1000 KM IN KAYAK

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Mille e più km in kayak,una volta nella vita. di Beppe Racca. em: grhone@alice.it Diario di bordo e fuori bordo, del raid di lunga voga, da Revello a Pola, fatto dal 9 Luglio al 23 Agosto 2010, per celebrare il XXX di fondazione dell’ Associazione “ Amici del Po “ di Villafranca P.te. Dalla discesa a Venezia, del 2001, mi era rimasta la voglia di arrivare fino a Trieste. Poi la suggestione simbolica del numero 1000, si è sovrapposta a quel lontano desiderio. Ed ecco che la catalisi del XXX anniversario degli Amici del Po mi ha aiutato a ideare e programmare la “ 1000 km in kayak una volta nella vita”, raid di lunga voga, dai piedi del Monviso a Pola. Nel programmare il raid, non diedi continuità temporale alla discesa. Le ragioni furono: quella di trovare acqua nel percorso, della tappa 0 (zero) da Revello a Villafranca, l’altra, quella di dare la possibilità a chi volesse provare a percorrere un tratto del raid, di poterlo fare. DA REVELLO A VILLAFRANCA Il 5 Aprile la giornata è splendente la discesa gradevolissima, ci godiamo anche il pranzo di Pasquetta con gli Amici del Po, all’ostello di Paracollo. Le prime tappe sono un invito al raid. Esse sono facili da percorrere e di grande bellezza paesistica e ambientale. La tappa 0 è lo sbocco in pianura del Po, dove si ha la catena del Monviso alle spalle, il precipite e scenografico Monbracco a fianco e si gode lungo il percorso, del risveglio primaverile della Natura. DA CRESCENTINO A CASALE MONFERRATO Le tappe a valle di Crescentino sono di intensa suggestione; per la solitudine ripariale, per i paesaggi, formati dalle colline del Monferrato che s’allungano e si fondono con le ondulazioni dell’Appennino Piacentino. E’ il 17 Aprile, un sabato, e ci siamo. Ci stiamo per trovare al ponte di Crescentino. Sarà una 1000KmK bellissima. Il vecchio ponte sta saldo, con le sue gambe ben piantate, da oltre cent’anni, nelle ghiaie del Po. Sullo spalto, prospiciente l’antico guado, la solitaria fortezza di Verrua occhieggia sul bel panorama primaverile. Nelle anse, gli aironi bianchi pescano. Nei boschetti di salici, usignoli e uccelletti cantano. Sullo stradone, le auto passano strepitando. Il tempo è discreto. Nel Po il filone dell’acqua s’è spostato sull’altra sponda, dunque partiremo da sotto la fortezza. Un buon’odore d’acqua, mette di buonumore. 1


Nella discesa, le nuvole si abbassano, per poi farci piovere addosso all’arrivo a Casale, alla sede dei Canottieri Visto il maltempo rinviamo la discesa su Valenza. Dopo di allora, una serie di fine-settimana fantozziani, fanno posticipare all’estate le tappe propedeutiche. Anche allora, tra una piena anomala e l’altra, manifestazioni dei cambiamenti climatici, indotti dall’effetto serra, ci costringeranno ad adattare il programma. DA VILLAFRANCA A TORINO E’ il 10 Luglio, sabato. Dopo la cerimonia della partenza ufficiale di ieri sera, stamane siamo partiti sul serio per la tappa Villafranca – Torino. La giornata è bella. Pagaiamo tra le conosciute sponde, note in ogni metro. Il Po non si smentisce e ci dona la gradevolezza del suo ambiente, le sponde sono verdi cangianti, l’acqua è un lucido specchio su cui scivoliamo leggeri e silenziosi. La luce, i colori, gli odori, le brezze, ci pervadono e infondono serenità e benessere. Siamo tutti contenti di esserci. Al ponte di Casalgrasso facciamo un trasbordo, più laborioso che difficile. Rimpiango la douce France, con i suoi bei scivoli ben segnalati. A Carmagnola, sulle sponde sono numerosi i bagnanti. Qui è facile arrivare, è bello, costa niente. I bagnanti si raggruppano per etnie: i rumeni, i latini, gli asiatici, gli albanesi. Grazie a loro le ghiaie e le sabbie son di nuovo frequentate ed il fiume si rianima piacevolmente. In vista di Carignano incrociamo i canoisti dell’Eridano che apprendono a navigare. Sbarchiamo al lago Arenile e Stefania ci prepara il desinare. Successivamente facciamo il recupero tra Carignano-Villafranca ed il trasbordo a Moncalieri, perchè il tratto a valle della diga di La Loggia il Po è intransitabile, ed allo sbarramento manca la possibilità di trasbordare. A Moncalieri ci reimbarchiamo poco a valle dei ponti sul Po. Alcuni amici dell’Eridano son risaliti fin qui e ridiscenderanno fino alla sede. E’ bella la discesa in questo tratto, dalle sponde si affaccia la prima collina di Torino, coi primi lungopo della città. I ponti cittadini si incurvano monumentali sulla lucida corrente, anatre, canotti, barchette e noi, ci scivoliamo sopra. Alcuni scorci sono veramente spettacolari e suggestivi, valga per tutti lo svettare della Mole e lo specchiarsi del borgo del Valentino, di fronte al quale sbarchiamo. Il primo incontro con le società fluviali è cordiale ed amichevole, con foto ,strette di mano ed auguri. Nella prima serata sono ospite da Marco al Passatempo, vera oasi di tranquillità e dormiamo tranquilli.

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DAL PASSATEMPO A CREMONA E’ l’11 luglio ed è domenica. Stamane ho aperto gli occhi, aperto la finestra e le zagare ed il gelsomino, mi hanno allietato col loro soave profumo. Fuori ci sono un pò di vento, un pò di nubi, un pò di pioggia Puntuale alle 9.30 arriva Felice. E’ il ns. autista che ci porterà a destinazione. Lungo la strada c’è poco traffico ed un gran caldo. Arriviamo a Cremona alle 14 e siamo accolti da Andrea Giazzi del Dopo Lavoro Ferrovieri. Anche qui gran caldo ed un parossistico frinire di cicale. Essere sul Po con la colonna sonora estiva del Meridione, singolare e sorprendente. Il centro è posto sulla riva sinistra del Po sorse per il canottaggio, ma ora di remo ne ha poco, ha più piscina e tennis, un bel campo di calcio, con appendici di bocce, pallavolo e pallacanestro. Il posto è molto bello, verdissimo, molto pulito e ben curato. Bella doccia, bella nuotata, bel relax. Viene sera, gli ospiti radunano e ripongono i lettini. Le cicale continuano a frinire. Il sole declina , le ombre si allungano ed i colori si addolciscono. Andiamo a cenare al ristorante interno con la visione di Spagna-Olanda, 1° tempo. Usciamo in città e passeggiamo fino alla piazza del Torrazzo, dove vediamo la vittoria gioiosa della Spagna al mondiale di calcio. Molti i giovani che festeggiano la nazionale iberica. DA CREMONA A CASALMAGGIORE Sono le 5.50 di Lunedì 12 Luglio e mi sveglio. E’ il giorno della partenza, finalmente. La notte è passata tranquilla e ristoratrice, aiutata dal gocciolio soporifero dell’irrorazione a pioggia sui prati e aiuole. Il rotolare dei treni non ha disturbato più di tanto. I preparativi sono lunghi e laboriosi, alle 9 siamo pronti; adagiamo i kayak in acqua e partiamo. Arriveremo alle 17 a Casalmaggiore. Sul fiume viaggia qualche sabbionara, uno spingitore che una volta va ed una viene. Il Po è di una bellezza commovente: vastità, fuga di alberi, movimenti quieti. In Russia c’è il placido Don, qui c’è il placido Po. Il caldo è asfissiante. Da esso ci difendiamo con cappelloni ben bagnati, con occhialoni da saldatore...e con la forza di volontà. Alle 15 sostiamo alla Torricella, vero porto fluviale con 180 barche, tutte a motore. Rincontro a distanza di nove anni il Vicepresidente della motonautica. Egli con altri coetanei, settuagenari, si espongono alla brezza del fiume per mitigare il caldo canicolare. Ci refrigerano con bottigliette d’acqua bella fresca e con un caffé bello caldo. 3


Con graditi incoraggiamenti, ripartiamo. Il Po è sempre bellissimo. Bianchi banchi di sabbia, lambiti dallo scorrere benigno dell’acqua, danno riposo a molti corvi, onnipresenti pivieri, ed a gabbiani gridaloni. L’acqua è tiepida, ma non invitante, ci verrà sempre sconsigliata la balneazione. Sulle rive la stessa solitudine della volta precedente. Rari pescatori, rarissimi eliofili. A valle del Taro, cefali a branchi si esibiscono in acrobatici salti aerei. In superficie, placidi gorghi ed ampi mulinelli si contrappongono ai vigorosi riaffioramenti d’acqua. Eccone la spiegazione. Essi sono il segno, che affiora in superficie, degli spensierati girotondi che le Ninfe bambine del fiume fanno, per gioco e divertimento, nel loro mondo acquoreo. Invece, dove affiorano movimentati rigurgiti, quello è il segno dei più agitati fratellini delle Ninfe. Essi più liberi, si scatenano in giochi più animosi che agitando le acque ne provocano quei movimenti. Dopo Sacca che specchia nel fiume la facciata chiara della sua chiesa, vigilata da un robusto campanile, ci vengono incontro, su una barca motorizzata, Gengis e Graziano. Alle 17 scoccanti, sbarchiamo laboriosamente all’approdo di Casalmaggiore. Accoglienza cordiale, in una polisportiva sorprendente, siamo ospiti, ad una cena conviviale, dei dirigenti dell’Associazione “Amici del Po”. Alle 23 è notte e ci ritiriamo. DA CASALMAGGIORE A DOSOLO Alle 6 anticipate, di martedì 13 Luglio, ci svegliamo dopo un riposo corto ma benefico nel magazzino degli Amici del Po. Giornata piena di cinguettii, di vasto azzurro e di vaghe nuvolette .La temperatura è ancora confortevole quando, dopo i soliti laboriosi preparativi di allestimento dei kayak, partiamo alla volta di Dosolo. Al ponte di Viadana-Boretto incontro con l’incredibile Re del Po, ritrovato dopo tanti anni, è un personaggio unico, ultimo di gente del Po. Tra i sessanta ed i settant’anni, egli vive sul Po, dalla fine delle piene primaverili alle prime piene autunnali. Sulle ampie rene del greto, da sfogo a tutta la sua vitalità e fantasia, allestendo complicate costruzioni usando il legname fluitato dal fiume. Egli ci dice che il Po gli distrugge le opere ma gli restituisce il materiale per ricrearne di ancora più belle. Al nostro passaggio, stava finendo la costruzione di un vascello con polena di drago, su cui i ragazzini potevano ginnasticare con tutta la loro vivacità e sognare avventure di fervida fantasia. Sullo stesso banco di sabbia, era allestito un parco giochi per grandi e piccini, con una moto da corsa, un gioco di tiro coi cerchietti, una postazione di body-building, nonché un piccolo rifugio per i più piccini. Primo entusiasta fruitore di tutto questo 4


era il nipotino del Re del Po. Sulla riva del fiume, sopra il livello delle piene ordinarie, il sovrano d’elezione si è costruito un trono-osservatorio-rifugio, dal quale domina il suo territorio. Si ascende al trono con una scaletta di rami e si discende con una corda, dall’alta piattaforma alla morbida sabbia con un atletico penzolamento, come il Tarzan della giungla. A visitare il piccolo regno saranno i bambini dei paesi vicini, durante le “Estate Ragazzi”. Al termine della visita ci diamo l’arrivederci, perchè non bisogna mai dire mai. Quest’uomo mi ricorda il . Mariu Re Cit, anche lui uomo di fiume, spirito libero, di grande ingegnosità, di sorprendente fantasia, sorretto da una vigoria straordinaria e con una bonomia d’animo verso tutti che visse tutta la vita sul Maira a Savigliano. Commovente l’incontro con Romano Gialdini, orgoglioso custode delle memorie dei Pontieri. Questi erano i custodi e manovratori dei ponti di barche sul Po. Quello tra Boretto e Viadana fu immortalato in uno dei celeberrimi film di Peppone e don Camillo. Rivisitiamo il museo che ha allestito con cura amorevole. Egli fu l’ultimo Capo Pontiere del ponte di barche di Viadana,. Gli lasciamo il gagliardetto datato e firmato del XXX anniversario che d’ora in poi verrà esposto nel suo museo. Con un affettuoso abbraccio ci diamo l’arrivederci e ripartiamo. Il caldo è molto forte, si gocciola di sudore anche sotto alle campate del ponte nuovo, dove cerchiamo l’ombra per la siesta ristoratrice del dopo pranzo. Rinfrancati, ripartiamo sotto il solleone alla volta di Dosolo, che raggiungiamo in breve. Accoglienza cordiale ed incredula, anche qui come in precedenza restano perplessi al sentire la meta e la provenienza del nostro raid. E’ palese che tragitti così lunghi non sono stati fatti prima. Una spiegazione c’è, ed è geografica. Nessuno altro, potrebbe partire più a monte di quanto abbiamo fatto noi dai piedi del Monviso, per raggiungere, dopo un itinerario logico, vario e molto bello; una località storica e prestigiosa come Pola. Gli amici di Dosolo ci lasciano a disposizione la loro sede, costruita su due scafi di cemento di un ponte di barche smantellato. Facciamo una visita agli amici che vennero a Villafranca in una gita-scambio, e riceviamo i baci di Monia, con il rifornimento di cibi e bevande. Andiamo ad attendarci e subiamo il primo fiero attacco delle zanzare, respinto con autan e zampironi. Le zanzare sono in caccia solo per un paio d’ore al tramonto ed all’alba, non ci sono sull’acqua, per evitarle non bisogna stare sull’erba o sotto frasche basse. I repellenti ed un abbigliamento coprente sono bastevoli per minimizzare il fastidio. Ricordo che senza questi insetti una miriade di specie animali non potrebbero vivere. A noi dan fastidio ma agli occhi di quest’altre creature essa sono una manna. Cerchiamo di allargare la nostra tolleranza fino all’ecumene. Prima di chiudermi in tenda guardo ancora una volta il Po, è bellissimo e molto più famigliare della volta scorsa. 5


DA DOSOLO A REVERE E’ il 14 Luglio, sono le sei ed il sole ci sveglia. Sono le otto e partiamo coi saluti degli amici sopraggiunti, alla volta della lontana Revere. Il fiume ci accoglie benigno, con le sue amplitudini, col suo senso di libertà con le sue isole adagiate nella poca corrente. Il cielo azzurro all’infinito ci fa sopportare la insistente calura . Raggiungiamo il ponte di Sermide e sostiamo, accarezzati da un piacevolissima brezza, sotto le campate che dispensano un’ombra provvidenziale, Gli dei del fiume ci sono vicini e ci beneficiano con queste attenzioni. La centrale di Sermide è monumentale e si riflette in un Po largo, bello, solitario. Ripartiamo e pagaiamo fino a metà pomeriggio quando è tempo di un’altra sosta ristoratrice che facciamo poco a valle del Panaro, ben all’ombra nel breve spazio tra acqua e ripida sponda. Telefoniamo alla Canottieri Ferrara per l’approdo della sera. Siamo a Pontelagoscuro,ci godiamo la vastità placida del fiume, la quiete del bel tramonto. I cefali guizzano e saltano, nel loro saettare segnano l’acqua con linee rette fugaci come riflettessero effimere scie di stelle cadenti. Piccoli cerchi concentrici, segno del loro immergersi, ricordano riflessi di lontani fuochi pirotecnici. L’acqua come un cielo, che bello. Ci lasceranno sostare,ma per farci posare la tenda su un prato ed usare i servizi igienici, ci faranno pagare, dieci euro pro-capite. Sarà l’unico caso di ospitalità micragnosa. Una buona cena, con gente cordiale e curiosa, chiude la giornata. DA PONTELAGOSCURO A BERRA Il 16 luglio, è venerdì. Il rigogolo traccia nell’aria le sue volute canore. Le tortore, monotone, insistono nel loro “tu-tu, tu-tu”, qualche “cick-cick” del picchio rosso, nel sottofondo, trilli diversi di altri uccellini, nella macchia, il fagiano apre la sua gola cigolante per far stridere l’aria. All’alba l’aurora è pittoresca, il sole si specchia compiaciuto nel riflesso dell’acqua, si aggiusta alcuni raggi scomposti e sale, fulgido sovrano, nel sereno cielo mattutino. Dai ponti, il frastuono di mille veicoli e sferraglianti treni pervade lo spazio e ci spinge ad allontanarci dal rumore del disastro. La lunga pagaiata sul Po, alla volta del Delta ce lo farà dimenticare. Giornata faticosa per la lunghezza e per l’afa. Sostiamo storditi dal calore a Polesella. Sull’alta ripa scopriamo “La laguna blu”. Arriva anche l’ideatore e custode di quest’oasi, si chiama Secondo ed è un mio coetaneo, differendo le nascite di tre giorni. Personaggio fuori dal comune, è un ex-operaio in pensione, comunista vecchio stampo ed un pò razzista- ce l’ha coi cinesi- ladri di posti di lavoro. Questa oasi mi ricorda quella sul Maira di Mariu Re Cit a Savigliano. I trenta km. successivi sono lunghi e pesanti per la calura opprimente. 6


Arriviamo alla Porta del Delta alle 18.30, sbarchiamo agevolmente sullo scivolo delle barche. Andiamo di filato al ristorante per un cena buona ed abbondante. Nel frattempo ritorna il gestore del villaggio, detto Walter l’Austriaco, altro personaggio singolare, è venuto sul Po, una decina d’anni or sono, per la pesca del pesce siluro e ne ha fatto il suo lavoro. Non pesca, ma fa pescare, dà ospitalità, barche ed attrezzatura, ai suoi connazionali che vengono a pescare questo gigantesco pesce esotico. A noi dà una casetta per la notte,dove dopo una lunga doccia ristoratrice ci schiantiamo sui lettini, sono le 22.30. DA BERRA A SOTTOMARINA DI CHIOGGIA E’ sabato 17 luglio e la sveglia è puntata sulle 6.30, partiamo col sole gia alto. In due ore siamo al ponte di Adria. Il Po è largo almeno un km., il paesaggio suggestivo. Scendiamo il fiume fino alle 12 poi ci fermiamo per una sosta di recupero, il caldo è intontente, sui 37 °C , la corrente fluviale minima, ma stiamo bene. Il lento andare ci ha assuefatti e temprati , l’allenamento acquisito ci agevola. Ripartiamo stimolati dall’andare verso la “ Idrovia Veneta” che ci immetterà, dalla Conca di Volta Grimana, nella Laguna. Passata la conca, la percorrenza dei due canali lunghi quattordici km è una dura prova. Il vento finalmente si fa vivo ma ci è contro, i canali sono di una monotonia ottundente, un pò di animazione la dà il passaggio dell’Adige e del Brenta. Finalmente siamo alla conca che ci immetterà in Laguna . Ci infiliamo nella vasca della chiusa, con alcuni motoscafi ed un enorme battello, tutti diretti alla festa del Redentore a Venezia. All’uscita, sgusciamo fuori rapidi per dare strada agli scafi a motore. Con un pò di bagarre scantoniamo il porto commerciale di Chioggia e ci avviamo alla città. Speravamo di pagaiare nel Canal della Vena ma è chiuso per lavori di restauro della fondamenta delle costruzioni che lo delimitano. Per raggiungere il campeggio, nostra meta, dobbiamo andare verso Sottomarina, sgusciando tra cento barche e motoscafi sbuchiamo dal porto turistico e troviamo un vento rinforzato. Purtroppo dobbiamo affrontare l’ultimo ostacolo, posto alla Bocca di Porto, dal Mose. Dodici gru stratosferiche, più pontoni peninsulari, silos titanici, monti di macigni giganteschi segnalano di lontano il cantiere dell’opera ed un molo si spinge in mare per due km.. Il borino sta alzando le onde, per andare a doppiare il molo dobbiamo indossare il giubbotto e chiuderci col grembiulino. Un pò di apprensione e con ancora tanta fatica percorriamo questi cinque km, non previsti. Finalmente, sospinti da vivaci frangenti approdiamo alla spiaggia del Camping “Tropical”. Il problema di spostare per seicento m. i kayak carichi viene risolto, dalla gentilissima e comprensiva sig.ra Rosanna, che anziché respingerci come faranno altri infami gestori, ci manda il trattore a caricare le barche e portarle 7


dentro al campeggio. Ci darà, una ampia piazzola ombreggiata comoda ai servizi e sicura anche per la previsione di un nubifragio atteso per la notte che tarderà solo di qualche ora, arrivando verso le quattro del mattino. Sotto l’impeto del vento e dell’acqua la mia tendina estiva s’allaga e mi rifugio in quella di Marco. Al mattino cielo limpido ma un borino vigoroso ci impedirà di partire per Venezia. Anticipiamo qui a Sottomarina, la sosta prevista nella città dei Dogi. SOSTA A SOTTOMARINA DI CHIOGGIA Noleggiamo due bici ed andiamo a Chioggia, dove troviamo l’animata festa di S. Anna con la sagra dei fasolari, ci spingiamo fino al traghetto, e con le bici al seguito, andiamo a Pellestrina. Pedaliamo a specchio della Laguna, lungo strade che percorrono le isole barriera, fino a giungere, prima agli Alberoni, poi a Malamocco. Sull’acqua luminosa Venezia riflette ed erge le cupole della sue basiliche, la mole merlettata del palazzo Ducale, gli obelischi orgogliosi dei suoi campanili. E’ un insieme da sogno che fa persino dimenticare la congerie degli impianti del petrolchimico di Porto Marghera. Torniamo verso Pellestrina soverchiati dalla bellezza della laguna. Siamo compenetrati dalla sua luce fulgente, inebriati dal cielo spazzato dal borino; dalla tinteggiatura ocra, rossa, fulva, oro, blu delle case. I murazzi in pietra d’Istria si dilungano, a Muraglia Cinese, e frangono l’ira del mare in burrasca, donando pace e sicurezza alle acque lagunari. Le chiome dei pini, piantati a filare, sono compatte nuvole di aghi verdissimi e luccicanti, proiettano a terra oasi d’ombra, fragrante e rinfrescante. Le tamerici ondeggiano pazienti nel vento. All’orizzonte, i boccoli dei cumuli sovrastano gli intuibili Monti Pallidi. Il nostro lento andare ci permette di ricevere il dono di tanta bellezza che si traduce in un impeto di felicità. DA SOTTOMARINA DI CHIOGGIA AL LIDO DI VENEZIA Il giorno successivo il borino si quieta e noi possiamo ripartire. Trasbordiamo i kayak, dal campeggio alla laguna e ci imbarchiamo ai murazzi di S. Felice , ci risparmiamo il giro vizioso della diga del Mose. Che bello ritornare in Laguna e dirigersi verso la lillipuziana Venezia. Rifacciamo dall’acqua il percorso fatto in bici. Accostiamo l’isola di Pellestrina dal forte di Caroman e pagaiando tranciamo, riflessi sull’acqua della lucidissima laguna; case, strade, campanili, imbarcazioni, la nostra prua scompone le figure come gli oggettini del caleidoscopio o come tessere di un puzzle liquido. 8


La sfilata delle case e delle chiese è pittoresco. Questi scorci hanno ispirato innumerevoli pittori, scrittori, poeti, ora delizia noi che ce li godiamo nella più smagliante luce di laguna. Tanta luce, tanto sole e tantissimo caldo, i Murazzi e le palazzate fermano la brezza di mare che allevierebbe il caldo equatoriale. Durante una sosta per rifornirci capitiamo in un delizioso negozio-bazar, che per i tempi è ormai una rarità. Esso fornisce di ogni cosa, commestibile e non la piccola borgata, a noi acqua fresca e frutta saporita. Anche oggi i pini ci dispensano la loro fitta ed aulente ombra per una sosta ristoratrice a terra. Dalla Bocca di Malamocco vengono ingoiate in laguna navi ed imbarcazioni che poi verranno espulse in mare. Noi attraversiamo la bocca evitando di farci intercettare dalle imbarcazioni o dai traghetti e godiamo di una pausa del gran caldo grazie alla vivace brezza di mare che si ingolfa nel varco. Anche qui il Mose ingombra con le sue strutture il panorama: l’aria rimbomba di colpi, stridori e tetra-rombi di motori e macchinari. In relazione alle dimensioni dell’ opera è tutto lillipuziano e noi siamo come fuscelli nell’acqua. Il caldo ci stordisce e facciamo una pausa ,cercando un pò d’ombra , alla Polisportiva di Portosecco deserta, noi ne godiamo l’ospitalità egualmente. All’esterno sono rimessati decine di kayak ed altre imbarcazioni remiere, comprese alcune gondole coloratissime che vengono messe in acqua pere regate storiche e gare dei palii remieri. Dalle vetrate si vedono nei locali della cucina: una imponente batteria di marmitte, padelloni, pentoloni e grandi casseruole che con i grandi fuochi a gas, palesano le intense attività conviviali dei soci. Un campo da bocce alla raffa mi tenta, ma il sole è cocente e ritorno all’ombra per un pisolino rilassante. Si riprende il mare, Venezia s’avvicina sempre di più e parimenti aumenta l’emozione per l’approssimarsi di questa magica città. Purtroppo, aumenta anche il traffico sconsiderato delle imbarcazioni a motore che solo in casi eccezionali rispettano le regole di navigazione e rallentano per evitare di farci ballonzolare come turaccioli. Quando passeremo dagli amici della Canottieri Diadora ci diranno che è un disturbo tale da impedire, sovente, il regatare. Alla loro sede parliamo con Diego che sta allestendo una barca con la vela al terzo, ci spiega la particolare velatura nonché il segreto dell’allestimento per la voga veneta. Entrambe le spiegazioni dimostrano l’abilità degli antichi barcaioli di laguna nel muoversi in sintonia col loro particolare ambiente. Ci avviciniamo sempre più a Venezia, per il traffico che c’è non andremo alla Giudecca né alla calata S. Marco ma tireremo diritto per S. Nicolò al Lido. Anche così sarà una navigazione da brividi, preannunciata dal moto ondoso sulle banchine delle rive. Il parossismo lo raggiungiamo attraversando gli attracchi dei vaporetti che vanno e vengono dal Lido a Venezia, sarà il ns. km più lungo. Terminiamo la navigazione all’approdo davanti al campeggio con uno sbarco rocambolesco, a rotoloni su un materassone galleggiante legato alla base di una scaletta dalla guida 9


escursionistica in kayak a Venezia. Senza il provvidenziale galleggiante lo sbarco era impossibile, la risacca, dovuta al moto ondoso provocato dalle imbarcazioni, non permetteva d’accostarsi alle scalette della banchina. . Bisogna sapere che in laguna a Venezia occorre navigare prima delle 8 e dopo le 19, orari in cui non c’è ancora o non c’è più il moto ondoso parossistico generato dal passaggio delle imbarcazioni. Con un’ultima fatica, con le cime di rispetto, aliamo i kayak sulla banchina e li portiamo dentro il campeggio, accolti da un gentile sig. Paolo e da una comprensiva signora Tatiana. Il campeggio di S. Nicolò al Lido è l’unico di Venezia città, comodissimo per frequentarla, strategico per pagaiare verso la isole veneziane, è piccolo e conviene prenotare la sosta. DAL LIDO DI VENEZIA A JESOLO Il 21 Luglio alle ore sette, caliamo i kayak in acqua, ancora calma, e partiamo a tutta velocità per porci fuori delle acque agitate del traffico lagunare che incomincia a destarsi. Ci dirigiamo verso le minacciose fauci leonine che fanno da chiave per le bocche di batteria, del vecchio forte dell’Idroscalo. Pagaiamo usando delle dettagliatissime carte, che ho stralciato e plasticato, dalla rarissimo volume “L’Idrovia Veneta – Delta del Po- Venezia – Trieste “ di D. Musielak edito dalla casa G. Belletti; fortunosamente reperito in libreria specializzata a Torino. Abbiamo a disposizione una guida sicura e visionabile in navigazione, che possiamo tenere in coperta davanti al pozzetto. Non ostante ciò:con le barene che ti fanno andare dove vogliono loro, con l’essere bassi sull’acqua, con lo spaesamento dovuto alla vasta e articolata laguna del Bacino di Lido, falliremo l’imbocco del canale di Passaora. Andiamo avanti e ci immettiamo nel canal Carbonera. Sullo sfondo vediamo partire gli aerei dall’aeroporto S. Marco. Essi sembrano decollare dall’acqua ed alzarsi per levità come fossero uccelli di palude. I loro motori diffondono un rombo cupo in tutta la Laguna. Evitiamo Murano per il traffico eccessivo e finalmente ci dirigiamo verso la lontana Burano, andando lungo la Scomenzera S. Giacomo. La laguna vasta e pacifica si apre davanti a noi e ci trasmette calma e serenità. Gli isolotti di S. Giacomo in Palude e della Madonna di Monte, ora abbandonati, ci danno la direzione da tenere. All’orizzonte s’intravede il campanile di Burano. Sarà un’altro dei campanili- miraggio. Essi spuntano all’orizzonte per poi sembrare non avvicinarsi mai, è l’effetto della difficoltà di recepire le prospettive negli spazi d’acqua . Pian pianino costeggiando barene fiorite, folte d’erbe ed agitate dai volatili di mare e di laguna, ci avviciniamo a Burano. Il suo campanile pende sempre di più e come la Torre di Pisa: pende-pende, ma mai non cadrà. Arriviamo al tranquillo porticciolo dell’isola, dove un gentile e incuriosito marinaio, ci dà le dritte per raggiungere Treporti ed il canale omonimo. Riferimenti sono il romito isolotto di S. Francesco del Deserto, col silenzioso convento cinto di folti e 10


svettanti cipressi. Più oltre all’orizzonte ci sarà la folta schiera degli alberi delle barche a darci il punto di mira. Qualche barca di pescatori gira tra i lavorieri, residua testimonianza di una pesca un tempo florida e vitale. La trascuratezza, quando non lo stato di abbandono e rovina delle strutture ne confermano la decadenza. L’abbandono di queste acque è come l’abbandono di troppe terre delle campagne collinari e montane, mi suscita rammarico e perplessità. Credo sia una scelta sbagliata che i nostri figli e nipoti pagheranno cara . La predazioni dei banchi oceanici fino all’esaurimento, ci potrà fornire del pesce a buon mercato e senza la sapienza di coltivazione della pesca in queste valli staremo senza pescato. Nell’esercitare una attività se si interrompe la catena di trasmissione della sapienza e dell’esperienza, la capacità di esercitarla è perduta per sempre. Questo è il prezzo che viene fatto pagare a queste acque dalle grandi compagnie di pesca. Si continua a pagaiare nella pace e nella bellezza della laguna fino a raggiungere l’imbocco del Canale di Portosecco. Esso è stato restaurato di recente, con palizzate di difesa spondale più alte di mezzo metro del livello dell’acqua, esse contengono le rive impedendo l’erosione e gli smottamenti che provocherebbe il moto ondoso. Questo canale è un raccordo per il Canale Pordello, l’acqua è liscia e cheta, le rive alberate ci danno un pò di ristoro con la loro ombra, casette e villette si specchiano nell’acqua. Il Canale Pordello, invece, è fiancheggiato da strade e fa da sponda sud del bacino della Palude Maggiore. Un battello da vacanza con una tribù di tedeschi ci farà compagnia fino alla sosta a Cavallino. Vi arriviamo nel mezzodì, per il caldo e il pranzo, il paese è deserto. Viviamo un’atmosfera dechirichiana; una piazza deserta, un cavallino su una smilza colonna getta la sua ombra cruda sul selciato della piazzetta, è uno gnomone che segna il trascorrere di ore ancestrali, che scorrono mentre riposiamo nelle aiuole dei giardinetti, riparati dal riverbero di un sole feroce dalle fronde folte di ispidi pini. Ci rifugiamo in un bar per rifocillarci. Sia qui che all’edicola-bazar, siamo oggetto di curiosità e simpatia e riceviamo complimenti per la strada fatta ed incoraggiamento per quella da fare. Ripartiamo e decidiamo, vista la nostra buona forma ed il bel tempo di allungare la tappa fino al Lido di Jesolo. Dopo un’oretta, in una gran pace giungiamo di fronte alle Conche del Cavallino, esse servono a controllare i livelli tra laguna ed il fiume Sile. Il posto è deserto e silente ma al suono delle nostre voci s’affaccia sull’acqua il guardianomanovratore. Si chiama Valter, è simpatico e coglie l’occasione del nostro passaggio per chiacchierare più che può, le sue giornate passano nella quasi completa solitudine, per i passaggi assai rari di natanti. Con l’aprirsi lento ed inesorabile delle paratoie, simile all’aprirsi dei battenti delle porte di antiche città, entriamo nel Sile. Esso ci accoglie silente, lucido e ceruleo: una meraviglia. Gli argini palizzati sono nascosti dalle bordure delle canne palustri dentro le quali si nascondo i volatili che si palesano con fruscii versi e grida. Anche qui traffico quasi assente, passeranno solo due motoscafi. Una bella brezza ci ristora nel pagaiare 11


all’orizzonte spunta il campanile di Jesolo a dirci quanta acqua abbiamo da fare. Pian piano arriviamo in paese ed imbocchiamo il Canal di Cavetta che dritto come un spada ci porterà al Piave, fiume della Patria. Le rive sono animate dal traffico stradale ma nel canale si sta bene ugualmente. Giungiamo ai ponti mobili ma immobili di Cortellazzo. Sono nuovi, ma un contenzioso tra costruttore e montatore sulla responsabilità del difetto di funzionamento li tiene bloccati. Delle saettanti rondinelle non lo sanno ed hanno nidificato sotto le putrelle del piano stradale e sfrecciano stridendo a caccia del loro cibo. Le spallette dei ponti sono un tripudio di fiori che stendono su noi un arco trionfale, vedere tanti colori ci rallegra. Entriamo nel placido Piave, costeggiamo le sue le rive da cui si protendono giganteschi bilancioni per la pesca che potrebbero trarre squali e balene ma più modestamente con essi si insidiano cefali e pesci d’estuario, il fiume ci consegna al mare. E’ quasi sera, cerchiamo accoglienza per la notte, ma abbiamo la sgraditissima sorpresa di essere respinti dai due campeggi vicini. Il primo si chiama Villaggio Adriatico e lo indico al ludibrio di ogni uomo di mare o di terra. A me diede l’impressione di un immenso campo profughi di lusso. Centinaia di casette, così vicine che se questo scorreggia quello vicino odora. Davanti ad ognuna macchinoni di villeggianti teutonici e dell’Europa orientale, che sicuramente lasciano ogni giorno centinaia di euro nelle casse di questo spremificio turistico. La direttrice, assai nevrotica, ed un proprietario in posa da signorotto plenipotenziario, vedendomi più simile ad un Rom che ad un turista per bene, da ben spremere, ci negano l’accesso con ogni scusa puerile e vergognosa. es. la mancanza di posto che invece c’era e vicino alla spiaggia; alla proibizione di accedere dal lato mare pur in presenza di un ampio varco sorvegliato Non abbiamo tempo per far intervenire le Autorità per pretendere il rispetto dei ns. diritti. Nel secondo campeggio, di nome Waikiki, invece siamo stati soggetti ad un tentativo di vera e propria estorsione Qui il posto “forse c’era” ma per fermarci dovevamo prendere due piazzole e pagare due notti. Auguro a questi estortori di avere il capeggio devastato da un bell’incendio, dove anche loro abbrustoliscano, prima d’andare all’inferno. Questi episodi denotano la mancanza di ogni controllo dell’Autorità sulla gestione dei servizi turistici, e lo spirito di avidità con cui si attende il turista. Chiunque legga queste note, si tenga alla larga dai litorali di Jesolo e metta sull’avviso ogni conoscente che voglia soggiornare in quei posti. Ritorniamo in mare e rientriamo nel Piave cercando un posto adatto all’attendamento vicino ai bilancioni. La buona Fortuna ci assiste, perchè incontriamo il sig. Enrico, il quale depreca con noi il trattamento ricevuto e ci disse che è usuale quel comportamento in quei campeggi. La visita al bilancione svela la amabilità cordiale del Pescatore che si rivela un vero personaggio che ha fatto del suo marchingegno un centro di convivialità. Con le sue 12


conoscenze ci indirizza all’hotel Ungaro posto sulla riva del canale e con un provvidenziale scivolo prospiciente l’entrata. Lo raggiungiamo e pur essendo passate le 21, il proprietario ci accoglie premuroso e servizievole. In breve siamo a tavola con una terrina colma di spaghetti con ogni bendiddio di mare a far da condimento e di sopra ci preparano la camera. Riposeremo bene e saremo sempre grati per l’accoglienza ricevuta ed invitiamo gli amici ad approfittare di questo bell’albergo per i loro soggiorni a Jesolo. DA JESOLO AL TAGLIAMENTO E’ la mattina di martedì 22 Luglio, in questo giorno innumerevoli borghi e paesi festeggiano S. Maddalena e noi ci affidiamo al flusso del Piave per andare al mare. Abbiamo deciso di provare a fare un tratto di tappa in mare per giungere in quel di Bibione. Il mare è calmo e azzurro, il cielo sereno vi si specchia, il sole sfolgora col maggiore impeto dell’anno. Esso corre trionfante nel cielo accompagnato dagli inesausti Cani della costellazione che porta la massima calura alle terre ed ai mari mediterranei, ma un pò di brezza ci allevia dall’ardore solare. Il fascia costiera sabbiosa si dilunga alla nostra sinistra ed ospita una sequela di urlifici litoranei che hanno sede negli stabilimenti balneari. Alle spalle delle barriere coloratissime di ben costipati ombrelloni, si ergono le moli sgraziate degli hotel e degli alberghi, coi balconcini vista mare che mi ricordano, più loculi cimiteriali che spazi vacanzieri. Gli ombrelloni chiusi o vuoti sono molti, segno di assenze turistiche importanti. Nell’acqua cheta, gironzolano i mitici pedalò adriatici; portano a spasso ragazzini che effettuano frenetici dentro-fuori dal mare ai pedalò. Ben pasciuti papà e debordanti madri si godono il dondolio marino ben sdraiati sui sedili di quelle bagnarole . In fondo al litorale si erge lo spauracchio del campanile alto 48 m, della chiesa della Madonna dell’Angelo. Avremo un momento di tranquillità costeggiando Valle Altanea, recintata e bordata da esiguo litorale. Poi doppiamo la diga di Porto S. Margherita e ci godiamo il defilé della scogliera frangiflutti che protegge Caorle, nei cui anfratti bagnanti eliofile si abbronzano e si fanno apprezzare per la loro grazia. Finalmente doppiamo il campanile e pagaiamo verso Porto di Falconera. Da lì a Porto di Baseleghe si estende la riserva naturale di Valle Vecchia. Essa ospita una sorprendente colonia di cigni che si vedono a decine posati sull’acqua col loro elegante incedere. Qui ci prendiamo una sosta per goderci l’ombra dei pini che crescono tra le dune sabbiose costiere. Teniamo sempre d’occhio il mare che si potrebbe alzare per il rinforzo della brezza ma non ci saranno problemi per il reimbarco. Arriviamo così al Porto di Baseleghe. Ci infiliamo nell’estuario del Canal Nicéssolo 13


in fondo allo specchio d’acqua vediamo i primi casoni lagunari, ricostruiti ed esposti come monumenti a ricordare i vecchi tempi della Laguna. Alla ns. destra è un susseguirsi di campeggi e attendamenti Scout, banchine d’attracco costipate da centinaia di imbarcazioni. Consultiamo bene la carta e leggiamo che di fronte al Canal dei Lovi, parte un canaletto della Litoranea Veneta che ci dovrebbe portare nel Canal Lugugnana che porta alla Conca di Bevazzana sinistra, per entrare nel Tagliamento, altro fiume della Patria. Siamo un pò in ansia perchè l’ingresso è nascosto dalle imbarcazioni e un cartello dice che il canale è chiuso. Chiediamo informazioni ai conduttori di un paio di natanti. Le informazioni ci rasserenano: la chiusa è chiusa ma coi nostri kayak è trasbordabile. Ci avviamo nel canaletto che ci ridona tutto l’incanto delle acque remote mentre una bella brezza ci ristora e ci spinge anche un pò. I falaschi fanno palizzata sulle due sponde, li dietro, si sentono i rumori della quotidianità degli uccelli acquatici. Pagaiamo nell’aria chiara e fresca e sull’acqua tranquilla e pulita e confluiamo nel canal Lugugnana. Sull’argine di vedetta una Scout scruta le lunghe acque. Ci interpella per aver notizie di un gruppo di canoe disperse, non le abbiamo incontrate. Consultando le nostre cartine diamo le indicazioni per esplorare il canale da terra. Infiliamo il Lugugnana che costeggiato da una alzaia ci porta allo sbarramento della conca di Bevazzana sin.. La conca è chiusa per i lavori di dissabbiamento e manutenzione delle paratie. Per pochi cm. non riusciamo a passare, infilandoci tra i battenti socchiusi. Ci tocca così, assieme alle squadriglie Scout, qui ritrovate e composte da simpatici adolescenti, dare il via ad un faticoso e laborioso trasbordo, che ci fa accedere al Tagliamento, altro fiume sacro alla Patria. E’ sera e dobbiamo trovare un approdo e un ristoro. Troveremo l’approdo e l’attendamento presso l’area della conca di Bevazzana ds. Il responsabile, sig. Valter e la gentile moglie ci accolgono cordialmente sorpresi del ns. viaggiare. Ci indirizzano al vicino ristorante “Da Gigi” dove ci sediamo per una lunga mangiata di recupero. Anche qui attiriamo la cordiale curiosità dei vicini, che vengono informati, senza vanterie, del ns. itinerario. Da queste regioni parlare del Monviso è parlare di monti esotici. DAL TAGLIAMENTO AD AQUILEIA La notte passa tranquilla. Alle 6,30 di giovedì 22 luglio ci diamo la sveglia ed alle 8,30 ci imbarchiamo, con bassa marea, dallo scivolo della chiusa. Saluti con arrivederci agli ospitalissimi conchisti ed ancora un grazie. Pagaiamo nel canale Tagliamento che ci porterà nella Laguna di Marano, alle spalle di Lignano. Entrati in Laguna ci dirigiamo verso la foresta di pennoni delle barche e vele attraccate nel porto di Terramare. Il sole picchia e lo scirocchino soffia, per cui non usciamo in mare ma stiamo in laguna, ridossati all’isola di Martignano, attraversiamo, con un’ondina dispettosa, la bocca di Porto S. Andrea e pagaiamo ridossati all’isola omonima. Coi Kayak che pescano pochissimo possiamo andare sui bassi fondali, 14


facendo ben attenzione alla bassa marea per non restare incagliati sui vasti banchi di ostriche che li costellano. Pagaiamo con lo scopo di raggiungere Porto Buso. Ci avviciniamo all’approdo, anche per la sosta all’osteria indicataci da Gengis. Poca gente ma contenta d’essere a tavola in un posto così caratteristico. Ancor più caratteristico è il gestore. Nella saletta bar espone una gigantografia di Ceccobeppe Il mitico imperatore Asburgico, ritratto in veste di canuto cacciatore, che osserva il cadavere di un povero cervo, messo in posa ai suoi augusti piedi. Alle pareti calendari encomiastici di Mussolini, nelle consuete pose ducesche, tra il trucido e il tronfio. Indubitabilmente è un’espressione di una nostalgia ben marcata per un passato travagliato e bellicoso. L’accoglienza è cordiale e ristoratrice. Intanto che governiamo le barche, s’accosta alla calata, un inaspettato kayakista, imbarcato su uno splendido sea-kayak, sfavillante da tanto è nuovo. Si tratta di Andrea, detto da noi” di Portobuso” che partito da Grado sta terminando il suo giro ritornandovi. Presentazioni amichevoli e curiose. Ci diamo l’arrivederci, lì dove e quando vorrà il destino. Ben sappiamo che i kayakisti son gente molto ondivaga, e vanno lì dove porta l’ispirazione del momento, ma siccome solo le montagne non si incontrano mai.... Alla ripartenza attraversiamo la bocca a mare di Porto Buso con un forte scirocco che alza un pò d’onda, attraversiamo pure l’antico confine tra il Regno d’Italia e l’Impero Asburgico del 1914. Restiamo in laguna a ridosso delle isole litoranee per sfruttare il ridosso. Passiamo a lato del Casone Pasolini, dove l’intellettuale friulano si ritirava per svagarsi e coltivare in pace i suoi amori. Seguiamo il canale Anfora Vecchia poi quello di Taglio nuovo, per puntare verso NE l’isolotto di Montaron, lo scirocco soffia vivace, per buona sorte, alle spalle, al riparo dell’ isolotto, ci dobbiamo catafrattare con: copri-pozzetto, giacca da acqua, giubbotto di salvataggio. Mettiamo la prua nel vento, e ripartiamo alla volta del campanile di Aquileia, totem-incubo, che è all’orizzonte da tante ore, ma sembra irraggiungibile. Ci infiliamo nel Natissa, le onde dello scirocco son sostituite da quelle dei motoscafi che sfrecciano non sempre col dovuto rispetto per i natanti a pagaia. I ns. improperi e maledizioni li seguono col più sentito augurio di malasorte. Alle 17,30 siamo all’attracco del Club Canoa Kayak Friuli, posto sulla riva ds del Natissa. Solite difficoltà per uscire dall’acqua ma prima dello scatenarsi, dell’incipiente temporale, siamo accolti e messi al riparo dai premurosi Amici del Club. Andremo a pernottare all’Aquila Nera, per essere al riparo dalle trombe d’aria e violenti temporali che imperverseranno, nella notte, su Aquileia e dintorni,. Grazie ai consigli di Fabio evitiamo i disagi del maltempo in tenda. SOSTA AD AQUILEIA E GITA A TRIESTE 15


L’indomani malo tempo in attenuazione. Ne approfitto per andare a Trieste ad acquistare una nuova fotocamera, in sostituzione della gloriosa Optio W5 che da tre giorni non funzionava più. Il blitz ci dà anche una pausa ricreativa. Ho prenotato la fotocamera all’Attualfoto, dove la trovo assieme a competenza e sollecitudine, fatto l’acquisto, ce ne andiamo con i sentiti auguri per il nostro raid. Trieste è una delle città del mio cuore, mi ci trovo bene, mi piace fin dai tempi dei passaggi per le avventurose vacanze giovanili, sulla costa dalmata. La salita al Colle di S. Giusto, per me, è un pellegrinaggio. Stavolta Trieste ci accoglie con un vivace Borino, lo sentiamo solo noi forestieri, non i suoi cittadini. Nelle strade, bella gente, sui lungomare passano giovani donne su lunghe gambe con gonnellini svolazzanti al limite dei bei sederini. In cielo si susseguono: nuvoloni veloci, nubi candide, squarci d’azzurro, lame di sole lancinante, e ombre scure da brivido. Dal treno il mare è da grigio con ochette a verde-blu liscio, a tratti opaco ed in altri luccicante. Questa scappata in città mi ha frastornato. Amo Trieste ma sto meglio nei vasti spazi liberi delle Lagune e nei tratti di mare dove navighiamo. Il contrasto evidenzia la forzatura del vivere contemporaneo, con affannosi ritmi di vita e mete inconsistenti avere tante cose ma a prezzo di poca gioia genuina. Rientriamo ad Aquileia, andiamo al Club per i saluti fraterni e le foto ricordo. I cari Amici canoisti ci fanno ancora le raccomandazioni per attraversare la laguna senza restare prigionieri dei bassifondi della bassa marea. DA AQUILEIA ALLE BOCCHE DEL TIMAVO L’indomani è una bella giornata e con allegra pagaiata discendiamo il Natissa per riprendere la via della laguna ed entrare in quella di Grado, insidiosa per i bassi fondali, irti di campi di ostriche dai meanti gusci taglienti, a fior d’acqua. Essere in questa laguna, sembra di essere ai tropici. Le isolette boscate, ricordano gli atolli esotici folti di palme. Nelle acque limpide lucide e tranquille, si specchia un esteso cielo azzurro. In questo estivo cielo azzurro vagano decorativi candidi cumuli. La luce radiosa del sole è resa piacevole da una carezzevole brezza di mare. Guardiamo l’orizzonte dove si staglia la lunga linea scura della strada che porta a Grado e ripercorre quella romana antica. Tra l’isola di Ara Storta e quella della Volpera siamo indirizzati dall’andare di qualche motoscafo e dal girovagare di un pedalò a motore che porta zonzo sull’acqua una coppia di simpatici pensionati, con questo singolare natante, percorrono senza fatica i paraggi del campeggio dove sono stanziali. Abbiamo conferma da questi affabili “pedalotisti a motore” che il varco della Figariola è praticabile,e possiamo evitare di passare da Grado. Avvicinandoci alla strada, assistiamo al passaggio spettacolare di centinaia di policromi saettanti ciclisti, impegnati in una delle innumerevoli gare amatoriali del nordest. 16


Sottopassiamo la strada nella penombra e ci affacciamo sullo splendido specchio, dal brutto nome, del Paludo della Carogna, in mezzo al quale si erge il campanile del santuario di S. Maria di Barbana, meta della sosta di mezzogiorno. Ci accostiamo all’isola e sbarchiamo,è un’oasi d’ombra e frescura. Nel giardino c’è un piccolo monumento dell’ANMI ad Angelo Rizzo, intrepido marinaio nella prima guerra mondiale. Sempre nel giardino incontriamo un altro personaggio, ma pio, trattasi di un frate, padre Fulgenzio, del convento francescano che custodisce l’antico Santuario. Vivace e comunicativo ci porge un cordiale benvenuto, poi va ad accogliere un gruppo di pellegrini sbarcati dal traghetto. Viene a far la nostra conoscenza anche un ragazzino, che si infervora a raccontarci la sua attività canottiera per la società S .Giorgio, gli auguriamo splendidi successi per il suo futuro d’atleta. S’accosta pure un pescatore dilettante esibendo un’eccezionale branzino di parecchi chili. Ci godiamo una pausa ristoratrice veramente benefica, arricchita di un tonificante caffé. Visitiamo anche la bella chiesa del Santuario, dove gli ex-voto, testimoniano la riconoscenza per grazie ricevute, in guerra ed in pace, dalla Madonna che lì si venera da molti secoli. Ripartiamo rinfrancati pagaiando alla ricerca dell’imbocco del Canale di Primero, che sinuoso ci porterà all’omonima Bocca, che sfocia in mare. Qui sostiamo e consultiamo le carte nautiche. Osserviamo il tempo verso terra e verso mare, valutiamo il vento; il tempo è instabile, con nuvoloni sull’Istria, a noi prospiciente, nuvole vaganti sul Friuli, brezza dal mare, il barometro è stabile dovremmo avere il tempo di allungare la tappa, lasciamo le lagune ed usciamo in mare per andare a Sistiana, dove al Villaggio del Pescatore, abbiamo approdo e attendamento nell’area degli amici del club Friuli. . Pagaiamo, fino al Banco del Becco, su un basso fondale dove la navigazione ad altri natanti è preclusa, , sul fondo sono arenati tronchi d’albero, fluitati in mare dal vicino Isonzo i loro branchi spuntano dall’acqua ,su di essi s’appollaiano i cormorani e stendono, al sole ed alla brezza, le ali per l’asciugatura, Essi ci guatano evoluendo sul lungo collo la testa rostrata, non li allarmiamo ed essi non fuggono. Giungiamo infine alla foce dell’Isonzo, altro fiume sacro alla Patria, le sue acque cerulee scivolano quiete in mare. Le risaliamo un pezzetto, per tagliare Punta Spigolo ed accedere al Golfo di Panzano, in fondo al quale svettano le ciminiere di una qualche centrale. Artigliano il cielo, i bracci delle gru ,del cantiere navale. Che emozione siamo all’estremo nord del golfo di Trieste che occhieggia distesa sulla costa istriana, col bruno colle di S. Giusto che la domina. Domani la raggiungeremo. Oggi bisogna raggiungere la nostra meta, che è dinnanzi a noi al di là del golfo, decidiamo di attraversarlo, prendendo di mira il bel castello di Duino. Avremo un bel fastidio dall’incredibile risacca alzata da innumerevoli scafi che striano di schiuma tutto quel mare in un andirivieni senza meta. Intanto il meteo fa

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prevedere un temporale e ci dobbiamo affrettare, come noi s’affrettano anche decine di imbarcazioni che vogliono rientrare al sicuro nei porti. Per attraversare il canale di rotta, percorso dalla colonna di barche, ci sarebbe voluto un semaforo. Entriamo nelle foce del Timavo, il più corto fiume d’Italia ed uno dei più suggestivi. Su di esso c’è un progetto di bonifica e ri-naturalizzazione, perchè ben poco si percepisce delle sue caratteristiche uniche. Sbarchiamo dinnanzi ai rovinosi capannoni del Villaggio del Pescatore, che per debolezza di fondamenta stanno sprofondando nelle antiche paludi della foce del Timavo. Ci accampiamo sotto gli scafi rovesciati degli “Optimist”, da noi disposti ad embrice per riparare le tende dall’acquazzone, prossimo venturo, dell’incipiente tronituonante temporale. Avremo il tempo per rifocillarci e disporci per la notte, nel frattempo intercorrono alcune telefonate con l’amico Fabio Lucidi per pagaiare insieme, l’indomani, nella tappa che ci porterà a Trieste. DA BOCCHE DEL TIMAVO A TRIESTE Sono le 10 di lunedì 26 luglio e Fabio arriva all’imbarco del Villaggio dei Pescatori, con uno splendido kayak in legno autocostruito. Ci accompagnerà fino al porticciolo di Grignano. Intanto che si chiacchiera, sfilano le falesie del castello di Duino, poi quello di Sistiana, passiamo davanti allo sventramento della cave di Aurisina. Intanto il Borino dispettoso si mette a soffiare ed incominciamo a ballare un pò doppiando il capo di Miramare. Il celeberrimo e scenografico castello sporge candido sul mare, con tutto all’intorno piccoli festoni di bianche onde. Scrupolosamente ci allarghiamo in mare, per non pagaiare nella zona di assoluto rispetto della Riserva Marina gestita dal WWF, da parecchi anni, con grande passione e pochi mezzi, in modo encomiabile. Sono importanti i risultati scientifici raccolti, in particolare sulle conseguenze del cambiamento climatico in atto. A terra il faro-monumento di Barcola, segna l’inizio di Trieste città, la ammiriamo con le quinte degli stabilimenti portuali che occupano tutto il lungomare, facendo risaltare il colle di S. Giusto dove sorge la cattedrale, a cui va il mio sorriso e la gioia del mio cuore, di esservi...quasi giunti. La nostra meta sarebbe l’approdo al lido del campeggio di S.Bartolomeo al Lazzaretto di Muggia. Ma ahimé, il vento aumenta, e durante la sosta a Barcola saremo costretti a domandare ospitalità al Club dei Gommonisti, che nella persona gentilissima del Presidente Giorgio ci viene amabilmente concessa. Ci indirizzano poi al vicino albergo del “Tritone”. Qui veniamo accolti cordialmente dalla Orietta, che ci introduce nell’ospitalità di questo particolare albergo. Esso è gestito dai soci di una cooperativa formata da persone che un tempo sarebbero state internate, per i loro problemi di salute mentale, nel locale manicomio. A ricordarlo è presente nella hall un’imponente pianta topografica. Mi vengono in mente, l’amico Carlo, che fu il 18


braccio destro di Basaglia, e gli ex-ospiti del manicomio di Racconigi che la Kayak-Explorer porta sul Po, durante una giornata che cerco di non perdere mai. Nel vicoletto che porta all’entrata si radica uno dei più belli ed imponenti glicini che abbia mai visto. I suoi sarmenti si inerpicano sull’edificio e si estendono a coprire e profumare la terrazza comune. Sostarvi sotto e rimirare il lucido mare ci fa passare la stanchezza della giornata. RIENTRO DA TRIESTE E RIPARTENZA Intanto Marco, il mio fido compagno, ha ricevuto la bella notizia che s’attendeva dalla partenza: Matilde la sua prima nipotina è nata, bella e placida come la mamma. Incontenibile la gioia, fremente il desiderio di abbracciarla con la neomamma ed il figlio neo-papà. Resta il problema di interrompere il raid o no? I due desideri lo travagliano: vedere la nipotina o terminare il raid. Io gli dico :”La tua prima nipotina nasce una volta sola, mentre l’’Istria non si muove, ed avrai sempre tempo a tornarci”. Lo rassicuro anche sulla mia intenzione e capacità di continuare il raid da solo. Poco dopo telefona all’amico Felice per la logistica di recupero a Trieste da Torino, perchè a noleggio non si trovano veicoli con barre portatutto per i kayak. Felice, vero “Volante di ferro”, guida tutta la notte, ed eccolo alle 9 del 27 luglio a Trieste, un abbraccio una sosta poi, al Club dei Gommonisti, facciamo il carico della roba di Marco, la mia mi viene ospitata nella sede. Ancora una volta grazie alla gentilezza impareggiabile del Presidente Giorgio. Marco raggiunge la famiglia, io casa mia. Il dì seguente, un pò spaesato, mi preparo la nuova logistica. Mi carico sulla furgonetta, la bici MB, la minicucina, la cambusa, equipaggiamento vario e via per la ripresa del Raid. Nella riorganizzazione, mi viene opportuno, recuperare le tratte del Po che erano in sospeso per il “malotiempo” che in primavera impedì di percorrere le tappe propedeutiche, e per il termine di gestazione della mamma di Matilde, che condizionò il periodo di disponibilità di Marco. L’esperienza di “Old man river’s”, di biker, di climber, ecc. mi facilità la riorganizzazione. Infatti, eccomi il 29 luglio pernottare al ponte di Valenza. Il 30 spola con Balossa Bigli per lasciare la bici alla “Tana del Lupo” che fu punto tappa nel 2001durante Raid Torino-Venezia, fatto, con gli amici del Canoa club di Ivrea. DA VALENZA A BALOSSA BIGLI Alle 9 mi imbarco a valle del ponte, tra i barcè, tipiche barche di questo tratto fluviale. C’è foschia, quasi nebbia, il fiume mi riprenderebbe col suo fascino ma di lì a poco, spuntano dalla bruma mezza dozzina di palazzacci ed un tozzo campanile. 19


E’ in questo modo orrendo che dal fiume vedo Valenza. Fluito amareggiato e guardo oltre. Finalmente mi vengono incontro scenari pieni di fascino; un’altro campanile dà le ore con lenti rintocchi. Casine, civettuole come cottage irlandesi, si affacciano dalle rive. Le brume pian piano svaporano, la visibilità s’allunga e la suggestione aumenta, il grande fiume è ammagliante. L’oriolo arzigogola il suo canto, una melodia semplice e ripetuta incessantemente per attrarre le femmine con la valentia del suo gorgheggio. Ne risuonano le fronde dense delle fitte pioppete rivierasche che incanto. Anche altri uccelletti rigano il silenzio coi loro cinguettii, mentre il sole mette in moto l’aria. Un vento incomincia a scorrere contro corrente, la brezza termica conferma il mio vecchio adagio: “Fiume d’acqua, fiume d’aria”. Il cielo rischiara e le nuvolette vagano leggere nell’azzurro. A valle il primo riferimento è un ponte, esso non arriva più, “Ma un incantesimo l’ha fatto sparire?”, in effetti era più avanti di quanto stimassi. Poco prima della confluenza dell’Agogna, accosto e faccio un bagno dentro una fresca pozza d’acqua sorgiva. Mi riavvio ed in breve sono in vista del grande ponte di Balossa Bigli, che scavalca il fiume con numerose potenti arcate d’acciaio che risuonano, con grande frastuono, al lento passaggio di lunghe carovane di veicoli pesanti ed automobili. La mia sosta è alla “Tana del Lupo, una rustica trattoria. E’ sulla riva del Po, sopra al primo terrazzo alluvionale, viene lambita dalle piene normali ed alluvionata in quelle eccezionali. La Tana mi ricorda la trattoria di Mauro e Ida ai Mottura di Villafranca. Balossa Bigli è una frazione appartata, che per raggiungerla devi sapere dov’è, vale la pena cercarla per l’ospitalità di cui puoi godere alla Tana. La mandano avanti quattro donne, esperte ed efficienti esse servono buon cibo cucinato alla casalinga vario, gustoso e...abbondante: apre il pasto una sequela di antipasti, seguono due primi, tre secondi piatti guarniti di contorni, il vino è di buona beva. o alla spina o in bottiglia. Ristorato dal pranzo, parto per il recupero, inforco la bici e....subito foro. Ma dopo mi godo una bella pedalata tra le risaie della Lomellina, tutta verde di un riso bambino tenero ed incantevole. Al ritorno con la furgonetta, faccio dei bei giri, tra Tortonese, Alessandrino e Vogherese. Il cielo è terso con cumuli candidi e spettacolari, l’aria è vivificante, dalle colline ammiro dei bei panorami, sono una bella sorpresa. Dalla riva del Po il tramonto è struggente: nuvole bigie distese, l’orizzonte colorato di giallo-rosa è quietamente luminoso. Poco a poco, cala la sera, si affievolisce la luce, si smorzano i colori. La quiete e la pace giungono a ristorare la cura del giorno. E’ l’ora di cena, in sala siamo in diversi. I giovani sono due, una coppia. Lui tenero ed alto, lei radiosa di grazia propria e dell’età risaltata da una cura di sè che le dona. Gli altri: per lo ex giovani in coppia, una sola bimba, un solo single, io. 20


DA BALOSSA BIGLI A PONTEBECCA E’ il 31 luglio, è sabato,mi alzo presto e porto la bici al Pontebecca. Qui tutto è ancora silenzioso e fermo, anche le barche ancorate a riva sono immote. Torno alla Tana del Lupo, mi imbarco per la discesa che sarà incantevole. Son allietato dal tempo estivo con cielo chiaro e nuvole candide e svagate. Percorro lunghi tratti solitari affiancati da chilometrici morbidi sabbioni , sopra i quali stanno a riposare i draghi del fiume, con corpi sinuosi di tronchi, arenati sulle sabbie, al ritirarsi delle piene. Spiazzi tranquilli ospitano stormi di gabbiani, di garzette, di cormorani; vi si toelettano in santa pace , io vedo non inquietarli e passo discosto. Sulle alte e lontane rive, gradevoli quinte di salici e pioppi separano lo spazio fluviale, dalle terre di golena e rendono magico il mio andare sul fiume. Dopo la discesa in kayak, il recupero in bici, sarà una dura pedalata a causa di un ponte chiuso per “riparazioni”. In compenso, ebbi l’occasione di rallegrarmi della meravigliosa campagna dell’Oltrepò. Attraversai un rosario di paesini all’antica, dignitosi, curati. Sono abitati da gente serena, con me affabile e gentile, sia che mi presenti in un bar, per bibita e informazioni, sia che mi riposi, sulle panchine di una ombrosa piazzetta municipale, in compagnia di coetanei che prendono il fresco. Fa bene al cuore essere ben accetti in un posto lontano e sconosciuto. E’ sera ed ho lasciato a malincuore La Tana del Lupo,ora sono alle “Robinie” per la cena. Sono sulla terrazza prospiciente il Ticino che scivola, placido, lucido e verde verso il Po per rinvigorirne il flusso con le proprie acque, io mi rinvigorisco con un buon ristoro. Oggi arrivando in vista del ponte , son andato in confusione tra un: “E’ lui” ed un “Non è lui” e “Ma che ponte è quello?”. Non rammentai che il Ticino affianca, per un lungo tratto, il Po, separato da questo da un lungo sabbione che spezza in due tronconi anche la vista del ponte. Quand’esso mi venne visibile in tutta la sua lunghezza, tutto mi ridivenne chiaro e ne fui felice, erano le 15,30. Sbarcai agevolmente tra compatti gruppi famigliari di immigrati di diverse etnie con tanti bambini che sguazzavano liberi e felici nel fiume. VISITA A PAVIA E’ il Primo Agosto ed è domenica. Oggi niente tappa farò festa,i vacanzieri in giornata arriveranno a destino e lunedì io potrò ritornare a Trieste con meno traffico. Nella notte ho dormito a rate, per il rimbombo della vicina discoteca, ma all’alba i giovani si ritirano ed io recupero un pò di sonno. 21


Alle 7 sveglia avvio morbido della giornata e poi via in bici a Pavia .Arrivo in centro e mi siedo ad un bel déhors sulla piazza della Vittoria , ben disposto allo svago: giornale alla mano, caffé e brioche sul tavolino ed un bel sole che allieta. Pedalonzolo per la città storica. Imponente il castello, integro mai usato, Ancora ,più imponenti e sovrastanti, le moli delle immense chiese. Dai loro elevati campanili una cacofonia prorompe nell’aria. Ogni campana, campanone, squilla e quant’altro di bronzo rimbombante vibra e si scuote, i colpi piombano come mortaiate nelle vie e nelle piazze tutto il centro ne rintrona. Il bombardamento sonoro dura una decina di minuti, per replicarsi senza affievolirsi, poco dopo, prima con i solenni rintocchi delle ore, poi per l’annuncio del mezzogiorno. Pedalando a naso, scopro, in fondo a vie strette, snelle torri di laterizio che si ergono a stelo su case e palazzotti e chiese minori. L’intreccio viario mi porta in vicoli curvi, su stradette a saliscendi ed in piccoli slarghi segreti, alternando scorci assolati ad ombrose penombre. Numerose le piazze ed i giardini. In ognuno, un monumento, una stele, un ricordo. Impressionanti sono le lapidi con i nomi, fitti come elenchi telefonici, che ricordano le centinaia di giovani Caduti nella Grande Guerra. Un’altra vicina, altrettanto imponente ma meno fitta di nomi, ricorda ed esalta i Partigiani caduti nella Guerra di Liberazione. Un grande palazzo ha il pianterreno occupato da una grande libreria si chiama “Librando”, per me che sono un bibliofilo è un nome evocativo e fantastico. Ha di tutto: libri in lingua russa, libri d’epoca, recenti e curiosità. In vetrina si trova, una copia del “Corriere dei Piccoli” del 1928, ed anche, un pregevole volume sull’ampelografia e coltivazione della vite, in provincia di Cuneo, tra ‘800 e ‘900. Peccato che sia domenica e la libreria sia chiusa e si possano curiosare solo le vetrine. Nel mio giro velocipedistico giungo alla piazzetta omonima che ospita il monumento ai f.lli Cairoli, è imponente e cupo, alleggerito appena dalle aiuole che lo circondano. Al centro si erge un obelisco, lucido e nero che ha un che di funereo. Il mio pomeriggio è fluviale. Il Ticino scorre tranquillissimo, verde e luccicante. Il Po, scorre separato dalla massiccia duna sabbiosa e fa vita a se. Poco prima e poco dopo il ponte della Becca, gruppi di bagnanti godono il sole o si tuffano. Si gode il pomeriggio anche la tribù di slavi: i ragazzini sguazzano a più non posso, i grandi giocano a scacchi, le donne stanno sdraiate od accoccolate parlottano tra loro, accudiscono i più piccoli e gridano ai più grandi.

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Metto in acqua il kayak e gironzolo un pò per il Po ed un pò sul Ticino, faccio un primo bagno. Prendo il sole, dormo, ed infine una bella lavata all’antica: sapone di Marsiglia ed acqua corrente di fiume a temperatura ambiente. Sono le 18, riattraverso, sbarco e recupero il kayak in pochi passi. Modifico un poco il disordine nella furgonetta e vado a cena. Sono ancora alle Robinie, ancora a specchio sul Ticino, ancora ad ammirare, gli occhi scuri e profondi, della ragazza di sala, ancora a gustare un ottimo rinfrancante menù. Una telefonata a sorpresa con la zia Maria mi ricollega al Piemonte, m’informa che stanno bene e che a Monesiglio fa caldo ed ai Freisa si sta meglio. Con zia Maria ho l’ultimo legame diretto con l’amatissima terra dei miei Nonni materni, epica per il mio vissuto in terra di Langa. Domani tornerò a Trieste e avrò fortuna, sia per il viaggio, sia per poter immediatamente andare dalla Barcola al Lazzaretto e fare il recupero con autobus di linea. Mi son goduto di nuovo tutto il meraviglioso dispiegarsi della città di Trieste, lungo il mare e sui colli da cui la cattedrale di S. Giusto domina e protegge la città. LAZZARETTO- IZOLA- SDRUGNANO - LAZZARETTO Martedì 2 e mercoledì 3 agosto. L’Istria è meravigliosa. Ha tre colori: blu, verde ed ocra, un profumo: resina di pini e cipressi, ed una cosa ,la luce. Ieri ero, nel golfo di Koper, su un mare di madreperla, scivolavo sulla sua superficie lucida a riflesso della luce del cielo, la mia ombra scorreva sul fondo fendendo innocua: posidonie, granseole, oloturie, pinne nobili e pesci guizzanti Una breve riva fa da cornice a falesie d’arenaria brune ed ocra che si ergono coronate e festonate dalla macchia di pini e cipressi; sembra d’esser sotto le rocche del Roero. E’ tutto piacevolmente evocativo. Il tempo mi è amico,il temporale lo ha fatto stanotte ed oggi con prudenza potrò scendere a Sdrugnano. La vista sulla piccola baia è incantevole, nel cielo blu, spazzolato dalla poca bora, stazionano pacifici i bianchi galeoni delle nubi. Tutto il mare è splendente di luce. Tutta la costa è verde di pini, di viti, di ulivi e cipressi, a filari, a boschetti o solitari dentellano i profili. Tutto è talmente bello che mi commuovo. Mi metto in mare e costeggio la non solitaria costa. E’ tutto splendido ma non c’è la solitudine; questa è la differenza tra l’Istria ed altre coste. Qui non c’è metro senza qualcosa o qualcuno. Mi estasia, la sosta sotto le falesie che corrono da Sdrugnano fino al promontorio di Pirano, dove svetta l’antico campanile veneziano. Dall’alto scende la brezza che porta il sapido profumo delle cangianti fronde dei pini d’Aleppo, ho un vertiginoso

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salto evocativo in un altro tempo, in altro luogo, rivivo le emozioni primarie della età dell’innocenza che non mi hanno mai abbandonato. SPOSTAMENTO DA LAZZARETTO A PORTOROSE Il 4 agosto è martedì, sposto il campo dal Lazzaretto, a Portorose al camp “Lucija”. Ottima e amichevole accoglienza.. La gestione pratica è affidata a giovani operatori che si mettono veramente a tua disposizione, efficienti, competenti e condividenti. Mi stabiliscono a soli venti metri in riva al mare. proprio come avevo chiesto. Mi avranno adottato come uno zio, di bianco pelo, di pelle dura e scura; come non ne arrivano spesso da distanze che appaiono esotiche. Li ammiro affettuosamente. Oggi non navigo ed ho tempo per riflettere. Un viaggio-impresa, è una cosa; un viaggio d’esperienza è altra cosa, diversa. Per il primo, hai una meta e raggiungerla presto e bene è lo scopo. Per il secondo, puoi stabilire mete successive , un itinerario che ti prometta occasioni e situazioni da cogliere. Il viaggio impresa ti si impone, il viaggio esperienza ti si propone. Questo raid però lo dovrò finire, vedendo d’esser capace di gestirlo. PORTOROSE - PIRANO - CAPO SAVUDRIA - PORTOROSE Giovedì 5 d’agosto, con poca fatica mi imbarco dal lido prospiciente la mia piazzola, sono le 10.30. Il tempo è ambiguo. C’è afa, il mare è oleoso, il vento assente, strati immobili velano il sole, il barometro stabile , la tipica quiete inquietante. Mi muoverò per mete successive con attenzione vigile al meteo. Attraverso la baia e vado a bordeggiare Portorose, guardo dal mare: alberghi storici e megahotel contemporanei, il lungomare e trafficato e palmato. Il mare è un olio e costeggiando la riva vado alla punta di Pirano, fin sotto la falesia ,che sostiene il campanile congiungendomi col tragitto effettuato da Sdrugnano. Delle canoe sit-on top mi accostano e scambio sorrisi e saluti coi giovani che le portano. Il tempo tiene, non s’è alzato il vento, il mare sottocosta è liscio, al largo non c’è onda, da terra nessun segno di cambiamento. Tornato al capo di Pirano allungo lo sguardo sul Capo Savudria, è il mio “capo Horn”, ovvero il punto più critico dell’Istria occidentale. Non per nulla son giorni che attendo il meteo favorevole. Gia la volta scorsa fummo insidiati da temporali e colpi di vento, restammo un paio di giorni ad attendere un meteo benevolo per poter proseguire nel giro dell’Istria. In questo raid son quattro giorni che rimiro da lungi la meta agognata. Valuto che potrò farcela, se il tempo cambia, le rive sono vicine, dunque metto la punta verso capo Savudria e parto per la traversata del Golfo di Pirano. Il mare è deserto, i palazzoni di S. Lorenzo minuscoli, la pagaiata è deliziosa per la solitudine di cui posso godere. Tutta la calata della costa è rocciosa, a stento con un fremito l’onda s’abbriva e 24


bagna una stretta striscia rocciosa di riva. In queste condizioni posso serenamente costeggiare la bassa penisola solitaria, e m’avvio verso il capo. Nessun frangente mi segnala onde accorrenti dal largo e nemmanco incrocio di correnti costiere, così posso raggiungere l’estremità della penisoletta. La prudenza è la mia prima consigliera, andando da soli bisogna metterla tre volte; una volta per badare a te stesso, una seconda, per sorvegliare l’ambiente, la terza per affrontare gli imprevisti Analizzo il meteo intorno a me e non vedo segni di cambiamento, e posso proseguire in sicurezza, fin sotto alla torre bianca del faro radar che vigila sul mare. Non proseguo fino al porticciolo di Savudria vicinissimo, perchè il tempo quieto ma inquietante, dev’essere ascoltato e non sfidato. Ripercorro la costa al contrario per addentrarmi, nella baia di Pirano, in direzione delle saline di Sicciole. L’istinto mi suggerisce di non far soste, avrò tempo al camp per riposare e rifocillarmi. Giunto all’altezza di Kanegra, camp nudista senza spettacolo, viro ad angolo retto per attraversare il breve braccio di mare fino a punta Seca, e doppiato il capo, in breve, raggiungerò l’approdo d’arrivo. Valutai bene tutta l’escursione sbarcando mezz’ora prima dell’arrivo, alle 15, del temporale. Si scatena in pochi minuti, un fresco vento di mare, spinge dal largo onde e frangenti vivaci che si rincorrono fitti fino a riva. Nell’acqua gli acquascooter ed i motoscafi saltabeccano sui frangenti. I giovanissimi colgono l’occasione per giocare con tutta la loro esuberanza nell’acqua agitata, finché il tempo incupito, scoppi di tuoni e le saette che piovono poco al largo, li inducono ad uscire,mentre io entro nella furgonetta come in un bivacco alpino. Sopra il tettuccio metallico i goccioloni rimbombano e il fitto della pioggia scroscia. Mi allungo e mi appisolo, che bello. In poche ore il meteo si calma, si inverte il vento, ora spira da terra e spiana il mare e spinge nuvole spettacolari a dare un eccellente rappresentazione del tramonto. Finita la pioggia vado a camminare sulla nuovissima che porta alle saline che ora sono parco naturale il confronto col litorale muggese è impietoso: qui tutto nuovo, ben fatto pulito, le murate frangiflutti ben ordinate sono in massi regolari della luminosa Pietra d’Istria, le calate in acqua sono comode e sicure, ci sono panchine per il riposo e lumi per la notte. A Muggia i massi frangiflutti sono accatastati contro la massicciata della strada e per sdraiarsi c’è il muretto stradale, con le auto che ti fanno la barba. La nuova area balneare è stata fatta riempiendo a mare un tratto di litorale con terre di risulta. Esse provenivano da un vecchio cantiere navale, riconvertito a porticciolo privato e borgo “tipico” di seconde case. Solo che si è scoperto che il terreno è contaminato da materiali tossici e nocivi, tra cui la diossina. Ora è sotto sequestro in attesa di una bonifica a spese pubbliche. Le previsioni meteo dei giornali e quelle che ricevo dall’Italia non prevedono bel tempo per domani, ne approfitterò per spostare il camp a Umago e fare un sopralluogo fino a Pola. Dai calcoli fatti mi aspettano solo più cento km. La decisione fu giusta ed evitai mal tempo e temporali, potei visitare Pola, prendere 25


contatti con la locale associazione canottieristica per l’arrivo, dopo che a Stoja con scuse varie non trovarono posto né per la mia bici in deposito né posto per la mia tendina. A quel camp furono bugiardi ed inospitali, ma mai come a Marna di Jesolo in Italia. Ebbi modo anche di scoprire che Pola è una cittadina dal traffico veicolare intasato, ma avevo la bici e con quella, fermata la furgonetta in periferia, l’ho girata tutta. Ho visto da vicino, con grande emozione, l’Anfiteatro romano, è bellissimo. E’ costruito in chiara pietra d’Istria, sabbiata dai secoli, coi fornici degli innumerevoli archi che occhieggiano nel vento, ognuno incornicia un pezzo di cielo azzurro e luminoso. Il mare fa da specchio alla luce, la riverbera, dal basso in alto sul monumento, accentuandone l’imponenza. Solo il Pont du Gard in Provenza, famoso per la sua triplice arcata sovrapposta, è così luminoso e imponente. Gia laggiù ebbi la forte emozione di passare, in kayak, sotto gli archi potenti. Mi immagino anticipatamente l’emozione che avrò quando arriverò qui ed approderò ai piedi dell’anfiteatro. Rientro ad Umago, contento ed ottimista. Sono ospite del vasto ed accogliente camp “Stella Maris”, mi fanno compagnia: una famigliola olandese con due bambini, ed una torma di esuberanti giovani tedeschi, in vacanza organizzata dalla loro associazione .Il loro accampamento, di grosse tende a casetta, è disposto a cerchio, tutto lo spazio è cosparso di tavoli, come in un” garten- bierrerei” bavarese. Anche l’attività è simile, mangiate e bevute, pressappoco a ciclo continuo per circa sedici ore al giorno. Il riverbero della loro vitalistica esuberanza giovanile giunge ed allieta anche me, che sono, per loro, il nonno dei mille km. DA NOVIGRAD AD UMAGO E’ il sette di agosto, faccio l’elastico da Novigrad ad Umago. All’imbarco, avvenuto accosto alla recinzione dell’area portuale, un gentile e graziosa mammina mi aiuta a barellare il kayak, un aiuto non necessario ma che mi ha fatto piacere per l’attenzione dimostratami. Pagaierò per due ore e mezza. Mi godo una bella giornata, luminosa, con la giusta brezza, lungo una costa piacevole, quasi tutta occupata dai camp, che mi sembrano eccessivamente vasti, per la gente che vedo. Tutto è sempre bel verde e piacevolmente arborato. Dalle colline della dorsale istriana, continuano ad affacciarsi dei cirri, mi danno un pò di apprensione, ma poco manca ad entrare nella baia di Umag ed a togliermi dalla maretta della costa scoperta, per accostarmi all’approdo a sud del paese. L’acqua è limpidissima, poco discosto da riva, dei ragazzi si tuffano instancabili, da una piccola piattaforma che per loro sarà un’isola del tesoro. A riva, bambinelli insidiano coi loro retini, vigili granchietti e guizzanti pesciolini . A terra, sul prato, coppie e gruppetti prendono il sole e si godono la brezza: chi stesi proni o supini, chi deambulanti, chi sdraiati sui lettini prendisole o assisi nelle sdraie a leggere o dormicchiare. Poche le auto che 26


passano. Una villetta prospiciente ha il giardino chiuso da un robusto cancello di ferro, applicato su questo, un enorme astice in rame battuto è messo di guardia. Deve aver sostenuto degli scontri cruenti, perchè manca della chela destra, ma fermamente continua a vigilare ed a dissuadere gli estranei. Sulla battigia rocciosa sono infissi vecchi pali contorti a consunti, testimoni di un passato barcaiolo e peschereccio, quando alle loro estremità vi venivano appese le imbarcazioni per sottrarle ai marosi. Mi rassetto, ricovero il kayak e con una lunga passeggiata vado al camp per prender la bici e fare il recupero della furgonetta a Novigrad. Bella pedalata su strade a saliscendi con traffico moderato, i panorami agresti della campagna mi rallegra, lungo le strade minori qualche albergo offre ospitalità e sono molte le casette, le villette circondate da giardini esuberanti. Al mare, ci si accosta ogni tanto, e si vedono dei begli scorci. Finalmente sono al recupero ad Umago. Mi accampo all’ombra di bei pini silvestri e, con la brezza olezzante, i grilli trillanti e le cicale frinenti ed uccellini che frullano e cantano, mi ristoro e mi riposo; mi godo una gioia, quieta e profonda, che mi scende nel cuore. DA SAVUDRIA AD UMAGO L’indomani è domenica 8 agosto. Mi sveglio presto, poi via per Savudria. E’ una piccola località, una chiesa, poche case, un bar, un porticciolo e non ancora sconvolta dallo “sviluppo turistico”. E’ come ritrovare un angolo di riviera di anni or sono. Sono le 6,30 ed è ancora tutto tranquillo,c’è un buon scivolo per entrare in acqua. Intanto che armeggio per imbarcarmi, s’avvicina un marinaio in pensione, si informa su cosa faccio, e come tutti, prima non capisce bene, poi si complimenta perchè noi pensionati abbiamo grinta e forza di carattere. Si lamenta ancora dei giovani per i difetti che dimostrano e porta ad esempio le assurdità delle notti bianche che essi trascorrono nelle discoteche frastornanti della costa, che disturbano, coi loro rimbombi, le sue notti. L’uomo è stato marinaio di lungo corso ha navigato così tanto da compiere molte volte il giro della terra. Ha attraccato in ogni porto del mondo, facendo viaggi di pochi giorni, tra i porti d’Europa, fino a parecchie settimane solcando i grandi Oceani. Mi cita ancora una sequela di porti che gli ricordano gli anni del suo lavoro e quelli belli della gioventù. Mi spiace dovermene andare, ed interrompere questo suo “amarcord” di racconti. Alle 7 parto. Pagaio tranquillo su un mare quieto vuoto e silente. In poco tempo sono allo sbarco di Umago ed alle 10.30 sono al check-out del camp. In seguito, recupero il kayak, pranzo e pennico beato, più tardi mi sposto ad Orsiera,dove nei prossimi giorni farò base. Tento nei camp, ma ricevo risposte negative, un 27


kayakista di mare non rende quanto un turista, al quale vengono riservati i posti liberi, sarà un occasione per risparmiare kune. Ad Orsera c’è un vecchio cimitero bellissimo. Si trova vicino al mare, circondato da una area prativa ombreggiata da grandi pini silvestri. E’ chiuso da un bel muro che dona serena intimità, è ornato al suo interno da secolari cipressi, sani e vigorosi, svettanti nelle brezze marine. Vi riposano generazioni di genti italiche, estrema testimonianza di un passato sconvolto traumaticamente dalla diaspora degli Istriani. Le sepolture più recenti testimoniano invece il corso etnico degli ultimi decenni. Non vi è traccia di abbandono né di oblio. Io visito con curioso interesse i cimiteri delle località in cui mi trovo, sono un compendio della storia della gente che ci è vissuta e che ci vive; sovente sono delle belle oasi verdi. Inoltre vi si trova sempre: parcheggio, acqua, servizi ed è ovvio tranquillità. In questo di Orsera, anche acqua calda e prese elettriche per le ricariche delle batterie. Sono fortunato, di fronte al cimitero una stradina s’addentra nel bosco. Il bosco di querce, pini, frassini ecc., lambisce dei prati, sopra a questi una collina, sulla collina , c’è solitario, un grande ed antico edificio, grigio muto e vuoto. La stradina porta ad una vecchia cisterna e termina con uno spiazzo che potrà ospitarmi per le notti. Sarò in posto tranquillo e potrò riposare nella natura genuina della macchia istriana, con acqua e servizi accessibili ed il mare vicino ed abbordabile. Mi accampo salto in bici e vado ad Orsera per i rifornimenti. La cittadina è graziosa, la parte storica, abbarbicata come un’acropoli è gradevole, sul culmine svetta l’immancabile campanile veneziano. Il quartiere rivierasco è un manicomio. DA NOVIGRAD AD ORSERA Lunedì 9 agosto, sveglia antelucana ai primi gorgheggi degli uccellini. Incateno, sulla riva del mare, la bici al grande tronco di un pino silvestre e parto per imbarcarmi a Porto Quieto a Sud di Novigrad a quest’ora il nome è giusto. Pagaio veloce e le prime ore del mattino passano e passa anche la quiete. I vacanzieri si sono svegliati e si mettono sul bordo del mare per la tintarella e nel mare per il casino, con ogni sorta di scafi a motore. Il tempo è bello e l’agitazione tanta. Molti sono i litorali liberi, dove si può sostare senza impedimenti. La costa è molto sinuosa, il buon mare mi consente di tenermi un pò fuori e di ammirarla, col filtro della distanza è sempre bellissima. Da Punta Raguzzi, mi affaccio sul mare di Parenzo e ne ammiro il bel panorama M’accosto per una sosta a Materada, contemplo lo spettacolo e mi godo il tempo splendido: brezze carezzevoli, sole sfolgorante, cielo azzurro, con i cumuli candidi che veleggiano innocui.; a bordo mare, lungo l’insenatura, molti son quelli che se la godono. Mi rimetto in acqua e m’avvio dritto come una freccia verso l’obelisco del massiccio campanile romanico che governa come una torre le rinserrate case a mare, irte d’antenne televisive di Parenzo. Costeggio lentamente il perimetro del basamento in pietra d’Istria sui 28


parapetti sono sdraiate delle belle ragazze a prendere il sole e godersi la quiete e la brezza, io mi godo la loro vista. Sono belli esempi della mitica “mula” di Parenzo che, come si canta nella canzone:”Metteva su bottega e vendeva financo il baccalà”. Quante volte l’ho cantata nelle feste, con gli amici di gioventù che” Non torna più”, di cui mi restano bei ricordi ed una consapevole nostalgia. M’infilo tra il paese e l’isola di S. Nicola ed imbocco il tratto di mare che mi porterà ad Orsera. La costa è animata dai mega-camp di: Plava, Zelena, Funtana, Valkanela. Il mare è costellato da isolette, isolotti, e gli scogli caratterizzano, il mare sottocosta, da qui fino a Pola, e danno la prospettiva al lontano profilo di Orsera. Il campanile veneziano è un piccolo fiammifero che svetta sul colle su cui è posato il paese. Faccio ancora una sosta, m’accosto a riva e sbarco con cautela sulla battigia calcarea, irta di “denti di coccodrillo”. Il kayak lo isso in bilico, su dei tronchi arenati così non sarà masticato dalle rocce. A breve distanza dalla battigia la costa è ornata dalla macchia mediterranea formata da piccoli alberi e cespugli, mentre il sedano di mare contende alla salicornia la vicinanza con l’acqua salata. Riprendo la pagaiata dopo un bagno ristoratore e m’avvicino fino a giungere sotto il promontorio di Orsera. Dal mare ho visto bene gli alti pennacchi dei cipressi del cimitero ed è lì che mi dirigo per sbarcare nell’insenatura di Kagula, tra i camp Valkanela e Orsera che con gestacci osceni, mando” a quel paese” i gestori che mi hanno rifiutato l’ospitalità. Che bella passeggiata ho fatto col kayak, ora, facendo il recupero della furgonetta, mi godrò quella con la bici, Una lunga pista ciclabile e larghi marciapiedi mi consente di pedalare senza pericoli e prendendo la viabilità minore mi godrò tutta la costa, da terra. In bicicletta, si possono apprezzare tutti i profumi, i colori, le minute cose di ogni posto che si attraversa, incontrare persone, salutare,fermarsi nei posti più belli. Il ritorno a casa di Marco, poteva essere un problema, invece è stata una opportunità per andare a zonzo in bici . Ho dovuto riorganizzarmi, cambiando la logistica e le tappe, con l’esperienza non è stato difficile, anzi dato che mi sarebbe piaciuto tornare a casa in bici, ho potuto farlo, anche se solo per trecento km su mille. NEL

LIMSKI KANAL

Martedì 10 agosto, S. Lorenzo. Che dire di questa giornata straordinaria? Ormai, mi sveglio col gallo, verso le cinque. A quell’ora albeggia e si sta bene. Tutto é rinnovato dalla pausa notturna. Vedere l’aurora è rasserenante, dolcissimo. Riaffiorano le suggestioni della mitologia antica e mi par di vedere la divina Eos che vola, a ridonar colore al cielo, per ridonar gioia agli umani. L’aurora si fa alba, 29


in breve è giorno fatto ed io parto per Rovigno. Dal mare la strada sale, su per la collina, fino a duecento m d’altezza, da lì si affaccia sul Limski Kanal, quando vedo il fiordo dall’alto, decido che questa è una gita da fare, imperdibile. Scendo al mare, sono presenti solo alcuni ostricari e la bassa marea, tutto è quieto e silenzioso. Senza indugio, calo il kayak ed alle 7.45 pagaio verso il mare aperto. L’acqua si stende, tra i due versanti, liscia ed immobile come seta lucente, tutto è bellissimo. L’aria è fresca, vado verso il sole, ma mi attrae il versante nord del fiordo, a prender sole ci sarà tempo. Mi accosto a questa riva. Le radici degli alberi, scendono fino ad un solo metro dall’acqua salata, i rami e le fronde si spingono in fuori e formano una pensilina ombrosa e fresca. Sull’acqua baluginano innumerevoli luccichii e toni di verde. Mi sorprende la varietà degli alberi che si aggettano sull’acqua ci sono: aceri ( ma ci saranno anche quelli di mare?), frassini, oltre a querce, allori, eriche arboree ed altri ancora, mancano solo i pini, è un défilé bellissimo. Dal bordo mare, il pendio, si alza, coperto densamente dalle piante con fronde compatte ed ampie chiome. Per lo stato in cui è il bosco ha l’aspetto di una foresta costiera primitiva. Benissimo hanno fatto le Autorità Croate ad istituire un parco naturale protetto. Tratti costieri come questo, nel mediterraneo sono rarissimi, mi sovviene il Golfo d’Orosei, in Sardegna, il Parco di Punta Palazzo in Corsica, ed anche il Monte di Portofino. C’è la brezza di terra che va verso il mare ed io ci vado insieme e scivolo felice verso l’uscita lontana. L’acqua è verde e trasparente; sotto di me, transitano branchi di pesciolini, e guizzano per sfuggire alle insidie dei predatori. E’ tutto bello. Il versante sud è più rupestre, con falesie qua e là, anche la vegetazione è diversa condizionata dall’esposizione. Una grotta turistica è testimonianza di antichissime frequentazioni umane. Nell’andare ne troverò un’altra che è rifugio di capre nel tempo invernale. Il calcare è bianco-beige, scavato e articolato dallo scorrere dei millenni. Costeggiando la riva rocciosa trovo un’antica cava di pietra d’Istria. Un tronco di colonna è ancora appoggiato a riva, massi sbozzati giacciono vicino all’acqua e nella roccia si vedono i negativi della loro cavatura. Sono ad un paio di km dal mare e qua e là ci sono ancora degli allevamenti d’ostriche e cozze, altri sono abbandonati in rovina ed ospitano gabbiani e cormorani che vi si riposano. Sono arrivato al mare, sono le 9 passate ed incomincia la sarabanda turistica. Il tempo è bello e stabile e posso risalire in sicurezza lungo la costa nord verso Orsera, tanto da ricollegarmi col punto d’approdo precedente. La costa è occupata da grandi campeggi, normali e per naturisti, c’è ancora poca gente. Nell’acqua delle piscine marine, delimitate da cordoni galleggianti, impazienti ragazzini si divertono tra scherzi grida e risate. Quando arrivo all’isola di S. Giorgio torno indietro e vado verso Rovigno. Oggi le condizioni sono ideali: il tempo è splendido, il mare è tranquillo, ed io pagaio con gioia. Mi accosto a Punta Croce, scorro le rive a cui si 30


affacciano i camp Monsena e Valdaliso, giungo all’isoletta di Figaiola da dove gia ammiro sull’acqua la scenografia di Rovigno e ritorno verso il Limski Kanal. Sul mare è intenso l’andirivieni dei battelli , rientro nel canale ed una decina di barconi, prima mi raggiungono, poi mi sorpassano, portano centinaia di turisti ma è stagione. I motoscafi e gommoni non sono molti. Tenendomi dal lato ombroso del fiordo, raggiungo l’unica piattaforma rocciosa sulla quale si possa sbarcare ed avere spazio per la sosta. Sono appena arrivato che giunge un barcone con una masnada di giovanissimi “crucchi”, tutti magri, tutti biondi, tutti spelacchiati, tutti frenetici. E’ tutto un tuffarsi, con le più azzardate contorsioni, che non sempre finiscono senza sonore panciate sull’acqua. Una rimbombante colonna sonora, adatta all’età accompagna la loro allegrezza ed i loro schiamazzi. Assieme a costoro ci sono anche sei malcapitate turiste venete un pò sbigottite dall’irrefrenabile vitalismo teutonico. Si allontanano un poco dall’epicentro della baraonda e si avvicinano a me, chiacchieriamo amabilmente, loro con la dolce inflessione veneta, io con l’inconfondibile parlata dello schietto piemontese. Poi la quiete raggiunge anche i ragazzi e noi ce ne compiacciamo. Ho il tempo di rifocillarmi e dormicchiare che attraccano due barconi, con decine di turisti. Sorrido a tutti, gioisco per la presenza di due deliziose bimbette, saluto e mi complimento con le loro mamme e me ne vado, senza gran disturbo dal traffico nautico. Mi sto dirigendo verso le grotte, che scorsi nell’andata, e vedo una numerosa flottiglia di kayak in approdo sulla riva opposta, vado a salutarli e parlo con la guida che li conduce. Vengo a sapere che lungo la costa ci sono delle organizzazioni che noleggiano e guidano flottiglie di kayak in mare. Dopo aver saputo del mio raid, ci salutiamo solidariamente e con grandi sorrisi di simpatia. Al riapprodo dell’arrivo, mi ritrovo nella consueta animazione turistica. Gente che prende il sole, gente che passeggia, famigliole con figli scorrazzanti, curiosi che esaminano le cose che sono in vendita sulle bancarelle, chi è accomodato ai bar e beve. Altri sostano ai chioschi che spandono appetitosi profumi di cibi alla griglia. Dai pontili gruppi di ragazzini si tuffano, risalgono si rituffano con risate gioiose e strilli eccitati. Qualche barcone rifà il carico di turisti per il rientro. Io dopo tanto sale e vento ho bisogno di rinfrescarmi, cerco un angolino tranquillo, lo trovo con la bella sorpresa di una copiosa sorgente d’acqua dolce che entra in mare appena sgorga dalle rocce. Ne esco pulito ristorato e rinfrescato. DA ROVIGNO A BARBARIGA La notte fu tranquilla ed il sonno riposante. All’ora antelucana venni via alla volta di Barbariga, per lasciarvi la bici per il recupero. Barbariga è un paesetto costiero lontano dalla strada di maggior traffico, con un modesto sviluppo turistico frequentato dalla gente del posto. Quando arrivai quel mattino, non c’era nessuno, tutto era tranquillo. Una baracca ancor chiusa faceva da: bar, ristorante e dancing. 31


Un fitto querceto ombreggiava deliziosamente il terreno, fin sulla pietrosa battigia. In quella situazione non potei immaginare l’affollamento che vi trovai , quando vi approdai nel pomeriggio. Questa penultima tappa prima di Pola fu stupenda. Il bel tempo, il buon mare, la costa gradevole col Parco Naturale di Capo d’Oro, il piccolo arcipelago dell’isola Rossa, con l'aggiunta a Sud della Sorella Piccola e della Sorella Grande, la sequela di isolette che marcano il mare verso le isole di Brioni.,ne fecero il più bel prologo alla meta d’arrivo. Durante i sopralluoghi per stabilire le tappe, gli imbarchi e gli approdi, passai dal paese di Valle, Bale in croato , vistolo, ne feci sede di soste notturne. Il paese è al bivio tra la strada che porta a Nord e quella che scende a Rovigno. Sta su un colle, le case tutte in pietra d’Istria, son raccolte attorno al bel campanile che torreggia senza superbia. Dalla strada E751 regala un eccezionale colpo d’occhio; solo alcuni borghi dell’Italia centrale potrebbero confrontarsi per bellezza e armonia, .Ne fui affascinato e visto che il cimitero aveva un bello spiazzo ombreggiato da alti pini, una bella fontana, una bella pieve, vi passai due notti rigeneratrici. Per sostare nei pressi dei cimiteri, bisogna avere rispetto, molta discrezione e riservatezza; non infastidire, né destare sospetti. Occorre farsi vedere e conoscere un pò, dai paesani, far capire le proprie intenzioni e, se non ci sono reazioni sfavorevoli, sostare coi criteri anzidetti. Dopo il deposito della bici raggiungo il lato nord l’insenatura di Valdebora. Un vasto spazio erboso è prospiciente al mare, è di libero accesso, dei semplici spogliatoi a labirinto, rendono possibile e discreto il cambio dei vestiti. Tutto è pulito, alla sinistra del prato sono accatastate delle sedie sdraio e dei lettini prendisole, un cartellone ne dichiara l’uso libero e gratuito ed invita gli utilizzatori a riportarli ed accatastarli dopo l’uso, incredibile. La vista su Rovigno è la più bella delle località costiere dell’Istria. Le palazzate delle sue case cingono, a bordo mare, il promontorio su cui fu edificato il paese. Questa vista è mirabile, ricorda le pittoresche palazzate di Camogli e quella celeberrima di Portofino. Sull’alto del colle sta appoggiata la gran basilica di S. Eufemia di Calcedonia, a fianco s’alza, e domina ogni cosa, lo splendido campanile veneziano. La cuspide, tronco-piramidale, porta sul suo culmine il gran simulacro bronzeo della Santa Patrona di Rovigno. La statua è cava ed è imperniata su di un’asse, che le consente di ruotare e grazie alla sua foggia è sensibile allo spirar dei venti, fungendo per i pescatori da ...santa banderuola segnavento. La pia leggenda, di questa Santa, il cui nome significa “ colei che parla bene”, ne racconta il martirio, inflitto con tormenti e bestie feroci, da lei sopportato con fede eroica fino al tragico epilogo e dell’approdo miracoloso, durante una tempesta con onde gigantesche, della pesantissima arca marmorea che ne custodiva il corpo, nella notte del 13 luglio dell’A.D. 800. M’imbarco dalla battigia di sassolini dell’area balneare. Il cielo è limpido, il sole è sfavillante, il mare è una seta azzurra, moirè dagli ondulamenti morbidi della sua 32


superficie. Entro in acqua e mi sembra di navigare col cielo sotto lo scafo e non sul mio capo. Mi avvio estasiato per la meraviglia dell’insieme di tutto ciò. Il campanile rovignese è il mio punto di mira per attraversare, sulla seta liquida del mare, l’ampia insenatura ed arrivare alla cittadina. Nell’avvicinarmi l’ondulazione dell’acqua scompone la figura del paese: in nastri variopinti, in coriandoli policromi, in vibratili serpentine colorate, in palpitanti farfalle dall’incomposto volo. E’ una fantasmagoria chimerica. Pagaio lieto e contento e quando son sotto le palazzate vedo che la Santa Patrona dà il segno benevolo del buon vento a chi sappia accoglierne l’indicazione. Le case sono così accostate al mare da entrarne in intimità, potrei dando una voce, ricevere un caffé dalle mani delle signore che vi abitano. Andando verso sud passo negli stretti tra costa e isolette. Tutti i litorali sono fitti di alberi cespugli e tanto verde, un ambiente straordinario per naturalità. Compio l’unica sosta del tragitto atterrando su di una provvidenziale piattaforma rocciosa. Mi rilasso un pò e mi metto all’ombra degli alberi rivieraschi più per pigrizia che per necessità. Mi guardo intorno affascinato, è tutto così bello. In prossimità delle due isole sorelle ritorno nella pace ed ho maggior tranquillità. La costa è più selvatica e tale si mantiene fino a Barbariga dove atterro, fendendo l’acqua zeppa di bagnanti d’ogni età e di tutte le taglie ma molto comprensivi nell’accogliermi tra loro nel laborioso sbarco. A terra mi riposo, ritagliandomi un posto all’ombra tra un gruppo e l’altro di vacanzieri. Con attente ed equilibristiche manovre porto il kayak a terra, lo ancoro al sicuro e stacco la bici per avviarmi a Rovigno per il recupero. Sarà il recupero più duro di tutti, quando parto il sole picchia energicamente sul terreno carsico e la calura è feroce, mi aiuta a sopportarla l’aria secca ed un pò di brezza. Dal livello del mare devo raggiunger in quota la strada principale. Il fondo stradale è sterrato ed abbondantemente inghiaiato. Speravo di non bucare perchè la riparazione sarebbe stata una sgradita penitenza, da subire nella calura da forno. Il traffico è scarso in entrambi i sensi, così non sono incipriato troppo e posso stare dal lato in ombra, quando c’è, della strada. Le cicale friniscono impazzite, nell’aria i falchetti sono in caccia, sfrecciano e stridono; dei rondoni volano potenti e l’aria fruscia al loro passare. Raggiungo la strada nazionale e vi pedalo sfiorato dal traffico intenso dei turisti, pesto di più sui pedali per arrivare al più presto a Bale e poter deviare per Rovigno. Dall’alto della cresta collinare, vedo in distanza il campanile di S. Eufemia, ed ahimé, sarà un altro totem ingannatore. La strada sarà ancora molto lunga e con molti affaticanti saliscendi; comprendo benissimo perchè un tempo si preferisse il mare alla terra. Arrivo finalmente a Bale e vi sosto per un pò di necessario riposo. Riprendo la strada, e l’obelisco del campanile non s’avvicina mai. E’ destino, ma infine, io giungo alla sospiratissima meta. La cittadina è fitta di turisti, tra i quali molte graziose ragazze, mi è inevitabile il bagno di folla, ma non m’infastidisce anzi n’approfitto per una 33


parentesi ricreativa, un pò com’essere ad una fiera col Luna Park. Negozi e bancarelle espongono merci variopinte ed oggetti coloratissimi che fanno allegria, in tutti ci sono curiosi che, tastano, visionano, provano: oggetti, merci, vestiti od accessori per poi irresistibilmente acquistarli. I tavolini dei bar hanno corone di clienti che bevono bibite colorate. Alle gelaterie i golosi fanno la fila ed io mi accodo ad una di queste e mi servono un gran gelato contenuto in un cono d’adeguata capacità. Mi sposto poi sul lungomare dove ad un chiosco acquisto le cartoline illustrate per inviare i saluti a chi è lontano, per me è quasi un rito col quale mi faccio ricordare e col quale mi facilito la cronologia diaristica. Allo stesso chiosco, che fa anche da cambiavalute, si presentano turisti, forse russi, che cambiano pacchi di banconote con pacchi di kune, è la materializzazione di una leggenda vacanziera. Sul lungomare s’affaccia anche un bel giardino, oasi verde e fiorita che mi accoglie ospitale. Su una panchina un signore anzianotto con agili dita, pescando da un barattolo, fa piccole palline di un pastoncino che con gesto misurato porge nell’aria col braccio e sulla sua mano, frullando fuori di un cespuglio vicino, si posano per un istante dei vivaci passerotti, danno un paio di beccate e via per un breve infrattamento nel vicino rifugio, con un andirivieni vivace reso più grazioso dal loro fitto cinguettio, un piccolo gesto rasserenante. Nell’area erbosa, su stele che reggono due teste di bronzo, leggo i nomi di Matteo Benussi Cio e di Pino Budicin, due uomini dichiarati “Eroi popolari”. Nei loro ritratti l’artista, con la tecnica scultorea del “non finito,”che lascia le superfici ruvide e scabre, ha espresso nelle fattezze dei volti anche il loro carattere. Su una spianata litica, si alza un grande parallelepipedo, in pietra d’Istria, traforato con pieni e vuoti dati dall’incrociarsi di curve e di rette, che ben rappresentano in forma astratta, la forza ed il sacrificio di queste popolazioni nella loro Lotta di Liberazione. Dal giardino, la vista della basilica di S. Eufemia che vigila dall’alto del campanile è il simbolo di un sereno patrocinio per la pace raggiunta e perdurante, per nostra buona sorte, nel presente. L’ultimo tratto di strada lungo il mare mi riporta alla partenza, ho tempo di fare un bagno delizioso con la vista insuperabile del profilo di Rovigno protesa sul mare. Per la sera mi fermo di nuovo a Bale mi accampo sotto i lecci ed i pittosfori per un’altra notte serena e riposante.

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DA BARBARIGA A POLA E’ il 12 d’agosto, giovedì, dal campanile della Arena scoccavano le ore di un sereno mattino ed io sbarcavo sulla piattaforma del Rowing Club di Pola, con la splendida vista dell’anfiteatro. La notte precedente, mi preoccupò il vento. Non sapevo valutare, se fosse brezza, o una perturbazione in arrivo. Consultai il barometro, da – 60m di poche ore prima, nel cuor della notte era sceso +90m. Cogitai allarmato: forte calo di pressione e vento sensibile: brutti segni. Dopo un pò di quella apprensione, capii il motivo del calo barometrico e scoppiai in una risata liberatoria. Il paese di Vale è in alto, sulla collina, ad oltre cento metri sul mare. Il barometro segnava l’altezza, corretta da un filo di alta pressione, che volle dire bel tempo per il giorno dell’arrivo, ed una notte fresca senza l’umidità della costa. Alle 5 mi sveglia la sveglia, mi toeletto, saluto i morti, scendo a Barbariga, e da lì mi imbarco. Il giorno è chiaro, il querceto è vuoto, l’acqua una seta, Brioni lontana cinta dal mare, ancora deserto. In breve raggiunsi il canale tra l’arcipelago e Fazana. Ancora quiete, sia sul mare che sui litorali dei camp. Sulle isole i grandi alberghi son sempre immoti. Accostai a Fazana, per una breve sosta per un caffé. Sulla passeggiata a mare, un giovane alacre spazzino approfittava delle ore mattutine, senza gente, per eseguire meglio il suo lavoro. Sul basso fondale; fluttuavano attinie floride, zigzagavano pescetti, correvano sghembi i granchietti. Li vedevo con gioia, segnalavano acque pulite, grazie anche alla corrente di NW che scorre, a tre nodi, nel canale. Mi riavvio e si avvicina l’ora della sarabanda con numerosi battelli che spuntano dalla baia di Pola per portare un pò più in là i turisti, o collegare la città con i porti di questa e dell’altra sponda. Approdo ancora un momento, che è delizioso, di fronte all’isoletta di S. Gerolamo. Sulle rive, occhieggiano le postazioni di sorveglianza, che un tempo vigilavano sul porto di Pola. Tutte le installazioni militari sono abbandonate ed alcune in rovina. Sui loro piazzali, ora, ci sono accampamenti di liberi giovani che con fumi e frastuoni di teknomusic, vi passavano le vacanze. Murales in tema, ne testimoniavano la presenza, negli anni, a seconda della freschezza dei colori. A tratti, dagli slabbrati orli delle banchine, spuntavano flessibili canne, maneggiate da pazienti pescatori. Altri si erano installati nelle costruzioni minori, adattandole alla villeggiatura. In fondo alla baia, gli enormi bracci delle gru, ingabbiavano il cielo. Da enormi capannoni si spandevano fumi e frastuoni. Navi sbilenche erano accostate alle banchine per il carico e scarico. Dai loro fumaioli pennacchi, nero-blu, s’alzavano in alto, le loro stive rimbombavano di rumori e clangori. Un porto in intensa attività. Me ne stetti alla larga e pagaiai sempre accosto alla riva Nord, passai sotto al pontile dell’isoletta di S. Caterina e mi avviai verso lo specchio più tranquillo 35


della baia con poco movimento motoristico e molto remiero. Mi orizzontavo prendendo di mira la grande mole dell’ex Grand’Hotel. Sull’acqua si riposavano i gabbiani, altri evoluivano in cielo, piccoli scafi, snelli e veloci degli armi della canottieri di Pola vi scivolavano rapidi, spinti dalle efficaci vogate di giovani ragazzi e ragazze. Finalmente mi accostai a loro. L’accoglienza fu molto cordiale, amichevole e molto ammirata dai giovani, che a voce di Antonio mi diedero il benvenuto informandomi che a terra m’attendevano i loro dirigenti. Stetti ancora un pò in acqua per assimilare la gioia che mi diede l’arrivo con la vista sognata dell’Arena, bucherellata dai cento archi aperti come sorrisi rivolti al mare. Sono arrivato a Pola. Mi presento alla sede, trovo il Presidente Dragan Stancovic con altri dirigenti, convenevoli con rinfresco, si fecero le foto di rito quindi il presidente mi diede un passaggio in auto per recuperare la mia furgonetta. Ritorno a Pola per recuperare il kayak. Gironzolai, per un paio d’ore nella zona dell’Arena. Le costruzioni degli antichi Romani son sempre impressionanti, e comunicano sempre, questo sentimento. I loro edifici sono sempre imponenti, qualche volta anche belli, ma mancano sempre della sublime armonia della architettura Greca Antica che è inarrivabile, insuperabile, irriproducibile. L’aria era piena di luce e di colori. Splendente il sole, fulva la mole dell’Arena. I fornici, come in una sequenza artistica seriale, incorniciano ritagli blu di cielo. I giardini verdi d’erba, le chiome degli alberi in chiaroscuro, le aiuole fiorite di bianco, di rosso, di blu. Tante le persone che vagavano, passeggiavano, si riposavano sulle panchine o sull’erba, io mi sdraiai nel giardino del Museo Archeologico. Dopo ripresi la via del nord. Ritornai al Lazzaretto. Per un paio di giorni feci escursioni a terra. Una alle Nogare, piccola oasi umida, reliquia delle antiche saline, dove son stati costruiti capannoni industriali. La visita è gradevole e rilassante, begli scorci sugli stagni, che piacere poter sentire il morbido fluire dell’acqua dolce del rio Ospo che s’ostina ancora a raggiungere il mare. Elusivi animaletti, frullano, frusciano, si tuffano, verseggiano nell’intrico della macchia e nei canneti, ad essi, si mescolano le vocine di due fratellini, in visita con i genitori. Torno al camp, prima del temporale. Al riparo nel bar, riordinai il mio calendario e ne perfezionai l’ultima parte. IN

VALROSANDRA

E’ Ferragosto, e parto in bici dal Lazzaretto. Una bella sgroppata per raggiungere Caresana e poi Prebenico, bel panorama sul golfo di Trieste. Sosta e discesa a capofitto su Bagnoli. Strade deserte, bei boschi, buonissima aria, mi fermo a bere alla fontana al confine del Parco naturale del Carso e Valrosandra. All’entrata di 36


Bagnoli, hanno costruito un bel centro d’accoglienza per i visitatori ed un avveniristico teatro; tutto chiuso ed in stato di abbandono; “No comment”. Sul basamento di una pifferaia, bronzea allegoria della musica, la scritta imperiosa “NO TAV” vuole esorcizzare il progetto di sventrare la Valrosandra. Su un muro c’è appoggiata una bella e contorta vite. Una targa di gemellaggio, la definisce come proveniente da un tralcio dichiarato il più vecchio del mondo. Sulla piazzetta del paese si fermano le auto degli escursionisti che poi vanno a piedi nella valle. Il bazar-giornalaio è aperto, ci vado ed una gentile signora mi fornisce gratuitamente i pieghevoli con pianta e guidina per la visita . Che bello sono all’entrata della Valrosandra, luogo mitico dell’alpinismo dell’epoca del grande Comici, finalmente realizzo un sogno, andarci era per me come andare sulla nord del Viso, che gioia. Per chi frequenta la val Maira è come entrare in casa, ci si trova in una forra calcarea piena di verde. Per i triestini, tutto questo verde è un’eccezione. Il posto è molto bello. Il torrentello, scende scrosciando, portando al mare l’acqua delle piogge temporalesche. Guardo intorno a me, e m’aspetterei di vedere la cuspide di uno dei cento campanili della val Maira. Mi immaginavo un ambiente, più sullo stile del Verdon, che non sullo stile di uno dei nostri valloni laterali. Il mito dilata la visione immaginata di questo luogo, che poi la realtà ridimensiona. Pacifici viandanti percorrono i sentieri ben tenuti. Non ci sono schiamazzi né rumori molesti. Due scalatori si esercitano su uno sperone; non odo né tintinnare di moschettoni né battere di martelli, ne sento solo le voci. Scendo nel greto e risalgo alla cascata, che salta giù, con un balzo di trenta metri, in un anfiteatro. Qui trovo una coppietta naif con tre cagnoni, che prende il fresco; io familiarizzo con loro e i loro cani con me. Intanto che mi godo un bel bagno, nelle accoglienti marmitte giganti del Rosandra, scorgo la traccia di un sentiero sull’opposto versante. Se c’è una traccia, c’è un percorso ed è intuibile che percorra verso il basso la valle. Mi ci inerpico e mi trovo immerso nella bella macchia carsica che rende famosa la Valrosandra. Mi avvio con prudenza. E’ una discesa bellissima, in alto sul torrente, ne percorrerò tutto il corso. L’esperienza di alpinista mi soccorre nel tenere la traccia e nel superare qualche tratto esposto. Verso la fine, a soli venti metri dal greto, quasi me l’aspettavo, trovo un “malpasso”. La stretta cengia della traccia è interrotta da un pilastrino, aldilà essa continua bella e liscia, fino al greto. Il passaggio è un semplice secondo grado, ma è esposto di qualche metro sull’acqua. M’accingo a superarlo, quando constato che manca un appiglio, son perplesso dall’assenza di una maniglia ferrata che dovrebbe corredare questo passaggio, su un percorso così. Mi dico:”Ma non dovrò mica tornare indietro? E per un bel pezzo? “ Faccio due tentativi ma non mi fido. Guardando dove mettere la mano destra, vedo che, nella roccia, ci sono tre fori, artificiali, dove poter infilare: l’indice,il medio e l’anulare, è una maniglia. Finalmente faccio il passo, scendo gli ultimi metri e mi trovo tra 37


graziose bagnanti intente a rinfrescarsi. Continuo la mia discesa fino ad una bella pozza, solitaria e tranquilla, faccio un altro bagno e mi disseto ad una freschissima sorgente. Prima di riprendere la bici, passo allo storico Rifugio Alpino “Premuda”, il più basso di tutti, ad appena 80 m.s.m. Oggi è affollato dai gitanti di Ferragosto, ed è più luogo di convivi che di ascensioni. Memorie di Julius Kughi e di Emilio Comici ricordano il glorioso passato di questo luogo che continua ad affascinare. A testimonianza del mio passaggio, mi faccio timbrare, dalla gentile custode, la cartina che ho usato per l’escursione, manco fossi al Chimborazo. Una nota la voglio fare: l’escursione per i sentieri segnalati è percorribile da tutti anche da bambini; quella che ho fatto io è solo per esperti escursionisti, o alpinisti, non avventuratevi se non lo siete. Riprendo la bici, e pedalo verso il Lazzaretto percorrendo l’intricato itinerario, di strade da automobili, con poco traffico per la giornata ferragostana. Con traffico intenso è da evitare perchè c’è da rischiare la pelle. Il confronto con la viabilità d’oltre confine mi viene spontanea; di là, i percorsi ciclabili sono segnalati e protetti ed anche costruiti ex-novo, a fianco delle superstrade, ci sono superpiste ciclabili. Stiamo perdendo la competizione sull’offerta turistica. VISITA ALLE GROTTE DI POSTUMIA L’indomani è il 16 agosto, abbandono la costa per avviarmi verso occidente, ma prima voglio visitare un’altro dei miei luoghi mitici: le Grotte di Postumia, sempre agognate e mai viste. La visita è un’altro bell’esempio di “spremificio” turistico, tre e mezzo il parcheggio, ben venti euro l’ingresso per visite a cottimo. La stagione turistica è all’apice, ed i pesci vanno pescati quando sono di passaggio. La visita inizia sul convoglio che porta nel cuore della grotta, la sua corsa è eccitante come quella di un trenino di lunapark. Il scendere, il raggrupparsi, l’ascendere, rievoca le terzine lugubri dell’Inferno dantesco. La bellezza spettacolare delle grotte è affascinante e grandioso, veramente splendido. Nel tardo pomeriggio, imbocco l’autostrada e sosto a Brescia per la notte. DA ISOLA SERAFINI A CREMONA Alla mattina dopo riparto per Cremona, per le pagaiate conclusive sul Po, che ancora mi mancano. Prima passo da Isola Serafini a visionare il posto e sul ponte incontro Alberto, uno dei conchisti della chiusa, affabile conoscenza ed informazioni utili per superare l’ostacolo della chiusa, messa fuori uso dall’abbassamento, a valle, del letto del Po. Progetti per una nuova chiusa 38


impreziosiscono i programmi elettorali, man mano che si presentano, ma è tutto ancora fermo. Nel 2001, riuscimmo ancora a passare con i kayak, diretti a Venezia grazie anche alle esperte manovre dell’indimenticabile Annibale Volpi. Annibale è il più conosciuto operatore della conca, ora si gode la pensione, sempre sulle acque del Po, che solca con le barche a voga veneta, di cui presiede l’Associazione a Cremona. Seguendo le indicazioni di Alberto individuo il posto dal quale posso entrare in acqua, poco a valle del ponte ed in vista dello scarico della centrale idroelettrica che sfrutta il poco salto ma con gran massa d’acqua dell’invaso. Dallo stesso varco da cui posso accedere al fiume ci sono quattro pescatori che arrivano da fuori e vengono al Po per passatempo, è gente cordiale e non mugugnano per l’intrusione ma sono incuriositi dalla storia del racconto del mio pagaiare dalla lontana ed indistinta val Po. Nei giorni antecedenti in Valpadana ci son stati violenti nubifragi e il livello del Po si è alzato di due metri rispetto a quello che trovammo a luglio. Infatti l’acqua è limacciosa viaggia con vigoria accentuata porta con se molti detriti: tronchi, ramaglie, residui vegetali che sarà bene evitare. Ho un pò di apprensione alla confluenza con l’Adda le correnti dei due fiumi per mescolarsi creano vortici, rigurgiti, serpentoni che bisogna osservare con attenzione per non finire nelle zone agitate pericolose. . I barcaioli locali si muovono con disinvoltura anche con così tanta acqua, ci sono voghe venete singole e di coppia che attraversano il fiume, canoe olimpiche che filano veloci tra la corrente, anche kayak con ragazzini che fanno scuola Dalla loro navigazione ricavo indicazioni per la rotta da tenere Comunque pagaiare su così tanta acqua. è impressionante ed interessante, mi dirigo verso la sponda sinistra e sbarco a monte di tutti i circoli fluviali. Dall’argine continuo ad osservare il trasporto dei detriti nell’acqua tra cui alberi completi di rami e radici, ma osservo anche le graziose ragazze che fanno le corse per mantenere la linea in tutine aderenti e coloratissime. Vado anche a cercare Annibale Volpi al barcone, dove ha la sede del Coordinamento di Voga alla Veneta, ma non lo trovo, sarà per la prossima volta. Riprendo la bici, posteggiata dagli amici del dopolavoro dei Ferrovieri e lungo strade d’argine risalgo ad isola Serafini a riprendere la furgonetta. DA VALENZA A CASTEL SAN GIOVANNI Riprendo la risalita della Valpadana fino a raggiungere il ponte di Valenza. Passo una notte tranquilla, inframmezzata dal passaggio dei treni e da un pò di traffico stradale. E’ il mattino del 18 agosto ed è mercoledì. In un varco nel muraglione dei pioppi se ne sta un traliccio allampanato. Da lì s’affaccia l’alba, rosa-gialla, a darmi il buongiorno. Poi il disco solare trapela all’orizzonte e s’alza inesorabile a 39


consumare un nuovo giorno. Allaccio la bici ad un grosso salice e vado a Casale Monferrato per l’imbarco, trovato in una ricerca precedente . La messa in acqua è sulla sponda destra, in corrispondenza della terrazza del Circolo Sportivo. Alla partenza sono le nove, all’arrivo è la mezza. Discesa deliziosa, per la solitudine, la pace, la quiete; il passaggio sotto il ponte di Valenza mi dà un piccolo brivido per gli spruzzi della rapida, animata da qualche bella onda. Il tragitto del recupero è delizioso, per la quiete. Alla fontana del paesino di Bozzole mi fermo è tutto chiuso, tutti in casa per il pranzo. Solo un galletto canta e la fontana zampilla, dei piccioni tubano sui tetti e delle tortore sui pini. Un uomo, in una vecchia aia, sparge becchime alle sue affezionate galline ed alle dignitose anatre. E’ la quiete del villaggio nel pomeriggio dell’estate. A recupero fatto, lunga trasferta a Castel S. Giovanni, dove giro e rigiro, fino a trovare la frazione Parpanese di Arena Po. Cerco anche i posti dove poter approdare e reimbarcare. A sera, al Cafè del Po, servito dalle due belle ragazze di sala, ceno con le pizze, buonissime del pizzaiolo-titolare; al quale chiedo anche ospitalità nel giardino per la notte. La consueta sveglia antelucana, e via per la partenza dal Pontebecca. Imbarco comodissimo, sul Ticino, sotto una campata del ponte. A quest’ora ci sono solo due cingalesi che si fanno le foto ricordo. Le Robinie chiuso, il cantiere nautico silente, non ha ancora incominciato la nuova giornata. I pontili son percorsi da un solitario fiumaiolo, le barche attraccate riposano e cigolano un poco. Pagaio un’altro bel tratto di Po. Le rive sono alte e scalzate, dai bordi dei campi del mais pencola sull’acqua. Grandi ponti attraversano il fiume. Lunghi sabbioni giacciono lungo le rive. Antichi tronchi carbonatizzati sono arenati a riva. Altri tronchi sono accasciati sulle sabbie, in attesa di riprendere il loro viaggio, con la prossima piena. Solitudini beate, silenzi incantati, mi accompagnano gradevolmente. Lì dove la corrente travolge gli argini, uomini, autocarri, pontoni e scavatori li ripristinano, con forti strepiti ed un gran polverone. Giungo infine al ponte di Castel S. Giovanni e riesco a sbarcare dopo un notevole lavoro sulla ripida riva, per spalare il limo e scavare degli scalini nella sabbia. Per fare questo ho usato la pala della mia pagaia giuntabile, inventandomene un’altra. Non si finisce mai di imparare. Per il recupero in bici ,mi studio un itinerario che va un pò sulle piste ciclabili degli argini ed un pò per strade secondarie, che collegano Parpanese ad Arena Po, per arrivare alla Becca da Vaccarizza passando da Belgioioso, per il suo bel nome, ma il ponte Spessa è pericolante ed è chiuso. Un cartello proclama che sarà ripristinato a breve. Continuo per Portàlbera, sosto in un bar, chiedo informazioni ed un gelato, mi danno informazioni giuste ed un gelato buono. Pedala e pedala ed ecco S. Cipriano Po e poi Albaredo e poi Tornello entro nella temuta SS 617 che mi porta dritto al Pontebecca, su cui finalmente passo sopra anziché sempre sotto. 40


Dopo un bel bagno nel Ticino, rientro a prendere il kayak e vado ad accamparmi a Parpanese. La frazione è composta di poche case, una è ancora abitata. Su un’altra una lapide ricorda un ragazzo e due sorelle, caduti per la libertà il 24 Aprile del 1945. Lungo la pedalata ho visto altri cippi e lapidi di vittime della “Sichereit,” segni di una resistenza ai nazi-fascisti che dovette essere intensa ed estesa. La pieve è una chiesa in mattoni a vista, semplice e gradevole. L’interno è decorata in stile naif da quadri ed affreschi di Pietro Delfitto: definito come il pittore che amava il Po. L’interno, difeso da un robusto cancello che lo chiude senza occultarlo, è una galleria di scene e personaggi sacri in pose animate, dipinti in colori vivaci che ispirano serenità e allegrezza. Una signora provvede amabilmente ad aprire e chiudere la chiesetta ogni giorno ed ha finora evitato vandalismi e saccheggi. Altre persone mi concedono ospitalità nello spiazzo antistante la loro casa. Questo luogo, affacciato sul Po dall’alto della riva destra, è una vera oasi di serenità. DA CASTEL S. GIOVANNI A PIACENZA Oggi è sabato 21 agosto e percorrerò il fiume da Castel S. Giovanni a Piacenza. Alle 5,30 è scuro, i pipistrelli saettano ancora per l’aria a cacciar zanzare, glie ne sono sempre grato. Fischi di merli incominciano ad addolcire l’alba incipiente. L’imbarco è un pò laborioso ma favoloso per l’ambiente. Il primo chiarore svela la nebbiolina che s’alza dal Po che scorre silente verso la sua foce. Tutto è quieto ed io sarò solo per ore. Scendo con una bella e comoda corrente. Che esperienze queste lunghe discese, in solitudini deserte, son così intense da diventare mistiche. Sono magnifiche! Bisogna meritarsele e saperle fare. Sono felice. Mi avvicino a Piacenza, annunciata dai camini della centrale termoelettrica e dal frastuono del ponte galleggiante su cui transita tutto il traffico che attraversa il Po. Del vecchio ponte restano i pilastri, su cui si lavora per costruire quello nuovo. Sbarco comodamente, ospite della Canottieri Vittorino da Feltre, dopo i saluti grati, vado alla stazione a prendere il treno. L’orario di partenza mi lascia il tempo per rifocillarmi e riposarmi nei giardini pubblici, sovrastati dalla mole di un palazzone di una ventina di piani che esplode nella riflessione del sole sulle sue superfici vetrate. Il viaggio in treno è breve. Con un’altra breve corsa in auto pubblica giungo alla Pievetta di Castel S. Giovanni, recupero tutto, mi riaccampo a Parpanese e vi passo un’altra serata e un’altra notte in beata solitudine. Mi fa da lanterna il campanile illuminato dai fari esaltatori della sua architettura e nel fosso vicino le ranocchie gracidano discrete.

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DA PIACENZA A ISOLA SERAFINI E’ domenica 22 agosto. Sono le 13.15 quando attracco alla scaletta della Conca di Isola Serafini, i 1026 km sono percorsi. Erano le 8. 30 ,di una giornata di nuovo estivissima, con cielo terso e sole bruciante, la lunga distanza è opacizzata dalla foschia del calore, quando son partito dal comodissimo imbarcadero della “Vittorino da Feltre”, sotto il bombardamento del traffico che passa sul ponte galleggiante C’è un divieto formale di passaggio, lo ignoro non essendo oggettivamente. giustificato. Poco oltre c’è il ponte dell’autostrada retto da massicci piloni corazzati da spesse lastre di pietra, la corrente vi si fende come contro una prua di nave; astraendomi un poco ho l’impressione che mi navighino contro. Sopra uno scorrere entomologico di veicoli; sotto, tra i travoni delle campate, colombi fluviali tubano,svolazzano o s’allontanano come lampi dal buio dei loro posatoi. Ancora più avanti si ergono due diapason giganteschi con tiranti che arpeggiano nel cielo tra il piano del ferro ed i piloni immani, è il ponte della linea ad alta velocità TO – MI – NA. L’opera è nello stesso tempo aliena ed elegante e si ha percezione delle dimensioni colossali solo avvicinandocisi. Un bruito strano pervade l’aria e di lì a poco passa il convoglio,generatore di quel suono, sfrecciando sul ponte verso sud. Dopo alcuni minuti, si ripete il suono, medesima la causa, ma stavolta, il convoglio che lo provoca sfreccia verso nord. Avanzo col consueto ritmo sul percorso di un trentina di km un pò noioso per la povertà della rive ma con scorci di vastità da grande fiume con solitudine e gran pace. Credo di essere entrato in una condizione di spazio e tempo alterati, perchè ho visto un ponte che non c’è. Non s’è trattato di un miraggio ma di una visione. Il ponte era davanti a me di un paio di km, il colore era bruno chiaro, parecchi piloni lo sorreggevano nel fiume, sopra passavano silenziosi i veicoli. Mi stupii moltissimo perchè non potevo gia essere in vista del bacino di Isola Serafini, dove c’è un ponte che scavalca il Po. Alla prima curva lo persi di vista ed avanzavo aspettandomi di rivederlo quanto prima, ma non riapparve più ed io stetti in confusione per oltre un’ora. Non so quale sia il fenomeno che genera queste visioni. Per me non è stata la prima volta, altre volte, vidi nel passato, altre volte il “dejavu”; non ancora tutto si riesce a spiegare. Continuando la discesa godo della compagnia delle farfalle che si posano sul kayak, contente di poter stare in pieno sole, fiancheggio barconi chiusi e silenti, altri scafi sono appesi agli alberi come impiccati, altri ancorati ad attracchi flottanti. Borghi immoti con chiese silenti s’affacciano sugli argini. Per mitigare la calura, quando dalla sponda si proietta un pò d’ombra sull’acqua, vado lì a pagaiare. Purtroppo il Po non è balneabile e non ci si può tuffare nell’acqua per mitigare la calura. Solo un paio di volte ho potuto rinfrescarmi perchè ho trovato delle pozze d’acqua risorgente, gelida e pulita. 42


Più avanti, passo a fianco della centrale nucleare di Caorso. Sorge dal bosco come certi antichi templi dalla giungla; immota, silenziosa e misteriosa. Un grande silos bianco, racchiude il cuore velenoso dell’impianto. Sul fiume la presa d’acqua è simile ad un portale di una città perduta. Il luogo è inquietante. Sulle rive dell’isola Pinedo, prospiciente la centrale, pazientissimi pescatori passano il tempo, e aspettano, che i pesci interpretino se stessi, lasciandosi pescare. Finalmente dall’ultima curva, rigata dalla scia di un motoscafo, vedo il ponte, la chiusa e la diga, e gioiosamente do le ultime pagaiate ed arrivo alla conca di Isola Serafini. Non mi resta altro che fare il recupero della furgonetta a Piacenza. Pedalai per i campi e le praterie di queste belle campagne. Dai vasti campi s’alzava l’afrore delle cipolle mature,dalle praterie, un soavissimo profumo emanato dalle distese di erba medica, in piena fioritura. A Caorso era in corso un mercatino delle pulci, con un’infinità di cose curiose e di carabattole. Il traffico, sulla statale che porta a Piacenza, era scarso e non correvo pericoli a seguirla. All’entrata della città sosto per una pausa, nei viali del cimitero, dove trovo ombra silenzio e acqua fresca; mi colpisce la tomba di un bambina, rimpianta dai genitori come fiore strappato dal giardino terreno, per ornare, come fiore più bello il giardino del Cielo. Nell’ovale, si vede la sua immagine che stringe dei fiori a sè, e ti guarda con un dolce sorriso innocente, me ne vado, lasciandola con un muto saluto. Una bella pista ciclabile mi guida verso il centro e verso il mercato ortofrutticolo dove ho posteggiato la furgonetta. La sera la passo alla trattoria sulla riva destra del Po, in quel di San Nazzaro. Tramonto scenografico con colori distesi a colorare nuvole basse e il vasto orizzonte lontano. La notte trascorre quieta, tra tonfi di pesci, versi d’uccelli, brontolio dei generatori della centrale. E’ il 23 agosto ed è il giorno del rientro a casa. La mattinata è bella ed attendo i conchisti per salutarci e darci l’arrivederci, cosa che avviene affabilmente, con gli auguri di un inizio dei lavori per la nuova conca. Lascio Isola Serafini e risalgo la Valpadana, fin quasi alle sorgenti del suo fiume. CONCLUSIONI Giungo a casa ed il Re di Pietra, custode delle mie terre natie, è lì che le osserva. Nella sera, il suo profilo si staglia nel cielo coi soffusi colori del tramonto; per sparire, pian piano, nel buio della notte. Prima di partire non sapevo come sarebbe stato il viaggio. La risposta: è stata un grande gioia. Non ho fatto una cosa straordinaria, ho avuto in dono cose straordinarie.

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Per poter fare un viaggio così lungo ,di spazio e di tempo, ci vogliono: esperienza, tempo, salute ed un pò di soldi. L’esperienza dà la capacità di programmare e d organizzare il viaggio e compierlo, superando tutte le varianti che si troveranno lungo il percorso. L’esperienza si può surrogare con una guida. Il tempo ti permette il fare. La salute è una buona condizione fisica e psichica con volontà capace ed equilibrio. I soldi ci vanno ma non ne occorrono molti. Questo è stato un viaggio iniziatico: quello in cui il personaggio parte, ed attraverso le esperienze che vive, si trova trasformato. Per me il cambiamento è avvenuto attraverso momenti di gioia, di felicità, di bellezza che mi sono venuti incontro. La dolcezza dei canti mattutini degli uccelli che ti instradano verso l’armonia. I suoni, i rumori, i canti nella notte, simbolo di cose vive ma nascoste nella parte oscura di noi stessi. Le visioni dell’alba, del tramonto, della notte buia o stellata o lunata; son state le scansioni delle giornate e delle ore. Sono rifluito nei ritmi naturali: di sonno/veglia, di buio/chiaro.. Un intervento magico, mi ha ridato la capacità di vedere e di guardare, vedo di nuovo, la vista è riacquistata. La semplificazione del quotidiano ridona l’essenzialità del vivere. Per bevanda l’acqua. Per cibo: pane e qualcosa. Per lavarti acqua e sapone. Ho visto un Po bellissimo. Ho conosciuto una laguna vasta, misteriosa, affascinante, indomata. Ho scoperto coste inimmaginabili, come il Limski kanal. Ho goduto di accosti straordinari. Ho solcato acque nelle ore quiete del risveglio. Ho subito il traffico alienato del motoscafismo e affini. Ho verificato il rivoltante “spremificio” turistico esercitato in alcune località. Ho incontrato persone gentili, generose, partecipi, incoraggianti, incredule. Ho avuto in Marco il miglior compagno per questa avventura. Ora, via per la prossima. . FINE 44


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