Kaire 44 Anno II

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Il settimanale di informazione della Chiesa di Ischia ANNO 2 | numero 44 | 31 ottobre 2015 | E 1,00

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SINODO FAMIGLIE Ora la parola famiglia non suona più come prima. Indicata la strada del “discernimento” per i divorziati risposati. L’attenzione agli omosessuali che vivono in famiglia. La cifra complessiva dell’accoglienza e della misericordia

Si ricomincia Di Gina Menegazzi

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L’accoglienza diocesana Il Vescovo Pietro in visita al Centro Caritas foriano Giovanni Paolo II. La gioia dei parteci-

avvero tanta gen- panti nel mettersi in “gioco” per gli ultimi della nostra isola, al fianco della Caritas isolana. te, giovedì 22 ottobre presso il Centro di prima accoglienza “Giovanni Paolo II” a Forio, dove, in concomitanza con la prima memoria liturgica di San Giovanni Paolo II, il nostro vescovo Pietro ha voluto celebrare l’Eucarestia, a segnare una sorta di passaggio di testimone, dalla comunità Nuovi Orizzonti che ha gestito il Centro per ben sette anni, alla Caritas diocesana che l’ha raccolto come dono dal vescovo. Nel ricordare la figura di Carol Wojtyla: “Un uomo, un cristiano, un prete e un Papa infiammato dalla passione per Dio e per l’uomo, per il quale possiamo dire che valgano le parole che Gesù dice per sé: «sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso!»”, padre Pietro ha parlato della visita di San Giovanni Paolo II a Ischia, il 5 maggio 2002. In quell’occasione il Papa rivolse alla Chiesa di Ischia tre parole rimaste nel cuore di tutti gli Ischitani, chiamati a farle diven- SEGUIAMO FRANCESCO SACERDOTI SCUOLA DUE NOVEMBRE tare storie di vita vissuta: Zuppi e Lorefice, nuovi ve- Don Camillo D’Ambra, sacerdoQual è il senso di questa ricorAscolta, accogli, ama. scovi per Bologna e Palermo. te, studioso, storico, il quattro no- Un pomeriggio letterario con le renza? Noi andiamo al cimitero, “Con queste parole Gio- Quando i preti di strada sal- vembre compirà 90 anni. Riper- classi del tempo prolungato della ma dove sono ora i nostri cari corriamo i frutti del suo seminato. scuola media “G. Scotti” di Ischia. defunti? vanni Paolo II invitava la gono in cattedra. Chiesa di Ischia a lasciarsi coinvolgere nell’opera coraggiosa ma bellissima del servizio all’uomo. Il cristiano è chiamato a vivere questa logica, la logica di chi, senza rimanere alla finestra

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Vita in Diocesi 31 ottobre 2015

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Continua da pag. 1 a guardare - magari lamentandosi perché le cose non vanno bene s’impegna in prima persona perché le cose possano cambiare.” Proprio come risposta alla parola del Papa, padre Filippo Strofaldi, allora vescovo e predecessore di padre Pietro, pensò di dare vita al Centro di prima accoglienza “Giovanni Paolo II”. Ciò fu possibile innanzi tutto grazie ad alcuni benefattori che si resero disponibili perché padre Filippo potesse iniziare l’opera e poi grazie alle tante altre persone, prima tra tutte Chiara Amirante e la comunità Nuovi Orizzonti da lei fondata, che hanno permesso al centro di cominciare a muovere i primi passi. Per ben sette anni, poi, Loredana e Giulio Scrocca della comunità Nuovi Orizzonti, hanno guidato e animato questa struttura. Nel ringraziare ognuno di loro, il vescovo ha ribadito che “Ora la Chiesa di Ischia ha raccolto il testimone e si vuole coinvolgere in prima persona perché questa casa faccia un passo in avanti, diventi non soltanto il segno della carità di una Chiesa che mette a disposizione le proprie strutture, ma di una Chiesa che vuole essere al servizio della persona. Questo centro non sarà più affidato ad alcuni, quindi, ma sarà casa di tutta la comunità ecclesiale dell’isola, casa di ogni cristiano d’Ischia. Sarà per noi un po’ anche il termometro della vita cristiana della Chiesa di Ischia, ce ne potrà dire la qualità, ci farà prendere coscienza se stiamo davvero camminando sulla strada giusta o se invece ci stiamo ripiegando su noi stessi, se stiamo riducendo la nostra fede a qualcosa che ci fa solo stare più tranquilli.” Perché Gesù non è venuto a portarci la tranquillità: chi lo accoglie non può più stare tranquillo, non può più stare fermo; chi lo accoglie è chiamato a mettersi in gioco, e a vivere la sua stessa passione, quella che porta Gesù a bruciarsi, a consumarsi per noi. Continua il vescovo: “Questo centro è un dono grande e importante, non soltanto per quanti bussa-

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Si ricomincia

no alla sua porta per trovare riparo, ristoro, alimento, per scoprire la bellezza di volti che esprimano la tenerezza dell’accoglienza, ma anche perché offre alla nostra Chiesa, a tutti i cristiani e le cristiane delle nostre parrocchie, la possibilità di esercitarsi in questa scuola della carità che è dimensione fondamentale della vita cristiana. Noi ci auguriamo che sempre di più il centro San Giovanni Paolo II diventi la casa della carità nella diocesi di Ischia e che i parroci e le comunità parrocchiali possano qui sentirsi a casa loro e possano senti-

Via delle Terme 76/R - 80077 Ischia Codice fiscale e P.Iva: 04243591213 Rea CCIAA 680555 - Prefettura di Napoli nr.11219 del 05/03/2003 Albo Nazionale Società Cooperative Nr.A715936 del 24/03/05 Sezione Cooperative a Mutualità Prevalente Categoria Cooperative Sociali Tel. 0813334228 Fax 081981342 info@kairosonline.it pec: posta.kairos@pec.it Registrazione al Tribunale di Napoli con il n. 8 del 07/02/ 2014

re i problemi di questa casa come i problemi delle loro comunità.” Padre Pietro ha quindi voluto ringraziare don Gioacchino Castaldi, direttore della Caritas, che ha accettato d’impegnarsi in prima persona per questo centro, e le suore Piccole Apostole della Redenzione che hanno accolto il suo invito a venire a vivere qui, in modo particolare suor Miriam e suor Rosy che già dai primi di settembre vi si sono trasferite. E ancora, un grazie a Madre Nunzia, Madre Generale delle Piccole Apostole della Redenzione, in vi-

Direttore responsabile: Dott. Lorenzo Russo direttorekaire@chiesaischia.it @russolorenzo Direttore Ufficio Diocesano di Ischia per le Comunicazioni Sociali: Don Carlo Candido direttoreucs@chiesaischia.it Progettazione e impaginazione: Gaetano Patalano per Cooperativa Sociale Kairos Onlus

sita canonica all’estero, e ai numerosi laici, come Maria Concetta, Luisa, Michele, Antonio e Fausta, e a tutti quelli che concretamente stanno danno una mano, venendo di giorno o di notte a prestare il proprio servizio. Il vescovo ha poi così concluso: “Questo è un tempo per ricominciare, per tutti. Per i fratelli che sono o saranno ospiti del centro: il Signore vuole offrire loro la possibilità di mettere mano alla costruzione della loro vita, così che possano riscoprire la bellezza di una vita che ricomincia, fare espe-

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Vita in Diocesi

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rienza di una risurrezione, del fatto che davvero il Signore dà a tutti la possibilità d’imboccare strade nuove, di vita e non più di morte. Ma è un tempo per ricominciare anche per la Chiesa d’Ischia, perché possa vivere entrambe queste passioni: la passione per Dio e la passione per l’uomo; perché pos-

sa accogliere l’invito di Papa Francesco di essere Chiesa in uscita, Chiesa capace di saper portare il Vangelo concretamente nell’incontro con i fratelli e le sorelle, a partire da questa parrocchia del Purgatorio che ha la grazia di avere il Centro nel proprio territorio, fino a tutto il decanato.

Ed è un tempo per ricominciare anche per ognuno di noi, perché ci chiediamo: ma io posso fare qualcosa? posso impegnarmi in qualche modo? La mia benedizione va a coloro che verranno ad esercitarsi nell’arte della carità; a coloro che verranno a sperimentare la bellezza di essere cristiani nella vita con-

creta di tutti i giorni. Chiediamo al Signore di fare anche di noi, come è stato per San Giovanni Paolo II, degli strumenti del suo amore, degli strumenti di pace, di giustizia, perché la nostra vita non sia una vita sciupata, ma vissuta in pienezza.” Roberto Pulicati


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CONCLUSO IL SINODO

Il Papa: “la parola famiglia non suona più come prima” Di M. Michela Nicolais

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apa Francesco ha concluso il Sinodo sulla famiglia invitando i 270 padri sinodali a “tornare a camminare insieme”. Se la Chiesa - come aveva detto nel suo discorso commemorativo del 50° anniversario del Sinodo Vescovi - è “synodos”, il Sinodo “non significa aver concluso tutti i temi inerenti la famiglia” o “aver trovato soluzioni esaurienti a tutte le difficoltà e ai dubbi”. Significa, invece, “aver sollecitato tutti a comprendere l’importanza dell’istituzione della famiglia e del matrimonio tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità, e ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita umana”. “Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza del Signore”. Nel discorso di chiusura del Sinodo, Francesco ha insistito sul legame tra il Sinodo e l’imminente Giubileo e ha citato i suoi predecessori – Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI – per ricordare che è lo Spirito Santo “il vero protagonista e artefice”: dopo tre settimane di ascolto e confronto, “per tutti la parola famiglia non suona più come prima”. La Relazione Finale del Sinodo, ha reso noto padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede nell’ultimo briefing sui lavori, è stata approvata “con una maggioranza estremamente ampia” e ha ricevuto in ognuno dei 94 paragrafi – a differenza di quanto era avvenuto con la “Relatio Synodi” dell’anno scorso - la maggioranza qualificata dei due terzi, che sui 265 padri sinodali presenti era pari a 177 voti. Non sono mancati paragrafi particolarmente controversi, già oggetto di vivace dibattito al Sinodo, come i numeri 84-85-86 che affrontano la questione dei divorziati risposati all’interno delle “situazioni complesse” delle famiglie. “Che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia?”, si è chiesto il Papa: “Significa aver ascoltato e fatto ascoltare le voci

La Relazione Finale del Sinodo è stata approvata “con una maggioranza estremamente ampia” e ha ricevuto in ognuno dei 94 paragrafi la maggioranza qualificata dei due terzi, che sui 265 padri sinodali presenti era pari a 177 voti. Indicata la strada del “discernimento” per i divorziati risposati. L’attenzione agli omosessuali che vivono in famiglia. La cifra complessiva dell’accoglienza e della misericordia.

delle famiglie”, una delle risposte: “Significa aver dato prova della vivacità della Chiesa Cattolica, che non ha paura di scuotere le coscienze anestetizzate o di sporcarsi le mani discutendo animatamente e francamente sulla famiglia. Significa aver testimoniato a tutti che il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole indottrinarlo in pietre morte da scagliare contro gli altri. Significa aver affermato che la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori”. “Superare l’ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile”. E’ uno dei tratti del Sinodo, in cui “le opinioni diverse si sono espresse liberamente, e purtroppo talvolta con metodo non del tutto benevoli”. “La sfida che abbiamo davanti è sempre la stessa”, ha detto Francesco: “annunciare il Vangelo all’uomo di oggi, difendendo la famiglia da tutti gli attacchi ideolo-

gici e individualistici”. Senza, però, “mai cadere nel pericolo del relativismo oppure di demonizzare gli altri”, ma cercando “di abbracciare pienamente e coraggiosamente la bontà e la misericordia di Dio che supera i nostri calcoli umani e che non desidera altro che tutti gli uomini siamo salvati”. “Discernimento e integrazione”: sono le due parole d’ordine della relazione finale. “I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo”, si legge nella terza parte del documento, dedicata alle “situazioni complesse” delle famiglie. “La logica dell’integrazione – si spiega nel testo – è la chiave del loro accompagnamento pastorale. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle”, e “la loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate”. Una “integrazione”, questa, “necessaria pure per la cura e l’educazione cristiane dei loro figli”. Per il “discernimento”, il docu-

mento citato è la Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II, dove si esortano i sacerdoti ad “accompagnare le persone secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del vescovo”. Nei confronti delle persone con tendenza omosessuale, si ribadisce che “ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale”, va “rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni ingiusta discriminazione” e si rinnova il no ai “progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali”. Su matrimoni civili o unioni di fatto si può crescere verso la “stabilità”, “tolleranza zero” su violenze in famiglia e abusi sessuali sui minori.


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Sinodo Famiglie

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l’intervista

“Discernimento, accompagnamento e integrazione” Di Vincenzo Corrado

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n testo di ampio respiro e segnato dalla makrothymía, ossia dalla capacità di guardare e sentire in grande”. Non usa giri di parole monsignor Marcello Semeraro, per definire il documento conclusivo del Sinodo, approvato in tutti i suoi 94 paragrafi da una maggioranza qualificata. “Seguendo la suggestione dell’intervento di un vescovo letto in aula - aggiunge Semeraro -, paragonerei il Sinodo appena terminato alle nozze di Cana dove il vino, che è motivo di gioia, è sembrato, talvolta, mancare e ciò ha destato dell’ansia. Però, la docilità dei servi alla parola di Gesù, di riempire nonostante tutto le anfore con acqua, ha reso possibile il mutamento”. Eccellenza, quali sono i passaggi principali della Relazione finale? “Più che ‘passaggi’, indicherei alcuni atteggiamenti, che se pure tornano specialmente nella terza parte della Relatio, tuttavia la segnano profondamente per tutto il suo svolgersi. Sono quelli descritti con i termini di discernimento, accompagnamento e integrazione. Queste tre parole attraversano l’intero documento e si richiamano l’una l’altra”. Il testo approvato è solo frutto di un buon compromesso oppure è indicatore di quel “camminare insieme” tanto auspicato dal Papa? “In origine il termine ‘compromesso’ indicava un impegno condiviso. Sotto questo profilo la Relatio mi pare un testo nel quale almeno una maggioranza qualificata si è ritrovata”. Su alcuni punti (numeri 84-8586), che trattano del “discernimento e integrazione” dei divorziati risposati il numero dei non placet, però, è cresciuto… “A me pare che la ragione sia nel fatto che essi implicano un passaggio molto importante: dalla morale dei comandamenti alla morale delle virtù. In breve, nella prima il soggetto sembra essere valutato come un produttore di atti secondo la legge e la coscienza pare considerata prevalentemente come facoltà di notifica e di applicazione della legge. La morale delle virtù, per sua parte, intende fare propria la peda-

Monsignor Marcello Semeraro, vescovo di Albano e membro della Commissione per l’elaborazione della “Relazione finale”: “Considererei il documento finale da tre prospettive: fragilità, sguardo, parole fragili”. E ancora: “I padri sinodali non sono stati convocati per essere quei ‘cooperatori del disastro’, di cui parla il profeta; hanno preferito, come dice san Paolo, essere ‘cooperatori della gioia’”. La prospettiva: “Il Sinodo appena concluso non segna una conclusione, ma un nuovo inizio”

gogia evangelica che mira all’‘albero’ prima che ai frutti, nella convinzione che se l’albero (ossia la persona e la sua libertà) è buono, anche i frutti (le azioni) lo saranno (cf. Mt 7). Nella Relatio si legge pertanto: ‘Il Vangelo della famiglia nutre pure quei semi che ancora attendono di maturare, e deve curare quegli alberi che si sono inariditi e necessitano di non essere trascurati’ (n. 50)”. Pare di capire che lo “sguardo” più che al dettaglio sia stato indirizzato verso l’ampiezza del tema della famiglia… “Considererei il testo da tre prospettive. Per la prima userei la parola fragilità. La sua etimologia ci riporta a qualcosa che può rompersi o essere rovinato, ma pure a ciò che è prezioso e perciò merita di essere custodito e curato. Ora, nella prima parte la Relatio si accosta alla famiglia proprio in questa prospettiva: è ‘grembo di gioie e di prove’, attraversata dalla crisi ma pure oggetto di speranza e di speranze. Indico l’altra prospettiva con la parola sguardo. Anche questo è un termine ricorrente nella Relatio. Ancora nell’omelia della Messa di chiusura Francesco ha detto: ‘Abbiamo condiviso con lo sguardo rivolto al Signore e ai fratelli, nella ricerca dei sentieri che il Vangelo indica al nostro tempo per annunciare il mistero di amore della famiglia. Proseguiamo il cammino che il Signore desidera. Chiediamo a Lui uno sguardo guarito e salvato, che sa diffondere luce, perché ricorda lo splendore che lo ha illuminato’. Uno sguardo sulla fragilità, infine, esige connaturalmente la scelta di parole fragili. Un proverbio africano recita che la ferita provocata da una parola non guarisce! Era, dunque, necessario, per quella realtà così preziosa e fragile che è la famiglia scegliere parole buone, parole di cura, che aiutano a cambiare la vita. Lo spot televisivo di un famoso registratore degli anni Ottanta faceva vedere l’immagine di una notissima cantante jazz che con la potenza della sua voce frantumava un bic-

chiere di cristallo. I padri sinodali, però, non erano stati convocati per produzioni di questo tipo. Invece di essere quei ‘cooperatori del disastro’, di cui parla il profeta (cf Zac 1,15), hanno preferito, come dice Paolo, essere ‘cooperatori della gioia’ (cf 2Cor 1,24)”. Le parole conclusive della “Relatio” prospettano un possibile documento del Papa. Conoscendo Francesco, pensa che ci sarà? “La formula cui la Relatio ha fatto ricorso nella conclusione appartiene allo ‘stylus’ dei documenti sinodali. Così fu per il Sinodo dell’ottobre 2012, chiuso con la consegna a Papa Benedetto XVI di 58 Propositiones. Francesco, il nuovo Papa, pubblicò poi l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, ma

non vi fece apporre l’intitolazione ormai invalsa di ‘postsinodale’. Nel nostro caso la formula stereotipata ritorna, ma alla fine del documento e con un chiaro rimando all’incipit della costituzione Lumen Gentium. Francesco ci ha già donato una serie di catechesi e la famiglia gli sta davvero a cuore. Il Sinodo appena concluso, peraltro, non segna una conclusione, ma un nuovo inizio”.


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FAMIGLIA & CHIESA Proviamo a metterci nei panni di chi oggi si pone dinanzi alle conclusioni del Sinodo (un autentico tesoro antropologico ed ecclesiologico) e si chiede come e perché lo riguardi. Di sicuro, possiamo dire che i padri sinodali hanno accolto l’invito del Papa ad allargare lo sguardo sulla famiglia, a non ergersi a giudici, ad accogliere e accompagnare tutti nella misericordia.

Sinodo concluso. Se io fossi…

Di Domenico Delle Foglie - Direttore Agensir *

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l Sinodo dei vescovi sulla famiglia ha concluso i suoi lavori. I vescovi hanno discusso, hanno fatto discernimento e hanno votato. Papa Francesco ha parlato e certamente scriverà. E noi uomini e donne, credenti e non credenti di questo tempo? Se io fossi… un cattolico divorziato e risposato civilmente, forse vedrei all’orizzonte aprirsi uno spiraglio perché un giorno, dopo un attento discernimento personale, di coppia e con la Chiesa, io possa tornare ad accostarmi all’Eucaristia da cui sono stato escluso sino ad oggi e di cui avverto non solo nostalgia, ma necessità per coltivare la mia fede. Se io fossi… un cattolico sposato con matrimonio religioso mi sentirei confortato dalla Chiesa che mi ha confermato la bontà della mia scelta che rientra nel piano di Dio sull’umanità. Anzi, mi dice che “la vocazione della coppia e della famiglia alla comunione di amore e di vita perdura in tutte le tappe del disegno di Dio malgrado i limiti e i peccati degli uomini”. Se io fossi… un omosessuale credente o non credente, mi sentirei rassicurato dalle parole dei vescovi che ribadiscono che “ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettate nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione”. Se io fossi… un giovane costretto dalle circostanze a scegliere la convivenza in attesa di “una sicurezza esistenziale (lavoro e salario fisso)” o percepissi “il matrimonio come un lusso” che non mi posso permettere, saprei di poter contare sulla comprensione della Chiesa che coglie anche nella mia condizione di vita “elementi positivi”. Se io fossi… un bambino o un adolescente e frequentassi l’oratorio e magari il catechismo, mi sentirei rassicurato dalla “tolleranza zero” confermata dai vescovi contro la pedofilia e potrei vivere i miei anni con la leggerezza e la necessaria fiducia negli adulti che mi accompagnano. Se io fossi… il componente di una coppia che “ha vissuto un’esperienza matrimoniale infelice”, darei credito ai vescovi quando dicono che “la verifica dell’invalidità del matrimonio rappresenta una via da percorrere”. Se io fossi… uno sposo che sperimenta nella vita di coppia problemi di relazione, prenderei in parola i pastori che mi assicurano di “poter contare sull’aiuto e sull’accompagnamento della Chiesa”. Che mi dovrebbe aiutare a prendere coscienza del valore della riconciliazione attraverso la strada del perdono: “Saper perdonare e sentirsi perdonati è un’esperienza fondamentale nella vita familiare”. Se io fossi… un sacerdote, oggi mi sentirei investito di una grande missione, quella di accompagnare e accogliere tutte le famiglie, nella consape-

volezza che in tutte c’è un bene da scoprire e alimentare e a tutte va data un’occasione per partecipare alla vita della Chiesa. Se io fossi… un laico impegnato nella Chiesa sentirei l’urgenza di una chiamata all’impegno nei confronti della famiglia, di tutte le famiglie, sia nella vita ecclesiale sia in quella pubblica e sociale, perché tutte le famiglie meritano accoglienza, comprensione e aiuto, anche da parte di chi ha la responsabilità di governo. Se io fossi… un non credente prenderei molto sul serio le parole di Francesco quando afferma che “il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla Salvezza”. Dunque, se la Chiesa non mi condanna o lancia anatemi, forse merita ascolto e rispetto. Se io fossi… un vescovo, un sacerdote, un religioso o una religiosa, un laico credente forse inciderei nel mio cuore queste parole di Francesco: “L’esperienza del Sinodo ci ha fatto capire anche meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito, non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono”. E forse con questa rinnovata consapevolezza andrei incontro all’Anno giubilare della Misericordia con il cuore in festa, nella certezza di celebrare una riconciliazione e nella speranza di spargere attorno a me semi di misericordia. Il nostro elenco dei “se io fossi…” termina qui. Ma sappiamo bene che è solo una piccolissima parte del tesoro antropologico ed ecclesiologico contenuto nella relazione finale del Sinodo. Abbiamo solo provato a metterci nei panni di chi oggi si pone dinanzi alle conclusioni del Sinodo e si chiede come e perché lo riguardi. Di sicuro, possiamo dire che i padri sinodali hanno accolto l’invito del Papa ad allargare lo sguardo sulla famiglia. La lettura della Relazione restituisce questo sguardo ampio che non tralascia nulla e nessuno e riserva anche delle sorprese, perché ci parla di situazioni che neppure immaginiamo. Condizioni di vita che vengono dalle periferie geografiche ed esistenziali che meritano un’attenzione diversa. E pretendono l’inculturazione che “non indebolisce i valori veri, ma dimostra la loro vera forza e la loro autenticità, perché essi si adattano senza mutarsi, anzi essi trasformano pacificamente e gradualmente le varie culture”. Allora, avanti tutta con il nostro “grande sì alla famiglia” che è il futuro, “senza mai cadere nel pericolo del relativismo oppure di demonizzare gli altri”. *Servizio di Informazione religiosa Cei


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Sinodo Famiglie

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Di don Vincenzo Avallone

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l Sinodo deve preparare la strada perché il mondo riscopra la bellezza della famiglia. E perché, allo stesso tempo, la famiglia possa rendere il mondo più familiare, spezzando l’individualismo che semina nella società germi di antiVangelo piegando a sè stesso tutte le istituzioni e talvolta anche la Chiesa ... Sono convinto che come disse Gesù ai discepoli «lo Spirito Santo condurrà alla verità tutta intera. Ho l’impressione che in questo tempo lo Spirito sta attraversando robustamente la Chiesa perché trovi nel suo ricchissimo tesoro di sapienza le risposte alle domande, ai problemi, ai sogni, alle aspettative dei fedeli» (Mons. Vincenzo Paglia). «L’urgenza primaria di cui il Sinodo si dovrà necessariamente occupare è la riflessione sul matrimonio, sedimentata lungo i secoli e che chiede di essere ripensata...occorre approfondire il nesso fede-matrimonio, il significato della natura sacramentale del matrimonio, e il perché non si possa appiattire a una sorta di contratto naturale» (card. Angelo Scola) «Credo che non cambierà la dottrina sul matrimonio, proprio perché il matrimonio è icona e presenza della relazione d’amore di Cristo per la sua Chiesa; ma credo che lo Spirito Santo desidera anzitutto suscitare una lettura sapienziale, secondo Dio, della realtà del matrimonio e della famiglia, oggi. Abbiamo a disposizione molte analisi sociologiche, psicologiche, etc., e sono tutte fondamentali. Ma solo la chiesa, animata dallo Spirito Santo, può dire il senso di tutto questo» (Marco Tasca, ministro generale dei frati minori conventuali). Dalla rivista Genitori e figli del 18 ottobre 2015 Padri cercansi. «Rispetto delle regole, senso di giustizia, capacità di argomentazione, assunzione di responsabilità, esercizio del coraggio, scelte di equilibrio, doti di pazienza e capacità di accoglienza. Valori sempre meno di moda, non a caso in parallelo all’eclisse della figura del padre, che quei valori dovrebbe promuovere e incarnare... Ecco perché dobbiamo ridare al padre il ruolo che gli compete, e che non significa in alcun modo un semplice e improponibile ritorno al passato, ma la ridefinizione di una figura che è comunque insostituibile e la cui

Cose vere e belle, dette in occasione del Sinodo.

Famiglia sogno di Dio mancanza pesa in modo gravissimo sullo sviluppo cognitivo dei bambini e determina problemi educativi importanti» (Guido Crocetti, psicoterapeuta e docente di psicologia clinica alla Sapienza di Roma).

Mogli cercansi. «Mogli che collaborino a questa ridefinizione della paternità. In questi anni la donna, volente o nolente, si è spesso appropriata degli spazi lasciati liberi dall’uomo. Li ha occupati. Ha svolto funzioni che non le spettereb-

bero. Ma ora questi spazi devono essere restituiti al padre perché, in caso contrario, perde il valore di sè stesso. Ora, nella restituzione di questo ruolo, se il passaggio è positivo diventa un arricchimento per tutti... Ecco perché dobbiamo incoraggiare una riflessione non pregiudiziale per mettere in luce la ricchezza della differenza tra uomini e donne... Guai ad appiattire le differenze! Purtroppo vi è un vero e proprio virus che lavora per l’indifferenziazione, per il caos sistematico... che produce danni incalcolabili... Il discorso sui ruoli va rivisitato profondamente non per annullarli o appiattirli, ma per ridisegnarli sulla base di una comune responsabilità» (Guido Crocetti). Post scriptum - Un libro da leggere: Meglio dirsele: imparare a litigare bene, per una vita di coppia felice (Rizzoli BUR, pag. 251, 13 euro). Daniele Novara, pedagogista e docente al Master interculturale dell’Università Cattolica di Milano, dice: «sono convinto che esiste la possibilità di imparare a leggere, affrontare e gestire i conflitti di coppia come occasioni per evolvere insieme, sviluppare le potenzialità personali. Anzi dirò che saper litigare bene può diventare un vero antidoto ad ogni forma di violenza. Ma si tenga presente che una regola sempre valida è di non attaccare mai la persona ma i comportamenti».


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Seguiamo Francesco 31 ottobre 2015

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LE NOMINE DI FRANCESCO Di Antonio Sanfrancesco

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apa Francesco lo raccomanda spesso: «Siate pastori con l’odore delle pecore». Preti della gente e tra la gente e non d’apparato o al centro di giochi di potere. Già nei concistori Bergoglio ha dimostrato cosa significa questo concedendo la porpora a presuli di popolo come Francesco Montenegro, Gualtiero Bassetti ed Edoardo Menichelli, solo per citare tre italiani. Adesso tocca a due cattedre italiane storiche e prestigiose, entrambe sedi cardinalizie: Bologna e Palermo. A mezzogiorno in punto del 27 ottobre, come vuole il cerimoniale, in contemporanea nelle due arcidiocesi e in Vaticano sono stati annunciati i nomi dei nuovi arcivescovi. Un prete di strada e degli ultimi come don Corrado Lorefice, 53 anni, parroco di San Pietro a Modica, nel Ragusano, prende il posto del cardinale Paolo Romeo a Palermo. Monsignor Matteo Zuppi, vescovo ausiliare per il settore centro della diocesi di Roma, di casa a Trastevere dove ha sede la Comunità di Sant’Egidio di cui è assistente ecclesiastico e animatore instancabile di iniziative a sostegno di poveri, disperati, rom e drogati è il nuovo vescovo di Bologna. Sulla cattedra di San Petronio, dove negli anni Cinquanta Giacomo Lercaro mise a frutto la preziosa eredità del Concilio Vaticano II attuando una Chiesa povera e facendo suo il Patto delle catacombe con cui numerosi presuli s’impegnavano a vivere in sobrietà e uniti al popolo la loro missione, arriva un prete di strada, di frontiera, a suo agio nelle periferie. Don Corrado da parroco in prima linea contro il racket della prostituzione e nella lotta alla mafia arriva a guidare una delle diocesi più importanti e complesse della Sicilia. Sia Carlo Caffarra a Bologna che Paolo Romeo a Palermo avevano raggiunto i 75 anni nel 2013, l’età canonica della pensione, e pertanto come da prassi avevano presentato le loro dimissioni al Papa. La doppia nomina di Bergoglio è un altro tassello importante della sua idea di Chiesa e dei pastori che la devono far vivere: missionaria, nel cuore della gente, aperta, dal basso. Lo ha fatto nominando segretario generale della Cei monsignor Nunzio Galantino, già vescovo di Cassano allo Ionio e ora prosegue con queste due importanti nomine. Quando il Papa andò ad Assisi, rivolgendosi al clero della diocesi

I preti di strada salgono in cattedra Per i capoluoghi della Sicilia e dell’Emilia Romagna, il Papa ha scelto due protagonisti della difesa degli ultimi, vicini ai poveri. Al cardinale Romeo succede don Corrado Lorefice, parroco a Modica. Al cardinale Caffarra, Matteo Zuppi, già ausiliare della diocesi di Roma

tica. Quando un prete non è in contatto con il suo popolo, si fatica, ma male e per addormentarsi deve prendere una pastiglia, no? Invece, quello che è in contatto con il popolo, ché davvero il popolo ha tante esigenze, tante esigenze! – ma sono le esigenze di Dio, no?, quello fatica sul serio, eh?, e non sono necessarie le pastiglie».

L’ESPERIENZA DI VANGELO VISSUTO Mons. Zuppi

umbra, aveva chiesto ai parroci di imparare a memoria non solo nome dei loro parrocchiani, ma «anche dei cani», degli animali domestici. Un modo per dire come il pastore debba essere vicino al suo gregge. Sempre. «Questo vi chiedo: di essere pastori con “l’odore delle pecore”, pastori in mezzo al proprio gregge, e pescatori di uomini», aveva detto poi Francesco il 28 marzo, nell’omelia della messa crismale: «La gente ci ringrazia - aveva aggiunto - perché sente che abbiamo pregato con le realtà della sua vita di ogni giorno, le sue pene e le sue

Mons. Lorefice

gioie, le sue angustie e le sue speranze. E quando sente che il profumo dell’Unto, di Cristo, giunge attraverso di noi, è incoraggiata ad affidarci tutto quello che desidera arrivi al Signore: “Preghi per me, padre, perché ho questo problema”, “Mi benedica”, “Preghi per me”, sono il segno che l’unzione è arrivata all’orlo del mantello, perché viene trasformata in supplica». Infine, parlando delle fatiche del prete in un incontro con il clero della sua diocesi di Roma il Papa spiegava: «Quando un prete è in contatto con il suo popolo, si fa-

DON ORESTE BENZI Il prete degli ultimi Il due novembre ricorre l’anniversario del suo arrivo al Cielo, nel 2007. Un anno fa si è aperto il processo di beatificazione.

Dalla Redazione

S

ono sette, in Italia, le realtà della Comunità papa Giovanni XXIII che si occupano di cercare e accogliere i senza fissa dimora. «Con i senza fissa dimora noi siamo alla pari: loro sanno che viviamo come loro, che capiamo cosa vuol dire vivere e dormire in strada». Lo racconta Jonatha Ricci, coordinatore per la Condivisione di strada della Comunità Papa Giovanni XXIII, che vive nella Capanna di Betlemme di Forlì, gomito a gomito con chi arriva dalla strada. «Io e i nostri giovani» , spiega, «non siamo operatori ma semplicemente viviamo con chi non ha un tetto, 24 ore al giorno. Io, per esempio, dormo con loro, mangio con loro, vivo gli stessi problemi». Queste case sono piuttosto spartane, per la prima accoglienza delle persone senza fissa dimora. La caratteristica delle Capanne è la condivisione. Le ha volute così don Oreste Benzi, il fondatore della Papa Giovanni XXIII, e anche dopo la sua morte niente è cambiato nello spirito di accoglienza che le caratterizza. I volontari non sono semplici operatori, in quanto condividono la vita con le persone che vengono accolte. Alcune anche in pianta stabile, altre per brevi periodi. Dalle Capanne poi, in alcuni giorni della settimana, i volontari partono per intercettare il bisogno di questi invisibili perché, come diceva don Oreste, «ci sono tanti poveri che non ci cercheranno mai, quelli li dobbiamo cercare noi».


Punti di vista

31 ottobre 2015

kaire@chiesaischia.it

Di Franco Iacono

1.

Quello che è accaduto attorno a Papa Francesco con l’incredibile notizia della “macchia nera” nel suo cervello e delle fantomatiche visite ad opera del neurochirurgo giapponese, la dice lunga sulla “capacità” delle forze del Male di incidere sul corso delle cose ispirate al Bene. E neppure il Papa ne è indenne, tanto più se quelle forze agiscono, probabilmente, all’interno dello stesso Vaticano. Nella eterna lotta fra il Bene e il Male, ancora una volta ha vinto il Bene ed il suo alfiere: Papa Francesco! L’esito, ancorché controverso e battagliato, proprio per le resistenze di antiche incrostazioni, del Sinodo della Famiglia ha sancito la vittoria del Papa e del nuovo corso. Una riprova ulteriore di quella vittoria e della determinazione del Papa di non arretrare di un millimetro nella affermazione dei Valori e dell’insegnamento del Vangelo, è stata la nomina dei due nuovi Arcivescovi di Palermo e di Roma: Corrado Lorefice, prete antimafia, parroco a Modica, e Matteo Zuppi figura storica della comunità di Sant’Egidio. Il Corriere della Sera mercoledì 28 di ottobre li ha definiti due Vescovi “di strada”! Solo per ricordare: quelle due importanti di Arcidiocesi avevano avuto nel tempo Arcivescovi di ben altra estrazione! 2. La scomparsa dell’Avvocato Nicolaniello Buono ha toccato tante famiglie, soprattutto quelle di antichi coltivatori diretti. Con Lui se ne va anche una parte della memoria di mio padre, Vito, Presidente per decenni della sezione di Forio della Coldiretti: mio padre, praticamente ogni giorno, chiamava Nicolaniello per sottoporgli i mille piccoli problemi dei coltivatori as-

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La falsa notizia sul Papa Addio a Nicolaniello Buono La cultura di Ercolano sociati. L’incipit della telefonata di mio padre, che i miei figli per questo prendevano in giro, era sempre lo stesso: “Avvocà, agg’ pacienz”! Quella espressione sottendeva un segno di rispetto e di riconoscimento alla disponibilità costante dell’Avvocato, che fin giovanissimo si era speso per assistere i coltivatori. Erano i tempi in cui un giovane Arcangelo Lobianco, Presidente della Coldiretti Campana, frequentava la nostra casa con bellissima umanità: sarebbe diventato, sempre con grande modestia ed umiltà, uno degli uomini più potenti d’Italia, allorché fu per lunghi anni Presidente Nazionale della Coldiretti, formidabile bacino elettorale della DC. Fece l’onore, e l’avvocato Nicolaniello c’era, di venire da Roma per fare visita a mio padre a quindici giorni dalla sua morte. Era il giugno del 2001: fu un grande regalo, che rese felice il povero papà sofferente, ma anche tanti coltivatori, radunati proprio da Nicolaniello, che egli volle incontrare in quella occasione. Questo era il mondo così ricco di umanità e di delicatezze, che Nicolaniello frequentò ed animò, mettendo a disposizione il suo sapere e la sua umanità. Quest’anno non lo vedremo alla festa del vino nuovo nelle Cantine di Pietratorcia, alle quali ci fece l’onore di non mancare mai insieme alla sua dolcissima moglie, ma sicuramente lo sentiremo presente in mezzo a noi. Grazie!

3. E’ Mantova la Capitale della Cultura Italiana per il 2016. Ma Ercolano non ha perso, come giustamente ha sottolineato il Sindaco Buonaiuto: se non altro per la capacità di mobilitazione di tante energie sane ed entusiaste, che hanno saputo uscire allo scoperto in una Terra, in cui a far notizia sembravano essere prevalentemente le “gesta” della criminalità organizzata. Senza dimenticare i Sindaci del passato come Luisa Bossa e Nino Daniele, che duramente contrastarono la deriva camorristica, sposando la Cultura e la valorizzazione di quei Siti straordinari, l’idea soltanto, merito di questo Sindaco, di concorrere alla nomina di Capitale Italiana della Cultura, è una sfida già vinta. Ercolano parteciperà anche per il 2017! Mi permetterò di ricordare al Sindaco le tre stagioni di Grande Lirica, che con l’associazione Napoli Capitale Europea della Musica (Presidente chi scrive, Direttore Artistico Filippo Zi-

gante, Direttore Musicale Susanna Pescetti) realizzammo, con il contributo della Regione, prima nello splendido Parco di Villa Favorita e poi nell’Esedra di Villa Campolieto, senza dimenticare concerti con vista sugli Scavi. Per l’occasione fu utilizzato anche l’Approdo Borbonico: gli spettatori, dal Molo Beverello, arrivavano direttamente nel Parco della Villa Favorita! Nella occasione di una recita di Madame Butterfly organizzammo un vaporetto anche da Ischia con oltre cento appassionati! Probabilmente inserire la Grande Musica del Settecento Napoletano, da eseguire nell’Esedra di Villa Campolieto – la sede più appropriata per questo genere – potrà arricchire il progetto già bello, presentato per l’edizione 2016. Intanto complimenti e in bocca al lupo per la prossima edizione: è la Cultura in questi luoghi affascinanti la carta vincente per il Mezzogiorno d’Italia.


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Sacerdoti 31 ottobre 2015

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I 90 anni di mons. Camillo D’Ambra Del prof. Michele D' Arco

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ei giorni feriali, alle nove del mattino, in cattedrale Don Camillo d’Ambra celebra messa. Un nutrito gruppo di fedeli, anche con il caldo dei giorni estivi o col freddo dell’inverno, è lì ad aspettare che la sua esile figura si profili per salire all’altare. A novant’anni, tanti ne compirà Mons. Camillo d’Ambra il prossimo quattro novembre, non è da tutti riuscire a servire e ravvivare la vigna del Signore con zelo, pietà e amore. Le sue omelie, brevi, concrete, ricche di profondi contenuti teologici che si vanno ad innestare su spunti tratti dal Vangelo e dalla vita dei santi del giorno, costituiscono un esempio straordinario di quanto efficace possa risultare una breve omelia se esposta senza mai venir meno ai fondamenti della fede e della pietà cristiane. L’invocazione alla Misericordia di Dio, uno dei punti focali del magistero di Papa Francesco, è per lui, da sempre, un costante motivo cui ispirare il suo essere sacerdote. I tanti giovani che si accostano al confessionale, dove ancora oggi esplica la sua funzione di canonico penitenziere, sono la plastica testimonianza che il nomignolo «‘o santariello» del borgo antico non è un’esagerazione. In occasione della festa dei suoi sessanta anni di sacerdozio ebbe a dire: “ho fatto molte cose” riferendosi ai suoi incarichi ricoperti nel corso degli anni, piegandosi sempre docilmente alla volontà del Signore, sempre fedele alle chiamate dei tanti Vescovi che negli anni si sono succeduti nella nostra diocesi. “Sono passato attraverso il Seminario di Ischia e poi a Salerno quando, in piena guerra, vissi, in quella città, i tristissimi eventi bellici, colà particolarmente drammatici. Nel 1948 fui ordinato sacerdote da Mons. Ernesto de Laurentiis nel giorno del mio onomastico, San Camillo de Lellis, allora molto venerato ad Ischia…” Di qui inizia il suo “cursus honorum” che lo porterà a ricoprire svariati incarichi svolti con dedizione profonda, pazienza e competenza. Prefetto nel Seminario d’Ischia, allora fucina, non solo di

Sacerdote, studioso, storico

vocazioni sacerdotali, ma, più ancora, trampolino di lancio per tanti giovani divenuti poi classe dirigente dell’isola, Cancelliere Vescovile, Parroco della Cattedrale, Canonico della Collegiata dello Spirito Santo e, poi, Cappellano dell’Arciconfraternita S. Maria di Costantinopoli. Oggi assolve ancora al compito di Canonico Penitenziere, raccogliendo le lacrime e le difficoltà di quanti turbati o angosciati, vanno a chiedere misericordia e perdono, specialmente in questi duri anni che stiamo vivendo. Ma don Camillo riserba a quanti hanno la fortuna di poter cogliere certi suoi momenti di confidenziale partecipazione alle vicende della società e della vita comune di oggi e di ieri, un altro aspetto della sua personalità, ai più, del tutto sconosciuto. È qui che viene fuori il suo talento brillante, ironico, divertente. Fioccano, così, citazioni deli-

ziose, battute ironiche, espressioni gergali, episodi dimenticati, aneddoti spassosissimi, cosicché quegli esigui spazi temporali vorresti che non si esaurissero mai. Ma alla sua poliedrica personalità si affianca l’uomo di profonda cultura storica, il ricercatore attento, dotato di quella certosina pazienza, indispensabile alla ricerca storica e alla catalogazione archivistica, ma anche lo studioso che utilizza parte della sua giornata tra le sudate carte raccolte nella sterminata produzione degli archivi parrocchiali della diocesi. Si deve a lui se l’archivio diocesano, attualmente ospitato negli eleganti ambienti del ex Seminario, oggi Episcopio e Museo Diocesano, è tornato a nuova vita. Mons. Onofrio Buonocore lo volle, giovanissimo, suo collaboratore alla Biblioteca Antoniana ed è merito suo se larga parte del cospicuo

e prezioso patrimonio librario è stato conservato. Negli ultimi anni ha avuto l’accortezza e la lungimiranza di passare il testimone al prof. Agostino Di Lustro e alla dott.ssa Ernesta Mazzella, oggi brillanti epigoni che continuano nella scia tracciata dai due grandi iniziatori di un’opera fondamentale per la nostra memoria storica. Al carissimo don Camillo, interpretando i sentimenti dei tantissimi suoi estimatori, auguro buon compleanno, confidando che il Signore gli conservi la salute e quella prodigiosa lucidità per continuare il suo fecondo apostolato.

TANTI AUGURI A… Don Cristian Solmonese per il suo compleanno: 5 novembre


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Giovani

31 ottobre 2015

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Come albero piantato lungo corsi d’acqua Venerdì 23 ottobre si è rinnovato, dopo la pausa estiva, l’appuntamento mensile con i giovani in Cattedrale insieme al nostro Vescovo Pietro. Di Giuseppe Galano

Q

uesto incontro è sempre molto atteso dai giovani provenienti dalle varie realtà della nostra isola i quali riescono a trovare pace e serenità grazie alle intense riflessioni che Mons. Lagnese propone. I ragazzi che mensilmente rispondono all’invito a fermarsi, staccare dalla solita routine di tutti i giorni, aprono il loro cuore alla meditazione della Parola di Dio e fanno poi ritorno alle loro case con il desiderio di essere testimoni verso gli altri della grandiosità dell’amore di Dio. Il tema scelto per l’occasione è “Come albero piantato lungo corsi d’acqua”. Quale atto preliminare della serata il Vescovo affida i ragazzi allo Spirito Santo. “Invochiamo lo Spirito Santo perché ci insegni a pregare ed a fare di questo un incontro con Gesù che viene in mezzo a noi”. La bella corale della Pastorale Giovanile intona il canto d’invocazione Vieni, Santo Spirito di Dio.”Il Signore vuole fare di ognuno di noi un testimone vero di Gesù, che sappia dire con la propria vita e non semplicemente con le parole di aver incontrato il Signore. Questa sera possiamo fare l’esperienza di diventare veri testimoni di Gesù”. Il Vescovo ogni mese invita tutti a meditare sulla Parola di Dio, una Parola che puntualmente riesce ad entrare nel cuore di ciascuno, perfino in quello più indurito, donando a tutti nuova forza e vigore. Questa volta ha proposto due versetti tratti dal Libro del profeta Geremia (17,7-8). Dopo aver ascoltato il brano ciascuno la meditato per qualche minuto nell’intimo del proprio animo su ciò che volessero dire le parole scritte dal profeta. Come supporto alla meditazione è stato scelto un canto molto bello scritto da Renato Zero nel 1994 ed interpretato da Laura Pausini, dal titolo Nei giardini che nessuno sa. “Ci sono canzoni che emozionano e possono aiutarci nella preghiera. Questa potrebbe essere una di quelle canzoni che potrebbero aiutarci a sentirci guardati dal Signore, sen-

tire lo sguardo di Dio su ciascuno. Dio ci guarda alla stessa maniera di come si guardano le persone che si amano. Vorrei che questa sera potessimo uscire da questa chiesa con lo sguardo di Dio sul nostro volto,con lo sguardo di Gesù che ha un sogno soltanto per ciascuno di noi, quello di vederci felici”. La canzone è la storia di una persona che vede star male la persona amata; si accorge che la persona amata sta morendo, in quel momento sta sfiorendo. E’ la storia di chi soffre al pensiero che l’amato stia soffrendo. Il Vescovo ha estrapolato dal testo alcune frasi molto significative che hanno offerto un prezioso supporto alla riflessione. Ti darei gli occhi miei, per vedere ciò che non vedi. L’allegria, l’allegria, per strapparti ancora sorrisi. Dirti si, sempre si, e riuscire a farti volare, dove vuoi, dove sai, senza più quei pesi sul cuore. “Questa espressione ci può aiutare a pregare. Gesù questa sera ci rivolge queste parole. E’ una vera dichiarazione d’amore. In fondo, pregare è permettere al Signore di farci la sua dichiarazione d’amore. E poi vederti ridere, e poi vederti correre ancora. “Dio desidera che ciascuno sorrida, che sia contento, è l’unico desiderio che ha per ciascuno di noi, non chiede altro. Dio vuole solo il nostro bene, che la vita di ciascuno sia bella, lo desidera più di ogni altra cosa. Lo desidera come si desidera respirare; lo desidera come gli uccelli desiderano volare”. Non sai come è bello stringerti, ritrovarsi qui a difenderti, e sussurrarti non arrenderti. “Continuiamo a credere nella felicità senza gettare la spugna. Sorregili, aiutali, ti prego non lasciarli cadere. Esili, fragili, non negargli un po’ del tuo amore. “Le persone che amano si rivolgono a Dio. Quando si ama una persona, pur di aiutarla, si cercano alleanze. Per la persona amata si fa l’impossibile. Inoltre,queste parole Dio le rivolge a tutti coloro che hanno compiti di responsabilità. Le rivolge ai sacerdoti parlando delle persone loro affida-

te. Dio cerca persone che si alleino a Lui e dicano il proprio si”. I due versetti tratti dal Libro di Geremia sono molto significativi. “Dio dice che vi è una possibilità di non essere spenti, come alberi piantati lungo corsi d’acqua che non temono il caldo, le cui foglie sono sempre verdi. Questa possibilità ci viene da Dio, occorre lasciarci guidare da Lui, allora anche noi saremo felici. Perché questo possa accadere Egli ci ha donato la Sua stessa vita”. A seguire, la corale ha intonato il Salmo 1, primo Salmo tra tutti quelli che troviamo nella Bibbia. Inizia con Beato l’uomo,

introduzione alle Beatitudini, alla chiamata di Dio alla felicità. “Dio vuole che l’uomo sia felice, beato. L’uomo felice è semplicemente un peccatore che che non resta nella via del peccato ma permette al Signore di essere tirato fuori da questa condizione. Si mette in ascolto della Parola, di Dio che dice ti voglio felice. -Quando ciò avviene l’uomo diventa come albero piantato lungo corsi d’acqua che nel tempo darà frutti”. A conclusione dell’incontro, quale risposta alla meditazione è stato proposto il canto Mi affido a Te.

Assisi, San Gabriele, Padre Pio dal 7 al 10 novembre 2015 4 giorni - tutto compreso in pullman - Euro 300,00 Per informazioni Tel. 081 995750 Salvatore Mattera Cell. 3331306538 info@bellitaliaviaggi.it - www. bellitaliaviaggi.it


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Scuola 31 ottobre 2015

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“CHI ACCUMULA LIBRI,

Di Filomena Sogliuzzo

E'

uno spazio aperto alla fantasia dei docenti e degli alunni che può essere occupato dalle più svariate attività, gli alunni ischitani hanno scelto di articolarlo in due fasi: la prima, una divertente attività di “bookcrossing” per mettere in circolo l’amore per la lettura; la seconda, un incontro a scuola con proiezioni di foto sull’attività svolta all’esterno, la lettura di brani da parte di ospiti e alunni e, dulcis in fundo, thè e pasticcini! I brani scelti sia dagli ospiti che dagli alunni, hanno offerto spunti di profondo valore pedagogico che se vissuti, possono aiutare a realizzare un progetto di vita sano e bello. Non mi è sembrato un caso che la lettura con cui si è aperto l’evento fosse connotata dalla speranza. Gli alunni della sez. A, infatti hanno scelto una pagina da “ La fabbrica del cioccolato” (R. Dahl) in cui il giovane protagonista spera di trovare il biglietto d’oro che gli permetterà di realizzare il suo desiderio più grande. Mi viene da pensare che anche “Libriamo” è speranza perchè accende i desideri e i sogni che di questa sono la sostanza. Dopo i ragazzi, la prof.ssa Antonietta Iacono ha proposto alcuni brani del poeta G. Pontano, il primo tratto da una raccolta di epigrafi dedicata ai familiari dello scrittore nel quale però, inserisce la figura della serva Pathma, a voler significare in tal modo l’affetto e la stima per questa donna che viene considerata alla stregua di una persona di famiglia. Gli altri due tratti dall’opera “Sulla matta bestialità”sempre del Pontano. Mentre la prima lettura sottolinea il valore dell’accoglienza, gli altri brani contengono considerazioni sulla bestialità di una natura umana lasciata senza cura, cioè senza cultura! Poi la volta della dott.ssa Barbara Pierini, che ha invitato i ragazzi a considerare la lettura come il viaggio in un sogno e lo ha fatto scegliendo un racconto intitolato “Ischia la città dell’iniziale perduta” tratto dal libro “Appunti di geofantastica” e nato proprio sulla nostra isola. Significativo l’intervento di Mons. Lagnese con le pagine tratte da “Il piccolo principe” in cui si narra dell’incontro del protagonista con la volpe e dove si intravedere in filigrana, l’importanza di costruire relazioni e della cura che esse richiedono. Il Vescovo ha spiegato cosi la sua scelta:

Libria

Un bellissimo pomeriggio letterario quello di martedì po prolungato della scuola media “G.Scotti” di Ischia. zionali di lettura, iniziativa del MIUR e del Centro per i la lettura nelle scuole, a partire da quelle per l’infanzi


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31 ottobre 2015

ACCUMULA DESIDERI”

amo…

27 ottobre che ha visto impegnate le classi del tem. Il progetto si inserisce nell’ambito delle giornate nail libro e la Lettura, con le quali si intende promuovere ia, fino alle scuole secondarie di primo grado.

“diventiamo ricchi quando siamo capaci di costruire legami forti e la vita diventa bella quando scopriamo il gusto di sentirci amati e di amare…se riusciremo a fare questo saremo gli uomini più felici del mondo e faremo felici tante persone” ha poi concluso il suo intervento in modo scherzoso auspicando a se stesso e ai ragazzi un reciproco “addomesticarsi” come suggerito dalla pagina del libro scelto. La preside dott.ssa Monti ha proposto invece una pagina di “Pinocchio” quella in cui si narra della povertà di Geppetto e dei sacrifici fatti dal falegname per comprare un abbecedario al burattino; “questo papà voleva che il figlio crescesse in cultura” ha continuato la dott.ssa “per permettergli di entrare nel mondo degli adulti con le necessarie competenze, così come noi insegnanti facciamo con voi… ma l’ho scelto anche per farvi capire il sacrificio che fanno i vostri genitori e che spesso non viene compreso”. E’ seguita la bellissima lettura scelta dalla sign.a Antonietta Manzi della libreria Imagaenaria, che ha offerto uno spunto ancora diverso: leggere perché è semplicemente bello! Gustare la bellezza attraverso la scrittura dice: “è possibile scegliendo gli autori giusti” ed infatti la predilezione di Antonietta va ad una pagina del romanzo”Anna Karenina” di Tolstoj, amata per la “la ricchezza di sentimenti che contiene ma,soprattutto per la passione, un sentimento che spero possiate conoscere nelle vostre vite”. Il prof. Fabio Gallina ha concluso la serie di letture fatte dagli adulti, il brano scelto è stato tratto dal Libro della Genesi ed ha al centro “Parola creatrice di Dio” e l’invito rivolto all’umanità ad essere cooperatori della creazione. In che modo? dice il prof: “Dio ci da la facoltà di elaborare un linguaggio con cui definire le cose, di prendere quindi possesso della realtà che ci troviamo davanti e di controllarla…” In ultimo la parola è tornata ai ragazzi della sez. N con la storia di Iqbal Masih il piccolo schiavo costretto a tessere tappeti dalla mafia pakistana, il cui esempio ha spinto altri bambini a denunciare i loro padroni e cambiare per sempre la propria condizione di schiavi. Anche questo un brano che lascia ampio spazio alla speranza. Sento di dover sottolineare ancora una cosa prima di chiudere, la capacità di ascolto e di partecipazione di questi ragazzi, segno della guida sapiente e amorevole degli insegnanti che ne hanno saputo stimolare la ricerca e la riflessione. A tutti grazie, davvero. prof.ssa Matilde Di Meglio


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Storia & Rivelazioni 31 ottobre 2015

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Mela Sargente

La Gioconda ha il volto dell’ischitana Costanza D’Avalos Secondo Paolo Giovio (14861552), storico, collezionista d’arte e Vescovo, la giovane Castellana Costanza era una delle modelle preferite di Leonardo Da Vinci che non si esclude possa averla incontrata sul Castello d’Ischia.

Di Antonio Lubrano

C

ostanza D’Avalos è stato un personaggio di punta della storia di Ischia. Con Vittoria Colonna aveva magnificato l’ambiente regale in cui era titolata in cenacolo di cultura, ove si radunavano ospiti sapienti di vario ingegno e dell’arte della guerra, essendo la nobildonna anche una coraggiosa combattente. Era figlia di Innico I d’Avalos , conte di Monteodorisio, e dell’ereditiera Antonella d’Aquino. Venne data in sposa nel 1477 a soli 17 anni a Federico del Balzo principe di Altamura e duca di Venosa, figlio di Pietro Del Balzo e fratello della regina di Napoli Isabella. Dopo essere rimasta vedova senza figli, Federico I di Napoli le concesse il ducato di Francavilla. Seguì il fratello Innico II d’Avalos e sua moglie Laura Sanseverino a Ischia. Nel 1503, dopo la costruzione della Torre, nel Giardino delle Ninfe, che gli ischitani chiameranno poi Torre di Michelangelo, lottò contro i francesi, ottenendo l’anno dopo il governo del Castello e dell’isola. A Ischia stabilì la sua corte, frequentata dai maggiori umanisti napoletani del suo tempo e da altre personalità che dal nord e dal centro dell’Italia arrivavano fino ai

territori del napoletano dominati dagli aragonesi. L’isola d’Ischia e il Castello ne facevano parte a pieno titolo. Costanza nel suo aspetto di donna statuaria e forte, era bella e colta ed era circondata da diversi ammiratori che non le davano tregua nell’arte del corteggiamento che Lei sapeva bene gestire senza doversi impegnare oltre il lecito. Insomma la sua bellezza ed il suo fascino come si vedrà appresso, ebbero un punto fermo nella storia della sua vita. Infatti alcuni uomini di cultura e studiosi famosi compreso Benedetto Croce, che fece addirittura uno studio particolare sul caso che lo intrigava tanto, hanno visto ritratta ne La Gioconda di Leonardo da Vinci al Louvre di Parigi, il volto non della fiorentina Lisa Gherardini, ma quello decisamente più somigliante della “nostra” Costanza D’Avalos. L’argomento delicato, che nella sua diversa e forse più attendibile interpretazione, potrebbe rivoluzionare i tracciati ed i responsi della storia, visto che a tempo viene riproposto e dato in pasto ad una certa critica di giudizio fra le più disparate, sarebbe quanto mai interessate, se proprio da Ischia venisse rilanciato e posto al centro di nuove discussione per venire a capo di una vicenda i cui presupposti per meglio sviscerarlo ci sono tutti e sono tanti. A cominciare da quanto scrive

l’italiano Angelo Paratico, ricercatore storico, residente a Hong Kong con una propria pagina su fb. Il Paratico riesuma Paolo Giovio (1486-1552), medico, storico, collezionista d’arte e vescovo di Nocera dei Pagani, che quando fu studente di medicina a Pavia, ebbe modo di conoscere Leonardo Da Vinci. Il Giovio nel tempo del Sacco di Roma fu provato molto dal brutto accadimento ed entrò in depressione A sollevarlo dalla depressione scrive il ricercatore Paratico, giunse un invito da Vittoria Colonna, con la quale aveva contatti. La nobildonna gli chiedeva di andarla a trovare ad Ischia per recuperarvi la salute e il coraggio. A Ischia Giovio restò parecchi mesi, decidendosi ad abbandonarla solo nell’autunno del 1528, chiamato a raggiungere il papa che era rientrato a Roma. Mentre soggiornava sull’isola, Paolo Giovio sentì che con il Sacco di Roma il mondo era cambiato, e avvertì il bisogno di lasciar traccia dei grandi uomini e delle grandi donne che aveva conosciuto. Così scrisse nel suo latino aulico dei frammenti biografici di uomini e donne di lettere, il “De viris et foeminis aetate nostra florentibus”.Passò poi ai pittori e agli umoristi, ma questa parte non la completò. L’opera rimase incom-

piuta e fu pubblicata a Modena solo nel 1781 dal Tiraboschi, sotto il titolo di “Fragmentum Trium Dialogorum Pauli Jovii. Dialogum virium illustrium cui in calce sunt additae Vincii, Michelis Angelis, Raphaelis Urbinatis vitae”: ed è proprio qui che si trova la parte riguardante Leonardo Da Vinci. Ad Ischia il Giovio si legò d’amicizia non solo con Vittoria Colonna, ma anche con Costanza d’Avalos, duchessa di Francavilla (1461-1541) e con Alfonso, marchese del Vasto. Un ulteriore punto di contatto tra Ischia e Leonardo Da Vinci può essere visto proprio in Costanza D’Avalos la quale, secondo il grande studioso Adolfo Venturi, fondatore della disciplina universitaria di storia dell’arte in Italia, fu addirittura la modella di Leonardo per la Gioconda, che ora si può ammirare a Parigi, al museo del Louvre. Lisa Gherardini del Giocondo non avrebbe dunque nulla a che vedere con quel dipinto famosissimo, e questa è un’opinione condivisa da molti. Ma nel tempo sono staiti altri insigni studiosi ad accostare l’ “ischitana” Costanza D’Avalos alla famosa opera di Leonardo Da Vinci che non si esclude possa essere approdato, nei suoi vari viaggi in Campania per incontrare la bella Costanza e dipingerne i lineamenti e la veletta nera segno della sua recente vedovanza.


Storia & Rivelazioni

15 31 ottobre 2015

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COSTANZA D'AVALOS GOVERNATRICE SUL CASTELLO D'ISCHIA E DELL'ISOLA

L’IDEA LANCIATA SUL WEB

L’ipotesi buffa che la Gioconda possa essere cinese Lo storico D’Adamo: “Altri storici dell’arte sono convinti che la donna del dipinto sia l’“ischitana” Costanza D’Avalos governatrice dell’isola

Di Michele Lubrano

LEONARDO DA VINCI AMICO DI COSTANSA D'AVALOS SUA MODELLA

IL CASTELLO D'ISCHIA DEL '600

L'ANTICA ARCHITETTURA DEL CASTRLLO D'ISCHIA

IL FOLOSOFO CHE FREQUENTAVA ISCHIA BENEDETTO CROCE

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al Castello alla Torre di Michelangelo dove Costanza d’Avalos spesso andava a far visita a sua cognata Laura Sanseverino e ai suoi due nipotini la piccola Costanza e Alfonso figli di suo fratello Innico D’Avalos. Un percorso che giunge fino alla Cina per “divagare” sulla vera identità della Gioconda leonardiana. Quindi, stando all’ulyima, la Gioconda sarebbe cinese, e sarebbe anche la madre di Leonardo da Vinci. La notizia ha raggiunto in Cina in soli due giorni, quasi 5 milioni di visite sul web, mandando in delirio i cinesi, entusiasti di questa discendenza. A proporla, però, è l’ italiano Angelo Paratico, ricercatore storico, residente a Hong Kong. Secondo Paratico, l’enigmatico volto della Monna Lisa, dipinto tra il 1503 e il 1506, appartiene alla madre di Leonardo, Caterina, una schiava cinese, al servizio di un amico di Ser Piero, padre del pittore. La buffa ipotesi che lancia Paratico - supportata, dice , da due anni di ricerche e studi - si basa sull’analisi di alcuni dettagli del famoso dipinto. Monna Lisa - o sarebbe in questo caso meglio dire, “Monna Caterina” - è cinese “perché dietro la figura si vede un paesaggio della Cina e il suo volto assomiglia a quello di una cinese”, dichiara Angelo Paratico al South China Morning Post, precisando, però, di essere convinto “sino ad un certo punto” della veridicità della sua ipotesi. Tra gli altri indizi sulla presunta origine asiatica della Gioconda, fino ad ora più spesso identificata con una contadina toscana di nome Lisa Gherardini, ed anche con Costanza d’Avalos governatrice sul castello d’Ischia. Paratico inserisce il fatto che Leonardo fosse mancino e che non mangiasse carne, come la maggior parte dei cinesi. “Ecco spiegato il mistero di quel sorriso impenetrabile”, ironizzano sul web. Ma diversi studiosi ritengono che la donna sorridente sia monna Lisa Gherardini, fiorentina, nata nel 1479 e andata in sposa appena 16enne a Francesco Giocondo, da cui sarebbe venuto l’epiteto di “Gioconda”. Quando Leonardo l’ha ritratta avrebbe dovuto avere circa 25 anni. «Altri storici dell’arte invece», spiega lo storico D’Adamo, «sono convinti che la donna sia Costanza D’Avalos, nata nel 1460 e morta nel 1541. All’epoca del dipinto aveva 40 anni circa, e indossava il costume vedovile perché da poco era morto il marito, Federico Del Balzo. Sarebbe stata chiamata Gioconda solo per il suo sorriso enigmatico». Gli studiosi descrivono Costanza come una donna di cultura. Rifiutandosi di consegnare Ischia ai francesi, ne ottenne nel 1504 il governatorato e il possesso. Il Castello d’Ischia ove viverva è stato frequentato da alcuni dei più grandi ingegni del tempo. «Ha educato i nipoti, tra i quali Alfonso, marchese di Vasto, ed ha ospitato Vittoria Colonna, diventata moglie di Ferrante D’Avalos».


16 31 ottobre 2015

territorio

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Corbezzolo Di Francesco Mattera

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i avviciniamo a passi rapidi al mese di novembre. Tempo della maturità delle cose, delle intime riflessioni che si affacciano nell’animo umano, delle ricorrenze importanti come quella dei defunti e dei santi del Paradiso. Tempo, per alcuni, di tristezza che sembra essere mutuata dal clima, dalle giornate corte, dalla prevalenza quindi del buio sulla luce. Eppure questa stagione regala all’umanità spazi e sprazzi di allegria. Di giornate che seppure brevi sono folgorate da una luce speciale, proprio perché non attesa, di un sole più pieno, più vivificante nel suo tepore che smorza le avanguardie dei primi freddi, dell’umidità crescente che acuisce i dolori fisici e rende spiacevoli i postumi di piccoli e grandi infortuni. Novembre ci regala quasi ogni anno la piccola estate di S. Martino, e speriamo lo faccia anche quest’anno. Ci regala i sentori forti dei vini nuovi, in giro per le nostre campagne disseminate ancora di piccole e grandi cantine. Il colore dei crisantemi sbocciati d’incanto nei giardini ove non vengono coltivati solo per far spazio alla devozione per i defunti, ma anche per ravvivare di colori la nostra terra che reclama per se stessa e per noi uomini che l’abitiamo, un calore vivo e grato che solo i fiori sanno regalare. Novembre è anche il mese degli odori forti, non sgradevoli, che catturano l’attenzione di chi li percepisce. Come quella delle terre zappate di fresco, ove il pettirosso cerca la fortuna di un verme, di una larva e saltella vicinissimo all’uomo, di cui non sembra avere alcun timore. Come la fragranza dolce ed intensa del Cestro (Cestrum nocturnum L.) i cui fiori si aprono sul far della sera e diffondono un effluvio intensissimo fino all’alba. Paragonabile in una misura più modesta è quello dei cespugli di edera selvatica (Hedera helix L.) che proprio in questo periodo esplodono i fiori dei loro corimbi attirando migliaia di api, vespe, bombi, mosche d altri insetti a caccia di nettari, di pollini, di sostanze utili alla loro vita, alla perfezione del CREATO..! Ma ora è tempo, care amiche ed amici miei, di questo Kaire che benevolmente ospita le mie riflessioni, di parlarvi ancora dei frutti portentosi di Autunno, questa stagione che oggi ci è dato di vivere e di godere. E vi

Autunno Stagione di frutti portentosi

terza parte

Un’immersione nelle meraviglie di madre terra sulla nostra isola parlerò dei frutti del bosco e del giardino, ovviamente a modo mio, come piace a voi. IL MIRTO (Myrtus communis L. – fam Mirtacee) La mortella degli ischitani, come pensano alcuni giovani privi di esperienza, non è la villa di sir Wil-

liam Walton, a Forio. O almeno non è solo quella, o meglio ancora, quella villa reca il nome dell’arbusto più nobile, bello e venerato della macchia mediterranea: il mirto. I frutti non so come si denominano. Sicuramente sono delle bacche. E non possono essere confuse con i

mirtilli. Quelli hanno mutuato nel nome specifico dal mirto, infatti la specie si chiama Vaccinium Myrtillum, ovvero un frutto simile al mirto. Infatti il famoso e delizioso frutto di bosco assomiglia in tutto e per tutto alle bacche di mirto: entrambi sono neri, entrambi sono bacche, solo che il mirtillo si può mangiare tal quale perché dolce, mentre il frutto della mortella ‘nzuareia (penso che ormai avete preso confidenza con questo termine dialettale, ed è cosa buona e giusta. Allenatevi ad usarlo quanto serve, così ne perpetueremo suono e significato!) Dicevo che il frutto della mortella è fortemente astringente ed allappante, specialmente se ancora immaturo. Se passeggiamo nella nostra macchia, tra frassini, eriche, lucinie, querciole, sicuramente ci imbatteremo negli arbusti o negli alberetti di mortella. Di questi tempi sono carichi dei loro frutticini neri e lucidi, addensati sulle cime dei rami e dei getti terminali, tanto da farli piegare. Oggi le bacche si raccolgono anche da noi per preparare il liquore di mirto, alla maniera sarda. Ottimo infuso, per chi lo sa preparare in maniera corretta. Ma non è patrimonio della nostra tradizione. Quella semmai ci riconduce ad usi tipicamente legati al nostro universo contadino. Le scopelle di mortella, ottenute raccogliendo in piena estate i getti lunghi e flessibili di mortella, poi fatte essiccare al sole e riunite in fascetti legati con fil di ferro, erano uno strumento indispensabile in cantina per lava-


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Mirto

31 ottobre 2015

territorio Fiore di Feijoa

Bacche di Mirto

Giuggiolo

re le grandi botti di legno (Vettune) all’interno, come pure i palmenti, i tini, e tutto quanto aveva a che fare con il vino. Perché mai il mirto e non un’altra pianta? Semplice, perché la mortella è una pianta dall’aroma benigno, gradevole, giammai tossico o velenifero, e fa bene anche al vino se il suo aroma persiste nei recipienti e negli attrezzi. Ma poi vediamo altri usi: il pirolo è uno stecco di legno foggiato in punta alla maniera di una matita. Nella cantina serve al contadino per otturare i pierci (buchi) ricavati sui tompagni delle botti con la vriala (piccolo trapano a mano) all’atto di spillare il vino. E con quale legno pensate siano ricavati? Con quello di mortella naturalmente! In primo luogo perché di legno buono per aroma, in secondo luogo perché ricavati al momento proprio dai manici della scopa di mortella sempre presente in cantina, in terzo luogo perché tra gli steli della pianta ce n’è sempre qualcuno che per diametro si avvicina a quello dei fori fatti con la vriala. Ok, tutto compreso? Bene! E finisce qui la storia della mortella? Niente affatto: le nostre nonne lo mettevano nella mistura di cenere e acqua bollente che serviva per il bucato tradizionale della biancheria di casa - a culat(a) - ovvero la colata. Ad accompagnarla, manco a dirlo, i rametti di arancio amaro e le cime di lavanda. Stessa mistura in cantina per abbonire botti perse di acido o di muffa, con le famose cuffiate di acqua bollente, italianizzate con il termine meno musicale di insufflata! E Poi i fiori di mortella, che meraviglia! Bianchi e gentili, piccoli, profumati di purezza! In primavera presto, poi una replica minore sul finire di settembre per ricordarci che in fondo l’estate è portata per mano da due giovani fanciulle: Primavera e l’esordio settembrino dell’autunno, la primavera minore. Il CORBEZZOLO (Arbutus unedo L. , fam.)

Un’altra villa ischitana famosa, questa volta a Lacco Ameno ci riporta al nome di una delle piante più rappresentative della nostra macchia mediterranea: Villa Arbusto! Infatti il corbezzolo è anche l’Arbusto per antonomasia, in quanto la sua denominazione latina è proprio Arbutus, ovvero Arbusto! Ma noi del popolo non conosciamo questa pianta con siffato nome, bensì con quello meno poetico, ma più immediato in una similitudine per lo meno azzardata con altra pianta, il sorbo di cui già vi ho parlato, come Sor(e)va pilos(a)! Ovvero sorba pelosa. L’azzardo di tale nome è tanto più evidente se si accostano appunto una sorba con una bacca di corbezzolo: non hanno proprio niente in comune! Aggiungerei un bello ed indignato

“Accidenti”! Le sorbe sono per lo più gialle, mentre le corbezzole (!?) sono di un bel rosso vivo. Quelle sono a forma per lo più oblunga, mentre le seconde sono quasi perfettamente sferiche. Le corbezzole non hanno affatto peli, ma delle escrescenze nella buccia, quindi da dove esce quel termine pelose, non si sa bene! Ma le vie del linguaggio del volgo sono imperscrutabili: immaginiamo il giorno in cui quel nome fu pronunciato per la prima volta. Qualcuno si sarà chiesto: ma come si chiamano questi frutti? E non sapendo dare una risposta, non conoscendo nemmeno il nome della pianta, vedendo nelle vicinanze nello stesso periodo un sorbo con i suoi frutti, avrà pronunciato una frase del genere: “A me parene soreve, ma so soreve

pelose!” Eccovi servita una possibile spiegazione, ma chissà…! Ma che ne facciamo di queste sorbe pelose? Cerchiamole innanzitutto nei nostri boschi: a Trippodi, sul Vezzi, al Marecoco, a S. Montano, a Zaro, ai Frassitelli, nelle pinete di Ischia. Raccogliamo le bacche più mature e mangiamole senza timore, ma senza esagerare, per evitare turbinii viscerali. Ammiriamo l’eleganza del fogliame, la contemporaneità in questa stagione di frutti maturi, frutti acerbi e fiori aperti sulla stessa pianta. Lasciamo che sia visitata dalle api, ma anche dai tordi, merli, storni e altri uccelli voraci mangiatori di frutti. Per loro forse più che per noi il Creatore ha pensato a queste piante. I FRUTTI DEL GIARDINO Ve le elenco soltanto perché ho esaurito abbondantemente il mio spazio settimanale: La Fejoa sellowiana, bell’arbusto di cui si mangiano i frutti verdi ricchi di iodio e quindi benefici per la prevenzione delle affezioni alla tiroide. In primavera si possono mangiare anche i petali dolci, carnosi e profumati. Il Giuggiolo (Ziziyhus sativa, fam. Rhamnacee): bel frutto di colore marrone, e forma simile ad un’oliva o meglio ad un dattero. Di sapore particolare, ma senz’altro gradevole. Ad Ischia non è molto diffuso, invece nella vicina Procida è coltivato un poco dappertutto. Una curiosità: nell’isola di Graziella la chiamano impropriamente come la pianta delle olme, o re l’olm. Non sappiamo se ciò significa dell’olmo, ma se così fosse sarebbe un errore clamoroso. Ma come si sa, al popolo non dire come deve parlare o come deve chiamare le cose. La consuetudine e l’uso prolungato nel tempo, consolidano modi di fare, di parlare e di scrivere. E lì la vera sovranità popolare. Francesco Mattera Indirizzate un vostro commento a matterafr.agrischia@libero.it


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Ricorrenze 31 ottobre 2015

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il senso del 2 novembre

Tutti i nostri morti sono viventi in Dio Lo sono perché dimorano nel Dio Vivente. Sono partecipi della sua vita, di quel mistero trinitario che sfugge alla nostra razionalità ma ci è rivelato in dono gratuito di fede. Quella corrente d’amore fra Padre, Figlio e Spirito Santo che fluisce fuori dal tempo e dalla storia e che ci sarà svelata quando anche noi trapasseremo da vivi a viventi

Di Cristiana Dobner

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caramanzia o rimozione di timori dichiarati o inconsci e, per ciò stesso, ingovernabili? Perché il 2 novembre i cimiteri si affollano? Il culto e il rispetto per i morti è insito in ogni civiltà che tale voglia dirsi e non sia soltanto un branco o un’accozzaglia di individui bruti. Le modalità del ricordo o della memoria sono ben diverse e caratterizzano i diversi nuclei sociali richiedendo una prassi che, spesso, deve essere rispettata a puntino. Il culto degli antenati ci parla della nostra genesi storica, del divenire della nostra famiglia, in fin dei conti di noi stessi con tutto il cumulo di dna che ci ritroviamo alla nascita e che apprendiamo a gestire nell’esistenza. Il ricordo ritmato da gesti apotropaici, dall’offerta di cibo sul

luogo della sepoltura, dal bruciare incenso o dall’offrire fiori, è sempre stato considerato un gesto pio, degno di persone che tali desiderino essere considerate. I mausolei ci parlano di personaggi che nella storia hanno lasciato una traccia, forse anche positiva, mentre i cimiteri celebri sono luoghi visitatissimi per portarsi sulla tomba di quell’illustre che, nella nostra vita e nella nostra cultura, ha lasciato un segno. Il passaggio però da ricordo, per quanto vivo, a memoria dovrebbe investire il nostro animo e dargli un’altra spinta, aprirlo ad uno sguardo diverso. Portiamoci alla tomba di chi ci ha lasciato, orniamola di fiori oppure, come usano gli ebrei, lasciamoci sopra un sasso. Sostiamo dialogando con il o la defunta ma tutto si riduce a un monologo o a un rimpianto nostalgico.

Il passo da muovere è altro: indubbiamente ci troviamo dinanzi a delle spoglie ma lo sguardo del credente può forare l’impressione reale e giungere fino a chiedersi: dove si trova chi mi ha lasciato, come vive la dimensione che io non conosco ancora ma che, prima o poi, certamente mi attende? Se la nostra esperienza di Dio è autentica, allora chi ci ha lasciato è vivente. Certamente non vivo nel senso che si possa toccare, vedere, respirare proprio come me, ma vivente nel senso che la sua dimensione è quella eterna che non muta. Non il sonno eterno - tutto sommato molto inconcludente e noioso - ma partecipe di quella peculiarità del sonno che ci parla di pace ottenuta, di riposo privo di affanni. Non muta perché non si può tornare indietro, non si possono riprendere i parametri noti fin dall’infanzia che costituiscono la dinamica personale e sociale. Il non mutare potrebbe essere apparentato ad una stasi? Ad un livello raggiunto e quindi immobile, circoscritto, finito? Sarebbe davvero angoscioso pensarci così! Finiti a tal punto che ormai tutto è irrimediabile e il nostro eros, la nostra capacità di energia che ci anima, ormai ridotta a zero. Se, tutti quelli che ci hanno preceduto sono viventi, lo sono perché dimorano nel Dio Vivente. Sono partecipi della sua vita, di quel mistero trinitario che sfugge alla nostra razionalità ma ci è rivelato in dono gratuito di fede. Quella corrente d’amore fra Padre, Figlio e Spirito Santo che

fluisce fuori dal tempo e dalla storia e che ci sarà svelata quando anche noi trapasseremo da vivi a viventi. Per fede sappiamo che siamo stati creati e che la Trinità dimora in noi e non saremo consegnati al nulla, anche se ritorneremo a quella terra da cui siamo stati tratti. Il soffio però che in quel giorno creatore ci è stato donato, entrerà in quel mistero trinitario per dimorarvi. Non è una costruzione arzigogolata, pensata ad arte per eliminare il timore della fine e neppure un succedaneo alla nostra esperienza vitale. È una partecipazione nuova, inedita, ad un Amore più grande, Infinito, che però si china su tutte le persone vive e le segue con sguardo di Padre. Chi è in Lui, insieme con il Figlio e lo Spirito, ormai condivide il soffio, è vivente e poggia il suo sguardo su tutti quelli che gli sono stati vicini e ha amato, prediletto. È pronto ad entrare nel loro ciclo vitale affiancandosi al loro passo, a rendersi partecipe di ogni gioia e di ogni sofferenza, indirizzando tutto verso quel traguardo in cui la vita troverà la completezza ed entrerà nel talamo di quell’Amore che mai si esaurirà. Allora non guardiamo ai cadaveri, non guardiamo alle tombe, guardiamo piuttosto ai nostri viventi che ci stanno sempre accanto e ci aiutano a rendere trasparente il nostro sguardo. Non accontentiamoci di gesti usuali ma carichiamoli di un altro significato: andiamo ai nostri viventi e lasciamoci trasportare più in là della lastra tombale, più in là dell’apparenza. Nel Soffio.


Parrocchie

19 31 ottobre 2015

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San Leonardo Abate!

Di don Vincenzo Avallone

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ari amici di Panza, avvicinandosi la festa di San Leonardo, nostro amato Patrono, permettete che vi rivolga una mia riflessione. Pensando a San Leonardo, se c’è una parola che storicamente meglio lo definisce è il suo essere stato ABATE, cioè capo di un monastero. Che egli sia stato tanto stimato dal re Clodoveo, che la regina Clotilde in un parto difficile sia stata aiutata dalle sue preghiere, che abbia avuto la facoltà di far cadere le catene dalle mani e dai piedi degli

schiavi, che abbia potuto costruire una grande abbazia nel cuore della Francia, tutto questo avvenne perché lui era un abate, un Santo abate, il capo di un monastero, il Padre di una comunità di monaci. Ma cos’è stato e cos’è il monachesimo nella Chiesa? Comincerei col rispondere che nel DNA del Cristianesimo c’è stata la parola “insieme”, la parola “Comunità”, così come risulta dagli Atti degli Apostoli, la prima storia della Chiesa. Dunque i primi cristiani vivevano insieme. Ed è così che già dai primi secoli nascono i monasteri. I cristiani

Parrocchia S. Leonardo Abate

Festeggiamenti in onore di S. Leonardo Abate Panza, 31 Ottobre – 8 Novembre 2015 Programma Sabato 31 Ottobre Ore 15,30 Holyween (Vigilia dei Santi). Festa per riscoprire la santità (in Piazza San Leonardo). Ore 18,30 S. Messa. Segue Adorazione Eucaristica in preparazione alla Solennità di tutti i Santi Ore 22,30 Benedizione Eucaristica Domenica 1 Novembre Solennità di Tutti i Santi Ore 8,00 - 9,30 (in Congrega) - 11,00 Ss. Messe Ore 15,30 Celebrazione dell’Ufficio dei defunti al cimitero Ore 18,00 Benedizione dei nuovi ceppi argentei, esposizione della statua di S. Leonardo e S. Messa Solenne Lunedì 2 Novembre Commemorazione di tutti i defunti (Le SS. Messe saranno celebrate nel cimitero. In caso di maltempo, nella chiesa di San Gennaro) Ore 8,30 S. Messa Ore 9,30 S. Messa in suffragio dei defunti della Confraternita Ore 11,00 S. Messa Ore 15,30 S. Messa in suffragio dei defunti della Parrocchia e benedizione delle tombe. Ore 18,30 S. Messa nella Chiesa di S. Gennaro Martedì 3 Novembre Ore 9,00 S. Messa Ore 15,30 Giochi per bambini in Piazza S. Leonardo Ore 17,00 Incontro di preghiera e benedizione dei bambini e delle mamme in attesa. Ore 17,45 S. Rosario e Coroncina al Santo Ore 18,30 S. Messa e Benedizione Eucaristica Mercoledì 4 Novembre Ore 9,00 S. Messa In mattinata visita agli ammalati Ore 15,30 Coroncina al Santo e Benedizione degli animali della casa in Piazza S. Leonardo. Ore 17,45 S. Rosario e Coroncina al Santo Ore 18,30 S. Messa e Adorazione Eucaristica

durante la quale sarà possibile accostarsi al Sacramento della Riconciliazione Ore 22,30 Benedizione Eucaristica Giovedì 5 Novembre Ore 9,00 S. Messa In mattinata visita agli ammalati Ore 17,45 S. Rosario e Coroncina al Santo Ore 18,30 S. Messa e Benedizione Eucaristica Venerdì 6 Novembre Solennità di S. Leonardo Abate Ore 7,30 S. Messa Ore 8,30 S. Messa Ore 9,30 S. Messa Ore 11,00 S. Messa Solenne presieduta da Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Pietro Lagnese Vescovo di Ischia. Ore 16,30 S. Messa. Segue Processione per Piazza S. Leonardo, Via Pozzi, Via Marisdeo, Via Provinciale Panza-Succhivo, Via Fumerie, Via Casa Polito, Via Madonna delle Grazie, Piazza S. Leonardo. In Piazza canto dell’inno al Santo. Al rientro in Chiesa, S. Messa Solenne animata dalla corale parrocchiale con la partecipazione del gruppo strumentale “Pithecusa Brass”. Segue un momento di agape fraterna sul sagrato della Chiesa. Domenica 8 Novembre Ore 8,00 - 9,30 (in Congrega) - 11,00 Ss. Messe Ore 18,30 S. Messa, canto del Te Deum e reposizione della statua di S. Leonardo Sarà con noi per spezzare la Parola di Dio P. Enzo Severo, OMI. Da martedì 3 novembre, dalle ore 9,30 alle ore 10,30 e dalle ore 17,30 alle ore 18,30, il padre predicatore sarà disponibile per le confessioni. Le celebrazioni liturgiche saranno curate dalle corali parrocchiali; gli addobbi in chiesa saranno curati dalla ditta “D’Errico” di Grumo Nevano e “I Fiori di Nicola”; gli spari pirotecnici saranno curati dalla Ditta “Pirotecnica Baranese”di Raffaele Vuoso. Si ringrazia per la concreta collaborazione il Sindaco con l’amministrazione e i fedeli della nostra comunità parrocchiale. Il Comitato e Il Parroco

sin da subito si mettevano insieme per studiare la Bibbia e per pregare. Tutto comincia in Oriente, con i grandi Santi orientali. Basti nominare San Giovanni Crisostomo (347 -407) e San Basilio (330 -379) che provenivano dai monasteri. E quando il Cristianesimo arrivò nel nord – Africa, i protagonisti S.Antonio abate (251–356) e S. Atanasio (296–373) provenivano dalle comunità monastiche dell’alto Egitto, dalla cosiddetta Tebaide. E se poi il Cristianesimo si incarnò in Italia, il merito fu del grande abate San Benedetto (480 – 547). In Francia, la patria di San Leonardo, famosa è l’Isola di Lerino, a pochi km da Cannes, dove ebbe lunga e fervente vita una comunità monastica a cui attinsero grandi Santi come Martino di Tours (316 – 397), Remigio (437 – 533)

e il nostro Leonardo (496 circa – 559). Tra parentesi permettetemi di aggiungere che ancora oggi il monachesimo della Chiesa Orientale è in gran rilievo. Il monte sacro “Athos” è considerato il centro del monachesimo ortodosso. Da notare che nell’ortodossia i Vescovi vengono scelti sempre dai monaci. Concludendo: qual è il messaggio che l’abate San Leonardo consegna a noi di Panza? Mi viene in mente chissà perché il detto antico: “casa mia, casa mia, per piccina che tu sia, sembri quasi una badìa”. E Papa Francesco preciserebbe: “Santa Famiglia di Nazareth, fa che le nostre famiglie siano luoghi di comunione, cenacoli di preghiera, scuole del Vangelo e piccole chiese domestiche. Amen”. Cari fratelli e sorelle di Panza, buona festa di San Leonardo abate!


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Liturgia 31 ottobre 2015

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Commento al Vangelo

Domenica 1 Novembre 2015

Come ti doni? Di Don Cristian Solmonese

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ari amici, ancora oggi ascoltiamo nel Vangelo alcuni insegnamenti di Gesù che ci mettono in guardia dal fare della religione, del posto, del ruolo, un luogo di potere. L’Evangelista Marco contrappone l’atteggiamento degli scribi e i farisei con quello di una vedova, una persona sola. Gesù, durante tutta la sua predicazione, ha sempre mostrato una predilezione particolare per le donne sole. Ora affida al gesto nascosto di una donna, che vorrebbe solo scomparire dietro una delle colonne del tempio, il compito di trasmettere il suo messaggio. Il testo è diviso in due scene. La prima scena è affollata di personaggi che sono abituati a dare spettacolo di sé, amano mostrarsi in pubblico: passeggiano in lunghe vesti, amano i primi posti, essere riveriti per strada... Questa riduzione della vita a spettacolo la conosciamo anche noi, è una realtà patita da tanti con disagio, da molti inseguita con accanimento. Si è quella tentazione di fare del proprio posto, un privilegio, un ruolo spesso vediamo soprattutto da chi vive la chiesa dall’interno, la tentazione dell’applauso e della gloria, del riconoscimento sociale del proprio sforzo, del risultato che, in qualche modo, deve essere visibile e quantificabile. Vogliamo sentirci dire di essere bravo, bello e buono, vogliamo sentirci dire come siamo indispensabile. Spesso si vedono vescovi, sacerdoti, catechisti, lettori, educatori, operatori pastorali, collaboratori parrocchiali e diocesani cercare un posto, realizzarsi occupando un ruolo perché si sentono infelici, vivere tutto non come servizio ma come autoaffermazione di se stessi.

E penso che dobbiamo ancora fare tanta strada, stare attenti a non cadere nell’inganno della mondanità, guardare sempre e solo al Maestro che ha amato, senza attendersi dei risultati e che li ha ottenuti proprio dando il meglio di sé, in assoluta umiltà e mitezza. Il Vangelo a questa scena vi contrappone la seconda. Seduto davanti al tesoro del tempio, Gesù osservava come la folla vi gettava monete. Notiamo il particolare: osservava «come», non «quanto» la gente offriva. I ricchi gettavano molte monete, ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine. Gesù se n’è accorto, unico; chiama a sé i discepoli e offre la sua lettura spiazzante e liberante: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri! Gesù non bada alla quantità di denaro. Conta quanta vita, quanto cuore, quante lacrime e di speranze ci sono dentro quei due spiccioli. Due spiccioli, un niente, ma pieno di amore. Egli non guarda a quanto servizio possiamo offrire ma alla qualità del servizio perché quel servizio può essere poco o molto, ma dipende come e perché lo facciamo. Il motivo vero e ultimo per cui Gesù esalta il gesto della donna è nelle parole «Tutti hanno gettato parte del superfluo, lei ha gettato tutto quello che aveva, tutto ciò che aveva per vivere»: la totalità del dono. Anche Lui darà tutto, tutta la sua vita. Come la vedova povera, quelli che sorreggono il mondo sono gli uomini e le donne di cui i giornali non si occuperanno mai, quelli dalla vita nascosta, fatta solo di fedeltà, di generosità, di onestà, di giornate a volte cariche di immensa fatica. Loro sono quelli che danno di più. I primi posti di Dio appartengono a quelli che, in ognuna delle nostre case, danno ciò che fa vivere, regalano vita quotidianamente, con mille gesti non visti da nessuno, gesti di cura, di accudimento, di attenzione, rivolti ai genitori o ai figli o a chi busserà domani. La santità: piccoli gesti pieni di cuore. Non è mai irrisorio, mai insignificante un gesto di bontà cavato fuori dalla nostra povertà. Questa capacità di dare, anche quando pensi di non possedere nulla, ha in sé qualcosa di divino. Tutto ciò che riusciamo a fare con tutto il cuore, ci avvicina all’assoluto di Dio. Quanto più Vangelo ci sarebbe se ogni discepolo, se l’intera Chiesa di Cristo si riconoscesse non da primi posti, prestigio e fama, ma dalla generosità senza misura e senza calcolo, dalla audacia nel dare. Allora, in questa felice follia, il Vangelo tornerebbe a trasmettere il suo senso di gioia, il suo respiro di liberazione. Buona Domenica!


Ecclesia

21 31 ottobre 2015

kaire@chiesaischia.it

Promessa di fedeltà

Corriamo, corriamo verso una vita senza fine Di Antonio Magaldi

M Dall' Ordine francescano secolare di Forio

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urante l’udienza generale di mercoledì 21 ottobre, Papa Francesco ci ha parlato della promessa di fedeltà tra i coniugi. La fedeltà è un valore alto della persona umana è la capacità di fare liberamente una scelta e di essere liberamente coerente e fedele ad essa; è una qualità della persona adulta e matura. E’ un pilastro della vita coniugale: i due sposi, mettendosi al dito l’anello nuziale, si dicono l’un l’altro: Ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà! Gli sposi cristiani sanno bene che per mantenersi in questa promessa hanno bisogno della grazia particolare del Sacramento del Matrimonio. I sociologi contraddistinguono la nostra società come una società instabile, caratterizzata da una certa “liquidità” nei legami umani. Essi attribuiscono ai mass-media una grande responsabilità nel togliere solidità ai rapporti umani e nel privilegiare al contrario la cultura dell’effimero. Offrono “visioni e proposte anche seducenti, ma che compromettono in diversa misura la verità e la dignità della persona umana”. Tale cultura promette felicità ed induce a continuare a cambiare, all’infinito se necessario, l’oggetto che deve darci felicità. Per San Francesco l’unico suo scopo è quello della fedeltà nel «seguire la dottrina e l’esempio del Signore nostro Gesù Cristo» (Rnb 2:2). Ancora di più, dopo che vide Cristo crocifisso nella chiesa di San Damiano, le verità del Vangelo, per il fatto che sono state annunciate dal suo Gesù, non sono fredde certezze dell’intelligenza, ma anche emozioni del cuore, tenere e vulnerabili, sulle quali si precipita protettrice tutta la sua sollecitudine. Cristo ci disse: “Le parole che vi ho detto sono spirito e vita”. Custodiamo dunque la parola, la vita e la dottrina e il santo Vange-

lo di Colui che si è degnato pregare per noi il Padre suo» (Rnb 41-43:61-62). Il Celano ci dice che San Francesco era molto occupato con Gesù. Gesù portava sempre nel cuore, Gesù volle sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani , Gesù in tutte le sue membra (1 Cel115:522). E ancora, riferendosi alla permanente presenza di Cristo nella mente del Santo: «Veramente Francesco portava sempre nel cuore quel mazzetto di mirra, sempre fissava il volto del suo Cristo, sempre rimaneva a contatto dell’uomo dei dolori, che conosce tutte le sofferenze» (2 Cel 85:677). E San Bonaventura diceva: «Quando, poi, San Francesco pronunciava o udiva il nome di Gesù, ricolmo di intimo giubilo, lo si vedeva trasformarsi anche esteriormente come se un sapor di miele avesse impressionato il suo gusto, o un suono armonioso il suo udito» (Leg M 10,6:1185). L’amore umano è la via privilegiata che Dio ha scelto per rivelare se stesso all’uomo. L’amore autentico si trasforma in una luce che guida tutta la vita verso la sua pienezza, capace di generare una società migliore. Soprattutto la roccia dell’amore totale e immutabile tra un uomo e una donna è capace di fondare la costruzione di una società che possa diventare una casa per tutti gli uomini. Esso è l’unica forza capace di condurre alla perfezione personale e sociale, l’unico dinamismo in grado di far avanzare la storia verso il bene. Nessun uomo, nessuna donna di buona volontà può sottrarsi all’impegno di lottare per vincere con il bene il male. E’ una lotta che si combatte validamente soltanto con le armi dell’Amore. Quando il bene vince il male regna l’Amore e dove regna l’Amore regna la pace.

i domando! Che cosa fare perché la nostra dipartita diventi il giorno della nostra nascita alla vita definitiva in Dio? Sono sicuro che nel tempo presente facciamo crescere la nostra vita, attuando il progetto che Dio ha su di noi: «In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte» (Gv 8,51). «In verità, in verità vi dico: chi crede nel Figlio di Dio, ha la vita eterna» (Gv 6,40-47). Il cristiano è già partecipe della vita del Signore Risorto, grazie al Battesimo e all’Eucaristia, fin da questa vita. Noi cominciamo a risuscitare già da ora, quando conduciamo un’esistenza di fede e di carità: “Estendi il tuo amore a tutta la terra se desideri amare Cristo, poiché le membra di Cristo sono su tutta la terra. Se ne ami solo una parte, sei diviso. Se sei diviso non sei nel corpo, non sei sotto il Capo” (Agostino, in 1 Giovanni 10,7 – Ama tutta la terra). Nuovamente mi domando: in che cosa consiste questa “Vita senza fine”, che Gesù annuncia a quelli che credono in Lui? È la comunione piena con Dio, come ci insegna Sant’Agostino: “Tu ci hai fatti per Te Signore e, il nostro cuore è inquieto, finché in Te non riposa”. Già in questa vita noi siamo abitati dalla presenza di Dio. Grazie al Battesimo, siamo inseriti in Cristo e siamo resi partecipi della vita Divina: “Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi?” (1 Cor 6,19). Questa vita divina, che possediamo come germe, come principio di trasformazione di tutta l’esistenza, sarà realizzata a completarsi nella “Risurrezione della carne”, quando esploderanno in pienezza tutte le potenzialità che Dio ha infuso nella nostra vita. Per noi cristiani, la “Risurrezione della carne” non è un’idea astratta, ma una realtà che si personalizza e si rafforza in quell’incontro finale e definitivo con Dio, per il quale siamo stati creati. La comunione definitiva con Dio, però, non si realizza automaticamente: essa è dono di Dio consegnato alla nostra responsabilità, la sua realizzazione dipende da noi. Dio ci ha chiamati ad essere artefici del nostro futuro; per la beatitudine eterna, ognuno di noi prepara la pace vera e totale, già ora, giorno dopo giorno con la propria volontà. La partecipazione alla vita di Dio, è aperta a quanti hanno saputo riconoscere Cristo Gesù, vivendo secondo la logica dell’Amore. Solo lo Spirito Santo nella sua Potenza, può già ora trasformare la storia di ogni uomo. Guardare alla “Città futura dove non ci sarà più morte ne lutto, ne affanno”, non significa sfuggire alla realtà della vita di ogni giorno, ma significa accogliere i gemiti del mondo che attende la liberazione del Figlio di Dio e, promuovere il bene, la giustizia, l’amore fraterno e la pace. Dalla certezza di questa meta, il cristiano attinge la forza per superare le difficoltà e le sofferenze del tempo presente: “Bramo essere sciolto (dalla vita terrena) per essere con Cristo” (Fil 1,23). Anche Gesù nel Getsemani dice: “Si allontani da me questo calice”, ma ai suoi dice anche che vuole berlo, quel “Calice”, ed è in pena finché non lo farà… Il momento finale dell’esistenza umana, è la nostra totale immersione in Dio Trinità che si dona a noi per sempre, e l’applauso di Maria e di tutte le anime Sante, è un cantico amoroso alla Misericordia di Dio, ove la gioia è piena, la gloria è immortale, la felicità è eterna. Lodiamo il Signore, perché è buono, eterna è la sua Misericordia! Alleluia!



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Teatro

31 ottobre 2015

kaire@chiesaischia.it

La gamba di Sarah Bernhardt Quinto appuntamento a teatro, sabato 24 ottobre, per la terza opera in concorso al Premio Aenaria

Di Gina Menegazzi

L

a compagnia Imprevisti e Probabilità di Formia (LT), che già era stata presente l’anno scorso con “Neapopoli”, ha presentato La gamba di Sarah Bernhardt di Soledad Agresti, per la regia di Raffaele Furno, entrambi in scena con altri cinque bravissimi attori: Janos Agresti, Isabella Sandrini, Annamaria Aceto, Va-

lentina Fantasia Di Marzo e Barbara Russo. La storia è molto semplice, e ruota intorno ad una coppia che non sa come sbarcare il lunario e alla gamba della grande attrice (a cui veramente fu amputato un arto), da trasportare in un museo, lavoro che potrebbe precludere ad un altro più stabile. La gamba viene rubata, ma prontamente sostituita con quella del padre del marito, appena deceduto. A Sarah Bernhardt, però, la cosa non sta bene e il suo fantasma si presenta in casa, dando origine a equivoci e fraintendimenti comico-grotteschi. Il testo, poco più di una farsa, viene però giocato con grande maestria dal regista e dagli ottimi attori, che sono riusciti a trasformarlo in uno spettacolo gradevole e gustoso. Brave le due “chiagnitrici” a pagamento, perfetta Sarah Bernhardt, vivace e frizzante Soledad Agresti, la moglie; insomma, una serata di risate in cui si è potuta apprezzare un’ottima compagnia.

L’unico neo…la scarsità di pubblico. Non è possibile che, in un sabato sera senza partite, senza pioggia, senza particolari altri avvenimenti, ci fosse in sala un numero così ridotto di persone! Penso soprattutto ai membri delle varie compagnie teatrali dell’isola, quasi completamente assenti tra il pubblico in queste prime cinque serate del premio Aenaria: per il fatto stesso di fare teatro dovrebbero amarlo, essere curiosi e desiderosi di vedere cosa altri propongono, come altri si muovono sulla scena, magari anche aver voglia di scambiare opinioni e pareri con chi viene da fuori. Penso ai ragazzi dei licei, che dovrebbero essere invogliati dai loro stessi insegnanti a venire in contatto con l’affascinante mondo del teatro, a parlarne, a discuterne… Ci sono ancora cinque serate del Premio Aenaria, ogni sabato. Speriamo di vedere più poltrone occupate! Valentina Lucilla Di Genio

I PROSSIMI SPETTACOLI AL TEATRO POLIFUNZIONALE

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EDICOLE DOVE POTER ACQUISTARE

31 ottobre: Ass. Culturale Arte Povera (Mogliano Veneto TV) in Le Troiane di Euripide 7 novembre: TeatRing (Milano) in Tu, mio di Erri De Luca 14 novembre: Compagnia di Teatro del Bianconiglio (Eboli SA) in Settaneme di Bruno di Donato 21 novembre: Compagnia degli Evasi (Castelnuovo Magra SP) in Mandragola di Niccolò Machiavelli

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