Corte d'Appello-distanze legali Corte d'Appello Bari Sez. I, Sent., 12-11-2021

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Corte d'Appello-distanze legali Corte d'Appello Bari Sez. I, Sent., 12-11-2021

Fatto Diritto P.Q.M. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello di Bari, Prima Sezione Civile, composta da signori magistrati: Dott. Maria Mitola - Presidente rel./est. Dott. Salvatore Grillo - Consigliere Dott. Loredana Colella - Consigliere ha pronunziato, nella causa iscritta nel registro generale dell'anno 2019 col numero d'ordine 974, la seguente SENTENZA tra: - appellanti avverso la sentenza n. 1978/2019 del Tribunale di Trani del 7.05.2020, resa nel procedimento n. 1372/2019 contro - appellato Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 29.10.2010 C.N. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Trani, i coniugi -. per ivi sentire: "A) accertare e dichiarare l'illegittimo posizionamento, anche in violazione dell'articolo 889, comma II, c.c., delle tubazioni fognarie a servizio dell'appartamento dei convenuti posizionate nel solaio ligneo di copertura del vano di sua proprietà; B) ordinare ai convenuti la rimozione delle tubazioni de quibus ed il ripristino del solaio ligneo; C) condannare i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento del danno patito dallo stesso per il mancato e/o ritardato restauro dell'appartamento di sua proprietà da liquidarsi in via


equitativa; D) condannare i convenuti al pagamento delle spese e competenze di causa". Assumeva il C. che, nel corso di lavori di restauro del proprio appartamento ed in particolare dell'unico vano di sua proprietà e sottostante la proprietà degli appellanti, caratterizzato dalla presenza di un solaio ligneo, aveva riscontrato una evidente alterazione dello stato dei luoghi, consistente nella apposizione delle tubazioni di scarico fognario a servizio esclusivo dell'appartamento dei coniugi M. e da questi ultimi realizzate. Rilevava, altresì, che le tubature innanzi dette, non solo transitavano all'interno della sua proprietà, ma erano state apposte in violazione dell'articolo 889, comma II, c.c., con potenziale dannosità delle stesse, per trasudamento ed infiltrazioni. La presenza delle tubazioni, per cui è causa, violava, pertanto, le norme tecniche di attuazione del piano di recupero del centro storico della città di Molfetta e i coniugi M., in sede di lavori di ristrutturazione, avrebbero dovuto aver cura del recupero del solaio ligneo, anziché danneggiarlo, rendendo impossibile, o più oneroso, il recupero dello stesso. - si costituivano in giudizio impugnando e contestando la domanda dell'attore, e spiegando domanda riconvenzionale cui successivamente rinunciavano. I coniugi M. precisavano di aver acquistato, il 13 novembre 2000, l'immobile del quale avevano provveduto, poco dopo, alla ristrutturazione, per poterlo utilizzare come dimora per i periodi di vacanza, posto che essi risiedevano in Cantù; che i lavori di ristrutturazione erano consistiti in interventi tesi allo svellimento parziale degli intonaci fatiscenti, al rifacimento parziale degli stessi, alla revisione degli impianti esistenti, alla sostituzione di pavimenti e rivestimenti e alle pitturazioni occorrenti, come da DIA protocollata presso il Comune di Molfetta, in data 20.12.00. Deducevano, inoltre, i convenuti, che trattavasi di antichi fabbricati, ubicati nel centro storico di Molfetta, composti, per lo più, da murature portanti in pietra e tufo ai piani superiori e che i piani di calpestio, spesso, erano in legno con orditura di travi tavolate, secondo la prassi costruttiva dell'epoca.


Nella specie, la tubazione, se pure rifatta nel gennaio 2001 dai convenuti, per il tratto che interessava il proprio appartamento, presumibilmente aveva inizio in altre unità immobiliari ed era a servizio anche di dette unità per terminare in una condotta fognaria di pubblica via. L'intera rete di tubazione di scarico sarebbe stata, quindi, preesistente rispetto all'epoca dei lavori recenti di ristrutturazione effettuati dai convenuti. Evidenziavano, poi, i M., che il C. aveva acquistato l'immobile di Via F. n. 6, a seguito di aggiudicazione da parte del Comune, con atto del 23.09.05, dunque 5 anni dopo i lavori eseguiti dai convenuti; nell'atto di compravendita, egli aveva dichiarato di acquistare a corpo e non a misura, nello stato di fatto in cui si trovava l'immobile. Cosicché egli avrebbe accettato anche l'esistenza delle tubature in questione, in quanto esistenti al momento dell'aggiudicazione dell'immobile e del solaio ligneo. I coniugi M. chiedevano, pertanto, il rigetto delle domande contenute nell'atto di citazione. Il primo giudice, in accoglimento delle richieste istruttorie, ammetteva la consulenza tecnica d'ufficio nominando l'arch. Pasqua LA TANZA che, depositata la relazione, veniva richiamata per rendere chiarimenti su alcune questioni controverse. Il Tribunale, ritenuti non esaustivi i chiarimenti resi e comunque insoddisfacente la risposta ai quesiti posti, disponeva la rinnovava a mezzo di altro tecnico l'arch. Vincenzo LATTANZIO. Con sentenza n. 1078/2019 pubblicata il 7.5.2019, il Tribunale di Trani, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da N.C., così provvedeva: "- condanna A.M. e A.D.C. alla rimozione delle opere illegittimamente realizzate nell'immobile di cui in parte motiva ed al conseguente ripristino dello stato dei luoghi; - condanna A.M. e A.D.C. al pagamento, in favore dell'attore, della somma di Euro 20.0000,00 oltre interessi e rivalutazione a titolo di risarcimento per le causali, secondi i criteri e con gli interessi di cui in parte motiva; - rigetta la domanda ex art. 96 c.p.c. formulata dall'attore;


- dichiara la domanda riconvenzionale formulata da parte convenuta inammissibile; - condanna A.M. e A.D.C. alla rifusione delle spese di giudizio in favore dell'attore e liquida nella misura complessiva di Euro 7.636,00 di cui ero 382,00 per borsuali, oltre rimborso forfetario nella misura del 15%, IVA e CAP come per legge; - pone definitivamente a carico dei convenuti le spese di C.T.U. già liquidate con separato decreto; - Assorbito ogni altro profilo. - Sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege". Avverso tale sentenza hanno interposto appello A.D.C. e A.M., con atto notificato in data 07.6.2019 chiedendo: "I) In via preliminare e cautelare, sospendere ex art. 283 c.p.c. l'efficacia esecutiva della sentenza n. 1078/19 resa il 7.5.19 dal Giudice Unico del Tribunale di Trani, alla luce dei gravi e fondanti motivi consistenti nel fumus del giudizio di appello e del danno ingiusto, grave e irreparabile che deriverebbe al convenuto dalla esecuzione della impugnata sentenza; II) nel merito, in riforma della sentenza impugnata ed in accoglimento dell'appello proposto, rigettare le domande attoree in quanto infondate; III) condannare il sig. N.C. alle spese e competenze del doppio grado di giudizio". Si è costituito in giudizio N.C. formulando le seguenti conclusioni: "a) in via preliminare, rigettare l'avversa richiesta di sospensione ex art. 283 c.p.c. dell'efficacia esecutiva della sentenza n. 1078/2019, resa il 07.5.2019 dal Giudice Unico del Tribunale di Trani, poiché inammissibile oltre che infondata in fatto e in diritto; b) sempre in via preliminare, dichiarare l'inammissibilità e l'improcedibilità dell'appello spiegato stante la nullità dell'atto di citazione in appello ex art. 342 c.p.c.; c) nel merito, rigettare integralmente l'appello spiegato dai sigg.ri A.M. e A.D.C. stante la sua totale improcedibilità, inammissibilità oltre che infondatezza in fatto e in diritto, e conseguentemente d) confermare in toto la sentenza impugnata;


e) condannare gli incauti appellanti alla rifusione di spese e competenze di causa anche del presente grado del giudizio da liquidarsi in favore dei sottoscritti avvocati che se ne dichiarano anticipatari". Con ordinanza del 29.10.2019 questa Corte ha sospeso l'efficacia esecutiva della sentenza impugnata. All'udienza virtuale del 01.6.2021, precisate le conclusioni dai procuratori delle parti costituite, la causa è stata trattenuta in decisione, coi termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle difese finali Motivi della decisione Prima di esaminare il merito va delibata la questione preliminare sulla eccezione di inammissibilità dell'appello in relazione alla censurata mancata indicazione delle parti della sentenza che è stata impugnata e delle modifiche che vengono richieste. Orbene tale rilievo non può trovare accoglimento in quanto l'atto di appello risulta ampiamente e dettagliatamente formulato con riferimento a tutte le questioni oggetto del giudizio. L'appellante, peraltro, per ciascun capo della stessa, ha addotto motivi di doglianza e di critica specifica. Risulta, pertanto, rispettato il disposto degli articoli 342 e 434, che vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. E, nel caso di specie, per come si dirà più avanti sulla questione del merito, risultano individuati dall'appellante, sia pure in modo generico, ma comunque sufficiente, sia i punti censurati che le relative doglianze. Non può, peraltro, sottacersi che, secondo il prevalente orientamento della Cassazione, quando si debba giudicare dell'ammissibilità di una impugnazione, il giudicante deve badare non al rispetto di clausole astratte o formule di stile, ma alla sostanza ed al contenuto effettivo dell'atto. Le norme processuali, se ambigue, vanno interpretate in modo da favorire una decisione sul merito, piuttosto che esiti abortivi del processo: le regole processuali infatti costituiscono solo lo strumento per garantire la giustizia della decisione, non il fine


stesso del processo, di conseguenza, tra più ragioni di rigetto della domanda, il giudice dovrebbe optare per quella che assicura il risultato più stabile: sicché tra un rigetto per motivi di rito e uno per ragioni afferenti al merito, il giudice dovrebbe scegliere il secondo. Nel merito l'appello è infondato e va respinto. Con il primo motivo di appello, gli odierni appellanti si dolgono del fatto che il Giudice di prime cure avrebbe recepito le conclusioni del CTU LATTANZIO in modo acritico e da tanto sarebbe conseguito un travisamento dei fatti e una errata interpretazione delle norme citate in materia, oltre che dell'art. 116 c.p.c. e 2697 c.c. Gli appellanti, tuttavia, non hanno specificato in modo puntuale l'errore tecnico in cui sarebbe incorso il CTU e successivamente, il giudice. I coniugi M., infatti, lamentano che il CTU LATTANZIO, a loro dire, senza evidenze oggettive e documentali, avrebbe ritenuto che, con riferimento all'unità immobiliare di loro proprietà, i lavori eseguiti fossero stati in parte diversi e ulteriori rispetto a quelli denunciati nella DIA, presentata nel 2000, al Comune di Molfetta e da cui sarebbe poi derivata la violazione delle distanze legali così come denunciato dall'attore C.. A giudizio degli appellanti, infatti, tale conclusione troverebbe smentita nella documentazione in atti (la DIA) dalla quale, per contro, si evincerebbe che i lavori effettuati fossero consistiti nello "... svellimento parziale degli intonaci, la revisione degli impianti esistenti, la sostituzione parziale di pavimentazione e rivestimenti, la revisione degli infissi, le pitturazioni occorrenti ...". La censura non coglie nel segno. Invero, il CTU ha evidenziato nella relazione che proprio in occasione del sopralluogo effettuato, aveva constatato che, diversamente a quanto indicato nella DIA, "i lavori eseguiti sono andati ben oltre l'elenco comunicato, realizzando una variazione sostanziale delle distribuzioni interne ed interessando le strutture murarie portanti, i solai di divisione con le unità immobiliari sottostanti e gli impianti condominiali ... in particolare, sono stati realizzati dei nuovi solai in latero - cemento incastrati nelle murature portanti al di


sopra dei preesistenti solai in legno di divisione con il piano inferiore. Nella intercapedine così formatasi tra i vecchi solai lignei ed i nuovi solai in latero - cemento sono state inserite le nuove tubazioni di scarico fognario a servizio dell'appartamento. Inoltre, la revisione degli impianti esistenti è consistita nel loro totale rifacimento ed ampliamento adducendo alle colonne montanti di scarico fognario condominiali esistenti il carico di due nuovi bagni ...(...)... per quanto riguarda la distanza minima di un metro delle nuove tubazioni idriche e fognarie dai confini prevista dal codice civile, il sottoscritto ha constatato che nell'installazione delle stesse all'interno dell'abitazione, la suddetta misura non è stata rispettata sia nei riguardi di altre proprietà confinanti dello stesso piano che nei riguardi delle proprietà sottostanti al piano inferiore...". Da quanto appurato grazie all'esame dello stato dei luoghi risultava evidente che fosse stato violato, da parte dei coniugi M., l'art. 889 c.c., comma II che, per le condotte di acqua pura o lurida e loro diramazioni, impone l'obbligo di mantenere le tubazioni stesse a distanza di almeno un metro dal confine. La realizzazione, in epoca successiva, dell'impianto fognario nell'appartamento dei coniugi M. - D.C., da parte dei medesimi si evinceva altresì, dalla circostanza, evidenziata dal CTU LATTANZIO, che il complesso edilizio di cui fanno parte le due unità immobiliari, oggetto di causa, è ubicato nel Centro storico di Molfetta ed ha origini molto antiche, risalenti al 1600. In tale contesto, l'unità immobiliare di proprietà C. - posta al primo piano con accesso da Via F. n. 6 - e l'unità immobiliare di proprietà M. - D.C. - posta al secondo piano con accesso da Via A. n. 1- hanno solo due stanze sovrapposte una sull'altra, estendendosi per le restanti parti in direzioni diverse. La struttura portante dell'intero fabbricato è costituita da murature portanti miste, parte in pietra e parte in tufo, e il solaio di divisione tra le due unità immobiliari era costituito (prima dei lavori di ristrutturazione da parte dei coniugi M.) da travi portanti in legno con sovrastante tavolato in legno sul quale insisteva un massetto di materiale composito sul quale era adagiato il pavimento. Al di sotto delle travi in legno era presente una controsoffittatura in tela e gesso.


Nell'anno 2000 gli odierni appellanti avevano acquistato l'immobile in parola, in forza di contratto di compravendita del (...) a rogito Notaio O.C. di M., rep. (...) racc. dall'avv.to D.D.C. in qualità di curatore dell'eredità giacente della sig.ra D.T.M., deceduta in Molfetta il 26.3.1973. Tale vendita era stata preceduta dalla relazione di stima del medesimo immobile a firma dell'ing. V. Zaza in data 3.6.1999 che, al punto 1.3, testualmente evidnziava "... la zona bagno, incassata nella muratura portante nelle vicinanze dell'accesso all'appartamento, non è attualmente dotato di servizi igienici ...". Nel dicembre 2000 i coniugi M. avevano presentato al Comune di Molfetta una DIA avente ad oggetto "... lo svellimento parziale degli intonaci, la revisione degli impianti esistenti, la sostituzione parziale di pavimentazioni e rivestimenti, la revisione degli infissi, le pitturazioni occorrenti ...". Nell'anno 2005 il C. aveva acquistato l'immobile sito in M. alla Via F. n. 6, piano primo, in forza di atto di compravendita e convenzione del 23.9.2005 a rogito dott.ssa C.M., Notaio in M., rep. n. (...), racc. (...) e subito dopo, aveva depositato, presso l'Ufficio Tecnico del Comune di Molfetta, il progetto di recupero statico funzionale dell'immobile nonché di accorpamento con altro immobile contiguo, già di sua proprietà, avente accesso da Via F. n. 5. Il C., quindi, richiedeva ed otteneva il rilascio del Permesso a Costruire n. 565 del 29.11.2005 dando così inizio, nel Novembre 2006, alle opere di recupero statico funzionale degli immobili e nel corso dei lavori, in prossimità del vano prospiciente la Via F., caratterizzato da un solaio ligneo di copertura dello stesso, aveva riscontrato una evidente alterazione dello stato dei luoghi e segnatamente, all'altezza del solaio tra il proprio appartamento e quello soprastante di proprietà dei coniugi M., aveva riscontrato la rimozione di parti del tavolato ligneo e l'inserimento di alcune tubazioni di scarico fognario provenienti dal loro immobile ed a servizio esclusivo dello stesso. Che tale condotta fognaria fosse stata realizzata in occasione dei lavori di ristrutturazione dell'appartamento degli appellanti, ad opera degli stessi, risulta, dunque, evidente in quanto


trattasi di immobili risalenti al 1600, periodo in cui non esistevano gli impianti idrici fognari e relative tubature, mentre la fogna stradale, a servizio del Centro Antico di Molfetta, era stata realizzata, nei suoi primi tratti, negli anni '30 e proseguita nel secondo dopoguerra; i servizi igienici dell'epoca, come rappresentato dal CTU, e comunque evidente, inoltre, erano del tutto diversi, per tipologia e struttura tecnica, da quelli attuali. Accertata, allora, la violazione dell'art. 889 c.c., si condivide la decisione di prime cure di non ritenere configurabile la deroga a tale disposto che, secondo l'insegnamento della Corte di legittimità - cfr. cfr. Cass. Civ. sez. II, 17/06/2016, n.12633 conforme Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 29644 del 28/12/2020 (Rv. 660067 - 02) - è consentita soltanto nell'ipotesi in cui l'intervento sia compatibile con la concreta struttura dell'edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari (imprescindibili ragioni tecniche o igienico sanitarie) o comunque se "la rigorosa osservanza di dette disposizioni non sia irragionevole" - cfr- Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1989 del 02/02/2016 (Rv. 638774 - 01) -. Sul punto il CTU, LATTANZIO, pur avendo verificato la compatibilità dell'installazione delle nuove tubazioni, da parte dei coniugi M., con la struttura dell'edificio, ha, comunque, condivisibilmente escluso la natura imprescindibile delle scelte operate dagli stessi, in quanto tale scelta, lungi dall'essere dettata da ragioni tecniche o igienico sanitarie, rispondeva esclusivamente ad una esigenza di carattere meramente soggettivo, quale quella di disporre di due bagni nel proprio appartamento, composto di quattro vani. Tale esigenza non poteva escludere il rispetto delle proprietà confinanti mediante l'utilizzo della minore lunghezza possibile di tubazioni poste a distanza non regolamentare. Il CTU aveva altresì accertato che l'impianto fognario, realizzato dai coniugi M. - D.C., non era neppure conforme alle regole dell'arte, in quanto le tubazioni orizzontali di scarico fognario erano state allocate al di sotto del nuovo solaio in latero - cemento, dai medesimi realizzato, col risultato di rendere complessa e molto più invasiva l'eventuale esecuzione di una riparazione e la stessa loro ordinaria manutenzione, che


avrebbe dovuto, necessariamente, coinvolgere l'immobile di proprietà C.. Né alcun valore assume la circostanza, opposta dagli appellanti, che i lavori in questione risalivano a 5 anni prima dell'acquisto, da parte del C., dell'immobile al primo piano, perché gli appellanti non hanno provato di aver condiviso e/o concordato tale soluzione con il precedente proprietario dell'immobile, Comune di Molfetta, e neppure, volendo ritenere l'impianto fognario condominiale, hanno allegato l'esistenza di delibere assembleari che autorizzavano tali lavori e la deroga alle distanze previste dall'art. 889, 2 comma, c.c.. Va pertanto condivisa, in quanto corretta, la prima decisione anche nella parte in cui condanna i coniugi M. alla rimozione delle opere illegittimamente realizzate e al ripristino dello stato dei luoghi, così come richiesto dall'attore, oggi appellato. Stante la correttezza tecnica e coerenza logica della CTU non si ritiene ammissibile la richiesta di sua rinnovazione invocata dagli appellanti. Neppure si ritiene censurabile la già disposta rinnovazione delle operazioni di Consulenza, disposta in prime cure, attese le oggettive mancanze registrate nell'esecuzione della prima CTU. Segnatamente il CTU arch. LA TANZA: - non aveva risposto al quesito fondamentale che era stato posto relativo alla violazione delle distanze legali stabilite dall'art. 889, 2 comma e cioè ad opera dei coniugi M. e D.C., - non aveva chiarito se la deroga all'art. 889, comma 2, c.c. dal medesimo ammessa come applicabile al caso di specie, quand'anche indebitamente, fosse imposta da imprescindibili ragioni tecniche igienico sanitarie; - aveva definito la soluzione scelta dai coniugi M. da una parte compatibile con la concreta struttura dell'edificio e dall'altra, addirittura "illogica" perché non consentiva una regolare manutenzione delle tubazioni tanto che la stessa poteva essere eseguita solo attraverso l'accesso all'appartamento del C.. Con il secondo motivo di appello, gli appellanti si sono doluti della condanna al pagamento della complessiva somma di Euro 20.000,00, a titolo di risarcimento del danno, subito dal C.,


per il mancato e/o ritardato restauro dell'appartamento di sua proprietà, liquidato dal primo giudice, in via equitativa, ex art. 1226 c.c. "... senza fornire adeguata motivazione se non in maniera superficiale, accettando per verità le deduzioni di controparte ...". La censura non ha pregio. Il primo Giudice, infatti, ha puntualmente indicato i criteri seguiti per determinare l'entità del danno, per la ritardata effettuazione delle opere di restauro che, stante la palese violazione delle distanze e delle relative disposizioni normative, liquidava nella misura, ritenuta congrua di Euro 20.000,00, in ragione del tempo trascorso dalla scoperta, che doveva farsi almeno risalire alla data di conferimento dell'incarico al consulente di parte, ai fini del loro approfondimento tecnico (1.7.2009) e dalla conseguente, ed incontestata, sospensione delle opere di restauro da parte dell'attore. Peraltro gli appellanti nulla hanno allegato a dimostrazione dell'insussistenza del danno, posto che la più recente giurisprudenza di legittimità è nel senso di ritenere che "La violazione della prescrizione sulle distanze tra le costruzioni, attesa la natura del bene giuridico leso, determina un danno in "re ipsa", con la conseguenza che non incombe sul danneggiato l'onere di provare la sussistenza e l'entità concreta del pregiudizio patrimoniale subito al diritto di proprietà, dovendosi, di norma, presumere, sia pure "iuris tantum", tale pregiudizio, fatta salva la possibilità per il preteso danneggiante di dimostrare che, per la peculiarità dei luoghi o dei modi della lesione, il danno debba, invece, essere escluso". (Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 25082 del 09/11/2020, Rv. 659708 - 01) L'appello va pertanto respinto. Le spese seguono la soccombenza di A.M. e A.D.C. nei confronti di N.C., e liquidate in dispositivo secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 (valore indeterminabile, complessità media, valori medi). P.Q.M.


La Corte, decidendo sull'appello proposto da A.M. e A.D.C. avverso la sentenza n. 1978/2019 del Tribunale di Trani del 7.05.2020, rigetta l'appello e conferma l'impugnata sentenza. Condanna l'appellante alla rifusione in favore di N.C. delle spese di causa, liquidate per ciascuno in Euro 6.783,00, oltre rimborso forfettario spese generali nella misura del 15% e ulteriori accessori di legge. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello, a carico dell'appellante e in osservanza dell'art. 13 co. 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo inserito dall'art. 1 co. 17 L. n. 228 del 2012 Così deciso nella Camera di Consiglio della I sezione della Corte di appello di Bari in videoconferenza del 9 novembre 2021. Depositata in Cancelleria il 12 novembre 2021.


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