Chiesa di Santa Maria Assunta. Ariccia, Roma

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La costruzione delle cupole in area romana è condizionata dagli impianti tipologici e dalle techiche costruttive dell’architettura antica. Peraltro, a differenza del Pantheon – il modello di cupola per eccellenza in cui la continuità e l’interdipendenza tra cupola e sottostruttura delineano uno spazio unitario – nell’architettura del Cinquecento romano la cupola, pur nella sua preminenza simbolica, posta come è a esaltare il luogo della più alta centralità liturgica, rimane elemento sovraimposto, il cui ruolo risulta distinto dall’impianto spaziale complessivo dell’organismo. Pur inserendosi come perno del concetto rinascimentale di simmetria, che porta la costruzione a delineare i confini di un’unità piramidale in essa convergente, la cupola si colloca quale coronamento di edifici, conservano una propria autonomia spaziale. Questa “separatezza” trova una non casuale corrispondenza nella forzata consuetudine che vede la cupola raramente costruita insieme al corpo basamentale: il più delle volte essa è edificata in epoche successive e sotto la guida di architetti diversi dal progettista dell’organismo ecclesiale. E’ un processo frequente soprattutto nelle chiese a croce latina, allorché l’edificazione della cupola, che copre l’intersezione tra navate e transetto, è differita per i più diversi motivi e in sua vece viene realizzata una copertura lignea provvisoria, destinata tuttavia a rimanere in loco per lungo tempo. Tra i tanti è esemplificativo il caso della cupola di Santa Maria in Vallicella (1575-99); progettata da Martino Longhi il Vecchio (1534-93) e realizzata da Giacomo Della Porta (1532-1602): essa è caratterizzata da un sesto emisferico estradossato, poggiato su un basso tamburo che le conferisce all’esterno una scarsa rilevanza visiva. Gli eventi che segnano la storia di questa cupola ne modificano a più riprese sia l’aspetto che il comportamento statico: nel 1643 Francesco Borromini (1599-1667) partecipa alla messa in opera della copertura in lastre di piombo; tra il 1647 e il 1651 Pietro da Cortona (1596-1669), attendendo alla decorazione pittorica dell’intradosso, apre quattro finestre ovali “per dare luce alla pittura” ed eleva la lanterna. Nel 1675 compaiono diverse crepe nella calotta che obbligano la Congregazione Generale del convento a consultare i più noti architetti e capimastri romani in vista di eventuali opere di consolidamento, concretizzatesi tra il 1672 e il 1675 nell’incatenamento del tamburo secondo il progetto di Carlo Fontana /1634-1714). […] L’effetto di sovra imposizione e di discontinuità spaziale tra cupola e struttura di base tende ad annullarsi negli edifici a pianta centrale, soprattutto in quelli di limitate dimensioni, che godono peraltro del favore dei teorici dell’architettura per la forma perfetta, esemplata sulla superiore armonia del cosmo. E’ questo il caso del tempietto di San Pietro in Montorio (1508-1512), sintesi metastorica tra il tempio circolare periptero, quale quello della Sibilla a Tivoli e il tempio di Vesta a Roma, e la spazialità compatta e unitaria del Pantheon. In tutti questi edifici tanto dall’interno quanto all’esterno, ogni parte si compone con l’altra, l’una serve di completamento all’altra. [...] Nella seconda metà del Seicento la sperimentazione barocca codificherà tale ruolo raggiungendo la completa fusione di tecnica, forma e simbolo negli esiti borrominiani di San Carlino alle Quattro Fontane (1638-41) e Sant’Ivo alla Sapienza (1642-50), come in quelli berniniani della chiesa dei novizi del Gesù di Sant’Andrea al Quirinale (1658-70) e dell’Assunta di Ariccia (1662-64). […] Lo studio dei monumenti antichi si riflette in una varietà di soluzioni progettuali nelle quali tuttavia traspare, in maniera piuttosto evidente nella tecnica costruttiva, la cultura dell’architetto progettista e delle maestranze e l’influenza esercitata da taluni esempi coevi, assunti come modelli. […] Nel ‘600, l’uso del tiburio diviene più frequente, come testimoniano le coperture delle cupole di Santa Maria del Pianto, Santa Maria in Trasportina, Sant’Andrea al Quirinale e quella di San Carlino alle Quattro Fontane, in cui il cilindro di muratura, che uti di laterizio, posto a protezione della calotta.

racchiude la cupola assorbendone le spinte laterali, si assottiglia verso la sommità articolandosi in tre gradoni. I criteri progettuali dell’architettura classica sono fondati generalmente su calcoli semplici, impostati su rapporti di numeri interi, legati dalla proprietà commutativa e associativa, e soprattutto sulla definizione euclidea di sezione aurea, cara agli antichi per i suoi effetti visivi e per le sue valenze simboliche. Tramite quest’ultima è possibile suddividere geometricamente una qualsivoglia misura, pur mantenendola in costante rapporto con l’insieme, e trovare così un certo numero di parametri fondamentali con cui trasformare i criteri di proporzionalità in istruzioni di cantiere. Questa estrema semplicità di misurazione si rende necessaria dal momento che i cantieri della Roma antica sono strutturati in modo complesso, forse privi di documentazione grafica e affollati da maestranze di variegata estrazione e provenienza, cui è indispensabile fornire indicazioni quanto più semplici possibile. Il sistema di misura è il piede romano, che corrisponde nel sistema metrico decimale a circa 0,30 metri, suddiviso in multipli e sottomultipli, affiancato dalla fine del I secolo al piede attico, (25/24 del piede romano), con cui è possibile calcolare in modo pressoché esatto il nostro P, e dunque edificare tipologie circolari e volte cupoliformi. L’applicazione di tale criterio di calcolo, corredato da semplici strumenti di progetto, ricorre invariato sino all’ultimo decennio del Seicento, quando le nuove elaborazioni di matrice francese sostituiscono il dimensionamento geometrico con quello analitico. E’ dunque possibile ricostruire, con il supporto degli insegnamenti rinascimentali dei trattati di architettura, i rapporti dimensionali che ordinano la progettazione delle cupole, fondati essenzialmente sulla proporzionalità tra le misure del diametro interno della cupola e i suoi spessori in chiave e all’imposta, da cui dipende la stabilità della costruzione. […] Nella codificazione delle “Regole delle Cupole semplici”, all’interno del “Templum Vaticanum”, pubblicato nel 1694, Fontana tenta di fissare definitivamente le proporzioni ottimali, decretando che “li muri che devono sorreggere le cupole semplici se saranno di ottimo lavoro di mattoni doveranno essere le loro grandezze 1/10 almeno del vano. Se saranno d’inferiore di Cimento, cioè Tufi, ò Pietre, dovranno essere le loro grossezze almeno la nona parte del vano”. Quelli invece “che doveranno reggere cupole doppie, doveranno essere più abondanti di grossezza delle suddette, secondo sarà giudicato dal Professore”, lasciando in questo modo aperto un altro difficile quesito. […] Bisogna sottolineare tuttavia che gli spessori attribuiti alle diverse sezioni della struttura cupoliforme variano notevolmente anche in relazione alla provenienza delle maestranze e dell’architetto, alla conformazione sia planimetrica che in elevazione della stessa cupola, e soprattutto in base alla qualità dei materiali impiegati. […] Dalla documentazione dei restauri sulle cupole rinascimentali romane emerge che i materiali e le tecniche per la costruzione delle cupole sono quelli tradizionali registrati più tardi da Vincenzo Scamozzi nei “Benefici ch’apportano le volte agli edifici” nel Libro Ottavo dell’Idea dell’Architettura Universale del 1615. La prima descritta è la tecnica impiegata per le costruzioni a cupola derivata dalle grandi volte delle terme romane: essa è caratterizzata da un getto di calcestruzzo costituito da un conglomerato di malta e pozzolana mischiato a scaglie di pietra tufacea, vulcanica o frammenti di laterizi; il getto viene generalmente a strati orizzontali ben compattati, su apposite armature, irrobustito a volte da uno scheletro di archi e costole in mattoni, disposti per lo più secondo i meridiani. In epoca romana, anche a causa del difficile e costoso reperimento del legname, si sperimentano nuove tecniche per aggirare il sistema delle armature, come l’involucro di laterizi consistente in una prima volta di grossi mattoni disposti di coltello e uniti di costa con malta a presa ante costruito da un impasto di calce, pozzolana e frammenti min

Carlo Fontana, profili di cupole secondo le regole dei trattatisti (da Regole, regioni et esempi... quali approvano esser buono il modo tenuto nella costruzione della famosa cuppola che copre il tempio di Santa Margherita nella città di Montefiascone) 1673, Modena Biblioteca Estense, 379 mss. Campori, B.1.16, fol. 21

rapida, gesso o malta ordinaria a base di calce, costituente una sorta di armatura a perdere su cui viene effettuato il getto di calcestruzzo. [...] Successivamente un primo strato di calce con pozzolana o rena vagliata, piuttosto liquida e alquanto grassa, segue la forma della centina. Al di sopra è realizzata la volta di mattoni; a disarmo avvenuto, la terra di sutura può essere facilmente asportata e le parti non perfettamente realizzate sono risarcite a stucco. Nella pratica costruttiva rinascimentale corrente, sull’estradosso della cupola viene steso uno strato a sezione omogenea di due-tre centimetri di malta semifluida, cui è attribuito il compito di limitare le deformazioni del guscio a presa avvenuta. Questa caldana ha probabile origine proprio nella tecnica romana del coccio pesto, uno strato impermeabilizzante. Maria Grazia D’Amelio, Nicoletta Marconi

Prassi e principi dalle cupole rinascimentali a quelle barocche

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