Protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori – Lavoratrice in periodo di allattamento

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Corte di Giustizia Europea ottobre 2017 - Protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori – Lavoratrice in periodo di allattamento – Valutazione dei rischi associati al posto di lavoro

Sentenza Causa C-531/15 della Corte (Quinta Sezione) del 19 ottobre 2017 Elda Otero Ramos contro Servicio Galego de Saúde e Instituto Nacional de la Seguridad Social Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal Superior de Justicia de Galicia Rinvio pregiudiziale – Direttiva 92/85/CEE – Articolo 4, paragrafo 1 – Protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori – Lavoratrice in periodo di allattamento – Valutazione dei rischi associati al posto di lavoro – Contestazione da parte della lavoratrice interessata – Direttiva 2006/54/CE – Articolo 19 – Parità di trattamento – Discriminazione basata sul sesso – Onere della prova Causa C-531/15

Edizione provvisoria SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione) 19 ottobre 2017 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 92/85/CEE – Articolo 4, paragrafo 1 – Protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori – Lavoratrice in periodo di allattamento – Valutazione dei rischi associati al posto di lavoro – Contestazione da parte della lavoratrice interessata – Direttiva 2006/54/CE – Articolo 19 – Parità di trattamento – Discriminazione basata sul sesso – Onere della prova» Nella causa C-531/15, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunal Superior de Justicia de Galicia (Corte superiore di giustizia della Galizia, Spagna), con decisione del 17 luglio 2015, pervenuta in cancelleria l’8 ottobre 2015, nel procedimento Elda Otero Ramos


contro Servicio Galego de Saúde, Instituto Nacional de la Seguridad Social, LA CORTE (Quinta Sezione), composta da J. L. da Cruz Vilaça, presidente di sezione, A. Tizzano, vicepresidente, A. Borg Barthet, M. Berger e F. Biltgen (relatore), giudici, avvocato generale: E. Sharpston cancelliere: M. Ferreira, amministratore principale vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 19 ottobre 2016, considerate le osservazioni presentate: –

per Elda Otero Ramos, da F. López López, abogado;

per il Servicio Galego de Saúde, da S. Carballo Marcote, letrada;

per l’Instituto Nacional de la Seguridad Social, da A. Lozano Mostazo e P. García Perea, letradas;

per il governo spagnolo, da A. Gavela Llopis e V. Ester Casas, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da J. Guillem Carrau, C. Valero, A. Szmytkowska e I. Galindo Martín, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 6 aprile 2017, ha pronunciato la seguente

Sentenza 1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 19 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5


luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU 2006, L 204, pag. 23), nonché dell’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (GU 1992, L 348, pag. 1). 2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la sig.ra Elda Otero Ramos e, dall’altro, l’Instituto Nacional de la Seguridad Social (INSS) (Istituto nazionale di Previdenza sociale, Spagna; in prosieguo: l’«INSS») e il Servicio Galego de Saúde (servizio sanitario della Comunità autonoma della Galizia, Spagna), relativamente al diniego di rilascio di un certificato attestante che l’esecuzione da parte dell’interessata degli incarichi inerenti al suo posto di lavoro presentava un rischio per l’allattamento del figlio, al fine di ottenere la concessione di una prestazione economica per i rischi durante l’allattamento.

Contesto normativo Diritto dell’Unione La direttiva 92/85 3

I considerando 1, da 8 a 11 e 14 della direttiva 92/85 enunciano quanto segue: «considerando che l’articolo 118 A del trattato [CE] prevede che il Consiglio adotti mediante direttive prescrizioni minime per promuovere il miglioramento in particolare dell’ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori; (...) considerando che le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento devono essere considerate sotto molti punti di vista come un gruppo esposto a rischi specifici e che devono essere adottati provvedimenti per quanto riguarda la protezione della loro sicurezza e salute;


considerando che la protezione della sicurezza e della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento non deve svantaggiare le donne sul mercato del lavoro e non pregiudica le direttive in materia di uguaglianza di trattamento tra uomini e donne; considerando che talune attività possono presentare un rischio specifico di esposizione delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento ad agenti, processi o condizioni di lavoro pericolosi e che pertanto questi rischi devono essere valutati ed il risultato di questa valutazione deve essere comunicato alle lavoratrici e/o ai loro rappresentanti; considerando d’altronde che, qualora da detta valutazione risultasse un rischio per la sicurezza o la salute delle lavoratrici, occorre prevedere un dispositivo per la loro protezione; (...) considerando che la vulnerabilità delle donne gestanti, puerpere e in periodo di allattamento rende necessario un diritto ad un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, ed il carattere obbligatorio di un congedo di maternità di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto; (…)». 4

L’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 92/85 così dispone: «1. La presente direttiva, che è la decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE [del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU 1989, L 183, pag. 1)], ha per oggetto l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. 2. Le disposizioni della [direttiva 89/391], fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, si applicano interamente al settore di cui al paragrafo 1 nel suo insieme, fatte salve le disposizioni più vincolanti e/o specifiche contenute nella presente direttiva».

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L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», dispone quanto segue:


«Ai fini della presente direttiva si intende per: (...) c)

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lavoratrice in periodo di allattamento, ogni lavoratrice in periodo di allattamento ai sensi delle legislazioni e/o prassi nazionali, che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente a dette legislazioni e/o prassi».

L’articolo 3 di tale direttiva prevede quanto segue: «1. La Commissione, in concertazione con gli Stati membri, e con l’assistenza del comitato consultivo per la sicurezza, l’igiene e la protezione della salute sul luogo di lavoro, elabora le linee direttrici concernenti la valutazione degli agenti chimici, fisici e biologici nonché dei processi industriali ritenuti pericolosi per la sicurezza o la salute delle lavoratrici di cui all’articolo 2. Le linee direttrici di cui al primo comma riguardano anche i movimenti e le posizioni di lavoro, la fatica mentale e fisica e gli altri disagi fisici e mentali connessi con l’attività svolta dalle lavoratrici di cui all’articolo 2. 2. Le linee direttrici di cui al paragrafo 1 sono intese a servire come base per la valutazione prevista all’articolo 4, paragrafo 1. A tal fine, gli Stati membri portano tali linee direttrici a conoscenza dei datori di lavoro, delle lavoratrici e/o dei loro rappresentanti nel rispettivo Stato membro».

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Le linee direttrici menzionate nell’articolo 3 della direttiva 92/85, nella versione pertinente ai fini della presente controversia, figurano nella comunicazione della Commissione, del 20 novembre 2000, sulle linee direttrici per la valutazione degli agenti chimici, fisici e biologici, nonché dei processi industriali ritenuti pericolosi per la sicurezza o la salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento [COM(2000) 466 definitivo/2; in prosieguo: le «linee direttrici»].

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Per quanto concerne la valutazione dei rischi e l’informazione dei lavoratori su tale valutazione, l’articolo 4 della direttiva 92/85 dispone quanto segue: «1. Per tutte le attività che possono presentare un rischio particolare di esposizioni ad agenti, processi o condizioni di lavoro, di cui un elenco non


esauriente figura nell’allegato I, la natura, il grado e la durata dell’esposizione, nell’impresa e/o nello stabilimento interessato, delle lavoratrici di cui all’articolo 2 dovranno essere valutati dal datore di lavoro, direttamente o per il tramite dei servizi di protezione e di prevenzione di cui all’articolo 7 della [direttiva 89/391], al fine di poter: –

valutare tutti i rischi per la sicurezza o la salute nonché tutte le ripercussioni sulla gravidanza o l’allattamento delle lavoratrici di cui all’articolo 2; definire le misure da adottare.

2. Fatto salvo l’articolo 10 della [direttiva 89/391], nell’impresa e/o nello stabilimento interessato le lavoratrici di cui all’articolo 2 e le lavoratrici che potrebbero trovarsi in una delle situazioni di cui all’articolo 2 e/o i loro rappresentanti sono informati dei risultati della valutazione prevista al paragrafo 1 e di tutte le misure da adottare per quanto riguarda la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro». 9

Riguardo alle conseguenze della valutazione dei rischi, l’articolo 5, paragrafi da 1 a 3, di tale direttiva stabilisce quanto segue: «1. Fatto salvo l’articolo 6 della [direttiva 89/391], qualora i risultati della valutazione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1 rivelino un rischio per la sicurezza o la salute di una lavoratrice di cui all’articolo 2, nonché ripercussioni sulla gravidanza o l’allattamento, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché l’esposizione di detta lavoratrice al rischio sia evitata modificando temporaneamente le sue condizioni di lavoro e/o il suo orario di lavoro. 2. Se la modifica delle condizioni di lavoro e/o dell’orario di lavoro non è tecnicamente e/o oggettivamente possibile o non può essere ragionevolmente richiesta per motivi debitamente giustificati, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché la lavoratrice in questione sia assegnata ad altre mansioni. 3. Se l’assegnazione ad altre mansioni non è tecnicamente e/o oggettivamente possibile o non può essere ragionevolmente richiesta per motivi debitamente giustificati, la lavoratrice in questione è dispensata dal lavoro durante tutto il periodo necessario per la protezione della sua sicurezza o della sua salute, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali».


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L’articolo 12 di detta direttiva, intitolato «Difesa dei diritti», prevede quanto segue: «Gli Stati membri introducono nel loro ordinamento giuridico interno le misure necessarie per consentire a qualsiasi lavoratrice che si ritenga lesa dalla mancata osservanza degli obblighi derivanti dalla presente direttiva di difendere i propri diritti per via legale e/o, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, mediante ricorso ad altre istanze competenti».

La direttiva 2006/54 11

L’articolo 1 della direttiva 2006/54, rubricato «Scopo», stabilisce quanto segue: «Lo scopo della presente direttiva è assicurare l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. A tal fine, essa contiene disposizioni intese ad attuare il principio della parità di trattamento per quanto riguarda: a)

l’accesso al lavoro, alla promozione e alla formazione professionale;

b)

le condizioni di lavoro, compresa la retribuzione;

c)

i regimi professionali di sicurezza sociale.

Inoltre, la presente direttiva contiene disposizioni intese a renderne più efficace l’attuazione mediante l’istituzione di procedure adeguate». 12

L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», dispone quanto segue: «1.

Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

a)

“discriminazione diretta”: situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga;

b)

“discriminazione indiretta”: situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o


prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; (...) 2.

Ai fini della presente direttiva, la discriminazione comprende:

(...) c)

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qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva [92/85]».

L’articolo 14, paragrafo 1, di detta direttiva estende il divieto di discriminazione, tra l’altro, alle condizioni di lavoro e prevede quanto segue: «È vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene: (...) c)

all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto all’articolo 141 del trattato [CE];

(...)». 14

Per quanto concerne l’onere della prova e l’accesso alla giustizia in caso di discriminazione diretta o indiretta, l’articolo 19, paragrafi 1 e 4, della medesima direttiva dispone quanto segue: «1. Gli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta. (…)


4.

I paragrafi 1, 2 e 3 si applicano anche:

a)

alle situazioni contemplate dall’articolo 141 del trattato [CE] e, in caso di discriminazione fondata sul sesso, dalle direttive [92/85] e 96/34/CE [del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1996, L 145, pag. 4)];

b)

a qualsiasi procedimento civile o amministrativo riguardante il settore pubblico o privato che preveda mezzi di ricorso secondo il diritto nazionale in base alle disposizioni di cui alla lettera a), ad eccezione dei procedimenti non giurisdizionali di natura volontaria o previsti dal diritto nazionale.

(...)». 15

L’articolo 28 della direttiva 2006/54 dispone che quest’ultima non pregiudica le misure relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità e che la sua applicazione lascia impregiudicate le disposizioni della direttiva 96/34 e della direttiva 92/85. Quadro normativo spagnolo

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La prestazione sociale connessa ai rischi durante il periodo di allattamento è stata integrata nell’ordinamento giuridico spagnolo dalla Ley Orgánica 3/2007 para la igualdad efectiva de mujeres y hombres (legge organica 3/2007 sull’effettiva uguaglianza tra donne e uomini), del 22 marzo 2007 (BOE n. 71, pag. 12611, del 23 marzo 2007; in prosieguo: la «legge 3/2007»).

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L’obiettivo della legge 3/2007 consiste nel favorire l’integrazione delle donne nel mondo del lavoro, consentendo loro di conciliare la vita professionale con la vita privata e familiare.

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La dodicesima disposizione aggiuntiva di tale legge ha comportato la modifica dell’articolo 26 della Ley 31/1995 de Prevención de Riesgos Laborales (legge 31/1995 in materia di prevenzione dei rischi professionali), dell’8 novembre 1995 (BOE n. 269, del 10 novembre 1995, pag. 32590; in prosieguo: la «legge 31/1995»), nel senso che è stata introdotta la tutela della lavoratrice e del neonato nelle situazioni di rischio che possono presentarsi durante il periodo di allattamento al seno, quando le condizioni di un posto di lavoro sono tali da incidere negativamente sulla salute della lavoratrice o del bambino.


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L’articolo 26 della legge 31/1995 è formulato nei seguenti termini: «1. La valutazione dei rischi [per la sicurezza o la salute dei lavoratori] di cui all’articolo 16 della presente legge dovrà includere la determinazione della natura, del grado e della durata dell’esposizione delle lavoratrici gestanti o puerpere ad agenti, procedure o condizioni di lavoro che possano influire negativamente sulla salute della lavoratrice o del feto, in qualsiasi attività tale da presentare un rischio specifico. Qualora dalla valutazione in parola risultasse un rischio per la sicurezza e la salute o una possibile ripercussione sulle lavoratrici summenzionate, il datore di lavoro adotterà le misure necessarie per evitare l’esposizione al rischio di cui trattasi, adattando le condizioni e l’orario di lavoro della lavoratrice interessata. Tali misure includeranno, ove necessario, la sospensione del lavoro notturno o del lavoro a turni. 2. Qualora l’adattamento delle condizioni o dell’orario di lavoro non fosse possibile, oppure, nonostante tale adattamento, le condizioni di un posto di lavoro possano influire negativamente sulla salute della lavoratrice in stato di gravidanza o del feto, e siffatto rischio sia certificato dai servizi medici dell’[INSS] o dalle mutue, a seconda dell’ente assicuratore con cui l’impresa abbia stipulato una polizza per la copertura dei rischi professionali, sulla base di una relazione del medico del Servicio Nacional de Salud (servizio sanitario nazionale, Spagna) che assiste la lavoratrice, quest’ultima verrà assegnata ad un posto di lavoro o a una mansione diversi, che sia compatibile con il suo stato. A tal fine, il datore di lavoro, dopo aver consultato i rappresentanti dei lavoratori, dovrà stabilire un elenco ricapitolativo dei posti di lavoro esenti da rischi. L’assegnazione della lavoratrice ad altro posto di lavoro o mansione avviene in conformità alle norme e ai criteri applicabili alle ipotesi di mobilità funzionale e rimane valida fino al momento in cui lo stato di salute della lavoratrice consenta la reintegrazione di quest’ultima nel precedente posto di lavoro. (...) 3. Se siffatta assegnazione a un altro posto di lavoro non fosse tecnicamente od oggettivamente possibile o non potesse essere ragionevolmente richiesta per motivi giustificati, può essere dichiarato il passaggio della lavoratrice alla situazione di sospensione del contratto di lavoro per rischio durante la gravidanza, contemplata dall’articolo 45, paragrafo 1, lettera d) [del Real


Decreto Legislativo 1/1995, por el que se aprueba el texto refundido de la Ley del Estatuto de los Trabajadores (regio decreto legislativo 1/1995, recante approvazione del testo consolidato della legge sullo Statuto dei lavoratori), del 24 marzo 1995 (BOE n. 75, del 29 marzo 1995, pag. 9654)], durante il periodo che risulti necessario per la protezione della sua sicurezza e della sua salute e fintantoché persista l’impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro precedente o in altro posto compatibile con il suo stato. 4. Le disposizioni dei paragrafi 1 e 2 del presente articolo si applicano parimenti nel corso del periodo di allattamento al seno, qualora le condizioni di lavoro possano influire negativamente sulla salute della lavoratrice o su quella del figlio e tale situazione venga confermata dai servizi medici del[l’INSS] o delle mutue («Mutuas»), a seconda dell’ente assicuratore con cui l’impresa abbia stipulato una polizza per la copertura dei rischi professionali, sulla base di una relazione del medico del servizio sanitario nazionale che assiste la lavoratrice o il figlio. Sarà del pari possibile dichiarare il passaggio della lavoratrice alla situazione di sospensione del contratto di lavoro per rischio durante il periodo di allattamento al seno di figli fino ai nove mesi di età, di cui all’articolo 45, paragrafo 1, lettera d), del [regio decreto legislativo 1/1995], se sussistono le circostanze previste dal precedente paragrafo 3. (...)». 20

La diciottesima disposizione aggiuntiva della legge 3/2007 ha modificato la normativa spagnola in modo tale che il periodo di allattamento al seno sia espressamente riconosciuto come una delle situazioni contemplate dalla Ley General de la Seguridad Social – Real Decreto Legislativo 1/1994 por el que se aprueba el texto refundido de la Ley General de la Seguridad Social (regio decreto legislativo 1/1994, recante approvazione del testo consolidato della legge generale relativa alla previdenza sociale), del 20 giugno 1994 (BOE n. 154, del 29 giugno 1994, pag. 20658; in prosieguo: la «legge generale relativa alla previdenza sociale»).

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L’articolo 135 bis della legge generale in materia previdenziale così prevede: «Situazione protetta. – Ai fini della prestazione economica per rischio durante l’allattamento al seno, si considera situazione protetta il periodo di sospensione del contratto di lavoro nei casi in cui, dovendo la donna lavoratrice cambiare posto di lavoro per occuparne un altro compatibile con la sua situazione, nei


termini previsti dall’articolo 26, paragrafo 4, della legge 31/1995, tale cambiamento del posto di lavoro non sia tecnicamente od oggettivamente possibile, o non potesse ragionevolmente richiedersi per motivi giustificati». 22

L’articolo 135 ter della legge generale in materia previdenziale stabilisce quanto segue: «Prestazione economica: – La prestazione economica per rischio durante l’allattamento al seno viene concessa ad una lavoratrice secondo i termini e le condizioni previsti dalla presente legge per la prestazione economica per rischio durante la gravidanza, e cessa al compimento dei nove mesi di età del figlio, salvo il caso in cui la beneficiaria si sia già reinserita anticipatamente nel posto di lavoro originario o in altro posto compatibile con la sua situazione».

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Per quanto concerne il diritto processuale, l’articolo 96, paragrafo 2, della Ley 36/2011, reguladora de la jurisdicción social (legge 36/2011, che disciplina la giurisdizione sociale), del 10 ottobre 2011 (BOE n. 245, pag. 106584, dell’11 ottobre 2011), stabilisce quanto segue: «Onere della prova nei casi di discriminazione e di infortuni sul lavoro (...) 2. Nei procedimenti relativi a responsabilità derivanti da infortuni sul lavoro e da malattie professionali, spetta ai responsabili della sicurezza e a coloro che contribuiscono alla realizzazione della situazione pregiudizievole dimostrare l’adozione delle misure necessarie per prevenire o evitare il rischio nonché fornire la prova dell’esistenza di qualsiasi altro fattore che escluda o attenui le loro responsabilità. Non è possibile sottrarsi alle responsabilità sulla base di una colpa lieve del lavoratore o di una colpa imputabile all’esercizio abituale del lavoro di cui trattasi o all’affidamento da quest’ultimo generato».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali 24

Dalla decisione di rinvio risulta che la sig.ra Otero Ramos presta servizio come infermiera presso il pronto soccorso del Centro Hospitalario Universitario de A Coruña (Centro ospedaliero universitario di La Coruña, Spagna; in prosieguo: il «CHU»), ospedale pubblico che dipende dal servizio sanitario della Comunità autonoma della Galizia.


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Il 22 dicembre 2011 la sig.ra Otero Ramos ha dato alla luce un bambino che, successivamente, è stato allattato al seno.

26

Il 19 marzo 2012 la sig.ra Otero Ramos ha informato il proprio datore di lavoro di siffatto metodo di allattamento e che le mansioni richieste dal suo posto di lavoro erano tali da incidere negativamente su detto allattamento e da esporla a rischi per la sua salute e la sua sicurezza, a causa, in particolare, della complessità del ritmo di lavoro sulla base di turni e rotazione, delle radiazioni ionizzanti, delle infezioni nelle strutture sanitarie e dello stress. Pertanto, ella ha presentato una domanda di modifica delle condizioni di lavoro e di attuazione di misure preventive.

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Il 10 aprile 2012 la direzione del CHU ha prodotto una relazione attestante che il posto di lavoro della sig.ra Otero Ramos non presentava alcun rischio per l’allattamento del suo bambino e ha chiesto il rigetto della domanda della ricorrente.

28

L’8 maggio 2012 la sig.ra Otero Ramos ha chiesto alla Dirección Provincial del Instituto Nacional de la Seguridad Social de A Coruňa (direzione provinciale dell’INSS di La Coruña, Spagna) il rilascio di un certificato medico che riconoscesse l’esistenza di un rischio per l’allattamento del bambino, ai fini della concessione di una prestazione economica per rischio durante l’allattamento.

29

Per la valutazione di tale domanda, la direzione provinciale dell’INSS di La Coruña ha preso in considerazione, da un lato, una dichiarazione del direttore delle risorse umane del CHU attestante che il posto di lavoro della sig.ra Otero Ramos, vale a dire quello di infermiera del pronto soccorso, figurava nell’elenco ricapitolativo dei posti di lavoro esenti da rischio, redatto dal CHU previa consultazione dei rappresentanti dei lavoratori. Dall’altro, essa ha tenuto conto della relazione di un medico del servizio di medicina preventiva e di prevenzione dei rischi professionali, la quale confermava che la sig.ra Otero Ramos era stata esaminata e ne dichiarava l’idoneità a svolgere le mansioni inerenti al suo posto di lavoro.

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Sulla base di tali documenti, l’INSS, con una decisione del 10 maggio 2012, ha ritenuto che non fosse stato dimostrato che il posto di lavoro della sig.ra Otero Ramos presentasse un rischio per l’allattamento del bambino e, di conseguenza, ha respinto la sua domanda.


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L’11 luglio 2012 la sig.ra Otero Ramos ha proposto ricorso avverso detta decisione dinanzi allo Juzgado de lo Social n. 2 de A Coruňa (Tribunale del lavoro n. 2 di La Coruña, Spagna), facendo valere che il suo posto di lavoro la esponeva a un rischio per l’allattamento del suo bambino. A sostegno della propria contestazione, ella ha fornito una lettera firmata dal suo superiore gerarchico diretto, vale a dire la caporeparto del pronto soccorso del CHU, secondo cui, in sostanza, il lavoro di infermiera all’interno di tale unità presentava rischi fisici, chimici, biologici e psicosociali per la lavoratrice in periodo di allattamento nonché per il suo bambino.

32

Con decisione del 24 ottobre 2013, detto giudice ha respinto il ricorso proposto dalla sig.ra Otero Ramos, con la motivazione che non sarebbe stato dimostrato che il posto di lavoro di quest’ultima presentasse il rischio asserito. Inoltre, lo stesso giudice ha considerato che la controversia sottopostagli era simile ad altre cause nelle quali sia il Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna) sia il giudice del rinvio, il Tribunal Superior de Justicia de Galicia (Corte superiore di giustizia della Galizia, Spagna), avevano adottato un approccio rigoroso in materia di valutazione della prova dell’esistenza di un rischio rilevante ai fini della concessione della prestazione, e che, nel caso di specie, nessun elemento nuovo giustificava il fatto che esso se ne discostasse.

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La sig.ra Otero Ramos ha interposto appello avverso detta decisione dinanzi al giudice del rinvio.

34

Tale giudice si chiede, in sostanza, se sia possibile applicare le norme relative all’onere della prova previste all’articolo 19 della direttiva 2006/54 al fine di dimostrare l’esistenza di una situazione di rischio durante l’allattamento al seno, ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 3, della legge 31/1995, che ha trasposto l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 92/85 nel diritto nazionale.

35

Secondo il giudice del rinvio, dette norme si applicano a una questione simile, nella misura in cui la dispensa dal lavoro prevista all’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 92/85 può essere qualificata come «occupazione e condizioni di lavoro», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/54. La circostanza che, conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), di tale direttiva, la discriminazione comprenda qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per motivi connessi alla gravidanza o al congedo per maternità, ai sensi della direttiva 92/85, deporrebbe, del pari, a favore di un’interpretazione del genere.


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Supponendo che l’articolo 19 della direttiva 2006/54 sia applicabile in una controversia come quella oggetto del procedimento principale, il giudice del rinvio si chiede in che modo dette norme debbano essere applicate e, in particolare, come dovrebbe essere ripartito tra le parti l’onere della prova. In concreto, detto giudice si interroga sulla questione, da un lato, se una relazione del superiore diretto della lavoratrice di cui trattasi, che dà atto dei rischi per l’allattamento, costituisca un indizio che consente di presumere l’esistenza di una discriminazione basata sul sesso, ai sensi di detta disposizione, e, dall’altro, se un elenco ricapitolativo dei posti di lavoro esenti da rischi, redatto dal datore di lavoro, unitamente ad una relazione preparata dal servizio di prevenzione in cui si dichiara che la lavoratrice in parola è idonea allo svolgimento dell’attività lavorativa, senza fornire spiegazioni, risultino sufficienti per dimostrare l’insussistenza di una violazione del principio della parità di trattamento.

37

Nell’ipotesi in cui esistessero indizi atti a dimostrare la sussistenza del rischio asserito, si porrebbe altresì la questione di sapere su quale parte – lavoratrice in periodo di allattamento o datore di lavoro – gravi l’onere di provare che l’adattamento delle condizioni o dell’orario di lavoro della prima non sia possibile o che, nonostante siffatto adattamento, le condizioni di lavoro della lavoratrice in periodo di allattamento siano idonee a influire negativamente sulla sua salute o su quella del suo bambino, ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 2, della legge 31/1995, che traspone l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 92/85, e che l’assegnazione ad altre mansioni non sia tecnicamente od oggettivamente possibile o, ancora, che non possa essere ragionevolmente richiesta al datore di lavoro per motivi debitamente giustificati, a norma dell’articolo 26, paragrafo 3, di tale legge, che traspone l’articolo 5, paragrafo 3, di detta direttiva.

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In tale contesto, il Tribunal Superior de Justicia de Galicia (Corte superiore di giustizia della Galizia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1)

Se le norme sull’onere della prova di cui all’articolo 19 della [direttiva 2006/54] siano applicabili alla situazione di rischio durante l’allattamento al seno contemplata dall’articolo 26, paragrafo 4, [della legge 31/1995], in combinato disposto con il paragrafo 3 di tale articolo, disposizione introdotta nell’ordinamento spagnolo per trasporre l’articolo 5, paragrafo 3, della [direttiva 92/85].


2)

In caso di risposta affermativa alla prima questione, se la presenza di rischi per l’allattamento al seno associati all’esercizio della professione di infermiera presso il servizio ospedaliero di pronto soccorso e di accettazione, attestati dalla relazione motivata stilata da un medico che è al tempo stesso il capo del servizio ospedaliero di pronto soccorso e di accettazione presso il quale presta servizio la lavoratrice interessata, si possa considerare un elemento di fatto in base al quale si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta ai sensi dell’articolo 19 della direttiva 2006/54.

3)

In caso di risposta affermativa alla seconda questione, se le circostanze che le mansioni svolte dalla lavoratrice siano considerate esenti da rischi nell’elenco ricapitolativo dei posti di lavoro redatto dall’impresa previa consultazione dei rappresentanti del personale, e che il servizio di medicina preventiva e prevenzione dei rischi professionali dell’ospedale di cui trattasi abbia emesso una dichiarazione di idoneità, senza che i menzionati documenti contengano indicazioni più precise riguardo all’iter per giungere a siffatte conclusioni, possano essere considerate sufficienti in tutti i casi e senza ammettere prova contraria, al fine di provare l’insussistenza di una violazione del principio della parità di trattamento ai sensi del citato articolo 19.

4)

In caso di risposta affermativa alla seconda questione e negativa alla terza questione, su quale parte – lavoratrice/parte ricorrente o datore di lavoro/parte convenuta – gravi l’onere di provare, ai sensi dell’articolo 19 della direttiva 2006/54, una volta dimostrata l’esistenza di rischi per la madre o per il lattante derivanti dallo svolgimento dell’attività lavorativa in questione, che l’adattamento delle condizioni o dell’orario di lavoro non sia possibile o che, nonostante l’adattamento, le condizioni di lavoro possano influire negativamente sulla salute della lavoratrice gestante o del lattante (articolo 26, paragrafo 2, della [legge 31/1995], in combinato disposto con il paragrafo 4 del medesimo articolo, che traspone l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 92/85), e che l’assegnazione ad altre mansioni non è tecnicamente e/o oggettivamente possibile o che non può essere ragionevolmente richiesta per motivi debitamente giustificati (articolo 26, paragrafo 3, della [legge 31/1995], in combinato disposto con il paragrafo 4 del medesimo articolo, che traspone l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 92/85)».


Sulle questioni pregiudiziali Osservazioni preliminari 39

Secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita all’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia sottopostagli. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte. In effetti, la Corte ha il compito di interpretare tutte le norme del diritto dell’Unione che possano essere utili ai giudici nazionali al fine di dirimere le controversie di cui sono investiti, anche qualora tali norme non siano espressamente indicate nelle questioni a essa sottoposte da detti giudici (sentenze del 19 settembre 2013, Betriu Montull, C-5/12, EU:C:2013:571, punto 40 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 13 febbraio 2014, TSN e YTN, C-512/11 e C-513/11, EU:C:2014:73, punto 32).

40

Di conseguenza, benché formalmente il giudice del rinvio abbia limitato le sue questioni all’interpretazione dell’articolo 19 della direttiva 2006/54 e dell’articolo 5, paragrafi 2 e 3, della direttiva 92/85, la Corte può nondimeno fornirgli tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che possano essere utili per definire la controversia di cui è investito, a prescindere dal fatto che il detto giudice vi abbia fatto riferimento o meno nel formulare le proprie questioni. A tal proposito, la Corte è tenuta a trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio gli elementi del diritto dell’Unione che richiedono un’interpretazione, tenuto conto dell’oggetto della controversia (v., in tal senso, sentenze del 19 settembre 2013, Betriu Montull, C-5/12, EU:C:2013:571, punto 41 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 13 febbraio 2014, TSN e YTN, C-512/11 e C-513/11, EU:C:2014:73, punto 33).

41

Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio e dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che la sig.ra Otero Ramos contesta, dinanzi al giudice del rinvio, la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro su cui si basa la decisione dell’INSS, in quanto non sarebbe stata effettuata conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85.

42

Tenuto conto di tali considerazioni, occorre riformulare le questioni sollevate nel senso che, con la prima questione, il giudice del rinvio si propone, in


sostanza, di accertare se l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 si applichi ad una situazione come quella in discussione nel procedimento principale, in cui una lavoratrice contesta, dinanzi ad un organo giurisdizionale nazionale ovvero dinanzi a qualsiasi altro organo competente dello Stato membro interessato, la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro, in quanto non sarebbe stata effettuata conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85. 43

In caso affermativo, il giudice del rinvio chiede, con la seconda, la terza e la quarta questione, quali siano le modalità di applicazione dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 ad una situazione come quella oggetto del procedimento principale. Sulla prima questione

44

Per fornire una risposta utile alla questione in parola, come riformulata al punto 42 della presente sentenza, occorre, in primo luogo, ricordare i requisiti cui la valutazione dei rischi associati al posto di lavoro di una lavoratrice in periodo di allattamento è soggetta conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85.

45

In tale ambito, si deve rilevare che l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 impone al datore di lavoro, direttamente o per il tramite dei servizi di protezione e di prevenzione, di valutare la natura, il grado e la durata dell’esposizione delle lavoratrici, ai sensi dell’articolo 2 della menzionata direttiva, agli agenti, ai processi o alle condizioni di lavoro, di cui un elenco non esauriente figura nell’allegato I di detta direttiva, per tutte le attività che possono presentare un rischio particolare al riguardo. Detta valutazione è effettuata al fine di poter valutare tutti i rischi per la sicurezza o la salute nonché tutte le ripercussioni sulla gravidanza o sull’allattamento e per determinare le misure da adottare.

46

Ai fini dell’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85, occorre prendere in considerazione le linee direttrici, giacché queste ultime, conformemente all’articolo 3, paragrafo 2, della stessa direttiva, sono intese a servire come base per la valutazione prevista nel suddetto articolo 4, paragrafo 1.


47

Orbene, dalle pagine 6 e 7 delle linee direttrici risulta che la valutazione dei rischi consiste in un «esame sistematico di tutti gli aspetti dell’attività lavorativa» che comprende almeno tre fasi.

48

La prima fase consiste nell’identificazione dei pericoli (agenti fisici e biologici, processi industriali, movimenti e posture, fatica psicofisica, altri carichi fisici e mentali). La seconda fase prevede l’identificazione delle categorie di lavoratrici (lavoratrici gestanti, lavoratrici che hanno partorito di recente o lavoratrici che allattano) che si trovano esposte a uno o a più dei suddetti pericoli. La terza fase, vale a dire la valutazione dei rischi in termini sia qualitativi che quantitativi, rappresenta «la fase più delicata del processo in quanto la persona che esegue la valutazione deve essere competente e tener conto di informazioni pertinenti (...) applicando metodi appropriati al fine di stabilire se il pericolo identificato comporti o meno una situazione di rischio per le lavoratrici».

49

Le linee direttrici precisano, alle pagine 11 e 12, che «i rischi possono essere diversi a seconda che le lavoratrici siano gestanti, puerpere o stiano allattando». Per quanto concerne, in particolare, le donne in allattamento, i datori di lavoro, per tutto il periodo dell’allattamento, dovranno riesaminare regolarmente i rischi per evitare o ridurre al minimo l’esposizione di tali lavoratrici ai rischi per la salute o la sicurezza, segnatamente, l’esposizione a determinate sostanze quali piombo, solventi organici, pesticidi e antimitotici. Un certo numero di queste ultime, infatti, arrivano, tramite il latte materno, al bambino che può essere particolarmente sensibile. Dette linee direttrici indicano altresì che in casi particolari può essere necessario ricorrere alla consulenza professionale di specialisti di igiene del lavoro.

50

Inoltre, le stesse linee direttrici contengono, alle pagine da 13 a 35, due tabelle dettagliate. La prima riguarda la valutazione dei pericoli generici e delle situazioni correlate cui è esposta la maggior parte delle donne gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. La seconda, intitolata «Pericoli specifici», indica, nell’introduzione, che, a causa della condizione dinamica della gravidanza, che comporta continui cambiamenti e sviluppi, le stesse condizioni di lavoro possono sollevare diversi problemi sul piano della salute e della sicurezza per diverse donne in diverse fasi della gravidanza come anche al momento di riprendere il lavoro dopo il parto o durante l’allattamento. Alcuni di questi problemi sono prevedibili e hanno carattere generale, altri sono legati alle circostanze individuali e all’anamnesi individuale.


51

Pertanto, dalle linee direttrici risulta che, per essere conforme ai requisiti dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85, la valutazione dei rischi associati al posto di lavoro di una lavoratrice in periodo di allattamento deve includere un esame specifico che tenga conto della situazione individuale della lavoratrice interessata, al fine di determinare se la salute o la sicurezza di quest’ultima o quelle del suo bambino siano esposte a un rischio.

52

In secondo luogo, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, gli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta.

53

L’articolo 19, paragrafo 4, lettera a), di tale direttiva precisa, in particolare, che le norme che determinano l’inversione dell’onere della prova previste al paragrafo 1 del medesimo articolo si applicano altresì alle situazioni contemplate dalla direttiva 92/85, nella misura in cui sussiste una discriminazione fondata sul sesso.

54

Occorre quindi determinare se una situazione come quella oggetto del procedimento principale costituisca una discriminazione fondata sul sesso, ai sensi della direttiva 2006/54.

55

In proposito, si deve sottolineare che, in base all’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/54, la discriminazione comprende, in particolare, «qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva [92/85]».

56

Come prevede espressamente l’articolo 1 della direttiva 92/85, quest’ultima ha per oggetto l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.

57

Come già dichiarato dalla Corte, lo scopo perseguito dalle norme del diritto dell’Unione sul principio di parità tra i sessi nel settore dei diritti delle donne gestanti, puerpere o in periodo di allattamento è quello di tutelare le lavoratrici


prima e dopo il parto (sentenza dell’11 novembre 2010, Danosa, C-232/09, EU:C:2010:674, punto 68 e giurisprudenza ivi citata). 58

Inoltre, dal quattordicesimo considerando e dall’articolo 8 della direttiva 92/85 risulta che «la vulnerabilità delle donne gestanti, puerpere e in periodo di allattamento rende necessario un diritto ad un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, ed il carattere obbligatorio di un congedo di maternità di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto». Pertanto, il congedo di maternità tende a proteggere le lavoratrici gestanti, puerpere e in periodo di allattamento.

59

Ne consegue che, poiché la condizione di donna in periodo di allattamento è strettamente legata alla maternità, e in particolare «alla gravidanza o al congedo di maternità», le lavoratrici in periodo di allattamento devono essere tutelate al pari delle lavoratrici gestanti o puerpere.

60

Di conseguenza, qualsiasi trattamento meno favorevole di una lavoratrice a causa della sua condizione di donna in periodo di allattamento dev’essere considerato compreso nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/54 e costituisce, pertanto, una discriminazione diretta fondata sul sesso.

61

In tale contesto, si deve rilevare che, per quanto riguarda la protezione della gravidanza e della maternità, la Corte ha ripetutamente affermato che, riservando agli Stati membri il diritto di mantenere in vigore o di istituire norme destinate ad assicurare tale protezione, l’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2006/54 riconosce la legittimità, in relazione al principio della parità di trattamento tra i sessi, in primo luogo, della protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza, e, in secondo luogo, della protezione delle particolari relazioni tra la donna e il bambino, durante il periodo successivo al parto (sentenza del 30 settembre 2010, Roca Álvarez, C-104/09, EU:C:2010:561, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

62

Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 57 delle sue conclusioni, qualora i rischi associati al posto di lavoro di una lavoratrice in periodo di allattamento non siano stati valutati conformemente ai requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85, la lavoratrice interessata e il suo bambino vengono privati della protezione di cui devono beneficiare in forza della menzionata direttiva, giacché possono essere esposti ai rischi potenziali la cui


sussistenza non sia stata correttamente accertata nel corso della valutazione dei rischi associati al posto di lavoro della lavoratrice interessata. A tal proposito, una lavoratrice in periodo di allattamento non può essere trattata alla stessa stregua di qualsiasi altro lavoratore, poiché la sua situazione specifica richiede necessariamente, da parte del datore di lavoro, un trattamento particolare. 63

Di conseguenza, il fatto di non valutare il rischio associato al posto di lavoro di una lavoratrice in periodo di allattamento, conformemente ai requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85, dev’essere considerato come un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità, ai sensi di tale direttiva, e costituisce, come risulta dal punto 60 della presente sentenza, una discriminazione diretta fondata sul sesso, a norma dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/54.

64

Orbene, in base all’articolo 14 della direttiva 2006/54, siffatta discriminazione rientra nell’ambito del divieto previsto da quest’ultima, nella misura in cui fa riferimento alle condizioni di occupazione e di lavoro della lavoratrice interessata, ai sensi del paragrafo 1, lettera c), di tale articolo. Dall’articolo 5 della direttiva 92/85 risulta infatti che la constatazione, in esito alla valutazione prevista all’articolo 4 di quest’ultima, di un rischio per la salute o la sicurezza di tale lavoratrice o di ripercussioni sull’allattamento comporterà un adattamento delle sue condizioni di lavoro e/o del suo orario di lavoro, l’assegnazione ad altre mansioni, o, ancora, una dispensa dal lavoro durante tutto il periodo necessario per la protezione della sua sicurezza o della sua salute.

65

Tenuto conto di tali considerazioni, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 dev’essere interpretato nel senso che esso si applica ad una situazione come quella oggetto del procedimento principale, in cui una lavoratrice in periodo di allattamento contesta, dinanzi ad un organo giurisdizionale nazionale o dinanzi a qualsiasi altro organo competente dello Stato membro interessato, la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro, in quanto non sarebbe stata effettuata conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85. Sulle questioni dalla seconda alla quarta

66

Con la seconda, la terza e la quarta questione, come riformulate al punto 43 della presente sentenza, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente quali sono


le modalità di applicazione dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 ad una situazione come quella oggetto del procedimento principale. 67

Va precisato, al riguardo, che le norme in materia di prova contemplate in tale disposizione non si applicano al momento in cui la lavoratrice interessata chiede una modifica delle condizioni di lavoro o, come nel procedimento principale, una prestazione economica per rischio durante l’allattamento al seno, che richiede una valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85. È solo in una fase successiva, in cui una decisione relativa a tale valutazione dei rischi è contestata dalla lavoratrice interessata dinanzi ad un organo giurisdizionale o dinanzi a qualsiasi altro organo competente, che le suddette norme sono applicabili.

68

Ciò premesso, ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, spetta alla lavoratrice che si ritenga lesa dall’inosservanza nei propri confronti del principio della parità di trattamento dimostrare, dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi a qualsiasi altro organo competente, fatti od elementi di prova in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011, Kelly, C-104/10, EU:C:2011:506, punto 29).

69

In una situazione come quella oggetto del procedimento principale, ciò implica che la lavoratrice interessata deve produrre, dinanzi al giudice del rinvio o a qualsiasi altro organo competente dello Stato membro di cui trattasi, fatti od elementi di prova atti a dimostrare che la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro non è stata effettuata conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 e che ella, pertanto, ha subito una discriminazione.

70

È solo nel caso in cui la lavoratrice interessata abbia provato tali fatti od elementi di prova che si verifica un’inversione dell’onere della prova e che spetta alla controparte dimostrare che non vi sia stata violazione del principio di non discriminazione (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011, Kelly, C-104/10, EU:C:2011:506, punto 30).

71

Nel caso di specie occorre rilevare che la lettera fornita dalla sig.ra Otero Ramos, firmata dal suo superiore gerarchico diretto, vale a dire la caporeparto del pronto soccorso del CHU, sembra indicare, specificandone i motivi, che il posto di lavoro di quest’ultima presenti rischi fisici, chimici, biologici e


psicosociali per l’allattamento, e sembra quindi contraddire i risultati della valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro su cui si basa la decisione dell’INSS e che detta lavoratrice contesta. 72

Orbene, come sottolineato dall’avvocato generale ai paragrafi 46 e 47 delle sue conclusioni, i documenti su cui si basa tale valutazione non forniscono alcuna indicazione motivata riguardo all’iter per giungere a siffatte conclusioni.

73

Ciò osservato, occorre rilevare che, a priori, la lettera prodotta dalla sig.ra Otero Ramos costituisce un elemento di prova atto a dimostrare che la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro non comprendeva un esame specifico che prendesse in considerazione la sua situazione individuale e che quindi, come risulta dal punto 51 della presente sentenza, una simile valutazione non era conforme ai requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85. Spetterà, tuttavia, al giudice del rinvio – il solo competente a valutare conformemente alle norme di procedura nazionali i fatti e gli elementi di prova rilevanti – verificare se tale sia l’ipotesi che ricorre.

74

Spetterà, pertanto, alla parte convenuta dimostrare che la valutazione dei rischi prevista all’articolo 4 della direttiva 92/85 sia stata effettuata conformemente ai requisiti stabiliti dalla menzionata disposizione, fermo restando che documenti quali una dichiarazione del datore di lavoro secondo cui determinate mansioni sono considerate «esenti da rischi», unitamente a una dichiarazione in base alla quale la lavoratrice interessata è «idonea» al lavoro, senza indicazioni atte ad avvalorare siffatte conclusioni, non possono, di per sé, comportare una presunzione assoluta che tale ipotesi ricorra. In mancanza, tanto detta disposizione quanto le norme in materia di prova di cui all’articolo 19 della direttiva 2006/54 sarebbero private di qualsiasi effetto utile.

75

Va rilevato, inoltre, che le stesse norme in materia di prova sono applicabili nell’ambito dell’articolo 5 della direttiva 92/85. In particolare, nella misura in cui una lavoratrice in periodo di allattamento chiede una dispensa dal lavoro per tutto il periodo necessario per la protezione della sua sicurezza o della sua salute e fornisce elementi atti ad indicare che le misure di tutela previste ai paragrafi 1 e 2 di detto articolo, vale a dire un adattamento delle condizioni di lavoro della lavoratrice interessata o un’assegnazione ad altre mansioni, non erano applicabili, spetta al datore di lavoro dimostrare che tali misure fossero tecnicamente od oggettivamente possibili e che potessero essere ragionevolmente richieste.


76

Dalle suesposte considerazioni risulta che occorre rispondere alla seconda, alla terza e alla quarta questione dichiarando che l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 dev’essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, spetta alla lavoratrice interessata dimostrare fatti idonei ad indicare che la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro non è stata effettuata conformemente ai requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 e in base ai quali si possa in tal modo presumere la sussistenza di una discriminazione diretta fondata sul sesso, ai sensi della direttiva 2006/54, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Incomberà, pertanto, alla parte convenuta dimostrare che detta valutazione dei rischi è stata effettuata conformemente ai requisiti previsti dalla menzionata disposizione e che, pertanto, non vi è stata alcuna violazione del principio di non discriminazione.

Sulle spese 77

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara: 1)

L’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, dev’essere interpretato nel senso che esso si applica ad una situazione come quella oggetto del procedimento principale, in cui una lavoratrice in periodo di allattamento contesta, dinanzi ad un organo giurisdizionale nazionale o dinanzi a qualsiasi altro organo competente dello Stato membro interessato, la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro, in quanto non sarebbe stata effettuata conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere


il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. 2)

L’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 dev’essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, spetta alla lavoratrice interessata dimostrare fatti idonei ad indicare che la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro non è stata effettuata conformemente ai requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 e in base ai quali si possa in tal modo presumere la sussistenza di una discriminazione diretta fondata sul sesso, ai sensi della direttiva 2006/54, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Incomberà, pertanto, alla parte convenuta dimostrare che detta valutazione dei rischi è stata effettuata conformemente ai requisiti previsti dalla menzionata disposizione e che, pertanto, non vi è stata alcuna violazione del principio di non discriminazione.

Firme

Edizione provvisoria CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE ELEANOR SHARPSTON presentate il 6 aprile 2017 (1)

Causa C-531/15

Elda Otero Ramos contro Servicio Galego de Saúde e Instituto Nacional de la Seguridad Social


[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal Superior de Justicia de Galicia (Corte superiore di giustizia della Galizia, Spagna)] «Politica sociale – Direttiva 2006/54/CE – Parità di trattamento dei lavoratori di sesso maschile e dei lavoratori di sesso femminile – Articolo 19 – Norme che determinano l’inversione dell’onere della prova – Direttiva 92/85/CEE – Articolo 4 – Valutazione delle attività che possono comportare l’esposizione ad agenti, processi o condizioni di lavoro»

1. Con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il Tribunal Superior de Justicia de Galicia (Corte superiore di giustizia della Galizia, Spagna) chiede chiarimenti sull’interpretazione delle norme che pongono l’onere della prova a carico del convenuto quando il ricorrente lamenti la mancata applicazione in suo favore del principio della parità di trattamento per motivi di sesso. L’inversione dell’onere della prova discende dalla direttiva 2006/54/CE riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (2). Il procedimento principale riguarda una lavoratrice la quale sostiene che, nel periodo in cui allattava il figlio al seno, le condizioni di lavoro erano idonee a incidere negativamente sulla sua salute o su quella del suo bambino. La domanda di detta lavoratrice è fondata sulle norme nazionali con le quali è stata recepita la direttiva 92/85/CEE concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (3). Le questioni poste dal giudice del rinvio richiedono che la Corte fornisca chiarimenti sull’interpretazione di detta direttiva, in combinato disposto con le disposizioni della direttiva 2006/54 relative all’onere della prova. Diritto dell’Unione La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea


2. L’articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (4) stabilisce che la parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione. La direttiva 89/391 3. La direttiva 89/391/CEE del Consiglio concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (5) definisce la «prevenzione» come «il complesso delle disposizioni o misure prese o previste in tutte le fasi dell’attività nell’impresa per evitare o diminuire i rischi professionali» (6). Detta direttiva stabilisce che i gruppi a rischio particolarmente esposti devono essere protetti dagli specifici pericoli che li riguardano (7) e attribuisce al legislatore dell’Unione il potere di adottare direttive particolari per promuovere il miglioramento dell’ambiente di lavoro per quanto riguarda la sicurezza e la salute dei lavoratori (8). La direttiva 92/85 4. Gli obiettivi della direttiva 92/85 comprendono l’adozione di prescrizioni minime per promuovere il miglioramento in particolare dell’ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori (9). Le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento devono essere considerate come un gruppo esposto a rischi specifici (10). Siffatta protezione non deve svantaggiare le donne sul mercato del lavoro né pregiudicare le direttive in materia di uguaglianza di trattamento tra uomini e donne (11). Talune attività possono presentare un rischio specifico di esposizione delle lavoratrici in periodo di allattamento ad agenti, processi o condizioni di lavoro pericolosi. Se del caso, questi rischi devono essere valutati ed il risultato della valutazione deve essere comunicato alle lavoratrici (12). Qualora da detta valutazione risultasse un rischio per la sicurezza o la salute delle lavoratrici, occorre prevedere un dispositivo per la loro protezione (13). Le lavoratrici in periodo di allattamento non devono svolgere attività la cui valutazione abbia rivelato un rischio di esposizione, che metta in pericolo la sicurezza e la salute, a taluni agenti o condizioni di lavoro particolarmente pericolosi (14). 5. L’articolo 1, paragrafo 1, enuncia che la direttiva 92/85, «che è la decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva [89/391], ha per oggetto l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della


sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento». 6. L’articolo 2, lettera c), definisce una lavoratrice in periodo di allattamento come «ogni lavoratrice in periodo di allattamento ai sensi delle legislazioni e/o prassi nazionali, che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente a dette legislazioni e/o prassi» (15). 7. Come richiesto dall’articolo 3, paragrafo 1, la Commissione ha elaborato le linee direttrici concernenti la valutazione degli agenti chimici, fisici e biologici nonché dei processi industriali ritenuti pericolosi per la sicurezza o la salute delle lavoratrici di cui all’articolo 2 (16). 8. L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 dispone che, per tutte le attività che possono presentare un rischio particolare di esposizioni ad agenti, processi o condizioni di lavoro elencati in modo non esauriente nell’allegato I (17), la natura, il grado e la durata dell’esposizione, nell’impresa e/o nello stabilimento interessato, delle lavoratrici di cui all’articolo 2 devono essere valutati dal datore di lavoro. La valutazione viene effettuata al fine di poter valutare tutti i rischi per la sicurezza o la salute nonché tutte le ripercussioni, tra l’altro, sull’allattamento delle lavoratrici interessate e definire le misure da adottare. Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, la lavoratrice interessata deve essere informata dei risultati di tale valutazione e di tutte le misure da adottare per quanto riguarda la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro. Le linee direttrici servono come base per detta valutazione. 9. L’articolo 5 è intitolato «Conseguenze dei risultati della valutazione» e così recita: «1. Fatto salvo l’articolo 6 della direttiva [89/391], qualora i risultati della valutazione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1 rivelino un rischio per la sicurezza o la salute di una lavoratrice di cui all’articolo 2, nonché ripercussioni sulla gravidanza o l’allattamento, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché l’esposizione di detta lavoratrice al rischio sia evitata modificando temporaneamente le sue condizioni di lavoro e/o il suo orario di lavoro. 2. Se la modifica delle condizioni di lavoro e/o dell’orario di lavoro non è tecnicamente e/o oggettivamente possibile o non può essere ragionevolmente richiesta per motivi debitamente giustificati, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché la lavoratrice in questione sia assegnata ad altre mansioni.


3. Se l’assegnazione ad altre mansioni non è tecnicamente e/o oggettivamente possibile o non può essere ragionevolmente richiesta per motivi debitamente giustificati, la lavoratrice in questione è dispensata dal lavoro durante tutto il periodo necessario per la protezione della sua sicurezza o della sua salute, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali. (…)». 10.

L’articolo 11, paragrafo 1, dispone quanto segue:

«Per garantire alle lavoratrici di cui all’articolo 2 l’esercizio dei diritti di protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo: 1) nei casi contemplati [all’articolo 5], alle lavoratrici di cui all’articolo 2 devono essere garantiti, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, i diritti connessi con il contratto di lavoro, compreso il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata; (…)». La direttiva 2006/54 11. Il preambolo della direttiva 2006/54 enuncia, in primo luogo, che la direttiva 97/80/CE del Consiglio (18) ha introdotto disposizioni dirette, tra l’altro, all’attuazione del principio della parità di trattamento fra uomini e donne (19). In secondo luogo, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia risulta chiaramente che qualsiasi trattamento sfavorevole nei confronti della donna in relazione alla gravidanza o alla maternità costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso. Pertanto, occorre includere esplicitamente tale trattamento nella direttiva 2006/54 (20). In terzo luogo, la Corte di giustizia ha costantemente riconosciuto la legittimità, per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, della protezione della condizione biologica della donna durante la gravidanza e la maternità nonché dell’introduzione di misure di protezione della maternità come strumento per garantire una sostanziale parità. La direttiva 2006/54 non dovrebbe pertanto pregiudicare la direttiva 92/85 (21). Tra gli obiettivi della direttiva 2006/54 rientra quindi anche quello di tutelare i diritti delle lavoratrici in congedo di maternità, per garantire che esse non subiscano un deterioramento delle condizioni di lavoro per aver usufruito del congedo di maternità e beneficino di


qualsiasi miglioramento delle condizioni lavorative cui dovessero aver avuto diritto durante la loro assenza (22). 12. In quarto luogo, il preambolo della direttiva riconosce che «[l]’adozione di norme sull’onere della prova contribuisce in modo significativo a che il principio della parità di trattamento possa essere applicato efficacemente. Pertanto, come dichiarato dalla Corte di giustizia, occorre adottare provvedimenti affinché l’onere della prova sia a carico della parte convenuta quando si può ragionevolmente presumere che vi sia stata discriminazione, a meno che si tratti di procedimenti in cui l’istruzione dei fatti spetta all’organo giurisdizionale o ad altro organo nazionale competente. Occorre tuttavia chiarire che la valutazione dei fatti in base ai quali si può presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta rimane di competenza dell’organo nazionale competente, secondo il diritto e/o la prassi nazionali. Inoltre, spetta agli Stati membri prevedere, in qualunque fase del procedimento, un regime probatorio più favorevole alla parte attrice» (23). 13. L’articolo 1 dispone che lo scopo della direttiva 2006/54 è «assicurare l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego». 14. L’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), definisce la discriminazione diretta come la «situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga». La discriminazione indiretta è la «situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari» [articolo 2, paragrafo 1, lettera b)]. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), la «discriminazione» comprende «qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva [92/85]». 15. Il titolo II contiene disposizioni particolari relative, tra l’altro, al divieto di discriminazione per quanto riguarda la parità retributiva e la parità di trattamento nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale. Il capo 3 fa parte del titolo II e contiene l’articolo 14, che vieta le discriminazioni per quanto


riguarda l’accesso all’occupazione, l’accesso alla formazione professionale, l’occupazione e le condizioni di lavoro. 16. L’articolo 19, che rientra nel titolo III («Disposizioni orizzontali») così recita: «1. Gli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta. 2. Il paragrafo 1 non osta a che gli Stati membri impongano un regime probatorio più favorevole alla parte attrice. (…) 4.

I paragrafi [1 e 2] si applicano anche:

a)

alle situazioni contemplate (…), in caso di discriminazione fondata sul sesso, [dalla direttiva 92/85] (…).

(…)». 17. Ai sensi del suo articolo 28, la direttiva 2006/54 non pregiudica le misure (dell’Unione europea e nazionali) relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità. Inoltre, detta disposizione enuncia espressamente che la menzionata direttiva lascia impregiudicata, inter alia, la direttiva 92/85. Normativa spagnola 18. Ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 1, della Ley de Prevención de Riesgos Laborales (legge in materia di prevenzione dei rischi professionali; in prosieguo: la «LPRL»), la valutazione dei rischi per le lavoratrici gestanti o puerpere deve includere la determinazione della natura, del grado e della durata dell’esposizione delle lavoratrici gestanti o puerpere ad agenti, procedure o condizioni di lavoro che possano influire negativamente sulla salute della lavoratrice o del feto, in qualsiasi attività tale da presentare un rischio specifico.


Qualora dalla valutazione in parola risultasse un rischio per la sicurezza e la salute o una possibile ripercussione su una donna gestante o in allattamento, il datore di lavoro deve adottare le misure necessarie per evitare l’esposizione al rischio di cui trattasi, adattando le condizioni e l’orario di lavoro della lavoratrice interessata. Tali misure devono includere, se necessario, la sospensione del lavoro notturno o del lavoro a turni. 19. Conformemente all’articolo 26, paragrafo 2, di detta legge, qualora l’adattamento delle condizioni o dell’orario di lavoro non fosse possibile o qualora, nonostante tale adattamento, le condizioni di lavoro influissero negativamente sulla salute della lavoratrice in stato di gravidanza o del feto, la lavoratrice deve essere assegnata ad una mansione diversa, che sia compatibile con il suo stato. I datori di lavoro, dopo aver consultato i rappresentanti dei lavoratori, devono stabilire un elenco ricapitolativo dei posti di lavoro esenti da rischi. Il trasferimento ad un posto di lavoro di tal genere dovrà avere luogo nella misura del possibile. Tuttavia, l’articolo 26, paragrafo 3, prevede che, qualora l’assegnazione a un altro posto di lavoro non fosse tecnicamente od oggettivamente possibile o non potesse ragionevolmente richiesta per motivi giustificati, può essere dichiarato il passaggio della lavoratrice alla situazione di sospensione del contratto di lavoro per rischio durante la gravidanza, durante tutto il periodo che risulti necessario per la protezione della sua sicurezza e della sua salute e fintantoché persista l’impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro precedente o in altro posto compatibile con il suo stato. 20. Ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 4, della legge in parola, le disposizioni dei paragrafi 1 e 2 del medesimo articolo si applicano alla lavoratrice nel corso del periodo dell’allattamento al seno, qualora le condizioni di lavoro possano influire negativamente sulla sua salute o su quella del suo bambino e tale situazione venga confermata dai servizi medici, tra l’altro, dell’Instituto Nacional de la Seguridad Social (Istituto nazionale di sicurezza sociale; in prosieguo; l’«INSS») sulla base di una relazione del medico del Servicio Nacional de Salud (Servizio sanitario nazionale) che assiste la lavoratrice o il figlio. È del pari possibile dichiarare il passaggio della lavoratrice interessata alla situazione di sospensione del contratto ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 3, per rischio durante il periodo di allattamento al seno di figli fino ai nove mesi di età, nel caso in cui l’assegnazione ad un altro posto di lavoro risulti impossibile nel suo caso.


21. L’articolo 135 bisdella Ley General de la Seguridad Social (legge generale sulla previdenza sociale) dispone che, ai fini della prestazione economica per le donne in allattamento al seno assegnate a un posto di lavoro ritenuto a rischio (in prosieguo: la «prestazione economica»), si considera «situazione protetta» il periodo di sospensione del contratto di lavoro nei casi in cui non sia possibile il trasferimento della lavoratrice ad un posto di lavoro compatibile, ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 4, della LPRL. 22. Il giudice del rinvio espone inoltre che la Ley Orgánica 3/2007, de 22 de marzo, para la igualdad efectiva de mujeres y hombres (legge organica del 22 marzo 2007, n. 3, in favore dell’uguaglianza effettiva tra donne e uomini) ha introdotto disposizioni che disciplinano la situazione di rischio delle donne nel periodo in cui allattano al seno i loro bambini. Prima di detta legge, tale situazione non era disciplinata dal diritto spagnolo; la normativa è stata introdotta per dare attuazione alla direttiva 92/85 e in particolare al suo articolo 5, paragrafo 3. Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali 23. La sig.ra Elda Otero Ramos presta servizio come infermiera presso il pronto soccorso del Centro Hospitalario Universitario de A Coruña (Centro ospedaliero universitario di La Coruña; in prosieguo: l’«ospedale»), che dipende dal Servizo Galego de Saúde (Servizio sanitario della Galizia). Il 22 dicembre 2011 ella dava alla luce una bambina, che veniva da lei allattata al seno. 24. In data 8 maggio 2012 la sig.ra Otero Ramos chiedeva all’INSS di rilasciarle un certificato medico attestante che ella rientrava nella definizione di lavoratrice in periodo di allattamento ai sensi delle norme nazionali e che lo svolgimento delle sue mansioni di infermiera presso il pronto soccorso dell’ospedale la esponeva a una situazione di rischio (24). 25. Ai fini dell’esame della domanda presentata dalla sig.ra Otero Ramos sono stati presi in considerazione i seguenti elementi: in primo luogo, una dichiarazione della responsabile delle risorse umane dell’ospedale secondo cui: i) la ricorrente lavorava come infermiera presso il pronto soccorso, ii) il suo orario di lavoro prevedeva turni di mattino, pomeriggio e notte, iii) il rischio specifico per le madri in periodo di allattamento al seno risultava da una relazione di medicina preventiva allegata alla dichiarazione, e iv) le sue mansioni erano «(…) considerate esenti da rischi secondo l’elenco ricapitolativo


dei posti di lavoro redatto dall’impresa previa consultazione dei rappresentanti dei lavoratori»; in secondo luogo, una relazione elaborata da un medico del Servizio di medicina preventiva dei rischi professionali [menzionata al precedente punto iii)], la quale confermava che la situazione della sig.ra Otero Ramos era stata valutata e che erano state parimenti esaminate le perizie mediche dalla stessa fornite; il suddetto medico la dichiarava «idonea» «(…) allo svolgimento delle sue mansioni nel luogo di lavoro, non sussistendo alcun rischio per l’allattamento» (25). 26. Due giorni dopo, con provvedimento del 10 maggio 2012, l’INSS respingeva la richiesta della sig.ra Otero Ramos, adducendo che non era stato dimostrato che le condizioni in cui ella svolgeva il proprio lavoro influissero negativamente sulla sua salute (o su quella della figlia). Di conseguenza, le veniva comunicato che era stato deciso di non avviare la procedura volta alla concessione della prestazione economica (26). 27. L’11 luglio 2012 la sig.ra Otero Ramos impugnava detta decisione dell’INSS dinanzi al Juzgado de lo Social No 2 de A Coruña (Giudice del lavoro n. 2 di La Coruña) (27). Detto ricorso conteneva in allegato una lettera firmata dal suo superiore gerarchico diretto, medico e responsabile del pronto soccorso dell’ospedale (in prosieguo: la «relazione del superiore»). Nella lettera in parola si affermava che una madre in periodo di allattamento al seno addetta a un lavoro di infermeria all’interno del pronto soccorso dell’ospedale era esposta a rischi fisici, chimici, biologici e psicosociali per il mantenimento dell’allattamento al seno. La relazione del superiore conteneva le seguenti informazioni relative agli agenti biologici. Il personale infermieristico è esposto, ad esempio, ad influenza del tipo A, patologie batteriche, germi multiresistenti, HIV ed epatite. Per quanto riguarda gli agenti fisici, in un pronto soccorso giungono pazienti di ogni genere. La maggior parte presenta gravi difficoltà motorie o è affetta da limitazioni causate dall’età o da patologie acute o croniche. Ciò comporta uno sforzo fisico e posturale da parte degli infermieri. Tale sforzo fisico aumenta nel caso di pazienti in situazione critica (pazienti in stato di coma, arresto cardiocircolatorio, malati terminali). Per quanto riguarda gli agenti chimici, gli infermieri sono esposti ad ogni tipo di trattamento, dato che il pronto soccorso si occupa di pazienti affetti da qualsiasi tipo di patologia. Sussistono rischi psicosociali in quanto il personale deve rispettare un complesso sistema di turni e rotazione (lavoro a turni e notturno). Il personale è inoltre soggetto a stress o pressione mentale per il fatto di dover gestire livelli


diversi di domanda di assistenza, a volte elevati, senza un rapporto stabile infermieri/pazienti. Nei momenti di forte domanda di assistenza, i lavoratori devono continuamente riadattarsi al fine di svolgere le proprie mansioni e organizzare il lavoro. Per le lavoratrici in periodo di allattamento, il lavoro a turni e notturno altera la produzione di prolattina, ormone responsabile della produzione del latte materno. Un orario di lavoro irregolare e lo svolgimento di turni di notte possono determinare l’insorgenza di mastiti a causa dell’alterazione del ritmo di estrazione del latte. 28. Il 24 ottobre 2013 il ricorso della sig.ra Otero Ramos veniva respinto. Il giudice di primo grado dichiarava che, conformemente alla giurisprudenza nazionale, occorreva applicare un criterio restrittivo quanto alla valutazione della prova dell’esistenza di un rischio ai fini della concessione della prestazione economica. La sig.ra Otero Ramos ha adito il giudice del rinvio, il quale intende sapere se la situazione della ricorrente rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/54. In caso affermativo, esso chiede chiarimenti, in particolare, sull’interpretazione dell’articolo 19 di detta direttiva alla luce delle disposizioni della direttiva 92/85. Pertanto, il giudice del rinvio chiede una pronuncia pregiudiziale sulle seguenti questioni: «1) Se le norme sull’onere della prova di cui all’articolo 19 della direttiva [2006/54] siano applicabili alla situazione di rischio durante l’allattamento al seno contemplata dall’articolo 26, paragrafo 4, in combinato disposto con il paragrafo 3, della [LPRL], disposizione introdotta nell’ordinamento spagnolo per trasporre l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva [92/85]. 2) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se la presenza di rischi per l’allattamento al seno associati all’esercizio della professione di infermiera presso il servizio ospedaliero di pronto soccorso e di accettazione, attestati dalla relazione motivata stilata da un medico che è al tempo stesso il capo del servizio ospedaliero di pronto soccorso e di accettazione presso il quale presta servizio la lavoratrice interessata, si possa considerare un elemento di fatto in base al quale si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta ai sensi dell’articolo 19 della direttiva [2006/54]. 3) In caso di risposta affermativa alla seconda questione, se le circostanze che le mansioni svolte dalla lavoratrice siano considerate esenti da rischi nell’elenco ricapitolativo dei posti di lavoro redatto dall’impresa previa consultazione dei rappresentanti del personale, e che il servizio di medicina preventiva e


prevenzione dei rischi professionali dell’ospedale di cui trattasi abbia emesso una dichiarazione di idoneità, senza che i menzionati documenti contengano indicazioni più precise riguardo all’iter per giungere a siffatte conclusioni, possano essere considerate sufficienti in tutti i casi e senza ammettere prova contraria, al fine di provare l’insussistenza di una violazione del principio della parità di trattamento ai sensi del citato articolo 19. 4) In caso di risposta affermativa alla seconda questione e negativa alla terza questione, su quale parte – lavoratrice/parte ricorrente o datore di lavoro/parte convenuta – gravi l’onere di provare, ai sensi dell’articolo 19 della direttiva [2006/54], una volta dimostrata l’esistenza di rischi per la madre o per il lattante derivanti dallo svolgimento dell’attività lavorativa in questione, 1) che l’adattamento delle condizioni o dell’orario di lavoro non sia possibile o che, nonostante l’adattamento, le condizioni di lavoro possano influire negativamente sulla salute della lavoratrice gestante o del lattante - articolo 26, paragrafo 2, in combinato disposto con il paragrafo 4, della [LPRL], che traspone l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva [92/85] – e 2) che l’assegnazione ad altre mansioni non è tecnicamente e/o oggettivamente possibile o che non può essere ragionevolmente richiesta per motivi giustificati – articolo 26, paragrafo 3, in combinato disposto con il paragrafo 4, della [LPRL], che traspone l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva [92/85]». 29. Hanno depositato osservazioni scritte la sig.ra Otero Ramos, l’INSS, il governo spagnolo e la Commissione europea. All’udienza del 19 ottobre 2016 le stesse parti, ad eccezione della sig.ra Otero Ramos, hanno presentato osservazioni orali. Analisi Osservazioni preliminari 30. Lo scopo della direttiva 92/85, che è stata adottata sulla base dell’articolo 118 A del Trattato CEE (predecessore dell’articolo 153 TFUE), è promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (28). Tale direttiva costituisce una delle misure prese nel quadro della direttiva 89/391 (29). La direttiva 92/85 individua, tra l’altro, le madri in periodo di allattamento quale gruppo di lavoratrici a rischio particolarmente sensibili che devono essere protette contro i pericoli che le riguardano in maniera particolare e per le quali devono essere adottati


provvedimenti per quanto riguarda la protezione della loro salute e sicurezza (30). Tale protezione non deve svantaggiare le donne sul mercato del lavoro né pregiudicare le direttive in materia di uguaglianza di trattamento tra uomini e donne (31). La direttiva 2006/54 costituisce un esempio di quest’ultimo tipo di misura. 31. È pacifico che all’epoca dei fatti la sig.ra Otero Ramos rientrava nella definizione di lavoratrice in periodo di allattamento ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 92/85 e che, pertanto, il suo datore di lavoro era tenuto, in forza dell’articolo 4, paragrafo 1, di detta direttiva, ad effettuare una valutazione del rischio conformemente alle linee direttrici menzionate all’articolo 3, paragrafo 1, della medesima direttiva. 32. Le quattro questioni poste dal giudice del rinvio sono tutte collegate tra loro nella misura in cui si fondano sul presupposto che da una valutazione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85, se svolta correttamente e sulla base di tutte le prove pertinenti, potrebbero emergere rischi per la salute o la sicurezza della sig.ra Otero Ramos o potenziali ripercussioni sulla sua condizione di madre in periodo di allattamento. Da tale presupposto discende che ricorrerebbero i requisiti per l’adozione di ulteriori provvedimenti di cui all’articolo 5 della direttiva 92/85. Sulla prima questione Osservazioni generali 33. Con la prima questione, il giudice del rinvio intende accertare se la situazione sulla quale è chiamato a pronunciarsi rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/54. In particolare, esso si chiede se l’onere della prova sia a carico della sig.ra Otero Ramos o se tale onere subisca un’inversione e incomba agli appellati. 34. Nel procedimento di rinvio pregiudiziale, nell’ambito della cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte. Infatti, la Corte ha il compito di interpretare tutte le disposizioni del diritto dell’Unione che possano essere utili ai giudici nazionali al fine di dirimere la controversia per cui sono stati aditi, anche qualora tali disposizioni non siano espressamente indicate nelle questioni ad essa


sottoposte (32). Di conseguenza, benché la prima questione del giudice del rinvio si riferisca espressamente al solo articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 92/85, la Corte può nondimeno fornirgli tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione, comprese altre disposizioni di detta direttiva (nella fattispecie, segnatamente, l’articolo 4) che possono essere utili per definire la controversia di cui è investito, a prescindere dal fatto che il detto giudice vi abbia fatto riferimento o meno nel formulare le proprie questioni. A tale proposito, la Corte è tenuta a trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio gli elementi di detto diritto che richiedono un’interpretazione, tenuto conto dell’oggetto della controversia (33). 35. L’ordinanza di rinvio indica che l’INSS ha deciso di «non procedere al rilascio del certificato richiesto, in quanto la richiedente non [aveva] dimostrato che le condizioni del posto di lavoro in cui svolge[va] la sua attività professionale [potevano] influire negativamente sulla sua salute (o su quella del[la] figli[a]) (…)». Tuttavia, la prima questione si basa sul presupposto che sussistevano prove nel senso dell’esistenza di un rischio siffatto (34). 36. La direttiva 92/85 ha introdotto un requisito al fine di valutare e comunicare i rischi. Qualora i risultati della valutazione effettuata in conformità all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 rivelino rischi per la sicurezza e la salute nonché ripercussioni sulla gravidanza o l’allattamento di una lavoratrice, l’articolo 5, paragrafi 1 e 2, prevede che il datore di lavoro è tenuto a modificare temporaneamente le condizioni di lavoro e/o l’orario di lavoro (35). Se ciò si rivela impossibile nelle circostanze del caso, occorre procedere ad un cambiamento del posto di lavoro. È soltanto per l’ipotesi in cui anche siffatto cambiamento si riveli impossibile che l’articolo 5, paragrafo 3, di detta direttiva prevede che la lavoratrice interessata sia dispensata, in base alle norme e/o alle prassi nazionali, dal lavoro per tutto il periodo necessario per la tutela della sua salute o della sua integrità (36). 37. Tuttavia, se dalla valutazione effettuata ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 non rivela la sussistenza di rischi, da tale disposizione, in combinato disposto con l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 92/85, discende che il datore di lavoro non è tenuto a prendere ulteriori provvedimenti. Dall’ordinanza di rinvio risulta che, precisamente perché la valutazione dei rischi effettuata dall’ospedale a norma dell’articolo 4 concludeva che non sussistevano rischi per la sig.ra Otero Ramos, non veniva ancora a configurarsi il


requisito previsto dall’articolo 5 per avviare la valutazione se occorresse modificare le sue condizioni di lavoro, procedere a un cambiamento del suo posto di lavoro o dispensarla dal lavoro. 38. È del pari evidente che la sig.ra Otero Ramos contesta la valutazione dell’ospedale e la decisione dell’INSS che ha respinto la domanda di prestazione economica da lei presentata. Ella sostiene che dall’esposizione dei fatti contenuta nell’ordinanza di rinvio risulta chiaramente che le sue mansioni di infermiera presso il pronto soccorso dell’ospedale la ponevano effettivamente in una situazione di rischio e che sarebbe stato impossibile conciliare l’allattamento al seno della figlia con le esigenze della sua attività professionale. 39. La prima fase della procedura prevista dalla direttiva 92/85 consiste nell’accertare, in conformità con l’articolo 4, se sussista un rischio per la salute o la sicurezza della lavoratrice ai sensi dell’articolo 2. L’accertare se la valutazione della situazione della sig.ra Otero Ramos fosse corretta comporterà l’esame di questioni di fatto che rientrano nella competenza del giudice a quo. Tuttavia, stabilire la corretta interpretazione delle prescrizioni dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 spetta alla Corte di giustizia. 40. Pertanto, la prima questione pregiudiziale deve essere intesa nel senso che è diretta ad ottenere chiarimenti: i) sull’interpretazione dell’articolo 4 della direttiva 92/85, ii) (laddove un provvedimento fondato su detta disposizione è contestato dalla lavoratrice interessata) sul punto se l’onere della prova sia a carico della ricorrente o del convenuto ai fini dell’articolo 19 della direttiva 2006/54 e iii) (laddove siffatto ricorso venga accolto e sia accertata l’esistenza di un rischio per la lavoratrice interessata) sul punto se il datore di lavoro sia allora tenuto a determinare le necessarie misure da adottare conformemente all’articolo 5 della direttiva 92/85. La direttiva 92/85 41. È pacifico tra le parti che occorre accertare se la decisione dell’INSS, secondo cui non sussistevano rischi per la sig.ra Otero Ramos, fosse fondata su una valutazione corretta della sua situazione. 42. Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85, il datore di lavoro è tenuto a valutare «la natura, il grado e la durata dell’esposizione (…) delle lavoratrici di cui all’articolo 2» in relazione a «tutte le attività che possono presentare un rischio particolare di esposizioni ad agenti, processi o condizioni


di lavoro» elencati in modo non esauriente nell’allegato I. Tale valutazione viene effettuata al fine di «valutare tutti i rischi per la sicurezza o la salute nonché tutte le ripercussioni sulla gravidanza o l’allattamento (…)» e di «definire le misure da adottare» (37). 43. la suesposta formulazione deve essere letta congiuntamene alle linee direttrici menzionate nell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 92/85, il cui articolo 3, paragrafo 2, enuncia che dette linee direttrici devono «servire come base per la valutazione prevista all’articolo 4, paragrafo 1». Tali linee direttrici indicano molto chiaramente che una valutazione sommaria e generica del luogo di lavoro, delle condizioni in cui vengono svolte determinate mansioni e dello stato di salute della lavoratrice media gestante, puerpera o che intenda allattare al seno non è idonea a soddisfare i requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1. 44. Così, le linee direttrici pongono in rilievo che «[a]lcuni fattori di rischio presenti sul posto di lavoro possono influire sulla salute e la sicurezza delle nuove madri e di quelle che stanno per diventarlo come anche dei loro bambini» e indicano che la valutazione qualitativa e quantitativa del rischio «rappresenta la fase più delicata del processo in quanto la persona che esegue la valutazione deve essere competente e tener conto di informazioni pertinenti, comprese le informazioni fornite dalla stessa lavoratrice gestante o dal suo medico, applicando metodi appropriati al fine di stabilire se il pericolo identificato comporti o meno una situazione di rischio per le lavoratrici» (38). La valutazione del rischio «deve tener conto degli aspetti preventivi della direttiva [89/391]» (39). La valutazione del rischio «è di natura particolare in quanto deve tener conto di uno stato permanentemente mutevole legato alla situazione individuale di ciascuna lavoratrice. Inoltre, essa non riguarda soltanto la lavoratrice, ma anche il nascituro e il neonato in allattamento (…). Una valutazione una tantum può non essere sufficiente in quanto la gestazione è un processo dinamico e non una condizione statica. Inoltre, non solo durante le varie fasi della gravidanza, ma anche dopo il parto, diversi rischi possono interessare, in varia misura, una donna e il nascituro o il neonato (…). Le consulenze mediche, i rapporti medici e i certificati dovrebbero tener conto delle condizioni di lavoro. Ciò è particolarmente importante in relazione a determinate condizioni personali (…). La valutazione del rischio dovrebbe tenere debito conto del parere del medico e delle preoccupazioni delle singole donne» (40). Le linee direttrici sottolineano che i datori di lavoro devono rivedere periodicamente i rischi e segnalano che «[i] rischi da tener presente


sono inoltre diversi [dai rischi durante la gestazione] per le lavoratrici puerpere o per quelle che allattano. I datori di lavoro devono assicurare che le lavoratrici in periodo di allattamento non siano esposte a rischi per la salute e la sicurezza durante tutto tale periodo» (41). 45. Le linee direttrici contengono inoltre due tabelle dettagliate. La prima è intitolata «Valutazione dei pericoli generici e situazioni correlate» cui «si possono trovare esposte le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento» (42). La seconda è intitolata «Pericoli specifici, valutazione del rischio (e modalità per evitare i rischi)». L’introduzione di detta tabella indica che, «[p]oiché la gravidanza è una condizione dinamica che comporta continui cambiamenti e sviluppi, anche le condizioni di lavoro possono sollevare diversi problemi sul piano della salute e della sicurezza per diverse donne in diverse fasi della gravidanza come anche al momento di riprendere il lavoro dopo il parto o durante l’allattamento. Alcuni di questi problemi sono prevedibili e hanno carattere generale (…). Altri sono legati alle circostanze individuali e all’anamnesi individuale». Nella tabella sono poi esaminati in ordine successivo gli agenti fisici, biologici (43) e chimici nonché le condizioni di lavoro (44). 46. L’ordinanza di rinvio fa presente che le mansioni della sig.ra Otero Ramos erano considerate «esenti da rischi» e che ella era definita «idonea» al lavoro. Mi sembra che ciò lasci presumere che l’approccio del suo datore di lavoro potrebbe non avere tenuto pienamente conto delle circostanze individuali dell’interessata. In primo luogo, non è chiaro se la qualificazione come «esenti da rischi» delle sue mansioni di infermiera del pronto soccorso indicasse che tali mansioni erano esenti da rischi per le lavoratrici gestanti o puerpere, o che fosse stato tenuto specificamente conto della situazione delle madri in periodo di allattamento (45). In secondo luogo, nulla consente di appurare se siano stati valutati i rischi ai quali la sig.ra Otero Ramos avrebbe potuto essere esposta durante l’espletamento delle sue mansioni nella propria condizione di madre in periodo di allattamento, quali le potenziali ripercussioni sull’allattamento, o la possibilità che insorgessero mastiti o infezioni. In terzo luogo, non vi sono informazioni che indichino se sia stato valutato il rischio di esposizione dell’interessata agli agenti fisici, biologici e chimici elencati nell’allegato I della direttiva 92/85. 47. In quarto luogo, la valutazione effettuata dall’ospedale è costituita in effetti da una dichiarazione secondo cui la sig.ra Otero Ramos era «idonea» alla svolgimento delle sue mansioni nel luogo di lavoro, poiché non vi erano rischi


per l’allattamento al seno. Rammento, tuttavia, che la valutazione è una misura preventiva, il cui scopo è proteggere le madri in periodo di allattamento (46), e che la relazione del superiore diretto fornisce un quadro piuttosto diverso delle mansioni di un’infermiera del pronto soccorso (indicando, ad esempio, che i lavoratori possono venire a contatto con pazienti affetti da epatite) (47). 48. Spetta al giudice del rinvio, quale unico organo competente a giudicare i fatti, verificare se la valutazione dell’ospedale fosse conforme all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85. Qualora esso concluda in senso negativo, il passo successivo è esaminare se la domanda della sig.ra Otero Ramos rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/54 e, in caso affermativo, se sia applicabile l’articolo 19 di tale direttiva. Inoltre, nell’ordinanza di rinvio è implicitamente sotteso che il giudice del rinvio desidera accertare altresì se la sig.ra Otero Ramos avrebbe potuto essere tutelata con misure adottate ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 92/85. Direttiva 2006/54 49. L’INSS e la Spagna affermano che il caso in esame non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/54. La sig.ra Otero Ramos e la Commissione sostengono il contrario. 50. Neppure io condivido l’interpretazione restrittiva della direttiva 2006/54 suggerita dall’INSS e dal governo spagnolo. 51. Lo scopo della direttiva 2006/54, secondo il suo articolo 1, è assicurare l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. 52. È vero che le lavoratrici che fruiscono del congedo di maternità ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 92/85 «si trovano in una situazione specifica, la quale richiede che venga loro concessa una tutela speciale, ma che non può essere assimilata a quella di un lavoratore, né a quella della lavoratrice effettivamente presente sul posto di lavoro» (48). Tuttavia, non ne consegue, come sembrano suggerire l’INSS e la Spagna, che tutti i lavoratori ricompresi nell’ambito di applicazione dell’articolo 2 della direttiva 92/85 esulino da quello della direttiva 2006/54. 53. Le nozioni di discriminazione diretta e indiretta sono definite, rispettivamente, all’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva


2006/54. L’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), prevede che la discriminazione fondata sul sesso comprende «qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della [direttiva 92/85]». 54. L’articolo 2, lettera c), della direttiva 92/85 definisce la lavoratrice in periodo di allattamento mediante rinvio alle legislazioni e/o prassi nazionali. Il giudice del rinvio afferma che, ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 1, della LPRL, «[l]a valutazione dei rischi (…) dovrà includere la determinazione della natura, del grado e della durata dell’esposizione delle lavoratrici gestanti o puerpere ad agenti, procedure o condizioni di lavoro che possano influire negativamente sulla salute della lavoratrice (…) in qualsiasi attività tale da presentare un rischio specifico». In virtù dell’articolo 26, paragrafo 4, della LPRL, la suddetta disposizione si applica del pari ad una lavoratrice «(…) nel corso del periodo dell’allattamento al seno, qualora le condizioni di lavoro possano influire negativamente sulla salute della madre o del bambino e tale situazione venga confermata (…)» dalle autorità competenti. Gli elementi a disposizione della Corte non forniscono ulteriori indicazioni su come il «periodo dell’allattamento al seno» (come tale) sia definito dalla legislazione e/o prassi nazionale. 55. La Corte ha ripetutamente dichiarato che, «[p]er quel che riguarda (…) la protezione della gravidanza e della maternità, (…) riservando agli Stati membri il diritto di mantenere in vigore o di istituire norme destinate ad assicurare tale protezione, [la direttiva in questione] riconosce la legittimità, in relazione al principio della parità di trattamento tra i sessi, in primo luogo, della protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza, e, in secondo luogo, della protezione delle particolari relazioni tra la donna e il bambino, durante il periodo successivo al parto» (49). 56. Mi sembra che, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello dei fatti (50), la condizione di una madre in periodo di allattamento sia collegata alla gravidanza e alla maternità. Dall’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 92/85 risulta chiaramente che qualsiasi lavoratrice di cui all’articolo 2 deve essere dispensata dal lavoro qualora non sia possibile o ragionevole assegnarla ad altre mansioni. Ne consegue che la condizione di una madre in periodo di allattamento è coperta dai termini «collegate alla gravidanza o al congedo per maternità» di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/54 (51).


57. L’espressione «trattamento meno favorevole» comprende la mancata corretta applicazione dei requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 a una lavoratrice in periodo di allattamento. Quando ricorra siffatta ipotesi, l’interessata viene privata della protezione di cui dovrebbe beneficiare in forza di detta disposizione ed è esposta a rischi. Ciò vale in particolare poiché il datore di lavoro non procederà, in siffatte circostanze, ad adottare le necessarie misure di prevenzione ai sensi dell’articolo 5 della direttiva in parola per proteggere la sicurezza e la salute della lavoratrice. Un simile trattamento sfavorevole costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso. 58. Aggiungo che l’articolo 28 (così come il considerando 24) della direttiva 2006/54 enuncia che le disposizioni della stessa «non pregiudica[no]» le norme relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità. Il significato corrente di tali parole suggerisce che la direttiva 92/85 coesiste con le misure previste dalla direttiva 2006/54 ai fini dell’attuazione del principio della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. Pertanto, i diritti relativi alla sicurezza e alla salute conferiti dalla direttiva 92/85 non vengono ridotti né tanto meno esclusi dalla direttiva 2006/54. 59. Nel caso di specie sussistono i requisiti per l’applicazione dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54? 60.

A mio parere, sì.

61. Manifestamente, la sig.ra Otero Ramos si considera lesa una persona ai sensi di detta disposizione. Ella lamenta una discriminazione fondata sul sesso in quanto, secondo quanto da lei affermato, il suo datore di lavoro sarebbe venuto meno agli obblighi che gli incombono in forza della direttiva 92/85. L’articolo 19, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2006/54 stabilisce espressamente che in tal caso si applicano le disposizioni concernenti l’inversione dell’onere della prova di cui all’articolo 19, paragrafo 1. 62. La mancanza di una valutazione effettuata conformemente ai requisiti dell’articolo 4, paragrafo 1, dell’allegato I e alle linee direttrici prescritte dall’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 92/85 costituisce un trattamento meno favorevole di una lavoratrice in periodo di allattamento (52). Tale trattamento ricade nella definizione di discriminazione di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/54, è coperto dal rinvio alla direttiva 92/85


contenuto nell’articolo 19, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2006/54 e costituisce una discriminazione fondata sul sesso ai sensi di detta disposizione. Ne consegue che l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 si applica ai relativi ricorsi. 63. Nel momento in cui una lavoratrice richiede un certificato e il suo datore di lavoro effettua una valutazione del rischio a norma dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 (prima fase della procedura per la concessione di tutela ai sensi della citata direttiva), le disposizioni di cui all’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 non sono ancora applicabili. Ciò si verifica poiché la procedura in parola, in quanto tale, è di competenza del datore di lavoro. Tuttavia, dette disposizioni divengono applicabili nel momento in cui una successiva decisione venga contestata dinanzi a un organo giurisdizionale o altra autorità competente. 64. È quindi onere dell’interessata – nel caso di specie, la sig.ra Otero Ramos – dimostrare prima facie che si è verificata una discriminazione (53). Nel procedimento principale, la ricorrente dovrebbe fornire elementi di prova (come quella costituita dalla lettera del suo superiore diretto) (54) plausibilmente idonei ad indicare che l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 è stato interpretato erroneamente e/o applicato in modo non corretto. L’onere della prova passa in tal caso al convenuto nel procedimento nazionale. 65. Lo scopo delle norme in materia di onere della prova è garantire che il principio della parità di trattamento possa essere applicato efficacemente (55). Come la Corte ha già rilevato, lo scopo perseguito dalle norme del diritto dell’Unione sul principio di parità tra i sessi nel settore dei diritti delle donne gestanti o puerpere è quello di tutelare le lavoratrici prima e dopo il parto (56). Tale obiettivo, che informa tanto la direttiva 92/85 quanto la direttiva 2006/54, non potrebbe essere raggiunto qualora la lavoratrice interessata, per contestare le decisioni che negano la protezione, fosse tenuta a dimostrare la sua esposizione al rischio. 66. Nella circostanza in cui un datore di lavoro compia una valutazione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 e giunga alla conclusione che una lavoratrice non è esposta a rischi, mi sembra che non si possa richiedere alla lavoratrice interessata di effettuare una propria valutazione dettagliata del rischio per confutare conclusivamente la valutazione del suo datore di lavoro. É poco probabile che l’interessata abbia la possibilità di rivolgersi, come sarebbe


necessario, a specialisti in medicina del lavoro affinché valutino le sue mansioni, le sue condizioni di lavoro e i rischi ai quali ella e/o il suo bambino possono essere esposti, o che disponga dei mezzi occorrenti per finanziare tale valutazione. Un approccio siffatto pregiudicherebbe la protezione conferitale dalla direttiva 92/85. A mio parere, l’articolo 19 della direttiva 2006/54 è inteso ad affrontare precisamente tale situazione. 67. Questa tesi trova sostegno, inoltre, nel principio di parità tra uomini e donne sancito dall’articolo 23 della Carta, ai sensi del quale detta parità è assicurata «in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione». I termini «in tutti i campi» depongono a favore di un’interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 che garantisca l’effettiva applicazione dei diritti delle lavoratrici tutelate dalla direttiva 2006/54. 68. Il giudice del rinvio chiede se la circostanza che, ai sensi della legge spagnola, la prestazione economica erogata in applicazione dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 92/85 a una madre in periodo di allattamento dispensata dal lavoro sia qualificata come prestazione previdenziale significhi che tale dispositivo non possa ricadere nell’ambito del divieto di discriminazione di cui all’articolo 14 della direttiva 2006/54. Detto giudice osserva che, se il periodo di congedo fosse finanziato dal datore di lavoro della lavoratrice, sarebbe coperto dal divieto menzionato. 69. A mio avviso, la qualificazione della prestazione concessa ai sensi dei sistemi nazionali non incide sull’applicabilità delle disposizioni dell’articolo 19 della direttiva 2006/54 relative all’onere della prova. Se si dovesse operare una distinzione basata sulla circostanza che il congedo sia finanziato dal datore di lavoro oppure da un regime previdenziale pubblico, la portata della direttiva 2006/54 varierebbe in funzione dei dispositivi adottati nei vari Stati membri (57). Tale risultato sarebbe incompatibile con l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione e andrebbe quindi respinto (58). Spetta al giudice del rinvio, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, valutare i fatti e applicare le pertinenti disposizioni della direttiva 2006/54 (59). 70. Pertanto, ritengo che si debba rispondere alla prima questione dichiarando che quando viene effettuata una valutazione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 la stessa deve comprendere un esame della situazione individuale della lavoratrice in periodo di allattamento, volto ad


accertare se per la sua sicurezza e la sua salute o la sicurezza e la salute del figlio sussistano rischi, in conformità a detta disposizione, all’allegato I e alle linee direttrici menzionate all’articolo 3, paragrafo 1, di detta direttiva. La mancanza del corretto espletamento della valutazione in parola costituisce un trattamento meno favorevole della lavoratrice interessata e una discriminazione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/54. Siffatto trattamento integra una discriminazione fondata sul sesso a norma dell’articolo 19, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2006/54 e rientra pertanto nell’ambito di applicazione delle disposizioni dell’articolo 19, paragrafo 1, della medesima direttiva, che pongono l’onere della prova a carico del convenuto. Spetta al giudice del rinvio accertare se i fatti della controversia di cui è investito dimostrino la sussistenza di un trattamento discriminatorio. Nella misura in cui detto giudice è chiamato a stabilire, nel contesto del procedimento nazionale, se avrebbero dovuto essere adottati ulteriori provvedimenti in applicazione dell’articolo 5 della direttiva 92/85 per tutelare la sicurezza e la salute della lavoratrice interessata, le disposizioni dell’articolo 19 della direttiva 2006/54 si applicano a detta valutazione. Seconda, terza e quarta questione Ricevibilità 71. Le questioni dalla seconda alla quarta si basano sul presupposto che la prima venga risolta in senso affermativo. Il giudice del rinvio intende accertare, in sostanza, come si applichino le norme relative all’inversione dell’onere della prova in casi del genere. 72. La Spagna sostiene che la seconda, la terza e la quarta questione sono irricevibili, giacché il giudice del rinvio in realtà chiederebbe chiarimenti su come analizzare i fatti nel caso della sig.ra Otero Ramos. 73.

Non sono d’accordo.

74. Certamente, spetta al giudice nazionale, e non alla Corte, stabilire se nelle circostanze del caso della sig.ra Otero Ramos sia ravvisabile una discriminazione ai sensi della direttiva 2006/54. Tuttavia, con le questioni dalla seconda alla quarta il giudice del rinvio non chiede alla Corte di compiere tale accertamento. Semmai, esso chiede chiarimenti in ordine all’interpretazione dell’articolo 19 di detta direttiva per poter applicare correttamente le pertinenti norme nazionali alle prove che gli sono state sottoposte.


75.

Pertanto, la seconda, la terza e la quarta questione sono ricevibili.

Seconda questione 76. Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede se la relazione del superiore diretto (responsabile del pronto soccorso dell’ospedale) della sig.ra Otero Ramos, da questa prodotta a sostegno della sua domanda, sia sufficiente per presumere la sussistenza di una discriminazione (60). 77. L’INSS e la Spagna sostengono che la relazione del superiore diretto sarebbe scarsamente rilevante. In primo luogo, essi osservano che un superiore diretto tende automaticamente ad esprimersi in favore di una lavoratrice che abbia chiesto la prestazione controversa. In secondo luogo, essi sottolineano che la relazione non è stata redatta da uno specialista in medicina del lavoro. 78.

Nessuno di questi argomenti mi sembra convincente.

79. Spetta al giudice investito della controversia stabilire quale rilevanza e peso occorra attribuire alla relazione del superiore diretto. Tuttavia, la questione se un superiore abbia una posizione preconcetta a favore (o contro) un determinato lavoratore può essere risolta solo se sono state prodotte prove pertinenti in tal senso. La sussistenza di una posizione preconcetta non può essere desunta dallo status del superiore e dall’esistenza di un rapporto di lavoro gerarchico con l’interessata. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, sebbene il superiore diretto non sia uno specialista di medicina del lavoro, tuttavia la relazione è stata scritta da un medico che ha conoscenza diretta della situazione individuale della ricorrente e del suo lavoro. Il superiore diretto può fornire prove pertinenti riguardo alle mansioni della ricorrente nonché ai pericoli generali e specifici ai quali ella potrebbe essere esposta. 80. Il giudice del rinvio dovrebbe esaminare detta relazione alla luce delle linee direttrici menzionate all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 92/85. I rischi biologici e fisici descritti nella relazione del superiore diretto trovano riscontro in tali linee direttrici (61). Sebbene spetti in definitiva al giudice nazionale accertare l’effettivo valore probatorio della relazione del superiore diretto in conformità con le norme di procedura nazionali, un documento di questa natura non può essere ignorato in base alla presunzione che il suo contenuto sia viziato da posizioni preconcette e dalla mancanza di competenze specialistiche.


81. Pertanto, per stabilire se i requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 siano stati soddisfatti nel caso di specie, il giudice del rinvio dovrebbe esaminare la relazione del superiore diretto relativa alle mansioni della lavoratrice interessata. Spetta a detto giudice accertare se tale relazione fornisca informazioni sulle circostanze specifiche attinenti alla lavoratrice di cui occorra debba tenere conto ai fini della propria valutazione. Terza questione 82. La terza questione è diretta ad accertare se una dichiarazione del datore di lavoro secondo cui determinate mansioni sono considerate «esenti da rischi», unitamente a una dichiarazione secondo la quale la lavoratrice interessata è «idonea» al lavoro, dimostrino, senza ammettere prova contraria, l’insussistenza di una violazione del principio della parità di trattamento ai sensi dell’articolo 19 della direttiva 2006/54. 83. Nell’ordinanza di rinvio, il giudice nazionale afferma che da talune pronunce dei giudici spagnoli emerge che «(…) si va progressivamente affermando un criterio restrittivo quanto alla valutazione della prova dell’esistenza di un rischio rilevante ai fini della concessione della prestazione». 84. Se tale approccio comporti effettivamente che in casi del genere si applica una presunzione assoluta che (di fatto) non ammette prova contraria, è una questione di diritto nazionale il cui esame spetta al giudice del rinvio. 85. Qualora detta ipotesi ricorresse, a mio avviso tale risultato sarebbe incompatibile con l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 (62). In primo luogo, sarebbe in contrasto con l’obiettivo di garantire che il principio della parità di trattamento può essere attuato efficacemente. In secondo luogo, sarebbe in contrasto con l’articolo 23 della Carta, in quanto non tutelerebbe un gruppo particolarmente vulnerabile di donne – quelle che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 92/85 – da un trattamento sfavorevole per motivi di sesso. In terzo luogo, è difficile immaginare come un simile approccio possa costituire un modo proporzionato di valutare le prove in situazioni del genere. In quarto luogo, le norme nazionali che rendono eccessivamente difficile contestare dette decisioni per una persona che si ritenga lesa dalla mancata applicazione del principio della parità di trattamento possono compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2006/54 (63). Una presunzione assoluta a favore del convenuto costituirebbe precisamente una norma siffatta.


86. Pertanto, concludo che, quando disposizioni di diritto nazionale rendano eccessivamente difficile, per una persona che si ritenga lesa da una violazione del principio della parità di trattamento, contestare tale situazione, dette disposizioni sono incompatibili con l’articolo 19 della direttiva 2006/54. Spetta al giudice nazionale accertare se ciò si verifichi nel caso di specie. Quarta questione 87. La quarta questione si basa sul presupposto che una valutazione corretta ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 avrebbe potuto far emergere un rischio per la madre in periodo di allattamento e che pertanto occorre esaminare quali provvedimenti avrebbero dovuto essere adottati per proteggere la sua sicurezza e salute conformemente all’articolo 5 della direttiva stessa. 88. Il presupposto in parola non si evince dalla descrizione dei fatti fornita dal giudice nazionale nell’ordinanza di rinvio. Tuttavia, detto giudice non ha indicato che tale questione esuli dall’ambito del procedimento principale (64). Pertanto, propongo di rispondere alla quarta questione al fine di fornire al giudice del rinvio tutti gli elementi necessari per dirimere la controversia di cui è investito. 89. Nella misura in cui il giudice a quo concluda che la sig.ra Otero Ramos era esposta a rischi, e nel contesto del procedimento nazionale si rende necessario stabilire quali ulteriori provvedimenti avrebbero dovuto essere adottati ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 92/85, l’onere della prova sarà a carico del convenuto. La sig.ra Otero Ramos continuerebbe ad essere la persona «lesa» ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, giacché è stato ritenuto che ella non avesse diritto al congedo e alla prestazione erogata alle lavoratrici in periodo di allattamento durante la loro assenza dal lavoro. 90. Qualora i risultati della valutazione dei rischi effettuata ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 92/85 «rivelino un rischio per la sicurezza o la salute di una lavoratrice, nonché una ripercussione sulla gravidanza o sull’allattamento, l’[articolo] 5, [paragrafi] 1 e 2 di tale direttiva prevede che il datore di lavoro è tenuto a procedere a una modifica temporanea delle sue condizioni di lavoro e/o del suo orario di lavoro o, se ciò non è tecnicamente o oggettivamente possibile o non può essere ragionevolmente richiesto per motivi debitamente giustificati, a un mutamento di posto di lavoro. Solo per l’ipotesi in


cui anche tale mutamento si riveli impossibile l’[articolo 5], [paragrafo] 3, della suddetta direttiva prevede che la lavoratrice in questione sia dispensata dal lavoro durante tutto il periodo necessario per la protezione della sua salute o della sua integrità, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali» (65). 91. Nella misura in cui la valutazione della necessità di ulteriori provvedimenti ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 92/85 rientra nell’oggetto del procedimento principale, l’onere della prova permane a carico del convenuto, conformemente all’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54. Conclusione 92. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, ritengo che la Corte dovrebbe rispondere come segue alle questioni pregiudiziali poste dal Tribunal Superior de Justicia de Galicia (Corte superiore di giustizia della Galizia, Spagna): 1)

Ai fini dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, laddove si effettui una valutazione deve svolgersi un esame della situazione individuale della lavoratrice in periodo di allattamento, finalizzato ad accertare se per la sua sicurezza e la sua salute o la sicurezza e la salute del figlio sussistano rischi, in conformità a detta disposizione, all’allegato I e alle linee direttrici menzionate all’articolo 3, paragrafo 1, di detta direttiva. La mancanza del corretto espletamento della valutazione costituisce un trattamento meno favorevole della lavoratrice interessata e una discriminazione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. Siffatto trattamento integra una discriminazione fondata sul sesso a norma dell’articolo 19, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2006/54 e rientra pertanto nell’ambito di applicazione delle disposizioni dell’articolo 19, paragrafo 1, della medesima direttiva, che pongono l’onere della prova a carico del convenuto.


Spetta al giudice del rinvio accertare se i fatti della controversia di cui è investito dimostrino la sussistenza di un trattamento discriminatorio.

Nella misura in cui detto giudice è chiamato a stabilire, nel contesto del procedimento nazionale, se avrebbero dovuto essere adottati ulteriori provvedimenti (e, in tal caso, quali) in applicazione dell’articolo 5 della direttiva 92/85 per tutelare la sicurezza e la salute della lavoratrice interessata, le disposizioni dell’articolo 19 della direttiva 2006/54 si applicano a detta valutazione.

2)

Per accertare se i requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, siano soddisfatti nel caso di specie, il giudice del rinvio dovrebbe esaminare la relazione del superiore diretto concernente le mansioni della lavoratrice interessata. Spetta a detto giudice stabilire se tale relazione fornisca informazioni sulle circostanze specifiche attinenti alla lavoratrice di cui occorra tenere conto ai fini della propria valutazione.

3)

Qualora le disposizioni di diritto nazionale rendano eccessivamente difficile, per una persona che si ritenga lesa da una violazione del principio della parità di trattamento, contestare tale situazione, dette disposizioni sono incompatibili con l’articolo 19 della direttiva 2006/54. Spetta al giudice nazionale accertare se ciò si verifichi nel caso di specie.

4)

Nella misura in cui la valutazione della necessità di ulteriori provvedimenti ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 92/85 rientra nell’oggetto del procedimento principale, l’onere della prova permane a carico del convenuto, conformemente all’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54.

1–

Lingua originale: l’inglese.

2– Direttiva del Parlamento e del Consiglio del 5 luglio 2006 (GU 2006, L 204, pag. 23). 3– Direttiva del Consiglio del 19 ottobre 1992 (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/931/CEE) (GU 1992, L 348, pag. 1).


4–

GU 2010, C 83, pag. 389 (in prosieguo: la «Carta»).

5–

Direttiva del Consiglio del 12 giugno 1989 (GU 1989, L 183, pag. 1).

6–

Articolo 3, lettera d).

7–

Articolo 15.

8–

Articolo 16, paragrafo 1.

9–

V. primo considerando.

10 –

V. settimo e ottavo considerando.

11 –

V. nono considerando.

12 –

V. decimo considerando.

13 –

V. decimo e undicesimo considerando.

14 –

V. dodicesimo considerando.

15 – Nelle presenti conclusioni utilizzerò anche l’espressione «madre in periodo di allattamento». 16 – V. comunicazione della Commissione sulle linee direttrici per la valutazione degli agenti chimici, fisici e biologici, nonché dei processi industriali ritenuti pericolosi per la sicurezza o la salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento [COM(2000) 466 definitivo/2 (in prosieguo: le «linee direttrici»)].


17 – L’elenco include gli agenti fisici, biologici e chimici. Una descrizione dettagliata di tali agenti è esposta nella tabella che contiene parte delle linee direttrici menzionate all’articolo 3, paragrafo 1. In alcuni casi, gli agenti elencati formano oggetto di una normativa specifica dell’Unione europea. Ad esempio, gli agenti biologici di cui all’allegato I, parte A, punto 2, della direttiva 92/85 sono elencati nella direttiva 2000/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 settembre 2000, relativa alla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti biologici durante il lavoro (settima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) (GU 2000, L 262, pag. 21). A norma di detta direttiva, gli agenti biologici sono classificati in quattro gruppi, a seconda del livello di rischio di infezione. Il gruppo 1 denota il rischio minore (poche probabilità di causare malattie in soggetti umani), mentre il gruppo 4 implica il rischio massimo (può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori) (v. articolo 2 della direttiva 2000/54). 18 – Direttiva del 15 dicembre 1997 riguardante l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso (GU 1998, L 14, pag. 6). La direttiva 2006/54 ha abrogato e sostituito varie direttive concernenti l’attuazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne, compresa la direttiva 97/80. 19 –

V. considerando 1.

20 –

V. considerando 23.

21 –

V. considerando 24.

22 –

V. considerando 25.

23 –

V. considerando 30.

24 –

V. supra, paragrafi da 18 a 22.


25 – Farò riferimento alla dichiarazione del direttore delle risorse umane dell’ospedale, unitamente alla relazione del medico di medicina preventiva, come alla «valutazione dell’ospedale». 26 –

Farò riferimento a tale periodo di due giorni come all’«epoca dei fatti».

27 – Mentre nell’ordinanza di rinvio si fa riferimento al Juzgado No 2 di Santiago de Compostela, la parte introduttiva della stessa ordinanza indica che il ricorso di appello dinanzi al giudice del rinvio è stato proposto avverso la sentenza del giudice di La Coruña. Dal fascicolo di causa nazionale fornito alla Corte con l’ordinanza di rinvio risulta che quest’ultima è l’indicazione corretta. 28 – V. primo considerando e articolo 1 della direttiva 92/85, nonché sentenza del 18 marzo 2014, D. (C-167/12, EU:C:2014:169, punti 29 e 30 e giurisprudenza ivi citata). 29 –

V. supra, paragrafo 3.

30 –

V. settimo e ottavo considerando della direttiva 92/85.

31 –

V. nono considerando della direttiva 92/85.

32 – V., ad esempio, sentenze del 13 febbraio 2014, TSN e YTN (C-512/11 e C-513/11, EU:C:2014:73, punto 32 e giurisprudenza ivi citata), e dell’11 settembre 2014, B. (C-394/13, EU:C:2014:2199, punto 21 e giurisprudenza ivi citata). 33 – V., ad esempio, sentenze del 13 febbraio 2014, TSN e YTN (C-512/11 e C-513/11, EU:C:2014:73, punto 33 e giurisprudenza ivi citata), e del 19 settembre 2013, Betriu Montull (C-5/12, EU:C:2013:571, punti 40 e 41). 34 – Sulla valutazione dell’ospedale v. supra, paragrafi 25 e 26; sugli altri elementi di prova che sembrano contraddire tale valutazione, v. supra, paragrafo 27.


35 – V. undicesimo considerando della direttiva 92/85 e sentenza del 1° luglio 2010, Parviainen (C-471/08, EU:C:2010:391, punto 31 e giurisprudenza ivi citata). 36 – Sentenza del 1° luglio 2010, Parviainen (C-471/08, EU:C:2010:391, punti 31 e 32 e giurisprudenza ivi citata). 37 – V. articolo 4, paragrafo 1, primo e secondo trattino, della direttiva 92/85: v. altresì undicesimo considerando della medesima direttiva. 38 –

V. pag. 6 delle linee direttrici.

39 – V. pag. 8 delle linee direttrici. Queste ultime richiamano un precedente documento della Commissione intitolato «Orientamenti sulla valutazione dei rischi sul lavoro» (ISBN 97-727-4278-9), che viene descritto come «base ideale per la preparazione delle linee guida di cui all’articolo 3, [paragrafo] 1, della direttiva [92/85]». 40 –

V. «Questioni specifiche degne di nota», pagg. 8 e 9 delle linee direttrici.

41 – V. pagina 12 delle linee direttrici, che a tale riguardo richiamano altresì la direttiva 89/654/CEE del Consiglio, del 30 novembre 1989, relativa alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute per i luoghi di lavoro (prima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) (GU 1989, L 393, pag. 1). 42 – La prima voce di tale tabella, che riguarda «[f]atica psicofisica e orari di lavoro», indica che «alcune donne gestanti o che allattano possono non essere in grado di effettuare turni irregolari o serali, lavoro notturno, straordinario» e individua rischi specifici derivanti dall’esecuzione di determinate mansioni per, tra l’altro, la capacità di allattare di una lavoratrice puerpera. 43 – La prima voce di tale sezione della tabella riguarda gli «[a]genti biologici dei gruppi di rischio 2, 3 e 4 [designati dalla direttiva 90/679/CEE del Consiglio, del 26


novembre 1990, relativa alla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti biologici durante il lavoro (settima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE)]» (GU 1990, L 374, pag. 1) e, in relazione ai bambini in allattamento, menziona i rischi, tra l’altro, di epatite e HIV. 44 – La prima voce di tale sezione della tabella riguarda la «[m]ovimentazione manuale di carichi in presenza di un rischio di lesioni» e individua possibili rischi, tra l’altro, per le lavoratrici puerpere o in periodo di allattamento. 45 – Nella valutazione del rischio, i datori di lavoro devono essere consapevoli del fatto che occorre distinguere tra i rischi per le lavoratrici gestanti, quelli per le lavoratrici puerpere e quelli per le lavoratrici in periodo di allattamento; v., ad esempio, linee direttrici, pag. 12. 46 –

V. undicesimo e dodicesimo considerando della direttiva 92/85.

47 – Nella direttiva 2000/54, i ceppi B e D del virus dell’epatite (e i ceppi ancora ignoti) sono classificati come «rischio del gruppo 3», vale a dire che l’agente può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori. 48 – Sentenza del 1° luglio 2010, Parviainen (C-471/08, EU:C:2010:391, punto 40 e giurisprudenza ivi citata). 49 – Sentenza del 30 settembre 2010, Roca Álvarez (C-104/09, EU:C:2010:561, punto 27 e giurisprudenza ivi citata). 50 –

Solo una puerpera produce il latte necessario per allattare al seno un neonato.

51 –

V. anche considerando 23 della direttiva 2006/54.

52 –

V. supra, paragrafo 57.


53 –

Sentenza del 21 luglio 2011, Kelly (C-104/10, EU:C:2011:506, punto 29).

54 –

V. supra, paragrafo 27.

55 –

Considerando 30 della direttiva 2006/54.

56 – 68).

Sentenza dell’11 novembre 2010, Danosa (C-232/09, EU:C:2010:674, punto

57 – Infatti, i dispositivi di attuazione dell’articolo 11 della direttiva 92/85 variano tra i diversi Stati membri. V. ad esempio, relazione della Commissione sull’applicazione della [direttiva 92/85] del 19 ottobre 1992 concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento COM(1999) 100 def., pagg. da 15 a 19. 58 –

V. anche considerando 25 della direttiva 2006/54.

59 – V., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2010, Danosa (C-232/09, EU:C:2010:674, punto 72). 60 –

V. supra, paragrafo 27.

61 – V. paragrafi da 43 a 47 delle presenti conclusioni, nonché la valutazione dei pericoli generici e delle situazioni correlate e la valutazione dei pericoli specifici esposte nelle tabelle allegate alle linee direttrici. 62 –

V. anche considerando 30 della direttiva 2006/54.

63 – V., ad esempio, sentenza del 21 luglio 2011, Kelly (C-104/10 EU:C:2011:506, punti da 30 a 35).


64 –

V. supra, paragrafi 25 e 26.

65 – Sentenza del 1° luglio 2010, Gassmayr (C-194/08, EU:C:2010:386, punti 35 e 36).


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