TRGA Trento 2021-mancata attivazione del Fondo di Previdenza complementare integrativa per il person

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TRGA Trento 2021-mancata

attivazione del Fondo di Previdenza complementare integrativa per il personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e dei Corpi di polizia ad ordinamento militare.

Pubblicato il 16/02/2021

N. 00018/2021 REG.PROV.COLL. N. 00170/2020 REG.RIC.

R E P U B B L I C A

I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento (Sezione Unica)

ha pronunciato la presente SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 170 del 2020, proposto da .......... .........., .......... .........., .......... .........., .......... .........., .......... .......... e .......... .........., rappresentati e difesi dall’avvocato .......... .........., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell’Interno e Ministero della Difesa, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Trento, largo Porta Nuova, 9; Istituto

Nazionale

della

Previdenza

Sociale,

rappresentato

e

difeso

dall’avvocato Carlo De Pompeis, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l’annullamento


del silenzio delle Amministrazioni intimate in merito alle diffide trasmesse in data 11.08.2020, circa il risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attivazione del Fondo di Previdenza complementare integrativa per il personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e dei Corpi di polizia ad ordinamento militare. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno, Ministero della Difesa nonché di Istituto Nazionale della Previdenza Sociale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l’articolo 31 e 117 c.p.a.; Visto l’articolo 35, comma 1, lett. b) c.p.a.; Visto il decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, recante “Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e modificato con decreto legge 31 dicembre 2020, n. 183, ed in particolare l’articolo 25 rubricato “Misure urgenti relative allo svolgimento del processo amministrativo”, il quale prevede che, dal 9 novembre 2020 al 30 aprile 2021, per le udienze pubbliche e le camere di consiglio dei procedimenti pendenti presso gli uffici della giustizia amministrativa si applicano le disposizioni dell’art. 4, comma 1, periodi quarto e seguenti, del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con modificazioni dalla l. 25 giugno 2020, n. 70; Visto il decreto n. 33 del 4 novembre 2020 del Presidente del T.R.G.A. di Trento; Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2021, svoltasi con le modalità da remoto previste dall’art. 4, comma 1, periodi quarto e seguenti, del d.l. n. 28 del 2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 70 del 2020, il


consigliere Cecilia Ambrosi e uditi: per la ricorrente, l’avvocato .......... .......... e, per INPS, l’avvocato Carlo De Pompeis, noti all’ufficio e presenti con collegamento da remoto in videoconferenza per discutere la causa, mentre l’Avvocatura dello Stato non è comparsa, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La legge 8 agosto 1995, n. 335 (la c.d. “Riforma Dini”), ha sancito il passaggio da un sistema pensionistico basato sul “metodo retributivo” a un sistema fondato sui contributi effettivamente versati da ogni singolo lavoratore, (c.d. “metodo contributivo”). In tale contesto è stata prevista la “previdenza complementare” che ha lo scopo di introdurre, accanto al nuovo sistema pensionistico

ordinario

(il

sistema

contributivo),

strumenti

finanziari

complementari finalizzati a integrare le “nuove pensioni”, per contenerne la prevista diminuzione dall’ultimo trattamento economico percepito dal dipendente pubblico in servizio. La previdenza complementare si realizza mediante l’istituzione dei c.d. “Fondi pensione integrativi”, ovvero Fondi di previdenza complementare in cui dovrebbe confluire, mensilmente, una parte della “retribuzione” del dipendente, da rivalutarsi negli anni attraverso un sistema a capitalizzazione composta. 2. Con riguardo al personale militare e di polizia, incluso nel comparto difesa e sicurezza, quale disciplinato dal d.lgs. 30 aprile 1997 n. 165, va rilevato che le disposizioni del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 195, come modificato dal d.lgs. 31 marzo 2000 n. 129, dispongono a tal fine una specifica procedura di negoziazione e concertazione, che deve concludersi in un atto autoritativo, consistente in un d.P.R. Tale disciplina non ha ancora trovato attuazione. L’art. 4, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 195 del 1995, infatti, prevede la concertazione


sulle forme pensionistiche complementari ai sensi dell’art. 26, comma 20, della legge

23.12.1998

n.

448

che

espressamente

stabilisce:

“Ai

fini

dell’armonizzazione al regime generale del trattamento di fine rapporto e dell’istituzione di forme di previdenza complementare dei dipendenti pubblici, le procedure di negoziazione e di concertazione previste dal decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, potranno definire, per il personale ivi contemplato, la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell’articolo 2, commi da 5 a 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, nonché l’istituzione di forme pensionistiche complementari, di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni. Per la prima applicazione di quanto previsto nel periodo precedente saranno attivate le procedure di negoziazione e di concertazione in deroga a quanto stabilito dall’articolo 7, comma 1, del citato decreto legislativo n. 195 del 1995”. Pertanto il processo di avvio della previdenza complementare dei detti dipendenti pubblici potrà dirsi concluso nella prima fase, solo allorché saranno emanati i decreti del Presidente della Repubblica, all’esito di una concertazione tra Ministeri interessati, Comandi militari e organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia a ordinamento civile) e ai Consigli centrali di rappresentanza, Co.Ce.R., sempre quali organismi esponenziali d’interessi collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia a ordinamento militare e al personale delle Forze Armate), cioè degli organismi rappresentativi dei lavoratori. Per il personale in argomento, i decreti approvati con dd.PP.RR. n. 254 del 1999 e n. 255 del 1999 (accordi sindacali per il quadriennio normativo 1998/2001), occupandosi della problematica in esame, rimettevano ad apposite specifiche procedure di negoziazione e di concertazione la materia di cui al ricordato articolo 26, comma 20, l. n. 448 del 1998 ma, nonostante i numerosi incontri nei tavoli tecnici di concertazione, avviati anche successivamente nel 2005 – 2006, la procedura non ha trovato


ancora approdo in una concertazione suscettibile di approvazione con i decreti di recepimento, stante le rilevanti criticità relative alla materia. 3. Con l’odierno ricorso i signori .......... .........., Manuelli .........., Vesentini .......... .........., dipendenti del Ministero dell’Interno, attualmente in servizio, e .......... .........., .......... .........., .......... .........., dipendenti del Ministero della Difesa, attualmente in servizio, impugnano con il rito del silenzio a norma del combinato disposto dell’articolo 31 e 117 del c.p.a., l’inerzia in cui sarebbero incorsi i Ministero dell’Interno e della Difesa (datori di lavoro dei dipendenti) in ordine alla diffida inoltrata a ciascuno di essi l’11 agosto 2020 per conseguire, entro il termine di 30 giorni ivi previsto, il “risarcimento dei danni derivanti dal mancato avvio delle procedure di negoziazione e concertazione del trattamento di fine rapporto e della conseguente mancata istituzione della previdenza complementare”, da quantificarsi secondo la metodologia indicata nella diffida stessa, a sua volta riproduttiva del dispositivo della sentenza n. 207 del 2020 Corte dei Conti, sezione Puglia. Stante l’asserita inerzia in ordine alle pretese avanzate con la predetta diffida “rimaste totalmente prive di riscontro”, con l’odierno gravame il ricorrenti chiedono pertanto a questo Tribunale di “accogliere il ricorso e, per l’effetto, accertare l’inerzia dell’Amministrazione e condannare il Ministeri resistenti, ciascuno in persona del Ministro pro tempore, alla quantificazione dei danni per mancata attivazione del fondo di previdenza complementare integrativa per il personale delle Forze di polizia, delle Forze armate, dei corpi di polizia ad ordinamento militare da quantificarsi in base a quanto previsto nella sentenza n. 207/2000 della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Puglia.” Il ricorso è stato altresì notificato anche all’INPS – Istituto nazionale di Previdenza sociale, rispetto al quale, peraltro, non viene formulata alcuna richiesta.


4. Si sono costituiti il Ministero dell’Interno e il Ministero della Difesa, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, instando per il rigetto del ricorso. Preliminarmente viene dedotta l’inammissibilità del gravame collettivo poiché i ricorrenti – peraltro dipendenti da Amministrazioni diverse (Ministero dell’Interno e Ministero della Difesa) – svolgono domande risarcitorie personali, richiedenti ciascuna un’istruttoria e valutazione individuale e distinta, mancando quelle ragioni ed interessi comuni ed inscindibili, sì da trarre da un eventuale accoglimento un unico immediato vantaggio, poiché è del tutto evidente che il richiesto risarcimento danni non può che essere strettamente personale e dipendente dalla singola posizione individuale di ogni ricorrente. L’inammissibilità si palesa anche quale ricorso irritualmente cumulativo, poiché con un unico atto introduttivo sono state proposte azioni risarcitorie contro due Amministrazioni diverse ed in relazione a tipologie di rapporti di lavoro distinti in contrasto con il divieto di azioni cumulative, se non direttamente collegate. Le resistenti avanzano ulteriori profili di inammissibilità dell’azione: in ragione dell’erroneità del rito instaurato che, in quanto avente ad oggetto una pretesa risarcitoria, doveva attivarsi mediante azione ordinaria; a motivo del difetto di legittimazione passiva dei Ministeri resistenti, cui l’ordinamento non assegna alcun potere di iniziativa spettante invece al Ministero della funzione pubblica, nonché per il difetto di legittimazione attiva e/o di interesse al ricorso in capo ai ricorrenti, stante l’inesistenza di un interesse diretto ed attuale all’attivazione della previdenza complementare, invece spettante solo alle organizzazioni rappresentative dei lavoratori. Inoltre il ricorso è anche infondato nel merito poiché la richiamata normativa non sancisce un obbligo, ma solo una facoltà, di dar corso al procedimento volto alla costituzione della previdenza complementare; inoltre, ancorché attivata, l’esito della concertazione è del tutto incerto, in quanto la facoltà di attivazione non determina necessariamente l’approdo ad un accordo, da tradurre


nei decreti di recepimento. Infine non è dimostrato il pregiudizio che i ricorrenti avrebbero

subito

dalla

mancata

implementazione

della

previdenza

complementare, in quanto il vantaggio conseguente a tale sistema integrativo dipende da molteplici elementi, quali quelli desumibili dalla trasformazione del TFS (Trattamento di fine servizio) in TFR (Trattamento di fine rapporto), dal periodo di esercizio dell’opzione, nonché dal rendimento dei Fondi. Da ultimo il danno dedotto in giudizio appare di per sé del tutto generico, speculativo ed indimostrato, in quanto non è stata in nessun modo circostanziata la posizione di ciascun dipendente (in ragione del sistema di contribuzione allo stesso spettante, rilevante ai fini della determinazione del trattamento di quiescenza) né il probabile rendimento di un ipotetico Fondo di previdenza complementare, né, da ultimo, determinato il quantum, in negativo, che dovrebbe essere detratto dalla somma spettante, derivante dall’esercizio dell’opzione alla previdenza complementare e dai conseguenti versamenti di cui i dipendenti sarebbero stati necessariamente gravati, con conseguente decurtazione del TFS: mancano in buona sostanza gli elementi indispensabili per la quantificazione del danno. 5. Si è costituito l’INPS – Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, chiedendo in primo luogo la propria estromissione dal giudizio sul presupposto del difetto di legittimazione passiva, in quanto in nessun caso l’Istituto è titolare di alcun obbligo nei confronti dei dipendenti. Infatti l’Istituto è chiamato alla liquidazione del trattamento pensionistico in forza di specifiche disposizioni di legge, ovvero al più alla trattenuta dal TFR e versamento al fondo di previdenza, ove istituito, e sempre in forza di specifiche disposizioni. In questo caso invece si addebita alle Amministrazioni di appartenenza dei ricorrenti la mancata attivazione dei fondi di previdenza complementare, con esclusione della sussistenza dei presupposti di attivazione della gestione in capo all’Istituto, che difetta di qualsiasi potere di incidere in materia, rimessa alla scelta legislativa. Inoltre, nessuna richiesta è formulata nei confronti


dell’Istituito medesimo nel ricorso avversato. In rito l’Istituto avanza altresì l’eccezione di incompetenza territoriale del T.R.G.A. in ragione della natura necessariamente inscindibile delle decisioni che coinvolgono l’istituzione della previdenza complementare, avente riguardo tutti i dipendenti del comparto considerato, con individuazione della competenza funzionale del T.A.R. del Lazio. In via subordinata, il resistente contesta l’ammissibilità e la fondatezza del ricorso sotto plurimi profili in posizione adesiva alle prospettazioni ministeriali. 6. Alla odierna camera di consiglio il ricorso è stato trattenuto in decisione, a’ sensi dell’articolo 25 del d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla l. n. 176 del 2020 e modificato con d.l. n. 183 del 2020. 7. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le motivazioni di seguito illustrate, con la precisazione che si può prescindere dalla considerazione della memoria di replica tardivamente depositata dai ricorrenti, non necessaria al fine del decidere. 8. Deve essere prioritariamente esaminata l’eccezione di incompetenza territoriale di questo Tribunale, avanzata dall’INPS in favore della competenza funzionale del T.A.R. del Lazio. L’eccezione deve essere respinta: invero non si ravvisano ragioni per disattendere il foro speciale del pubblico impiego non privatizzato di cui all’articolo articolo 13, comma 2, c.p.a., il quale dispone che “per le controversie riguardanti pubblici dipendenti è inderogabilmente competente il tribunale nella cui circoscrizione territoriale è situata la sede di servizio”. Infatti, il presente giudizio è volto ad azionare l’asserita inerzia delle Amministrazioni intimate nei confronti della richiesta di quantificazione del risarcimento del danno che i ricorrenti, dipendenti in servizio dei Ministeri dell’interno e della Difesa, ritengono dovuto in conseguenza della mancata attivazione della previdenza complementare. Pertanto il gravame oggetto di scrutinio mira alla tutela risarcitoria della specifica posizione individuale di


ciascun ricorrente, in conformità con quanto previsto dal richiamato articolo 13, comma 2, non sussistendo alcuna contestazione circa la collocazione della sede di servizio dei dipendenti nell’ambito territoriale di questo Tribunale. 9. Sempre in via preliminare il Collegio ritiene invece fondata l’eccezione di carenza di legittimazione passiva dell’INPS – Istituto nazionale di Previdenza sociale, in quanto, in disparte l’assenza nel petitum di alcuna domanda nei confronti del medesimo, difetta in capo allo stesso qualsivoglia posizione nei confronti dei ricorrenti in merito alla richiesta di istituzione della previdenza complementare. Invero l’INPS è del tutto estraneo alla vicenda, poiché non è in nessun caso coinvolto nella pretesa fatta valere nei confronti dei Ministeri intimati: l’Istituto gestisce, infatti, posizioni previdenziali sulla scorta di disposizioni normative che, con riguardo alla fattispecie di cui è causa, allo stato non sussistono, mentre non dispone di alcun autonomo potere regolatorio della materia, neppure di iniziativa. Sotto altro punto di vista l’Istituto non potrà sottrarsi

dall’adempimento

di

quanto

spettante,

ove

la

previdenza

complementare fosse in concreto attivata: ma, per l’appunto, proprio la sin qui mancata predisposizione della relativa disciplina determina il suo difetto di interesse a resistere al ricorso. Da tutto ciò consegue, dunque, che deve essere dichiarata l’estromissione dal presente giudizio dell’Ente previdenziale. . 10. Poste tali premesse, merita circoscrivere l’azione proposta con il presente ricorso, al fine di scrutinarne la sua ammissibilità. Viene in considerazione un ricorso presentato dai ricorrenti, dipendenti in servizio dei Ministeri dell’Interno e della Difesa, secondo il rito del silenzio a mente dell’articolo 117 del c.p.a., con il quale si lamenta l’asserita inerzia in ordine alle pretese avanzate con la diffida inoltrata l’11 agosto 2020 per conseguire, entro il termine di 30 giorni ivi previsto, il “risarcimento dei danni derivanti dal mancato avvio delle procedure di negoziazione e concertazione


del trattamento di fine rapporto e della conseguente mancata istituzione della previdenza complementare”, da quantificarsi secondo la metodologia indicata nella diffida stessa, a sua volta riproduttiva del dispositivo della sentenza n. 207 del 2020 Corte dei Conti, sezione Puglia. Tali pretese, in tesi dei ricorrenti, sono “rimaste totalmente prive di riscontro” e si chiede pertanto questo Tribunale di “accogliere il ricorso e, per l’effetto, accertare l’inerzia dell’Amministrazione e condannare i Ministeri resistenti, ciascuno in persona del Ministro pro tempore, alla quantificazione dei danni per mancata attivazione del fondo di previdenza complementare integrativa per il personale delle Forze di polizia, delle Forze armate, dei corpi di polizia ad ordinamento militare da quantificarsi in base a quanto previsto nella sentenza n. 207/2000 della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Puglia”. 11. L’azione in argomento fonda il proprio presupposto nella sentenza della Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Puglia 18 maggio 2020, n. 207, resa nei confronti di parti diverse dai ricorrenti, in ordine ad una vicenda analoga a quella oggetto di scrutinio, nella quale il giudice contabile ha dapprima riconosciuto la propria giurisdizione e poi anche il diritto al risarcimento del danno, individuando i criteri di relativa quantificazione. Tuttavia vale ricordare che la Corte di Cassazione, con sentenza delle sezioni unite 20 ottobre 2020, n. 22807, ha risolto il conflitto negativo di giurisdizione sulla questione di cui è causa, statuendo che è rimessa al giudice amministrativo la cognizione delle controversie in argomento. La Corte ha pronunciato il seguente principio di diritto: “La domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno da mancata attuazione della previdenza complementare per il personale del Comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, riservata alla concertazione – contrattazione, ai sensi delle disposizioni degli artt. 26, comma 20, L. 23/12/1998 n. 448, e 3, co. 2 D.Lgs. 5/12/2005 n. 252, è devoluta alla giurisdizione

esclusiva

del

giudice

amministrativo,

attenendo


all’inadempimento

di

prestazioni

di

contenuto

solo

genericamente

previdenziale e strettamente inerenti al rapporto di pubblico impiego, non già a materia riguardante un trattamento pensionistico a carico dello Stato, sicché la relativa controversia esula dalla giurisdizione della Corte dei Conti”. Risulta pertanto del tutto non vincolante, al fine della decisione della presente controversia, la sentenza della Corte dei Conti sez. Puglia n. 207 del 2020, in quanto pronunciata da un giudice privo di giurisdizione sul tema. 12. Ciò detto, in via preliminare si può prescindere dall’esame dei profili di carenza di interesse ad agire dei ricorrenti eccepiti dalle resistenti Amministrazioni, quanto alla mancanza di un’adeguata dimostrazione della titolarità dell’interesse cumulativo e collettivo fatto valere con il gravame, poiché il ricorso è comunque inammissibile per le ragioni di seguito esposte. 13. Ritiene infatti il Collegio che nel caso di specie non può trovare ingresso l’azione secondo il rito speciale del silenzio ex artt. 31 e 117 c.p.a, nei termini prospettati dai ricorrenti. Giova rammentare che il rito speciale in argomento integra la tutela del cittadino nei confronti del silenzio dell’Amministrazione e trova il suo presupposto nel fatto che un’Amministrazione, nel termine prescritto, non abbia assunto alcun provvedimento, essendo tenuta a provvedere. Il giudizio in considerazione appresta una forma di tutela che si fonda su di un rito camerale, abbreviato nei termini e semplificato quanto agli esiti (tenuto conto che la sentenza si pronuncia in forma semplificata in camera di consiglio), secondo la previsione del combinato disposto degli articoli 31, 87 e 117 c.p.a.. Condizione fondamentale perché si possa configurare un “silenzio” è pertanto la riconoscibilità a carico dell’Amministrazione di un dovere di provvedere, ed un dovere del genere manca quando la legge rimette alla piena discrezionalità dell’Amministrazione la decisione anche sull’“an” del provvedere. L’azione avverso il silenzio si attaglia, pertanto, a controversie del tutto diverse da quella oggetto di scrutinio, afferenti ai silenzi procedimentali,


come correttamente sostenuto dalla difesa erariale, ed in ogni caso non è pertinentemente utilizzabile nelle situazioni in cui sussiste una discrezionalità dell’Amministrazione circa il provvedere in ordine alla fattispecie, come nel caso oggetto dell’odierno scrutinio (ex multis Cons. Stato, sez. III, 1 luglio 2020, n.4204). Infatti, come evidenziato nella ricostruzione in fatto, le disposizioni di legge richiamate facoltizzano l’Amministrazione a dar corso al complesso procedimento che può condurre all’attivazione della previdenza complementare ma non stabiliscono alcun obbligo in capo all’Amministrazione medesima, neppure in ordine all’avvio del percorso negoziale che, tra l’altro, non può pervenire

all’obbiettivo

prefisso

senza

il

concorde

concorso

delle

rappresentanze delle parti indicate e la traduzione dello stesso in un atto normativo. Vale nuovamente rammentare sul punto che l’art. 26, comma 20, l. n. 448 del 1998 si limita a prevedere che le procedure di negoziazione e concertazione di cui al d.lgs. n. 195 del 1995 “possono” – e quindi non “devono” - definire la disciplina del TFR e, in seguito ad essa, della previdenza complementare per il personale interessato. Dunque anche nel caso di specie, in assenza

di

un

obbligo

di

provvedere,

l’esercizio

del

potere

dell’Amministrazione non può essere coartato attraverso l’istituto del silenzio – inadempimento a mente dell’art. 117 c.p.a. 14. Sotto altro punto di vista, a ben vedere, nella prospettazione avanzata nel ricorso si vorrebbe azionare, mediante il rito del silenzio, un credito dei ricorrenti, nella forma del risarcimento del danno per equivalente, rispetto ad un’obbligazione patrimoniale asseritamente rimasta inadempiuta. Tuttavia manca il preliminare accertamento in giudizio, da parte degli organi giurisdizionali competenti, o comunque difetta il riconoscimento preventivo e spontaneo da parte delle Amministrazioni datoriali, della sussistenza della responsabilità, dalla quale sola conseguirebbe il diritto al risarcimento del


danno per equivalente, di cui si è chiesta inutilmente la quantificazione. Giova ricordare, al riguardo che “Il rito speciale del silenzio in questione non ha lo scopo di tutelare, come rimedio di carattere generale, la posizione del privato di fronte a qualsiasi tipo di inerzia comportamentale della PA, bensì quello di apprestare una garanzia avverso il mancato esercizio di potestà pubbliche discrezionali, dal quale non può prescindersi al fine di valutare la compatibilità con l’interesse pubblico di quello sostanziale dedotto dall’interessato” ed ancora “per orientamento consolidato, il rito del silenzio non può peraltro essere azionato per ottenere il pagamento di crediti e, più in generale, per avanzare pretese che solo apparentemente abbiano per oggetto una situazione di inerzia, nei termini indicati in quanto riguardano, invece, diritti soggettivi”, a prescindere dal giudice cui è attribuita la materia (T.A.R. Lazio sez. III Roma, 19 febbraio 2020, n. 2207, Cons. Stato, sez. IV, 7 gennaio 2020, n. 119). Né la pretesa risarcitoria rivendicata nel ricorso è riconducibile nell’alveo dell’articolo 117, comma 6, c.p.a. - relativo al risarcimento del ritardo procedimentale per il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento di cui all’articolo 30, comma 4, c.p.a. -, poiché la domanda verte sul risarcimento per equivalente della somma dovuta dall’Amministrazione quale integrazione del trattamento pensionistico. In altri termini manca nel caso concreto il presupposto accertamento giuridico della sussistenza non solo di un obbligo di attivazione ma anche di conclusione nel

senso

voluto

dal

ricorrente

del

procedimento

che

conduce

all’implementazione della reclamata previdenza complementare, rimasto disatteso, e dal quale conseguirebbe, stante la relativa incoercibilità, il risarcimento per equivalente. Invero detto obbiettivo doveva eventualmente perseguirsi mediante l’esercizio di un’azione ordinaria, tesa a far accertare la sussistenza del mancato adempimento di un obbligo derivante dal rapporto di pubblico impiego in favore dei ricorrenti, secondo il paradigma espresso dalla


sentenza della Corte di Cassazione Sez. UU. n. 22807 del 2020 (cfr. ivi “La domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno da mancata attuazione della previdenza complementare per il personale del Comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, riservata alla concertazione – contrattazione, ai sensi delle disposizioni degli artt. 26, comma 20, L. 23/12/1998 n. 448, e 3, co. 2 D.Lgs. 5/12/2005 n. 252, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, attenendo all’inadempimento di prestazioni di contenuto solo genericamente previdenziale e strettamente inerenti al rapporto di pubblico impiego”), da cui far valere consequenzialmente il diritto di credito relativo al risarcimento del danno per equivalente (T.A.R. Lazio sez. II - Roma, 9 dicembre 2015, n. 13750). 15. Non riveste secondario rilievo il fatto che, al contrario di quanto versato in giudizio, la diffida ha avuto una risposta da parte del Ministero dell’interno che ha disconosciuto la sussistenza di alcun obbligo in capo alla medesimo, come da nota Prot333HO11 del 24 agosto 2020 con la quale quest’ultimo – molto prima della notifica del presente gravame – ha riscontrato la diffida respingendo la richiesta risarcitoria, con ciò dimostrando espressamente la natura del tutto controversa dell’obbligazione rappresentata e, dunque, anche del conseguente diritto al risarcimento del danno di cui si reclama la “mera” quantificazione. 16. In definitiva il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile, poiché la pretesa dei ricorrenti avrebbe dovuto essere eventualmente azionata mediante un’azione ordinaria (se del caso di tipo impugnatorio) o attraverso un’azione risarcitoria autonoma, ove ne fossero riconosciuti i relativi presupposti. 17. La ricostruzione dei presupposti normativi sopra illustrata, consente di concludere anche per l’inammissibilità del ricorso sotto altro profilo, afferente al difetto di legittimazione passiva dei Ministeri resistenti, poiché l’attivazione del procedimento dal quale potrebbe auspicabilmente vedere la luce la previdenza complementare in favore dei dipendenti del comparto considerato,


in esito alla concertazione, è di spettanza di altro Ministero, Ministro per la funzione pubblica (oggi denominato Ministro per la Pubblica Amministrazione) a norma dell’articolo 7 d.lgs. n. 195 del 1995, mentre i Ministeri intimati sono solo i datori di lavoro dei ricorrenti, quindi agli stessi non sono ascrivibili in ogni caso i pretesi comportamenti antigiuridici fondativi della responsabilità. A norma dell’articolo 2 d.lgs cit., l’amministrazione datoriale fa semplicemente parte della (peraltro variegata e complessa) delegazione pubblica, ma non ha alcun

autonomo

potere

di

iniziativa

in

ordine

all’avvio

della

negoziazione/concertazione. 18. Da ultimo, ma con rilevanza dirimente nella fattispecie di cui è causa, deve condividersi l’ulteriore ragione di inammissibilità del gravame rappresentata dalle resistenti Amministrazioni, conseguente al difetto di legittimazione attiva e di interesse a ricorrere in capo ai ricorrenti (ed in genere in capo ai singoli dipendenti del comparto di cui si discute). Essi non sono titolari di alcuna posizione giuridicamente tutelata – né in termini di interesse legittimo né, tantomeno, di diritto soggettivo perfetto – all’attivazione e alla conclusione positiva delle procedure di negoziazione e concertazione funzionali all’implementazione della previdenza complementare, ma dispongono solo di un interesse finale indiretto del tutto successivo all’intervenuto accordo conseguente alla concertazione. Infatti, solo l’attivazione della concertazione e poi la maturazione dell’accordo recepito nei d.P.R. determina il sorgere di una posizione di interesse diretto in capo a ciascun ricorrente ad ottenere l’estensione della previdenza complementare in proprio favore. Per converso l’eventuale inadempimento delle Amministrazioni intimate potrebbe essere fatto valere soltanto dagli organismi esponenziali degli interessi collettivi contemplati dalla norma attributiva del potere come si evince dalla condivisibile giurisprudenza consolidata: “i dipendenti pubblici destinatari dell’attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento


degli esiti della procedura di concertazione sono titolari di un interesse <finale> e del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all’avvio e conclusione dei procedimenti <negoziali> in questione, appartenenti - semmai - in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia a ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, sempre quali organismi esponenziali d’interessi collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia a ordinamento militare e al personale delle Forze Armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali. Più esattamente, la legittimazione a far valere eventuali inadempimenti dell’obbligo di adozione di provvedimenti amministrativi, anche attraverso la speciale procedura di impugnazione del silenzio inadempimento, appartiene in via generale ai soli soggetti titolari dell’interesse, concreto ed attuale, direttamente riguardato dalla norma attributiva del potere autoritativo, i quali proprio in ragione di tale titolarità sono dunque legittimati a partecipare al relativo procedimento amministrativo” (Cons. Stato IV, 24 ottobre 2011, n. 5698, Cons. Stato, sez. IV, sentenza 4 febbraio 2014, n. 504 e giurisprudenza ivi citata; da ultimo in senso conforme vedi anche T.A.R. Lazio, sez. Prima Stralcio, 1 febbraio 2021, n. 1292; cfr. altresì per una fattispecie del tutto similare T.A.R. Lazio, sezione IBIS sentenza 20 ottobre 2017, n. 10528 e, per l’analoga vicenda della vicedirigenza, Cass. civ. Sez. lavoro, 18 dicembre 2018, n. 32697). 19. Il ricorso è in conclusione inammissibile. 20. Si rinvengono tuttavia giusti motivi per compensare integralmente le spese di giudizio tra tutte le parti costituite, in considerazione della natura della controversia. P.Q.M.


Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, dispone l’estromissione dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale e dichiara il ricorso inammissibile. Spese compensate tra tutte le parti costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, tramite Microsoft Teams, secondo quanto previsto dal combinato disposto dell’articolo 25 del d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla l. n. 176 del 2020 e modificato con d.l. n. 183 del 2020, e dell’articolo 4, comma 1, quarto periodo e seguenti del d.l. n. 28 del 2020, convertito dalla l. n. 70 del 2020, con l’intervento dei magistrati: Fulvio Rocco, Presidente Carlo Polidori, Consigliere Cecilia Ambrosi, Consigliere, Estensore L'ESTENSORE Cecilia Ambrosi

IL PRESIDENTE Fulvio Rocco

IL SEGRETARIO --

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