Kaire 46 Anno II

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Il settimanale di informazione della Chiesa di Ischia ANNO 2 | numero 46 | 14 novembre 2015 | E 1,00

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LA DIOCESI DI ISCHIA AL CONVEGNO La nostra delegazione ha accompagnato il vescovo Pietro nel rappresentare e dare il contributo della Chiesa di Ischia. Lagnese: “la Chiesa di Ischia deve essere famiglia di famiglie”

QUALE CHIESA

Una chiesa inquieta

Il vento di libertà dei Da Firenze i cattolici pronti ad aprire nuove strade all'annuncio figli di Dio del Vangelo. Il Papa ha tracciato la linea per una Chiesa italiana Di Domenico Delle Foglie Direttore Agensir

sempre accanto “agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti".

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inquietudine cristiana è il lascito di questa visita fiorentina di Papa Francesco che segnerà il cammino della Chiesa italiana negli anni a venire. Una Chiesa che non ha ricette preconfezionate, che si mette in ascolto e dialoga con tutti e costruisce con quanti ci stanno. Anche rischiando di ferirsi, di incorrere in qualche incidente di percorso e persino di sporcarsi. Perché se ti pieghi sui poveri, sarà inevitabile che ti sporchi. Come si parla a “una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti”? Con rispetto e parresia, con semplicità e profondità, con amore e prossimità, con fedeltà e serenità, con severità caritatevole e slancio creativo, con la forza del dialogo e il trasporto di chi sa amare, senza imporre scelte ma suggerendo itinerari, senza giudicare ma lasciandosi valutare. E soprattutto lasciandosi svuotare… Svuotare dalle ambizioni e dalla ricerca di potere, dal desiderio di occupare lo spazio ecclesiale come quello civile, dalla voglia di preservare tutti i nostri piccoli e grandi spaContinua a pag. 2

ECUMENISMO Chiamati all’amore, alla pace, all’unità! Un pomeriggio di fraternità con la comunità luterana.

FORMAZIONE DIOCESANA Secondo appuntamento con il prof. Bellantoni, per una maggior educazione ai valori.

PREMIO Professor FRANCESCO FERRANDINO Il prof. Paolo Crepet alla cerimonia di premiazione di sabato 21 novembre ad Ischia.

KOSMOPOLIS Fervono i preparativi per la quarta edizione della scuola di formazione politica. Tante le novità.


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Continua da pag. 1 zi di controllo sugli altri, dall’abitudine a fare sempre le stesse cose e a non allontanarci dalla strada collaudata, dalle strutture che abbiamo costruito nel tempo e che rischiano di diventare la nostra ragione di vita. E infine svuotarsi di sé per abbassarsi sul volto del povero nel quale possiamo riconoscere ogni uomo e ogni donna che ha calpestato e calpesta questa terra. Senza “addomesticare la potenza del volto di Gesù” in cui ciascuno può riconoscere tutta l’umanità e da cui lasciarsi inquietare. Ecco, l’inquietudine cristiana è il lascito di questa visita fiorentina di Papa Francesco che segnerà il cammino della Chiesa italiana negli anni a venire. Una Chiesa che non ha ricette preconfezionate, che si mette in ascolto e dialoga con tutti e costruisce con quanti ci stanno. Anche rischiando di ferirsi, di incorrere in qualche incidente di percorso e persino di sporcarsi. Perché se ti pieghi sui poveri, sarà inevitabile che ti sporchi. L’umanesimo che Francesco ha indicato ai pastori e a tutti i cattolici italiani ha le sue radici in Gesù Cristo, anzi per non lasciare dubbi ha scandito: “La dottrina è Gesù”. Da qui la certezza che non ci sarà chiesto di essere perfetti, di adeguarci perennemente alla norma e di servircene come metro di giudizio. Piuttosto ci sarà chiesta creatività e ci sarà chiesto di cercare strade nuove, con coraggio e anche un pizzico di incoscienza. Insomma, i cattolici italiani possono cominciare a osare, sia nella vita di Chiesa che nella piazza civile. Il Papa chiede ai Pastori di mettersi in ascolto dei fedeli e di condividere con loro il cammino. A tutti offre con delicatezza, quasi a non voler interferire, “un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni diocesi e circoscrizione, cercate di avviare, in modo sinodale un approfondimento della Evangelii Gaudium, per trarre da essa criteri pratici e

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Il vento di libertà dei figli di Dio

per attuare le sue disposizioni”. Questa è l’unica indicazione stringente che Francesco ha voluto dare alla Chiesa italiana, spingendosi addirittura ad affermare: “Ma allora che cosa dobbiamo fare? – direte voi. Che cosa ci sta chiedendo il Papa? Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme. Io oggi semplicemente vi invito ad alzare il capo e a contemplare ancora una volta l’Ecce Homo”. Nella cattedrale di Firenze ha soffiato forte il vento della libertà dei figli di Dio. Grazie a Francesco, il Papa “preso quasi dalla fine del mondo” che, a giudicare dal crescendo degli applausi che hanno scandito il suo discorso, ha conquistato i cuori e le menti degli ita-

Via delle Terme 76/R - 80077 Ischia Codice fiscale e P.Iva: 04243591213 Rea CCIAA 680555 - Prefettura di Napoli nr.11219 del 05/03/2003 Albo Nazionale Società Cooperative Nr.A715936 del 24/03/05 Sezione Cooperative a Mutualità Prevalente Categoria Cooperative Sociali Tel. 0813334228 Fax 081981342 info@kairosonline.it pec: posta.kairos@pec.it Registrazione al Tribunale di Napoli con il n. 8 del 07/02/ 2014

liani. Italiani brava gente? No, italiani gente brava. Che capisce bene chi parla per amore e ne accetta anche un rimbrotto, perché non è mai senza carità. Gente brava che non aspetta altro che incamminarsi, insieme con il proprio vescovo, sulle vie del mondo. Gente brava che in molti casi già si è messa in discussione e in cammino, superando pregiudizi e chiusure, alterità e preconcetti, mettendosi in gioco senza aspettarsi nulla qui e ora. Il Papa dà fiducia a questa gente, al punto da chiedere loro di aiutare il vescovo a stare in piedi, accanto a loro. Vescovo e popolo. Popolo e vescovo. Sì questa Chiesa libera, umile, disinteressata, lieta, col volto di mamma, popolare e forse

Direttore responsabile: Dott. Lorenzo Russo direttorekaire@chiesaischia.it @russolorenzo Direttore Ufficio Diocesano di Ischia per le Comunicazioni Sociali: Don Carlo Candido direttoreucs@chiesaischia.it Progettazione e impaginazione: Gaetano Patalano per Cooperativa Sociale Kairos Onlus

anche popolana, capace di soffrire e di sorridere… Questa Chiesa immagine dell’Ecce Homo… ci piace. Sì che ci piace. Chi siamo noi per dirlo? Solo un frammento minuscolo di quel popolo. Domenico Delle Foglie

LA DIOCESI DI ISCHIA SU AVVENIRE Domenica 22 novembre il quotidiano Avvenire dedicherà una pagina intera alla diocesi di Ischia!

Redazione: Via delle Terme 76/R - 80077 Ischia kaire@chiesaischia.it | @chiesaischia facebook.com/chiesaischia @lagnesepietro Tipografia: Centro Offset Meridionale srl Via Nuova Poggioreale nr.7 - 80100 Napoli (NA) Per inserzioni promozionali e contributi: Tel. 0813334228 Fax 081981342 oppure per e-mail: info@kairosonline.it

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Lagnese: “la chiesa di Ischia deve essere una famiglia di famiglie”

Di Francesco Schiano

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apa Francesco ha toccato le corde del nostro cuore rivolgendosi alla Chiesa italiana riunita per il 5° convegno ecclesiale. Si aspettava un discorso così forte e concreto? “Mi aspettavo questo tipo di discorso da Papa Francesco soprattutto perché a differenza delle altre volte dove il Santo Padre parlava al termine del convegno, questa volta Egli è praticamente intervenuto nelle battute iniziali, quasi a dettare le linee guida di questi lavori. E ancora una volta non si è smentito per la sua concretezza e determinazione nel chiedere a tutti i costi alla Chiesa italiana di rinnovarsi alla luce del Vangelo: ci ha riproposto l’Evangeli Gaudium, ci ha affidato i tre atteggiamenti (umiltà, disinteresse e beatitudine) sui quali verificarci come Chiesa e come singoli”. Rinnovarsi alla luce del Vangelo porta con sé anche delle possibili tentazioni e il Papa ne ha sottolineate due in modo parti-

colare “Si tratta, ci ha detto il Santo Padre, del pelagianesimo e dello gnosticismo. Ha riproposto con grande forza l’annuncio del Kerigma, cioè di Cristo incarnato, morto e risorto per la nostra salvezza affinché la Chiesa eviti la tentazione di credere che siamo noi con le nostre forze a determinare la salvezza delle anime, mentre richiamando lo gnosticismo che è quella dottrina che nega l’incarnazione del Figlio di Dio, il Papa ci ha voluto ricordare che anche come Chiesa possiamo assumere un atteggiamento del genere se ci rifugiamo in comportamenti solamente spiritualistici ed intimistici”. E’ stato curioso ma efficace il richiamo alla figura di don Camillo di Guareschi, il parroco che unisce la preghiera con la vicinanza ai suoi parrocchiani… “Il Papa ha chiesto sin dal primo giorno che la Chiesa si mettesse davvero in cammino con il popolo cristiano. Noi ischitani possiamo davvero giocarci la carta di essere una Chiesa “famiglia di famiglie”

A Firenze abbiamo incontrato il vescovo di Ischia Pietro Lagnese e gli abbiamo chiesto alcune considerazioni in merito al discorso del Papa ad inizio convegno. dove tutti si conoscono e condividono le loro esperienze sull’esempio della prima comunità cristiana che ci viene descritta negli Atti degli Apostoli però questo richiede di mettersi in discussione perché ci impone di uscire da noi stessi affinché tutta la nostra vita sia evangelicamente vissuta. Se così faremo sperimenteremo quella beatitudine di cui oggi ci parlava il Papa, che niente e nessuno ci potrà togliere, sperimenteremo davvero la gioia di essere cristiani”.

Un’occasione propizia per vivere quanto ci chiede il Papa è il prossimo Giubileo della Misericordia “L’anno della misericordia deve aiutarci proprio a metterci in sintonia con i sentimenti di Gesù come ci ha ricordato il Papa e il sentimento di Cristo per eccellenza è quello della misericordia. Una chiesa misericordiosa dunque per somigliare a colui al quale siamo chiamati a guardare e dal quale vogliamo lasciarci guardare”.


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Il sogno di Francesco: una chiesa “inquieta”, col “volto di mamma” e sempre più vicina ai poveri Della Redazione

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immagine della cupola di Santa Maria del Fiore, con la raffigurazione al suo interno del Giudizio Universale. Il Peppone e il don Camillo di Guareschi che si fronteggiano con rispetto da fronti opposti, senza paura di litigare. Un vescovo che in una metropolitana affollata non sa dove reggersi e allora conta sul sostegno della sua gente. Tre immagini che raccontano, in sintesi, il discorso di Papa Francesco ai 2.200 rappresentanti della Chiesa italiana, riuniti a Firenze per il loro quinto Convegno ecclesiale nazionale. Poco prima, Francesco aveva avuto l’occasione di ammirare la “Crocifissione bianca” di Marc Chagall, uno dei suoi quadri preferiti. Il decimo viaggio pastorale di Papa Francesco in Italia era iniziato due ore prima, a Prato, dove incontrando il mondo del lavoro aveva chiesto “patti di prossimità”. “Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti”, il sogno del Papa da Santa Maria del Fiore, in cui ha chiesto ai cattolici di essere “creativi” e di credere “al genio del cristianesimo italiano”. Nella Messa allo stadio Artemio Franchi, momento conclusivo del viaggio, Francesco ha ricordato che l’umanesimo, a partire da Firenze che ne è stata la culla, “ha sempre avuto il volto della carità” e ha auspicato “che questa eredità sia feconda di un nuovo umanesimo per questa città e per l’Italia intera”. L’iscrizione alla base dell’affresco recita “Ecce Homo”. Il Papa la guarda, all’esordio del suo discorso a Santa Maria del Fiore, e dice che “possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo”. “Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Gesù, è il misericordiae vultus”, simile a quello “di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati”. Il primo affondo: “Non capiremo nulla dell’umanesimo cristiano e le nostre parole saranno belle, colte, raffinate, ma non saranno parole di fede. Saranno parole che risuona-

Dalla cattedrale di Santa Maria del Fiore il Papa lancia otto affondi ed esorta i vescovi a essere “pastori” e a “non rinchiudersi nelle strutture”. Il sogno di una Chiesa italiana sempre accanto “agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti”. “Umiltà, disinteresse, beatitudine” l’identikit, pelagianesimo e gnosticismo le tentazioni da evitare. Ai giovani: “Superate l’apatia”. L’avvio di un percorso sinodale di base sulla “Evangelii Gaudium”

no a vuoto”. “Umiltà, disinteresse, beatitudine”. Tre parole che per il Papa dicono molto dell’identità della Chiesa italiana. “Disinteresse” significa “cercare la felicità di chi ci sta accanto”, perché “l’umanità del cristiano è sempre in uscita, non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di se stesso, allora non ha più posto per Dio”. Il secondo affondo: “Evitiamo, per favore, di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli”. “Per i grandi santi la beatitudine ha a che fare con umiliazione e povertà. Ma anche nella parte più umile della nostra gente c’è molto di questa beatitudine”. Il terzo affondo: “Non dobbiamo essere ossessionati dal potere. Una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste”. Poi uno dei temi chiave di questo pontificato: “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”. Le tentazioni da evitare. Il quarto affondo arriva dal no alle “pianificazioni perfette perché astratte”, ad “uno stile di controllo, di durezza, di normatività”: “Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative”. Oltre a quella del pelagianesimo, l’altra tentazione da cui guardarsi è lo gnosticismo, che “porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza del fratello”. “Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, signi-


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Della Redazione

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fica costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e generare intimismi che non danno frutto, che rendono sterile il suo dinamismo”, il quinto affondo. Bisogna imparare da “grandi santi” come Francesco d’Assisi e Filippo Neri, ma anche da personaggi come don Camillo “che fa coppia con Peppone”: “Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte”. Prima i poveri. “Popoli e pastori insieme”, il sesto affondo del Papa: “Ai vescovi chiedo di essere pastori: sarà la gente, il vostro gregge, a sostenerci”. Come il vescovo che, in metro all’ora di punta, “si appoggiava alle persone per non cadere”. Perché “quello che fa stare in piedi un vescovo è la sua gente”. Settimo affondo sotto forma di preghiera: “Che Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro”. Prima i poveri: la Chiesa “ha l’altra metà della medaglia di tutti e riconosce tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati”. “Dialogare non è negoziare”, avverte Francesco esortando alla cultura dell’incontro: “Il modo migliore di dialogare è quello di fare qualcosa insieme, non da soli, tra cattolici, ma insieme agli uomini di buona volontà”, l’ottavo affondo, perché “il fratello conta più delle posizioni che giudichiamo lontane dalle nostre pur autentiche certezze”. “La nazione non è un museo”, la Chiesa ha titolo per intervenire nel dibattito pubblico. Ai giovani, Francesco ha chiesto di “superare l’apatia” e di non guardare la vita dal balcone. Per tutta la Chiesa italiana, a ogni livello, un’indicazione: un percorso sinodale centrato sulla “Evangelii Gaudium”.

ono 2145 persone provenienti da 118 diocesi, associazioni, movimenti. I laici costituiscono oltre il 50 per cento e il primato per fasce d’età spetta a quelli che hanno fra i 36 e i 59 anni, seguiti da quanti rientrano fra i 60 e i 74 anni. In terza fascia i più giovani, fra i 18 e i 35 anni. La domanda, ora, aleggia nell’aria: saprà il post-convegno proseguire sulla spinta impressa dagli interventi di papa Francesco? Si riuscirà a passare da «un’epoca di cambiamenti a un cambiamento d’epoca», come recitava un passaggio dell’intervento di Bergoglio in cattedrale il primo giorno di convegno? La fiducia sembra prevalere sullo scetticismo, che, diciamolo pure, non è mancato nella fase preparatoria e fino all’arrivo a Firenze. Forte l’adesione dei presenti alla spinta innovativa del papa - basti pensare ai 19 applausi che hanno accompagnato il suo intervento – e, soprattutto, molto più diffusa di quanto si pensi la pratica di una chiesa come quella disegnata da Francesco, anche se da tante parti ce n’è da fare. Nel cuore del convegno ci sono stati i lavori di gruppo sulle “cinque parole”: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. I 203 «tavoli» hanno dato l’esempio di una scuola di «metodo ecclesiale». Vescovi, sacerdoti, laici, religiosi, giovani e adulti, infatti, si sono seduti uno accanto all’altro e, senza timore, hanno messo sul piatto il proprio vissuto e quello delle proprie comunità. E così hanno iniziato a delinearsi i primi nodi critici accanto alle richieste e alle proposte per scioglierli. Non sono mancati gli orizzonti coraggiosi, indicati con l’intento di rendere la Chiesa italiana sempre più presenza profetica nel Paese. Ad aiutare i delegati nel lavoro di confronto c’erano le riflessioni offerte dalla Traccia elaborata all’inizio del cammino di preparazione. Un sussidio che è stato sintetizzato in un opuscolo più breve inserito nelle sacche dei partecipanti ai lavori nella Fortezza da Basso. Questi tavoli di confronto sono stati l’occasione per mettere in comune riflessioni e buone pratiche, con uno scopo ben preciso, come spiega il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galan-

Al convegno ecclesiale di Firenze gli oltre duemila delegati si sono ritrovati in lavori di gruppo dove ciascuno ha potuto portare un contributo di vita e di pensiero.

Ripartire dalla… fortezza da basso

tino: «Indicare obiettivi concreti, veri, belli». Dunque spazio alla responsabilità personale, al protagonismo, all’impegno di ciascuno per far sì che questo convegno segni davvero una tappa feconda per la Chiesa in Italia. ono 2145 persone provenienti da 118 diocesi, associazioni, movimenti. I laici costituiscono oltre il 50 per cento e il primato per fasce d’età spetta a quelli che hanno fra i 36 e i 59 anni, seguiti da quanti rientrano fra i 60 e i 74 anni. In terza fascia i più giovani, fra i 18 e i 35 anni. La domanda, ora, aleggia nell’aria: saprà il post-convegno proseguire sulla spinta impressa dagli interventi di papa Fran-

cesco? Si riuscirà a passare da «un’epoca di cambiamenti a un cambiamento d’epoca», come recitava un passaggio dell’intervento di Bergoglio in cattedrale il primo giorno di convegno? La fiducia sembra prevalere sullo scetticismo, che, diciamolo pure, non è mancato nella fase preparatoria e fino all’arrivo a Firenze. Forte l’adesione dei presenti alla spinta innovativa del papa - basti pensare ai 19 applausi che hanno accompagnato il suo intervento – e, soprattutto, molto più diffusa di quanto si pensi la pratica di una chiesa come quella disegnata da Francesco, anche se da tante parti ce n’è da fare.


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Formazione Diocesana 14 novembre 2015

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Giovedì 5 novembre al Polifunzionale di Ischia si è svolto il secondo di sei appuntamenti con il prof. Domenico Bellantoni nell’ambito del Progetto Formativo sull’Affettività e Sessualità. Presenti tanti genitori, insegnanti, catechisti, operatori parrocchiali, animatori sportivi, alunni delle quinte classi del Liceo Statale Ischia e tante altre persone mosse dal desiderio di approfondire tematiche di straordinaria importanza.

Di Giuseppe Galano

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l percorso di formazione, offerto dalla Diocesi d’Ischia nasce dall’esigenza, largamente condivisa sia negli ambienti ecclesiali che sociali, di colmare un vuoto educativo preoccupante nelle nostre comunità circa le dimensioni dell’affettività e sessualità della persona umana. Nel corso dell’incontro si è trattato di Educazione socio-affettiva e maturità personale tra libertà e responsabilità. Il relatore, durante il suo intervento, ha posto l’accento sullo sviluppo di una sana identità personale e sull’autopercezione in rapporto ai diversi eventi della vita, in particolare quelli coinvolgenti relazioni e condotte socio affettive. Egli ha esaminato i fattori che incidono sul comportamento umano, in particolare su quello socio affettivo e sessuale. Infine si è soffermato su due aspetti fondamentali della persona:

autonomia e responsabilità. I partecipanti hanno assistito con enorme interesse alla lezione del prof. Bellantoni interagendo con il relatore attraverso domande e spunti di riflessione che hanno permesso alla folta platea presente in sala di entrare più facilmente nel cuore dell’argomento. Bellantoni ha ribadito più volte che quando si parla di educazione sana affettiva e sessuale occorre considerare che chi mette in atto i comportamenti è sempre la persona. Il protagonista di qualsiasi azione è sempre l’individuo, il quale assumerà comportamenti maturi o immaturi a seconda del suo grado di maturità. L’educazione sana affettiva e sessuale va considerata sotto varie valenze; da differenti visioni antropologiche possono nascere differenti educazioni alla sessualità. Il relatore ci parla di Educazione ai valori affermando che ognuno orienta le proprie scelte a determinati valori. Si sofferma sull’educazione socio affettiva inte-

Educazione sana affettiva e sessuale sa come crescita sessuale e crescita della persona per ottenere comportamenti che possano essere sempre maturi. Un concetto fondamentale sul quale invita tutti a focalizzarsi è quello dell’Identità, inteso come capacità in tempi e situazioni diverse di essere sempre se stessi. Non sorprende come un adolescente mostri una non identità, determinata dagli ambienti che frequenta. Occorre favorire quel processo che conduca la persona ad essere sempre identica a se stessa nello spazio e nel tempo e che possa quindi sviluppare una propria Personalità. La personalità è qualcosa che si costruisce lungo il percorso di vita. Gli adolescenti non dovrebbero vivere “sotto una campana di vetro” altrimenti verrebbe impedito loro di crescere e costruirsi la propria personalità ed individualità. I genitori, a detta del relatore, dovrebbero far si che i propri figli facciano esperienze sotto la loro supervisione, impedire ciò è dannoso. Bellantoni si sofferma su tre aspetti della persona: il Sé, il Concetto di Sé e l’Autostima. Il Sé riguarda tutto quello che vi è dentro la persona, tutte le sue esperienze. Il Concetto di Sé è l’insieme degli elementi a cui una persona fa riferimento per descrivere se stesso; riguarda tutta la conoscenza sul sé. Tante condotte affettive e sessuali potrebbero dipendere da esperienze vissute di cui non si è consapevoli. Quanto più la persona è consapevole del suo percorso

di vita tanto più padroneggerà su quello che accade, altrimenti subirà in maniera passiva gli eventi. L’Autostima può essere definita come la considerazione che l’uomo ha di se stesso. Qualunque condotta attiva dipende dai seguenti fattori: patrimonio genetico, stile di vita, eventi scatenanti e risposta all’appello (Dipende da libertà e responsabilità della persona).Fondamentale è il concetto di Libertà intesa come Libertà da (essere liberi da condizionamenti) e Libertà per (essere liberi nel mettersi a servizio di uno stile di vita). Prima della conclusione dell’incontro vi è stato spazio per momenti di dialogo tra i presenti e Bellantoni che hanno offerto importanti spunti di riflessione. Quello che è emerso è la necessità di fare formazione nell’ambito familiare e trovare punti di convergenza tra scuola e famiglia. Molte famiglie spesso temono educatori altri e tendono a chiudersi ed isolarsi. Il relatore conclude il suo intervento affermando che chi non si fida di nessuno passerà ai propri figli il messaggio che è meglio non fidarsi di nessuno. I più piccoli non badano tanto alle parole ma dagli atteggiamenti dei più grandi apprendono tanto.

IL PROSSIMO APPUNTAMENTO CON IL PROF. BELLANTONI SARA’ GIOVEDì 3 DICEMBRE 2015


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Politica

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A 5 anni dalla morte di Anna De Felice, travolta dalla colata di fango a Casamicciola, viviamo ancora in pericolo. Piazza Bagni e la località Mortito sono in attesa di lavori urgenti di messa in sicurezza.

Di Amedeo Romano

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novembre 2009, poco dopo le 8 del mattino: acqua, fango e pietre sono piombate sul porto di Casamicciola, trascinando in mare le auto di alcune famiglie che portavano i figli a scuola, sorprese sulla litoranea e nel parcheggio. Una ragazza, Anna De Felice di 15 anni muore, una ventina i feriti, due in gravi condizioni. Dopo ore di ricerche è stato ritrovato vivo il bimbo di 5 anni inizialmente disperso: era ancora dentro l’auto sulla quale viaggiava con i genitori prima che la frana li travolgesse. La pioggia smise di venire giù solo verso le 12, quando ormai lo scenario dei danni era già sotto gli occhi di tutti. I rilievi eseguiti dopo il 10 novembre hanno evidenziato che i danni principali sono stati causati da due colate rapide di fango innescatesi nella parte alta dei bacini della Cava Sinigallia e Cava Fasaniello che si sono incanalate nelle depressioni percorrendole velocemente fino a invadere rovinosamente le strade cittadini nelle quali si immettono gli alvei. Altri danni seri sono stati provocati da una colata di fango innescate in un

Quel disastro si poteva evitare! versante di località Mortito. “Da novantanove anni era noto il rischio idrogeologico delle aree interessate dalle colate di fango del 10 novembre 2009 - scrive il prof. Ortolani, direttore del dipartimento di pianificazione e scienza del territorio dell’università di Napoli - Eventi simili si possono verificare anche nel prossimo futuro poiché vi è una insostenibile disfunzione strutturale consistente nell’immissione degli alvei (cave) che si originano lungo il versante settentrionale del Monte Epomeo direttamente nelle strade urbane. L’imbocco della fognatura realizzata all’inizio delle strade è assolutamente inadeguato a smaltire i flussi fangosi inglobanti massi di roccia e alberi d’alto fusto; tale problema non è agevolmente risol-

vibile in tempi brevi e senza consistenti investimenti finanziari”. Nel 1985 il prof. Ortolani ha coordinato le indagini che hanno consentito di individuare, sulla scorta anche degli effetti ambientali degli eventi catastrofici del passato, le aree a rischio idrogeologico per la redazione del Piano Comunale di Protezione Civile. “Osservando la carta – scrive Ortolani - si nota che le aree devastate dalle colate di fango tra Piazza Bagni e il Porto erano state correttamente individuate e segnalate così come l’area interessata dalla colata di fango in località Mortito e i versanti delle cave lungo i quali si sono verificate molte decine di dissesti superficiali del tipo colata di fango. Nonostante queste premesse, sor-

prendentemente, il Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico dell’Autorità di Bacino Nord Occidentale della Campania pubblicato nel 2002 e vigente il 10 novembre 2009 non considera a rischio frana né a rischio idraulico la zona di Piazza Bagni devastata da vari eventi”. Sul piano strettamente operativo, a distanza di 6 anni poco o nulla è stato fatto: indagini in corso per la zona di piazza Bagni, lavori di somma urgenza previsti per il Mortito, ma al momento tutto tace… A cosa servono quindi le rievocazioni, le commemorazioni, il ricordo dei tristi anniversari se chi deve procedere con solerzia, per mitigare od eliminare il pericolo esistente, al momento sembra non interessarsi della problematica?


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Sacerdoti 14 novembre 2015

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povertà

I fedeli non perdonano i preti attaccati al denaro Da Papa Francesco parole severe che costringono noi preti a fare un severo esame di coscienza. A lui dobbiamo dire un grazie grande perché, con la sua schiettezza, a volte anche dirompente, ci richiama alla pienezza della vocazione sacerdotale, finalizzata unicamente al servizio del bene, nel distacco e nello spirito di povertà Di Don Vincenzo Rini

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nche nella Chiesa ci sono questi, che invece di servire, di pensare agli altri, di gettare le basi, si servono della Chiesa: gli arrampicatori, attaccati ai soldi”. Parole di Papa Francesco nell’omelia a Santa Marta di venerdì 6 novembre, nella quale narra di due figure di servi: Paolo che “si è donato tutto al servizio, sempre”, e il fattore infedele della parabola “che invece di servire gli altri, si serve degli altri”. Aggiungendo, a proposito di quest’ultimo: “E quanti sacerdoti, vescovi abbiamo visto così”. Parole severe che costringono noi preti a fare un severo esame di coscienza. Mentre le rimedita-

vo, mi sono tornate alla mente due figure di preti, ben diverse l’una dall’altra. Uno era chiamato “don Palanca”: chiedeva sempre soldi ai fedeli, ma non rendeva mai conto delle entrate e delle uscite della parrocchia. La sua gente lo considerava un palancaio. E non lo amava. Alla sua morte sul suo conto in banca stavano alcune centinaia di milioni (in lire), che furono ereditate in gran parte dai familiari. L’altro era chiamato “don Dollaro”, ma non per mancanza di stima: era, quel soprannome, un modo affettuoso per riconoscere la sua dedizione alla missione: lui chiedeva soldi, ma di tutto rendeva conto, entrate e uscite: il denaro gli serviva per le strutture della par-

rocchia, bisognose di interventi, e per la formazione dei fedeli, senza mai dimenticare i poveri, che sapevano di potere sempre contare su di lui. Il suo interesse non era per i soldi, ma per la sua gente. E i soldi glieli davano volentieri, certi che nemmeno la loro polvere si attaccava alle sua dita: viveva in povertà e semplicità. Insomma, due figure di “servi” somiglianti a quelle descritte da Francesco: uno “si serviva” della missione pastorale, l’altro “serviva” Dio e la comunità. Il tema messo in luce da Papa Francesco è di quelli che non possono essere trascurati: dal comportamento dei preti di fronte al denaro dipende in maniera decisiva la risposta dei fedeli alla sua azione pastorale. I fedeli al loro prete perdonano il carattere difficile, gli sfoghi amari e anche cose più serie, ma non l’attaccamento al denaro. Come non apprezzano quelli che danno l’impressione di lavorare nel campo del Signore per apparire, per salire più in alto nella… carriera ecclesiastica: i carrieristi, gli “arrampicatori” di cui parla il Papa. Certo, tutti noi preti abbiamo bisogno del denaro per vivere, ma non può essere questo lo scopo del nostro lavoro pastorale. Desideriamo una parrocchia che ci doni soddisfazioni pastorali, ma la finalità non può essere il fare carriera,

bensì il servire il Regno di Dio. Non posso chiudere questa nota senza ricordare un prete che, in questi giorni, compie cent’anni in piena lucidità, amato da tutti: è provvisoriamente in casa di cura dopo un intervento chirurgico. L’amore che lo circonda nella città è ben motivato. Ha dedicato la sua vita agli ultimi senza tenere nulla per sé. Nella sua casa – chiamata “la casetta” – si era riservato solo una stanza: il resto era dedicato all’accoglienza dei primi giovani africani immigrati, ai quali dava tutto, cibo, vestiti, soldi per il necessario. Per sé nulla. Accadeva a volte che, in tarda mattinata, incontrandolo, alcune persone gli chiedessero se avesse fatto colazione… no, non aveva avuto il necessario. E lo accompagnavano al bar per uno spuntino. E a mezzogiorno gli si chiedeva: “Ha qualcosa da mangiare oggi?”. “Vedrò”, era la risposta. E lo portavano a casa loro. Non mancano gli esempi di preti cosi, che riescono a fare dimenticare gli altri di cui ha parlato Papa Francesco. Al quale dobbiamo dire un grazie grande perché, con la sua schiettezza, a volte anche dirompente, ci richiama alla pienezza della vocazione sacerdotale, finalizzata unicamente al servizio del bene, nel distacco e nello spirito di povertà.


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Opinioni

14 novembre 2015

kaire@chiesaischia.it

Di Franco Iacono

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minenza, la Sua generosità mi consente di rivolgermi direttamente a Lei per dirLe tutta la mia meraviglia dispiaciuta: sarò particolarmente sfortunato, ma nelle omelie domenicali, sia ad Ischia che domenica scorsa anche a Napoli, difficilmente sento parlare di Papa Francesco, della Sua “rivoluzione” per la Chiesa di Cristo, che intende poggiare su una base esclusivamente riferita al Vangelo ed allo straordinario messaggio di Amore, che sottende. I fedeli, Lei lo saprà meglio di me, sono sconcertati da quanto leggono ogni giorno sui giornali ed apprendono dalle televisioni. Non si tratta di una telenovela e men che meno di un giallo e della scoperta del … colpevole: non è la fuga di notizie ed il tradimento di funzionari infedeli che interessa e preoccupa, bensì la scoperta dello stato della Chiesa e dei troppi interessi che “occupano” tanti di quelli che dovrebbero essere suoi servitori. A molti viene da pensare: “Che fine ha fatto il Vangelo, che “uso” viene fatto dell’insegnamento di Cristo, che è insegnamento di Amore? È questa la Chiesa che vagheggiava il Cristo, quando diceva a Pietro – “tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam”?- Durante la Messa a Santa Marta di venerdì 6 novembre, lo stesso Papa, con voce dolente, ha affermato: “Ci sono questi, che invece di servire, di pensare agli altri, di gettare le basi, si servono della Chiesa, gli arrampicatori attaccati ai soldi. E quanti, sacerdoti e vescovi, abbiamo visto cosi!”. Naturalmente, nella Chiesa militante, non tutto è così! Per fortuna! Lo stesso Pontefice ha aggiunto: “ … mi commuovono quei preti e quelle suore, che, per tutta la vita, sono al servizio degli altri: rappresentano la gioia della Chiesa!”. Tutto questo attraversa la mente di tanti fedeli e li disorienta. Le domando, sommessamente: non sarebbe opportuno che almeno nelle omelie domenicali, troppo spesso oleografiche e rituali (non tutte in verità!), si affrontassero queste tematiche e si dicesse, dall’altare, che quella invocata da Papa Francesco è la Chiesa di Cristo, così come il Vangelo ci insegna? Questo Papa come Lei stesso ha avuto occasione di sostenere, ha bisogno di essere circondato dal calore, dall’affetto, dalla condivisione di quanti

Lettera aperta al Cardinale

Crescenzio Sepe Martedì 10 novembre sul quotidiano La Repubblica edizione Napoli è stata pubblicata la seguente lettera a firma di Franco Iacono. Il giorno dopo una mail di risposta. sentono che da un autentico ritorno al Vangelo scaturisce anche un rinnovamento della vita civile e sociale. Ed anche in questo senso il Papa dà un segnale incoraggiante proprio a Napoli, quando invita ancora l’Orchestra Giovanile della

Sanità a suonare per Lui alla Sala Nervi. So che Lei non ha bisogno di questi consigli, ma una scossa forte a tanti sacerdoti nel segno di Papa Francesco credo possa essere salutare. Cordialmente, con stima.

IN RISPOSTA ALLA LETTERA DI FRANCO IACONO

La chiesa e il disagio dei credenti Di Vincenzo Mighali su Repubblica e sul Napoli

L

eggo la lettera che Franco Iacono ha indirizzato al nostro cardinale attraverso “Repubblica”. È un saggio di equilibrio (oltre che di stile letterario) che fotografa la situazione di disagio e di sgomento che provano i cattolici di fronte alle rapine, alle dilapidazioni, al lusso, ai privilegi, che marchiano la Curia Romana (e non solo). Come può sentirsi il popolo di Dio che destina il suo ottopermille alla Chiesa Cattolica? Ha proprio ragione Franco Iacono a sollecitare il cardinale Sepe affinché i preti della sua

diocesi tralascino le “oleografiche e rituali” omelie e si abbandonino anche loro all’ empito del cuore e alla passione. Ma il signor Iacono è (come egli stesso ipotizza) anche sfortunato nella scelta dei templi che frequenta: io ho partecipato domenica scorsa alla messa nella chiesa dell’ Arciconfraternita dei Pellegrini a Napoli e mi sono commosso alle parole di don Tonino Palmese circa questa indecorosa situazione e alla esaltazione dell’ opera di papa Francesco. P.s.: Qualche tempo fa sette studenti universitari chiesero a 323 fedeli di parrocchie fra loro lontane cosa pensassero delle omelie ascoltate: per l’ 89% sono inutili, sempre le stesse, ipocrite, non vedo l’ ora che finiscano, mi distraggo non riesco a seguire, troppo lunghe.

SECONDO NOI

Gentilissimo Franco, non è una novità che in alcune chiese non si senta parlare del nostro amato Papa Francesco. Mi capita anche a me di andare a messa a Roma, o anche nella nostra isola d’Ischia e ascoltare omelie (interessanti o meno) in cui non si parla di questo Pontefice, ma si citano i suoi predecessori. Cosa fare in questi momenti? Innanzitutto ti consiglio la preghiera per questi sacerdoti, affinché capiscano che non è il Papa a fare le cose, ma Dio. E vorrei anche dirti che questa è una piccola parte di clero che forse non ama quello spirito di riforme che lo Spirito Santo, attraverso Bergoglio, sta operando per far ritornare la Chiesa universale ai suoi valori originali, cioè la povertà, l’umiltà, il disinteresse. Una Chiesa povera per i poveri, vicina alla gente e non al

potere. Le riforme (tu me lo insegni perché sei stato politico di lungo corso) costano sempre qualche malumore ma, se fatte bene e senza interessi personali, sono semi che presto daranno i loro frutti. Non mi stupisco quindi che in alcune omelie provi una certa resistenza, o meglio ancora, stupore. Ti invito però a leggere e approfondire (sicuramente lo hai già fatto) il discorso del nostro Vescovo Lagnese di inizio anno pastorale 2015-2016 dove lui detta le linee guida per la Chiesa di Ischia, in forte e totale sintonia con le riforme di Papa Francesco. Cosa che anche il Cardinale Sepe ha già avviato da tempo nella curia napoletana. Il tempo darà i risultati! Lorenzo Russo – Direttore Kaire



Attualità

11 14 novembre 2015

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FONDAZIONE IACONO AVELLINO CONTE Di Michele D'Arco

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l disagio dell’odierna società è avvertito e scontato principalmente dai giovani. Ischia non è esente da questo malessere che, per molti, preclude inesorabilmente ogni speranza per il futuro. L’immagine di un’intera generazione che rischia di essere cancellata dagli egoismi di chi regola le sorti del mondo, diventato villaggio cosmico, getta un’agghiacciante ombra su chi si affaccia alla vita e reclama i suoi diritti, primo fra tutti quello del lavoro. Di qui il rifugiarsi nel mondo virtuale della “rete” o, peggio, nell’illusorietà dello sballo o nella spirale delle sale giochi che trascinano alla “ludopatia”. La Fondazione, storica istituzione fondata nel 1903, è stata sempre presente sul territorio, ed oggi, assolve ad un compito fondamentale di supplenza rispetto ad altre istituzioni. Svolge compiti di supporto sociale con iniziative volte a creare occupazione venendo anche incontro alle tante esigenze di un paese profondamente cambiato. L’isola non è più quella proiettata nel futuro con prospettive di crescita uniche ed eccezionali; il territorio è stato largamente sfruttato e sovraccaricato, per cui chi cerca nuovi spazi per un naturale inserimento nei vari ambiti delle attività produttive, le opportunità sono ben limitate. La Fondazione è giunta al VI Concorso Premio “Prof. Francesco Ferrandino”, ponendo all’attenzione della scuola d’Ischia tematiche sempre attuali e di notevole impatto rispetto ai tanti mali che investono i giovani in primis e la società in generale. Quest’anno i temi del concorso si basano su due tematiche attualissime. Giovani e mondo del lavoro e l’universo dei mezzi di comunicazione di massa che, pur nella loro utilità, presen-

Il prof. Paolo Crepet alla cerimonia di premiazione del VI concorso premio prof. Francesco Ferrandino tano anche aspetti negativi che possono sfociare in degenerazioni patologiche creando notevoli disagi, specie negli adolescenti. Di qui l’attenzione di genitori e docenti ai quali spetta il compito di evitare che i danni diventino irreversibili. Ma la Fondazione, nel solco tracciato dai fondatori in altra epoca, quando la fame e il disagio erano endemici, con progetti di grande impatto sociale, negli scorsi anni,

ha messo su una piccola rete di supporto a quelle famiglie che hanno nel loro nucleo familiare malati gravi e bisognosi di continua assistenza. È ben evidente l’azione di supporto o di supplenza alle istituzioni preposte a tali incombenze, spesso distratte da sterili dibattiti o da deleteri giochi di potere. Il prof. Paolo Crepet, quest’anno, terrà la sua “Lectio Magistralis” portando la sua espe-

rienza, i suoi spunti, i suoi contributi sicuramente efficaci. Sarà un momento di festa, di premiazione, ma, più ancora, di profonda riflessione su tematiche di enorme portata, perché investono “in toto” la società odierna. Nel salone delle feste del “Grand Hotel Re Ferdinando” di Ischia, alle ore 18.30 del 21 novembre prossimo, si svolgerà la serata di premiazione e di dibattito.


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Ecumenismo 14 novembre 2015

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Chiamati all’amore,

Potrebbe essere questo il motto che meglio sintetizza il pomeriggio di frater Di Giuseppina Attore e Matilde Di Meglio

A

favorire l’evento un’occasione speciale: la visita pastorale di una delegazione della C.E.L.I. (Chiesa evangelica luterana in Italia) in Campania che ha fatto tappa anche sull’“isola verde”. Sì, perché ormai sono diversi anni che si intrecciano legami e rapporti improntati all’amicizia fra la comunità cattolica e la piccola ma sempre viva comunità luterana. Si potrebbe definirla in piccolo una “cultura” del dialogo che ha radici profonde, cominciata 25 anni fa quando si celebrò per la prima volta sull’isola la Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani con la presenza di ministri anglicani, luterani e dell’Esercito della Salvezza, fortemente voluta da don Raffaele Di Costanzo, che da allora invitò il pastore luterano a venire sull’isola per seguirne la comunità, ormai rinfoltita dai numerosi turisti tedeschi. Una storia ricca, bella, che si colora negli anni dei volti di tanti (a cominciare dai pastori Hartmut Dickmann, Holger Milkau, Michaela Troeger, per citarne solo alcuni) che hanno dato il loro contributo nella costruzione del mosaico che meglio raffigura la preghiera di Gesù al Padre, mirabilmente tracciata nel capitolo 17 dall’evangelista Giovanni. Si profila così la vocazione di un’isola come Ischia: essere “casa”, sia per i tanti turisti che vi giungono da varie parti d’Europa, sia per gli immigrati provenienti dal nord Africa e dall’Est europeo, sia per quanti scelgono di abitare in questo luogo. Tutti portatori di culture, fedi e tradizione religiose che si intersecano fino a diventare, per molti aspetti, familiari fra loro. Ed anche questo momento, atteso da tempo, diventa l’occasione perché facciano conoscenza persone con le loro esperienze, nella cornice di un caldo e assolato pomerig-

gio di fine ottobre, presso l’hotel Villa Ciccio sul Porto d’Ischia. Sono presenti, per la delegazione della C.E.L.I., il decano, pastore Heiner Bludau da Torino, il vice decano Jacob Betz da Genova, il presidente della comunità luterana di Napoli, sig. Riccardo Bachrach, la pastora di Napoli, Kirsten Thiele, accompagnati dalla vice-tesoriera Caroline von Hoehnbuhl da Bolzano e dalla consigliera Christiane Groeben e, in rappresentanza della Chiesa cattolica di Ischia, il vescovo Pietro Lagnese, con il cancelliere don Gaetano Pugliese ed alcuni membri della Commissione ecumenica, Giuseppina Attore, Antonietta Pisano e Matilde Di Meglio. Sebbene non si conoscano, il clima è subito cordiale, per molti “di famiglia”. Dopo un momento conviviale con tutta la comunità, che ha contribuito a “rompere il ghiaccio”, cuore dell’incontro diventa la partecipazione al culto luterano, guidato dalla pastora Thiele. La gioia di trovarsi insieme e di poter pregare uniti nel nome di Gesù è il denominatore comune del saluto del vescovo Pietro Lagnese e del decano Heiner Bludau. Il primo ricorda come da tempo fosse forte il desiderio di potersi conoscere da vicino pregando insieme attorno alla mensa della Parola, per realizzare l’unità chiesta al Padre da Gesù nel capitolo 17 del Vangelo di Giovanni. Altrettanto sentito l’intervento del decano, visibilmente coinvolto in un clima che sin dall’inizio è di comunione profonda, divenuta sempre più palpabile con la proclamazione della Parola di Dio e la riflessione della pastora Thiele, improntata sulla lettera dell’apostolo Paolo agli Efesini (Ef 4, 1-6) e sul Vangelo di Giovanni (cap. 17). “Nelle prime comunità l’unità non era affatto scontata, altrimenti Paolo non avrebbe dovuto scrivere una lettera con tali richiami – afferma la pastora


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Ecumenismo

14 novembre 2015

kaire@chiesaischia.it

, alla pace, all’unità!

rnità vissuto il 23 ottobre 2015 con la comunità luterana presente ad Ischia

–. Ma noi siamo chiamati ad una speranza, alla conservazione dell’unità per mezzo del vincolo della pace. Questa è una certezza. Gesù prega come abbiamo sentito dal Vangelo di Giovanni così: “E la gloria che Tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e Tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che Tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me”. Pur consapevoli delle differenze e delle divisioni che nei secoli si sono prodotte all’interno dell’unica Chiesa di Gesù Cristo, “l’unità, che è in Dio stesso, è il motivo per la nostra chiamata all’unità. Essa ci libera dalla pressione e dalla costrizione di voler creare l’unità in qualche modo; – prosegue la pastora -. Infatti Paolo parla di “conservare” l’unità della Chiesa, il che vuol dire che essa è già prestabilita, non è una cosa che potremmo creare noi. Essa è prestabilita mediante il vincolo della pace, che ci lega a Lui e per questo ci lega anche tra noi”. In questa dimensione, la recita del Padre Nostro e lo scambio della pace si tessono di divino e diventano gesti dal valore profetico come a voler dire “ tu sei importante per me, perché sei mio fratello, per te Cristo ha dato la vita. Senza di te quest’unità non sarebbe piena e completa”. E da questi segni prende vita la credibilità dell’amore di Dio nei confronti di tutti gli uomini, “nella tensione tra la nostra chiamata e la realtà di questo mondo”. Resi uno dalla presenza di Cristo, il tempo trascorre velocemente verso la conclusione della serata, attorno al “banchetto” della cena, dove ci si è potuti conoscere meglio, scambiandosi esperienze e riflessioni arricchenti, proposte per il cammino da portare avanti insieme, nella certezza che l’unità che siamo chiamati a costruire a partire da questo lembo di terra è

un dono che va chiesto nella preghiera e non tanto il risultato dell’ impegno personale. “Una preghiera, come ricorda la pastora, che è mettersi con fiducia davanti al Padre come i bambini, con la sicurezza che Egli ci ama e ci ascolta, consapevoli che da soli non ce la possiamo fare. Unità nella molteplicità – senza cadere in falsi appiattimenti che cancellino con un colpo di spugna le diversità – nel senso che ci possiamo occupare gli uni degli altri, accettando l’essere diversi, come anche Dio nella Bibbia ha tanti volti!” Tantissimi i commenti positivi a questo intenso momento nel quale il tempo e lo spazio hanno aperto un meraviglioso squarcio, preludio del “come in cielo così in terra”. Allora è venuto spontaneo al presidente Bachrach rivolgersi al vescovo Lagnese con questa espressione “ed ora andrò a cercare ‘l’abisso’ che ci possa separare!”, come a voler dire “niente ci può più separare”. Sì, perché camminare insieme è già fare unità, come hanno ricordato in più occasioni due eminenti figure carismatiche del nostro tempo, Francesco e Bartolomeo. E allora che questo momento di comunione vissuto sia segno di speranza nel cammino cui siamo chiamati: sperimentare l’essere UNO tra noi già su questa terra come prefigurazione della Vita nuova che ci attende in Cristo!

Segui gli aggiornamenti e la vita della Diocesi di Ischia in tempo reale www.chiesaischia.it

Segui il Vescovo Pietro Lagnese su Twitter: @LagnesePietro Ogni giorno un suo commento sul Vangelo per farti compagnia durante i tuoi impegni.


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Pastorale Sociale & Lavoro 14 novembre 2015

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KOSMOPOLIS 2015/2016 Al via la quarta edizione della scuola di formazione politica promossa dall’ufficio diocesano di pastorale sociale e lavoro. Della Redazione

I

L PERCHÈ DI UNA SCUOLA POLITICA AD ISCHIA La perdurante distanza tra il mondo politico e la vita dei cittadini, acuita dal crescente malcostume, spinge sempre più i cittadini ad un sentimento di estraneazione rispetto a tutto il mondo della politica. Ne consegue, da un lato, il disimpegno delle energie eticamente motivate che lascia campo libero a chi sfrutta l’impegno politico per

realizzare i propri opachi interessi, dall’altro, l’isolamento dei tanti impegnati nella vita pubblica che si sentono sopraffatti da un degrado sempre maggiore. La nostra scuola di formazione raccoglie la sfida di ricucire questo rapporto e, forte degli ideali pronunciati dal pensiero sociale cristiano, crede di poter contribuire allo sviluppo di una cultura politica in grado di arginare questa crisi, edificando una civiltà imperniata sui valori del bene comune e dell’unità. IL CORSO La scuola è giunta al suo quarto anno di vita. Nel precedente triennio essa ha visto la folta partecipazione di giovani isolani, ai quali si sono aggiunti anche numerosi uditori, in un totale di circa 100 persone. La formula per il 2012-2014 ha previsto 6 incontri frontali e 6

Il manifesto di kosmopolis Le persone e i loro beni nella città di domani 1. Insieme per fare della politica un servizio per il raggiungimento del bene comune, ovvero del bene di tutti e di ciascuno, in uno spirito di reciprocità. 2. Insieme per occuparci dei bisogni delle nostre comunità, avvicinando la politica ai cittadini, conferendo loro la reale capacità d’intervenire nel dibattito pubblico, di proporre le soluzioni più idonee e di partecipare alla deliberazione. 3. Insieme con i giovani che sognano lavoro e famiglia, con gli imprenditori desiderosi ma perplessi, con i lavoratori insicuri o umiliati, con le associazioni stimolanti, verso un progresso civile. 4. Insieme, ripensando la politica come “l’amore degli amori”, “la più alta forma di carità” per la realizzazione di tutti quei progetti che animano la comunità civile. 5. Insieme per una scuola di formazione che non vuole solo comunicare dei valori e delle conoscenze, ma costruire rapporti di fraternità, fondati sulla condivisione di un progetto comune, ispirato a valori universali. 6. Insieme nel solco del pensiero sociale cristiano, aperti alle idee e ai contributi dei più accreditati e convincenti pensatori di buona volontà e di quanti operano per il perseguimento del bene comune. 7. Insieme senza distinzione di sesso, di ceto, di opinione, di fede religiosa, per un impegno sociale e politico senza secondi fini o aspettative per ottenere “un posto in qualche istituzione”. 8. Insieme per una scuola di politica, rivolta in particolare ai giovani, indipendente dalle formazioni politiche, ma non neutrale, e che sappia dialogare con ciascuna di esse nell’affermazione dei principi di solidarietà, sussidiarietà e fraternità universale.

laboratori, questi ultimi legati ad un tema specifico di interesse locale. Per il 2014- 2015 oltre alle lezioni frontali si sono tenuti 3 laboratori biennali sul tema del mare quale bene politico. Il primo laboratorio ha condotto un’indagine statistica sulla popolazione per valutare la percezione comune del mare quale bene primario; il secondo laboratorio ha approfondito il tema della depurazione con il suo stato dell’arte sull’isola; il terzo laboratorio ha studiato effetti futuri dell’innalzamento termico e dell’acidità del mare. Le proposte amministrative conclusive dei 3 gruppi sono state raccolte nell’agenda politica (reperibile sul sito) proposta ai politici e alla cittadinanza isolana nel corso del convegno conclusivo nel maggio 2014. Il corso ha durata biennale ed è tenuto da docenti selezionati per esperienza e competenza, provenienti dal mondo della rappresentanza politica-parlamen-

tare e dal mondo accademico. Le iscrizioni sono aperte sia a quanti hanno partecipato nello scorso triennio, sia a quanti si accostano alla scuola per la prima volta. COSTI Al fine di un maggior coinvolgimento e di una responsabilizzazione personale dei partecipanti è prevista una quota di 20 euro per coloro che si iscrivono per la prima volta quale forma di contributo per le spese didattiche. CERTIFICAZIONE A conclusione verrà consegnato un attestato valido per l’eventuale riconoscimento del credito scolastico. DESTINATARI E MODALITÀ DI ISCRIZIONE Giovani tra i 17 e 35 anni di età è utile, senza esserne condizione esclusiva, un diploma di scuola media superiore. L’iscrizione avviene per via telematica attraverso il sito kosmopolischia.it dopo aver aderito al Manifesto dei Valori di Kosmopolis. E’ possibile partecipare alla scuola anche in qualità di uditore senza alcun limite di età e di livello di istruzione.

I docenti della scuola Giuseppe Argiolas Fac. Economia Univ. Cagliari Luigino Bruni Fac. Economia Univ. LUMSA Roma Pasquale De Toro Fac. Architettura Univ. Napoli Pasquale Ferrara diplom., Segr. Gen. dell’Istituto Universitario Europeo Luca Fiorani ricercatore ENEA, Dip. Matematica e Fisica Univ. Roma 3 Gennaro Iorio Fac. Sociologia Univ. di Salerno Alberto Lo Presti Fac.Scienze Sociali Univ. “Angelicum” Roma Edo Patriarca deputato, già Segr. Settimane Sociali dei Cattolici Italiani Rocco Pezzimenti Fac. Scienze Politiche Univ. LUMSA Roma Savino Pezzotta deputato, già segretario generale CISL Daniela Ropelato Istituto Universitario “Sophia” Firenze Leopoldo Sandonà Fac. Teologica del Triveneto Stefano Zamagni Fac. Economia Univ. di Bologna

Appuntamenti 2015-2016 1. Laudato sì Tavola Rotonda Interdisciplinare 28 novembre 2015 (vedi locandina alla pagina successiva) 2. La sfida politica delle nuove generazioni 23 gennaio 2016 3. Le nuove povertà 27 febbraio 2016

4. La partecipazione democratica 12 marzo 2016 5. Il Bene Comune 23 aprile 2016 6. Per una cittadinanza ecologica 21 maggio 2016

Sede corso e laboratori Biblioteca Comunale Antoniana Via Rampe Sant’Antonio, 2 - 80070 Ischia NA Info & segreteria: 800 913449 - tel. 081.981342 www.kosmopolisischia.it - info@kosmopolisischia.it


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Parrocchie 14 novembre 2015

Di Francesco Schiano

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enerdì 6 novembre mons. Lagnese ha presieduto la Solenne Celebrazione Eucaristica accolto dal parroco don Cristian Solmonese: “eccellenza reverendissima, in questi giorni abbiamo camminato al nostro predicatore p. Enzo sulla scia della santità sin dal 1° novembre e siamo giunti oggi a celebrare un esempio che sin dal 1500, gli abitanti della nostra comunità parrocchiale hanno invocato a protezione dei raccolti, delle viti, ma soprattutto per sciogliere ciò che è male. Quest’anno la nostra festa ha assunto ancora di più la caratteristica della comunità e della famiglia, ad essa hanno preso parte tutti dal più piccolo al più grande. A questo siamo chiamati: a far rinascere la voglia di essere Chiesa, di essere comunità che cammina con entusiasmo e non trascinando tutto stancamente senza entusiasmo, come funzionari del sacro. Quest’anno, nell’approssimarsi del Giubileo della Misericordia, sono stati donati a San Leonardo dei nuovi ceppi argentei, che insieme alle catene compaiono nell’iconografia del Santo, legati alla sua attività di liberatore dei prigionieri. Perdono e Grazia sono state le opere fuoriuscite dal suo cuore innamorato di Cristo. I ceppi e la catene richiamano anche la libera-

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San Leonardo, libero e liberatore! La comunità parrocchiale di panza ha festeggiato il suo santo patrono vivendo insieme un’intensa settimana di gioia e di fede.

zione dal peccato che ci rinchiude nel buio dell’anima. Le catene ci ricordano la schiavitù del nostro cuore spesso imprigionato nella morsa dell’egoismo ma sono anche il segno della suprema vittoria di Cristo liberatore. Siamo felici che il Santo Padre Francesco abbia dedicato una giornata al Giubileo dei carcerati, il prossimo 6 novembre 2016 in occasione della Solennità di San Leonardo abate. Vogliamo come Leonardo accogliere il buon profumo di Cristo e portarlo nella nostra vita quotidiana!” Mons. Lagnese nella sua omelia ha chiesto ai fedeli della Comunità di lasciarsi liberare da Cristo e di farsi, come San Leonardo, strumenti di liberazione per tanti fratelli: “la

Solennità di San Leonardo abate cade pochi giorni dopo la grande Festa di tutti i Santi. San Leonardo in modo particolare per questa comunità è il modello e l’amico al quale ricorrere, al quale consegnare le nostre pene, i nostri desideri di bene, i nostri progetti di vita, le nostre preoccupazioni, ma anche modello al quale ispirarci, al quale guardare. Siamo tutti nani sulle spalle dei giganti ha detto qualcuno. Siamo chiamati a fare tesoro dei modelli che Dio mette sul nostro cammino per saper rispondere anche noi ogni giorno più e meglio alla vocazione alla santità. Anche per San Leonardo fu così e la bellissima figura del suo Vescovo Remigio fu per lui sprone a camminare sulla

strada della santità. In Lui Leonardo comprese che il Signore gli stava mostrando un modello ed un esempio, un grande segno perchè lui potesse camminare speditamente sulle vie di Dio. Così sono i Santi per noi, così San Leonardo per questa comunità ma io direi anche ognuno di noi. Ma come questa comunità può ispirarsi a San Leonardo, suo modello di vita? Don Cristian ci ha detto molto bene qual è la caratteristica principale di questo Santo. Egli fu colui che si impegnò nella liberazione dei prigionieri. Cosa significa per noi questo, e per questa comunità avere in San Leonardo il proprio patrono? Significa prendere coscienza tutti del dono della libertà che Dio in Gesù Cristo è venuto a fare a tutti noi. Il cristiano in modo particolare dovrebbe sottolineare questa nota della libertà, il cristiano è un uomo libero, che si lascia liberare del Signore. E› un uomo che vuole davvero permettere al Signore di liberarlo da ogni male. Allora oggi siamo chiamati a guardare a San Leonardo come modello, siamo chiamati a guardare a San Leonardo come nostro intercessore, che ci può aiutare in questo cammino”


Cultura

14 novembre 2015

kaire@chiesaischia.it

Di Enzo D'Acunto

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crivendo di Dante Alighieri, Jorge Luis Borges non ha fatto altro che procedere lungo una direzione a lui assai cara: la ricerca sfrenata del simbolo e l’idea generale della letteratura come sogno. Riporto ciò che l’autore argentino scrisse nel prologo de “La rosa profonda”, la raccolta di poesie del 1973, dove l’autore, - riferendosi al suo personalissimo “modus creandi”, - scriveva: “per quanto mi riguarda, il processo è più o meno invariabile. Comincio con l’intravedere una forma, una specie di isola lontana, che diverrà poi un racconto o una poesia. Vedo la fine e vedo l’inizio, non ciò che sta nel mezzo. Questo mi verrà rivelato a poco a poco, quando gli astri o il caso sono propizi. Più d’una volta devo tornare indietro e ripercorrere la zona d’ombra. Cerco di intervenire il meno possibile nella creazione dell’opera” (cit. J.L. Borges “La rosa profonda”, Adelphi, a cura di Tommaso Scarano). Questo modo di creare, o comunque di approcciare alla letteratura, è la diretta conseguenza di quella visione dell’universo quale immenso enigma, di fronte al quale, il Borges poeta procede a tentoni, in un percorso in cui la percezione e l’astratta intuizione, - e viene qui naturale pensare a come, non a caso, la dimensione corporale nella sua opera ricoprirà un ruolo del tutto minimale, - svela ciò che diversamente sarebbe inspiegabile e lo condensa nell’alta idea che “L’autentica ragione / è il sospetto generale e confuso / dell’ enigma del Tempo; è lo stupore di fronte al miracolo / che nonostante le infinite sorti, che nonostante siamo / le gocce del fiume di Eraclito, / qualcosa in noi perduri, / immobile.” (cit. da”Final de ano” trad. di T. Scarano). Ed è doveroso riconoscere, che argomenti a supporto della prima delle due idee cui ho fatto cenno all’inizio di quest’articolo, - la ricerca ossessiva del simbolo, - si ricavano, in fondo, da tutto quello che Borges ha scritto in vita. Sfoglio a caso le pagine di “Altre inquisizioni”, la raccolta di contributi di critica letteraria che il maestro argentino scrisse negli anni quaranta del secolo scorso, e leggo nell’articolo “Magie parziali del “Don Chisciotte”, che il suo autore Miguel de Cervantes “non poteva ricorrere a talismani o a sortilegi, ma insinuò il soprannaturale in modo sottile, e proprio per questo più efficace.” Ma allora, quale sarebbe questo

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Simbolo e sogno

“modo sottile”? Il maestro argentino ne è certo, è infatti attraverso un gioco di strane ambiguità, che Cervantes fa dei protagonisti del Don Chisciotte i suoi stessi lettori, e il riferimento inequivocabile è al passaggio della storia in cui Cervantes fa sapere che le vicende dell’errante cavaliere erano già state narrate da un tale Cide Hamete Benengeli. Un artificio innocuo, semplice, spesso utilizzato da Borges stesso

nei suoi racconti o romanzi brevi, eppure in grado di sovvertire l’oggettività delle cose a favore di un più intricato mistero ed enigmatico simbolo che sembra rivelare come la materia prima di ogni grande testo letterario siamo noi stessi, suoi lettori, che vi approcciamo con il nostro carico di suggestioni, aspettative, conoscenze, pregiudizi, stati d’animo e quindi con la nostra ambizione di ricavarne quel campionario di simboli più congeniali

al nostro intimo e misterioso kaleidoscopio cellulare. In “Valery come simbolo”, altro articolo contenuto in “Altre inquisizioni”, Borges ha scritto, - confrontando l’autore francese Paul Valery con Walt Whitman, il grande poeta delle masse e della democrazia che tanto incuriosì Borges nel corso della sua vita, - che se Whitman è il simbolo di una quasi incoerente ma titanica vocazione di felicità, Paul Valery può essere invece inteso come il simbolo dell’ Europa e del suo delicato crepuscolo. Il simbolo, quindi, quale premessa o risultato di grande letteratura, o ancora, strumento per la sua creazione, e su questo, Borges non aveva dubbio alcuno. La sua opera è tutto un forzato gioco di simboli, e credo che non sia un caso, che quando ventiquatrenne si apprestava a pubblicare la sua prima raccolta poetica, - “Fervor de Buenos Aires”, - avesse già piena consapevolezza che quello che la sua poesia avrebbe poi detto al mondo, sarebbe andato ben oltre l’esaltante esperienza del modernismo di lingua hispanica di importanti poeti come Ruben Dario o Cesar Vallejo, - che pur in certa misura aveva fatto del simbolo, oltreché della luce, della forma, dell’ estasi e del corpo, le sue coordinate essenziali, - a favore di una dimensione tanto enigmatica, quanto oscura e magnificamente simbolica, di un simbolismo che sa tanto di astratto, di frammentato e di scomposto. E poi, viene il secondo punto, il sogno, e quindi la finzione, di cui Borges si farà grande interprete, e qui una piccola coincidenza ritorna, se pensiamo che Borges, scrivendo di Dante, riconosceva come allo stesso, per meglio contribuire alla sua grande opera, fu indispensabile farsi parte di essa, e quindi componente attivo e diretto del suo grande immaginario, e tutto ciò, perché come ha scritto Borges “il poeta è ciascuno degli uomini del suo mondo fittizio”, o, per dirlo con parole diverse, solo ciò che i suoi sogni ne rivelano. L’autore argentino lo sapeva fin troppo bene di come sia la capacità di caricare la propria opera di una precisa carica simbolica, che la capacità di lasciarsi indirizzare dai propri sogni, fossero due armi valide a disposizione di una grande letteratura, e forse per questo, non è un caso, che uno dei suoi libri più identificativi, s’intitoli proprio“Libro dei sogni”.


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Teatro 14 novembre 2015

Di Gina Menegazzi

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a delicatezza della scrittura di Erri De Luca, e insieme la sua ruvidezza, quel suo sfiorare le cose, ma anche scavarle in profondità. Questa la prima sensazione al vedere lo spettacolo presentato sabato 7 novembre al Polifunzionale dalla compagnia TeatRing di Milano: Tu, mio, liberamente tratto dall’omonimo libro di Erri De Luca, grazie all’adattamento e alla regia di Marianna Esposito, in scena con Ettore Distasio. Una regia che ha saputo magistralmente interpretare un testo tutt’altro che facile da un punto di vista scenico, visto che nel romanzo i dialoghi sono quasi assenti e il racconto dell’autore in prima persona presenta spesso salti sia fisici che temporali. E’ una storia semplice, quella di Enrico che, nell’estate dei suoi 16 anni, a Ischia nel 1955, incontra una ragazza di tre anni più grande di lui, allegra e insieme sfuggente, affascinata, da parte sua, da richiami che trova nel ragazzo: gesti, cicatrici, voce. Lei è “ebbrea”, scoprirà il ragazzo, che da subito se ne innamora, perché “ci si innamora così, cercando nella persona amata il punto a nessuno rivelato che è

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Tu, mio

dato in dono solo a chi scruta”. E ha un nome, Hàiele, mai più pronunciato, dopo che il padre l’aveva fatta fuggire bambina ed era morto per mano dei nazisti. Caia/Hàiele ha talora la sensazione che suo padre, attraverso Enrico, le faccia un gesto, le dica una parola per farsi riconoscere… E poi ci sono gli adulti che non vogliono parlare della guerra, e i tedeschi che vorrebbero solo essere in vacanza… Una storia di crescita, di ricerca di equilibrio, di presa di coscienza, di maturazione, soprattutto per il ra-

gazzo, il cui innamoramento non è desiderio di possesso, quanto piuttosto la scoperta dell’altro, il farsene carico e agire di conseguenza. I due interpreti hanno saputo tessere una trama delicata e forte, in cui una camicia, due vestiti e due costumi da bagno rappresentano il semplice guardaroba che aiuta a scavalcare gli anni, partendo dall’oggi per tornare ad allora, riuscendo anche fisicamente a essere vecchi e poi giovani. Un discorso in più merita la scenografia: tre panche, che continuamente piegate e spostate, diventano barca su cui aver piede, passerella su cui camminare in equilibrio, finestra da cui affacciarsi; e una lunga striscia di plastica sottile, di volta in volta onda del mare o fascia per una ferita, rete da pescatore o legame tra i due giovani. Uno spettacolo “prezioso” che penso abbia lasciato tanto nel pubblico, finalmente numeroso al Polifunzionale.

MEDIA CEI

“TODAY”, STORIE DAL MONDO Dal 21 novembre il nuovo programma di approfondimento giornalistico Di Riccardo Benotti

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accontare la storia del mondo raccontando quella delle persone. È l’obiettivo di “Today”, il nuovo programma di approfondimento giornalistico che andrà in onda su Tv2000 ogni sabato sera, alle 22.30, a partire dal 21 novembre. Un approfondimento giornalistico, dedicato ai principali temi di attualità e con uno sguardo sul mondo. L’analisi degli eventi e delle notizie nel panorama internazionale sarà legata all’importanza degli effetti che hanno nel vissuto quotidiano di ciascuno. A condurre la trasmissione, firmata insieme a Solen De Luca, è Andrea Sarubbi. L’idea alla base di “Today”, spiega, è mutuata da un esercizio spirituale di Sant’Ignazio di Loyola: “Mettersi nei panni della Trinità, astraendosi dal mondo per guardarlo dall’alto e poter guardare la storia di ogni persona con gli occhi di Dio”. Un’esperienza che Sarubbi fece in gioventù, con i giovani del Meg alla stazione Termini, e che “aiuta molto a combattere i pregiudizi, ad avere quella compassione di cui parla il Vangelo”. Per questo, “quando Paolo Ruffini mi ha chiamato - aggiunge Sarubbi - abbiamo convenuto che potesse essere interessante dare spazio ai reportage”.

Valentina Lucilla Di Genio per il Premio Aenaria

I PROSSIMI SPETTACOLI AL TEATRO POLIFUNZIONALE 14 novembre: Compagnia di Teatro del Bianconiglio (Eboli SA) in Settaneme di Bruno di Donato 21 novembre: Compagnia degli Evasi (Castelnuovo Magra SP) in Mandragola di Niccolò Machiavelli 28 novembre: Gli amici di Jachy (Genova) in Tango di Francesca Zanni

Parrocchia S. SebastianoMArtire - Barano

Viaggio in Umbria da venerdì 20 Ottobre a domenica 22 Novembre 2015 Collevalenza - Cascia / Roccaperona - Spoleto - Norcia - Greccio

Programma Venerdì 20 Novembre Partenza dal porto d'Ischia - ore 6:25 / Traghetto Medmar - Arrivo e Visita ai luoghi di S. Rita: pranzo a sacco - Roccaperona - Cascia e S. Messa - Cena e pernottamento a Spoleto sabato 21 novembre Visita ai luoghi di San Benedetto: Norcia - Pranzo a Norcia - Visita e S. Messa a

Collevalenza - Santuario dell'Amore Misericordioso di Madre Speranza con bagno nell piscine - Cena e pernottamento a Spoleto domenica 22 novembre S. Messa, visita e pranzo a Greccio (primo presepe di s. Francesco) - Ripartenza per Napoli Ritorno a Ischia/traghetto Caremar 19:25

QUOTA DI PARTECIPAZIONE: € 165,00

Quota bambini fino ai 13 anni: € 115,00 - Suppl. Singola: € 30,00

La quota comprende: Traghetto A/R; mezza pensione in hotel; i pranzi del sabato e della domenica e il bus La quota non comprende: mance e tutto quanto non espresso nella "quota comprende"

Per Info e Prenotazioni (entro il 15 novembre) rivolgersi a Parrocchia S. Sebastiano Martire - Barano (oraio Messa) Oppure a: Raffaella Mattera: 3493034377; Antonio Di Leva: 3662843368


BIBLE WORKS Una parola per la Bibbia

14 novembre 2015

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spiritualità biblica

Il Cristianesimo delle origini: in dialogo con “l’altro” Del Diacono Giuseppe Iacono

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in da principio i cristiani furono consci dell’altro. I primi cristiani, che erano ebrei, dovettero spiegare agli altri ebrei perché veneravano un uomo che i romani avevano messo a morte. Pochi decenni dopo la crocifissione di Gesù, alcuni cristiani cominciarono a non osservare più la legge giudaica, e i loro capi dovettero difendersi dall’accusa di avere abbandonato le antiche tradizioni del loro popolo. Più tardi, in Grecia, quando Paolo cominciò a predicare tra i gentili uscendo dal mondo ebraico, gli ateniesi lo condussero sul famoso colle dell’Areopago e gli chiesero delucidazioni sul suo nuovo insegnamento (At

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17,20). Benchè nato in Palestina come movimento religioso ebraico, il cristianesimo attecchì rapidamente in altre regioni dell’impero romano: in Siria, in Egitto, in Asia Minore, in Grecia e nella stessa Roma, dalla quale, attraverso il Mediterraneo, raggiunse l’Africa romana. All’inizio i convertiti furono quasi tutti ebrei, ma entro pochi decenni un gran numero di gentili cominciò ad aderire a questo nuovo movimento. Per costoro, molti dei quali avevano scarsi contatti con il giudaismo, farsi cristiani significava rinunciare a modi di vivere praticati per generazioni, a volte per secoli e lacerare la struttura sociale che teneva legati famiglia, quartiere e città. Il cristianesimo era un modo di vivere nuovo, incurante

di costumi e tradizioni e basato su strane credenze relative a un uomo vissuto in epoca piuttosto recente. Uno dei primi e più insidiosi critici del cristianesimo accusò i seguaci di Gesù di aver abbandonato “una dottrina assai antica”, che era stata insegnata “dai popoli più saggi”. Per queste ragioni i cristiani non poterono ignorare le opinioni dell’altro in quanto realtà sociale e sfida intellettuale e fin dalle origini il pensiero cristiano si confrontò continuamente con la tradizione intellettuale classica. Ma il pensiero cristiano antico fu anche, e in misura non minore, un tentativo di indagare più a fondo il mistero di Cristo. In esso, lo sforzo di conoscere e comprendere ciò che era creduto e celebrato nei riti fu importante quanto il desiderio di replicare alle accusa degli avversari e spiegare la propria fede a quelli di fuori. I primi pensatori cristiani

non dovettero fondare qualcosa, ma chiarire a loro stessi e agli altri il senso di una realtà già data. Il desiderio di capire è parte del credere, non meno della tensione a vivere secondo le proprie convinzioni. Il pensiero cristiano nacque in risposta agli eventi della rivelazione; il suo idioma prese alimento dal linguaggio e dalle immagini della Bibbia; e la vita e la liturgia della comunità cristiana diedero al pensiero della nuova religione una dimensione comunitaria ignota alla filosofia antica. Quali furono le obiezioni dei non cristiani? Questi infatti, erano i più propensi a sottolineare ciò che ai loro occhi rendeva diversa e misteriosa la nuova religione. E i pensatori cristiani, rispondendo, misero in luce con insuperata chiarezza ciò che rendeva unico il cristianesimo; ma questo sarà argomento del prossimo articolo. (continua)

studi biblici

Davide a Gerusalemme: cercasi Davide disperatamente Di Don Cristian Solmonese

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arissimi amici, dopo Mosè a Kades, in quest’articolo affrontiamo la ricerca di alcune tracce storiche e archeologiche del re Davide nella città di Gerusalemme, capitale del suo regno. Nella tradizione biblica Gerusalemme è la città davidica, del glorioso fondatore della prima monarchia d’Israele e di Giuda. Tuttavia il sito pone una questione dirompente: quando vi si troverà una traccia chiara e indiscutibile di questo re magnifico? Quando Davide si insedia a Gerusalemme , è già re da sette anni e mezzo; è stato eletto dalle tribù d’Israele per succedere a Saul. Lasciando la terra di Ebron, poco centrale per il suo regno, egli getta l’occhio su uno sperone di roccia al nord della Giudea, l’Ofel occupato da tribù cananee. Da quando si impadronisce della città, l’Ofel diventa la città di Davide (2Sam 5,9; 1 Cr 11,8). La collina dell’Ofel, a sud dell’attuale città vecchia, è una collinetta estesa in lunghezza tra la valle di Gihon, ad est, e la saletta del Tyropeon, ad ovest. Tracce della sua intensa attività risalgono all’età del Ferro IIB; era una città che si presentava molto attiva fino alla conquista Babilonese del 587

a.C. Tracce della presenza di Davide probabilmente sono riscontrabili in un edificio monumentale che è stato portato alla luce recentemente; esso è costituito da una sorta di inghiaiatura che aderisce alla parete superiore del pendio orientale della collina; esso è disposto a gradini e copre un reticolo di terrazze artificiali divise in compartimenti e riempite di pietre. Secondo alcuni può essere il luogo dove si accedeva alla fortezza gebusea; per altri potrebbe essere il famoso Millo restaurato da Davide descritto nel libro delle Cronache (1Cr 11,8). In cima alla collina infine fu aperto un cantiere nel 2005, in cui l’archeologa Mazar riscontrò la scoperta delle mura di un palazzo che per la sua composizione e la sua usura potrebbe risalire al X sec. a.C.; se così fosse, le mura risalirebbero a Davide; esse potrebbero appartenere al suo palazzo. Naturalmente anche questa ipotesi non fu accettata da tutti gli archeologi in quanto si ritiene Gerusalemme un sito archeologico di grande complessità e poiché in esso si sovrappongono ricostruzioni su ricostruzioni si può comprendere la difficoltà delle ipotesi e la fragilità delle interpretazioni. In conclusione se Davide è stato realmente a Gerusalemme questo è impossibile

da dimostrare; l’unica fonte sicura sono i testi biblici e la tradizione che fanno da garante a questo per-

sonaggio storico di cui a Gerusalemme non si trovano tracce.


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Liturgia 14 novembre 2015

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Commento al Vangelo

Domenica 15 Novembre 2015

Il ritorno del figlio dell’uomo Di Don Cristian Solmonese

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siamo alla fine dell’Anno liturgico; domenica prossima è l’ultima del tempo ordinario Solennità di Cristo Re dell’universo. La Chiesa in quest’ultima domenica risponde alle domande di senso della nostra esistenza. Una domanda viene posta sotto i nostri occhi: quale sarà il destino di questo mondo? Cosa succede nel giorno di Dio? Questo giorno glorioso e tremendo, Dies irae, dies illa si cantava, era descritto attraverso l’immagine del forno. Nel forno è presente il fuoco, il momento in cui Dio purificherà la terra eliminando tutto ciò che è malvagio, superbo, tutti coloro che fanno dell’ingiustizia, il loro stile di vita quotidiano. Possiamo fare tutto il male di questo mondo, possiamo ucciderci, odiarci, giudicarci, ma sappiamo che c’è una certezza concreta: Ci sarà il giudizio di Dio! Il Signore metterà fine ad ogni sorta di male e a coloro che praticano il male! Il Signore nel Vangelo ci propone questa verità attraverso alcune immagini belle. La prima è quella delle catastrofi e delle guerre che ascoltiamo continuamente dai telegiornali, dalle madonne catastrofiche che appaiono a destra e sinistra, dai Testimoni Geova ecc.. il Signore non da importanza a queste cose. Noi invece basiamo la nostra fede su tutti questi segni. Questi segni ci ingannano facendoci togliere lo sguardo dal Signore! Il testo presenta alcune immagini molto suggestive. In primis i segni cattivi del tempo. Essi sono il frutto del nostro cattivo comportamento. Il male che facciamo ogni giorno, perpetua e moltiplica il peccato di Caino e Abele: il disprezzo del padre e l’uccisione del fratello; essi sono segni della fine già presente nel quotidiano; ma questi sono segni in cui il discepolo è chiamato a portare miseri-

cordia e conversione; non sono segni per dire è venuta la fine del mondo! Un seconda immagine è quella della luna e delle stelle cadute. La prima non darà più luce e la caduta delle stelle dal cielo, ci offrono l’immagine della fine del tempo terrestre. In Dio non vi è più il passato o il futuro, ma un eterno presente pieno di luce. Gli astri celesti si oscurano perché all’arrivo di una luce più grande, quelle piccole vengono oscurate; cosi con il ritorno di Cristo vera luce, queste luci minori non serviranno più. Lo sconvolgersi delle potenze nel cielo, sottolinea come l’intervento di Dio che salva e giudica, coinvolge tutto il cosmo. L’ultima immagine è quella dell’arrivo del Figlio dell’uomo. La scena riprende la profezia di Daniele. Allo sconvolgimento delle potenze, segue l’arrivo del Figlio dell’uomo. A questa immagine si affianca un’immagine suggestiva degli eletti radunati dai quattro angoli del mondo. Gli eletti di Dio sparsi in tutto il mondo poiché hanno portato la parola di Dio, vengono radunati. Le ultime due affermazioni del Vangelo ci parlano della parabola del fico e del tempo in cui accadranno queste cose. Come quando l’albero si fa tenero e germoglia, tutti sanno che è vicina l’estate, così i discepoli vedendo ciò che Gesù ha operato o detto, devono essere in grado di capire che con lui ha ormai fatto irruzione il Regno di Dio. In Gesù ormai tutto è iniziato. Questo inizio si compie con il suo grande ritorno. È importante sottolineare l’ultimo aspetto del nostro brano. Il Figlio dell’uomo non sa ne il giorno e ne l’ora Il giorno del Signore è tutto di Dio. Il Signore lascia questa incognita per preservare la libertà dell’uomo di seguirlo. La sequela non deve essere condizionata ma deve essere libera. L’ansia di conoscere la fine, produce questa corsa a madonne catastrofiche che annunciano sciagure e fine del mondo a destra e sinistra. Il Signore nel Vangelo non vuole questo! L’affermazione di Gesù secondo la quale il figlio dell’uomo non sa il giorno finale ha provocato qualche difficoltà per il dogma della Trinità, quasi che il Figlio fosse inferiore al Padre. L’interpretazione comune spiega il senso dell’espressione indicando che si tratta di una conoscenza che il Padre ha riservato a sé, cioè che non appartiene al contenuto della rivelazione che Gesù avrebbe fatto agli uomini. Non è importante “il quando” - cosa che potrebbe essere dannosa e disastrosa per l’umanità - ma essere pronti a questo incontro con il Figlio dell’uomo. Vivi ogni giorno come se fosse il tuo ultimo giorno. Seguiamo, vigiliamo e annunciamo fino al ritorno di Gesù! Buona domenica!


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Ecclesia

14 novembre 2015

kaire@chiesaischia.it

Incommensurabile è la misericordia di Dio Di Antonio Magaldi

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a Misericordia di Dio è un precetto Divino, un comandamento di Dio: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Lc.6,36) Gesù ci comanda di essere misericordiosi, come lo è il Padre. La Misericordia è la migliore dimostrazione che amiamo Dio. È Gesù crocifisso, che nella Potenza del suo Spirito, rivela la grande Misericordia del Padre. «Come un giorno dal seno del Padre discesi in mezzo ai figli degli uomini per portare loro la mia salvezza; e giunto il momento mandai loro nella virtù e potenza del Padre lo Spirito Santo, così ti assicuro, sulla mia Parola, che verranno ancora giorni di grande Misericordia e lo Spirito di infinita carità del Padre, nonostante tanta ingratitudine degli uomini stessi, discenderà nuovamente e abbon-

Dell' Ordine francescano secolare di Forio

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urante l’Udienza Generale del 4 novembre Papa Francesco ci ha parlato della famiglia e del dono del perdono reciproco tra i suoi membri. “Oggi vorrei sottolineare questo aspetto: che la famiglia è una grande palestra di allenamento al dono e al perdono reciproco senza il quale nessun amore può durare a lungo. Senza donarsi e senza perdonarsi l’amore non rimane, non dura. Nella preghiera che Lui stesso ci ha insegnato – cioè il Padre Nostro – Gesù ci fa chiedere al Padre: «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». E alla fine commenta: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,12.14-15)”… Non è facile riconoscersi peccatori, bisognosi di misericordia e di perdono. Si è facili a scusarsi , a nascondersi. E’ un grande dono di Dio poter guardare in faccia la nostra realtà senza timori perché siamo certi che Dio ci ama come siamo, che ci ama peccatori, poveri, instabili nella via del bene: Dio dimostra il suo amore per noi perché,

dantemente, perché io sono buono e amo più usare Misericordia che operare giustizia». (Gesù a M. Carolina Venturella 24/12/68 – dal libro Potenza Divina D’amore). Ecco, sono giunti “i giorni di grande Misericordia”. Recuperiamo il tempo perduto con un vero e perfetto Amore; ora è il tempo della fatica che ci deve essere dolce consolazione per Amore di Gesù Crocifisso. Il tempo passa e l’eternità si avvicina … coraggio! “Fammi il piacere, dammi tutte le tue pene e tutta la tua miseria ed io ti colmerò con i tesori delle mie grazie” (Dal Diario di S. Faustina Kowalska - dialogo tra Gesù misericordioso e l’anima). Io peccatore ricevo Misericordia perché anche in me si attivi la Misericordia; se non è così, vuol dire che mi sto chiudendo alla Misericordia di Dio; è necessario che chi riceve Misericordia deve diventare persona che la trasmette.

Dunque, occorre rimanere riconciliati con Dio, con i fratelli e con noi stessi; ho visto la Misericordia in azione e voglio essere come una corrente di Misericordia, perché la Misericordia a favore degli uomini inizia a partire da loro. Il peccato non è l’unica realtà della mia vita, più importante è la Misericordia e l’Amore di Dio, che va al di là di quello che io compio. Dio mi dona sempre il suo perdono e il suo Amore incondizionato, come fa una madre che ama suo figlio, non perché è buono ma perché è suo figlio. La contemplazione è la forza spirituale che sostiene una vita cristiana che vuole essere al servizio dei fratelli. È la capacità di incontrare Dio in tutte le cose. Abbiamo bisogno di formarci una sensibilità spirituale per scoprire Dio presente nel mondo. Si tratta di contemplare come Dio mi ama per amare

a mia volta con lo stesso amore; per tanto l’iniziativa di Dio ci precede sempre, ci poniamo davanti a Dio non solo per ricevere ma anche per donare. Dio passa amandoci e vuole che questo amore sia sentito riconosciuto, un amore che consiste nel rimanere fedele al servizio di Dio e degli uomini, ciascuno nella vocazione a cui Egli ci ha chiamati: amare consiste più nelle opere che nelle parole: “Non amiamo a parole o mentendo ma con opere e in verità” (1 Gv 13,18). Che cosa è la Misericordia? Dice il Papa nella Misericordiae Vultus: “È la Via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato” (Bolla, n2) “Siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla Misericordia per diventare noi stessi, segno efficace dell’agire del Padre” (Bolla n3).

La grandezza del perdono mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5,8). Dio ha mandato a noi Gesù come Buon Samaritano: è venuto tra noi, sulle nostre strade; vedendoci feriti, buttati a terra dalle nostre miserie, non è passato oltre, non ha guardato dall’altra parte, ma si è chinato su di noi, si è caricato dei nostri peccati, ha pagato per noi, è morto ed è risorto e ha donato a noi la guarigione, la liberazione, il perdono, la vita (cfr 2Cor 5,1821). Il perdono se viene inteso in senso pieno, è veramente fonte di pace interiore e di beatitudine come dice S. Francesco nel Cantico delle creature: «Beati quelli che perdonano per lo tuo Amore». Con queste parole il Santo sottolinea anche che la capacità di perdonare viene dall’alto, dalla presenza dell’amore di Dio in noi. La nostra capacità di perdonare ha la sua fonte nel perdono del Padre verso di noi. Ma solo se sapremo riconoscerci peccatori e sapremo tornare alla casa del Padre come il figliuol prodigo potremo vedere la misericordia del Padre che ci aspetta sulla soglia di casa con trepidazione

ed è desideroso di donarci il suo perdono. San Francesco volge lo sguardo a Dio e rimane estasiato dinanzi alla sua sconfinata bontà. Il contatto con la Sacra Scrittura gli fa scorgere la storia della salvezza tutta costellata di interventi divini che testimoniano la misericordia di Dio. «Pieno di ammirazione per la misericordia del Signore » ( 1 Cel 26: 363), il Poverello dilata il cuore e grida di entusiasmo: «Ti loderò in mezzo a tutte le genti, Signore, perché la tua misericordia è grande come il cielo» (Uff 1, 10:284). La vita cristiana non è un moralismo: noi perdoneremo non come obbedendo ad una legge, ma come un ritorno di un perdono avuto e sperimentato, perdono di Dio dato a noi gratuitamente. Se poi non perdoneremo di cuore i nostri fratelli, il Padre ritornerà sui

suoi passi e ci giudicherà secondo la legge che avremo trasgredito. Ce lo ricorda il Padre Nostro ogni volta che recitiamo: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori».

COMPLEANNI IN ARRIVO

TANTI AUGURI A… Don Angelo Iacono 15 novembre

Don Gianfranco Del Neso

16 novembre Don Vincenzo Avallone 17 novembre Don Giuseppe Nicolella 20 novembre



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Ambiente

14 novembre 2015

kaire@chiesaischia.it

La finestra si sta chiudendo A fine mese inizia a Parigi la

ABBONAMENTO POSTALE

conferenza Onu sul clima.

Di Paolo Bustaffa

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li scienziati del clima dicono che la finestra temporale per affrontare il cambiamento climatico si sta rapidamente chiudendo, ma che possiamo ancora stabilizzare le temperature globali del Pianeta e riportare il mondo su un percorso di sviluppo sostenibile”. A scriverlo è Mikhail Gorbaciov, presidente fondatore di Green Cross International, in vista di Cop21, la Conferenza sul clima promossa dalle Nazioni Unite che si svolgerà a Parigi dal 30 novembre all’11dicembre. A fianco delle parole di Gorbaciov scorrono le immagini dei disastri ambientali che continuano a ripetersi nel nostro Paese e nel resto del mondo con innumerevoli vittime e incalcolabili danni non solo materiali. Un quadro desolante che porta alla mente le parole di Francesco nella lettera enciclica sulla casa comune, “Laudato sì’”: “Purtroppo - scrive il Papa c’è una generale indifferenza di fronte a queste tragedie che accadono tuttora in diverse parti del mondo. La mancanza di reazioni di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fon-

da ogni società civile”. Ancora una volta e con documentata ragione il Papa riprende e rilancia la parola “indifferenza” alla quale aggiunge l’aggettivo “globale”. E qui si trova un immediato collegamento con il pensiero di Gorbaciov sempre a proposito di Cop21: “Ciò che serve oggi è un dialogo basato sulla consapevolezza del nostro destino comune e sulla comune esposizione a nuove minacce, piuttosto che focalizzarci su inutili lamentele, recriminazioni e frustrazioni reciproche. Dobbiamo mettere da parte i pregiudizi ereditati dalla Guerra Fredda e lavorare insieme per creare un nuovo sistema globale di responsabilità, visione e solidarietà”. Parole che richiamano i volti dei poveri e degli immigrati climatici ma anche aprono sentieri di speranza. Indicano percorsi politici impegnativi nello scenario di tensioni e incomprensioni al cui centro sono soprattutto Paesi del Medio Oriente e dell’Africa. Sentieri resi difficili anche per la nostra scarsa attenzione alle questioni internazionali quasi fossero estranee a quelle locali e nazionali. Prevale la difficoltà di allargare gli orizzonti delle preoccupazioni e di pensare senza pregiudizi a quanti rimangono esclusi da uno sviluppo inte-

grale anche per sempre più frequenti e gravi motivi climatici. Tutto questo porta ad alzare di livello la questione ambientale facendola diventare una questione sociale che, come tale, coinvolge l’uomo e interroga la sua coscienza. Non a caso, dieci anni addietro, Benedetto XVI all’inizio del suo ministero scriveva: “I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo perché i deserti interiori sono diventati così ampi”. Trasformare i deserti in giardini è l’impresa più bella e più impegnativa per quanti hanno a cuore l’umanità, le nuove generazioni, il futuro. Ci vuole però “un’ iniezione di coraggio”, afferma Gorbaciov. Ed ecco che ancora da papa Francesco viene un segnale. Soffermandosi, nella “Laudato si’”, sulla conversione ecologica scrive: “Non sarà possibile impegnarsi in cose grandi soltanto con le dottrine senza una mistica che ci animi, senza qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria”. Ecco il suggerimento per seguire Cop21, per non relegarlo ai margini dell’informazione e dell’approfondimento quasi fosse lontano, troppo lontano dalle preoccupazioni quotidiane. Non è affatto così, è un tema dentro le preoccupazioni quotidiane: occorre averne consapevolezza prima che la finestra temporale del cambiamento climatico si chiuda.

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