare l’azione penale per il reato oggetto del MAE oppure di porvi fine in relazione a detto reato, o se la persona ricercata ha formato oggetto in uno Stato membro di una sentenza definitiva per gli stessi fatti che osta all’esercizio di ulteriori azioni. In relazione a ciò, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve disporre di un potere discrezionale riguardo alla questione se si debba rifiutare o meno di dare esecuzione al MAE (20). 61. Si è spesso sostenuto che la prima parte dell’articolo 4, punto 3, della decisione quadro, che è qui controversa, è, come l’articolo 3, punto 2, anch’essa un’espressione del principio del ne bis in idem (21). Per quanto non sia in disaccordo con tale affermazione, penso che sia importante sottolineare che, come anche la Commissione ha giustamente indicato nelle sue osservazioni, l’articolo 4, punto 3, della decisione quadro ha un ambito di applicazione più ampio del principiodelne bis in idem. Inoltre, a causa della natura facoltativa di tale disposizione, il principio del ne bis in idemnon può essere impiegato per limitare questa disposizione o ridurne l’applicabilità. 62. Questo ambito di applicazione più esteso si riflette in una corrispondente formulazione più ampia. Così, l’articolo 4, punto 3, della decisione quadro si riferisce semplicemente al «reato oggetto del [MAE]», anziché alla «persona ricercata». 63. Secondo i governi croato, ceco, austriaco e rumeno e l’Irlanda, l’articolo 4, punto 3, della decisione quadro non può essere invocato quando la decisione di non esercitare l’azione penale è stata adottata nel corso di indagini in cui la persona ricercata è stata solo un testimone. Ciò sarebbe contrario al principio del ne bis in idem, che mira a proteggere il singolo contro le conseguenze negative della doppia incriminazione. 64. A parere di AY e del governo ungherese, il fatto che AY sia stato solo un testimone nel procedimento ungherese è irrilevante ai fini dell’articolo 4, punto 3, della decisione quadro. Le osservazioni della Commissione sono analoghe.


65. In particolare il governo ungherese sostiene che la questione del ruolo processuale rivestito dalla persona indicata nel MAE nel procedimento cui si è posto fine è di per sé irrilevante. Piuttosto, sarebbe necessario esaminare la sostanza della decisione nazionale di non esercitare l’azione penale o di porvi fine. Per rifiutare l’esecuzione del MAE, sarebbe sufficiente che la decisione si pronunciasse sul reato, cioè che essa abbia a fondamento lo stesso insieme di azioni alla base del reato per il quale è stato emesso il MAE. È quanto si è verificato in questo caso. 66. La formulazione della disposizione controversa non sancisce espressamente che il procedimento penale di cui trattasi debba essere condotto contro la persona ricercata. Tuttavia, l’interpretazione di tale disposizione nel senso che l’esecuzione potrebbe essere rifiutata persino qualora i fatti controversi siano gli stessi, ma le persone interessate siano diverse, mi sembra troppo ampia. Affinché l’articolo 4, punto 3, della decisione quadro possa applicarsi, la decisione di non esercitare l’azione penale o di interromperla dovrebbe riguardare la persona ricercata, senza che occorra, tuttavia, che quella persona sia formalmente designata come un imputato o un indagato. Ciò che è determinante è che sia stata esaminata la possibilità che la persona ricercata abbia commesso il reato in questione. 67. Una tale interpretazione, inoltre, è in piena armonia con quegli ordinamenti giuridici nazionali nei quali il diritto processuale penale prevede che le indagini in rem (22) siano svolte prima delle indagini in personam (23). Non vi è alcuna necessità che le autorità penali di uno Stato membro procedano alla seconda fase se la prima fase conduce alla conclusione che nessun reato è stato commesso. Ai fini dell’articolo 4, punto 3, della decisione quadro non dovrebbe essere rilevante sapere se l’indagine penale sia stata chiusa nella fase in rem o in quella in personam. 68. Interpreto quindi l’articolo 4, punto 3, della decisione quadro nel senso che l’esecuzione di un MAE può essere rifiutata se le autorità giudiziarie dello Stato dell’esecuzione, che sono altresì competenti a esercitare l’azione penale nei confronti del reato oggetto del MAE, non hanno esercitato l’azione penale o vi hanno posto fine, anche se la persona ricercata non era imputata o indagata in tale procedimento, a condizione che tali autorità abbiano esaminato la possibilità che la persona abbia commesso il reato in questione. 69.

Propongo pertanto di rispondere alle questioni da 1 a 4 come segue: una


persona che è stata sentita come testimone in un procedimento penale non può essere stata «giudicata con sentenza definitiva» da uno Stato membro ai sensi dell’articolo 3, punto 2, della decisione quadro. L’articolo 4, punto 3 della decisione quadro deve essere interpretato nel senso che l’esecuzione di un MAE può essere rifiutata se le autorità giudiziarie dello Stato membro di esecuzione, che sono altresì competenti per il reato oggetto del MAE, non hanno esercitato l’azione penale o vi hanno posto fine, anche se la persona ricercata non era imputata o indagata in tale procedimento, a condizione che tali autorità abbiano esaminato la possibilità che la persona abbia commesso il reato in questione.

Conclusioni 70. Sulla base delle considerazioni di cui sopra, propongo alla Corte di rispondere alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Županijski sud u Zagrebu (Tribunale di comitato di Zagabria, Croazia) come segue: La Corte di giustizia dell’Unione europea non è competente a rispondere alle questioni pregiudiziali da 1 a 4 sottoposte dallo Županijski sud u Zagrebu (Tribunale di comitato di Zagabria) con ordinanza del 18 maggio 2017. Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, l’autorità giudiziaria di esecuzione è tenuta a adottare una decisione su un mandato d’arresto europeo (MAE) che le è stato trasmesso, anche nel caso in cui in tale Stato membro sia già intervenuta una pronuncia su un precedente MAE con riguardo alla stessa persona ricercata, nello stesso procedimento penale, ma il secondo MAE sia stato emesso da una diversa autorità giudiziaria a causa di una modifica delle circostanze nello Stato membro emittente.

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Lingua originale: l’inglese.

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GU 2002, L 190, pag. 1.

3

V., ad esempio, sentenze del 16 novembre 2010, Mantello (C-261/09,


EU:C:2010:683); del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198); del 24 maggio 2016, Dworzecki (C-108/16 PPU, EU:C:2016:346); e del 10 agosto 2017, Tupikas (C-270/17 PPU, EU:C:2017:628). 4 Sono ben consapevole della distinzione giuridica tra competenza e ricevibilità, anche se la sua importanza pratica può essere limitata, e in questo senso condivido pienamente la panoramica fornita dall’avvocato generale Wahl nelle sue conclusioni nella causa Gullotta e Farmacia di Gullotta Davide & C. (C-497/12, EU:C:2015:168, paragrafi 16-25). Su questa distinzione, vedi anche le mie conclusioni nella causa Rendón Marín e CS (C-165/14 e C-304/14, EU:C:2016:75, paragrafo 48), e Naômé, C., Le renvoi préjudiciel en droit européen – Guide pratique (2a edizione), Larcier, Bruxelles, 2010, pagg. 85-86. 5 V., ad esempio, sentenza del 17 aprile 2018, Krüsemann e a. (C-195/17, da C-197/17 a C-203/17, C-226/17, C-228/17, C-254/17, C-274/17, C-275/17, da C-278/17 a C-286/17 e da C-290/17 a C-292/17, EU:C:2018:258, punto 24 e giurisprudenza ivi citata). 6 V., ad esempio, sentenza del 5 giugno 1997, Celestini (C-105/94, EU:C:1997:277, punto 22). 7 Questa è la terminologia utilizzata dalla Corte al fine di distinguere la procedura prevista dall’articolo 267 TFUE nel parere 1/91 (Primo parere sull’accordo SEE) del 14 dicembre 1991 (EU:C:1991:490, punto 61). 8 Ed è qui che sta la fondamentale differenza rispetto a situazioni in cui i giudici nazionali applicano il diritto straniero, come avviene nel diritto civile, in esito alle norme di conflitto del diritto internazionale privato. In tal caso, il giudice del rinvio dovrà sempre emettere una sentenza, anche se applica la legge straniera. Ciò non si verifica nella fattispecie. 9 Risulta che le versioni in lingua inglese delle cause della Corte si riferiscono a volte a «mutual confidence» invece che a «mutual trust». Ritengo che tali locuzioni abbiano esattamente lo stesso significato e possano essere utilizzate in modo


intercambiabile. 10 V., ad esempio, sentenza del 10 agosto 2017, Tupikas (C-270/17 PPU, EU:C:2017:628, punto 49). 11 V. sentenza del 29 giugno 2017, Popławski (C-579/15, EU:C:2017:503, punto 19 e giurisprudenza ivi citata). 12 V. Klimek, L., European Arrest Warrant, Springer, Heidelberg e al., 2015, pag. 152. 13 A titolo di esempio, vi fa riferimento in questo senso nel contesto dell’articolo 3, punto 2, della decisione quadro Peers, S., EU Justice and Home Affairs Law, Volume II: EU Criminal Law, Policing and Civil Law, 4a ed., OUP, Oxford, 2016, a pag. 89. 14 Questo principio è, inoltre, ripreso in Europa in un certo numero di altri strumenti giuridici: il protocollo n. 7 della CEDU, la convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni e la convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, conclusa sotto gli auspici del Consiglio d’Europa. 15

V., ad esempio, la versione in lingua tedesca («rechtskräftig verurteilt»).

16

Sentenza del 16 novembre 2010 (C-261/09, EU:C:2010:683).

17 V. sentenza del 16 novembre 2010, Mantello (C-261/09, EU:C:2010:683, punto 46). 18

V. sentenza del 22 dicembre 2008, Turansky (C-491/07, EU:C:2008:768,


punto 45). V., altresì, sentenze del 5 giugno 2014, M (C-398/12, EU:C:2014:1057, punto 31); e del 29 giugno 2016, Kossowski (C-486/14, EU:C:2016:483, punto 34). Tale questione dovrebbe, ovviamente, essere verificata dal giudice del rinvio. 19 V. sentenza del 29 giugno 2016, Kossowski (C-486/14, EU:C:2016:483, punto 54). 20 V. sentenza del 29 giugno 2017, Popławski (C-579/15, EU:C:2017:503, punto 21) in relazione all’articolo 4, punto 6, della decisione quadro. 21 V., ad esempio, Klimek, L., European Arrest Warrant, Springer, Heidelberg e al., 2015, pag. 159, e Cimamonti, S., «European Arrest Warrant in practice and ne bis in idem», in: N. Keijzer, E. Van Sliedregt, The European Arrest Warrant in practice, T.M.C. Asser, L’Aja, 2009, pag. 114. 22

Durante la quale si stabilisce, in primo luogo, se è stato commesso un reato.

23

In cui si raccolgono le prove a carico di una persona specifica.


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