Viaggio al centro della Terra

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Viaggio al centro della Terra "La Scuola di Caltanissetta" mostra geo-grafie siciliane

a cura di Miriam La Rosa

Calogero Barba Lillo Giuliana Michele Lambo Giuseppina Riggi Salvatore Salamone Franco Spena Agostino Tulumello Testi di Miriam La Rosa

Rotary Club di San Cataldo

Cine-Teatro Marconi di San Cataldo 1


Comune di San Cataldo Cine-Teatro Marconi 20 - 30 novembre 2010 Viaggio al centro della Terra “La Scuola di Caltanissetta� mostra geo-grafie siciliane Curatrice Miriam La Rosa Organizzazione, allestimento e testi critici Miriam La Rosa Copertina Miriam La Rosa Giorgio Duminuco Progetto grafico e impaginazione Calogero Barba Stampa Tipolitografia Paruzzo - Caltanissetta

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ROTARY CLUB SAN CATALDO I giovani, il nostro “migliore futuro”. Un rotariano sa bene che tra le tante attività dell’anno un’attenzione particolare va rivolta alle Nuove generazioni. I giovani, infatti sono il nostro futuro e noi abbiamo il dovere di fare in modo che essi siano il nostro “migliore futuro”. L’impegno del Rotary nella formazione di generazioni consapevoli e avvedute, in grado di anticipare le aspirazioni e le sfide di un mondo in rapida evoluzione è sempre stato uno dei punti fermi del suo agire. Per questo ha adottato e affinato strumenti e occasioni formative che la dimensione internazionale ha arricchito di ineguagliabili peculiarità, apprezzate per originalità, stile e modalità di intervento, ma soprattutto per la continuità, ormai consolidata in anni di esperienza. I programmi per le nuove generazioni costituiscono per il Rotary il fiore all’occhiello di una filosofia di vita che non conosce confini, perché condivisa dalle popolazioni di tutti i paesi dove il Rotary è presente e opera; è l’eredità morale che generazioni di rotariani hanno saputo custodire e trasmettere. Questo evento,al quale spero riserveremo particolare attenzione,ci accompagnerà per lungo tempo per il coinvolgimento e la ricaduta che saprà generare sull’attività del nostro club. Infatti le probabilità di successo della comunicazione verso l’esterno del valore della nostra associazione e del suo impegno al servizio della comunità dipendono dall’attivazione dei giusti veicoli, dalla semplicità e chiarezza dei messaggi trasferiti, ma, soprattutto dalla buona volontà a lasciarsi coinvolgere dall’interlocutore. Per questo motivo abbiamo deciso di sostenere la giovane laureanda Miriam La Rosa perché riteniamo che essa rappresenti una parte viva e propositiva della nostra comunità. L’auspicio è che questo evento sia per Miriam un punto di partenza per tanti successi,per nuove mete ed obiettivi sempre più ambiziosi. Il presidente Filippo Cammarata 3


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A proposito di arte in Sicilia: quasi mezzo secolo di storia. “Viaggio al centro della Terra” è il titolo di un romanzo fantastico del 1864 dello scrittore francese Jules Verne. L’opera racconta le vicissitudini dei protagonisti, il professore di mineralogia Otto Lidenbrock ed il nipote Axel (narratore interno della storia), impelagati in un viaggio dalla meta sensazionale. Il punto di partenza di questa avventura è il ritrovamento di una pergamena contenente un messaggio cifrato scritto in caratteri runici. Il testo, tradotto in latino, racchiude le indicazioni per raggiungere il centro della Terra, attraverso un vulcano, lo Snaeffels, in Islanda. Il manoscritto è frutto dell’esperienza di un alchimista islandese del XVI secolo, tale Arne Saknussemm, autore effettivo dell’impresa oltre che di una serie di segni sulle caverne, incisi per facilitare il compito dei suoi successori. Ma cosa c’entra, tutto ciò, con una mostra di arte contemporanea? I protagonisti di questa esposizione, che riporta il medesimo titolo del romanzo di Verne, sono i sette artisti de “La Scuola di Caltanissetta”: Calogero Barba, Lillo Giuliana, Michele Lambo, Giuseppina Riggi, Salvatore Salamone, Franco Spena e Agostino Tulumello. Un gruppo che milita da tempo entro i confini della ricerca artistica in territorio siciliano. Il parallelismo con il riferimento letterario risiede nell’intento e nel contenuto della mostra stessa. Lo scopo ricercato è quello di rendere nota alla collettività la storia de “La scuola di Caltanissetta”, attraverso l’esposizione di un complesso di materiali documentaristici sul gruppo: i numeri delle riviste redatte nel corso dell’esperienza editoriale ed altre testimonianze sugli eventi culturali cui il gruppo, negli anni, ha preso parte; oltre che l’esposizione di quattordici opere, due per ogni artista, emblema della poetica comune: l’espressione per mezzo del segno. Sfruttando le soluzioni architettoniche offerte dalla struttura entro cui la mostra è allestita, l’accostamento agli oggetti in questione avviene per gradi, attraverso un percorso su di una passerella sopraelevata che, dopo aver consentito al visitatore di visionare i documenti storici, lo conduce entro uno spazio sottostante, atto ad ospitare le quattordici opere. La metafora del viaggio prende corpo: un viaggio attraverso l’arte, volto a scoprirne i meccanismi e svelarne le possibilità; un viaggio al centro della Terra e della Sicilia; un viaggio che libera un universo di segni e mostra geo-grafie siciliane. 5


L’inizio di questo cammino ha avuto luogo agli albori degli anni Settanta, a Caltanissetta, presso i locali della Galleria “Il Re d’Aremi”: un’antica corniceria entro cui, sotto la guida di Franco Spena, si sono soffermati scrittori, poeti, musicisti e teatranti per interrogarsi sul proprio ruolo e sulla possibilità di trasformare la realtà attraverso l’ausilio della cultura. La data che determina il passaggio dalle parole ai fatti è il 1974, anno in cui nasce “Il Foglio d’Arte”: Rivista che sancisce un impegno sociale concreto. I numeri del mensile si succedono regolarmente per cinque anni, veicolando messaggi di valenza politica, artistica e culturale. Gli articoli pubblicati toccano gli argomenti più svariati, puntando il mirino sulle questioni regionali, per poi allargarlo a tematiche nazionali ed internazionali. Protagonisti di questa stagione iniziale insieme a Spena, gli artisti Michele Lambo e Salvatore Salamone, primi tre componenti ufficiali di quella che diventerà, a pieno titolo negli anni Novanta, per definizione della critica “La Scuola di Caltanissetta”. Per mezzo di questa “tela sperimentale” si tessono delle occasioni di crescita e di confronto con numerose altre personalità del mondo dell’arte e della cultura. Ulteriori sedi della Rivista vengono costituite a Catania e a Palermo, attraverso la collaborazione con la scrittrice Esther Bartoccelli e con il critico d’arte-artista-antropologo Francesco Carbone, oltre che a Firenze, per stabilire un ponte di collegamento con le esperienze artistiche locali, cui i tre pionieri del gruppo si sentono vicini. Il loro modo di “fare arte”, infatti, prende le mosse dalla Poesia Visiva fiorentina e dalle esperienze verbo-visuali, per poi approdare verso un orizzonte della parola più ampio, che abbraccia l’area d’azione palermitana: “Antigruppo” di Ignazio Apolloni (poi segnato dalle conseguenti mutazioni linguistiche in “Intergruppo” ed “Intergruppo Singlossie”). Al termine dell’avventura de “Il Foglio d’Arte” Lambo, Salamone e Spena, noti sotto la denominazione di “Collettivo Ex Foglio d’Arte” stilano una sorta di primo (ed unico) manifesto, in occasione di un intervento tenutosi all’Accademia di Belle Arti di Palermo, sotto la guida di Francesco Carbone. Siamo alle porte degli anni Ottanta, quando i tre artisti intraprendono una nuova avventura nel campo dell’editoria. Nasce un’altra Rivista, “Cartagini. Quaderni di politica cultura arte”, anch’essa destinata a cessare, ben presto, le pubblicazioni. La ricerca, tuttavia, procede ininterrottamente e, con questa, lo sviluppo mentale dei tre “artisti-scrittori”, portati a conoscere, per una serie di coincidenze, le sperimentazioni legate 6


alla parola in area lombarda. A seguito dell’incontro con Rossana Apicella, artista, semiologa e critico, attiva in territorio bresciano, il gruppo sposa le teorie legate alla Singlossia: un concetto inteso come mezzo d’espressione della Poesia Visiva; fusione e punto di congiunzione del linguaggio idosemantico (visivo) e del linguaggio fonosemantico (verbale). Attraverso e nella singlossia i due linguaggi divengono convergenti e complementari, così che l’uno non sia comprensibile senza la presenza dell’altro. La Singlossia nega di avere qualsiasi precedente o ascendenza, ponendosi come possibilità per la ricerca di nuove strutture linguistiche, caratterizzate dal superamento della Poesia Lineare. In quest’orbita si colloca l’opera intera de “La Scuola di Caltanissetta” i cui restanti componenti giungono, ciascuno con il proprio bagaglio esperienziale, a partire dalla fondazione del centro culturale Marcel Duchamp. Volutamente intitolato all’artista francese, questo “magazzino di immagini e parole” nasce a Caltanissetta nel 1984 con l’intenzione di occuparsi esclusivamente di attività artistica e di diffondere le tendenze contemporanee legate alla scrittura, trasmettendo, in un’atmosfera privata e attraverso l’assidua frequentazione da parte degli intellettuali, una forma di discontinuità con la tradizione accademica e formale presente nel resto della città. Il principio guida della poetica enunciata dal gruppo, ormai al completo, è ancora la specificità singolare e costante del segno. All’inizio degli anni Novanta, tuttavia, l’associazione chiude i battenti e l’attività prosegue attraverso canali di diffusione alternativi fino al 1993, quando viene istituita Qal’at, una galleria coperta dall’associazionismo, creata per dare un seguito alla Marcel Duchamp. Le mostre divengono, ora più che mai, il punto di forza dei sette artisti. Col finire del ‘900, Barba, Giuliana, Lambo, Riggi, Salamone, Spena e Tulumello seguitano a trasmettere la propria intuizione attraverso le opere, in una comunicazione scritta, continua e ragionata. L’obiettivo comune rimane quello di veicolare e sostanziare un messaggio attraverso l’arte. Intorno al 2004-2005, anche l’attività di Qal’at trova il suo culmine. Il gruppo perde momentaneamente l’ennesima sede e, nell’attesa di intraprendere una nuova avventura, il lavoro prosegue. L’oggetto d’arte dei sette artisti rimane immutato. Le ricerche si collocano entro un percorso che ha origini remote: una riflessione sulla 7


quale si sono concentrati, sin dall’Ottocento, personaggi del calibro di Mallarmè ed Apollinaire; una scia che ha avuto seguito nel Novecento con i Futuristi e i Dadaisti, che ha coinvolto le correnti neo-avanguardistiche del dopoguerra, i Concretisti ed i Poeti Visivi in tutta Italia e nel resto del mondo. Il resoconto è il riassunto di un viaggio in cui il linguaggio assume una forma concreta, imponendosi nella sua dimensione fisica attraverso le opere: la configurazione tangibile di un racconto criptato dal potere dell’arte. Il principio è il mito della parola e della scrittura. L’origine è il segno. Miriam La Rosa

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Abstract A Journey to the Centre of the Earth (1864) is the title of the science fiction novel by Jules Verne. The novel begins with the discovery of a parchment containing an encrypted message which provides instructions to reach the center of the earth. The protagonists of the exhibition are the seven artists from “La scuola di Caltanissetta” (The school of Caltanisssetta): Calogero Barba, Lillo Giuliana, Michele Lambo, Giuseppina Riggi, Salvatore Salamone, Franco Spena e Agostino Tulumello. This group has played and still plays a key role in contemporary arts in the Sicilian landscape. The parallelism to the novel finds its aim in the content of the exhibition itself. The purpose is to use the exhibition to make the community aware of the history of “La Scuola di Caltanissetta”. This is achieved through the use of documentaries about the group, such as journals written during the course of their publishing experience and some of the cultural events this group took part in, and the display of 14 pieces of work, two per artist. These works are the symbol of the group’s poetics – expression through the sign. The architecture of the facility, the recently-restored Cine-Teatro Marconi in San Cataldo, lends itself to the exhibition since the audience is led inside as if it were in a journey. Walking on a descending fly gallery people gradually approach the objects in question. First, they are exposed to historical documents about the artists; then, they are led into a lower level where the 14 art pieces are presented. The metaphor of the journey takes shape: a journey through art, aimed to find out its mechanisms and to reveal its possibilities. A journey to the centre of the earth and of Sicily. A journey which liberates a universe of signs and shows the core of the Sicilian landscape and of its visual arts.

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CALOGERO BARBA

Letteral/mente occupate 2000 Installazione: legno, cera, gesso, pigmenti 90x120x140

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Letteral/mente occupate è un'opera che "ricorda". Il valore attribuito alla memoria, nel lavoro di Barba, è fondamentale. Due sedie in legno da sala cinematografica: due autentiche sedute del "vecchio" Cine-Teatro Marconi che l'artista ha rinvenuto, per caso, ed una volta impossessatosene le ha fatte proprie, reinventandole. E' questa la parte più interessante di tutta la sua ricerca d'artista: il riferimento antropologico. Cercare simboli di un vissuto e riadattarli, re-suscitandoli ad una nuova vita. Il passato "letteralmente occupato": una ri-contestualizzazione dell'oggetto che diviene simulacro, testimonianza e monumento. Ad invadere il ricordo: la scrittura. Il suo ruolo viene amplificato. Inizialmente capace di fissare un concetto, ora giunge a sostanziarlo, prevaricandolo addirittura. Le lettere, imprigionate entro la cera di due tavolette, fuoriescono per condizionare lo spazio circostante e, quasi volendo spodestare l'uomo, assumono una fisicità tale da riuscire a "prenderne il posto". A segnalare una simile conquista, una scritta sullo schienale. E' una parola che si fa protagonista e portavoce, è un linguaggio che lascia il segno.

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CALOGERO BARBA

Il papa vero/il vero papa 1996 Tecnica mista: carta a mano, papaveri, pigmenti, grafite, colla 90x24 cadauno (due elementi blu e giallo)

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Due elementi: il giallo e il blu. Colori primari, assai saturi, colpiscono l'occhio con forza, imponendosi allo sguardo. Le strisce di carta accolgono delle tracce: fiori di papavero. Dall'artista coltivato in piccole quantità, curato ed assistito nella crescita, il papavero è qui qualificato come parte di un rito. Divenuto oggetto di riflessione Il papa vero/il vero papa perde alcune delle sue caratteristiche per assumerne delle altre. L'odore è differente, influenzato dai pigmenti e dalla colla, la forma è scomposta e la funzionalità cambia. Il fiore diviene simbolo di una territorialità di appartenenza, che recupera il mito dell'agro contadino per poi trasferirlo su di una dimensione concettuale. L'artista si fa agricoltore ed il frutto della sua fatica viene innalzato ad opera d'arte. Il suo impegno è suggellato nel tempo ed incastonato nella memoria. La scrittura, protagonista immancabile, affianca l'oggetto in questione avvalorandolo, come a volergli conferire l'impronta sottile della propria forza eternatrice.

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LILLO GIULIANA

Colture di-segni 2009 Sabucina, travertino, ferro, legno 2,30x (95x2,80x20)

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Colture di-segni è una sospensione visuale. Giuliana parte dalla materia e la svuota. Con un'azione decisa tira fuori una forma, la risolve e la plasma. La pesantezza del materiale, sabucina e travertino, si traduce in una leggerezza quasi priva dell'originaria consistenza; una percezione stravolta che pare sfidare le leggi della gravità ed alterare la memoria. Il blocco pesante da cui il lavoro prende le mosse si sfalda, poco a poco, lasciando il posto ad un segno che si impone nella sua pregnanza. Le lettere si ancorano al suolo ma, contemporaneamente, sembrano assumere una fisicità divincolata dal peso effettivo che le caratterizza. La massa viene penetrata e privata degli eccessi per dare vita ad un simbolo, ad un insieme di lettere ed elementi geometrici che si stagliano e si dispongono armonicamente. L'opera è una scultura che diventa installazione; una traccia che assume tridimensionalità e permette un'osservazione da molteplici punti di vista: a tutto tondo, circolare e completa. La varietà delle sagome vincola lo spazio. Un percorso visivo che scandaglia piani diversi: un complesso di sensazioni a contrasto.

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LILLO GIULIANA

Sapere ascoltare 2009 Legno, alabastro scolpito 195x21x31; base 50x50

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Sapere ascoltare è l'emblema di una ricerca; è un'opera che rivela. L'artista si rapporta con la materia e si colloca in una condizione di ascolto, quasi sottoponendosi ad essa. L'alabastro è scolpito con estrema delicatezza, con la volontà di chi intende essere d'ausilio alla divulgazione di un messaggio, al recupero di un reperto. L'essenzialità celata dalla massa assume corporeità e si rende manifesta. Il coinvolgimento sensoriale è amplificato. Vista, tatto, udito. Quest'ultimo è evocato e legittimato dalla parola scritta e suggerito dalla struttura che, dalla base, si staglia. La percezione tattile è concreta, la lucidità del materiale visibile, l'equilibrio del profilo ricercato. Un conflitto di forme: definita è la geometricità dei cubi dell'asse e sinuosa la punta. I contrasti appaiono bilanciati. A predominare è la sensazione di limpida purezza rammentata dal bianco dell'alabastro. Il resoconto è un percorso che prende le mosse da un blocco informe e giunge ad un risultato tangibile, carico di significato e denso di simboli. Il mezzo espressivo consiste nella capacità di impegnarsi a svelare. L'obiettivo è sapere ascoltare.

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MICHELE LAMBO

tritalettere 2010 Assemblage: tritatrice, caratteri in piombo, caratteri in legno, spago 40X40x20

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Tritalettere è un assemblage ricercato. Per dirla con Miccini, Michele Lambo "maneggia le materie con la praticità dell'artigiano". Tutto il suo lavoro si sviluppa a partire da un'attenta selezione dei materiali che l'artista intende utilizzare per plasmare l'opera. Nessuna scelta è casuale; ogni elemento assurge ad una specifica funzione: farsi significante o significato, a seconda della capacità di mostrare una cosa, o di determinare un senso. Gli elementi prescelti per veicolare un simile intento vengono utilizzati in tutta la loro naturale corporeità . La tritatrice, oggetto appartenente ad un immaginario collettivo ben definito, esibisce un atto: macina assieme dei caratteri. Questi ultimi sono composti di legno e piombo, due elementi estremamente duttili, paradossalmente morbidi, volti a suggerire un concetto: lo spezzettamento della parola. Le lettere assumono una consistenza concreta e vengono frantumate, mescolate, modificate, lungo un filo di spago sottile che le mantiene unite nella loro grottesca sorte. Non ci resta che compiangere il linguaggio lineare o, meglio ancora, ammirarlo in una nuova fattezza.

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MICHELE LAMBO

pagine bianche 2010 Assemblage: legno,carattere in legno, letterine in alluminio, tempera, colla 28x43x10

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Un bianco pigmento ricopre due spesse tavole lignee: purezza greve. Pagine bianche è una possibilità, un'occasione insolita e curiosa. E' una scatola segreta e mistica quella che Lambo propone; un elemento totemico, con le sembianze di un libro apparentemente privo di testo. Pare quasi che l'oggetto in questione stia lanciando un messaggio: un'autorizzazione a una lettura personale dell'opera. Le lettere sfuggono dal foglio ed assumono un'ubicazione alternativa, all'infuori del contesto ordinario. Ma la posizione innovativa è guidata dalla mano esperta dell'artista che, con estrema abilità le libera dalla responsabilità di veicolare formalmente un concetto. Ed è così che avviene lo straniamento, il contrasto sensoriale e percettivo che invade lo spettatore: ciò che gli si pone dinnanzi suggerisce l'idea di un qualcosa di noto, di familiare, di contestualizzabile nella vita reale e, contemporaneamente, diverso, autonomo e misterioso. In questo vortice di sensazioni, tuttavia, un sentimento prevale più di ogni altro: desiderio.

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GIUSEPPINA RIGGI

Invito a tavola/sensuale invito 2010 Pittura acrilica su tela di cotone: tavolo, tela di cotone, ceramiche 80x210x110

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Una metafora apparecchiata: un'esortazione stimolante. Imbandito con cura è l'invito a tavola di Giuseppina Riggi, autrice di quest'opera "parlante". La tela perde la cornice, non è appesa; è distesa su di un tavolo in cui ospita dei segni, delle forme, delle tracce. Degli oggetti che si mostrano corposi, confondendosi ai pigmenti del colore, risaltano dalla stoffa di cotone rivelando alcune scritte: Invito a tavola /sensuale invito. Un avvertimento stuzzicante e profondo. Materica è l'arte della Riggi, criptica nei mezzi. Il percorso creativo è sinuoso, morbido, mentale. E' un'idea che prende corpo e si trasforma in un soggetto che rimane astratto e lascia evidenti appena delle orme. La cognizione del concetto esige uno sforzo riflessivo ed immaginativo. Ed ecco che il pensiero vaga e molteplici sensi vengono coinvolti: la vista e il tatto, ad un livello immediato; il gusto e l'olfatto, come in un automatismo psichico; l'udito, attraverso un piano evocativo. Le grafie sono un ausilio e un indizio del messaggio sotteso. Il prodotto è una "scrittura di sensi".

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GIUSEPPINA RIGGI

Scritture Sensuali 2010 Tessuto, acrilico, pigmenti, colla e foglia argento 320x320

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Orientare lo sguardo e fruire dell'opera. Equilibrio estetico, leggerezza e armonia: femminilità. Le Scritture Sensuali che l'artista ha realizzato sono delle tracce, familiari e rassicuranti, di un "fare da donna". La diversità dei tessuti è ricercata, la corposità del pigmento evidente. Orme intriganti di un discorso mentale si dispiegano quasi autonomamente, assumendo forme ideali e, contemporaneamente, assai concrete. La mano è quella dello scultore che plasma e disegna nello spazio un oggetto concettuale, avvezzo com'è a trattare con la materia. Attraverso un rapporto bidirezionale, di scambio ed ausilio reciproco, l'opera assume la propria fattezza, mentre chi la definisce trae il vantaggio della liberazione e della scoperta dell'altro; il ritrovamento di sé. Compaiono, così, simboli organici ed allegorie di pulsioni corporee, scorci di un vissuto comune, ancestrale. Un insieme di "campiture erogene", come più volte tali grafie sono state definite, è la figurazione che appare a chi osserva. Un'intimità morfologica che ipnotizza.

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SALVATORE SALAMONE

Tibet Varial 2008 Terracruda, semi di farro, avena e orzo, ramoscelli di ulivo, pigmento rosso acrilico Ă˜ cm 40

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Tibet Varial racconta una storia. Nel 2008 l’artista, incuriosito dalle vicissitudini dei Tibetani oppressi dal governo cinese, intraprende un paziente lavoro di scrittura per esprimere la propria partecipazione al fatto. Nasce una spirale di segni che sviluppa un concetto di tempo infinito, che fornisce l’idea del principio e si estende ad una dimensione cosmica. Su di una base di terracruda, ha luogo un processo rituale, lento, pensato. I materiali impiegati, tutti naturali, sono semi di farro, avena, orzo, ramoscelli d’ulivo. Una riscoperta delle origini, un’evocazione di pace. Il tondo, impastato con calma, richiama alla memoria il lavoro dello scriba-sacerdote, che incide la tavola pressata con sottili grafie cuneiformi. La lentezza di un rito, un cammino scandito nel tempo, l’esortazione a fermarsi, a pensare. In un’epoca in cui vige la legge della velocità, l’opera di Salamone è un monito; è il recupero di una religiosità perduta; è il rosso pigmento in coda alla spirale che, rievocando le vermiglie vestigia dei monaci, infrange il silenzio ed innalza un’offerta al Tibet.

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SALVATORE SALAMONE

Lettere da Bagdad 2005 Terracruda, sabbia, legno 42x36x46

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Il senso della scoperta: un resto, un reperto. Una serie di tavolette frantumate emerge tra la sabbia: l’impegno di un archeologo. La terracruda scalfita dai segni rivela un linguaggio cuneiforme che richiama alla mente un’epoca trascorsa e lontana, che racconta la storia di un impero inciso nell’argilla: Ebla. Il fascino esercitato sull’artista da questa antica civilta è immenso. Salamone ne studia le vicende, le manifestazioni culturali, la tradizione scritta. Individua il passaggio dall’oralità all’incisione, evidenzia quel transito sensitivo che muove dall’udito e dalla parola, per giungere alla vista ed alla manualità. Crea le sue Lettere da Bagdad, compone le tavolette, le scrive e le frantuma; rievoca una sofferenza, racconta una guerra. Attraverso questa ritualità ricercata, l’artista rende manifesto il suo personale motivo antropologico e lo sviluppa nell’opera, elaborando dei caratteri misteriosi, attenti ed organizzati, con certosina precisione. Il segno ha una valenza estetica e, contemporaneamente, documentaria, dal momento che richiama alla mente il lavoro dell’uomo e la volontà di lasciare un’impronta di sé e del proprio pensiero sulla morbida argilla. Questa operazione è un fossile scolpito con lentezza, è una sensazione di felicita.

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FRANCO SPENA

Oh! My Eart, My Eart. 2009 Carta, ritagli di lattine, buste di plastica, cotone, rose

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Attraverso la sua vocazione d’artista e di poeta Franco Spena cerca nella realtà una parola primitiva. In uno stato di sospensione perenne, intraprende la costruzione di un’opera e comincia a ”starle dietro”, quasi obbligato da un sentimento che lo vincola al suo oggetto, che lo possiede. La sua arte è una semicultura, intesa come operazione sul frammento, sulla terra come seme, tessera da raccogliere e conservare, da piantare e far germogliare in parole: scritture nuove. La trasformazione consiste nel raggiungimento di una forma di scrittura diversa: la Poesia Visiva, data dalla mutazione della posizione originaria dei caratteri e, parallelamente, dei materiali. E’ analisi di un limbo, in cui il linguaggio si decompone e subisce una perdita di senso. Così in Oh! My Eart, My Eart la visione è l’emblema di un concetto suggerito da una didascalia: modifica e re-interpretazione, assonanza, disorientamento. Una serie di fogli di carta sono coperti da bustine di plastica; dentro: dei cuori? Scarti che rifondano un concetto e rievocano un suono, un battito. E rose appassite: comunione di colori. Un gioco di parole ed una lettera mancante. Le possibilità sono infinite.

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FRANCO SPENA

Un coup de pinceau jamais n’abolira le hasard Omaggio a MallarmÊ 2009 Installazione: digital painting on canvas, pennello, acrilico Dimensioni variabili

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Un colpo di pennello: omaggio a un poeta. Stephane Mallarmé, caposcuola e guida spirituale dei simbolisti, invoglia a dipingere “non la cosa, ma l’effetto che essa produce”. Nel 1876 pubblica “Un coup de des jamais n’abolira le hasard” infrangendo la struttura tradizionale del sistema sintattico e grafico e rispondendo al secolare interrogativo sull’assoluto con una negazione: un colpo di dadi non abolirà mai il caso. Un distacco risolutivo dall’accidentale e impossibile. Franco Spena, con il suo fare poetico recupera questo concetto e lo trasla all’interno della propria ricerca. Quest’opera è un insieme di frammenti di parole che formano una pennellata, apparentemente lineare; la retta, tuttavia, reca in seno uno scontro esplosivo di caratteri, lettere e parole: ritagli di quotidianità. L’artista pare suggerire: attenzione! Il formato può trarre in inganno; l’originaria parola, quella purificata, è nell’aria, nella realtà. Mallarmé apre una serie feconda di interrogativi e Spena, dal canto suo, compie la medesima operazione: Un coup de pinceau jamais n’abolira le hasard. Il mondo ontologico e ricercato all’interno di quello poetico.

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AGOSTINO TULUMELLO

Imbalsamare ricordi del mio tempo 2002 Collage: petali di rosa con cera, lino sfilato 73x73

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Fazzoletti di lino sfilato sono la tela del tempo di Tulumello. L’artista orienta l’intera sua attività alla riflessione sul tempo: un tempo della memoria e del ricordo, dell’assenza e dell’infinito. Imbalsamare ricordi del mio tempo è un’opera che, per certi versi, accomuna; è un raccontare attraverso l’arte, incastonando testimonianze universali. La trama riferisce una storia antica, dal profumo di donna, in un ritaglio di stoffa che cela la paziente mansione femminile della lavorazione del lino e del ricamo. Una scansione temporale fatta di gesti naturali e l’automatismo di chi agisce sul tessuto, quello stesso da Tulumello riesumato. Ed ecco che sulla scena poetica compaiono le parole, attrici indefesse ed enigmatiche: si perdono, vagano, si mimetizzano e avanzano suggerimenti interpretativi. Al centro, i petali bloccati dalla cera paiono conservare ancora il dolce odore dell’origine. Lo spazio è influenzato dai caratteri che si fanno segni di luoghi narrativi altri e distanti. Un’esperienza lontana vive nella mente dell’artista e si ricontestualizza nell’opera, immortalando il tempo come in una fotografia.

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AGOSTINO TULUMELLO

Musica di parole per una croce 2003 Pentagrammi ed inchiostro di china 200x140

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Il suono di una melodia febbricitante traspare: Musica di parole per una croce. Ad incidere il componimento sul pentagramma è la mano di Tulumello, come colpita dall’estasi della scrittura. Lo spartito si dispiega in una serie di tracce che divengono note infuocate, impegnate ad esibirsi in una danza deflagrante. I segni colpiscono l’occhio e producono un suono ideale, scandiscono un ritmo inarrestabile. Il tempo sfugge per una volta dalla dimensione immateriale per eccellenza e si concretizza in uno schizzo d’inchiostro. La struttura della composizione rievoca una croce; un contrassegno della sospensione tra l’inizio e la fine, un sentimento di attesa; un elettrocardiogramma di istanti. L’artista si fa astratto musicista del tempo e cerca affannosamente di fotografarlo, contarlo, schematizzarlo. E lo spettatore non può che sprofondare in un religioso silenzio, partecipando soltanto mentalmente ad un simile ossequio. La partitura sfavilla di un monocromatismo severo. Nell’aria si ode un’eco: un’incessante preghiera del tempo.

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Finito di stampare a Caltanissetta nel mese di novembre 2010 per ordine e conto del Rotary Club di San Cataldo

Si ringraziano gli sponsor che hanno permesso la realizzazione dell’evento

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