Tar 2021-diritto dei ricorrenti ad ottenere il risarcimento danni causato dal ritardo nell'adozione

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Tar 2021-diritto dei ricorrenti ad ottenere il risarcimento danni causato dal

ritardo nell'adozione del provvedimento previsto dall'articolo 13, comma 3, del d.P.R. n. 164/2002.

Pubblicato il 25/02/2021

N. 02329/2021 REG.PROV.COLL. N. 15849/2015 REG.RIC.

R E P U B B L I C A

I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15849 del 2015, proposto da ……………………... contro Ministero dell'Interno, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del

legale

rappresentante pro

tempore,

rappresentati

e

difesi

dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; per l’accertamento e la dichiarazione di illegittimità del comportamento tenuto dalle amministrazioni convenute e il conseguente diritto dei ricorrenti ad


ottenere il risarcimento danni causato dal ritardo nell'adozione del provvedimento previsto dall'articolo 13, comma 3, del d.P.R. n. 164/2002. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Ministero dell'Economia e delle Finanze; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 gennaio 2021 il dott. Vincenzo Blanda e udito l’avv. Pietro Celli per i ricorrenti, mediante collegamento da remoto in videoconferenza, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO I ricorrenti premettono che in base all'art. 10, comma 1, della legge 23 marzo 1983, n. 78 (recante "Aggiornamento della legge 5 maggio 1976, n. 187, relativa alle indennità operative del personale militare") "agli ufficiali e sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica quando in comando di singole unità o gruppi di unità navali spetta, per il periodo di percezione

dell'indennità

di

cui

all'articolo

4 (della

legge

medesima), un'indennità supplementare mensile di comando navale nella misura del 30 per cento dell'indennità di impiego operativo stabilita in relazione al grado e all'anzianità di servizio militare dall'annessa tabella I, escluse le maggiorazioni indicate alle note a) e b) della predetta tabella". Ai sensi del comma 2 del medesimo articolo detta indennità "spetta altresì agli ufficiali e sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica titolari di comando che abbiano finzioni e responsabilità corrispondenti" (la norma precisa che i destinatari della predetta indennità saranno determinati, su


proposta del Capo di Stato Maggiore della Difesa con decreto del Ministro della Difesa da emanare di concerto con il Ministro del Tesoro). L'articolo 3 del decreto-legge 21 settembre 1987, n. 387 (convertito con modificazioni in legge 20 novembre 1987, n. 472), recante "Copertura finanziaria del decreto del Presidente della Repubblica 10 aprile 1987, n. 150, di attuazione dell'accordo contrattuale triennale relativo al personale della Polizia di Stato ed estensione agli altri Corpi di polizia", ha poi previsto che le indennità di cui agli articoli 4 e 10 della legge 23 marzo 1983, n. 78, competono al personale della Guardia di finanza (comma 18bis) e che le stesse sono, altresì, estese al personale della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo degli agenti di custodia che si trovi nelle stesse condizioni di impiego e di imbarco (comma 18-quater). Con riferimento al personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile (Polizia di Stato, Corpo della polizia penitenziaria e Corpo forestale dello Stato), l'art. 13, comma 3, del d.P.R. 18 giugno 2002, n. 164 (recante "Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e dello schema di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003), ha poi stabilito che "ai fini della prevista corresponsione dell'indennità di comando navale per il personale che riveste finzioni e responsabilità corrispondenti al comando di singole unità o gruppi di unità navali, di cui all'articolo 10 della legge sulle indennità operative, si provvede all'individuazione dei titolari di comando con determinazione delle singole

Amministrazioni

interessate

di

concerto

con

il

Ministero

dell'economia e delle finanze". Infine, l'art. 65 del citato d.P.R. n. 164/2002 ("Copertura finanziaria") ha indicato le risorse finanziarie per far fronte all'onere derivante dall'attuazione di dette previsioni, autorizzando il Ministro dell'Economia


e delle Finanze "ad apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio". L’individuazione dei soggetti che espletano funzioni di comando costituiva un presupposto indefettibile ai fini della corresponsione della indennità (cd. di "comando terrestre"), tale da richiedere uno specifico atto di normazione secondaria, di natura costitutiva e non meramente ricognitiva, per la individuazione dei soggetti aventi titolo a percepirla. Al fine di sollecitare l'adozione di tale necessaria determinazione, alcuni dei ricorrenti, insieme ad altri interessati, dipendenti della Polizia di Stato, Comandanti di Sottosezioni e Distaccamenti della Polizia Stradale, hanno presentato ricorso innanzi a questo Tribunale (proc. R.G. n. 7594/2013) per ottenere l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dai Ministeri convenuti sull'istanza depositata il 14 giugno 2013, volta ad ottenere l'adozione “di concerto” della determinazione di cui all'art. 13, comma 3, del d.P.R. 164/2002. Con sentenza n. 10661 del 2013, questa Sezione ha accolto il ricorso e, per l'effetto, ha ordinato al Ministero dell'Interno e al Ministero dell'Economia e delle Finanze di dare attuazione al disposto dell'art. 13, comma 3, del citato d.P.R. entro 90 giorni dalla comunicazione in via amministrativa della sentenza o dalla sua notificazione. A seguito di ulteriore impugnazione ai fini della esecuzione della richiamata decisione sul silenzio, questo Tribunale con sentenza n. 3660 del 3 marzo 2015 ha accolto la domanda dei ricorrenti e ha ordinato al Ministero dell'Economia e delle Finanze, rimasto inadempiente, di dare esecuzione alla sentenza n. 10661/2013, mediante l'adozione del decreto interministeriale di cui all'art. 13, comma 3, del d.P.R. n. 164/2002, entro il termine di 30 giorni decorrente dalla comunicazione in via amministrativa, anche a mezzo pec, della stessa, con l'avvertenza che, in caso di perdurante


ritardo,

sarebbe

stato

nominato

un

commissario ad

acta e

che

l'Amministrazione avrebbe dovuto corrispondere ai ricorrenti la somma di curo 10,00 al giorno, ai sensi dell'alt. 114, comma 4, c.p.a.-. Il 10 luglio 2015 è stato emanato il decreto interministeriale attuativo della previsione di cui all'art. 13, comma 3, del d.P.R. 164/2002, dei Ministri dell'Interno e dell'Economia e delle Finanze, che ha individuato i titolari di posizioni di comando a cui spetta la prevista indennità nei "responsabili di uffici con funzioni finali" di cui all'art. 2, comma 1, lett. a), del d.P.R. 22 marzo 2001, n. 208 (recante il Regolamento per il riordino della struttura organizzativa

delle

articolazioni

centrali

e

periferiche

dell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza). Nello specifico, il decreto interministeriale ha stabilito che "l’indennità supplementare mensile, di cui all'articolo 10, comma 2, della legge 23 marzo 1983, n. 78, è corrisposta, ai sensi dell'articolo 13, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 2002, n. 164, al personale della Polizia di Stato appartenente ai ruoli Assistenti ed Agenti, Sovrintendenti, Ispettori e Commissari non beneficiari del trattamento economico dirigenziale" che sia responsabile di uno degli uffici con funzioni finali indicato nell'allegato al decreto stesso (Elenco degli Uffici con finzioni finali destinatari dell'indennità), ossia di: Commissariati; Sezioni, Coa, Sottosezioni e Distaccamenti della Polizia Stradale; Sezioni, Sottosezioni e Posti della Polizia Ferroviaria; Uffici, Sottosezioni e Posti della Polizia di Frontiera; Compartimenti e Sezioni della Polizia Postale; Reparti Mobili; Reparti Volo; Reparti Prevenzione Crimine; Nuclei Artificieri; Squadre Cinofili; Squadre Tiratori Scelti; Reparti a Cavallo; Nuclei Sommozzatori e Posti di Polizia. I ricorrenti agiscono quali destinatari del succitato decreto, in quanto responsabili di uffici rientranti tra quelli indicati nell'allegato, per vedersi riconosciuto il diritto ad ottenere il risarcimento del danno subito a causa


del

colpevole

ritardo

dei

Ministeri

resistenti

nell'adozione

del

provvedimento di cui all'articolo 13, comma 3, del d.P.R. 164/2002. Gli interessati, tutti dipendenti della Polizia di Stato, affermano di aver subito un notevole pregiudizio a seguito della protratta inerzia del Ministero dell'Interno e del Ministero dell'Economia e delle Finanze, i quali, pur essendo destinatari dell'obbligo di adottare il provvedimento di cui all'articolo 13, comma 3, del d.P.R. 18 giugno 2002, n. 164, avrebbero ingiustificatamente omesso di attendervi fino al 10 luglio del 2015. Essi, inoltre, deducono che la competenza territoriale per l’azione risarcitoria autonoma, disancorata da un giudizio impugnatorio, sarebbe del T.A.R. del Lazio, quale Tribunale presso la cui circoscrizione hanno sede le amministrazioni responsabili del comportamento contestato, non rilevando la condizione di pubblici dipendenti dei ricorrenti. Il comportamento censurato dai ricorrenti non riguarderebbe infatti il rapporto di pubblico impiego ma, in termini più ampi e generali, la ritardata attuazione di una previsione normativa (l'articolo 13, comma 3, del d.P.R. 164/2002) da parte delle amministrazioni competenti. Premesso quanto sopra sono stati dedotti i seguenti motivi: 1) Violazione dell'art. 2, comma 1, della L. 241/1990, dell'art. 13 comma 3, del D.P.R. 164/2002 e dell'art. 97 Cost. I ricorrenti sono stati individuati tramite il Decreto Interministeriale del 10 luglio 2015 come titolari del diritto alla corresponsione dell'indennità supplementare mensile di comando di cui alla legge 78/1983, riconosciuta già dall'articolo 3, commi 18-bis e 18-quatel; del decreto-legge 21 settembre 1987, n. 387 (convertito con modificazioni nella legge 472/1987). L'adozione di tale provvedimento, secondo quanto affermato con sentenza n. 10661/2013, era da considerarsi, come già detto, "un'attività doverosa". Sebbene l'art. 13, comma 3, del d.P.R. n. 164 del 2002 non abbia fissato un


termine entro il quale l'Amministrazione avrebbe dovuto provvedere alla individuazione dei "titolari di comando", ciò non poteva esimere dal provvedere in tempi ragionevoli e coerenti con le stesse disposizioni contrattuali in cui l'indennità di comando si inseriva (ovvero il biennio economico 2002-2003). Il mancato tempestivo esercizio - da parte delle Amministrazioni convenute - dei propri obblighi avrebbe determinato un danno ingiusto ai ricorrenti, avendo impedito loro di ottenere in tempi ragionevoli l'erogazione della prevista indennità di "comando terrestre". Sebbene gli interessati abbiano svolto per anni funzioni di comando del personale preposto agli uffici con finzioni finali di cui all'art. 2, comma 1, lett. a), del d.P.R. 22 marzo 2001 n. 208, hanno iniziato a percepire l’indennità soltanto dal 10 luglio 2015. Il comportamento dilatorio delle Amministrazioni avrebbe violato l'art. 2 della L. 241/1990 e il principio di buon andamento previsto dall'art. 97 della Costituzione. Le

Amministrazioni

avrebbero

avuto

l'obbligo

di

provvedere

all'emanazione della determinazione di cui all'art. 13, comma 3, del d.P.R. 164/2002 entro il termine, considerato ragionevole, del biennio economico 2002-2003, tanto che i ricorrenti sono stati costretti ad adire le vie legali per vedere

riconosciuto

dapprima

l'obbligo

delle Amministrazioni

di

provvedere, poi l'obbligo delle stesse di dare esecuzione alla sentenza definitiva n. 10661/2013 cit., per cui il comportamento inerte dei Ministeri sarebbe colpevole. Sussisterebbero, inoltre, il danno ingiusto e il nesso di causalità tra questo e il

comportamento

inerte

dei

Ministeri.

Il

danno

consisterebbe

nell’impossibilità di godere dell'utilità connessa al bene della vita nel tempo intercorrente tra la data in cui il decreto interministeriale avrebbe dovuto


essere adottato e il momento in cui detta adozione è effettivamente intervenuta. Il nesso causale tra tale comportamento omissivo e il danno ingiusto subito discende invece dalla circostanza che, sebbene il Legislatore avesse riconosciuto fin dal 1987 il diritto dei dipendenti della Polizia di Stato di percepire l'indennità di comando di cui all'art. 10, collima 1, della L. 78/83, in mancanza dell'individuazione dei titolari di comando ai sensi del successivo D.P.R. 164/2002 la corresponsione della suddetta indennità non ha potuto avere luogo. Quanto all'elemento soggettivo della colpa delle Amministrazioni coinvolte, l'attività amministrativa da porre in essere non avrebbe presentato particolari difficoltà, trattandosi di individuare tra i dipendenti della Polizia di Stato coloro che potevano ritenersi titolari di posizioni di comando corrispondenti a quelle dei comandanti di unità o gruppi di unità navali. Per la quantificazione si allega un prospetto descrittivo delle posizioni dei ricorrenti e dei relativi importi richiesti. Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso eccependo, in primo luogo, l’incompetenza territoriale di questo Tribunale sull’assunto che i ricorrenti prestano servizio anche presso circoscrizioni diverse da quella rientrante nella sfera di competenza territoriale del TAR del Lazio, per cui dovrebbe essere riconosciuta la competenza dei Tribunali Amministrativi nelle cui circoscrizione essi prestano servizio, ai sensi dell’art. 13 cod. proc.-. In secondo luogo eccepisce la irricevibilità della impugnazione per tardività e la infondatezza nel merito della stessa.


All’udienza del 22 gennaio 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, il patrono dei ricorrenti ha insistito per l’accoglimento del ricorso, il quale è stato trattenuto in decisione. 1. In via preliminare occorre soffermarsi sulla eccezione di incompetenza territoriale di questo Tribunale sollevata dalla difesa dell’Amministrazione sul presupposto che non tutti i ricorrenti prestano servizio nella circoscrizione rientrante nella sfera di competenza territoriale del TAR Lazio. L’eccezione è infondata. In primo luogo si osserva che la domanda dei ricorrenti non si incentra sul rapporto di servizio tra questi e l’amministrazione da cui dipendono (Ministero dell’Interno), ma attiene, come ribadito dalla difesa dei ricorrenti

nella

memora

depositata

il

30.12.2020,

alla

condotta

dell’Amministrazione che avrebbe arrecato un pregiudizio agli interessati a causa del notevole lasso di tempo trascorso dalla emanazione delle norme che hanno introdotto la indennità per cui è causa (l’art. 13, co. 3, del d.P.R. 164/2002),

fino

alla

introduzione

della

disciplina

applicativa

e

corresponsione degli emolumenti dovuti; per tale ragione nel caso di specie non può trovare applicazione il criterio di cui all’articolo 13, comma 1, primo periodo, c.p.a.-. In altri termini, l’impugnativa in esame non è relativa ad una controversia individuale di lavoro, non riguardando specificamente il rapporto di servizio dei ricorrenti, bensì la responsabilità dell’Amministrazione nella tardiva adozione di atti presupposti rispetto alla richiesta attribuzione dell’indennità di comando, con l’applicabilità del criterio generale della sede dell’organo emanante ex art. 13, comma 1, c.p.a. e, in ogni caso, quello residuale per gli atti statali di cui al comma 3 del medesimo art. 13, che individuano la competenza territoriale in capo a questo Tribunale.


Infatti, l’art. 13, comma 2, c.p.a., che prevede il criterio del ‘foro speciale del pubblico impiego’ o della sede di servizio tra quelli individuati per fissare la competenza territoriale inderogabile, non può essere interpretato alla lettera, nel senso che tale criterio speciale si applichi ogni volta che una delle parti in causa sia un pubblico dipendente quali che siano la materia e l’oggetto della controversia (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 11/12/2012, n. 37). 2. E’ possibile, quindi, procedere all’esame dell’ulteriore eccezione di irricevibilità del ricorso sollevata dalla difesa del Ministero dell’Interno, secondo cui la domanda risarcitoria sarebbe stata proposta tardivamente, dopo il decorso del termine decadenziale previsto dall’art. 30 cod. proc. amm.-. In particolare, secondo l’Amministrazione, tale termine dovrebbe decorrere, per le fattispecie maturate prima della entrata in vigore del c.p.a., dal giorno in cui quest’ultima si è verificata. Nel caso di specie, il ricorso è stato proposto dopo circa cinque anni dall’entrata in vigore del codice e, pertanto, oltre lo scadere del termine decadenziale introdotto dal predetto art. 30 per cui lo stesso sarebbe tardivo. L’eccezione merita di essere condivisa. 3. La domanda risarcitoria tendente ad ottenere il risarcimento del danno ingiusto derivato ai ricorrenti dalla mancata attivazione del procedimento necessario ad assicurare la corresponsione delle indennità per le funzioni di comando di cui all'art. 2, comma 1, lett. a), del d.P.R. 22 marzo 2001, n. 208, è irricevibile per tardività, in quanto proposta oltre il termine di decadenza previsto dall’art. 30, quarto comma c.p.a.-. Tale disposizione, infatti, prevede che per il risarcimento del danno, che il ricorrente comprovi di aver subito in dipendenze della inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 - ovvero il termine di 120 previsto per la proposizione della


domanda - non decorre finché perdura l’inadempimento e inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere. In base alla vigente disciplina, inoltre, la domanda risarcitoria non deve essere

necessariamente

preceduta

dall’accertamento

giudiziale

dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione, in quanto, ai sensi dell’art 2 bis della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, colui che assume di aver subito un danno dall’inerzia o ritardo del soggetto pubblico può agire, ai sensi dell’art. 133 primo comma lett a) n. 1 c.p.a, innanzi al Giudice Amministrativo subito dopo la scadenza del termine normativamente previsto per la conclusione del procedimento, come nel caso di specie, in cui l'obbligo derivava direttamente da una specifica previsione normativa, senza che l'amministrazione dovesse effettuare alcuna valutazione sull'an del procedere e provvedere. Del resto, il procedimento volto alla adozione del decreto interministeriale di cui all'art. 13, comma 3, del d.P.R. n. 164 del 2002, è un procedimento avviato d'ufficio dall'amministrazione ai sensi della relativa disciplina legislativa e non un procedimento ad istanza di parte. Nella vicenda in esame, come già osservato dal giudice di appello in una vicenda analoga (cfr. sentenza n. 6665 del 26.11.2018), “il procedimento è finalizzato all'individuazione dei titolari di comando cui spetta l'indennità, per cui, sotto tale profilo, il provvedimento conclusivo del procedimento ha natura costitutiva e non meramente ricognitiva del diritto alla corresponsione della indennità di comando terrestre in discorso. La natura costitutiva del provvedimento da emanarsi riguarda non già l'esistenza del diritto all'indennità, ma l'individuazione dei soggetti che hanno titolo a percepirla. La

norma

non

fissa

espressamente

un

termine

entro

il

quale

l'Amministrazione debba provvedere alla individuazione dei "titolari di


comando" (cui spetta l'indennità in questione), né risulta che un termine sia stato stabilito dall'Amministrazione ai sensi dell'art. 2, comma 2, della legge n. 241 del 1990, sicché - considerato che, nonostante la complessità degli adempimenti da porre in essere, non è possibile ritenere che un procedimento non abbia un termine di scadenza potendo essere concluso sine die - occorre applicare il termine di "chiusura" di trenta giorni stabilito dall'art. 2 (in origine terzo comma, ora secondo comma) della L. n. 241 del 1990 per i casi in cui non sia previsto un termine diverso per la conclusione dei procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali”. Ed il termine di conclusione del procedimento in discorso, come rilevato dal Consiglio di Stato nella richiamata decisione, “deve essere individuato nel 15 settembre 2002, essendo il d.P.R. n. 164 del 2002 entrato in vigore il 15 agosto 2002”. 3.1. Ciò premesso il ricorso è, quindi, tardivo siccome notificato alla controparte solo in data 4 dicembre 2015, ben oltre il termine di conclusione previsto dall'art. 2 della L. n. 241 del 1990 (da individuare nel 15.9.2002) ed è in ogni caso tardivo anche rispetto al termine di decadenza normativamente

previsto

per

l’esercizio

dell’azione

risarcitoria,

individuato dall’art. 30 c.p.a. che iniziava a decorrere dal 16 settembre 2010, data di entrata in vigore della previsione contenuta nell’art 30 del Codice del processo amministrativo, che scadeva, tenuto anche conto del periodo di sospensione feriale dei termini, il 1 marzo 2012. 3.2. In senso contrario non vale affermare che nella vicenda in esame non si controverte in ordine al mero danno da ritardo (che può configurarsi per il solo inutile decorso dei termini procedimentali), bensì del danno prodotto dalla ritardata adozione del decreto interministeriale del 10.7.2015 al quale i ricorrenti aspiravano, sin dal momento in cui hanno iniziato a svolgere


funzioni di comando del personale preposto agli uffici con funzioni finali di cui all’art. 2, co. 1, lett. a), del d.P.R. 208/2001. Così come non assume rilievo il fatto che il decreto interministeriale favorevole ai ricorrenti sarebbe stato assunto a seguito della sentenza n. 10661/2013 con la quale questo Tribunale, in accoglimento della impugnazione avverso il silenzio inadempimento delle Amministrazioni interessate, ha ordinato al Ministero dell’Interno di adottare una espressa determinazione, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che desse attuazione al disposto dell’art. 13, comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 2002, n. 164. 4. L’impugnazione del silenzio dell’Amministrazione, infatti, non avvia un autonomo procedimento ad istanza di parte, distinto da quello che i Ministeri interessati erano tenuti ad avviare d’ufficio, ma costituisce una mera sollecitazione alla conclusione del procedimento di adozione del decreto interministeriale avviato d'ufficio dall'amministrazione e, quindi, non può essere considerata idonea a determinare l'insorgere di un nuovo ed autonomo obbligo di provvedere, che consenta di posticipare l’avvio della azione risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con il quale l’amministrazione ha completato il medesimo procedimento. 5. Né vale sostenere che soltanto con il decreto interministeriale del 10.7.2015 i ricorrenti siano stati individuati quali titolari del diritto alla corresponsione dell’indennità supplementare mensile di comando di cui all’art. 10 della l. 78/1983, per cui prima della sua adozione gli stessi non sarebbero stati neppure legittimati ad agire. E ciò anche per l’ipotesi in cui si agisca per il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, posto che secondo l’art. 30, comma 3, c.p.a., “Il termine di


cui al comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere”. 6. Nel caso di specie la sentenza n. 10661/2013 richiamata dai ricorrenti, dopo aver dichiarato l’illegittimità del silenzio inadempimento serbato dall’Amministrazione dell’Interno ordinandole di provvedere, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ad attuare l’art. 13, comma 3, del d.P.R. 164/02, ha assegnato un termine di giorni novanta decorrente dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, o dalla sua notificazione a cura di parte. La sentenza è stata pubblicata il 10.12.2013 e comunicata - a mezzo PEC alle parti nella medesima data, per cui il termine per adempiere è scaduto il 10 marzo 2014. Pertanto, anche a voler tener conto della intervenuta decisione sul silenzio inadempimento dell’Amministrazione, ne consegue che ai sensi dell’art. 30, comma 4, secondo periodo c.p.a. (in base al quale l’azione per il risarcimento del danno derivante dall'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento “di cui al comma 3, inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere”) la data entro la quale l’azione risarcitoria avrebbe potuto essere esercitata era il 8.7.2015 [10.12.2013 (data della decisione) + 90 gg. (per provvedere previsti dalla sentenza) + 12 mesi (previsti dall’art. 30, comma 4, c.p.a.) + 120 gg (previsti dall’art. 30 comma 3, c.p.a.)]. 6.1. In altri termini, ai sensi del combinato disposto dell'art. 30, commi 3 e 4, c.p.a., la domanda di risarcimento del danno subito in conseguenza dell'inosservanza del termine di conclusione del procedimento nel caso di specie avrebbe dovuto essere proposta al massimo entro il termine di decadenza del 8.7.2015, sicché la domanda anche sotto il profilo in esame risulta intempestiva.


7. Né può assumere giuridico rilievo in tal senso il successivo giudizio di ottemperanza conclusosi con sentenza n. 3660/15, che ha ordinato al Ministero dell’Economia e delle Finanze di dare esecuzione alla sentenza del TA.R. del Lazio, Sez. I ter n. 10661 del 10.12.2013, mediante adozione del decreto interministeriale ai sensi dell’art. 13, comma 3, del d.P.R. n. 164/2002, entro il termine di 30 giorni. Seguendo tale ragionamento si perverrebbe alla inaccettabile conseguenza di una sostanziale rimessione in termini per la proposizione dell'azione risarcitoria vanificando la ratio sottostante all'art. 30 c.p.a., che ha inteso stabilire un preciso termine di decadenza entro il quale è possibile agire al fine di conseguire la condanna dell'amministrazione a provvedere. Infatti, una volta individuato il dies ad quem per la conclusione del procedimento, il termine di decadenza per la proposizione dell’azione risarcitoria non può ritenersi interrotto da un’ulteriore azione volta a sollecitare la conclusione del procedimento. 8. Ferme restando le considerazioni in tema di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio come sopra formulate, per completezza deve rilevarsi che la domanda di risarcimento è comunque infondata per le ragioni di seguito indicate. In particolare non risultano integrati l’elemento soggettivo e un convincente nesso eziologico tra i danni patiti e i vizi censurati, né sussiste la dovuta allegazione, con conseguente prova, dell’esistenza di danni effettivi. In particolare, in virtù del “generale principio dell'onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per cui sui ricorrenti grava l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell'Amministrazione per danni derivanti dall'illegittimo od omesso svolgimento dell'attività amministrativa di


stampo autoritativo, da ricondurre al modello della responsabilità per fatto illecito delineata dall'art. 2043 cod. civ., donde la necessità di verificare, con onere della prova a carico del (presunto) danneggiato, gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana, così individuabili: a) il fatto illecito; b) l'evento dannoso ingiusto ed il danno patrimoniale conseguente; c) il nesso di causalità tra il fatto illecito ed il danno subito; d) la "colpa" dell'apparato amministrativo, dovendosi individuare, anche in tema di responsabilità della p.a. da attività amministrativa illegittima, l'elemento soggettivo (colpa oppure dolo) richiesto dall'art. 2043 c.c.” (cfr. Cons. St., Sez. IV, 2.2.2016, n. 486). In modo ancor più chiaro il Consiglio di Stato ha affermato che “la configurabilità della responsabilità della pubblica amministrazione per i danni provocati dall’azione amministrativa esige l’adozione di un provvedimento illegittimo, la dimostrazione del dolo o della colpa, da valersi quale elemento costitutivo del diritto al risarcimento, dell’autorità che lo ha emanato, non essendo sufficiente il solo annullamento dell’atto lesivo (cfr. ex multis Cons. St., sez. III, 11 marzo 2015, n.1272), e la prova che dalla colpevole condotta amministrativa sia derivato, nella sfera patrimoniale del presunto danneggiato, un pregiudizio economico direttamente riferibile all’assunzione od all’esecuzione della determinazione illegittima (cfr. ex multis Cons. St., sez, VI, 8 luglio 2015, n.3400)” (cfr. Cons. St., Sez. III, 3.2.2016, n. 559). 9. Ebbene, nel caso in esame, sulla base degli elementi acquisiti agli atti di causa non si ritiene dimostrata la sussistenza in capo alle Amministrazioni intimate dell’elemento soggettivo. E’ stato più volte sottolineato, in tema di responsabilità della pubblica amministrazione, che l’ingiustizia del danno non può considerarsi in re ipsa nella sola illegittimità dell’esercizio della funzione amministrativa o pubblica in generale, dovendo in realtà il giudice procedere ad accertare


che sussista un evento dannoso; che il danno sia qualificabile come ingiusto (in

relazione

alla

sua

incidenza

su

un

interesse

rilevante

per

l’ordinamento); che l’evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, ad una condotta della pubblica amministrazione; che l’evento dannoso sia imputabile a responsabilità della pubblica amministrazione anche sotto il profilo soggettivo del dolo o della colpa (cfr. ex pluribus, Cass. Civ., sez. III, 28 ottobre 2011, n. 22508; 23 febbraio 2010, n. 4326). L’amministrazione ha osservato che nella prospettiva di estendere l'attribuzione dell’indennità di comando navale al personale della Polizia di Stato incaricato di funzioni e responsabilità di comando “terrestre”, il legislatore ha subordinato tale estensione alla futura individuazione di ben determinate posizioni ed incarichi di comando (che avrebbero dato poi titolo, in caso di formale conferimento degli stessi ai potenziali aventi diritto, ai conseguimento di tale indennità), disponendo con l’art. 13, comma 3, del d.P.R. n. 164/02, che a tal fine si sarebbe dovuto provvedere all'individuazione dei titolari di comando con determinazione delle singole Amministrazioni interessate di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze. Ciò

ha

comportato

l’avvio

di

prolungate

interlocuzioni

con

le

Organizzazioni Sindacali di categoria che hanno condotto ad un prolungamento del relativo procedimento ammnistrativo anche oltre i termini assegnati da questo Tribunale con le decisioni sopra richiamate. Gli elementi introdotti dall’Amministrazione confermano la notevole complessità del procedimento riguardante l’attribuzione del beneficio in argomento, che ha coinvolto diversi organi e istituzioni nonché le organizzazioni sindacali: il che impedisce di configurare con sufficiente certezza

l’elemento

oggettivo

della

“colpa”,

come

intesa

dalla


giurisprudenza amministrativa, ai fini del risarcimento del danno derivante dalla condotta dell’Amministrazione. 10. Tutto ciò non senza rilevare che l’ampia formulazione della disposizione che ha esteso l’indennità, lasciava ampio margine all’Amministrazione nella scelta dei criteri da utilizzare per addivenire alla individuazione degli Uffici e delle posizioni di comando che avrebbero dato titolo all’attribuzione dell’indennità di comando, per cui i dipendenti interessati hanno potuto conseguire l’indennità solo dopo l’adozione del decreto interministeriale di individuazione delle posizioni di comando remunerabili con l’indennità di comando terrestre. 11. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato irricevibile. La novità e la peculiarità delle questioni giuridiche oggetto di causa giustificano la compensazione delle spese relative al giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile per tardività. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 gennaio 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 25 del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, con l'intervento dei magistrati: Francesco Arzillo, Presidente Vincenzo Blanda, Consigliere, Estensore Anna Maria Verlengia, Consigliere L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


Vincenzo Blanda

Francesco Arzillo

IL SEGRETARIO



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