Corte d’Appello 2021- Diritto,domanda e liquidazione della pensione-Pensione di anzianità e vecchiaia Corte d'Appello Milano Sez. lavoro, Sent., 13/08/2021
Fatto - Diritto P.Q.M. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI MILANO Sez. Lavoro Composta da: dott. Silvia Marina Ravazzoni - Presidente dott. Giulia Dossi - Consigliere dott. Paola Poli - Giudice Ausiliario rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel giudizio di rinvio disposto dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 20260/2020, discussa all'udienza collegiale del 10/6/2021, promosso da: INPS (C.F.(...)), con il patrocinio dell'avv. …. RICORRENTE IN RIASSUNZIONE CONTRO C.C. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. . RESISTENTE IN RIASSUNZIONE Svolgimento del processo - Motivi della decisione Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 93/2012 ha accolto il ricorso di C., ex dirigente, il quale chiedeva il ricalcolo della pensione di anzianità interamente secondo i criteri dell'AGO, determinata in base al sistema retributivo con riferimento alle retribuzioni delle ultime 260 e 520 settimane coperte da contribuzione versate in parte presso Inps e in parte presso Inpdai, in quanto non più iscritto a quest'ultimo Ente al momento della sua soppressione. Inps ha proposto appello, dichiarato improcedibile dalla CdA Milano (sent. 680/14) per un vizio di notifica del gravame, in quanto il decreto di fissazione dell'udienza atteneva ad altra causa (diversi n. RG, relatore e data di udienza). Proponeva ricorso per cassazione Inps in relazione alla dichiarata improcedibilità, motivo accolto dalla Corte con la sent. 20260/20
che ha rinviato affinchè la Corte d'Appello in diversa composizione provveda ad esaminare il gravame e alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità. Inps ha riassunto il procedimento riproponendo tutti i motivi di doglianza già contenuti nel precedente appello e C. si è costituito depositando ampia ed articolata memoria a sostegno delle proprie domande, argomentando anche sulle eccezioni riproposte dall'Istituto. In particolare, quest'ultimo, con un primo motivo ha ribadito la propria eccezione di inammissibilità della domanda per difetto di interesse ad agire, non avendo il C. dedotto se e quali benefici gli sarebbero derivati in concreto dall'adozione del diverso criterio di calcolo. Il primo giudice ha disatteso tale eccezione sostenendo che l'interesse ad agire si risolverebbe nell'esigenza di vedere accertata la illegittimità del criterio di calcolo del trattamento pensionistico e che tale interesse non verrebbe meno neppure se dal criterio rivendicato come corretto derivasse un trattamento inferiore. L'Istituto, richiamata Cass. 1524/89, ha ribadito che è necessario che, in concreto, dall'applicazione dei diversi criteri di calcolo prospettati dal ricorrente derivi un effettivo vantaggio, che è onere di questi allegare e dimostrare. Con il secondo motivo di gravame si duole della errata interpretazione dell'art. 42 co. 3 della L. n. 289 del 2002, adottata dal Tribunale, richiamando i recenti arresti di legittimità che hanno confermato la correttezza dei criteri adottati da Inps nella liquidazione delle pensioni in casi analoghi (15114/19, 4897/17, tra le tante). Infine, ha argomentato circa l'infondatezza delle due domande subordinate proposte da C. e non esaminate dal Tribunale, stante l'accoglimento della domanda principale. Con una prima subordinata, riproposta anche in questo grado, C. rilevava come, anche ad accettare l'applicazione del principio del pro rata, l'Istituto avesse commesso errori nel calcolo in quanto: (a) ha determinato la retribuzione media pensionabile limitando ai massimali ex Inpdai anche le retribuzioni relative al periodo 1.5.0131.12.09, sulle quali la contribuzione è stata versata sul loro intero ammontare, anche oltre i massimali; (b) ha ridotto la durata dell'anzianità contributiva di 1128 gg.; (c) ha escluso dal computo della retribuzione pensionabile le retribuzioni degli anni 2002-2005 (in parte); (d) ha omesso di procedere al raffronto con la pensione virtuale che, in forza della clausola di salvaguardia, gli avrebbe
riconosciuto il diritto a percepire, seppur solo per la quota a carico di Inpdai, un importo non inferiore a quello che sarebbe altrimenti derivato dalle regole del sistema AGO. Ha osservato Inps: (a) è l'art. 42 che prevede che per la determinazione della quota ex Inpdai si debba applicare il massimale alla retribuzione pensionabile con la conseguenza che il tetto si applica alle retribuzioni cadenti nel periodo di individuazione della relativa retribuzione pensionabile (ultimi 5/10 anni), ovviamente anche se tale periodo è successivo all'1.1.2003. (b) mentre nell'AGO il massimo della pensione (pari all'80% della retribuzione pensionabile) è sempre stato commisurato ad una anzianità contributiva di 40 anni, presso l'Inpdai era possibile ottenere il massimo della pensione con soli 30 anni di contribuzione (pari a 14.440 giorni). A partire dal 1995 il coefficiente di rendimento dell'AGO è stato esteso anche all'Inpdai, ne consegue che per consentire il rispetto del massimo della contribuzione valutabile ai fini pensionistici per le pensioni Inpdai da liquidare con decorrenza successiva all'1.1.95 le contribuzioni accreditate prima di tale data devono essere rese omogenee con quelle accreditate successivamente e ciò avviene mediante la loro rivalutazione per il coefficiente del 75%. A seguito di tale rivalutazione, si somma l'anzianità contributiva rivalutata relativa al periodo anteriore al 1995 con quella relativa al periodo successivo: se tale somma dà luogo ad una anzianità contributiva superiore a 14400 giorni occorre procedere ad una contrazione di tale anzianità, in modo da consentire il rispetto di tale limite. Nel caso di specie, l'anzianità contributiva maturata prima del 1995 è pari a 7651 giorni, che rivalutato con il coefficiente di omogeneizzazione diviene 10281 giorni e sommando tale anzianità contributiva rivalutata con quella maturata nel periodo successivo, pari a 5661 giorni si addiviene ad una anzianità di 15862 giorni, superiore al limite dei 14440 giorni. Conseguentemente l'Istituto ha contratto l'anzianità riducendo quella relativa al periodo 1973-1978 in quanto tale riduzione si è rivelata più favorevole per C.. (c) nell'individuazione della retribuzione pensionabile della quota Inpdai l'Istituto ha fatto riferimento alle retribuzioni percepite da C. in qualità di dirigente di azienda industriale. Questi, infatti, nel periodo 1.5.2001 - 31.5.2005 ha prestato attività come dirigente del settore terziario con la conseguenza che per tale periodo la retribuzione percepita non viene presa in considerazione al fine del calcolo della quota Inpdai.
(d) Inps afferma che se la singola posizione assicurativa acquisita presso Inpdai, isolatamente considerata, dovesse essere utilizzata per la liquidazione di una pensione secondo le regole AGO, darebbe luogo ad un trattamento inferiore rispetto a quello che deriverebbe dalle regole Inpdai, quindi la clausola di salvaguardia è stata rispettata. La seconda domanda subordinata, proposta in via gradata anche in questo grado, concerne la errata inclusione nell'anzianità Inpdai della contribuzione accreditata presso Inps negli anni 1973-1978: detta contribuzione, originariamente accreditata presso Inps, era stata trasferita presso l'Inpdai ex art. 5 L. n. 44 del 1973, nella consapevolezza che avrebbe potuto tornare al regime generale dell'Inps, al modificarsi dell'inquadramento, sulla scorta delle norme disciplinanti la cd. "opzione inversa! e la clausola di salvaguardia. Tale trasferimento non valeva ad imprimere a quella contribuzione una differente disciplina, poiché quell'anzianità restava valutata in conformità ai criteri stabiliti presso il fondo di provenienza. Ad avviso di C. è illogico che l'Istituto nel pretendere di far applicazione del principio del pro rata non riconosca come propria tale contribuzione e non provveda ad aggregarla alle altre settimane che, al pari di queste, hanno visto l'Inps quale unico interlocutore dei diritti a pensione. Domandava quindi che l'anzianità Inpdai sia limitata al solo periodo di effettivo versamento presso questo istituto della contribuzione dovuta per legge, attribuendo tutta la restante contribuzione alla quota Inps. Osserva Inps che la tesi del pensionato è infondata, in quanto la contribuzione, una volta trasferita all'Inpdai è divenuta parte integrante della posizione contributiva presso Inpdai. Disposta la trattazione cartolare della causa con decreto del 2/2/2021, esaminate le note di trattazione scritta depositate nel termine assegnato, il Collegio riteneva necessario chiedere chiarimenti alle parti in ordina alla domanda proposta in via subordinata. La causa veniva rinviata all'udienza del 10 giugno 2021, ed in esito alla discussione, veniva decisa come da dispositivo trascritto in calce. Va preliminarmente respinta l'eccezione di carenza di interesse ad agire: la Corte di Cassazione (sente. 29294/2019) ord. ha chiarito che "l'interesse ad agire deve essere valutato alla stregua della prospettazione operata dalla parte e la sua sussistenza non può essere negata sul presupposto che quanto sostenuto dall'attore non corrisponda al vero, attenendo tale valutazione di fondatezza
al merito della domanda (Cass. n. 11554 del 2008; conf. Cass. n. 9934 del 2015; Cass. n. 26632 del 2006)" e che è "sufficiente uno stato di incertezza oggettiva, anche non preesistente al processo, in quanto sorto nel corso di giudizio a seguito della contestazione sull'esistenza di un rapporto giuridico o sull'esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, che non sia superabile se non con l'intervento del giudice". Quanto al merito, le domande proposte da C. con il ricorso di primo grado sono infondate. In relazione alla domanda proposta in via principale, premesso che nel caso in esame è pacifico che C. fosse già iscritto all'INPS ben prima dello scioglimento dell'INPDAI, il Collegio intende dare continuità alla più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, pur consapevole degli opposti precedenti affermati da questa Corte di Appello (nn. 280/11, 1364/11, 1951/12, 1254/15, 1406/16). La Suprema Corte con sentenza nr. 4897/17 affrontando la questione relativa all'esatta interpretazione dell'art. 42, in particolare del comma 3, osserva come la tesi secondo la quale il principio del pro-rata opererebbe solo nel caso in cui il lavoratore fosse ancora iscritto a INPDAI al momento della sua soppressione mentre nel diverso caso in cui il lavoratore fosse già iscritto all'AGO (come nel caso in esame) la pensione dovrebbe essere liquidata secondo le regole generali previa automatica unificazione presso il regime AGO della pregressa contribuzione presso INPDAI non sia fondata. Così scrive la Corte: "La premessa da cui il ricorrente muove, secondo cui il criterio del pro-rata è applicabile solo a coloro che sono in costanza di rapporto di lavoro in qualità di dirigenti con le aziende del settore industria, e quindi assicurati presso l'Inpdai alla data del 31/12/2002, non è sostenuta da alcuna ragione letterale o teleologica. Sotto l'aspetto letterale, il riferimento ai "lavoratori assicurati presso il soppresso Inpdai" non esclude, ma piuttosto include tutti i titolari di una posizione assicurativa presso il suddetto Istituto: tale posizione non viene meno per il sol fatto che il soggetto abbia perso la qualifica di dirigente presso un'azienda industriale e non sia più in costanza di rapporto di lavoro, ma permane anche se l'attività lavorativa è cessata e in assenza di ulteriore contribuzione, fino all'eventuale trasferimento dei contributi in altra gestione attraverso la domanda di ricongiunzione o fino al conseguimento della prestazione assicurata, ove ne
sussistano i presupposti. L'espressione "lavoratori assicurati presso il soppresso Inpdai" non può pertanto essere intesa come limitata ai soggetti che alla data del 31/12/2002 erano ancora in attività di servizio come dirigenti presso aziende industriali, ma deve intendersi riferita a tutti i dirigenti per i quali alla data del 31/12/2002 sussisteva una posizione assicurativa non ancora definita. Sotto l'aspetto teleologico, deve rilevarsi che, in assenza di una domanda di ricongiunzione, espressamente prevista per i dirigenti iscritti all'Inpdai dall'art. 22 del D.P.R. 8 gennaio 1976, n. 58, - a norma del quale il dirigente, dimissionario o licenziato o che comunque abbia perduto la qualifica senza aver maturato il diritto a pensione, può richiedere all'Inpdai di provvedere, per i corrispondenti periodi di contribuzione comunque riconosciuti presso l'istituto medesimo, "alla costituzione della posizione assicurativa nell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, mediante versamento dei contributi determinati secondo le norme della predetta assicurazione (...) " l'interessato non può vedersi riconoscere gli effetti tipici della ricongiunzione medesima, la quale suppone, oltre alla domanda dell'interessato, l'effettivo trasferimento dei contributi dalla gestione previdenziale sostitutiva (nel caso, l'Inpdai), con le maggiorazioni previste per legge, nella gestione generale AGO. È solo infatti per effetto della detta ricongiunzione che i periodi di contribuzione esistenti presso le altre gestioni, esclusive, speciali o sostitutive, dei lavoratori dipendenti possono essere utilizzati nel fondo dei lavoratori dipendenti gestito dall'Inps, come se i contributi fossero stati sempre versati in quest'ultima gestione e con il diritto a un'unica pensione liquidata in base ai requisiti previsti dal regime generale. Ora, è pacifico che nel caso in esame M. non ha presentato domanda di ricongiunzione dei contributi versati all'Inpdai con quelli esistenti presso la gestione generale AGO prima della soppressione dell'Inpdai; sotto tale profilo, la sua posizione in nulla differisce da quella degli altri dirigenti Inpdai in attualità di servizio alla data del 31/12/2002, sicché non vi è ragione di applicargli un sistema di liquidazione della pensione diverso da quello previsto dal legislatore in linea generale secondo il criterio del pro-rata. Il trasferimento dei contributi presso l'Inps è avvenuto solo per effetto della L. n. 289 del 2002, attraverso l'iscrizione all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia
e i superstiti dei lavoratori dipendenti, dei titolari di posizioni assicurative e pensionistiche presso il soppresso Istituto, e l'iscrizione è avvenuta "con evidenza contabile separata", a dimostrazione dell'assenza di una unificazione assimilabile alla ricongiunzione dei contributi prevista dal D.P.R. n. 58 del 1976. La tesi prospettata dal ricorrente finirebbe, come evidenziato dalla difesa dell'Inps, per considerare l'ex dirigente Inpdai come se non avesse mai lavorato in qualità di dirigente di aziende industriali, annullando tutti pregressi periodi di assicurazione presso l'Inpdai, con conseguenze palesemente irragionevoli ove, ad esempio, l'iscrizione presso l'Inps fosse avvenuta qualche giorno prima della soppressione dell'ente e per un periodo di tempo breve rispetto al periodo di iscrizione presso la gestione Inpdai. Deve invece affermarsi che la prima parte del comma 3, nella parte in cui dispone che il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del principio del pro-rata, a quello degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti con effetto dal 1 gennaio 2003, introduce un principio di carattere generale senza distinzione tra soggetti ancora iscritti e soggetti non più in costanza di assicurazione Inpdai alla data del 31/12/2002." Più recentemente, la Cassazione, con l'ord. 15144/2019 ha ribadito che, dal momento che la L. n. 289 del 2002, ha operato il trasferimento dei contributi dall'Inpdai all'Inps mediante iscrizione "con evidenza contabile separata" ossia in carenza di un'unificazione assimilabile alla ricongiunzione dei contributi prevista dal D.P.R. n. 58 del 1976 - l'art. 42, comma 3, prima parte, della Legge citata, disponendo che il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del criterio del pro rata, a quello degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti con effetto dal primo gennaio 2003, ha introdotto un principio di carattere generale, senza distinzione tra soggetti ancora iscritti e soggetti che non sono più in costanza di assicurazione INPDAI alla data del 31.12.2002, con la conseguenza che, ai fini della liquidazione della pensione, la retribuzione pensionabile propria dell'assicurato già iscritto all'INPDAI deve essere individuata in relazione alle retribuzioni che sarebbero stati utili nel caso di un'ipotetica liquidazione del trattamento pensionistico da parte dell'INPDAI, non anche con riguardo alle retribuzioni percepite negli ultimi cinque e dieci anni calcolati a ritroso dalla data del pensionamento, in quanto il rinvio della L. n. 289 del 2002, art. 42, D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, comma 7,
nonchè lo stesso meccanismo del pro rata adottato nell'art. 42 cit., costituiscono manifestazione della volontà del legislatore di tenere distinti i due periodi assicurativi, in considerazione della diversità dei sistemi di calcolo adottati per ciascuno di essi, dando luogo a due distinte quote di pensione da determinare secondo autonomi criteri (Cass. n. 4897 del 2017; Cass. n. 19036 del 2017; Cass. n. 18841 del 2017; Cass. n. 3321 del 2018; Cass. n. 19519/2018). 3. Nè appare decisivo, al fine di inficiare la consistenza del superiore principio di diritto, l'assunto di parte controricorrente secondo cui la soppressione dell'INPDAI avrebbe in realtà comportato una sorta di ricongiunzione ex lege delle posizioni contributive dei dirigenti già iscritti all'INPDAI nell'assicurazione generale obbligatoria, al punto che l'Inps non avrebbe dato ulteriore corso alle domande di ricongiunzione della posizione previdenziale presentate dopo l'1.1.2003: ciò che rileva è piuttosto che, avendo il legislatore manifestato la volontà di uniformare il regime pensionistico dei dirigenti industriali a quello dei lavoratori dipendenti " nel rispetto del principio del pro rata" (L. n. 289 del 2002, art. 42, comma 3), non vi è spazio alcuno per sostenere che, per i dirigenti che alla data della soppressione dell'INPDAI avevano una posizione contributiva presso tale ultimo ente, il calcolo della retribuzione pensionabile non debba essere pro parte riferito (anche) alle retribuzioni sulle quali è stata versata la contribuzione presso l'INPDAI. 4. Nè miglior sorte merita l'ulteriore assunto di parte controricorrente secondo cui, così operando, i dirigenti ex INPDAI subirebbero un trattamento discriminatorio e deteriore, essendo impossibilitati a chiedere la ricongiunzione gratuita D.P.R. n. 58 del 1976, ex art. 22 e dovendo per contro subire un calcolo della pensione meno favorevole di quello previsto dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 3. A riguardo va rilevato che parte controricorrente non ha offerto gli elementi di fatto necessari per effettuare il giudizio comparativo, che deve aver riguardo anche alla contribuzione versata (cfr. Cass. n. 4897/2017) e non solo all'anzianità ed alla retribuzione (come genericamente preteso dai ricorrenti senza valutare, ai fini della liquidazione della quota A secondo i criteri vigenti per l'Inpdai, la necessità che la comparazione avvenga a parità di condizioni - cfr. in tal senso anche la citata Cass. n. 13980/2018 - tenendo conto delle diverse retribuzioni pensionabili e delle diverse contribuzioni dimostrando poi che, all'esito di una simile comparazione, la quota A, da liquidarsi secondo i criteri Inpdai, sarebbe inferiore a quella da calcolarsi con i criteri AGO).
Vale la pena di evidenziare che l'interpretazione proposta dai ricorrenti, come del resto quella patrocinata dalla Corte territoriale, poggia sull'assunto, invero indimostrato, secondo cui il regime introdotto dalla L. n. 289 del 2002, art. 42, costituirebbe una misura di salvaguardia delle aspettative pensionistiche maturate dei dirigenti industriali, laddove appare piuttosto una misura per porre argine al notorio e crescente disavanzo cagionato dal pregresso regime di favore di cui essi beneficiavano, caratterizzato da basse aliquote di calcolo dei contributi, alte aliquote di rendimento e più elevate fasce di retribuzione pensionabile." Al rigetto della domanda principale, accolta a suo tempo dal primo giudice, consegue la necessità di esaminare le domande proposte in via subordinata. In ordine alla determinazione della retribuzione pensionabile si osserva che Inps faceva riferimento alle retribuzioni percepite dal ricorrente quale dirigente di azienda industriale in applicazione dell'art. 42 co. 3 cit.. secondo il quale la quota Inpdai è costituita dalle "quote di pensione corrispondenti alle anzianità contributive acquisite fino al 31.12.02 applicando nel calcolo della retribuzione pensionabile il massimale annuo di cui all'art. 3 co. 7 D.Lgs. n. 181 del 1997" (massimale previsto per i dirigenti iscritti all'Inpdai). In base a tale disposizione, pertanto, la retribuzione pensionabile è composta soltanto dalle retribuzioni percepite dal lavoratore in qualità di dirigente industriale con la conseguenza che se il lavoratore, dopo la soppressione di Inpdai, ha continuato a lavorare come dirigente di azienda industriale fino al pensionamento tutte le retribuzioni percepite (incluse quelle successive alla soppressione di Inpdai) entrano nel periodo della retribuzione pensionabile della quota Inpdai e sono assoggettate al massimale mentre nel caso in cui, come quello in esame, il lavoratore ha periodi di contribuzione Inpdai e periodi di contribuzione non Inpdai solo il periodo di contribuzione Inpdai può rientrare nella base di calcolo della relativa quota di pensione. In tal senso risulta che abbia operato Inps (in senso conforme anche la sentenza n. 376/2018 di questa Corte). C. ha lamentato che, anche nell'applicare il pro rata, l'Inps aveva comunque errato in quanto aveva escluso gli anni 2002/2004 e parte del 2005. Correttamente però l'Istituto rilevato che questo passaggio è reso obbligatorio dall'art. 42 comma 3 L. n. 289 del 2002, che prevede l'applicazione alla quota Inpdai di un massimale diverso da quello previsto dalla gestione Inps per i dirigenti industriali. C., nel
periodo in contestazione, aveva operato come diri - gente del terziario (circostanza non contestata). Inps ha correttamente individuato le retribuzioni coperte da contribuzione come "dirigente industriale" ed effettuato su queste i calcoli previsti per la determinazione della quota Inpdai, mentre la quota relati - va alla contribuzione come dirigente del terziario è stata computata secondo gli ordinari criteri della ge - stione Inps. Infine, con la ulteriore domanda subordinata proposta in via gradata, C. ha lamentato una indebita contrazione della contribuzione per il periodo 1973 - 1978, (trasferita a Inpdai ai sensi dell'art. 5 L. n. 44 del 1973), asserendo che tale contribuzione non doveva essere computata nella quota Inpdai. INPS osserva che il massimo della retribuzione pensionabile viene commisurato, nel regime Inps, ad una anzianità contributiva di 40 anni; presso Inpdai, invece, lo stesso massimo era rapportato a 30 anni. Solo dal 1/1/1995 (L. n. 724 del 1994, art. 17) i regimi erano stati riformati con applicazione dello stesso coefficiente. Pertanto, per le pensioni Inpdai da liquidarsi successivamente al 1.1. 1995 le contribuzioni versate prima dovevano essere " rese omogenee". Il che Inps ha fatto rivalutandole per il coefficiente del 75%, scaturito dal rapporto percentuale tra 30/30 e 40/40. A questo punto l'Istituto ha sommato le due anzianità contributive (ante 1995 e post 1995). Nel caso in esame, la somma dell'anzianità superava i 40 anni. Inps aveva quindi agito correttamente nell'operare la contestata riduzione, riferendola al perio - do 1973/1978, in quanto "più favorevole" all'appellato. Il ragionamento seguito da Inps è coerente con la normativa citata e supportato da dati precisi e non contestati dal pensionato. Non ha pregio neppure la pretesa di escludere il suddetto periodo dal calcolo della quota Inpdai per far - lo rientrare, invece, nella quota Inps. Una volta trasferita a Inpdai, la contribuzione è divenuta a tutti gli effetti contribuzione utile a fini Inp - dai e non può certo essere trasferita a piacimento dell'iscritto e secondo le proprie convenienze. Anche su questo specifico punto la Corte si è già espressa nel senso indicato con le sentenze nn. 332/2018 e 733/2018, le cui motivazioni si richiamano ai sensi dell'art. 118 disp.att. c.p.c.. Infine, C. ha chiesto di ottenere il raffronto tra i due diversi trattamenti (quello derivante dal calco - lo con il criterio del pro rata e quello ottenuto senza l'applicazione di detto criterio) per ottenere
quello più favorevole, in base alla c.d clausola di salvaguardia art. 3 comma 4 D.Lgs. n. 181 del 1997. Il Collegio si è già pronunciato sul punto nella citata sentenza n. 332/2018, che si riporta "Innanzitutto, da nessuna norma emerge l'obbligo, per INPS, di effettuare due distinti calcoli, di raffrontarli e di liquidare quello più favorevole. Il significato di quella che l'appellato definisce "clausola di salvaguardia" non viene correttamente interpretato. Tale principio è stato introdotto dalla Legge istitutiva dell'INDPDAI, e ribadito in quella di riforma della gestione (L. n. 181 del 1997). Istituendo (e riformando) un soggetto diverso da INPS, il legislatore si è preoccupato di garantire che gli iscritti al nuovo sistema non subissero discriminazioni ingiustificate rispetto al trattamento garantito agli iscritti all'altro. Scopo delle disposizioni di salvaguardia .., quindi, era quello di evitare discriminazioni tra soggetti iscritti a gestioni differenti; presupposto che oggi, appunto, manca, essendo intervenuta la soppressione di INPDAI ed essendo dettati criteri precisi per la determinazione delle pensioni degli ex iscritti. Criteri, appunto, che sono quelli della L. n. 289 del 2002, sopra riportati, come interpretati dalla sentenza della Corte di Cassazione del febbraio 2017 n 4897. A tale assorbente rilievo, va aggiungo che nel caso di specie, anche a voler accedere alla diversa interpretazione sostenuta da C., sarebbe stato necessario che il pensionato avesse offerto gli elementi di fatto necessari per effettuare il giudizio comparativo, che deve aver riguardo anche alla contribuzione versata e non solo alla anzianità e alla retribuzione, come genericamente preteso da C. senza valutare, ai fini della liquidazione della quota A secondo i criteri vigenti per l'Inpdai, la necessità che la comparazione avvenga a parità di condizioni - cfr. Cass. 13980/18 - tenendo conto delle diverse retribuzioni pensionabili e delle diverse contribuzioni, dimostrando poi che, all'esito di una simile comparazione, la quota A, da liquidarsi secondo i criteri Inpdai, sarebbe inferiore a quella da calcolarsi con i criteri AGO. Dimostrazione comparativa, che, nel caso di specie è del tutto assente. In conclusione, le domande proposte da C. con il ricorso di primo grado debbono essere respinte. In considerazione della complessità della normativa in esame e delle oscillazioni giurisprudenziali in materia, sussistono i presupposti per la integrale compensazione delle spese di lite di tutti i gradi di giu - dizio. P.Q.M.
Decidendo in sede di rinvio, respinge le domande proposte da C. con il ricorso di primo grado. Spese di lite di tutti i gradi di giudizio interamente compensate tra le parti. Così deciso in Milano, il 10 giugno 2021. Depositata in Cancelleria il 13 agosto 2021.