Kaire 11 Anno III

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Il settimanale di informazione della Chiesa di Ischia ANNO 3 | numero 11 | 12 marzo 2016 | E 1,00

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VI CATECHESI GIUBILARE Il Card. Edoardo Menichelli, alla catechesi in Cattedrale: “Il perdono è martirio ma è vittoria. Se vuoi vincere devi perdere, devi saper perdere”. A pag. 4

L’isola dei santi mancati Di Filomena Sogliuzzo

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quest’isola mancano i santi”. Parole forti pronunciate dal nostro Vescovo durante l’omelia per la festa del santo patrono, parole che stridono con l’affluenza enorme di persone che, anche quest’anno c’è stata ad Ischia Ponte per rendere omaggio a S. Giovan Giuseppe perché anzi, a giudicare dai numeri e dai baci e bacetti lanciati al santo e al tabernacolo, è sembrato veramente di avere di fronte un popolo di santi. Tutti in silenzio, in ascolto. Ma chi ha veramente ascoltato? Chi continua a sfilare alle processioni indossando i segni del potere ma dimenticando che pochissime volte si è cinto i fianchi col grembiule del servizio? Anche se servire il bene comune e gli interessi del paese è il motivo per cui hanno indossato quei segni. Oppure le avrà ascoltate chi continua a confondere le pratiche religiose con la via verso la santità pensando di cavarsela con un rosario e qualche processione? Eppure tutte le catechesi, i corsi di formazione, gli incontri, le convivenze che ogni anno la Chiesa offre, continuano a parlare di comunione, di condivisione, di accoglienza, allora è vero che molti battezzati sono malati terminali a cui è inutile somministrare altre medicine? Sarà vero perché gli ischitani continuano a litigare e a maledire, a chiedere favori più che esercitare diritti,

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DON CARLO

ECCO LA VERITà! In esclusiva l’intervista al parroco di Ischia Ponte sui festeggiamenti del Santo Patrono senza fuochi né luminarie. “A dare un tono alla festa non sono certamente i colpi sparati al cielo o delle belle luminarie ma la preparazione spirituale ad essa”. E sul suo riferimento che potrebbe andar via da Ischia Ponte, “sono già 6 anni che sono qui e secondo il diritto canonico al termine dei 9 anni di servizio in una Parrocchia bisogna rilasciare al Vescovo la propria disponibilità a svolgere servizio in un’altra Comunità Parrocchiale”

PEDOFILIA La Chiesa ha fatto enormi errori. Mons Becciu: “La Chiesa si è svegliata tardi. Ma abbiamo fatto pulizia. Ora agire con decisione”!

SEGUIAMO FRANCESCO Tre anni di Pontificato, al fianco dei poveri. Così è cambiata la Chiesa dal 13 marzo 2013. Quali gli sviluppi futuri?

LEGALITÀ–LAVORO–DIGNITÀ Dialogo e confronto ad Ischia fra un imprenditore della terra dei fuochi e una donna ingegnere camerunense contro la corruzione. Esempi da seguire.

MADRE TERESA SANTA Papa Francesco firmerà il 15 marzo il decreto per la canonizzazione: un enorme dono per tutti .


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Primo Piano 12 marzo 2016

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L’isola dei santi mancati Lagnese: “A quest’isola mancano i santi. Forse anche qui abbiamo ceduto alla tentazione del guadagno facile, all’idolo della ricchezza…E abbiamo creduto di poter costruire una felicità solo per noi, anzi a discapito degli altri! Penso ai lavoratori mal pagati, costretti a volte a lavorare a nero, assicurati solo in parte, obbligati a turni iniqui di lavoro che non consentono il tempo per un giusto riposo e per l’incontro domenicale con il Signore”! Continua da pag. 1 a schierarsi con chi detiene il potere più che difendere i diritti dei più deboli. E che dire dei nostri imprenditori anch’essi frequentatori di processioni e parrocchie? L’edilizia procede senza rispettare alcuna norma sulla sicurezza del lavoro e lo stesso vale per le norme sulla giusta retribuzione e sugli orari di lavoro. Allo stesso modo alcuni albergatori e ristoratori continuano nello sfruttamento dei dipendenti imponendo orari e turni di lavoro che impediscono il dovuto riposo, non solo, continuano a versare contributi assistenziali falsificando il numero di ore effettivamente prestate dal lavoratore e questo quando va bene, viceversa si lavora in nero. Un capitolo a parte merita la mancata applicazione dell’art 37 della costituzione che recita: “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. A guardare le condizioni di lavoro delle donne ischitane e paragonandole a ciò a cui hanno diritto, mi scandalizzo. “A quest’isola mancano i santi” ha detto Mons. Lagnese, eppure siamo tutti battezzati cioè impegnati a farci santi, allora siamo un’isola di bugiardi che continuano a mentire innanzitutto a se stessi, preoccupati di apparire cristiani ma guardandoci bene dal convertirci? Sembrerebbe

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di si. I santi insegnano che la santità inquieta, perché è la condizione scomoda di chi patisce con i diseredati, con gli abusati dalle ingiustizie sociali, perché ci costringe a salire sulla croce di chi lotta per vedersi riconosciuti almeno i diritti fondamentali e la dignità. Saranno le persone inquiete, quelle che non si accontenteranno della propria comoda situazione, né si adatteranno a quella pietosa in cui versa la società umana, che bramando una maggiore pienezza di vita, daranno la propria adesione a Gesù. Gli integrati, i sicuri di sé, che non desiderano il cambiamento, gli rifiuteranno la loro adesione, il loro cuore. Si, io voglio essere inquieta. GG Lubrano

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Primo Piano

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La chiesa dello Spirito Santo, santuario di San Giovan Giuseppe della Croce, era gremita di gente vestita a festa per la messa celebrata dal Vescovo sabato 5 marzo solennità del Santo Patrono.

La solennità di San Giovan Giuseppe della Croce

Di Gina Menegazzi

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e autorità civili e militari in alta uniforme, e il sole che giocava con la grande croce d’oro posta alle spalle del sarcofago del Santo: sembrava che mandasse luce solo a lei, e che questa irradiasse poi su tutta la chiesa. Questa solennità, come ci ha ricor-

dato sua Eccellenza, deve diventare per noi un’opportunità per guardare alla nostra vita e interrogarci su dove siamo, perché, come San Giovan Giuseppe figlio di questa terra, anche noi possiamo e dobbiamo aspirare a diventare santi. “Che senso ha per i religiosi aver risposto alla chiamata di Dio, e per i laici aver accolto il dono del battesimo se non

per diventare santi? Se siamo colti dallo scoraggiamento – ha affermato il nostro Vescovo - e pensiamo che la santità non sia per noi accessibile, e che quindi non valga nemmeno la pena provarci, pensiamo invece che essa è possibile, perché quello che è impossibile agli uomini è possibile a Dio. Lasciamoci sorprendere da Dio!”

Dobbiamo quindi guardare a questo nostro Santo Patrono, non solo come a un amico e confidente perché interceda per noi, ma anche come a un modello cui ispirarci: i santi sono “indicatori di strada”; con la loro vita ci indicano la direzione da prendere. In un continuo parallelo tra le letture della Messa e la vita di San Giovan Giuseppe, Padre Pietro ne ha ricordato la ricerca assidua della sapienza, il rifiuto di ogni potere e al tempo stesso la dimensione apostolica e la grande capacità di ascolto e di accompagnamento spirituale. Interprete autentico di quella che oggi chiamiamo “Chiesa in uscita”, egli ha saputo ascoltare, accogliere, farsi ponte perché tanti incontrassero, in Gesù di Nazareth, il volto misericordioso del Padre. “Se Giovan Giuseppe della Croce seppe vivere nella sua vita un amore concreto per la gente, fu perché visse un amore grande per il Signore! Se perciò non sentiamo il desiderio di donarci per la gente, di impegnarci per chi non ha speranza, fermiamoci e interroghiamoci, perché forse qualcosa non va, forse abbiamo distolto lo sguardo da Gesù.” Il vangelo ancora una volta ci presenta la strada quale luogo dell’incontro tra Gesù e il suo interlocutore, la via come contesto capace di offrire l’occasione per un annuncio del Vangelo. Siamo chiamati come Gesù ad andare per strada per intercettare le domande inespresse di quanti, tanti, cercano motivi per vivere e sperare. “Non ci vogliono uomini speciali – ha sottolineato sua Eccellenza - ma semplicemente dei cristiani, veri, come San Giovan Giuseppe della Croce, non uomini religiosi ma cristiani, non praticanti soltanto ma credenti, non uomini perfetti ma peccatori perdonati, capaci di riconoscersi bisognosi di misericordia, che chiedono misericordia e la donano ai fratelli. Che la Vergine di Nazareth interceda per noi!”. GG Lubrano


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L' INTERVISTA

A ognuno di noi Dio indica una strada Di don Carlo Candido direttore ufficio Comunicazioni sociali

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minenza, ci racconta di quando le è arrivata la notizia che papa Francesco l’aveva nominata Cardinale? “Sono state le mie suore a comunicarmi di questa bontà del Papa. Era domenica 4 gennaio 2015, io ero nel mio studio e stavo preparando una riflessione per la liturgia pomeridiana. Sento uno strillo in casa e le mie suore, tutte esaltate “il Papa l’ha fatta Cardinale!”. Io ho risposto: “Andate a cucinare che forse è meglio!”, però contemporaneamente i telefonini hanno cominciato a squillare. Il Santo Padre mi ha chiamato il giorno dopo, con grande cordialità e grande paternità”. So che il Santo Padre vi ha anche scritto una lettera… “Sì, cito a memoria: ‘se prendete questo privilegio, questa chiamata del Papa, con superbia questo vi farà un grande male, un male più grande che se bevete un bicchiere di grappa a digiuno!’. Il Papa ci ha voluto far capire una cosa bella e necessaria: il cardinalato è un dono della Chiesa, non è un Sacramento, però la parola stessa che viene da cardine, cioè qualcosa che è fisso, e il colore che indossiamo e che richiama il sangue, il martirio ci devono ricordare che chi riceve questo dono deve essere capace di fedeltà al Papa, di comunione profonda con lui, e disposto, se questa è la volontà di Dio, a essere fedele alla Fede, cioè a Gesù Cristo, ecco ‘il martirio’”. Ha detto più volte che ha rischiato da ragazzo di diventare un delinquente. “Crescendo ho imparato una cosa: a calare la fede nella vita. E allora mi sono domandato: che cosa ho fatto per arrivare a questo punto? Non lo so. Però se guardo tutta la mia vita, vedo che il buon Dio ha costruito di passo in passo un suo piano. Io ho perso mio padre e mia madre all’età di undici anni. Mia mamma è morta dando alla luce mia sorella, la terza figlia, e il papà è morto dopo qualche mese, per la solitudine e per l’amore profondo che aveva verso questa donna. Quindi io, assieme ad altre due sorelle, eravamo persi. Sì può diventare un delinquente se non t’accoglie nessuno. Però c’è stata veramente la Provvidenza di Dio che ha cucito, passo passo… attraverso i miei nonni, il parroco, una famiglia di Roma che conoscevo perché ve-

nivano in vacanza nel mio paesello, dove avevano una villa, e presso cui mia mamma faceva la sarta… Avevo smesso la scuola ed ero andato a lavorare, e il lavoro, per i ragazzi di quel tempo in un paese, era il pastore. Anche questa è stata una sorta di educazione: quando il Papa dice che bisogna sentire l’odore delle pecore, io lo so bene l’odore delle pecore, e la loro cocciutaggine, e anche la fatica del pastore, perché se appena te le perdi, le perdi tutte, perché quelle poi non ti obbediscono più. Questa famiglia di Roma si è impegnata a farmi studiare e a quel tempo di grande povertà si andava in seminario perché era un posto sicuro, non era detto che diventavi sacerdote però studiavi, tutto sommato non era poi un grande impegno economico… Là mi sono trovato con tanti compagni, e altri nel seminario regionale; nel 1965 siamo diventati sacerdoti: eravamo 25, tuttora viventi, grazie a Dio, tranne uno. E tutti preti, perché… eravamo una classe indisciplinata! Io credo che il Signore lavori di più negli indisciplinati che nei santarelli. Poi viceparroco, e mi chiamano – ecco il mistero dell’obbedienza – a Roma negli anni 1966-67, ma il Vescovo dice di no, tre volte, tutte convocazioni che mi sarebbero molto piaciute, naturalmente. Il Vescovo si dimette, ne arriva un altro, e mi chiamano in un posto che non era proprio esaltante, ma il Vescovo dice: devi andare! Un altro modo in cui il buon Dio disegna la vita. Roma è una città “bella”, ma ti puoi anche perdere; altra grazia: un parroco di Roma dice “vieni da me”. E sono stato in parrocchia 24 anni. Vita comune, con i sacerdoti: lavoravo in Vaticano al mattino e poi dal pomeriggio in parrocchia. Poi c’è stato il cardinale Silvestrini che mi ha preso come segretario… chi aveva mai visto un cardinale da vicino? Bisogna mettersi in questa prospettiva, che vale per tutti: bisogna fidarsi di Dio, perché Dio vuole bene ai suoi figli, e a ognuno di noi indica una strada, consegna un compito, una vocazione che uno deve gestire con semplicità e in obbedienza a Lui”. Lei ha partecipato all’ultimo Sinodo: qualcosa di particolare che porta nel cuore? “Tante cose, naturalmente, ma due in particolare. La prima: il Sinodo è diventato un’occasione, per la chiesa tutta ma in modo particolare per noi vescovi e per i sacerdoti, per riamare il Matrimonio. Dobbiamo proprio

Il Card. Edoardo Menichelli si racconta ai lettori del settimanale diocesano Kaire

renderci conto che è un santuario, dove Dio celebra nella quotidianità, attraverso l’opera dei suoi figli, la testimonianza dell’amore–misericordia, dell’amore–dono, dell’amore-vita. La seconda cosa è che la famiglia è stata indicata come soggetto di pastorale. Quindi i due sacramenti ministeriali non sono uno più importante dell’altro, sono sacramenti alla pari e bisogna che collaborino insieme per la costruzione e la vita della Chiesa e per la santificazione della società. Con pazienza, nella verità e nella misericordia. C’è un altro invito, ovvio: noi non dobbiamo usurpare la grazia di Dio o la potenza del sacramento, dobbiamo servire. Questa è un’altra dimensione che Papa Francesco ci sta ricordando, testimoniando, cioè che tu

sei un servo della Parola, un servo della Grazia, non hai diritto di dire “tu sì, tu no”. Dobbiamo coniugare le due gemelle – come io le chiamo – Verità e Misericordia, ambedue figlie, gemelle, di Cristo: Cristo è Verità, Cristo è Misericordia. Non possiamo separarle, dobbiamo farle convivere, fare diventare strada la Verità, e la Misericordia la chiamerei l’unguento, la speranza. E’ necessario ma non facile”. Un’ultima domanda, un aneddoto su papa Francesco “Nessun aneddoto, posso solo dire che è un uomo di grande testimonianza: dice quel che dice, testimonia quel che testimonia, perché è libero e fortemente credente”. Giovan Giuseppe Lubrano


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La catechesi giubilare

Se vuoi vincere devi saper perdere L’Arcivescovo di Ancona – Osimo, Card. Edoardo Menichelli, giunto sulla nostra isola lunedì 7 marzo per la VI catechesi giubilare in cattedrale sulle opere di misericordia, prima di affrontare il tema: “Perdonare le offese”, loda le bellezze naturali che i suoi occhi hanno potuto ammirare e chiede a tutti gli abitanti di Ischia di preservare quanto il buon Dio ha donato con tanta larghezza.

Di Francesco Schiano

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uando ti trovi davanti a figure così belle come quella del card. Edoardo Menichelli sperimenti che davvero il Signore sceglie i piccoli e i semplici di cuore per confondere i forti di questo mondo. Un principe della Chiesa certo, ma prima di tutto un uomo gioioso che in Dio ha trovato la piena realizzazione di una vita che non gli si è presentata certamente facile e in discesa (ad undici anni la perdita dei genitori, il conseguente abbandono degli studi e il lavoro come pastore). “Converrete con me che tra tutte le opere di misericordia quella di perdonare le offese è forse proprio la più difficile”, spiega mons.

Menichelli, “eppure ci sono tante vie per viverla alla luce di Dio. Nel Padre nostro quando ripetiamo ‘rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori’, non possiamo pretendere di essere trattati diversamente da come trattiamo gli altri. Quante volte invece sentiamo espressioni come: ‘questa me la lego al dito!’ ‘Con quello/a ho chiuso, per me è come morto!’, ‘Voglio giustizia!’, ‘Non ti voglio più vedere!’; l’offesa ci destabilizza e provoca ferite interiori ma se sei ingrana la marcia dell’orgoglio essa ci spinge solo alla vendetta che innalza il muro che chiude ogni relazione. Nessuno vuole essere sottoposto ad un altro, penso qui soprattutto all’esperienza della famiglia tra i coniugi o tra e genitori e figli”.

Mons. Menichelli si lascia continuamente aiutare dalla Parola di Dio nel suo discorso che, seppur scritto, ha ben poco di preparato e sembra uscire proprio dal profondo del cuore: “Pietro chiede a Gesù quante volte dovrà perdonare il fratello che pecca contro di lui. Sette volte per noi sarebbe stato già un atto eroico, mentre il Maestro ci spinge oltre, ad un perdono totale e senza condizioni, come quando chiede a chi è stato offeso di andarsi a riconciliare con il suo fratello prima di presentare l’offerta all’altare. A cosa vale venire a Messa se siamo in lite con qualcuno? Perdonare è perdere due volte, perdere nell’offesa ricevuta e perdere nell’abbandonarsi all’Amore seppur feriti, il perdono è martirio ma è vittoria. Se vuoi vincere devi perdere, devi saper perdere”. Il cardinale ricorda come proprio

Cristo sia stato tradito da coloro i quali aveva scelto: “l’Amore soffre perché l’Amore non è mai un gioco! L’offesa da parte di quelli di casa, l’offesa di coloro che tu avevi scelto per amore è la più dura da digerire, eppure Gesù l’ha vissuta per primo; Giuda è un amico che lo ha venduto, Pietro un amico (già scelto come primo Papa della storia) che lo ha rinnegato. Eppure Gesù rimane fedele nell’Amore, e chiama Giuda amico rioffrendogli un Amore che lui non sa accogliere, mentre guarda Pietro con gli occhi della Misericordia senza condizioni, interrogandolo semplicemente sull’Amore verso di Lui” Infine una riflessione molto forte e significativa sul perdonarsi in famiglia: “La vita coniugale è un amore – scelta. Tutta la nostra vita è costellata di amori ricevuti e non cercati, mentre l’amore sponsale è certamente scelto: tra 20 donne interessanti tu dici Ti Amo ad una sola di esse, bella o brutta che sia. Oggi purtroppo viviamo un’inflazione di promesse non mantenute e sempre più presto assistiamo a frasi come: ‘non provo più nulla’, ‘non mi piaci più’. Eppure quella persona l’abbiamo scelta noi! Bisogna allenarsi alla pazienza e alle scuse non alle scusanti ad personam. Torniamo a casa la sera e diciamo a chi abbiamo vicino: ‘Amore ti perdono!’, anche quando non ci sono episodi specifici, ti perdono per qualunque offesa tu mi abbia potuto arrecare. La Misericordia è un dono che Dio ci fa e ci è chiesto di attuarlo a nostra volta con gli altri, perché essa rinnova pienamente la nostra vita di ogni giorno”.

PROSSIMI APPUNTAMENTI DIOCESANI Domenica 13 - Ritiro mensile delle Religiose con p. Nunzio Ammirati in Episcopio - Consulta diocesana della Pastorale Familiare: ore 16.00 – 20.00 (S. Messa compresa), in Episcopio Lunedì 14 - I incontro diocesano per animatori della liturgia con don Antonio Sorrentino: ore 16.00 in Episcopio Martedì 15 - PLENUM del Clero. Aggiornamento sul documento dei vescovi campani sulla liturgia, a cura di don Antonio Sorrentino e varie.

Mercoledì 16 - PELLEGRINAGGIO DIOCESANO GIUBILARE A ROMA Giovedì 17 - Webinar: 5° appuntamento del corso di formazione mensile on line via internet sulla preparazione al matrimonio, episcopio, ore 20.4022.30. Venerdì 18 - Via Crucis diocesana (a cura della P.G.), ore 20.00. Itinerario: parrocchia S. Maria la Porta (Piedimonte) - Vatoliere - Parrocchia San Giorgio (Testaccio).


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RUBRICA: LA MISERICORDIA E IL CONCILIO

12. Il dialogo che genera la “cultura dell’incontro” Di don Pasquale Trani Delegato vescovile per la pastorale

Ancora un excursus sul dialogo come categoria propria del pontificato di Francesco, sulla scia del Concilio.

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ltre che in Evangelii gaudium, papa Francesco ha trattato della centralità del dialogo in varie occasioni. Agli scrittori di “Civiltà Cattolica” – la rivista dei Gesuiti – così scrisse il 14 giugno 2013: “Il vostro compito principale non è di costruire muri ma ponti; è quello di stabilire un dialogo con tutti gli uomini, anche con coloro che non condividono la fede cristiana, ma «hanno il culto di alti valori umani», e perfino «con coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in varie maniere» (Gaudium et spes, 92). Sono tante le questioni umane da discutere e condividere e nel dialogo è sempre possibile avvicinarsi alla verità, che è dono di Dio, e arricchirsi vicendevolmente. Dialogare significa essere convinti che l’altro abbia qualcosa di buono da dire, fare spazio al suo punto di vista, alla sua opinione, alle sue proposte, senza cadere, ovviamente, nel relativismo. E per dialogare bisogna abbassare le difese e aprire le porte. Continuate il dialogo con le istituzioni culturali, sociali, politiche, anche per offrire il vostro contributo alla formazione di cittadini che abbiano a cuore il bene di tutti e lavorino per il bene comune. La «civiltà cattolica» è la civiltà dell’amore, della misericordia, della fede.” Papa Francesco ha dunque posto il dialogo sin dall’inizio del suo pontificato come centro della sua missione, precisando che nelle sue origini italiane avesse una connaturale predisposizione: “Le mie stesse origini poi mi spingono a lavorare per edificare ponti. Infatti, come sapete la mia famiglia è di origini italiane; e così in me è sempre vivo questo dialogo tra luoghi e culture fra loro distanti, tra un capo del mondo e l’altro, oggi sempre più vicini, interdipendenti, bisognosi d’incontrarsi e di creare spazi reali di autentica fraternità” (Discorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, 22 marzo 2013). Ma il dialogo che più sta a cuore al

Papa, in cui vediamo un esplicito collegamento al grande filone iniziato con il Concilio, è coi non credenti e con gli esponenti della cosiddetta cultura laica, intendendo con essa tutti quelli che si ritengono appartenenti ad altre visioni della vita e del mondo. Così, ad esempio, scrisse il 4/9/2013 nella Lettera a Eugenio Scalfari (storico fondatore del quotidiano “La Repubblica”, che si definì “un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth”): “Penso vi siano, in particolare, due circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo. Esso, del resto, costituisce, come è noto, uno degli obiettivi principali del Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII, e del ministero dei Papi che, ciascuno con la sua sensibilità e il suo apporto, da allora sino ad oggi hanno camminato nel solco tracciato dal Concilio. La prima circostanza - come si richiama nelle pagine iniziali dell’Enciclica Lumen fidei - deriva dal fatto che, lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell’uomo sin dall’inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d’ispirazione cristiana,

da una parte, e la cultura moderna d’impronta illuminista, dall’altra, si è giunti all’incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro. La seconda circostanza, per chi cerca di essere fedele al dono di seguire Gesù nella luce della fede, deriva dal fatto che questo dialogo non è un accessorio secondario dell’esistenza del credente: ne è invece un’espressione intima e indispensabile. Mi permetta di citarLe in proposito un’affermazione a mio avviso molto importante dell’ Enciclica: poiché la verità testimoniata dalla fede è quella dell’amore - vi si sottolinea – “risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’ irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti” (n. 34).”. Un dialogo, dunque, franco e cordiale, nel tentativo di superare contrapposizioni ideologiche del passato. Per Francesco il dialogo genera la “cultura dell’incontro”. Illuminanti sono a tal proposito le parole rivolte dal papa il 28 luglio 2013 al Comi-

tato di coordinamento del CELAM (Conferenze Episcopali Latino Americane): “Vi sono pastorali impostate con una tale dose di distanza che sono incapaci di raggiungere l’incontro: incontro con Gesù Cristo, incontro con i fratelli. Da questo tipo di pastorali ci si può attendere al massimo una dimensione di proselitismo, ma mai portano a raggiungere né l’inserimento ecclesiale, né l’appartenenza ecclesiale. La vicinanza crea comunione e appartenenza, rende possibile l’incontro. La vicinanza acquisisce forma di dialogo e crea una cultura dell’incontro.” Tanto si potrebbe ancora aggiungere su questo tema centrale di Francesco, ma lasciamo che sia la storia a sorprenderci giorno per giorno. Per continuare il dialogo con l’autore: pasqua.trani@gmail.com


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Seguiamo Francesco

12 marzo 2016

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Di Lorenzo Russo

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omenica 13 marzo ricorre il terzo anniversario dell’elezione di Papa Francesco. In pieno Giubileo, un anniversario che coincide (quasi!) con la pubblicazione dell’esortazione papale sulla famiglia prevista – per ora - subito dopo Pasqua. Una Chiesa che da subito si è riscoperta “in uscita”, per impostare tutta l’attività ordinaria della Chiesa in una vera missione. Si deve evitare la malattia spirituale della Chiesa autoreferenziale: quando lo diventa, la Chiesa si ammala. Cerchiamo «il contatto con le famiglie che non frequentano la parrocchia – ha spiegato tante volte Bergoglio - Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve, cerchiamo di essere una Chiesa che esce da se stessa e va verso gli uomini e le donne che non la frequentano, che non la conoscono, che se ne sono andate, che sono indifferenti». Sono parole riportate nell’esortazione «Evangelii gaudium», la «road map» del pontificato che non ha smesso di mostrare il lato tenero di Dio, misericordioso e accogliente. Un magistero che trova la sua sintesi nel discorso pronunciato dal Papa durante il suo viaggio in Messico dello scorso febbraio: «Anzitutto, la Vergine Morenita (la Madonna di Guadalupe, dai tratti meticci) ci insegna che l’unica forza capace di conquistare il cuore degli

Tre anni con Francesco Al fianco dei poveri, per una nuova umanità. Così è cambiata la chiesa di Bergoglio nel corso degli ultimi tre anni, da quando cioè è stato eletto Papa il 13 marzo 2013. Un apertura a tutti evidenziata dai dialoghi, soprattutto con il patriarca Bartolomeo, con Kirill e con gli esponenti delle altre religioni.

uomini è la tenerezza di Dio. Ciò che incanta e attrae, ciò che piega e vince, ciò che apre e scioglie dalle catene non è la forza degli strumenti o la durezza della legge, bensì la debolezza onnipotente dell’amore divino, che è la forza irresistibile della sua dolcezza e la promessa irreversibile della sua misericordia». Sulla scena internazionale, il Papa parlando di una terza guerra mondiale già in atto «a pezzi» ha sempre lavorato per non isolare Putin, per il dialogo con i capi di Stato e le autorità religiose musulmane, dai viaggi a Cuba e negli Stati Uniti fino a quelli in Corea, Sri Lanka e Filippine, per non parlare dell’ecumenismo. Francesco ha abbracciato il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo ed è riuscito a coronare

il sogno rimasto nel cassetto per i suoi due predecessori, di incontrare per la prima volta il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia. L’unità dei cristiani è un segno importante per la pace nel mondo. E come non ricordare l’enciclica «Laudato si’», sulla custodia del creato, dove Francesco ha spiegato come la salvaguardia dell’ambiente è strettamente legata alla soluzione dei gravi problemi di povertà che affliggono una parte consistente della popolazione del globo. Le parole sull’«economia che uccide», contenute in «Evangelii gaudium» e poi nella «Laudato si’» hanno riportato al centro dell’attenzione il dramma del sottosviluppo e delle conseguenze disastrose delle guerre, insieme alle occulte motivazioni economiche che le muovono.

3 ANNI DI PONTIFICATO 11 visite pastorali a parrocchie romane 10 viaggi in Italia 12 viaggi all’estero 2 Encicliche 1 Esortazione Apostolica

SPECIALE TV2000 Uno speciale per festeggiare tre anni di Pontificato . Domenica 13 marzo alle ore 21.00 andrà in onda in prima serata su TV2000 “Strada facendo”, tre ore di filmati, musiche e parole per ripercorrere i momenti più forti e coinvolgenti del cammino di Papa Francesco.


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Il Caso 12 marzo 2016

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L'inchiesta

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oma. Dopo quattro audizioni del cardinale George Pell di fronte alla Commissione reale sugli abusi sessuali sui minori, si è tenuto un incontro presso la Pontificia università Gregoriana tra il gesuita tedesco Hans Zollner, membro residenziale della Pontificia Commissione per la tutela dei minori (ossia la prevenzione della pedofilia) e tre vittime di abusi sessuali, presenti a Roma per assistere alle audizioni in video-collegamento con il cardinale George Pell David Ridsdale - portavoce delle vittime delBallarat Survivors Group, abusato dallo zio prete, Gerald Ridsdale, accusato di numerosi casi abusi sessuali su minori e frequentemente citato durante le audizioni di questi giorni - ha voluto commentare il positivo e aperto dialogo avuto alla Gregoriana. «Abbiamo avuto un dialogo estremamente positivo». «Le nostre posizioni sono state ricevute molto bene, abbiamo ricevuto informazioni» sui «passi avanti» compiuti dalla commissione guidata dal cardinale arcivescovo di Boston Sean O’Malley. David Risdale a nome di tutti i sopravvissuti ha voluto fare anche una dichiarazione: “Grazie per la vostra pazienza e il vostro sostegno. Abbiamo avuto un incontro estremamente toccante con il cardinale Pell. Siamo in rappresentanza della gente di Ballarat. Il cardinale Pell ha accettato di fare una dichiarazione pubblica”. La dichiarazione pubblica del cardinale Pell dopo l’incontro con le vittime “Anche un suicidio è troppo”. Lo ha sostenuto il cardinale Geroge Pell, Prefetto della Segreteria vaticana per l’Economia, con una dichiarazione letta a conclusione di un incontro di 2 ore con il gruppo di vittime di abusi sessuali. “Ho incontrato i sopravvissuti e i loro sostenitori ed ho ascoltato la loro sofferenza, è stata dura”, ha detto il porporato leggendo un testo. Il porporato ha assicurato il proprio impegno a “continuare a cooperare con i sopravvissuti” agli abusi dei preti pedofili “per migliorare la situazione”. Sarebbe “meraviglioso”, ha affermato Pell, se la città di Ballarat, dove sono avvenuti molti degli abusi trattati dalla commissione, divenisse un esempio di sostegno a coloro che sono stati colpiti dalla “piaga” degli abusi. Le audizioni sono state 4 e sono durate in tutto oltre 18 ore. Ridsdale, Dowlan, Searson, Ryan, Day: tutti uomini di Chiesa, colpevoli di abusi sessuali su minorenni nel ventennio 1960-80. Tutti riuniti nella diocesi di Ballarat, città au-

Card.Pell: la Chiesa ha fatto enormi errori straliana dove la sola congregazione dei ‘Fratelli cristiani’, che controllava diversi istituti scolastici, è stata chiamata a rispondere di ben 850 crimini, con 281 religiosi implicati, sborsando circa 37 milioni in risarcimenti. A Ballarat 47 persone, vittime di abusi, hanno preferito togliersi la vita piuttosto che vivere col peso dell’orrore subìto. Come riportato da Zenit, alla domanda come sia stato possibile tutto questo. Perché un così alto tasso di crimini tutti in uno stesso luogo? Perché tutti questi sacerdoti pedofili nella stessa diocesi? Il cardinale George Pell ha risposto: “Penso sia stata una coincidenza … disastrosa”. Nel corso della quarta e ultima audizione il cardinale Pell ha inoltre riconosciuto che gli era stato detto che almeno un prete si fosse “comportato male” con alcuni bambini in una scuola australiana dei Christian Brothers nello Stato di Victoria. Uno studente dei Christian Brothers, ha riferito Pell, accennò con lui degli abusi subiti da Dowlan “ha menzionato la cosa casualmente in una con-

A Roma si sono tenute quattro audizioni in videoconferenza del cardinale australiano George Pell, accusato di non aver preso adeguati provvedimenti per fermare gli abusi sui minori quando era arcivescovo di Melbourne

versazione, non mi ha mai chiesto di fare alcunché”, ha detto Pell. Anni dopo il religioso è stato condannato per avere abusato di una ventina di scolari. Il presidente della commissione, Peter McClellan, ha chiesto al porporato se egli non avrebbe dovuto denunciare il fatto. “Con l’esperien-

za di quarant’anni dopo, sono certamente d’accordo che avrei dovuto fare di più”, ha risposto Pell. “Non ho fatto nulla. Alla fine ho indagato la cosa con il cappellano della scuola”, aggiungendo: “Non avevo idea che i Christian Brothers stessero insabbiando in quel modo che ora è evidente”.

Una voce per l’anoressia” nasce come “Associazione di Promozione Sociale”, quello di martedì prossimo, 15 marzo, è un evento che ben si addice alla sua mission. In collaborazione con le società Ischia Pallavolo, Pgs Ischia, Volley Ball Club Isola d’Ischia, Cestistica Ischia e l’Associazione Amici del Teatro, ecco che una problematica così importante come quella dell’anoressia e dei DCA in genere viene ad incontrare due discipline sportive così diffuse sulla nostra isola, ma anche quell’attività teatrale sempre così fervida dalle nostre parti. Dalle 17.00 alle 19.00, presso la palestra del Centro Polifunzionale (volley) e la palestra Sogliuzzo (basket), fonderemo le nostre esperienze in un momento di festa sportiva e di conoscenza al tempo stesso, all’insegna del “fiocco lilla”.


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Il Caso

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kaire@chiesaischia.it

L' INTERVISTA Di Gian Guido Vecchi

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Pedofilia: agire con decisione L’arcivescovo Becciu: «La pedofilia? La Chiesa si è svegliata tardi. Ma abbiamo fatto pulizia, senza «cadere nella trappola del linciaggio di chi accusa con prove infondate», ma con la determinazione di «intervenire subito», perché «chi è responsabile va perseguito» e «nel caso, spretato»

ccellenza, sul volo di ritorno da Città del Messico, qualche giorno fa, papa Francesco rispondeva sullo scandalo dei pedofili nel clero e diceva: «Io ringrazio Dio che si sia scoperchiata questa pentola, e bisogna continuare a scoperchiarla, e prendere coscienza». «Eh sì, grazie a Dio la Chiesa ha preso coscienza di tutto questo. Purtroppo si è svegliata un po’ tardi, va detto. Però, come è stato riconosciuto più volte, non credo ci sia al mondo un’istituzione sociale e politica che come la Chiesa si sia impegnata ovunque a fare un repulisti e mettere in pratica tutti i metodi per prevenire altri abusi». L’arcivescovo Giovanni Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato, tra i collaboratori più stretti del Papa nel governo della Chiesa, come sacerdote non trova le parole, «a me sembra inimmaginabile che dei preti abbiano potuto commettere un crimine simile, gli aggettivi non bastano a dirlo, abusare dei bambini

è un’offesa e una ferita a Dio prima che alla Chiesa, è intollerabile». La vittoria all’Oscar del film di Tom McCarthy «Spotlight», ripropone oggi in tutto il mondo una delle vicende più clamorose, lo scandalo dei preti pedofili di Boston e dell’insabbiamento ecclesiastico. Come è potuto accadere? «La vecchia mentalità, purtroppo, era questa. La prima reazione, più che guardare all’orrore di ciò che era accaduto, era “salvare” l’istituzione dallo scandalo. Molti pastori, allora, non erano preparati… Il trasferimento da una parrocchia all’altra si usava quando c’era un prete che s’innamorava di una donna. Ma qui si trattava di pervertiti, di sacerdoti da cacciare. C’è stata questa cecità, sì» E adesso? Francesco ha detto: un vescovo che trasferisce un sacerdote pedofilo da una parrocchia all’altra è un incosciente e do-

vrebbe dimettersi… «Certo. Tutti noi abbiamo visto le conseguenze di una simile cecità. Già con Benedetto XVI si è messo in chiaro che non c’erano più scuse o giustificazioni: prima di ogni altra cosa vengono i diritti delle vittime, dei bambini. Agire con decisione, senza peraltro cadere nella trappola del linciaggio di chi accusa con prove infondate. Ma bisogna intervenire subito, e chi è responsabile va perseguito, nel caso spretato. Abbiamo imparato la lezione. Da quando la Chiesa ha preso coscienza del problema, si è impegnata ovunque a fare pulizia». Michael Sugar, produttore del film, ha detto: «Papa Francesco, è arrivato il momento di proteggere i bambini e restaurare la fede». Come ci si sta muovendo? «È stata istituita la Commissione pontificia per la tutela dei minori,

composta anche da vittime. Si è chiesto a tutte le conferenze episcopali di preparare delle linee guida contro la pedofilia, insistendo con energia perché fossero emanate al più presto. Collaborare con le autorità civili, sollecitare le denunce. Il Papa è severo, come lo sono tutte le persone che hanno preso a cuore il problema perché si intervenisse in marea adeguata, anche per prevenire». C’è qualcosa che manca ancora? «Io penso che la mentalità sia cambiata. Dobbiamo accogliere sempre di più le indicazioni della Commissione, ad esempio perché nei seminari si dia una formazione adeguata ai futuri sacerdoti. Soprattutto, si sia attenti e severi nella scelta dei candidati al sacerdozio». Non bisogna accettare chiunque per la crisi delle vocazioni... «Guai. Non si poteva una volta e non si può adesso».

IL COMMENTO

Don di Noto: “la pedofilia? Attenti non è solo nella chiesa”

lia è dilagato nel mondo. La capacità di diffusione della pedopornografia online, nello specifico, sembra non trovare resistenze. Questo è il vero dramma che coinvolge centinaia di migliaia di minori innocenti”, prosegue il sacerdote. Tornando sulla questione Chiesa-pedofilia, don Di Noto non nasconde la presenza di resistenze al cammino intrapreso dalle Conferenze episcopali e dalle diocesi. “Non basta dotarsi di “linee guida” per contrastare il fenomeno”, afferma. “Se guardo all’Italia, ad esempio, osservo ancora una frammentazione di interventi, lasciati più alla volontà dei singoli pastori, che dettati da un coordinamento effettivo. Ciò che manca, in altri termini, è una pastorale organica quotidiana, come esiste in altri ambiti della vita della Chiesa. Mi capita ancora di incontrare qualcuno che nelle parrocchie mi chieda di non insistere sulla questione pedofilia, perché tematica sconveniente”. Sulla mancata consapevolezza della gravità degli atti in questione, il fondatore di Meter aggiunge: “Nel mio girare per le diocesi italiane mi sono imbattuto più d’una volta in vescovi che non mi pareva avessero colto per nulla la pericolosità e la dinamica di questa perversione, e i disastri che causa nelle vittime”.

Di Alberto Laggia

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indagine di Spotlight? Un’inchiesta intelligente. E il film ispirato alla vicenda? Un bel film che di certo farà del bene alla causa. Il clamore mediatico del film, fresco di Oscar, e nelle sale in questi giorni, assieme alle deposizioni del cardinal George Pell davanti alla Commissione Reale hanno rialzato l’attenzione sul drammatico fenomeno della pedofilia. Ma nel contempo rischiano di deformarne il racconto: uno spettatore sprovveduto potrebbe essere indotto a pensare che la piaga degli abusi sessuali sui minori sia solo “interna” al mondo della chiesa e che i pedofili siano solo preti”, esordisce così don Fortunato di Noto, sacerdote conosciuto in tutt’Italia per

Il sacerdote siciliano antipedofilia a ruota libera: “Spotlight è un’intelligente inchiesta, ma il suo clamore mediatico può indurre a pensare che il marcio sia solo nella Chiesa, che invece ha fatto un grande cammino di purificazione. Tuttavia chi si macchia di questi delitti è fuori dalla Chiesa”.

le sue battaglie contro la pedofilia, nonché fondatore dell’associazione Meter.“Invece in questi lunghi anni, e soprattutto dal 2002, quando scoppiò lo scandalo dei preti pedofili a Boston, con le conseguenze che tutti conosciamo, la Chiesa al suo interno ha percorso una lunga marcia di penitenza e pulizia. E da qui non si torna più indietro. Se un vescovo copre ancora le colpe di un suo sacerdote, va rimosso subito. Punto e basta”. Il sacerdote siciliano si riferisce ai tanti interventi degli ultimi due pontefici in questo senso e alle molteplici iniziative at-

tuate per contrastare gli abusi sessuali e dare risposta alle vittime. Chi non ricorda la lettera ai fedeli irlandesi del 2010 firmata papa Benedetto XVI? Per arrivare agli ultimi duri pronunciamenti di papa Francesco. “Questo Papa – continua Di Noto - oltre ad avere le idee ben chiare sul dramma, ha ancor più chiaramente segnato la prassi da seguire: chi si macchia di questi delitti è fuori dalla Chiesa. Oggi un consacrato che viene riconosciuto responsabile di atti di pedofilia viene ridotto allo stato laicale”. “Nel frattempo, però, il fenomeno pedofi-


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Società 12 marzo 2016

Di Antonio Lubrano

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l lancio dei confetti agli sposalizi ad Ischia per il passato ha rappresentato il primo ed unico richiamo per i ragazzi “scugnizzi” delle contrade nei vari comuni isolani. Vi accorrevano sicuri di fare bottino pieno di tutti i confetti che venivano riversati addosso agli sposi del loro quartiere lungo il percorso del corteo nuziale, dall’abitazione della sposa fino alla chiesa, ed in particolare all’uscita, dopo la cerimonia religiosa, sui sagrati delle chiese stesse. In quel preciso luogo, prendevano corpo vere e proprie ammucchiate di ragazzini che fra i piedi degli sposi e degli invitati da prima fila, si producevano in un’arrembante e affannosa caccia all’ultimo confetto rimasto per terra o nascosto sotto il velo a strascico della sposa felice e compiacente per quel ormai frequente spettacolo. I confetti lanciati da finestre e balconi del primo piano e dal piano terra, lungo il percorso del corteo a piedi o con i taxi tirati a lucido per la speciale occasione, erano posti in vassoi o guantiere d’argento, ricoperte del classico fazzoletto di lino antico ri-

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Coppie di sposi ad Ischia di ieri e di oggi In Italia nel 2015 fino al mese di marzo in corso sono stati celebrati 205.865 matrimoni, circa 5.300 in meno rispetto all’anno precedente. Sull’isola d’Ischia il quadro di stabilità dei nostri sposi è abbastanza rassicurante. Il ricordo di come ci si sposava in passato quando gli ‘scugnizzi’ ischitani andavano a caccia dell’ultimo confetto.

SPOSI ESCONO DALLA CHIESA DEL BUON PASTORE A ISCHIA INONDATI DI

ANNI '60 SUL SAGRATO DELLA CHIESA DI CAMPAGNANO AMMUCHIATA DI SCU-

GRANELLI DI RISO E CORIANDOLI AUGURALI

GNIZZI ISCHITANI AI PIEDI DEGLI SPOSI PER ACCHIAPPARE I CONFETTI


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Società

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camato e merlettato. Era la tradizionale e colorita usanza, messa in atto dalle famiglie della zona da dove proveniva la sposa o lo sposo per il doveroso omaggio alla giovane o al giovane rampollo che dava l’addio al celibato ed agli abituali amici e conoscenti del rione. Una specie di saluto da commedia, che gli sposi al passaggio, dimostravano di gradire, alzando le mani e rispondendo a loro volta al gesto augurale inscenato per amicizia e simpatia nei loro riguardi. Tutto questo accadeva intensamente dalle nostre parti negli anni ’40 e ’50, quando i confetti bianchi da soli, stimolavano l’interesse fanciullesco dei ragazzi del quartiere il sabato e la domenica, giorni solitamente utilizzati per le feste nuziali nel paese, per le strade ed in chiesa avvolti tutti in un appetibile clima di festa popolare. I mesi preferiti per tradizione, per lo più, erano ottobre, prima decade di dicembre e marzo. Così si pensava e si agiva nella semplicità di quei tempi andati dove quei confetti raccolti nella strada agli sposalizi costituiva un dolce ed avido alimento per i cosiddetti “scugnizzi” ischitani a quel tempo privi di tante cose. Oggi è tutta un’altra storia. Quei ragazzi di contrada che facevano gruppo per dividersi l’ultimo confetto raccolto per terra non vi sono più. Sono diventati padri, zii, nonni con tutto un carico di ricordi con i quali vale la pena di continuare a vivere. Ricordi che non si riducono ai soli confetti raccolti per terra in occasione di quegli indimenticabili sposalizi del quartiere, ma anche a tutto quanto è accaduto dopo, nella vita che è seguita. Finisce un’epoca e ne incomincia un’altra, con nuove usanze, diversa visione della vita, nozze senza veletta della purezza, matrimoni anticonvenzionali, coppie di fatto, unioni civili, matrimoni gay e libere adozioni. E la lista potrebbe continuare. Percorriamo strade di un mondo nuovo dove per fortuna non si avverte la percezione che vada in un’unica direzione, verso un anticonformismo assoluto ed appiattito su distorsioni di fatti e di pensiero ed anomalie fisiologiche ed esistenziali. Noi siamo connotati da quest’altra parte della barricata , dove c’è una società più a portata dei nostri valori ed ideali di vita in cui ci fa piacere constatare, almeno per ciò che ci riguarda, che gli sposi naturalmente, storicamente e tradizionalmente sono un uomo ed una donna con gli abiti belli del rito di sempre: la donna con l’abito bianco e velo a strascico e l’uomo con l’abito scuro che realizzano insieme il primo grande sogno della propria vita con l’altare, la chiesa, i fiori d’arancio, gli immancabili confetti non più raccolti per terra da ragazzi discoli ed intraprendenti, il sacerdote, gli anelli, la benedizione, il servizio filmato e fotografico quasi da set cinematografico, gli invitati, la location di grido per il festino, la festa nuziale finale con tanti, tanti invitati. Quindi mettendo al confronto i due modi di convolare a nozze, quello di 60 anni fa e quello dell’era corrente, vincono la ricchezza, il colore, le idee, il fascino e tutto il movimento dell’apparato organizzativo che ruota con i comprimari compresi intorno alla celebrazione di un matrimonio d’oggi col rito civile prima e religioso dopo, che a buona ragione, considerato l’impegno che occorre, non è affatto uno…scherzo. Sull’isola i matrimoni lo scorso anno fino ad oggi sono stati qualche centinaio, di cui una ventina col solo rito civile. Quindi in larga misura vince il matrimonio in chiesa col fascino dell’altare e la bellezza del sacerdote che benedice le nozze dei due sposi felici fra gli applausi degli invitati presenti. Per lo più ci si sposa sotto i 27 anni per l’uomo e sotto i 24 anni per la donna. ùDiminuiti i matrimoni con stranieri non nati sull’isola, sia da parte dell’uomo che della donna. Aumentati i matrimoni fra isolani di provenienza da Comune diverso. Contenuto il numero delle separazioni. Insomma il quadro di stabilità dei nostri sposi è abbastanza rassicurante e non promette impennate negative. Segno che Ischia è ancora quell’isola felice che ci invidiano all’estero, dove vi sono gli spazi buoni per sognare, vivere ed alla fine costruirsi il futuro esistenziale. I nostri giovani, prima di arrivare al matrimonio, hanno chi li aiuta a capre oggi il loro senso della vita. La Chiesa locale con i suoi incontri, convegni, cammini nella fede e nello spirito, richiami giubilare costituisce evidente ed importante punto di riferimento per i giovani che intendono cambiare, apprendere, misurarsi. Il traguardo delle nozze e della sua festa per gli ischitani non è solo lo spettacolo , la bellezza dell’immagine, i colori ed il calore che si notano con simpatica sfrontatezza dalle fotografie, ma è molto di più di quanto racconto in questo nostro servizio per i lettori di Kaire dove si è parlato di come ci si sposava ieri e come ci si sposa oggi. E’ il poter diventare famiglia, seminare bene per raccogliere molto subito nel e nel prosieguo della vita. antoniolubrano1941@gmail.com

Tradizioni e vecchie credenze per la sposa

ANNI '50 A ISCHIA CARMELA E CICCIO RUGGIERO SPOSI IN TAXI PRONTI PER IL CORTEO

PEPPE MIGLIORINI E CARMELA SPOSI CON ANNA

IL BACIO DEGLI SPOSI CON IL CASTELLO D'ISCHIA E GLI SCOGLI DI S,ANNA SULLO SFONDO

Di Michele Lubrano

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ei primi del novecento, sull’Isola d’Ischia specie nell’entroterra, l’abbigliamento della sposa era oggetto di tradizioni e credenze, a partire dal colore: il più comune era ed è tutt’ora il bianco, simbolo di purezza; il blu raramente usato, indicava sincerità da parte della sposa; il turchese lo si giudicava gradevole ed aristocratico; il verde timidezza; il nero mai usato, pentimento; l’avorio invece preannuncia una vita turbolenta; il marrone e il grigio indicavano che gli sposi sarebbero andati a vivere lontano o in campagna; il rosa prediceva una perdita economica. Anticamente era indossato dalle spose non più vergini o nelle seconde nozze, come spesso si fa anche oggi; il rosso era ed è desiderio e passione; il giallo mancanza di stima da parte della sposa. Gli invitati erano tenuti a evitare il colore bianco per il loro abbigliamento, come erano tenuti, per tradizione e per disgrazia, a evitare il nero qualora vi fosse stato chi portando il lutto stretto, avrebbe fatto fatica a toglierlo in quel giorno particolare di festa, anche se era ed è oggi, un colore molto usato, soprattutto nei ricevimenti serali. Nella tradizione antica ischitana, si voleva che il giorno delle nozze la sposa portasse con sé una cosa vecchia a simboleggiare il passato, la vita antecedente al matrimonio e la sua importanza. Ogni sposa avrebbe indossato un oggetto appartenente al proprio passato per non dimenticarlo nel nuovo cammino che andava a intraprendere; una cosa nuova: era simbolo della vita che sta per cominciare e delle nuove sfide che porterà con sé; una cosa prestata: sarebbe stata una persona cara a prestare quest’oggetto, a simboleggiare che le persone care restano vicine anche nel passaggio dal vecchio al nuovo; una cosa regalata: avrebbe simboleggiato l’affetto delle persone che si amano; una cosa blu: avrebbe indicato sincerità e purezza da parte della sposa. Da tradizione, di questo colore era la giarrettiera, indossata nel caso di gonne ampie e lunghe. Il futuro marito non poteva vedere il vestito da sposa prima della cerimonia: farlo avrebbe portato sfortuna. Del resto si pensa così anche oggi. Per quanto riguarda gli anniversari va detto che la tradizione ha assegnato particolari denominazioni agli anniversari di matrimonio, soprattutto con il crescere dell’importanza commerciale della festa. Le principali ricorrenze festeggiate sono il 25º anniversario, denominato nozze d’argento, e il 50º anniversario, che prende il nome di nozze d’oro.


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L' Intervista 12 marzo 2016

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No ad un’informaz Intervista fiume al parroco di Ischia Ponte che Di Francesco Schiano

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aro don Carlo, ascoltando le tue parole di sabato sera al termine della S. Messa vespertina in onore di S. Giovan Giuseppe mi sono venute in mente (sorridendo) due parole del Vangelo: “Abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto…” e “…ancora un poco e non mi vedrete; un po’ ancora e mi vedrete” “Penso che tu ti stia riferendo alla parte finale della celebrazione con i chiarimenti che ho voluto dare a riguardo della festa liturgica di quest’anno. Una festa che qualcuno ha definito SOTTOTONO perché senza fuochi né luminarie ma io mi chiedo cosa voglia dire una festa SOTTOTONO o SOPRATONO. A dare un tono alla festa non sono certamente i colpi sparati al cielo o delle belle luminarie ma la preparazione spirituale ad essa nonché i frutti portati da questa esperienza di fede. Io credo che al di là di tutto siano stati davvero nove giorni di

grazia con tanti momenti forti e intensi, penso per esempio alla messa dei Figli in Paradiso, alla messa per i migranti, al Giubileo della Gente di Mare, per non parlare poi del giorno della festa di San Giovan Giuseppe con un fiume ininterrotto di fedeli che ha riempito la Chiesa dello Spirito Santo ad ogni celebrazione, così come un identico fiume ha riaccompagnato il corpo del Santo al convento di S.Antonio domenica sera. Credo che questa innanzitutto sia stata la più bella risposta. Ribadisco il concetto che un Santo va onorato con le nostre opere e non certamente con i nostri litigi. Vedo però che finalmente almeno una parte di Popolo di Dio sta prendendo davvero coscienza di cosa significhi passare da una fede infantile ad una adulta e a vivere la Parola proclamata e ascoltata durante ogni Celebrazione. Per cui ribadisco la condanna della

litigiosità ischitana come già aveva fatto San Giovan Giuseppe della Croce. Un Santo non può essere motivo di litigiosità ma lo deve essere di riappacificazione e unità”. Come mai il riferimento al fatto che tra un po’ potresti andar via da Ischia Ponte? Punti a qualcosa di più, lontano dalla nostra isola? “Pensando a questa seconda ipotesi mi viene solo da ridere e sorridere. Ho semplicemente detto quella frase perché ormai sono già 6 anni che sono ad Ischia Ponte e secondo il diritto canonico (come ho già fatto a S.Antuono) al termine dei 9 anni di servizio in una Parrocchia bisogna rilasciare al Vescovo la propria disponibilità a svolgere servizio in un’altra Comunità Parrocchiale. Lo farò anche questa volta perché sono

intimamente convinto che un sacerdote debba essere pronto in qualsiasi momento a lasciare la propria postazione e cambiare: siamo nomadi come Abramo, con la tenda sotto il braccio pronti a spostarci da un posto all’altro! Non si può restare anni ed anni nello stesso posto come se fosse un diritto acquisito.

Che testimonianza diamo al nostro popolo? La testimonianza di chi si è fossilizzato, ha creato la propria gang, ha fissato i propri diritti e si è creato abitudini e comodità. Non bisogna attaccarsi alle persone ma sapere che tutti seguiamo l’unico Maestro che è Cristo. Non capisco perché un prete debba stare anni e anni nella stessa Parrocchia o peggio ancora nella sua Parrocchia d’origine (premetto che con molta e prolungata resistenza ma alla fine con piena obbedienza al mio Vescovo Filippo Strofaldi questa esperienza mi sono trovata a farla anche io nella mia Parrocchia di S.Antuono). Quello che è certo è che non mi riferivo sicuramente ad altre ed alte aspirazioni come quella dell’episcopato. Spesso chi parla vuole solamente proiettare sugli altri ciò che ha dentro; io personalmente non ho questo tipo di aspirazioni e con don Tonino Bello mi sento di ripetere che siamo semplicemente tutti “servi inutili a tempo pieno”. Per me ciò che vale è ciò che si è e non ciò che si fa per cui in conclusione ribadisco che non soffro di disturbi di “carrierismo”.” Ma quando parli di bestemmie, maledizioni e alterchi intorno alla festa di San Giovan Giuseppe a cosa ti riferisci concretamente? “Negli ultimi anni, mi sono accorto che la festa ha sempre creato mal-

contenti sia per le luminarie (i pali davano fastidio ad uno poi ad un altro per esempio) sia per i fuochi (chi dice che siano uno spreco chi dice che diano fastidio ai cani per esempio) sia per ogni altro aspet-

to esteriore. Allora davanti a tutte queste cose ho preso la decisione di festeggiare San Giovan Giuseppe senza troppi segni esteriori ma con grande intensità spirituale. Io credo che davvero chi si lamenta poi se andiamo a vedere non sa neanche lui cosa voglia davvero o peggio ancora come nella favola di Fedro, non potendo arrivare all’uva inizia a dire che essa è acerba. Scatta il meccanismo perverso dell’invidia e della rivalsa che non porta poi da nessuna parte. In psicologia esiste una malattia terribile che è la dissonanza cognitiva, cioè si vive una forte distanza tra quello che vorrei essere e quello che sono tanto che alla fine ci si accontenta di rimanere così come si è senza cercare di migliorarsi. Sono in tanti ad esserne affetti. Noi abbiamo cercato di liberarci da


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L' Intervista

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kaire@chiesaischia.it

zione “da peperoni” si racconta senza ipocrisia ma con franchezza no, è la prima a presentare il bilancio annuale in Curia, non solo, ma è anche L’UNICA a metterlo disponibile online e sul giornalino parrocchiale che arriva in tutte le case nel mese di

questa malattia migliorando anche il nostro modo di fare festa. Un Santo non può dividerci, lo ripeto. Che senso hanno le luminarie in un clima sempre più crescente di litigiosità, alterchi, illegalità e corruzione? Spesso sono stato accusato di dare fastidio con le mie prediche “politiche”. Io credo innanzitutto che un’omelia debba entrare nella vita concreta delle persone e non essere una camomilla che anestetizza semplicemente le coscienze dei fedeli. Anche Gesù a suo tempo si è scagliato contro una religiosità purtroppo ancora oggi esistente fatta di ritualità deviate, devianti ed alienanti. Non possiamo celebrare San Giovan Giuseppe, il Santo della Misericordia, in un clima del genere. Io poi sono don Carlo, non don BOTTI quindi non faccio il Sacerdote e il Parroco per sparare fuochi in aria come qualcuno può pensare. Qualche organo di stampa luciferino continua ad usarmi per vendere copie facendo completa disinformazione. Come ci ricordava il biblista don Fabio Rosini nella sua catechesi di qualche settimana fa, lui che è stato cappellano della Rai per diversi anni, molti giornalisti rischiano di andare all’inferno perché hanno tra le mani il potere della comunicazione ma lo usano in modo diabolico per dire bugie gravissime e cattive. Per fortuna esiste ancora il giudizio

di un Dio che opera con misericordia ma anche con verità; la Misericordia non è certamente buonismo e ce lo ricorda spesso il Papa. In riferimento ai fuochi dico ancora che quando sparano altri non mi risulta che tali organi di stampa dicano qualcosa, quando poi si tratta di Ischia Ponte ognuno tira fuori le sue perle e i suoi messaggi. Io personalmente mi sono solo inserito in quelle che erano le tradizioni del luogo, non cancellandole ma cercando di migliorarle semmai. Chi mi conosce sa che nella mia precedente esperienza di Parroco a S.Antuono non ho mai puntato né sui fuochi, né sulle luminarie né sui concerti bandistici. Ad Ischia Ponte ho conservato quello che già c’era rispettandolo, puntando a fare sempre meglio senza sprechi inutili”. Cosa ci dici in riferimento alle ultime elezioni dei compatroni? E’ vero che hai puntato ad inserire nell’amministrazione alcuni tuoi uomini di fiducia per fare i tuoi interessi? “E’ assolutamente falso anche questo, tanto che non c’è neanche una sola persona che possa dire di una mia eventuale spinta a candidarsi o a votare per questo o per quello. Sfido chiunque a dire il contrario e su questo sono disposto anche ad un confronto pubblico. Il sottoscritto è una persona libera e non ammanet-

tata. Ecco perché posso predicare con parresìa come ci ama ricordare Papa Francesco. Sono completamente fuori da que-

ste cose come qualsiasi Parroco che abbia una Confraternita nel proprio territorio parrocchiale. Io nella Chiesa collegiata dello Spirito Santo curo gli aspetti pastorali, quindi sono lontano da qualsiasi interesse materiale. La gestione economica dei beni di quella Chiesa è dei compatroni e sono direttamente loro, come per tutte le Confraternite o Pii Sodalizi a doverne rendere annualmente e direttamente conto alla Curia e più precisamente all’Ufficio per le Confraternite. Ancora una volta la stampa in malafede e in modo luciferino ha cercato di far passare la falsità al posto della verità”. Si dice però che tu sia restìo a presentare i bilanci parrocchiali annuali. Su questo punto come la mettiamo? “Ancora una volta chi ha scritto questo è Satana in persona in quanto principe della menzogna. Parlano per noi i numeri di protocollo della Curia. La mia Parrocchia, con tutte le singole chiese che la compongo-

novembre, a ridosso della Settimana Eucaristica Parrocchiale (scripta manent, verba volant). Anche il comitato festa presenta annualmente il resoconto in curia e a detta dell’ufficio era l’unico a presentarlo e credo sia l’unico comitato in Diocesi a versare il 20 % dell’incasso per la caritas e le missioni. E’ pur vero che San Giovan Giuseppe come Santa Restituta per decreto vescovile hanno la facoltà di raccogliere offerte in tutto il territorio diocesano, ma ci sono tante altre realtà che incuranti di tale decreto svolgono la loro cerca anche al di fuori dei loro confini parrocchiali e comunali, ma nessuno ne parla. PERCHE’???” Sui lavori interminabili alla Casa Parrocchiale puoi darci qualche delucidazione in più? “Io la Casa Parrocchiale l’ho “ereditata” così come tutto il resto, poiché essa era mal ridotta; chi parla di lavori INTERMINABILI dovrebbe chiedersi anche il perché, e non dovrebbe chiederlo a me!!! Quando abbiamo iniziato anche l’ingegnere non sapeva che tutti i solai erano fatiscenti e da rifare. Ci ha anche detto di ringraziare il Padre eterno perché non è accaduta nessuna disgrazia e non ci sono scappati morti. Perfino le scale abbiamo dovuto rifare e l’intero stabile si stava aprendo come un uovo. Ormai della vecchia casa parrocchiale esiste solo il peri-


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L' Intervista 12 marzo 2016

Continua da pag. 13 metraggio, non c’era nemmeno una camera d’aria e l’intero impianto elettrico era obsoleto e da sostituire. Chi ha mischiato la festa con la Casa Parrocchiale ha voluto far apparire cose false. Noi abbiamo cassiere e segreteria per ogni Chiesa del territorio e per ogni comitato. Ogni cosa dal punto di vista economico è a sé stante. Non ho fatto perciò nessuna scenata di protesta per mancati fondi non arrivati. Questa è la solita delinquenza di chi ancora una volta sfrutta il mio nome per vendere giornali. Va bene pure, ma non diciamo che sono giornalisti, al massimo chiamiamoli giornalai. Non ci si può svegliare la mattina e solo perché la sera prima si è mangiato pesante, magari peperoni imbottiti, iniziare a parlare male degli altri. Questo è il giornalismo dei peperoni. Non si inventano le cose, e almeno una volta bisognerebbe avere l’umiltà di contattare il diretto interessato prima di esporlo all’ignoranza di chi poi certe cose se le beve tutte, all’ignoranza delle papere del cortile di cui parlavo sabato a cui basta solo un fischio per radunarsi e parlare… Chi fa giornalismo ha una grossa responsabilità: dobbiamo essere a servizio della verità e non della menzogna!!!” Ma a questo punto cosa ne sarà della prossima festa di Settembre? “Sono le persone a doversi decidere e mettere d’accordo, a partire da chi ha scritto lettere e commentato su facebook, ma di certo non farò usare il Santo per gli interessi di nessuno. Che si mettano d’accordo tutte le realtà di Ischia Ponte, le associazioni, e mi facciano sapere. Io per ora ho avuto il coraggio di assumermi le mie responsabilità di pastore e di fare delle scelte. Gli altri no. Sono sereno su questo”. A proposito delle critiche sulla realizzazione della festa specialmente quella di settembre, cosa rispondi? “Invito questi puritani a vedere tutte le altre feste come vengono gestite e si fa la carità o meno. Basti pensare che con il comitato di San Giovan Giuseppe in quattro anni abbiamo abbattuto le spese del 50 %. Mi chie-

do come 6 anni fa nessuno parlasse e mi riferisco a tutti, dai laici ai preti. Mi ricordo che quando sono arrivato ad Ischia Ponte qualcuno diceva che San Giovan Giuseppe e con

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esso la festa in suo onore sarebbero sprofondati sempre di più invece a me sembra che sia stato un continuo crescendo non solo esteriore ma soprattutto spirituale. Ovviamente l’occhio invidioso e luciferino non vede altro se non la propria invidia e mistificazione del reale”. Sei tacciato di essere un sacerdote focolarino, quindi marchiato da questa “lebbra” che ti rende impuro se così possiamo dire sorridendo ovviamente “La lebbra ce l’ha chi la vuole affibbiare agli altri. Nella mia Parrocchia credo di aver dimostrato che c’è spazio per tutti e per qualsiasi tipo di realtà, senza diritti di superiorità, ma tutti insieme lavoriamo per costruire

la comunione perché la Parrocchia altro non è che la Chiesa in un territorio. Il parrocchialismo forse ce l’ha in mente qualcun altro. Tutte le membra dell’unico corpo che è la Chiesa sono a servizio le une delle altre. Siamo come una foresta con alberi magari diversi tra loro ma tutti ugualmente belli”. Non sarebbe il caso di ridurle poi queste processioni che con te, a detta di qualcuno, sono aumentate in modo esponenziale? “Queste processioni se ci si fa caso io le ho già ridotte e quelle esistenti le ho accorciate per quanto riguarda il loro tragitto. Però davvero mi chiedo dove stavano queste persone fino a 6 anni fa, quando i bilanci della festa non si sapevano, quando i fuochi non finivano mai e quando la gente veniva pagata per andare a fare la questua, quando si spendevano 4 – 5 milioni di soldi della festa in bar e ristoranti. Dov’erano laici e preti che ora sono sul piede di guerra? Propongo di andare a CHI LI HA VISTI per capire allora dove si trovavano queste persone. Dove erano allora gli organi di informazione che oggi hanno da ridire su ogni minima cosa? Dov’erano queste persone? Ditemelo. Dov’erano?? Dov’erano????” Un’ultima considerazione dunque “Se c’è una cosa che in questi giorni mi ha fatto restare allibito è che con tutti i grossi problemi che abbiamo, dalla sanità alle scuole, dai trasporti alle strade, dai dipendenti alberghieri non giustamente remunerati ad una politica evanescente, dal’illegalità all’inquinamento del

nostro mare, siamo stati capaci di fermarci a litigare e discutere anche su facebook di quanti fuochi siano stati lanciati in aria per San Giovan Giuseppe o meno, di quanti colpi oscuri siano partiti e di quante luminarie era necessario mettere. Feste farine e forche ci attirano sempre di più ma sono solo un’illusione. Peccato che il Centro di Salute Mentale qui ad Ischia sia stato chiuso perché

avrebbe avuto molti, molti clienti. Tra questi tanti che discutono sui botti e dimenticano quali sono i reali problemi in cui siamo immersi. Non è un caso se San Giovan Giuseppe fosse molto restìo a tornare ad Ischia per la grossa litigiosità di tutti gli ischitani. C’è da riflettere su questo!!” Giovan Giuseppe Lubrano e Andrea Di Massa


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Società

12 marzo 2016

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8 MARZO GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA

Legalità lavoro dignità Dialogo e confronto fra un imprenditore della terra dei fuochi e una donna ingegnere camerunense contro la corruzione.

Della Redazioni

A

Ischia c’è chi ha voluto ricordare nel giorno dedicato alle donne, una in particolare, Chiara Lubich, a otto anni dalla sua nascita al cielo. Fondatrice dell’Opera di Maria, conosciuta come Movimento dei Focolari, è stata testimone del Vangelo in buona parte del ‘900, partendo da una folgorazione durante la lettura del Vangelo di Giovanni dove Gesù nell’orto degli ulivi chiede al Padre “Che tutti siano uno”. Ne fece la sua ragione di vita e dal 1943, da una Trento bombardata, questo desiderio di Gesù lo annunciò al mondo intero e a stretto contatto con la Chiesa di Roma. Moderatore della serata ischitana è stato Carlo Cefaloni, redattore del periodico Città Nuova, che col Movimento dei Focolari ad Ischia è stato promotore di questa iniziativa. L’occhio attento di chi ha a cuore la tematica del lavoro e della società civile ha introdotto i due ospiti della serata a raccontare le proprie esperienze di vita. L’imprenditore casertano Antonio Diana, dopo il racconto dell’assassinio del padre Mario avvenuto nel 1985 e di cui oggi porta il nome la fondazione presieduta da Antonio stesso, ha portato all’attenzione della sala la sua esperienza di lavoro in un territorio oggettivamente difficile quale il casertano. Impegnato nel settore del riciclo dei rifiuti, la sua azienda conta circa 180 operai, diversi dei quali iniziarono a lavorare con Diana già dai tempi dell’impresa paterna. Attraverso il dialogo e il coinvolgimento dei propri dipendenti nell’organizzazione di alcuni processi pro-

duttivi, ma soprattutto nella valorizzazione degli stessi lavoratori avendo al centro la dignità del lavoro, negli anni si è costruito quel clima di famiglia, in quella che è diventata una delle più grandi aziende campane. “Clima di serenità che inevitabilmente si riverbera nelle stesse famiglie che sono riusciti a crearsi i lavoratori stessi in questi anni, grazie alla prospettiva di futuro che un lavoro riesce a donare… perché il lavoro alimenta speranza”. L’annuncio di Chiara Lubich arriva ai confini del mondo passando inevitabilmente per l’Africa. Precisamente in Camerun una giovane donna, Patience Mollé Lobé, incontra il Vangelo in famiglia e grazie all’ideale dell’Unità di Chiara, ne fa il suo modello di vita. Trascorre due

anni a Fontem, piccola cittadella del cuore del Camerun, dove approfondisce la cultura della fratellanza universale grazie al Movimento dei Focolari, impegnato in quella zona già dagli anni ‘60. Impegno prima per necessità umanitarie verso la popolazione camerunense trasformato poi in impegno civile nella costruzione di una città dove vige tutt’ora un’unica regola, l’amore scambievole. Laureata ingegnere civile ha ricoperto il ruolo di direttore generale del Ministero per i Lavori Pubblici del Camerun: “L’andare contro corrente del Vangelo vissuto, mi causò numerose minacce da parte anche di colleghi che non accettavano i miei comportamenti. Ero pronta a rinunciare ad una ricchezza creata dalla corruzione per

essere fedele al Vangelo. Mi sarei arricchita da sola, quando invece volevo che tutto il mio Paese potesse avere un beneficio dal mio lavoro.” Dalle minacce si è passati ad attentati veri e propri alla sua vita. “Alcuni miei colleghi non capivano, altri invece guardando la bellezza del Vangelo vissuto si convertivano... anche perché oltre il lavoro e attraverso di esso passava il messaggio cristiano, del vero cristiano, quello che dovrebbero fare tutti coloro che si dicono tali”. Il sunto della serata è nelle parole finali di Patience certa che “Vivere così è possibile, basta credere in quel che più vale, Dio”. Le fanno eco quelle di Antonio Diana nello spronarci ad essere “cittadini attivi… curiosi”. Anche a Ischia!


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Santi di Oggi 12 marzo 2016

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CAMMINO DI SANTITÀ

Madre Teresa di Calcutta, il 15 marzo il decreto

R

oma. La piccola suora icona dell’amore cristiano per i “più poveri tra i poveri”, per coloro che nessun altro aveva il coraggio di assistere e anche solo di guardare, diventerà presto Santa. Tra le date possibili per la proclamazione di santità di Madre Teresa si indica domenica 4 settembre (l’anniversario della morte è il 5 settembre 1997), mentre da giorni i vescovi indiani chiedono la canonizzazione avvenga a Calcutta. La cerimonia può essere celebrata solo dal Papa, e fino a oggi il Vaticano ha smentito progetti di viaggi apostolici in India. Chi è Madre Teresa? Madre Teresa, fondatrice della congregazione religiosa delle Missionarie della Carità, sarà anche il primo premio Nobel (vinse quello della pace nel 1979) a diventare santa. Nata in Albania il 27 agosto del 1910 con il nome di Agnese Gonxha Bojaxhiu, divenuta suora a 18 anni e trasferitasi in India, vi scoprì la vocazione per gli ultimi, coloro che morivano, abbandonati, per strada. Figura straordinaria - ha avuto, tra i tanti, anche l’Ordine del Merito, dalla regina Elisabetta nel 1983, la medaglia d’oro del Comitato del Soviet per la pace nel 1987

Papa Francesco firmerà il 15 marzo nel concistoro

ordinario

il decreto

per

canonizzazione di madre Teresa di Calcutta.

la

e la medaglia d’oro del Congresso degli Stati Uniti nel 1997 - quando è morta ha avuto l’omaggio di centinaia di migliaia di diseredati e un milione di persone hanno partecipato al suo funerale. Soffrì anche, in segreto, di un senso di “assenza di Dio”, di “oscurità”, come raccontò il postulatore della sua causa, padre Brian Kolodiejchuk. «Una volta che Madre Teresa ebbe iniziato la sua missione nelle strade di Calcutta, una nuova dimensione venne a caratterizzare la sua esperienza interiore: non sentiva più l’intensa unione con Gesù che aveva sperimentato in precedenza. Alla consolazione della presenza sensibile subentrò la sensazione di essere separata da Lui. In questa struggente percezione dell’assenza di Dio, il desiderio di Lui divenne ancor più acuto e desolante. Era unita a Lui in un ardente anelito ma nell’assoluta oscurità e fu spinta, così, ad abbandonarsi a Lui con cieca fiducia». Madre Teresa è stata beatificata nel 2003 da Giovanni Paolo II, che aveva fatto partire subito la causa di beatificazione, derogando ai cinque anni dalla morte richiesti dal codice di diritto canonico.


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Santi di Oggi

12 marzo 2016

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L'intervista Di Patrizia Caiafa

è

L’arcivescovo di Calcutta, “un enorme dono per tutti”

stato l’arcivescovo di Calcutta a dare alle suore la notizia che la santificazione di Madre Teresa avverrà quasi sicuramente a settembre 2016. Appena rientrato dalla Casa madre delle Missionarie della Carità a Calcutta, dove ha celebrato con le religiose una messa di ringraziamento, monsignor Thomas D’Souza, alla guida di circa 200mila cattolici, scoppia di entusiasmo e di gioia alla notizia del prossimo decreto che riconosce il miracolo di Madre Teresa di Calcutta. Il miracolo riguarda il caso del 35enne brasiliano inspiegabilmente guarito nel 2008 da una patologia mortale al cervello, quand’era ormai in fin di vita sul tavolo operatorio, mentre la moglie implorava l’intercessione di Madre Teresa. Non si sa ancora dove si svolgerà la celebrazione ma si auspica che sarà uno degli eventi più importanti del Giubileo straordinario della Misericordia. Una bellissima notizia per voi: è stata una sorpresa?

“Sono molto contento. E’ un enorme dono per la Chiesa e per tutto il mondo. La prova del riconoscimento del miracolo da parte di Papa Francesco non è stata completamente una sorpresa perché il processo di canonizzazione stava andando avanti”. Come si prepareranno i cattolici di Calcutta a questo evento che li riguarda direttamente? “Ci stiamo preparando in diversi modi. Innanzitutto ricordiamo che la notizia è stata accolta con grande gioia non solo dai cattolici, ma anche dagli altri cristiani, dagli indù e dalle persone di altre fedi, perché Madre Teresa appartiene a tutti, non solo all’India e ai cattolici. Non sappiamo

LA STRAGE

Yemen, uccise 4 suore di Madre Teresa

Quattro suore Missionarie della Carità, la Congregazione fondata da madre Teresa di Calcutta, sono state trucidate in Yemen da un commando di uomini armati che ha attaccato il 4 marzo la casa di riposo da loro gestita, nella città portuale di Aden. Oltre alle suore, sono rimaste uccise altre 12 persone, tra cui l’autista e almeno due altri collaboratori etiopi della comunità, mentre è scampata alla morte la superiora del convento. Inoltre è scomparso anche un salesiano, don Thomas Uzhunnalil. Si teme che sia stato rapito. Era l’unico sacerdote cattolico rimasto ad Aden. Volevano ucciderle, odio contro la fede questa sola conclusione.È stata una strage decisa e attuata contro lasola presenza cristiana nello Yemen. Le suore uccise, e la cappella, il crocefisso, il tabernacolo, tutto metodicamente distrutto. Erano le 8,30 di venerdì 4 marzo mattina, e alla Mother Theresa’s house gli 80 ospiti, vecchi e disabili, fra cui anche bambini, stavano facendo colazione. I terroristi sono arrivati davanti all’edificio, che, nonostante le minacce già ricevute dalle suore, non era difeso nemmeno da un soldato. È stato facilissimo entrare, armi in pugno e sorprendere le quattro sorelle e il personale dell’istituto: cuoche, infermiere, volontarie, sia yemeniti che etiopi, diversi dei quali cristiani. L’unica sopravvissuta alla strage è suor Sally, la superiora. Per un caso in quelmomen-

to si trovava in dispensa, e ha sentitol’autista che urlava, in inglese:«Nascondetevi, ci ammazzano», e poi unosparo. L’uomo era già stato ucciso. La suoraè rimasta, impietrita, dov’era, dietro a unaporta, e incredibilmente gli assassini nonl’hanno vista. «Vogliamo ammazzare i cristiani», ha gridato uno di loro. Poi tutti i presenti nella sala sono stati portati fuori, in giardino. Si sono sentite grida e altri spari, cadenzati, uno dopo l’altro, e poi altri ancora, e poi il silenzio. Quando la polizia yemenita è arrivata, ha trovato sul terreno quindici morti: le suore e undici collaboratori. Questi ultimi sono stati tutti finiti con un colpo alla tempia, una autentica esecuzione. Le sorelle invece – suor Alessandra, 57 anni, indiana, suor Margarita, 44 anni, ruandese, suor Reginette, 32 anni, pure ruandese, e suor Judith, 41 anni, keniota – sono state colpite al volto e sfigurate, e poi uccise. Cadute a terra, prone, il loro corpi sono stati calpestati, i volti schiacciati a forza contro il suolo. Si stenta a scrivere questi particolari, che raccontano di un odio senza limiti. Nelle foto da Aden, le suore indossano ancora, sopra la veste bianca, il grembiule blu con cui servivano i malati. Uccise nell’atto di servire i poveri: è un vero martirio, quello di Aden, il secondo nel Paese, dopo che nel 1998 a Hodeidah altre tre consorelle erano state ammazzate a bastonate, mentre si re-

La canonizzazione di Madre Teresa sarà “un enorme dono per la Chiesa e per tutto il mondo. Perché Madre Teresa appartiene a tutti, non solo all’India e ai cattolici. Per i poveri non è tanto importante che sia stato riconosciuto il miracolo perché rappresenta lei stessa un miracolo”. A parlare è monsignor Thomas D’Souza, arcivescovo di Calcutta

ancora se la canonizzazione si terrà a Calcutta o a Roma, nel caso dovremo prepararci ad accogliere tanta gente o, al contrario, andare in tanti a Roma a settembre. In ogni caso faremo certamente una celebrazione di ringraziamento a Calcutta”. Personalmente cosa spera? Calcutta o Roma? “A me piacerebbe che si celebrasse a Calcutta perché la beatificazione si è già svolta a Roma il 19 ottobre 2003. Come hanno accolto la notizia le religiose? “Non lo sapevano, ho dato io la notizia. Erano emozionatissime, c’è stata una grandissima gioia. Una vera festa”.

cavano a far servizio in ospedale. Ma, compiuta la carneficina, gli assassini non erano ancora soddisfatti. Sono rientrati nell’istituto e sono andati nella cappella, dove il salesiano Tom Uzhunnalil, 57 anni, un prete che da anni condivideva l’opera delle suore, stava pregando. Raffiche di spari, ancora: molti colpi, contro il crocefisso, sull’altare, sul tabernacolo, nel quale non sono poi state trovate più le ostie consacrate. Il messale e la Bibbia sono stati ridotti in brandelli. Il salesiano è stato rapito, e ad oggi non se ne hanno più notizie. Compiuta la strage, il commando se ne è andato indisturbato. Ora suor Sally, la superiora sopravvissuta, è stata portata fuori dallo Yemen. Nella casa sono rimasti solo gli ottanta ospiti, che per un giorno si sono rifiutati di mangiare. Smarriti chiedevano, come bambini, di essere imboccati dalle loro suore. Al momento sono assistiti dal personale di Médecins Sans Frontières, presente con un suo centro a Aden. Le suore di Madre Teresa, minacciate, avevano deciso di restare. Fedeli alle parole della fondatrice: «Vivere, e morire, con i poveri». E dalla Casa madre dell’Ordine, a Calcutta, arriva l’annuncio che le suore di Madre Teresa non abbandoneranno lo Yemen, dove hanno altre tre case, a Sanaa. Una ostinata volontà di rimanere accanto agli ultimi, che ha fatto sì che le suore siano molto amate dalla popolazione.

Cosa significa per i poveri questa santificazione? “Per i poveri non è tanto importante il riconoscimento del miracolo perché Madre Teresa stessa è stata per loro un miracolo. Tante persone oggi continuano a ripetere questa frase. In ogni caso, sarà comunque uno sprone a un maggiore e miglior impegno nei confronti dei poveri. Ed è importante anche per incoraggiare il lavoro delle consorelle e dei confratelli di Madre Teresa”. Cosa dice la vita di Madre Teresa al mondo contemporaneo? “La vita di Madre Teresa è una storia di impegno, di chiamata alla santità, la sua compassione e il suo amore nei confronti dei poveri è per noi un grande esempio, un invito a metterli al centro della nostra azione e del nostro servizio”. Si dice che la canonizzazione sarà l’evento più importante del Giubileo… “Si lo credo anch’io. E’ altamente significativo per noi che la canonizzazione avvenga proprio durante il Giubileo della Misericordia”.

L' ANGELUS Suore uccise: martiri nell’indifferenza Di Lorenzo Russo

S

egni di pace, segni di misericordia che, anche se arrivano al sacrificio della vita, non fanno notizia dei nostri giornali. All’Angelus di domenica scorsa Papa Francesco ricorda con parole commosse le Missionarie della Carità uccise in un barbaro attacco nello Yemen, dove assistevano gli anziani. Assicura per loro e i familiari le sue preghiere, poi leva una denuncia vibrante: “Questi sono i martiri di oggi! Non sono copertine dei giornali, non sono notizie: questi danno il loro sangue per la Chiesa. Queste persone sono vittime dell’attacco di quelli che li hanno uccisi e anche dell’indifferenza, di questa globalizzazione dell’indifferenza, a cui non importa… Madre Teresa accompagni in paradiso queste sue figlie martiri della carità, e interceda per la pace e il sacro rispetto della vita umana”.


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La Storia siamo Noi 12 marzo 2016

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Benedettini o basiliani sulla collina di S. Pietro?

Di Nunzio Albanelli

N

on posso tacere che, in qualità di Presidente del comitato preposto ai festeggiamenti per il 150° Anniversario del Porto d’Ischia, già noto come “pantanellum” e definito poi “stagnum” da Plinio, ho scritto molto. Mi riservo perciò di pubblicare in seguito qualcuno dei contributi da me offerti alla stesura del volume “’O puorto fa festa p’ ‘e 150 anni”, edito per l’occasione e purtroppo in possesso di pochi eletti. Nel contempo avevo anche avviato una scrupolosa ricerca sui dintorni del porto sia quanto alla collina di S. Alessandro sia quanto all’abazia di San Pietro, che, sulla scorta dei dati raccolti da insigni studiosi, mi avevano sollecitato a recarmi a Grottaferrata, dove sorgeva la celebre Badia dei Basiliani e avrei potuto trovare anche tracce dell’insediamento isolano. Ho dovuto tuttavia rinunciare al mio proposito, quando ho appreso che era gravemente malato l’anziano Direttore della Biblioteca da me contattato. Ecco perché mi rifaccio proprio ad Onofrio Buonocore, pioniere della cultura isclana, che appunto nel n.23 della sua collana “La Cultura” aveva ampiamente trattato l’argomento. Egli sostiene la tesi che sulla collinetta di San Pietro sino al 1300 sor-

geva un cenobio di Basiliani di rito greco. La data del 1300 fu indicata come un vero e proprio spartiacque, dal momento che – come attesta il fratello di Onofrio, Biagio Buonocore, nel saggio “Alpinismo isclano” – a seguito dell’eruzione dell’Arso del 1301, sia i padri Basiliani sia gli abitanti della contrada fuggirono e si rifugiarono sul Castello, anche se alcuni “arditi abitatori” della Rocca pensarono di ritornare in seguito in

quei luoghi abbandonati. Perciò non sorprende il constatare che “tra le famiglie più antiche” troviamo i Buonocore sulla collinetta e i Di Manso su Sant’Alessandro. Debbo tuttavia all’infaticabile e dotto archeologo Don Pietro Monti la precisazione che, nel periodo Alto – Medioevale, sono attestati, da una parte, “minuti insediamenti preromani sulla collina di Sant’Alessandro e, dall’altra la presenza benedettina con chiesa sul-

la collinetta di san Pietro”. Pertanto è improprio parlare di Basiliani, in quanto quei monaci italo-graci, detti comunemente Basiliani, non appartenevano ad un vero e proprio ordine monastico, nemmeno a quello fondato da san Basilio sulle rive del Ponto. Solo un documento del 1382 infatti si trova per la prima volta il termine “basiliani” riferito ai monaci italo-graci. Il Monti perciò contesta a ragione l’affermazione dell’anonimo del “Ragguaglio” circa “i ruderi esistenti sulla collinetta di San Pietro da riferirsi a un monastero di Basiliani”, poiché la penetrazione dei monaci italo-greci, che vivevano secondo la regola di San Basilio, dagli storici è collocata al tempo di San Nilo, nato a Rossano l’anno 905, nella casa madre dei Basiliani d’Italia già citata, presso Grottaferrata. Pertanto la sicura presenza dei Benedettini già prima del 1000, esclude, ratione temporis, quella dei Basiliani. Tale opinione è condivisa sia da Giulio Jasolino nel suo “De Remediis” sia da Paolo Buchner sia da Pietro Monti, ad avviso dei quali, fin dall’origine e anche dopo, furono proprio i Benedettini ad occupare la collinetta di San Pietro, in una posizione solitaria, donde s’allarga tutto intorno uno scenario che lascia incantati! In documenti tardi, reperibili presso l’Archivio di Stato di Napoli, alla voce “Monasteri soppressi”, si legge che quei monaci si dedicavano anche alla coltura dei campi vicini, denominati “Pezze” e “Campitelli”, occuparono poi l’isolotto posto al centro del Lago, sul cui costruirono una piccola chiesa in muratura, che, ad avviso di Giulio Jasolino, a suo tempo era dedicata a san Nicola.


Attualità

19 12 marzo 2016

kaire@chiesaischia.it

Di Franco Iacono

1.

Su La Repubblica del 09/03, Ezio Mauro, riferendosi alle primarie del PD, soprattutto a quelle di Napoli e di Roma, si domanda: “dov’era l’anima?” Infatti, non c’era! Solo “mercato”: bruto e senza valori! In molti si sono, soprattutto qui a Napoli, affannati a minimizzare, atri, più “sensibili” ci hanno fatto sapere, tout court, che non c’era niente di “penalmente rilevante”. E tutti abbiamo tirato…un sospiro di sollievo! Sono questi gli eredi della “diversità” di berlingueriana memoria?! Quei “socialisti” che sono confluiti nel PD, con un pizzico di orgoglio, farebbero bene a sollevare loro, questa volta, una “questione morale” nei confronti di tanti comunisti, tutt’ora viventi e …silenti, che si riempivano la bocca della loro “diversità” all’insegna della questione morale, appunto! Antonio Bassolino, giustamente “disgustato”, farebbe bene, però, a non dimenticare le sue responsabilità, soprattutto “in eligendo” relativamente a soggetti che provengono dalla sua “scuola”. E’ vero che anche il Buon Gesù aveva “selezionato” Giuda Iscariota, ma, almeno, Lui sapeva bene cosa Gli sarebbe accaduto e che tutto era scritto in ben altro disegno: quello della Redenzione! Qui siamo alle miserie ed al degrado più ignobili. Ma, tant’è: non c’è niente di “penalmente rilevante”. “Diversità”, “moralità” non abitano più qui ed Enrico Berlinguer parlava d’altro! E, per di più, parlava… al vento! 2. Finalmente una buona notizia: Napoli e la Campania ospiteranno le Universiadi del 2019. Senza enfatizzare, ma è un evento di primissimo livello, certamente di migliore e più forte impatto della cosiddetta Coppa America. Erano solo degli allenamenti-esibizioni! Ora si tratta di gestire al meglio tutta la fase strutturale non solo nella gestione corrente delle risorse, quanto nel realizzare opere, o ristrutturazioni, che vadano oltre l’evento stesso. Di cattedrali nel deserto e di opere abbandonate ce ne sono già troppe. E poi si tratta anche di … corredare l’evento con iniziative collaterali, in grado di richiamare l’attenzione e l’interesse di tutto il mondo. Già, perché le Universiadi costituiscono un evento davvero universale, il simbolo di tanto momento, che tocca i luoghi del Sapere di tutto il mondo, sia Enrico Caruso, un artista, un mito, che al meglio può rappresenta-

Punti di Vista re Napoli e la sua storia, la sua tradizione migliore. Con la sua arte rese universale la Canzone Napoletana e contribuì, anche sposando l’avveniristica tecnologia delle incisioni su disco a diffondere l’opera lirica dei grandi Musicisti Italiani, da Verdi a

Donizetti, a Puccini, a Giordano, a Mascagni. Solo per citarne alcuni. Sarebbe il modo per preparare al meglio anche il centenario della sua morte nel 2021. Le Universiadi, quindi, non solo un evento sportivo, ma una occasione

per ribadire, al meglio, si spera, la buona immagine di Napoli e della Campania. Se poi il Presidente De Luca riuscisse a mantenere, per quel tempo, il suo impegno a ripristinare la Funicolare del Vesuvio, non solo sarebbe una soddisfazione personale, ma un formidabile recupero di immagine nel segno di ….Funiculì Funicolà. I giovani studenti, non solo gli atleti universitari, avranno modo di immergersi in una storia millenaria, ma sempre fascinosa, che ha segnato il percorso dell’Arte, della Musica, della Bellezza: da Pompei ad Ercolano, a Paestum, alle isole di Ischia, Capri e Procida a Sorrento fino al Cilento a Caserta. 3. Da Dezio, uomo di sport, sono contrario alla immissione della moviola in campo in occasione delle partite di calcio. A prescindere dalla macchinosità del suo utilizzo, di cui anche alle animate discussioni… in poltrona ogni domenica sera sulla interpretazione dei momenti della partita ripresi dalla moviola, una tale novità contribuirebbe ad annullare definitivamente il ruolo dell’uomo. L’arbitro, il cui operato è certamente fallibile, fa parte… del gioco. Mi piace spezzare una lancia in favore dell’uomo, della sua funzione insostituibile, con i suoi errori, con le sue debolezze, ma anche con la sua personalità ed il suo fascino: anche quando è arbitro di una partita di calcio. A meno che non sia disonesto ed in malafede. Come purtroppo ne troviamo in molti campi e lì non c’è moviola che tenga!


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Liturgia 12 marzo 2016

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Commento al Vangelo

Domenica 13 marzo 2016 V domenica di Quaresima

Gesti di misericordia Di Don Cristian Solmonese

I

l Vangelo di questa quinta domenica di quaresima è pieno di gesti e poche ma significative parole. I gesti a volte dicono più delle parole... Un gesto arriva più velocemente al cuore, e le parole servono a spiegare meglio il significato del gesto. Il problema è che quando i gesti non sono in sintonia con le parole, si crea un cortocircuito che non porta da nessuna parte. Gesù è nel Tempio, al cospetto del massimo segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. La donna di cui non viene riportato il nome (se vogliamo possiamo mettere il nostro nome... siamo noi quella donna) viene messa in mezzo, tra Gesù e i suoi storici accusatori, gli scribi e i farisei (anche loro senza nome... e anche qui possiamo metterci il nostro). Le parole dei farisei sembrano una innocente domanda di discepoli che vogliono sapere dal maestro tutto quello che riguarda il peccato e la condanna secondo la legge di Mosè. Ma tutti i gesti e il tono della voce che ci pare di udire leggendo il racconto di Giovanni, dicono che il loro vero interesse è accusare Gesù e poterlo “fregare” con le sue stesse parole. Gesù questa volta non risponde subito con altre parole ma con un gesto tanto strano quanto incredibilmente efficace. Si china per terra e per terra scrive. Con un gesto simbolico Gesù riassume la sua storia e la sua identità. Non rimane in alto a pontificare sul bene e sul male, ma scende a terra, proprio là dove immaginiamo sia la donna, e dove questa donna rischia di finire mentre viene lapidata. Gesù si china a terra proprio dove questa donna, dal punto di vista morale e spirituale, si trova. La donna ha fatto qualcosa che non doveva fare, e lei per prima lo sa. Forse lei stessa conosce bene la legge di Mosè ed è consapevole che deve morire per la sua condotta. Che sia giusta o meno questa legge mosaica, la donna si trova a terra anche spiritualmente, perché vede i responsabili religiosi del suo tempo pronti a condannarla. Gesù per scrivere si è abbassato ed ha toccato la terra, si è messo a livello della donna. In questo gesto, profondamente semplice, c’è una profonda teologia:

Dio nella carne del Figlio è venuto a toccare la nostra terra. Tutto è spazzatura dinanzi a Gesù, ma Egli tocca la terra per riportarla nell’orbita del cielo. Questo gesto è già inizio di perdono e misericordia. Come è bello, come è profondo questo gesto di Gesù! Sembra il gesto di un bambino, o di un innamorato sulla sabbia del mare. Che cosa scrive Gesù? Potremmo scrivere fiumi di parole su ciò che ha scritto Gesù. Ma semplicemente per non dire niente. Ecco io faccio una cosa nuova: il perdono. La grande novità di Dio, che passa attraverso la carne di Gesù, è il perdono: per-dono, cioè un dono che solo Dio può dare. Io ho pensato che Gesù con il dito ha segnato per terra attorno alla donna diverse scritte: “sono tua sorella”, “sono tua madre”, “sono la tua amica”, “sono la tua vicina di casa”, “sono la tua compagna di lavoro...”, in modo che coloro che la stavano per lapidare non si fermino al solo aggettivo “peccatrice”, ma vedano in questa donna tutta una vita e un mondo che va conosciuto a fondo, e non condannato frettolosamente. Gesù si alza solamente quando tutti sono andati via e rimane solo con questa donna. E’ il gesto della resurrezione nella quale vuole coinvolgere anche lei. La risolleva prima spiritualmente e poi la invita risollevarsi nella vita (“Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”). I gesti di Gesù sono stati il veicolo efficace di quello che le parole hanno detto. Lui condivide realmente la condizione della donna, e in questa condivisione profonda e vera la donna si sente risollevata e invitata a vivere di questa misericordia perenne. Siamo noi questa donna, quando ci sentiamo a terra e la polvere si mescola con la nostra tristezza e paura di non farcela. Siamo noi anche questi farisei e scribi, quando alziamo le mani e puntiamo il dito per condannare, diventando ciechi verso noi stessi. Siamo noi anche Gesù, quando ci mettiamo gli uni al livello degli altri, quando siamo capaci di piegarci nella condizione di chi si sente a terra e ha bisogno non di condanne ma di condivisione. La Pasqua che sta arrivando è la festa dei perdonati, di coloro che, dimenticando il passato, corrono verso la meta. Buona Domenica.


Ecclesia

21 12 marzo 2016

kaire@chiesaischia.it

La correzione del padre Di Ordine francescano secolare di Forio

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l più delle volte la sofferenza è conseguenza del peccato, deve far riflettere il peccatore per aprirlo alla conversione e al perdono. E questo è il cammino della misericordia divina: Dio non ci tratta secondo le nostre colpe (cfr Sal 103,10). La punizione diventa lo strumento per provocare a riflettere. Si comprende così che Dio perdona il suo popolo, fa grazia e non distrugge tutto, ma lascia aperta sempre la porta alla speranza. La figura del Padre celeste si riflette spesso nella figura del padre spirituale che ogni fedele si sceglie per camminare con più sicurezza sulla strada della perfezione. San Francesco d’Assisi è stato un ottimo riflesso della sapienza del Padre celeste, ha saputo essere un esempio di virtù per chi voleva imitarlo, ma è stato soprattutto quel padre giusto e misericordioso verso i suoi fraticelli più deboli, sentiva forte il peso di questa responsabilità paterna e per questo quando qualcuno di loro cadeva in errore lo “puniva” con

Papa Francesco, nella sua udienza di mercoledì 2 marzo scorso, ha voluto sottolineare la pazienza di Dio che come Padre aspetta il suo popolo, i suoi figli, affinché lascino la condotta sbagliata per seguire le Sue leggi nell’amore e per amore Suo castighi sostenibili per la loro purificazione, guardando soprattutto il pentimento sincero: “Il Santo aveva in orrore la superbia, origine di tutti i mali, e la disobbedienza, sua pessima figlia: Accoglieva, però, di buon grado chi umilmente si pentiva. Una volta gli fu presentato un frate, che

aveva trasgredito i comandi dell’obbedienza, perché lo correggesse con il magistero del castigo. Ma l’uomo di Dio notò da segni evidenti che quel frate era sinceramente pentito e perciò si sentì incline ad essere indulgente con lui, per amore della sua umiltà. Tuttavia, ad evitare

che la facilità del perdono fosse per gli altri incentivo a mancare, comandò di togliere al frate il cappuccio e di gettarlo tra le fiamme, perché tutti potessero osservare quanta e quale vendetta esige la trasgressione contro l’obbedienza. E dopo che il cappuccio era rimasto un bel pezzo nel fuoco, ordinò di levarlo dalle fiamme e di ridarlo al frate, umile e pentito. Meraviglia: il cappuccio non aveva alcun segno di bruciatura ! Cosi avvenne che con questo solo miracolo Dio esaltò la potenza del Santo e l’umiltà del frate pentito. Quanto è degna di essere imitata l’umiltà di Francesco, che anche sulla terra gli procurò una dignità così grande da piegare Dio ai suoi desideri, da trasformare completamente il cuore dell’uomo, da scacciare con un solo comando la protervia dei demoni e da frenare con un solo cenno la voracità delle fiamme” (FF 1116). I sacerdoti hanno una grande responsabilità nei confronti dei loro figli spirituali, ma anche noi figli abbiamo una grande responsabilità verso di loro, dobbiamo sostenerli con la preghiera, la vicinanza e il rispetto.

FOR LOVE 13 marzo ore 21:00 Lucignolo La Brasserie Forio

E’ per me un disco le cui radici sono fortemente piantate nel passato ma, nel contempo, ha rami e frutti protesi al futuro. Questo perché vedo la musica come un linguaggio e, in quanto tale, in evoluzione continua ma sempre figlia di qualcosa che già è stato. Quindi produrlo è stato come realizzare un sogno; rievocare le mie passioni musicali di sempre sotto una formula nuova e certamente attuale. Ma perché il sogno potesse realizzarsi a pieno è stato necessario rispettare lo stesso criterio anche relativamente ai testi. Infatti questi appaiono per certi versi innovativi pur rivelando qua e là un qualcosa dal sapore retrò. Sotto questo spirito intendo tenere la presentazione della mia opera prima, sperando di riuscire a trasferire questa mia idea di musica a tutti coloro che vorranno ascoltarla. L’appuntamento è per domenica 13 marzo alle 21:30 presso il LUCIGNOLO LA BRASSERIE in Forio. L’intero Cd o i singoli brani sono acquistabili sui migliori stores digitali, quali: Amazon, I-tunes, Ibs.it spotify.


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Libri 12 marzo 2016

www.chiesaischia.it

Non accontetatevi di un pareggio mediocre Di don Vincenzo Avallone

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aro lettore di Kaire, facendo la presentazione di questo libro, mi sento quasi ridicolo a me stesso, io che sinceramente non conosco altro che lo sport della zappa; ma ... è un libro veramente up-to-date soprattutto per il ruolo educativo degli allenatori, che in inglese vengono chiamati “coachs” o “trainers” (coach è la vettura che corre – train è il treno in movimento) perchè devono suscitare nei giovani un dianamismo fisico e morale e, perchè no, anche estetico. Di seguito il libro. «Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza meta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perchè non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato». (1 Cor 9,24) «Conosco e apprezzo il vostro impegno e la vostra dedizione nel promuovere lo sport come esperienza educativa. Voi, che vi occupate dei più piccoli, attraverso il vostro prezioso servizio, siete veramente a tutti gli effetti degli educatori. È un motivo di giusto orgoglio, ma soprattutto è una responsabilità!

Stralci da un libro veramente up-to-date di Don Alessio Albertini – Edizioni La Meridiana, Molfetta 2015 È importante che lo sport rimanga un gioco! Solo se rimane un gioco fa bene al corpo e allo spirito ... Ma c’è qualcosa di più: lo sport vi aiuta a mettervi in gioco nella vita. Non accontentatevi di un pareggio mediocre, date il meglio di voi stessi, spendendo la vita per ciò che davvero vale. Non accontentatevi di queste vite mediocremente pareggiate: no, no! Andate avanti, cercando la vittoria sempre». (dal discorso di papa Francesco ai partecipanti all’incontro promosso dal Centro Sportivo Italiano, 07 giugno 2014). «La presenza di un buon allenatore-educatore si rivela provvidenziale soprattutto negli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza, quando la personalità è in pieno sviluppo e alla ricerca di modelli di riferimento e di identificazione; quando si avverte vivamente il bisogno di apprezzamento e di stima da parte non solo dei coetanei ma anche degli adulti; quando è più reale il pericolo di smarrirsi dietro cattivi esempi e nella ricerca di false

felicità. In questa delicata fase della vita, è grande la responsabilità di un allenatore, che spesso ha il privilegio di passare molte ore alla settimana con i giovani e di avere grande influenza su di loro con il suo comportamento e la sua personalità. L’influenza di un educatore, soprattutto per i giovani, dipende più da ciò che egli è come persona e da come vive che da quello che dice. Quanto è importante allora che un allenatore sia esempio di integrità, di coerenza, di giusto giudizio, di imparzialità, ma anche di goia di vivere, di pazienza, di capacità di stima e di benevolenza verso tutti e specialmente i più svantaggiati. E come è importante che sia esempio di fede! La fede, infatti, ci aiuta a non assolutizzare alcuna delle nostre attività, compresa quella sportiva». (dal messaggio di papa Francesco al Presidente del Pontificio Consiglio per i laici in occasione del seminario internazionale di studio “Allenatori: educatori di persone” 14 maggio 2015)

Promesse all’inizio della stagione sportiva Noi atleti ci impegniamo a dare il meglio di noi, ad ascoltare i nostri allenatori e di accettare serenamente le decisioni arbitrali, fossero anche a volte discutibili. Promettiamo di accogliere volentieri i nostri avversari con la volontà di giocare con loro, non contro di loro, di accettare l’esito delle gare, sapendo esultare nelle vittorie e senza disperarci per le vittorie mancate. Noi allenatori ci impegniamo a vivere lo sport come occasione di crescita per noi e per i nostri atleti. Promettiamo di dosare con equilibrio l’incoraggiamento e la correzione, di non cedere alla tentazione dell’ira e neppure a quella della presunzione. Noi genitori ci impegniamo a sostenere i nostri figli nelle imprese sportive perchè non si scoraggino nelle sconfitte e di essere sempre presenti, con discrezione, nelle società sportive, perchè queste siano sempre all’altezza del loro compito educativo che è quello di sviluppare le qualità fisiche, psicologiche e relazionali dei ragazzi.

Curiosità Papa Francesco è tifoso della squadra del San Lorenzo di Buenos Aires della quale è anche tesserato (n°88235N-O), versando la quota annuale di “activo simple”

Don Alessi Albertini, nato a Besana Brianza (MB) nel 1967, è sacerdote della Diocesi di Milano dal 1992, già coadiutore negli Oratori di Barbaiana di Lainate (1992-1999), a Milano San Gregorio Barbarico (1999-2010), dal 2008 responsabile dell’Ufficio Sport della diocesi. Nel settembre 2012 viene nominato dai Vescovi italiani Consulente Ecclesiastico Nazionale del Centro Sportivo Italiano, il più grande ente di promozione sportiva di ispirazione cristiana. Da allora divide il suo tempo tra la comunità pastorale Beato Giovanni Paolo II di Pero (MI) e la sede del CSI (Roma).


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Teatro

12 marzo 2016

kaire@chiesaischia.it

Di Gina Menegazzi

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na commedia garbata, recitata con una certa misura, quella portata in scena dalla Compagnia Ischia Teatro Stabile il 5 e 6 marzo. Se il testo peccava, come spesso succede in questa rassegna, di alcune lungaggini e incoerenze, i personaggi di “Miracolo!”, pur se appena abbozzati, non erano semplici macchiette e, soprattutto alcuni attori riuscivano ad avere una spontaneità tale da suscitare con le loro battute le risate del pubblico. La commedia di Angelo Rojo Mirisciotti è ambientata nella semplice sacrestia della chiesa di un piccolo paese della provincia di Napoli: Il parroco (Salvatore Sirabella) è coadiuvato dalla perpetua (Nicoletta Romolo) e dal sacrestano (Marco Vitolo) che si arrabatta in tutti i modi per raccogliere qualche soldo. La chiesa, in effetti, soffre la mancanza di fedeli, e le poche parrocchiane affezionate non brillano certo per carità cristiana. A questi personaggi si affiancano una baronessa strozzina

Miracolo!

(Katja Mennella) che reclama il pagamento di un prestito con interessi altissimi, e la nipote del parroco (Alessia Ferrandino), pornostar, più altri personaggi di contorno. Ci vorrebbe un miracolo per

CONVENTO S. ANTONIO FRATI MINORI ORDINE FRANCESCANO SECOLARE

PELLEGRINAGGIO COLLEVALENZA - ASSISI - LA VERNA GRECCIO - FONTECOLOMBO

14 - 17 APRILE PROGRAMMA 14 APRILE: PARTENZA DA CASAMICCIOLA PER COLLEVALENZA: VISITA – S. MESSA - PRANZO PARTENZA PER ASSISI - SISTEMAZIONE IN ALBERGO ( Hotel Antonelli) - VISITA E VESPRI AL SANTUARIO S. DAMIANO CENA E PERNOTTAMENTO 15 APRILE: PARTENZA PER IL MONTE DELLA VERNA ( luogo delle Stimmate di S. Francesco ) - VISITA - S. MESSA – PRANZO - PROCESSIONE CAPPELLA STIMMATE - RIENTRO AD ASSISI - CENA E PERNOTTAMENTO 16 APRILE: S. MESSA: S. MARIA DEGLI ANGELI ALLA PORZIUNCOLA - VISITA BASILICA S. CHIARA E S. FRANCESCO - PRANZO - POMERIGGIO: VISITA E PREGHIERA ALL’EREMO CARCERI E GIRO LIBERO PER ASSISI - CENA - ROSARIO E FIACCOLATA A S. MARIA DEGLI ANGELI 17 APRILE: PARTENZA DA ASSISI PER GRECCIO, VISITA SANTUARIO, FONTECOLOMBO, VISITA - S. MESSA E PRANZO. POMERIGGIO PARTENZA PER NAPOLI QUOTA DI PARTECIPAZIONE 350,00 € - Supplemento singola 20,00 € PER INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI RIVOLGERSI: fr. Mario LAURO P. MARIO LAURO: 081.99.11.70 guardiano NICOTRA EDUARDO: 081.98.35.13/ 333.86.47.628

cambiare qualcosa, e il sagrestano s’inventa la soluzione. Un miracolo così c’è, e, non fosse altro che per suggestione generale, la gente tornerà in chiesa e forse un po’ rifletterà, e i vari personaggi negativi mostreranno comunque alla fine un volto più umano e saranno pronti a cambiare vita. La commedia lascia quindi qualcosa di bello allo spettatore: il personaggio del vecchio parroco non cede il posto alla farsa, ma anzi, senza essere una figura austera, dà prova di rigore, sia rimproverando con fermezza la perpetua per le sue frasi poco caritatevoli, sia non dando per scontato il miracolo (che pure gli sta portando tanta gente in chiesa), ma facendo compiere le dovute analisi, pronto ad accettarne il risultato. Il sagrestano rivela gradevolmente l’ingenuità dei cuori semplici e, se la conversione della nipote fa parte del finale scontato, pure ci permette di portare a casa un sentimento buono, e il sogno che un miracolo, vero o presunto, possa davvero cambiare i cuori degli uomini.

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