Kaire 40 Anno II

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Il settimanale di informazione della Chiesa di Ischia ANNO 2 | numero 40 | 3 ottobre 2015| E 1,00

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SCUOLA: ORA DI RELIGIONE Gli insegnanti di religione incontrano il Vescovo Lagnese per tracciare insieme le linee guida del nuovo anno scolastico.

EDITORIALE DEL DIRETTORE

Famiglia: la speranza nel Sinodo

Ad un anno dalla prima fase, riparte il Sinodo sulla famiglia. Gli occhi del Una piscina comunale a Forio mondo puntati a Roma per questo evento storico, a cinquant’anni dalla Di Lorenzo Russo

fondazione dell’istituzione del Sinodo dei vescovi da parte di Paolo VI.

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ealizzare una piscina comunale a Forio si può e si deve!!! Ed i tempi possono essere brevissimi. E poi per la gestione i costi sarebbero bassissimi anche grazie alla presenza delle acque calde. Io proponevo fuori al palazzetto spalti e spogliatoi già fatti, poi magari si possono ampliare. Però anche altre ipotesi possono essere esaminate. Penso che una spinta forte dal basso possa dare un impulso importante all’Amministrazione almeno in questa direzione!!! Possiamo pensare ad una sottoscrizione, ma anche fb è un canale di persuasione!!!” Queste le parole scritte dal consigliere di opposizione di Forio Vito Iacono sul suo profilo facebook. Un’interessante proposta a cui il sindaco Del Deo non può sottovalutare. Sull’isola l’unica piscina comunale è quella di Ischia, che tra l’altro è ancora chiusa in attesa dell’avvio dei lavori di manutenzione. Lavori che sarebbero potuti partire già da maggio scorso, quando cioè è stata chiusa la struttura comunale. E infatti sembrava che l’avvio dei lavori fosse abbastanza prossimo, in modo tale da riaprire già dal 1° ottobre. E invece i cittadini di Ischia e dell’intera isola dovranno aspettare forse Natale se non addirittura il nuovo anno. Continua a pag. 8

CASO VOKSWAGEN Cosa fare se si possiede un auto VW? Quali precauzioni prendere?

SANITà Il Governatore De Luca ha promesso un’inchiesta sul caso Sir ad Ischia che intanto è stata smantellata.

CHIESA ITALIANA

CULTURA

Prolusione di Bagnasco: è arrivato il tempo della ricostruzione educativa, in attesa del convegno di Firenze.

Erri De Luca incanta tutti al Castello Aragonese per il Festival Internazionale di Filosofia.


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In Primo Piano 3 ottobre 2015

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DAL 4 AL 25 OTTOBRE Di M. Michela Nicolais

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utti i numeri del Sinodo ordinario sulla famiglia: 160 padri sinodali in rappresentanza dei cinque continenti - 44 dall’Africa, 46 dall’America, 25 dall’Asia e 45 dall’Europa - 22 provenienti dalle Chiese orientali, 10 eletti dall’Unione Superiori Generali, 25 capi dicastero, 51 uditori e uditrici (tra cui 17 coppie di sposi), 14 delegati fraterni, 45 membri di nomina pontificia. Papa Francesco ha completato, il 15 settembre, la composizione del Sinodo ordinario sulla famiglia, che si svolgerà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre, nominando personalmente 45 padri sinodali (erano stati 26 al Sinodo straordinario dell’anno scorso). Numerosi i cardinali e vescovi italiani, tra i quali sono presenti i nuovi porporati creati da Francesco (Bassetti, Montenegro e Menichelli, che era già presente allo scorso Sinodo) e - novità assoluta per un Sinodo - due parroci. Il Sinodo ordinario - seconda e ultima tappa del primo Sinodo di Papa Francesco che, per la prima volta, si è celebrato in due parti, a distanza di un anno, con un percorso che ha previsto la consultazione attiva degli episcopati attraverso il questionario che ha accompagnato la “Relatio Synodi”, sintesi della prima tappa dei lavori - si riunirà sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. La segreteria del Sinodo, guidata dal cardinale Lorenzo Baldisseri, e la struttura che guiderà i lavori di ottobre è la stessa dell’anno scorso: i presidenti delegati (il francese André Vingt-Trois, il filippino Luis Antonio Tagle, il brasiliano Raymundo Damasceno Assis, il sudafricano Wilfrid Fox Napier), il relatore generale (l’ungherese Peter Erdo), il segretario speciale (l’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte). Non è stata ancora decisa la commissione che redigerà il messaggio finale. La commissione per l’informazione, come l’anno scorso, è affidata al portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, e al presidente del Pontificio Consiglio per

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Sinodo sulla famiglia

Istruzioni per l’uso Tutti i numeri dell’appuntamento voluto da Papa Francesco per rispondere ai grandi interrogativi sul futuro della famiglia. Il tema che i padri sinodali dovranno approfondire: “la vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. Novità nella metodologia dei lavori. Commemorazione per i 50 anni dell’attività sinodale le comunicazioni, monsignor Claudio Maria Celli. Nuova metodologia. Novità per la “metodologia” della fase ordinaria del Sinodo sulla famiglia: ad annunciarla ai giornalisti, nella conferenza stampa di presentazione dell’“Instrumentum laboris”, è stato il 26 giugno il cardinale Baldisseri, che ha reso noto come “un punto fortemente richiesto dai padri sinodali è quello di evitare la lunga serie di interventi dei singoli membri come avveniva nei Sinodi precedenti, ossia di fare in modo che gli interventi dei Padri siano meglio distribuiti nel tempo e non tutti di seguito”. Inoltre, “è stato richiesto di valorizzare sempre di più i Circoli minori, distribuiti nel tempo e non tutti insieme, come pure quello di mantenere fermo il principio dell’ordine tematico”. Le tre settimane di durata del Sinodo

Via delle Terme 76/R - 80077 Ischia Codice fiscale e P.Iva: 04243591213 Rea CCIAA 680555 - Prefettura di Napoli nr.11219 del 05/03/2003 Albo Nazionale Società Cooperative Nr.A715936 del 24/03/05 Sezione Cooperative a Mutualità Prevalente Categoria Cooperative Sociali Tel. 0813334228 Fax 081981342 info@kairosonline.it pec: posta.kairos@pec.it Registrazione al Tribunale di Napoli con il n. 8 del 07/02/ 2014

saranno distribuite, quindi, secondo le tre parti dell’Instrumentum laboris: la prima settimana tratterà la prima parte del documento (“L’ascolto delle sfide sulla famiglia”), la seconda si occuperà della

seconda (“Il discernimento della vocazione familiare”) e la terza sarà dedicata all’ultima (“La missione della famiglia oggi”). Alla fine della terza settimana, si dedicherà il tempo necessario per elaborare il testo finale del documento, che sarà sottoposto all’Assemblea per

Direttore responsabile: Dott. Lorenzo Russo direttorekaire@chiesaischia.it @russolorenzo Direttore Ufficio Diocesano di Ischia per le Comunicazioni Sociali: Don Carlo Candido direttoreucs@chiesaischia.it Progettazione e impaginazione: Gaetano Patalano per Cooperativa Sociale Kairos Onlus

gli ultimi “modi” che saranno inseriti per l’approvazione finale. In questo modo, tutti gli aventi diritto potranno intervenire in aula durante le Congregazioni generali, inclusa l’ora di fine giornata, e ci sarà più tempo per i Circoli minori. I 50 anni di attività sinodale. Nel corso della prossima assemblea sinodale ordinaria è prevista anche una particolare commemorazione dei cinquant’anni dalla fondazione dell’istituzione del Sinodo dei vescovi da parte di Paolo VI: si svolgerà il 17 ottobre, proprio a metà del corso del Sinodo. Nell’aula Paolo VI sarà dedicata una intera mattinata alla commemorazione dell’evento e sarà aperta al pubblico. Il cardinale di Vienna, Christoph Schönborn, farà una relazione sui cinquant’anni dell’attività sinodale. Seguiranno cinque interventi dai diversi continenti.

Redazione: Via delle Terme 76/R - 80077 Ischia kaire@chiesaischia.it | @chiesaischia facebook.com/chiesaischia @lagnesepietro Tipografia: Centro Offset Meridionale srl Via Nuova Poggioreale nr.7 - 80100 Napoli (NA) Per inserzioni promozionali e contributi: Tel. 0813334228 Fax 081981342 oppure per e-mail: info@kairosonline.it

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La Voce di Pietro

3 ottobre 2015

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Mercoledì 23 settembre un capannello di persone si trattiene sull’ingresso dell’episcopio: sono i docenti di religione che si preparano al loro incontro con il vescovo Lagnese, il primo dopo l’apertura dell’anno scolastico ed anche il primo dopo l’apertura dell’anno pastorale del 21 settembre.

Di Angela Della Monica e Iacono Restituta

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er tanti insegnanti, che hanno ricevuto a fine agosto la nomina direttamente firmata proprio dal Vescovo, poter condividere un momento con lui, per conoscersi meglio e poter mettere a fuoco le difficoltà di chi è chiamato a districarsi fra le maglie della “buona scuola” per rendere la scuola oltre che buona bella, il momento era atteso. E si sentiva! Dopo la preghiera dei vespri in memoria di S. Pio da Pietrelcina, padre Pietro ha pregato in particolare per i bambini e per tutti gli studenti che Dio affida a ciascuno di loro, perché da sempre li ha conosciuti ed amati. Il Vescovo ha poi indicato la strada da percorrere: quella di “fare le cose insieme”. La pastorale della scuola non si occupa solo dell’insegnamento della religione cattolica, ma deve, in comunione con il cammino pastorale della Diocesi, portare avanti iniziative e progetti che facciano crescere sempre più la Chiesa di Ischia come un unico popolo. Questo il senso della presenza, fra l’altro, di don Pasquale Trani, delegato vescovile per la pastorale diocesana. Cardine della riflessione di entrambi è stato il soffermarsi sull’importanza del ruolo svolto dagli insegnanti di religione: essere testimoni credibili della parola di Gesù. Spesso per molti ragazzi essi sono l’unica fonte di ascolto della parola del Cristo Risorto, l’unico momento di

Gli insegnanti di religione incontrano Lagnese incontro con il Suo messaggio. “Non vivete questo servizio pensando solo all’ora in cui state in classe, ma svolgete questo servizio anche quando salutate il personale non docente, quando vi intrattenete a parlare con i genitori. C’è una missione ecclesiale che noi svolgiamo nelle scuole, anche solo per un’ora: è ciò che rappresentiamo quello che conta”, così il Vescovo, che ha ribadito con forza il valore che i docenti di religione hanno nel mondo in cui operano: rappresentare il vescovo e tutta la chiesa diocesana. Segno tangibile è stato, quest’anno, la sua firma in calce alle nomine degli IdR, che ha avuto per tutti il sapore di un vero e proprio mandato ecclesiale. Il Vescovo ha poi ricordato che l’ufficio di pastorale scolastica si occupa di tenere presente la cura della Chiesa di Ischia per ognuno dei soggetti della scuola. Infine li ha invitati a creare un clima di “alleanza educativa”, così come espresso durante l’incontro del 10 maggio 2014 con Papa Francesco, nei rapporti con tutti i colleghi ed i genitori, per essere sempre più costruttori di pace ed avere, come educatori, l’atteggiamento della formazione permanente, evitando espressioni di supponenza, di sentirsi già arrivati rispetto agli altri,

TV2000: A LEZIONE DI RELIGIONE Dal 12 ottobre un nuovo esperimento televisivo settimanale È l’unica lezione facoltativa, l’unica materia con un’ora a settimana, e nessuno degli alunni ha mai avuto paura del professore. Ma cosa accade, davvero, in un’ora di religione? Dal 12 ottobre andrà in onda su Tv2000, - ogni lunedì, alle ore 19.30,

fino a maggio - un nuovo esperimento televisivo dal titolo “Il prof di religione”. Il docu-reality segue le lezioni di Andrea Monda, insegnante di religione per scelta e convinzione, in una classe del liceo classico “Pilo Albertelli” di Roma. L’appun-

senza mai perdere di vista le motivazioni più profonde che li hanno spinti ad intraprendere questo cammino. All’intenso e sentito intervento del Vescovo hanno fatto eco le parole di d. Pasquale che, dopo aver illustrato le linee pastorali del nuovo anno, ha indicato come da una questione, quale quella dell’educazione gender, “esplosa” con virulenza durante l’estate, sia nato il progetto di un percorso di formazione sui temi dell’affettività e dell’educazione sessuale, ampio, condiviso man mano da più soggetti, che sta coinvolgendo diversi istituti scolastici, rivolto a genitori, educatori, catechisti, docenti, operatori pastorali e quanti abbiano in cuore temi delicati ed attualissimi. Percorso che inizierà giovedì 8 ottobre p.v., diretto dal dottor Domenico Bellantoni, psicoterapeuta e docente alla LUMSA, presso il salone del Centro polifunzionale, in partenariato con il Liceo dell’Isola d’Ischia. L’incontro è stato anche l’occasione per ringraziare, in un clima di grande familiarità, il diacono Pietro Raicaldo che, per circa sette anni, ha ricoperto la carica di direttore dell’ufficio di pastorale scolastica, che lascia il testimone a Matilde Di Meglio. Con tamento settimanale con “Il prof di religione”, in onda da ottobre a maggio secondo le oscillazioni di un normale calendario scolastico, vuole capire come accompagnare gli studenti alla scoperta delle tante porte che questa materia di studio apre, come suscitare in loro interesse e passione verso l’insegnamento della dottrina, come far comprendere le domande di significato cui la religione offre una risposta.

tanta gioia e gratitudine a Dio per questo tempo fecondo di tante grazie, (sentitissima la testimonianza di Maria Concetta Mazzella a proposito del centro di prima accoglienza “Giovanni Paolo II” di Forio) ciascuno è andato via con l’esortazione, quasi un monito, di d. Primo Mazzolari: “ci impegniamo noi e non gli altri”. Il vescovo Pietro lo fa e lo chiede a ciascuno di noi! Allora che sia un inizio fecondo, per TUTTI!


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La Voce di Pietro 3 ottobre 2015

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COMMENTI AL DISCORSO DEL VESCOVO PIETRO

Lagnese parla anche ai lontani dalla chiesa Di Antonietta Manzi

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n che misura le parole pronunciate dal vescovo Lagnese parlano anche ad una cittadina, come me, laica ed estranea alle dinamiche interne alla vita della Chiesa? Quello che posso condividere è, innanzitutto, l’invito ad agire, a trasformare in pratica quotidiana i valori ed i principi che, verbalmente, ci attribuiamo. I cambiamenti storici e sociali in cui siamo immersi impongono ad ogni cittadino responsabile di dare seguito alle dichiarazioni di solidarietà, partecipazione, accoglienza – a maggior ragione, mentre intorno si fanno sempre più alte le voci della discriminazione, della chiusura, del disconoscimento dell’altro. La crisi economica porta con sé la triste realtà della guerra tra i poveri, mentre le classi più agiate e le élite dirigenziali proseguono indisturbate il proprio cammino di speculazione liberista. In questo quadro desolante, gli “uomini di buona volontà” hanno il compito di discernere, di non avallare confusione ed allarmismi, di impegnarsi concretamente per immettere nel-

la società modelli di convivenza alternativi, basati su conoscenza, rispetto e sostegno reciproco. Ho apprezzato, poi, il riferimento all’atteggiamento omertoso tanto diffuso anche sul nostro territorio: girarsi dall’altra parte, far finta di non aver visto o sentito, significa essere corresponsabili del dolore inflitto a persone più fragili e – aggiungo io – anche del male che si causa agli animali e all’ambiente. Perché il degrado in cui versa l’isola sul piano politico amministrativo ha piena corrispondenza sul piano civico – l’assunto populista che attribuisce le colpe solo alla classe politica non è accettabile in un discorso pubblico che voglia davvero affrontare i problemi per tentare di risolverli. In definitiva, Lagnese propone ai suoi interlocutori di uscire dall’autoreferenzialità e dal compiacimento di sé, per porsi in un ascolto autentico dell’altro, soprattutto quando questi versa in condizioni di disagio, e guardare alla concretezza delle sue esigenze. E’ una sfida, una scelta di posizione rivolta a tutti: arroccarsi nella difesa dei propri piccoli o grandi privilegi, soccombendo alla paura, oppure aprirsi alla collettività e provare a costruire ponti.

Nella chiesa “La Chiesa come Gesù è chiamata a mettersi per via e andare... Certe cose si possono vedere solo se ci si mette in via, solo se si esce, solo se si è disposti a mettersi in cammino, solo se ci si interessa agli altri. Più ci si mette in atteggiamento di uscita, più si al-

Un messaggio alla società e alle istituzioni Di Gianluca Trani*

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onfesso di essere sempre rimasto particolarmente affascinato dalla figura di S.E. mons. Pietro Lagnese, Vescovo di Ischia e pastore della nostra Diocesi. E soprattutto, sia detto senza piaggeria alcuna, per la capacità di comunicazione verso i fedeli e la comunità in genere, divenuto strumento imprescindibile e di fondamentale importanza nella società moderna. Ma anche, nel contempo, per la semplicità con cui trasmette una serie di concetti e la capacità di inculcarli in chi lo ascolta (o lo legge), come nel caso del discorso pronunciato per l’ini-

zio del nuovo Anno Pastorale. Ritengo che, quando ci si rivolge al prossimo, ed è quello che fa sempre un messaggero di Dio in terra, non bisogna soltanto impartire dei dettami o dei suggerimenti ma anche riuscire a formulare un invito alla riflessione. Ed è esattamente quello che è riuscito a fare mons. Lagnese, che nella sua disamina ha toccato una serie di punti e tematiche che ci riguardano molto da vicino, che viviamo – e talvolta subiamo – in prima persona, e dinanzi alle quali troppo spesso facciamo finta di nulla, ignorandole, non prendendole in considerazione, mettendo in forma a dir poco “perbenistica” la testa sotto la sabbia, come lo struzzo. Padre Pietro si rivolge a tutti, alla

società, alle istituzioni, ma anche alla stessa Chiesa, non dimenticando nulla e nessuno in un’analisi che si rivela di straordinaria lucidità. Quando si affrontano argomenti come la crisi che vive l’istituzione famiglie, i giovani alle prese con “tentazioni” sempre più dilaganti e non mi riferisco soltanto alle dipendenze ma anche a fenomeni che si vanno insinuando sempre più in una realtà come la nostra che pure un tempo pareva avulsa da certi problemi. Il richiamo alle persone che vivono in uno stato di indigenza o povertà, poi, vuole essere un ulteriore monito alla nostra comunità, a non dimenticare che spesso c’è chi soffre e magari, a differenza di altre realtà, lo fa in maniera silenziosa e composta,

senza esternare nemmeno i suoi bisogni e le sue necessità. Succede quando un territorio per due generazioni ha vissuto nell’opulenza, ed è giusto che ognuno di noi – soprattutto quando si tratta di aiutare il prossimo – riesca a guardare ed andare al di là delle apparenze. Da parte mia, credo di essere riuscito a leggere anche il messaggio indirizzato a chi, come il sottoscritto, riveste una funzione pubblica ed istituzionale. Essere al servizio della gente è un valore che non deve mai abbandonare chi fa politica. Il mio impegno, che spero di non aver mai “mancato”, continuerà proprio da qui. *Presidente del Consiglio Comunale di Ischia


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La Voce di Pietro

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PER L’INIZIO DEL NUOVO ANNO PASTORALE

sguardo di Cristo! largano gli sguardi, più ci si lascia interpellare dai bisogni reali dell’uomo... più si è capaci di letture attente e non superficiali, qualunquistiche, egoistiche. Al contrario più ci si chiude più non si vede: come il ricco epulone, che non è avaro ma semplicemente non vede; sì, non vede più”! +Pietro Lagnese

Chiesa ad intra e chiesa ad extra Di Lello Montuori

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ote a margine del Discorso del Vescovo Pietro per l’inizio del nuovo anno pastorale della Chiesa di Ischia. C’è l’affetto e la sollecitudine di un uomo venuto ad essere επίσκοπος per noi, Padre e fratello della Chiesa di Ischia, nel discorso per l’inizio del nuovo anno pastorale, tenuto nel corso della celebrazione svoltasi nella Chiesa Cattedrale il 21 Settembre scorso, vespro della Festa di Matteo, il pubblicano Levi divenuto evangelista, convertito dall’incontro con Chi in cuor suo già lo conosceva e per questo già lo amava. Ed è come se anche Pietro - venuto come figlio di S.Maria dell’Agnenaquesta Chiesa di Ischia, Santa e peccatrice, pellegrina sullo scoglio d’Aenaria, l’avesse sempre conosciuta. E l’avesse sempre amata. Ad essa si rivolge. Ad intra e ad extra. A chi dispera per essa, suggerisce con entusiasmo e fiducia la preghiera della Gioia. A chi teme per essa nell’ora della prova, ricorda che essa può essere salda in Colui che ci dà forza. Con il Vescovo, con i presbiteri. Non contro di loro, non senza di loro. Un messaggio di pace che è un approdo attraverso una navigazione ancora lunga. Un’esortazione a riscoprire le ragioni del nostro essere Chiesa, dal verbo greco Ek-kaléo . Chiamare fuori Ad intra e ad extra. Ad intra. Perché siamo in cammino. Con il nostro fardello di fragilità, di delusioni, di cadute e ricadute, di timori, di attese. Di strade smarrite e percorsi ritrovati. Un invito a ritrovare la strada dell’unità. Un’unità vera. Che non sia di facciata. Che non rinneghi il bene, pur sapendo che per combattere il male, ci si allontana sempre anche dal bene.

Almeno da ciò che noi abbiamo creduto fosse il bene. La tranquillità. Che non ci ha mai reso quieti. Una tranquillità fondata su ciò che non diciamo. Sul tirare a campare. Sul sopire. Su una pazienza che non è carità. Una falsa unità in cui basta guardare per trovare famiglie che si oppongono a famiglie, fratelli a fratelli, parrocchie a parrocchie, comitati a comitati, comunità a comunità. Ecco, se intendessimo continuare così, dovremmo forse ammettere che non c’è più posto per noi nella Chiesa. E non nella Chiesa di Ischia. Ma nella Chiesa di Cristo. Non perché qualcuno ci abbia cacciato o voglia cacciarci. Ma perché forse già siamo o rischiamo di diventare un’altra cosa. Una comunità divisa su tutto. Di fazione in fazione. Contenta, per un giorno e l’altro pure, della gogna degli altri. Senza memoria di ciò che abbiamo chiesto per noi. Sapendo che forse non toccava a noi. O piuttosto che ciò che abbiamo chiesto era solo un nostro diritto e non dovevamo chiederlo come un favore. Una comunità che disprezza sovente i suoi presbiteri. Qualche volta persino non senza motivo. Ma che non prega per loro. Anzi li ignora, come a volerne sottolineare la distanza. Altro da sé. Ma soprattutto una comunità che non fa nulla per offrirne di migliori alla sua Chiesa. Che poi siamo davvero tutti noi. E non li offre, perché non coltiva abbastanza i germi di vocazioni autentiche. Quelle che per Grazia ancora riceviamo. Perché continua ad inseguire e a proporre ai più giovani un modello di successo che non è crescita e di ricerca di guadagno che non sazia l’uomo. Ad extra. Perchè il Vescovo Pietro ci esorta a riscoprire i frutti più fecondi del Concilio. È inutile negarlo. Ed egli non lo nega. Il Concilio è “un

orizzonte che continua: nonostante tutto! Nonostante i numerosi tentativi, in questi 50 anni, di anestetizzare l’evento (...) , di depotenziarlo, lavorando per annullarne la carica di novità! Anche oggi c’è chi lavora per normalizzarne la memoria e depotenziarne la portata”. Costoro ci sono anche nella nostra Diocesi. Fratelli che sbagliano. Persino Parrocchie dove il Concilio non è forse mai arrivato. Ma non disperiamo. Apriamoci. Ad extra. Ascoltiamo chi viene magari da lontano. Senza diffidenza. Senza pregiudizi. Senza far leva sempre sul glorioso passato di Fede e tradizione di questa nostra Diocesi piccola ed antica. Quella del Cardinale che per poco non fu Papa nel secolo scorso e del Seminario diocesano che istruiva e licenziava numerosi i suoi talenti. I figli di Ischia. C’è stato. Ma ora non c’è più. Nuove strade si aprono. Ad extra. Andiamo incontro a ciò che è nuovo “per fare nuove tutte le cose”. Diventiamo un’isola che accoglie. Ma non solo i turisti e quelli che portano soldi. Un’isola che include chi ha scelto di compiere un pezzo del suo cammino insieme a noi. Gli immigrati, i rifugiati, i nuovi poveri. Chi è solo e ha più bisogno. Andiamo incontro a chi ha bisogno e non lo dice. Persino a chi nega di averne. Per pudore, per timore, per orgoglio, per vergogna. A volte non sappiamo andarci, incontro agli altri. Ma dovremmo imparare, se vogliamo essere Chiesa. A questo è giusto che ci esorti Pietro επίσκοπος per noi. Con le parole di Primo Mazzolari. “Impegniamoci allora. senza giudicare chi non s’impegna, senza accusare chi non s’impegna, senza condannare chi non s’impegna, senza disimpegnarci perché altri non s’impegna”. Unicuique suum. Non praevalebunt.

CI IMPEGNIAMO “Ci impegniamo noi e non gli altri unicamente noi e non gli altri, né chi sta in alto né chi sta in basso, né chi crede né chi non crede. Ci impegniamo senza pretendere che altri s’impegnino, con noi o per suo conto, come noi o in altro modo. Ci impegniamo senza giudicare chi non s’impegna, senza accusare chi non s’impegna, senza condannare chi non s’impegna, senza disimpegnarci perché altri non s’impegna. Ci impegniamo perché non potremmo non impegnarci. C’è qualcuno o qualche cosa in noi, un istinto, una ragione, una vocazione, una grazia, più forte di noi stessi. Ci impegniamo per trovare un senso alla vita, a questa vita, alla nostra vita, una ragione che non sia una delle tante ragioni, che ben conosciamo e che non ci prendono il cuore. Si vive una sola volta e non vogliamo essere “giocati”. in nome di nessun piccolo interesse. Non ci interessa la carriera, non ci interessa il denaro, non ci interessa la donna o l’uomo se presentati come sesso soltanto, non ci interessa il successo né di noi né delle nostre idee, non ci interessa passare alla storia. Ci interessa di perderci per qualche cosa o per qualcuno che rimarrà anche dopo che noi saremo passati e che costituisce la ragione del nostro ritrovarci. Ci impegniamo a portare un destino eterno nel tempo, a sentirci responsabili di tutto e di tutti, ad avviarci, sia pure attraverso un lungo errare, verso l’amore. Ci impegniamo non per riordinare il mondo, non per rifarlo su misura, ma per amarlo; per amare anche quello che non possiamo accettare, anche quello che non è amabile, anche quello che pare rifiutarsi all’amore, poiché dietro ogni volto e sotto ogni cuore c’è, insieme a una grande sete d’amore, il volto e il cuore dell’amore. Ci impegniamo perché noi crediamo all’amore, la sola certezza che non teme confronti, la sola che basta per impegnarci perpetuamente”. don Primo Mazzolari


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Chiesa Italiana 3 ottobre 2015

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Bagnasco: «è il tempo della ricostruzione» A cura della Redazione

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cco i passaggi principali della prolusione. 1. Il Giubileo della misericordia: il grande orizzonte. Il “tempo di grazia” offerto dall’Anno Santo della Misericordia induce a una riflessione sul perdono che ci rinnova continuamente e ci spinge a usare a nostra volta misericordia verso chi ha sbagliato e verso chi è in difficoltà. “Una comunità che giudica ed esclude non ha futuro”, ma si condanna alla divisione sociale che non giova ad alcuno. Si tratta di rifondare un “tessuto umano più umano, fondato sulla fiducia e sulla comprensione. 2. Parlare dell’uomo all’uomo contemporaneo. La questione antropologica, con la sua distorsione legata alla cultura relativistica dell’usa e getta che “porta a uno squilibrio sempre più vasto nelle relazioni con gli altri, con l’ambiente e con il mondo, con la vita, che torna centrale, e sarà

È tutto rivolto al “tempo della ricostruzione” la prolusione con la quale il cardinale Bagnasco ha aperto il Consiglio permanente della Cei, straordinariamente convocato a Firenze, a rimarcare l’importanza del prossimo Convegno ecclesiale (9-15 novembre) dedicato alla responsabilità e alla missione educativa che si svolge proprio nel capoluogo toscano.

protagonista del Convegno ecclesiale di novembre. 3. Un esodo di disperazione, il ruolo dell’Italia Bagnasco affronta il tema delle migrazioni, affermando con forza che “non si può stare a guardare con fastidio, come l’Europa ha fatto per anni”. “La coscienza umana esige di intervenire: è quanto ha fatto l’Italia fin dalla prima ora, e continua con impegno e generosità”. Ma sembra essere giunta l’ora della concertazione, che si auspichi continui. “Così come speriamo

che - senza bisogno di barriere - si progetti un futuro sicuro, produttivo e sereno per tutti, per chi ospita come per chi arriva”. 4. Le persecuzioni religiose ed etniche “Sembra che qualcuno abbia deciso di sradicare i cristiani per bonificare il territorio!”, esclama. L’Occidente non alza la voce contro tanta ferocia e ingiustizie, ma ci si chiede chi arma i conflitti, chi compera petrolio da coloro che tagliano le gole, chi vuole la destabilizzazione di intere aree? Insomma, “chi sono i grandi burattinai che decidono le sorti dei poveri e dei deboli per incrementare il proprio lucro e il proprio potere?”. Ma, è la conclusione, attenzione, perché la disperazione umana ha una soglia di limite che, una volta raggiunta, nessuno potrà fermare. 5. La famiglia: benedizione e realtà da valorizzare Bagnasco ricorda che gli attacchi alla famiglia - con aberrazioni come pedofilia, incesto, infanticidio, suicidio assistito che diventano oggetto di discussione - non sono frutto del caso, ma di attente tecniche di persuasione delle masse, attraverso le quali si riesce a far accettare e poi addirittura legalizzare qualsiasi idea. In questo, si nota la crescente pressione europea anche in materie che non competono all’Unione, come il diritto di famiglia. Ecco perché è importante che l’educazione dei bambini e dei ragazzi resti saldamente in mano alle famiglie. Un modo pratico è esaminare con grande attenzione i Piani di offerta formativa delle scuole, comprese le attività extrascolastiche. 6. La missione educativa: serio esame di coscienza È necessario riprendere in mano l’educazione dei bambini e dei giovani, di fronte al dilagare di fatti di cronaca nera che sembrano dipingere un popolo di furbi, prevarica-

tori, violenti. “Tale spettacolo non deve farci dimenticare il popolo degli onesti”. I vescovi sanno che l’educazione “è parte integrante dell’evangelizzazione, consapevoli che è in Gesù Cristo la possibilità di un umanesimo vero e pieno”. Accanto ai genitori e le famiglie c’è la Chiesa, con il suo patrimonio di sapienza educativa. 6. Il Paese La gente chiede lavoro per tutti, a cominciare dai giovani. Alcuni segnali di ripresa si vedono, ma sono segnali spesso contraddittori. Insieme ai dati dell’occupazione, però, va valutato il numero dei figli: la natalità è la prova più evidente e sicura dello sviluppo e del futuro. “Come Chiesa offriamo un leale contributo di speranza e di condivisione operosa alla gente, senza distinzione. Non è inutile riaffermare anche che le strutture che sono riconducibili a realtà ecclesiastiche e che svolgono attività di natura commerciale, rispettano gli impegni a cui per legge sono tenute”. La Chiesa risponde in ogni modo ai bisogni crescenti delle persone –provate da un welfare sempre meno organico – mettendo in campo volontari, risorse e servizi. “Ne sono un esempio i sei milioni di pasti assicurati ogni anno dalle nostre mense e i 15.000 servizi rivolti ai più indigenti, quali i senza dimora, i coniugi impoveriti dalla separazione, le vittime del disagio psichico e molti altri. In una cultura dello scarto e della fretta, dove tutto diventa anonimo, è importante che le persone si sentano accolte e ascoltate: in questa prospettiva, ai nostri centri di ascolto ogni giorno approdano almeno 500.000 solitudini, bisognose di uno sguardo, di un sorriso, di considerazione”.


Cronaca

7 3 ottobre 2015

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caso auto truccate

Cosa fare se si possiede un auto Volkswagen? Di Lorenzo Russo

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a domanda la stanno ripetendo da giorni milioni di persone da tutta Europa, che hanno un’autovettura del gruppo Volkswagen. Quindi anche Skoda, Audi e Seat. Cosa bisogna fare dopo lo scandalo che ha travolto il gruppo automobilistico tedesco? Il rischio per i possessori d’auto è praticamente nullo. In pratica tutti gli automobilisti in possesso di un auto con un motore 2000 diesel – chiamato anche EA189 – immatricolato prima del 1° settembre 2015 (anche se la data di immatricolazione non può essere una prova perché l’auto potrebbe essere stata prodotta molti mesi prima), riceveranno una lettera di richiamo dalla casa automobilistica tedesca,. Dovranno così andare in una concessionaria dove la centralina dell’autovettura verrà accuratamente ripulita e l’automobile subito restituita. Non si pagherà nulla, nemmeno la manodopera. Tutte le spese sono a

carico del concessionario. Tutte le auto immatricolate prima del 2009 oppure auto Euro 6 non corrono nessun pericolo. Per capire l’auto in possesso, bisogna capire la tipologia dal libretto di circolazione dov’è indicata la classe di merito o dai siti web specializzati dove si può inserire il numero della targa e avere una descrizione precisa del proprio motore. Intanto le associazioni di consumatori sono sul piede di guerra. Ci sono – secondo loro – tutti i presupposti per avviare una class action, e chiedono che si acceleri sull’approvazione di una nuova normativa e di definire anche una class action a livello europeo.

Occhio alla sigla Di Lorenzo Russo

E

uro 3,4, 5 o 6? La mia auto che euro è? Per capire se abbiamo fra le mani (o stiamo per comprare) una Vw con la centralina incriminata l’unico sistema è leggere la carta di circolazione alla ricerca della magica classificazione “Euro”. Per essere più precisi la sigla è riportata alla lettera V.9 del riquadro 2 (ma a volte è integrata con una specifica ad hoc) nel riquadro 3. Se c’è scritto “715/2007*692/2008” significa che l’auto è una “Euro 6” e che quindi non rientra fra quelle che hanno la centralina finita sotto accusa. Ricordiamo infatti che il caso riguarda le auto del Gruppo Volkswagen diesel Euro 5, contraddistinte da 13 possibili sigle (cominciano tutte però con 2005/55/ CE B2; 2006/51/CE; 2001/27 CE; 2005/78 CE; 2006/81 CE; 15/2007; 715/2007*692/2008; 2008/74/CE).

Attenzione: l’indicazione di produzione che è stata data (tutte le diesel prodotte prima del 1 settembre del 2015) non è proprio vera. Non abbiamo la certezza (meglio non fidarsi!) della data di produzione di una macchina. Un piccolo aiuto arriva però dal portale dell’automobilista (www.ilportaledellautomobilista.it) il sito ufficiale del Dipartimento dei Trasporti Terrestri del Ministero dei Trasporti: qui c’è un database a disposizione di tutti per capire che tipo di omologazione (Euro) ha la nostra auto: basta inserire la targa e si ha l’indicazione della classe ambientale di appartenenza del veicolo. Certo, come descritto con chiarezza on line “i dati forniti hanno mera finalità informativa e non costituiscono certificazione” ma così almeno si ha subito un’idea della situazione. Se poi volete informarvi presso il customer care Volkswagen, basta chiamare il numero 800865579 e fornire il numero di telaio.


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Sanità 3 ottobre 2015

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Di Amedeo Romano

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l servizio di salute mentale sull’isola d’Ischia è stato smembrato, declassato, depauperato, quasi annullato: dalla decisione di accorpare tutti i servizi nel complesso di villa Stefania a Casamicciola, è iniziativa l’escalation al negativo, che ha portato poi alla situazione attuale. Il complesso di piazza Bagni è chiuso, sotto sequestro, perchè pendono controversie giudiziarie relative alla situazione urbanistica. Poi ci si è messo pure un incendio, nel frattempo a rendere ancora più instabile ed incerta la situazione. Nel frattempo, una commissione medica ha valutato i pazienti ed ha stabilito che potevano essere smaltiti in altre strutture: i più, sono alloggiati tra le strutture di s. Alessandro, via dell’Amicizia e una struttura provvisoria a Panza; altri sono tornati presso le famiglie; due, sono stati trasferiti presso l’Asl di Salerno. Il tutto in nome di una spending review che consente di risparmiare ben 16 mila euro su un appalto di un milione e 700

Sindaco di Barano Paolino Buono

Raffaele Topo Presidente commissione regionale sanità

mila, quanto costa cioè il lavoro degli operatori della cooperativa Gesco, con un contratto che scade nel 2017! La salute mentale declassata perchè non ci sono più malati pericolosi, da guardare a vista, giorno e notte; sono guariti tutti, lo ha stabilito la commissione medica e lo ha recepito la nuova commissaria dell’Asl Napoli 2 nord, quella dottoressa Iovino che il 10 settem-

SIR ISCHIA

cantiere in corso… bre ha messo penna su carta ed ha stabilito lo smembramento, la divisione dei pazienti sul territorio, ma senza toccare più di tanto l’appalto con la Gesco. Tanto, gli operatori in esubero, ora vanno nei 4 ospedali dell’Asl, anche in reparti non proprio affini alle loro specificità professionali. Intanto, il centro di salute mentale con i suoi medici, trova alloggio e sistemazione presso gli uffici già angusti di villa Romana ad Ischia, ma solo nei giorni feriali e fino alle 15; vietato impazzire quindi dopo tali orari o nei giorni di festa, pena il trasporto con 118 al pronto soccorso e, se tutto va male, l’applicazione della procedura del Tso, il trattamento sanitario obbligatorio, che coinvolge il sindaco del comune... E la politica? Il nuovo presidente della commissione regionale sanità, Raffaele Topo ha fatto visita all’ospedale ed ha ascoltato le istanze degli operatori e dei rappresentanti del comitato di cittadinanza attiva, ed ha dato mandato al sindaco di Barano Paolino Buono a rappresentaContinua da pag. 1 Quella di Vito Iacono potrebbe essere un’ottima alternativa soprattutto per gli abitanti del comune foriano (e non solo) che, in poco tempo potrebbero ave-

re le istituzioni del territorio, come raccordo con la struttura regionale, per tenersi aggiornati sull’argomento. Ultimo, ma non ultimo il punto relativo alla campagna “Una casa per Elena”: il comitato aveva lanciato un appello, ed era stato emesso un bando per trovare una struttura alternativa a villa Stefania per ospitare la salute mentale sulla nostra isola ed evitare il trasferimento – pure paventato – in terraferma: ebbene, sono giunte 6 offerte di altrettanti stabili, tra Forio, Casamicciola, Barano ed Ischia, oltre alle proposte dei proprietari di villa Orizzonte che potevano rivedere al ribasso il canone della struttura baranese. Orbene, le buste giacciono nei cassetti di Monteruscello, in attesa di essere aperte: quando e se ci si deciderà a dare corso a quella gara, per verificare se la salute mentale può rimanere su quest’isola, con uno standard qualitativo base, non diverso da quello finora raggiunto? Ai politici, quelli nuovi che occupano oggi i posti di potere in Regione, l’ardua sentenza. re un’importante struttura. Una sola piscina pubblica per quasi 70mila abitanti non basta. Coraggio sindaco Del Deo, ci pensi attentamente a questa idea. Non sarebbe male, per il bene dei nostri giovani, per il bene di tutti!


Punti di vista

3 ottobre 2015

kaire@chiesaischia.it

Di Franco Iacono

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Quel DNA anticamorra…

1.

“Napoli ha un DNA anticamorra” ha detto il Presidente della Repubblica, inaugurando a Napoli l’anno scolastico. “La camorra è una dato costitutivo di questa società, di questa città, di questa regione” aveva detto, solo qualche giorno fa, Rosy Bindi, la “pasionaria”, Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, in visita a Napoli. Uno schiaffo in pieno viso per la “povera” Bindi, una spinta ad avere fiducia in sé stessi, nella capacità dei Napoletani di invertire la rotta, forti di questa rinnovata consapevolezza: “Napoli ha un DNA anticamorra”. Naturalmente a patto che questa “consapevolezza” sia attiva, energica, operosa in tutti i campi nei quali i Napoletani si misurano e si confrontano. E comunque questa “querelle” non si risolve a furia di dichiarazioni, perché se è inammissibile ritenere che la “camorra è nel DNA della città” è altrettanto vero che la criminalità organizzata ha innervato molti dei gangli di questo tessuto, di cui sono testimoni gli innumerevoli successi di Forze dell’Ordine e Magistratura. E, poi sul piano sociale, è innegabile che la disoccupazione ed il degrado, soprattutto delle periferie costituiscano un “humus” nel quale soffrono migliaia di giovani attratti quindi dal miraggio del denaro, del potere, del successo che “garantisce” la camorra. Non mi addentro sulla funzione che svolge la fiction Gomorra, con la sua serie di “eroi”. Certo è che dalle mode adottate da troppi giovani si capisce che si fa presto a prendere a modello, anche di vita, quei personaggi. In definitiva c’è bisogno di una presa di coscienza, finalmente concreta, di questa tragedia che presenta aspetti complessi. Non è

solo una questione di ordine pubblico! Le parole d’ordine, o messaggi, la presenza autorevole del Capo dello Stato devono essere lo stimolo per un’azione penetrante e diuturna, che veda impegnate tutte le istituzioni a cominciare dalla Chiesa e dalla Scuola! Continuo a pensare, anche più concretamente, che una funzione speciale la debba svolgere la Formazione Professionale per cominciare ad incidere sulla tragedia della disoccupazione giovanile. 2. Ci accingiamo a vivere un tormentone lungo sei mesi: il ritorno di Bassolino, le primarie del PD. È chiaro che il solo pensare ad una candidatura di Antonio Bassolino fa balzare una constatazione evidente: dopo di lui, il nulla. Magari, anche per sua responsabilità: fece poco o niente per costruire una classe dirigente, degna di questo nome, pensando a se stesso in chiave di … eternizzazione. Anzi, fece di più e di peggio: “distrusse” o “omologò” – vedi “Diametro” – i centri del dissenso, facendo

venire meno uno dei punti fondamentali di un sistema democratico, costituito dai “contrappesi” senza i quali la democrazia non funziona. Come che sia, ora siamo alla considerazione che per il PD, molti dicono anche per la Città, è lui l’uomo della speranza, al quale non si contrappone un’altra leadership, ma solo, la vaga cantilena del “nuovo” della “svolta”. Intanto prepariamoci a questo tormentone, tutto interno al PD, mentre il Sindaco ha già scelto la sua strategia di … contrasto, vedi la dura contestazione al Commissario per Bagnoli ed a Renzi che lo ha nominato!, Il Movimento Cinque Stelle è pronto ad infilarsi fra i due con buona probabilità di raccogliere meglio l’ansia di tanti di voltare veramente pagina. Il Centro Destra, al momento, non mi pare sia in partita! Chi vivrà, vedrà! 3. Tempo di vendemmia! Ambrogio, l’enologo di famiglia, mi dice che è una buonissima vendemmia! Sia per i bianche che per i rossi! C’è una bella squadra che raccoglie

l’uva e c’è una buona allegria, condita da un innocente pane caldo con mortadella: Franchino, amichevolmente chiamato Mezzone per la sua… statura, antico e bravo giocatore del Forio che fu, “ordina” questa prelibata colazione e, come ai vecchi tempi, fa ancora… “squadra!” Ma il saggio del gruppo è mio cognato Francesco Salemmo., già squisito patron del Ristorante Il Capanaccio, mentre Vito ‘e Malavisiello, è il contadino antico, grande lavoratore attento ad ogni dettaglio e a non disperdere neppure un chicco d’uva. Poi ci sono i giovani come Leonardo, Gerardo, Mario e Diego, mentre Natale Sessa, con il fido Giuseppe Caruso, aspetta l’uva alla pressa. Ambrogio sovraintende al tutto, attento, insieme a Natale, a che il procedimento della vinificazione vada per il meglio. Un patrimonio di umanità dal sapore antico, del cui valore spesso molti hanno perso contezza. Anche per riqualificare l’offerta Turistica! Eppure quest’Isola una volta si chiamava Aenaria – l’Isola del Vino!


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Parrocchie 3 ottobre 2015

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Nella chiesa di sant'anna in lacco ameno

Il vescovo Lagnese celebra per Padre Pio Di Enzo MAngia

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ella chiesa di San Rocco di Lacco Ameno, collegata alla congrega di Sant’Anna, c’è una statua imponente di padre Pio benedicente. Questo è spiegabile con il culto diffuso ed intensamente avvertito nel comune ischitano per il Santo di Pietrelcina, nato il 25 maggio 1887 ed ordinato sacerdote nel Duomo di Benevento il 10 agosto 1910. Ne è custode e sagrestano Peppino Monti. La mattina del 20 settembre 1918, mentre pregava davanti al Crocifisso nella chiesina che frequentava mattina e sera, ricevette da Dio il dono delle stimmate, visibili, che rimasero aperte e sanguinanti per mezzo secolo, cioè fino alla morte avvenuta il 23 settembre 1968. Molti fedeli, che si recavano a visitare il sacerdote stimmatizzato, grazie alla sua potente intercessione verso Dio, ottenevano grazie richieste. La vita di P. Pio è stata rievocata dal vescovo di Ischia, mons. Pietro Lagnese, nel corso della celebrazione della Santa Messa nella chiesetta su menzionata di Lacco Ameno, gremita di fedeli, che avevano chiesto che parlasse loro del famoso Santo. Hanno concelebrato con il vescovo il parroco don Gioacchino Castaldi, il vice parroco don Gianfranco del Neso. Presente anche il

neo sindaco di Lacco Ameno, Giacomo Pascale che ha partecipato anche alla processione. Il Presule nell’omelia ha affermato che si tratta di “un uomo innamorato di Dio. Questo suo amore verso l’Onnipotente cresceva sempre di più man mano che avanzava negli anni”. Mons. Lagnese ha così proseguito: “Il modo migliore di dimostrare affetto, venerazione verso padre Pio è quello di prenderlo a modello. Quindi occorre pregare molto, e non solo per la

nostra salvezza, ma anche per tanti che vivono lontano o fuori dalla Chiesa”. Sua Eccellenza ha poi raccomandato di frequentare l’Eucaristia “che è luogo di grazia e di grande consolazione. Quindi restiamo sempre in comunione con Cristo, nutrendoci tutti i giorni della sua carne con la Comunione Eucaristica”. Va ricordato che la celebrazione di Mons. Lagnese è avvenuta anche come suffragio del compianto Don Vincenzo Scoti, cappellano della congrega per oltre 40 anni.

Cresime a Fontana in occasione della festa alla Madonna Di Regina Scotti

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conclusione della festa in onore della Madonna della Mercede a Fontana, nella chiesa addobbata a festa con la Madonna solennemente esposta, domenica 27 settembre nella Messa delle 11.30 il Vescovo, S. E. Mons. Pietro Lagnese, ha conferito il Sacramento della Cresima a dieci giovani. Nella sua omelia Padre Pietro, nello spezzare la parola del Vangelo di Marco ha così esordito: “Siamo qui per incontrare il Signore, non c’è altro motivo, per ascoltare la sua Parola lasciandoci illuminare perché ci dica cosa dobbiamo fare, cosa cambiare, cosa il Signore si aspetta da noi e se dobbiamo essere suoi”. Come i discepoli, anche noi oggi siamo chiamati a metterci in “sintonia” con Gesù che ci parla “attraverso le persone che meno immaginiamo”; “il Signore può agire in chi e dove vuole. Dio ci può parlare in tutti, anche in chi non vive la comunità cristiana ma è animato dallo Spirito buono”. Bisogna mettersi in ascolto, continua il Vescovo, “per evitare la presunzione di già sapere. Tutti con gli occhi bassi per ascoltare la volontà di Dio. Dio parla nel Vangelo, nei fatti, nelle situazioni”. Dobbiamo essere capaci di vedere Cristo in ogni persona

che incontriamo, e dobbiamo amarlo, accoglierlo e sostenerlo nella carità. Nel commentare il Versetto 42 del Vangelo: “chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare”, il Vescovo sottolinea come scandalizzare significhi “essere col proprio comportamento di inciampo, di scandalo all’altro. Ognuno con la propria vita può essere di scandalo”. Ma chi sono i piccoli ai quali il Vangelo si riferisce? “I piccoli sono quelli che hanno una fede piccola, sono all’inizio” ed è come se gli si mettesse uno sgambetto facendoli inciampare. “Potremmo essere tutti dei probabili scandalizzatori nella nostra vita. Quante persone si sono forse allontanate dal Signore per colpa nostra? Gesù

ci dice: Attenti! Davanti alla comunità potreste essere coloro che scandalizzano e allontanano da Gesù”. Rivolgendosi ai cresimandi e all’intera comunità il Vescovo invita a non vivere una vita “media, scadente e triste”, ma a scegliere con coraggio, a non essere timidi perché il Signore ci darà molto più di quello che pensiamo: “Illuminati dalla Parola e fortificati dall’Eucarestia possiamo essere profeti di Gesù. Il profeta è colui che parla nella sua vita di Dio. La nostra vita deve parlare di Gesù!” Concludendo la sua omelia Mons. Lagnese affida alla Madonna l’intera comunità “perché non si scoraggi e non si abbatta” assicurando la sua vicinanza e invitando a pregare per lui e per il Papa. Angelo Iacono


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Volontariato

3 ottobre 2015

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VOLONTARIATO VINCENZIANO Di Maria Concetta Mazzella

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raendo spunti dalla Liturgia della Parola il Vescovo si è soffermato sull’importanza della Parola per ciascuno di noi. “Ogni volta che partecipiamo all’Eucaristia il Signore ci chiama a sé e ci dona una Parola perché possiamo essere in sintonia con Lui, entrare in atteggiamento di docilità con Lui, perché si è discepoli di Cristo nella misura in cui facciamo nostra la Parola del Signore, la viviamo come Maria, la più perfetta tra i discepoli”. La Parola che ci viene donata ci aiuta a superare l’indifferenza, l’egoismo, la chiusura e ci aiuta a rivedere il nostro modo di essere cristiani, ci aiuta ad “aprirci alla presenza dello Spirito che agisce in mezzo a noi”. Agli Apostoli, che facevano fatica a comprendere questo e spaventati per aver visto “uno che scacciava demoni” in Suo nome e per non aver saputo impedirglielo, Gesù disse “Chi non è contro di noi è per noi”. “Chiunque fa il bene, non si oppone al bene, è un cristiano, sta realizzando il Regno di Dio. Questo siamo chiamati a fare: far crescere il Regno di Dio, di cui la Chiesa deve essere Sacramento, presenza”. Gesù dice: “Chiunque vi darà da bere un bicchiere di acqua nel mio nome non perderà la mia ricompensa”. “Ogni persona è di Cristo e chiunque fa il bene ad un fratello l’ha fatto a Cristo e non perderà la sua ricompensa. San Vincenzo de’ Paoli ha vissuto questa Parola, l’ha incarnata nella sua vita. Andato al di là degli schematismi del suo tempo (seicento) ha saputo stare in mezzo alla gente offrendo ristoro e consolazione. Egli si

Ischia vive la solennità del proprio fondatore San Vincenzo De’ Paoli Domenica 27 settembre il Vescovo S.E. Mons. Pietro Lagnese ha presieduto la Celebrazione Eucaristica, nella Basilica di Santa Maria di Loreto di Forio, insieme al Parroco Don Pasquale Mattera.

chiedeva sempre: che cosa farebbe Cristo se fosse al mio posto?” La promozione sociale dei più poveri e più deboli, il loro pieno recupero alla dignità umana sono stati il terreno su cui si è battuto durante la sua vita. Ha lavorato tanto anche per l’evangelizzazione delle campagne e per la formazione del clero fondando la Congregazione della Missione. Ha fondato per l’aiuto ai poveri le Figlie della Carità e il Volontariato Vincenziano formato da laici. Il Vescovo invita tutti ad essere capaci di offrire consolazione al fratello, eliminando dalla nostra vita tutti quei freni: ricchezze, avarizia, egoismo, indifferenza, che ci impediscono di andare incontro a Gesù. Gesù dice “Se la tua mano è motivo di scandalo tagliala”. Cerchiamo di eliminare dalla nostra vita tutte quelle debolezze che ci fanno vivere l’inferno! Imitiamo San Vincenzo che, diventato sacerdote per aspirazione ad una brillante carriera ecclesiastica, desideroso di ricchezze, dopo aver incontrato i poveri si è lasciato illuminare dalla grazia e ha saputo eliminare dalla sua

vita tutte quelle miserie e lanciarsi verso Gesù incarnato nei poveri. Parole di gratitudine e di incoraggiamento sono state rivolte al Volontariato Vincenziano “che si sta aprendo a riconoscere le antiche e nuove povertà presenti sul territorio” e collabora con la Chiesa locale per fare bene il bene. Al termine dell’omelia la Presidente diocesana Angela Del Deo ha ringraziato il Vescovo per aver resa solenne la festività del nostro Santo Fondatore e per le parole di incoraggiamento rivolte ai volontari vincenziani. Chiede al Vescovo di benedire distintivi, crocifissi e statuti che vengono consegnati a sei volontari: Antonella, Maria Grazia, Giulia, Mariella, Nunzia, Francesco che si impegnano, dopo un percorso di formazione nel gruppo di appartenenza, a far parte dell’Associazione A.I.C. Italia- Gruppi di Volontariato Vincenziano – Campania. L’emozione è grande. San Vincenzo continua ad infiammare i cuori!

In diretta da Lourdes con il vescovo Pietro Di Lorenzo Russo

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l vescovo di Ischia Pietro Lagnese è andato in pellegrinaggio a Lourdes con l’Unitalsi. Un pellegrinaggio che riunisce l’associazione da oramai 113 anni, operando a favore della malattia e della disabilità e i bambini, per essere insieme missionari di pace. Nel 2013 papa Francesco ha definito l’associazione come un ministero di consolazione. Una grande responsabilità. “La nostra società di solito considera gli ammalati un mondo a parte – ha affermato il presidente Unitalsi Salvatore Pagliuca a Lourdes - noi vogliamo far capire, invece, che sono pienamente cittadini di questo mondo, con i diritti e i doveri delle persone che vogliono vivere nella nostra società”. Il pellegrinaggio a Lourdes è, per il presidente nazionale dell’Unitalsi, “un momento di partenza. Il pellegrinaggio deve continuare nel territorio, in ogni paese, in ogni condominio”. Di qui l’auspicio che “ciascuno porti a casa la gioia, per donarla agli altri e per ritrovare pace e serenità”. Durante il pellegrinaggio i fedeli Unitalsi e i vari pellegrini si sono raccolti in preghiera per

prepararsi all’appuntamento sinodale indetto da papa Francesco. Il vescovo Pietro ha anche recitato il santo Rosario nella grotta, seguito da casa grazie alla diretta Tv2000.


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Società 3 ottobre 2015

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LOPPIANOLAB 2015 Di Francesca Annunziata

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oppianolab è ormai un appuntamento annuale aperto veramente a tutti, come sempre, ma ovviamente attrae soprattutto chi conosce già alcuni temi. Il cerchio si allarga di anno in anno e quest’anno alla sesta edizione ha registrato di nuovo un ottimo numero di presenze. Si è svolto nella cittadella di “Loppiano”, situata nei pressi di Incisa Valdarno e presso il Polo Lionello, il primo polo europeo e punto di convergenza per oltre 200 aziende italiane che aderiscono al progetto di Economia di Comunione, un progetto di economia civile che ha come obiettivo di contribuire a realizzare, a livello mondiale, una società più equa, senza più indigenti. Il posto è bellissimo, pieno di ampi spazi verdi con un minimo comune denominatore: il sorriso e la gentilezza di tutti coloro che incontri. L’inaugurazione è avvenuta il 25 settembre alle ore 9 e poi tutto è continuato con la Convention EdC Italia, con questo titolo: “GENERARE E RIGENERARE. Imprese, Beni Comuni, Persone” promossa da E.diC.spa - Polo Lionello Bonfanti, Commissioni EdC, A.I.P.E.C., associazione Lionello Bonfanti. Dopo questa presentazione c’è stato un momento di sintesi dell’esperienza di Nairobi di quest’anno, dove si è tenuta la Convention Mondiale Edc. Nel pomeriggio si sono tenuti dei workshop molto interessanti: “Piccoli Imprenditori crescono”, “Edc e inclusione produttiva”, “Imprese Responsabili”, “Imprese, ambienti e beni comuni”. In serata c’è stato un momento culturale dal titolo: “Un’idea di persona, un’idea di società, un’idea di economia. L’umanesimo di Antonio Rosmini”, alla presenza di Nunzio Galantino, segretario generale della Cei. A questa serata ha partecipato anche don Pasquale Trani, uno dei nostri sacerdoti isolani. Sabato 26 settembre la Convention è andata avanti con argomenti molto concreti e scottanti come il microcredito e tante esperienze vissute nell’Unione Europea. Nel pomeriggio c’è stato il cuore dell’evento, il convegno centrale “Oltre Paura. Cultura del dialogo, cittadinanza attiva, economia civile.” Gli ospiti sono stati di una certa levatura: Luigi Bobba, sottosegretario Ministero Lavoro e Politiche sociali , Luigino Bruni, economista, Izzedin Elzir, imam di Firenze e presidente UCOII, Pasquale Ferrara, segretario generale Istituto Universitario Europeo di Firenze, Lucia Fronza Crepaz, coordinatrice progetti Scuola di Preparazione Sociale–Trento, Mauro Magatti, sociologo, Università Cattolica di Milano, Vincenzo Morgante, direttore del TgR RAI, Michele Zanzucchi, direttore Città Nuova e anche Carlo Petrini, presidente di Slow Food. Ognuno meriterebbe un articolo a parte ma sicuramente quello che ha stupito di più tutti è stato Carlo Petrini di Slow Food – e affezionato di Ischia - ironico al punto giusto, ci ha fatto percepire quanto è importante ripartire dalla vita di tutti i giorni e ovviamente dal cibo.

“Oltre la paura. Cultura del dialogo, cittadinanza attiva, economia civile” La sesta edizione dell’evento – dal 25 al 27 settembre – ha visto la partecipazione di imprenditori, manager, sindacalisti, dipendenti, giovani, con uno spirito dinamico che cercano di farsi ispirare dall’economia civile del Polo Lionello e sono attratti dall’economia di comunione.

Lui ci ha comunicato come è importante dare valore al cibo e chiedersi sempre da dove viene, com’è fatto perché questo dà dignità ai contadini e a chi produce e nello stesso tempo ci fa comprendere se è un prodotto genuino. Abbiamo perso – secondo le fonti Slow Food – il 70% delle biodiversità proprio per questo problema di internazionalizzazione della produzione di frutta e verdura. Sarebbe importante recuperare i sapori tipici di ogni singolo paesino d’Italia. C’è molto da studiare dopo un Loppianolab e soprattutto c’è da andare “oltre la paura”!

Cos'è l'economia civile? Con il termine economia civile si intende principalmente una prospettiva culturale di interpretazione dell’intera economia, alla base di una teoria economica di mercato fondata sui principi di reciprocità e fraternità, alternativa a quella capitalistica. Al Polo Lionello c’è una Scuola di Economia Civile (Sec) alla quale tutti possono partecipare.

Cos’è l’economia di comunione? L’Economia di Comunione (EdC), fondata da Chiara Lubich nel maggio 1991 a San Paolo, coinvolge imprenditori, lavoratori, dirigenti, consumatori, risparmiatori, cittadini, studiosi, operatori economici, tutti impegnati ai vari livelli a promuovere una prassi ed una cultura economica improntata alla comunione, alla gratuità ed alla reciprocità, proponendo e vivendo uno stile di vita alternativo a quello dominante nel sistema capitalistico.

recensione libro

L'economia civile? Per approfondire l’argomento dell’economia civile consigliamo il seguente testo di Luigino Bruni e Stefano Zamagni. Un bimbo che oggi nasce in Congo, o una bambina che nascerà in Europa tra vent’anni, hanno il diritto di porre domande sul nostro modello di sviluppo e sui nostri stili di vita, perché le nostre scelte di oggi stanno già modificando la loro vita, a volte in meglio ma altre in peggio. L’economia civile, di cui il libro illustra genesi e campi di applicazione, cerca risposte non fuori dall’economia di mercato ma all’insegna di un mercato diverso, «civile» dove le parole felicità, onore, virtù, bene comune, possono essere riscoperte proprio in chiave economica, lasciando spazio ad una prospettiva etica e non puramente individualistica. Luigino Bruni insegna Economia politica nell’Università Lumsa di Roma. Tra i suoi libri: «L’altra metà dell’economia» (Città nuova, 2014) e «Fondati sul lavoro» (Vita e Pensiero, 2014). Stefano Zamagni insegna Economia politica nell’Università di Bologna e nella Johns Hopkins University. Tra i suoi libri per il Mulino «L’avarizia» (2009), e in questa stessa collana «La cooperazione» (con V. Zamagni, 2008). Insieme a L. Becchetti gli autori hanno pubblicato «Microeconomia. Un testo di economia civile» (Il Mulino, 20142).


Società

13 3 ottobre 2015

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TIRIAMO LE SOMME

Italia: da Loppianolab si riparte “Chiudersi all’altro e negare la relazione significa negare sé stessi; occorre recuperare input culturali forti che aiutino l’umanità ad affrontare la crisi culturale prima ancora che umanitaria che il mondo sta vivendo”. Mons. Nunzio Galantino

Partecipazione, cura delle relazioni, economia fondata sulla fiducia: le tre piste da cui riparte la società civile dopo la due giorni di LoppianoLab, per andare “oltre la paura”.

Luigi Bobba sottosegretario Ministero del Lavoro e Luigino Bruni

Nunzio Galantino Segretario Generale Cei

A cura della Redazione

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a partecipazione come metodo, la capacità di dialogare rispettando non solo idee e convinzioni diverse, ma anche le sofferenze dell’altro; una biodiversità che valorizzi le ricchezze culturali, il non accontentarsi della “giustizia del già, ma cercare quella del non ancora”, trasformare l’indignazione in azione collettiva per cambiare il mondo. Questi i valori che sostanziano le decine di azioni e progetti, espressione della vitalità della società civile italiana oggi. Si è conclusa con una pluralità di voci, azioni e stimoli che partono “dal basso”, in Italia e non solo, la sesta edizione di LoppianoLab. Oltre 2.000 le presenze che hanno qualificato il confronto e il dialogo tra imprenditori, politici, docenti, cittadini, giovani, comunicatori e amministratori locali: insomma, la società civile nella sua molteplicità di espressione. “Non dobbiamo arrenderci alla crisi attuale. Siamo qui per trovare delle luci”. Mons. Nunzio Galantino, segretario CEI, parte dal pensiero antropologico di Antonio Rosmini, grande pensatore, nel suo intervento all’appuntamento culturale di LoppianoLab promosso dall’Istituto Universitario Sophia(IUS) e da Città Nuova, la sera del 25 settembre su “Un’idea di persona, un’idea di società, un’idea di economia. L’umanesimo di Antonio Rosmini”. “Chiudersi all’altro e negare la relazione significa negare sé stessi – continua il segretario CEI, facendo eco alle parole statunitensi di papa Francesco di questi ultimi giorni – occorre recuperare input culturali forti che aiutino l’umanità ad affrontare la crisi culturale prima ancora che

Vincenzo Morgante, direttore TGR Rai Michele Zanzucchi, direttore Città Nuova

umanitaria che il mondo sta vivendo”. Aggiunge poi che è il tempo attuale con i suoi muri, le sue contraddizioni e le sue molte domande esistenziali sul senso e il destino dell’uomo a richiedere una visione unitaria e completa della persona non governata solo dalle scienze, ma fatta anche di spirito, relazione, prossimità. LE PISTE DI LOPPIANOLAB 2015 Cittadinanza attiva – Lucia Fronza Crepaz, coordinatrice progetti Scuola di Preparazione Sociale, Trento, nel convegno centrale del 26 settembre “Oltre la paura”, ha così sostanziato il compito sociale di chi fa politica: “Non vogliamo fare azione ‘per i poveri’, ma con i poveri perché sono soggetti e misura della società che vogliamo costruire e ha indicato la città come “palestra” della fraternità universale. Le ha fatto eco Carlo Petrini, fondatore e presidente di Slow Food e Terra Madre, confermando che la cittadinanza attiva è il luogo generativo di nuovi contadini, nuove aziende, di consumatori consapevoli. Profonda la consonanza con l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco per la quale ha scritto la prefazione ad una delle edizioni uscite in libreria. “Un’opportunità – ha dichiarato – inaspettata. Di tutto poteva capitarmi nella vita, ma non avrei mai creduto che a 67 anni mi telefonasse un papa, a me agnostico. Questo è nuovo umanesimo. Ne avevamo bisogno. Non esiste oggi al mondo un leader politico più incisivo, visionario, concreto di questo papa”. Il sociologo Mauro Magatti aggiunge: “Se non recuperiamo la dimensione della relazionalità come tratto distintivo della nostra condizione, l’umanità è destinata a soccombere. Bisogna

tornare a ‘produrre valore’ insieme agli altri”. Impegno civile – Luigi Bobba, sottosegretario al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, ha definito il tempo attuale un vento di novità di cui sfruttare l’energia per dar vita a istituzioni capaci di dar forma al cambiamento. È in piena sintonia l’economista Luigino Bruni quando afferma che le minoranze possono cambiare il mondo e sono capaci di trasformare l’indignazione in azione politica ed economica collettiva. Cultura del dialogo – “È necessario superare la prospettiva eurocentrica, quando si parla di migrazioni: non sono solo un fatto umanitario, ma questione di politica internazionale”. Così Pasquale Ferrara, diplomatico e segretario generale Istituto Universitario Europeo di Firenze. “I migranti sono la testimonianza tragica dei mutamenti storici. Con loro cammina la storia e si rendono manifesti tutti i nodi irrisolti della politica internazionale. Tutti gli uomini sono destinatari della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Essa crea una seconda cittadinanza, per questo nessuno può esser considerato clandestino e nessuno illegale”. È Vincenzo Morgante, direttore del TGR RAI a dar voce al mondo della comunicazione, osservatorio privilegiato della “capacità” di dialogo nelle comunità italiane. “Attraverso il lavoro delle testate regionali mi rendo conto che la cultura del dialogo c’è, ma non è sufficientemente incrementata. Prevale spesso quella dello scontro. Occorrerebbe parlare un po’ meno dei fenomeni e un po’ più delle storie, delle persone che stanno dentro di essi”. L’edizione 2015 di LoppianoLab si conclude anche con un’ampia partecipazione tramite i Social, ma i progetti, le azioni e l’impegno concreto e quotidiano di migliaia di cittadini continua sul campo. Si lavora a ricostruire un tessuto sociale spesso lacerato, attraverso processi di riconciliazione e ricostruzione di comunità che non siano sono l’assemblaggio di una molteplicità d’interessi, ma capaci di una presa di coscienza personale e collettiva.


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Attualità 3 ottobre 2015

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Pensieri in libera uscita Di Francesco Mattera

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i inserisco nei panni di opinionista (chiedo venia agli specialisti!), care lettrici e lettori di Kaire, tra un Made in Ischia e un Ischia in 3P, le rubriche con cui avete imparato, spero, a conoscermi. Incomincerò con due cosucce che stupiranno qualcuno, come se fosse da parte mia un’invasione di campo, un’uscita impropria, fuori dal mio cliché abituale. Vedremo poi come sarà accolta questa mia audace(!) sortita. CON I MIGRANTI LA GERMANIA HA GIOCATO D’ANTICIPO E CON OPPORTUNISMO? Me lo sono chiesto dopo lo scoppio dello scandalo Wolkswagen. Il governo della Merkel sapeva già tutto da chissà quanto tempo, e si aspettava da un momento all’altro la propagazione della notizia del taroccamento dei motori made in Germany (targati VW, ma probabilmente anche Audi, Skoda, SEAT, ecc) a livello mondiale. Stare sullo scacchiere politico internazio-

nale comporta onori ed oneri che si riverberano necessariamente anche e soprattutto nelle performance dell’economia nazionale. La grande Germania con il suo dirigismo rigorista nell’area UE, con la vicenda della Grecia già si è guadagnata un apprezzabile dose di antipatia da parte dell’opinione pubblica europea, e non solo. E le cose non andavano meglio con la tristissima vicenda dei migranti provenienti dai teatri di guerra (di quello si tratta e non altro!) di Siria, Libia ed altri paesi del nord Africa. Italia e Grecia di fatto lasciati lungamente da soli ad affrontare un esodo biblico senza precedenti. L’Europa ueista (simpatico questo neologismo!) cieca, ma soprattutto sorda al grido di dolore proveniente da una parte del mondo non troppo lontana poi dai nostri paesi. Un’apatia indolente ed egoista fuori da ogni ragionevolezza, da ogni umana pietà, in nome di che cosa non si è mai ben capito. Ma ecco la sorpresa: quando la pressione dei migranti si è fatta forte, continua e pressante, un improvviso ed inaspettato cambio di rotta della Germania. Si aprono, quantunque

con meccanismi non proprio limpidissimi e pienamente equanimi, le frontiere del paese alle masse di disperati che scappano dagli orrori dell’oppressione, dalla fame e dalla miseria più nera. Si apre il dibattito in Europa nelle sedi che contano. Sembra un sogno. Tutto, nel bene e nel male, parte dalla Germania. Tanti esultano, è un finalmente liberatorio! Ma è proprio così, interamente così? Non è per caso un brillante esempio di puro opportunismo? Restare bloccati con una linea dura e insensibile sul fronte dei migranti nell’imminenza dello scoppio dello scandalo Volkswagen, cosa avrebbe significato per il paese teutonico? Un sovrappiù di antipatia a livello mondiale sicuramente, con riflessi ancora più negativi sull’economia di quel grande paese. La locomotiva dell’Europa che rischia di fermarsi, addirittura di deragliare, con conseguenze disastrose sull’economia di tutto il vecchio continente. E’ legittimo immaginare che la Merkel abbia ragionato in questi termini: guadagniamoci un credito di simpatia con i migranti, poi prepariamoci allo schiaffo che riceveremo con l’affaire Volkswagen. Ma sarà uno schiaffo più morbido! Ovviamente non sapremo mai se le cose sono andate veramente così. L’anno prossimo, durante le sue probabili vacanze pasquali a S. Angelo si potrebbe provare a chiederglielo.

IL PAPA, L’AMERICA ED IL SINDACO DI ROMA MARINO In una trasmissione andata in onda lunedì scorso su Radio Rai (mi sembra 1) un commentatore ha espresso le sue perplessità sulle dichiarazioni rese da Papa Francesco nella sua conferenza stampa fatta sull’aereo di ritorno dal viaggio in America. In buona sostanza il giornalista – ospite via audio della Rai - sosteneva che Papa Bergoglio poteva risparmiarsi la precisazione – resa in maniera perentoria e senza riserve - sul fatto che la presenza del sindaco di Roma Marino a Filadelfia non era frutto di un invito dello stesso Pontefice, né dei suoi collaboratori, bensì di una iniziativa personale di Marino. E nel suo sproloquio successivo il commentatore ha aggiunto una sciocca quanto inutile giustificazione che grosso modo suonava così: “ma come, il sindaco di Roma che avrà l’onere di organizzare la logistica della città in vista del prossimo giubileo della Misericordia, si meritava un simile trattamento dal Papa?” E qui occorre fare un poco di ordine sulla faccenda. In primo luogo sia il giornalista che sull’aereo ha fatto la domanda al Papa, sia il commentatore ospite di radio rai, ne altri eventuali che si sono accodati in tale querelle, non hanno reso un buon servigio né al Sindaco Marino, né alle testate per


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Attualità

3 ottobre 2015

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cui lavorano, né tantomeno al Papa che tali tipi di servigi non li chiede ne immagina minimamente di averli. Bene ha fatto il Papa a precisare, anche per il bene di Marino, che la presenza del sindaco di Roma era a titolo strettamente personale. Altrimenti, solo per fare piacere a qualcuno avrebbe dovuto dire che c’era stato un invito ufficiale? Un’idiozia bella e buona, tanto più che lo stesso Marino aveva precisato in anticipo che la sua missione in America era il frutto di un invito del suo collega sindaco di Filadelfia e con spese a totale carico della municipalità di quella città. Ma poi ragioniamoci attentamente: avrebbe avuto un senso un invito del Papa al sindaco di Roma? In caso affermativo, anche i sindaci delle altre città d’Italia avrebbero legittimamente potuto lamentarsi di un mancato invito. Ragazzi, il Papa ha cose ben più importanti cui pensare e dedicarsi, piuttosto che compilare liste di invitati speciali e particolari. Il Papa incarna in prima persona e con perfetta coerenza le cose che dice ed invita a fare a tutti i cattolici: essere Chiesa in uscita! I PINI SULLA BORBONICA E GLI ALBERI SALVATI SULL’ISOLA

Sembra che alla fine il sindaco di Forio Del Deo l’abbia spuntata sulla Soprintendenza e su quanti a vario titolo si sono schierati a favore della conservazione del verde. Gli alberi di pino che hanno dissestato e resa pericolosa la circolazione stradale sulla Borbonica (solo sulla tratta di competenza del comune di Forio?) verranno ora recisi. Alcuni sono già seccati in maniera più che sospetta e niente si è fatto per scoprire modalità ed eventuali responsabilità. Il mio parere l’avevo già espresso in occasione dell’uscita di un mio speciale uscito su Kaire all’inizio del 2015 sotto il titolo ALBERI, NEL CUORE DEI PAESAGGI. C’erano più soluzioni, tra cui anche quella di un taglio selettivo progettato con criteri razionali che avrebbe consentito di conservare in gran parte la connotazione paesaggistica conferita dai pini, e nel contempo avere un buon risultato nella integrità della carreggiata stradale e quindi della sicurezza veicolare. Qualcuno potrebbe obbiettare che altri alberi sono stati tagliati lungo le strade dell’isola. E’ vero, ma occorre distinguere i casi nei quali i pini sono divenuti pericolosi perché a rischio di crollo al suolo, da

altri di diversa natura. Nel caso della Borbonica nessun albero corre il rischio di cadere al suolo, e per il manto stradale si poteva tentare di progettare qualcosa di diverso. Intanto mi fa molto piacere dare una buona notizia: due alberi già destinati ad essere tagliati sono stati invece risparmiati, quindi salvati. Il mio modesto contributo è valso allo scopo. Un pino secolare a via Piano, in territorio di Barano, già oggetto di Ordinanza Sindacale di abbattimento, su rivisitazione della sua condizione è stato potato in maniera intelligente, così facendo rientrare il pericolo di crollo al suolo. Una

palma altissima sul porto di Ischia, in proprietà privata, con un decreto del Servizio Fitosanitario Regionale era stata ritenuta definitivamente morta per attacco di punteruolo rosso. Su segnalazione di un cittadino il comune di Ischia impugna il decreto regionale. La mia perizia stabilisce che la palma può riprendersi. Taglio sospeso, potatura di risanamento e trattamento fitosanitario curativo eseguito su mia indicazione. Palma salva, guarita, svetta sulla banchina olimpica, dove fino a pochi mesi orsono era la sede dello yacht club. matterafr.agrischia@libero.it

LETTERA AL DIRETTORE

Forio non fu bombardata dai tedeschi, ma dagli angloamericani Massimo Coppa scrive

FRANCESCO MATTERA RISPONDE

Caro Direttore, “Kaire” ha un’audience molto vasta, per cui non posso – in coscienza – avallare un clamoroso episodio di (sicuramente involontaria) disinformazione apparso nell’ultimo numero. Alla fine di un lungo servizio sul bosco della Falanga leggo, sobbalzando sulla sedia, che vi è ancora oggi una voragine causata da una delle bombe che caddero anche su Forio ad opera di aerei tedeschi alla fine della seconda guerra mondiale.Lo storico Nino d’Ambra ha dimostrato da anni, al di là di ogni ragionevole dubbio, che le bombe cadute su Forio nella notte susseguente all’armistizio dell’8 settembre 1943, che causarono tredici morti, oltre ai feriti ed alle distruzioni, vennero sganciate da aerei “alleati”, probabilmente inglesi, che forse scambiarono la zona di San Vito per Sant’Angelo, dove vi era un distaccamento tedesco. Furono bombe angloamericane, dunque, non tedesche. I tedeschi, per fortuna, non hanno mai bombardato l’isola d’Ischia: del resto sarebbe stato illogico, visto che eravamo territorio italiano nel pieno controllo di fascisti e tedeschi. Proprio nel mese di settembre Nino d’Ambra ha organizzato due visite guidate tra i rioni bombardati: ancora oggi alcuni palazzi mostrano le rovine. Grazie per l’ospitalità.

Rispondo volentieri alla lettera di Massimo Coppa. Intanto mi fa molto piacere di annoverarlo tra i miei lettori, in quanto alla disinformazione, è giusto e sacrosanto farla notare per correggere il mio errore. Ahimè non sono uno storico, e mi è sfuggita dalle mani una pastrocchiata! Chissà quante volte ho letto e quindi risaputo che si trattava di aerei anglo-americani. Un erroraccio clamoroso degno di bacchettate sulle mani! Chiedo sinceramente scusa ai lettori per lo spiacevole refuso storico in cui sono incappato. La delicatezza di Massimo Coppa si spinge fino al punto di non riportare il mio nome quale autore del clamoroso errore storico individuato nel servizio. Sono commosso! Poteva, se lo avesse voluto, dare anche un giudizio complessivo sul mio scritto. Ma va bene così, le cosucce che ho narrato fino ad oggi non fanno sobbalzare nessuno, o meglio provocano una qualche emozione in pochi e sparuti lettori. Ebbene, sono felice e soddisfatto anche per uno e uno solo di questi lettori che ogni settimana aspetta il mio servizio su questo settimanale. Cordialità a Massimo Coppa ed alla vasta platea di Kaire. Francesco Mattera

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Salvaguardia del Creato 3 ottobre 2015

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TERRA DEI FUOCHI E NON SOLO Il Cardinale Crescenzio Sepe insieme ai vescovi campani – tra cui il nostro Vescovo Pietro – ad Acerra in occasione della X Giornata per la custodia del Creato.

Da Antonio Maria Mira

«R

iconosciamo che, per avidità di guadagno, politici, imprenditori disonesti, insieme con criminali affiliati alla malavita, hanno prodotto inquinamento con rifiuti tossici, provocando effetti sulla salute e centinaia di morti premature». Si alza drammatica nella cattedrale di Acerra la richiesta di perdono a Dio. È il momento conclusivo della X Giornata per la custodia del Creato promossa dalla Chiesa campana sul tema ‘Ricostruire la città’. Momento di preghie-

L’ambiente ha bisogno di fatti ra dopo una giornata di dialogo tra cittadini e istituzioni sostenuto proprio dalla Chiesa. Nella cattedrale tutti i vescovi della Campania, decine di sacerdoti e centinaia di fedeli. E in prima fila anche i rappresentanti delle istituzioni che spesso non hanno difeso questa terra. E così la richiesta di perdono è anche per loro. «Riconosciamo che debole è stata la reazione di coloro che sono impegnati nelle istituzio-

ni e alcuni di loro, contagiati dalla corruzione, sono divenuti sempre più distanti dai bisogni delle popolazioni». Ma le responsabilità sono generali. «Riconosciamo che tutti siamo stati indifferenti al bene comune e abbiamo permesso che i padroni del potere e del denaro devastassero le nostre terre e le nostre acque, avvelenassero la nostra aria, uccidessero i nostri figli». Poi in coro la proclamazione degli impegni. «Ci impegniamo a prenderci cura della casa comune, della nostra madre terra. Ad essere sentinelle del creato e ad esercitare forme di vigilanza attiva. A partecipare alla ricostruzione della città, perchè sia davvero ‘a misura di bambino’. A educarci a nuovi stili di vita, improntati alla sobrietà e al consumo responsabile. Chiediamo alle istituzioni di impegnarsi a promuovere la massima trasparenza. A favorire la partecipazione negli abitanti nelle diverse fasi di progettazione, attuazione e controllo di opere riguardanti l’ambiente; ad assumere la salute pubblica, specialmente quella dei bambini, come stella polare dei processi decisionali». È la sintesi delle ‘attese’ che precedentemente sono state presentate alle autorità. Perché come sottolinea l’arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe, “la diagnosi ormai l’abbiamo, serve la cura. Ognuno si assuma la sua responsabilità. Dobbiamo passare dai buoni propositi ai fatti concreti e in questo noi Chiesa campana siamo impegnati favorendo un cammino di collaborazione, perchè non possiamo far finta di niente di fronte alle persone, ai figli di Dio che soffrono e sono offesi. Questo è un peccato contro l’uomo e contro Dio”. È quanto afferma anche

il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, che in un messaggio sottolinea la «comune responsabilità di custodi della creazione e del disegno di Dio iscritto nella natura, sempre pronti ad ostacolare i segni di distruzione e di morte che accompagnano il cammino dell’umanità». Dal presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, arrivano precisi impegni. «Entro poche settimane ricostituiremo il registro tumori per dare serenità alle famiglie». Ammette che «sulle bonifiche non è stato fatto niente » mentre i fondi per tutelare i prodotti campani, ben 20 milioni, «sono stati spesi per concerti e addirittura 800mila per un Capodanno in Brasile, una bestialità». Per quanto riguarda il monitoraggio della diossina i dati saranno presentati il 18 all’Expo ma anticipa che «sono soddisfacenti per terra e acqua e un po’ preoccupanti per l’aria». Conferma il «no a nuovi termovalorizzatori e discariche». Per l’impianto di Acerra «porte aperte anche alle associazioni, ma dovete fidarvi delle istituzioni». Infine le ecoballe. «Faremo pulizia cominciando entro l’anno ma servono 500 milioni. Ho detto a Renzi che deve cacciare i soldi perchè ne perde l’immagine del Paese». Fatti concreti. «Abbiamo ascoltato motivi di speranza – commenta il vescovo di Acerra, monsignor Antonio Di Donna – a partire dalla Chiesa tutta unita, non più solo una élite. La custodia del Creato dipende da me, da te, da tutti noi». Così, come scriveva don Tonino Bello, «il deserto finalmente ridiventerà giardino». Nelle foto il vescovo di Acerra Mons. Antonio Di Donna e durante il convegno con il Vescovo Lagnese


Personaggi

3 ottobre 2015

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Primo anniversario della scomparsa di Sparaspilli

Di Antonio Lubrano

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l 21 settembre scorso ricorre un anno che Sparaspilli ci ha lasciati. E’ stato ricordato con una messa in suffragio nella chiesa dello Spirito Santo in Ischia Ponte. Sarebbe stato per lui l’anno delle 95 primavere. In passato, Sparaspilli, al secolo Giovanni Lauro, sui suoi compleanni ci passava sopra, nel senso che non li festeggiava. Prendeva atto che l’età faceva il suo corso e non se ne curava più di tanto. Poi sono arrivati gli anni importanti: 80, 85, 90 e 94. Queste date non potevano passare inosservate. Sparaspilli si accorgeva che stava diventando

“adulto”. Allora, cosa fare, brindare solo e finirla lì? Non era da Sparaspilli: o tutto o niente. Questa era la sua filosofia. Quel “tutto”, per Sparaspilli significava banchettare con gli amici fino all’ultima pietanza e cantare e suonare con la strumentazione che aveva di recente rinnovato (mandolino, tamburi, triccaballacchi e putipù) tenuta gelosamente conservata e tirata fuori nelle occasioni solenni che si presentavano. Quindi, la sua prima vera festa di compleanno, è stata quella del 2000, anno storico universale, in cui aveva compiuto nientemeno che 80 anni. Nell’am-

GLI PIACEVA PENSARE DI AVER “RISCOPERTO” LA GRECIA

Sparaspilli: ora sta vivendo un’altra vita!

Di Michele Lubrano

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i piccava, a ragione, di aver riscoperto la Grecia, che aveva elevato a sua terza patria dopo l’Italia e l’America, per via di trascorsi bellici che lo videro,

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nell’ultimo conflitto mondiale, tra gli italiani bloccati in terra ellenica e precisamente nell’isola di Lipsi, dopo l’affondamento della nave dove da militare della marina era

pia casa di suo nipote Alberto Benucci, in San Pedro di California fu organizzata per quella occasione, la prima grande festa. Erano stati invitati tutti gli amici: da Tony Pirozzi a Tony Tommasetti e consorte Teresa, da Michele Guarino a Gino Battaglia, da Gianni Cerami a Massarella vedova dell’amico di catena Vincenzo Barile scomparso l’anno prima, da Renata Vanni a Gino Camera, da Franco Nanci a Gaetano D’Aquino, da Colao a Renato Romano, da Carlo Rambaldi, al Console d’Italia a Los Angeles Boniver, e tutti i suoi familiari. La festa fu davvero bella. Da lì partì il festoso rituale dei suoi compleanni da celebrare, che secondo i piani di Sparaspilli, doveva continuare a scadenza quinquennale con qualche possibile intermezzo anticipato, fino ai 95 e ai 100 ed oltre… Il 4 febbraio del 2014 scorso, nell’annunciare l’arrivo del suo 94esimo compleanno avevo scritto su un quotidiano locale chiedendogli di raccontare di se stesso e della sua vita passata nella Ischia di altri tempi. Sparaspilli non si lascia pregare: “Al vicolo dell’Addolorata, in faccia a sagliute ‘e l’Arzo”, il 4 di febbraio 1920 nascette nu’ cardillo. Da adulto, poi, divenne Sparaspilli. E qui -continua Giovanni Sparaspilli - si parla di una Ischia di circa un secolo fa. La Radio nacque in

Italia nell’anno 1924, ma a Ischia non l’aveva nessuno. Solo nel 1926 i ragazzi andavano a curiosare fuori all’ufficio del notaio Bonaventura Mazzella. Quando Lui, con la cuffia, ascoltava la Radio Galena, la tecnologia non era ancora nata. Niente televisione, niente computer, niente telefonino, iPad o iPhone. Parliamo di una Ischia di quando al posto del termosifone, c’era il braciere. Circolavano sulle strade di Ischia poche biciclette, tante carrozzelle e carrette trainate da cavalli, muli e asini. Il primo centralino telefonico venne installato al Borgo dei palazzi di fronte alla Cattedrale, un piccolo locale tra il salone di Ciro Carcaterra e il Caffè Fiorinda degli sciacquatazze, ne erano titolare le due sorelle De Luca, Concettina e Giuseppina, figlie dello pseudo avvocato ‘U Mbruglione di Campagnano”. Dopo il successo del suo primo libro “In Cielo e in Terra” in cui in filastrocca, ma anche in prosa “impegnata” descrisse fatti e singolari profili di personaggi passati a miglior vita, era riuscito a completare un’altra sua fatica letteraria che avrebbe voluto presentare agli amici alla festa del 95esimo compleanno. Non ce la fece, e così tutta quella raccolta di nuovi pensieri è diventata il suo nuovo libro postumo ancora in corso di stampa.

imbarcato. Nell’ultimo decennio di vita vi è tornato con noi più di una volta rivisitando luoghi e rinverdendo ricordi incancellabili. Aveva deciso di tornarvi ancora, senza però riuscirvi. Ora è un anno che non c’è più. Sparaspilli compare sul palcoscenico della vita, vissuta e recitata, con la indimenticabile e divertente commedia “Ma chi è…” rappresentata nella sua prima gioventù, nella saletta teatrale della Filodrammatica Fisalugo annessa al Seminario di Ischia Ponte. Quell’esperienza fu la svolta della sua vita, perché, non solo ereditò per sempre il nome del personaggio che interpretò, per l’appunto Sparaspilli, ma con esso, ha dovuto anche conviverci, fino a diventare una sola identità, sopratutto fra gli amici che lo ricercavano per questo ed anche per altro. La sua scomparsa rattrista ancora la lunga schiera di amici che aveva, specie quelli tradizionali come i sottoscritti e i tanti nuovi acquisiti sul “campo” dove Sparaspilli ha sempre tenuto scena da par suo. Con

questi ultimi e non solo, avena scoperto e vissuto nuove esperienze di convivenza amicale, concretizzate in incontri festosi che quasi sempre finivano in allegria intorno ad una tavola riccamente imbandita. Sparaspilli, oltre ad essere stato una bella persona, era di grande compagnia, sempre pronto a tener su gli animi degli amici e dimostrare per essi, larga disponibilità in tutte le circostanze. Il suo senso della vita è stato quello di averla vissuta fino in fondo. Sparaspilli ha viaggiato tanto, raggiungendo perfino l’Egitto e l’Argentina, oltre a visitare più volte la Grecia. Giovanni Lauro, il nostro Sparaspilli, è già un anno che non è più con noi. Ormai bisogna farsene una ragione: non lo sentiremo più al telefono e né programmeremo insieme il prossimo viaggio nella “sua” amata Grecia. Sparaspilli è partito già da un anno per altri lidi. Ha già incontrato in cielo, gli amici personaggi del suo libro. Questa volta sul serio, e con essi sta vivendo un’altra vita.


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BIBLE WORKS Una parola per la Bibbia 3 ottobre 2015

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SPIRITUALITÀ BIBLICA Di Diac. Giuseppe Iacono

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ella tradizione apocalittica Daniele vede apparire in visione il figlio dell’uomo sulle nubi del cielo (Dn 7,13) che riceve il dominio universale. Da tutto il contesto appare che la conclusione e il trapasso dei quattro regni umani a quello di Dio non sarebbe avvenuto senza la collaborazione di un particolare inviato di Dio: appunto il figlio dell’uomo. La visione è quindi non solo escatologica ma messianica. Il problema più discusso è questo: bisogna intendere il figlio dell’uomo in senso collettivo, e cioè come rappresentante dei santi, oppure è una singola persona distinta da collegare forse con il messia? L’interpretazione tradizionale vede nel figlio dell’uomo una collettività, la personificazione degli angeli che sono spesso ricordati anche in altre parti del libro di Daniele. Quest’opinione non è infondata se si tiene conto del grande uso biblico della cosiddetta personalità corporativa. Essa però non tiene conto oltre che dell’uso fattone da Gesù (s’incontra solo in Marco 14 volte), anche di molti elementi del testo, i quali

La tradizione apocalittica

“il figlio dell’uomo”

orientano verso un’interpretazione individuale. È possibile che Daniele si rifaccia alla tradizione biblica precedente, in modo particolare a

Ezechiele e all’uso frequente (ben 93 volte) che egli fa di ben ‘adam (figlio dell’uomo). Il personaggio misterioso del Figlio dell’uomo di Daniele è una specie di manifestazione visibile del Dio invisibile; appartiene alla sfera del divino ed è come un’incarnazione della gloria divina, come l’immagine umana contemplata da Ezechiele. L’oscillazione tra il senso collettivo e quello individuale è rilevabile nella letteratura biblica e giudaica anche nei riguardi del messianismo. Durante l’esilio il Deuteroisaia comunica la persuasione che è il popolo d’Israele il depositario delle promesse messianiche. L’idea di un messia personale s’esprime nell’attesa di un figlio di Davide e nei canti del servo di JHWH. La figura del figlio dell’uomo in senso individuale appare dopo il libro di Daniele nel libro (etiopico) di Enoch, detto Libro delle Parabole. L’interpretazione collettiva del figlio dell’uomo ha una certa affinità con l’interpretazione collettiva del servo di JHWH. È stato fatto un accostamento assai suggestivo tra Is 52 e Dn 11 e 12. La finale dell’apocalisse di Daniele rappresenta un gruppo di giusti e di dotti (mashkilìm) che insegnano alla moltitudine e la giustificano, ma cadono di spada e vengono dati alle fiamme, questo li purifica e permette loro di conoscere la gloria della resurrezione, quando il mon-

do futuro succede al mondo presente. Questo destino eccezionale ricorda fino a qualche dettaglio quello del servo sofferente. Anche il servo di JHWH è colpito a morte e tolto dalla terra dei viventi, ha giustificato la moltitudine e ha condiviso il bottino con i potenti. Ma anche l’interpretazione personale individuale assicura che né il messia, né il figlio dell’uomo, né il servo di JHWH venne concepito come un essere divino, ma come un essere ricco di doni e di aiuti da parte di Dio. Se però studiamo attentamente il contesto della visione danielica si vede che il figlio dell’uomo avanza verso l’anziano dei giorni proveniente dalle nubi del cielo (Dn 7,13). Conosciamo il valore simbolico delle nubi nella teologia biblica. Su 100 volte che il termine nube (‘anan) ricorre nella Bibbia, almeno 70 volte indica un’apparizione o una presenza di Dio. Certamente Daniele usando questo termine vuole esprimere la convinzione che nel figlio dell’uomo, nel messia, c’era un essere che apparteneva alla categoria del divino. Ecco perché il titolo di figlio dell’uomo diventa da parte di Gesù e degli apostoli un titolo particolarmente messianico, capace di manifestare il messia sofferente e il messia glorioso. E questo nel racconto della passione raggiunge una vera pienezza dottrinale.


BIBLE WORKS Una parola per la Bibbia

19 3 ottobre 2015

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STUDI BIBLICI

La memoria biblica degli uomini e dei luoghi

Abramo ad Ebron: memoria comune alle tre religioni Di Don Cristian Solmonese

E

bron, chiamata anche Kiriath’Arba, è la città più importante del sud della Giudea. Le tradizioni ebraiche, cristiane e musulmane vi venerano la memoria del loro comune antenato Abramo, primo discepolo di Dio. Se si segue il filo conduttore del racconto biblico della Genesi, è in realtà a Ebron che il patriarca Abramo ha vissuto i momenti più importanti della sua vita. Dopo aver lasciato Harran, dove era insediato con i suoi dopo la sua migrazione da Ur in Mesopotamia, le sue peregrinazioni lo hanno condotto più di una volta a Ebron. Là in una località chiamata “la quercia di Mamre”, egli pianta le sue tende dopo essersi separato dal nipote Lot; là nasce Ismaele, figlio della sua schiava Agar; sempre lì gli appare uno sconosciuto visitatore che gli preannuncia la nascita di Isacco da Sara che aveva 90 anni! È sempre a Ebron che Sara muore a 127 anni. Là Abramo sceglie la sua sepoltura per se e per i suoi cari. In breve nel racconto biblico è a Ebron che il patriarca pone le sue radici. La città di Ebron ha conservato le tracce di questa tradizione. La più importante è la tomba dei patriarchi, cioè il Santuario dell’Amico (dall’arabo) in omaggio alla fedeltà di Abramo verso Dio. Questo edificio si attribuisce ad

Erode il Grande (40 a.C.) è un’ampia corte delimitata da un recinto in pietre tagliate a fenditure. La grotta sacra si trovava all’interno al centro dell’edificio? Possiamo solo immaginarlo, perché il solo accesso ad una grotta è stato sbarrato nel XIII sec. Un altro sito conserva la memoria di Abramo: una piccola sommità di 3 km a nord di Ebron; consiste in un vasto recinto di pietre intagliate attribuito anch’esso ad Erode il Grande. Là la tradizione colloca la quercia di Mamre. Al centro vi è un grande altare per ricordare quello che Abramo aveva innalzato per il Signore (Gn 13,18) e in un angolo un pozzo presso il quale Abramo aveva accolto i suoi visitatori (Gn 18,4). Una memoria più breve. Nel XX sec. quando si cominciò a mettere in discussione l’autenticità della storia de patriarchi, gli archeologi hanno voluto verificare l’autenticità delle tradizioni dei soggiorni di Abramo ad Ebron. I loro studi furono molto discordanti. Nel 1920 un archeologo tedesco Andreas Mader studiando il luogo di Mamre portò alla luce un culto pre erodiano; ma nuovi scavi hanno confutato e affermarono che il primo insediamento fosse stato di Erode per venerare una divinità dal nome Qos. Concluse che il culto di Abramo a questo punto sarebbe stato insediato dai cristiani. Nel 1967 un americano,

Hammond, confutò nuovamente il tutto riconducendo quel luogo al III millennio a.C. In definitiva l’archeologia presentò un bilancio nè caldo nè freddo: da un lato essa seguiva e confermava l’occupazione di Abramo in quel luogo, ma falliva nel seguire le tracce della sua memoria prima del I secolo a.C. La storia dietro la leggenda. A Conclusione possiamo dire che un cittadino Abramo non è mai esistito? Non necessariamente. Se egli fu un cittadino eminente della città di Ebron, la sua biografia ha potuto essere eclissata dal mito che egli ha generato. Bisogna chiedersi come la Bibbia ha ereditato tutte

queste storie? Secondo l’esegeta Thomas Romer professore presso il Collegio di Francia, le tradizioni patriarcali sono state riunite ed editate sotto forma di un racconto continuo nel VI-V sec a.C., dopo il ritorno dall’esilio in Babilonia. Questo lavoro sarebbe opera del clero di Gerusalemme che, preoccupato di rifondare l’unità delle comunità israelitiche disperse, ha composto un grande affresco delle origini in cui ciascuno poteva trovare la sua collocazione. Commenta Romer: «In quest’epoca Abramo era senza dubbio l’eroe popolare del sud della Giudea, con cui gli israeliti coabitavano con popolazioni arabe, ismaelite ed edonite. La sua tomba ad Ebron era probabilmente oggetto di una grande venerazione e sul suo conto girava ogni genere di leggende. Il fatto che i sacerdoti abbiano posto Abramo alla testa della genealogia patriarcale, malgrado la loro avversione per i culti locali, sottolinea l’attaccamento illimitato che i giudei avevano per il proprio eroe. Era forse per loro, anche un modo per difendere la coabitazione con i vicini arabi come un dato naturale dell’identità ebraica contro la segregazione predicata dagli scribi deuteronomisti».


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Liturgia 3 ottobre 2015

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Commento al Vangelo

Domenica 4 ottobre 2015

L’uomo non separi! Di Don Cristian Solmonese

C

ari amici, in questa domenica per noi speciale poiché cominciano i lavori del Sinodo sulle sfide pastorali della famiglia, il vangelo ci fa ascoltare una frase lapidaria di Gesù: l’uomo non osi separare ciò che Dio ha unito! Con questa espressione possiamo affacciarci sul mondo degli affetti, sul mondo delle sensazioni gioiose. Tutti noi portiamo nel cuore il momento in cui abbiamo conosciuto le persone importanti; ci ricordiamo del nostro migliore amico, di quando lo abbiamo conosciuto, se per strada o ad una festa; ci ricordiamo se abbiamo incontrato il proprio ragazzo o la propria ragazza per caso; sempre portiamo nel cuore anche il bene che proviamo per una persona e lo dimostri, cercandola col messaggio, con facebook, con una telefonata o facendo un giro insieme; custodiamo nel cuore anche sentimenti di gelosia per qualcuno; infine quante volte nonostante le difficoltà abbiamo continuato, le abbiamo provate tutte per salvare il bene. Questo bene è nostro, ce lo siamo costruiti con sentimenti, complicità, lotte, litigi, delusioni, altalene di sentimenti. Non dobbiamo rendere conto a nessuno di quello che c’è tra noi! Quante volte sentiamo questi discorsi dalla bocca di due persone che o amici o innamorati, si vogliono bene. Ma nessuno di noi sospetta che dietro di noi, dietro le nostre amicizie e i nostri amori, i nostri pensieri il cercarci, le ansie, dietro le nostre spalle c’è Dio, uno sguardo d’amore. Quando ci vogliamo bene, quando amiamo, mobilitiamo il Creatore stesso, tocchiamo un nervo che fa aprire il cielo e fa saltare Dio dal letto perché sulla terra egli si incarna di nuovo. Si! Dio si incarna nel nostro amare, nel nostro volerci bene. Dio non sta nella pelle quando due persone si vogliono bene.

Questo amore, questo bene è un amore che non muore perché ha la forza stessa di Dio. E Cristo non abbandona mai questo bene come non ha abbandonato mai l’umanità e la Chiesa neanche quando lo inchiodavano sulla croce; cosi anche l’amore si conserva per sempre anche se esso è diventato una crocifissione (per incompatibilità di carattere, per una malattia, per necessità, per noia, per strumentalizzazione). Per chi crede, Cristo è sempre li a dare forza, conforto, speranza. Nei giorni felici dobbiamo impregnarci di questo spirito perché potremo continuare a vivere con questa speranza nelle ore difficili. L’uomo non separi il bene di Due persone con gelosie, paure, insicurezze, dubbi, con muri umani. Ecco perché dobbiamo essere come bambini; “Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso”. Stupisce costatare l›importanza che Gesù attribuisce al bambino, rivolgendosi a tutti con le parole: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,3). Essere bambino non è dunque per Gesù una tappa semplicemente temporanea della vita dell›uomo, che viene dal suo destino biologico, e che dovrà in seguito scomparire totalmente. Nell›infanzia, ciò che è proprio dell›uomo si realizza in modo tale che chi ha perso l›essenza dell›infanzia ha perso se stesso. Partendo da ciò, e ponendoci dal punto di vista umano, possiamo immaginare quale felice ricordo Cristo dovesse avere dei giorni della sua infanzia, quanto l’infanzia fosse rimasta in lui un’esperienza preziosa, una forma particolarmente pura di umanità. E partendo da ciò, potremo imparare ad avere uno sguardo particolare sul bambino che, disarmato, si affida al nostro amore. Ma soprattutto ci si pone la seguente domanda: qual è precisamente il tratto caratteristico dell’infanzia che Gesù considera insostituibile? Prima di tutto dobbiamo ricordare che l’attributo essenziale di Gesù, che esprime la sua dignità, è quello di “Figlio”. L’orientamento della sua vita, il motivo all’origine e l’obiettivo che l’hanno determinato, si esprimono in una sola parola: “Abba, Padre” (Mc 14,36; Gal 4,6).Gesù sapeva che non era mai solo e, fino all’ultimo grido sulla croce, ha obbedito a colui che chiamava “Padre”, completamente rivolto verso di lui. Questo solo permette di spiegare il perchè abbia rifiutato di definirsi re, o signore, o di attribuirsi qualsiasi altro titolo di potere, ma anzi sia ricorso ad un termine che potremmo tradurre anche con “bimbo”.


Ecclesia kaire@chiesaischia.it

21 3 ottobre 2015

Il beato transito del nostro serafico padre San Francesco Di Ordine francescano secolare di Forio

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l giorno 3 ottobre noi ricordiamo il beato transito del nostro Serafico Padre S. Francesco. Perché “transito” e non morte? Perché S. Francesco è passato da questa vita ad un’altra vita, per godere di quella felicità promessagli dal Suo Signore. Per San Francesco e i suoi compagni, la morte è il termine normale della vita (1 Cel 109:508). Nessuno può sottrarsi al suo dominio. Essa è la «nostra morte corporale dalla quale nullo omo vivente po’ scampare» (Cant 12:263). Essa forma l’inevitabile sfondo della vita, per cui vale la pena di prenderne coscienza: «Ricordate e pensate che il giorno della morte si avvicina» (Lrp 3:211). La morte è scritta nelle nostre strade, quale traccia, richiamo e segno del dramma spirituale, iniziato con la caduta di Adamo, dramma che segna l’umanità intera. S. Francesco ci insegna a capire la vera dimensione della posta in gioco che forma la nostra vita. Così lo vediamo metterci in guardia dal demonio, il grande ingannatore e il primo omicida: egli desidererebbe toglierci la posta in gioco. E’ quindi necessario aprire gli occhi: «Vedete, o ciechi, ingannati dai vostri nemici, cioè dalla carne, dal mondo e dal diavolo, che al corpo è cosa dolce fare il peccato ed è cosa amara servire Dio, poiché tutti i vizi e tutti i peccati escono e procedono dal cuore dell’uomo, come si dice nel Vangelo. E non avete niente di buono in questo mondo e neppure nell’altro. Credete di possedere a lungo la vanità di questo secolo, ma vi ingannate, poi-

ché verrà il giorno e l’ora che non pensate, non sapete ed ignorate» (2 Lf 69-71:204). Non ci dobbiamo ingannare sulle intenzioni di S. Francesco quando dice queste cose. Egli usa di volta in volta la paura del castigo e l’attrattiva della ricompensa. Il suo scopo non è tanto quello di scoraggiare quanto quello di provocare alla conversione. A noi che nascondiamo così facilmente una realtà che ci danneggia, il linguaggio di San Francesco ci sembra duro; ma tuttavia come suona giusto! San Francesco ci dice: «Fate penitenza, fate frutti degni di penitenza, perché sappiate che presto morirete… Beati coloro che muoiono nella penitenza, poiché saranno nel regno dei cieli». (Rnb 21,3-9:55). San Francesco va così liberamente incontro a sorella morte perché egli è spinto solo dall’amore e perché non è trattenuto da nessuna cosa. Egli prende la sua gioia dalla fedeltà di Madonna povertà (2 Cel 215:805). «Il Santo alzò le mani al cielo, glorificando il suo Cristo, poiché poteva andare libero a Lui senza impaccio di sorta» (2 Cel 216 :806). Il Celano passa inoltre ad indicarci l’ampiezza della libertà interiore entro la quale si collocò Francesco: quando, dopo d’aver calpestato le attrattive di questa vita mortale, se ne volò libero in cielo. Infatti dimostrò di stimare una infamia vivere secondo il mondo, amò i suoi fino alla fine, accolse la morte cantando» (2 Cel 214:804). Poiché poi nulla più c’era in comune tra lui e il mondo, poteva aspirare con tutto il suo essere alla gloria eterna e rispondere al suo Dio che lo chiamava.

La famiglia, comunione d’amore Di Antonio Magaldi

I

l nostro tempo ha bisogno di cristiani dal cuore conforme a quello di Cristo Gesù, capaci di chinarsi con tenerezza sulle ferite di un’umanità tanto provata; ha bisogno di cristiani che siano in attento ascolto dello Spirito di Dio, per essere autentici testimoni della Verità e dell’Amore, quali costruttori di comunione. Purtroppo, oggi, la bilancia si sposta da parte dell’egoismo, dell’individualismo, dell’amor proprio. Stiamo vivendo un periodo di passaggio epocale e quindi, anche in una situazione di crisi globale che stritola tutti i valori cristiani. Alla base c’è poca conoscenza del valore della persona umana nella sua dimensione e dignità naturale e soprannaturale. Quindi, la famiglia che è la cultura della vita umana, e cellula principale della società ed in relazione alla fede cristiana una piccola “Chiesa domestica”. Come già è scritto nella Gaudium et spes, “non dappertutto la dignità di questa istituzione brilla con identica chiarezza, poiché è oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal cosiddetto libero amore e di altre deformazioni. Per di più l’amore coniugale è molto spesso profanato dall’egoismo, dall’edonismo e da usi illeciti contro la generazione” (N. 47). Gesù ci insegna a considerare ogni essere umano in prospettiva fraterna in cui ognuno vive insieme con gli altri, in fiducia e confidenza, occorre vivere il cammino di fede immersi in un clima di serena e calma familiarità, sotto l’azione dello Spirito Consolatore, che ci fa sentire pronti ad accogliere il fondamento di ogni legame, Gesù ce lo ripete costantemente

è l’Amore: l’Amore per Dio e l’amore per il prossimo è la particolare spiritualità che deve accompagnare la vita matrimoniale. L’amore dell’uomo e della donna che si deve innestare nello stesso amore di Gesù Cristo, si traduce in atteggiamenti concreti di vita che riflettono le sfumature dell’Amore di Gesù per la Chiesa, per ciascun uomo. La vita coniugale, allora, come uno spartito musicale si sviluppa attraverso le note della tenerezza, della compassione, della misericordia, della dolcezza, dell’accoglienza, della fraternità, del calore della vita, della preghiera, del sacrificio, dell’offerta. Essa diventa la sinfonia del dono, del reciproco uscire da se stessi per diventare segno dell’amore di Dio, l’uno per l’altra e con tutti. In questo reciproco donarsi, l’amore coniugale diventa famiglia, cioè culla della vita. Nella famiglia la vita si schiude e viene custodita. Lo sposo e la sposa vivono un mandato speciale, una particolare missione: essere santi insieme per generare alla santità, cioè alla pienezza della vita di Dio i figli e quanti essa accoglie. La casa si trasforma in un luogo in cui la famiglia si esprime nella semplicità ed accoglie favorendo l’esperienza dell’autentica fraternità. La famiglia che vive sotto l’azione della Grazia Santificante, contribuisce a rendere famiglia anche la Chiesa; la comunione tra le famiglie, permette alla Chiesa di portare il grande dono dell’Amore reso visibile nel dono gratuito. Così lo Spirito di Dio quando entra in un anima irraggia la vita, l’immortalità, la santità.


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Cultura 3 ottobre 2015

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Il primo Festival Internazionale di Filosofia intitolato “La Filosofia, il Castello e la Torre” si è concluso il 27 settembre con un bellissimo incontro, presso il Castello Aragonese con il noto scrittore.

Erri De Luca a Ischia

Di Gina Menegazzi

G

iornalista, scrittore, poeta e traduttore, alpinista, ma anche operaio, muratore, ex membro di Lotta Continua, volontario in Africa, autista di convogli umanitari, tradotto in più di 30 lingue, e conoscitore di diverse lingue tra cui lo swahili, lo yiddish e l‘ebraico antico. Questo è Erri De Luca, personalità molto ricca quindi, per le sue scelte di vita, portate avanti con grande coerenza; per quella sua scrittura scabra come il suo viso, che scava nel lettore e arriva nel profondo; per quella sua umiltà e rispetto verso gli altri, che gli fa dire, tra l’altro: “Io non sono ateo, perché non ho escluso la divinità, né come ipotesi né come dato di fatto, dalla vita degli altri”. Napoletano, Erri De Luca ha passato tutte le estati della sua giovinezza, “da 0 a 16 anni”, a Ischia. Ora ci torna sporadicamente, e riesce a vedere, dell’isola, solo ciò che è rimasto uguale – “le ringhiere…le pietre…questo Castello…” –, cioè pochissimo, ma quanto gli basta per ricostruire l’intero. Nel suo intervento dedicato all’utensile parola, pur affermando di non essere credente, ha scelto di raccontare il suo incontro con le Sacre Scritture.

Era rimasto colpito da quella storia che non si rivolgeva a un lettore, che non lo prevedeva nemmeno. Una storia orale, in cui la divinità parlava continuamente, a voce alta, (il verbo più diffuso nell’Antico Testamento, riferito alla divinità, è il verbo dire), e quel dire faceva avvenire le cose. Tutti i sei giorni della creazione sono preceduti dal dire della divinità: le sue parole sono la scintilla che fa avvenire le cose che annuncia. In quel testo ha trovato il vertice dell’impiego dell’utensile parola, una parola che è direttamente fatto compiuto, non solo, ma che è responsabile di quello che dice: “finché le parole sono nella tua bocca tu sei il loro padrone, quando escono dalla tua bocca, tu sei il

loro servo. Sei tenuto a mantenerle, a rispettarle, a esse sei legato e vincolato.” E questo vale anche per la divinità, che, creando il mondo, ne è responsabile. “Quando Isaia invoca il Padre nostro, non lo fa al vocativo, come nella tradizione cristiana, ma all’accusativo: tu sei padre nostro, tu sei responsabile di quello che noi siamo, ci hai fatto tu di fango, con le tue mani, non ti puoi esimere dalla responsabilità di averci fatto così; non Abramo, Isacco sono i nostri padri, ma tu.” Questo valore della parola lo si ha fino alla fine della scrittura sacra. Il Nuovo Testamento termina con un processo e una condanna a morte, il culmine dell’esperienza di quella vita: in quel processo l’imputato conferma le sue parole, non le ritratta, le ribadisce, e viene condannato per quello che dice. Poi da quel patibolo pronuncia la frase più significativa: “Perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Lui chiede alla divinità di perdonare. Lui ha già perdonato, ma il suo perdono non è sufficiente, deve passare attraverso la chiamata alla divinità. E la divinità ha bisogno di essere chiamata, invocata, anche in maniera brusca, come fa Giobbe. Ha bisogno della voce che parte dal basso, della scintilla pilota, di qualcuno che gridi, che la chiami. E’ quel grido che le apre le orecchie, non perché sia sorda, ma perché ha bisogno di quel grido, ha bisogno di essere convocata. “Il perdono chiesto sul palo della croce è il più grande, perché Lui chiede il perdono per i suoi offensori. La parola non è mai stata usata in maniera più potente! Ed ecco che tutta la sua vita finita su quel patibolo della croce si compie del tutto attraverso quella parola: “Perdona loro…” Se non dicesse quella parola, tutta la sua vita sarebbe solamente un martirio, cioè una testimonianza, invece, con quella parola, quello strumento della croce non è più solamente uno strumento di morte ma è un trampolino di lancio per la salvezza di tutti gli altri. “Perdona loro”: lo sta dicendo per loro, ma anche per tutti gli altri, per le generazioni future. Non saprei trovare un traguardo più alto per l’utensile parola di quello raggiunto da quelle pagine.”


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Cultura

3 ottobre 2015

kaire@chiesaischia.it

L’ULTIMO VOLO Di Gina Menegazzi

U

no spettacolo forte, quello che sabato sera ha inaugurato la stagione teatrale, e il premio Aenaria, al Teatro Polifuzionale, uno spettacolo che ti inchiodava alla sedia e ti portavi poi a casa, per rifletterci, ancora ed ancora. Un po’ lenta, forse, all’inizio, per la lunga scena dell’autopresentazione dei giovani, l’opera di Gianni Clementi, presentata dalla compagnia di Roma la Bottega dei RebArdò per la regia di Enzo Ardone, ha poi dispiegato tutta la sua drammaticità.Siamo in Argentina, nel 1978, durante il campionato mondiale di calcio. Sul palco un gruppo di ex compagni di liceo: i loro amori, le loro simpatie, le loro piccole manie e i grandi sogni di ognuno. C’è chi si vergogna di raccontare le proprie passioni, chi è sempre pronto a scherzare, chi ama e non sa come dirlo, chi si preoccupa del figlio in arrivo. Per tutti il grande tifo per una delle due squadre di calcio più importanti del paese: il Boca e il River. Vite normali, “banali”, di giovani, uguali in tutto il mondo. A questi giovani si aggiunge un sacerdote, che soffre di essere “costretto” a dare assoluzione e comunione a quelli che sa essere assassini. Perché al governo c’è un regime tremendo, la giunta militare, che ha instaurato un sistema così repressivo per l’eliminazione di tutti gli oppositori, veri o presunti, che basta che durante una festa di compleanno i ragazzi cantino “Gracias a la vida” di Mercedes Sosa, invisa al regime, perché tutto cambi. E di colpo li ritroviamo legati e bendati a bordo di un elicottero pronto al decollo. La paura serpeggia, accompagnata da un lato dalla certezza della propria innocenza, dall’altro dai racconti, tanti, troppi, sentiti su quanto è successo ad altri giovani. Ma sono ragazzi, “che non hanno fatto niente”, e in certi momenti anche qui prevale la loro incoscienza, la loro normale voglia di vita. Così, la violenza gratuita di uno degli aguzzini risulta ancora più brutale e insensata. Ma il comandante di quella missione di morte si scopre essere un altro compagno di scuola, legato ai ragazzi dalle stesse passioni, gli stessi amori, le stesse partite di pallone… E l’orrore diventa ancora più grande, per la sua incapacità di opporsi agli ordini, di salvare i compagni.

Inaugurata la stagione teatrale al Polifunzionale con la prima opera in cartellone Così, se il desiderio comune di vittime e aguzzini di conoscere il risultato della finale in corso tra Argentina e Olanda crea una sospensione e una complicità tipica dei giovani, il destino dei ragazzi è segnato: verranno precipitati in mare “vicino al confini con l’Uruguay” e la stessa fine farà padre Ramiro, che ha avuto infine il coraggio di cacciare dalla chiesa, e dai sacramenti, uno dei responsabili di tanto orrore. L’unico salvatosi del gruppo, perché al momento dell’arresto era andato a cercare i dolci preferiti per sua compagna incinta, è Mariano, che testimonia la loro storia. Ci vorranno però le Madri di Plaza de Mayo per ritrovare, con altri bambini, le figlie di due di quelle ragazze, fatte partorire prima di sopprimerle. Il racconto, ispirato alle tante storie vere di quegli anni (sono stati almeno 30.000 i desaparecidos di cui si è persa ogni traccia, e 500 i bambini fatti nascere dagli squadroni della morte per essere poi dati in adozione a famiglie spesso del regime) vuole evitare ogni retorica e ti prende proprio per quel suo descrivere delle vite comuni, schiacciate da qualcosa di orrendo, di cui non avevano nemmeno avvertito la presenza. Bravi quindi, e coraggiosi, i ragazzi de la Bottega dei RebArdò, che hanno scelto un testo così “difficile”, che hanno voluto interrogarsi e interrogarci sul potere delle dittature le quali, dietro il paravento dell’ordine e della “riorganizzazione nazionale”, arrivano a fiaccare e distruggere un’intera generazione. Perché l’orrore non deve essere dimenticato, sia per evitare di ripeterlo, sia come forma di rispetto per tutti quelli che ne sono stati vittime.

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I PROSSIMI SPETTACOLI AL TEATRO POLIFUNZIONALE 2-3-4 ottobre: Uomini di Mondo (Ischia) in L’isola dei morti di Corrado Visone 10 ottobre: Luna Nuova (Latina) in La costruzione di Roberto Russo 17 ottobre: Ansiteatro (Aversa) in Don Peppe Diana, per non dimenticare – il musical di Giuseppe Capoluongo

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