Kaire 10 Anno III

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Il settimanale di informazione della Chiesa di Ischia ANNO 3 | numero 10 | 5 marzo 2016 | E 1,00

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VI CATECHESI SULLE OPERE DI MISERICORDIA Lunedì 7 marzo alle ore 20:00 in Cattedrale il Cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo, guiderà l’incontro sul tema “perdonare le offese”. A pag. 9

EDITORIALE

FIORE D'AENARIA

Il ciclone di fine 5 marzo ad Ischia, Mar del Plata e San Pedro: gli ischitani festeggiano la nascita al Febbraio mette a nudo le debolezze Cielo del nostro San Giovan Giuseppe della Croce, un esempio di santità da seguire della nostra isola per convertirci durante questo Giubileo della Misericordia. Di Francesco Mattera

Continua a pag. 14

Andrea Di Massa

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osa dirvi, care lettrici ed affezionati lettore di Kaire? Il titolo dice già quasi tutto. Ma riflettere e ragionare sulle cose non è mai operazione vana, superflua. Quindi proviamo a farlo. Vediamo innanzitutto quali effetti ha prodotto il fortissimo vento di scirocco che nel fine settimana scorso ha flagellato violentemente la nostra isola. Tanti alberi caduti, per fortuna senza nessun incidente alle persone. Altrove si piangono vite umane spezzate. Tettoie e tegolati sollevati e portati pericolosamente via, col rischio di colpire persone. Ponteggi divelti; costruzioni leggere, tipo baracche, ricoveri per animali, piccoli garage , seriamente danneggiati o completamente distrutti; auto danneggiate da rami e pigne cadute dagli alberi di pino. Forse è anche inutile elencarvi le cose che tutti noi abbiamo visto e sentito. Ma c’è anche qualcuno che non si lamenta pur avendo avuto danni di altro tipo. E qui mi riferisco agli agricoltori in particolare. Una categoria che più di essere avvezza al fatalismo, sembra essere sempre pronta a rimboccarsi le maniche per riprendere le cose, ram-

REATO OMICIDIO STRADALE

FESTA DELLA DONNA

SCUOLA KOSMOPOLIS

Il Parlamento approva la legge. Ora pene più severe e fino a 18 anni di carcere. Ecco le novità.

Quale il senso di questa festa? Perché si festeggia e quali diritti servono ancora per arrivare alla parità dei sessi?

La terza lezione sulle nuove povertà si è svolta al centro GPII di Forio per coniugare il tema con le realtà locali di emarginazione.

POTATURE ALBERI AD ISCHIA Sono corretti i tagli che vengono effettuati agli alberi? La risposta del nostro esperto agronomo.


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La battaglia sulla fedeltà Dopo il disegno di legge sulle unioni civili, presentata una proposta per togliere l’obbligo reciproco anche tra i coniugi, nel matrimonio. Motivazione ufficiale: è una visione superata. Ma è proprio così? C’è gradualità tra convivenze, matrimonio civile e religioso? Ne parliamo con don Paolo Gentili. Di Giulio Meazzini

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ell’ambito delle polemiche seguite all’approvazione in Senato del disegno di legge sulle unioni civili, Monica Cirinnà ed altri senatori hanno proposto di togliere anche dall’articolo 143 del Codice Civile il riferimento all’obbligo reciproco di fedeltà tra i coniugi. La motivazione è che si tratta di una “visione superata”, mentre l’attuale versione della legge sulle unioni civili recepirebbe un modello molto più avanzato. Ne parliamo con don Paolo Gentili, direttore dell’ufficio della Pastorale familiare della Cei. La fedeltà è una visione superata? «Sono convinto che la fedeltà faccia parte di qualsiasi tipo di rapporto: civile, religioso, tra amici e anche nelle unioni omosessuali. Sono rimasto profondamente deluso dalla volontà di togliere la fedeltà dalle unioni civili. Capisco l’intenzione di volerle distinguere dal matrimonio, ma non credo che la distinzione si fondi su questo. La fedeltà è per ogni rapporto umano, implica uno sguardo comune al futuro, da costruire insieme. Credo che sia il fondamento di ogni capacità di relazionarsi». Qualcuno la vorrebbe togliere anche dal rapporto coniugale civile… «Se vogliamo veramente annacquare del tutto l’idea di matrimonio, e già il divorzio breve ha fatto da scalpello in questo senso, possiamo anche togliere la fedeltà. Ma allora perché sposarsi? È la stessa domanda che

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viene fatta nel Vangelo di Matteo a Gesù, il quale risponde che è più conveniente sposarsi. Ma se manca la fedeltà non conviene». E il matrimonio religioso? «Il matrimonio cosiddetto concordatario è una conquista di civiltà. Perché certifica l’unità tra la scelta civile – che diventa cellula edificante la società perché un uomo e una donna si uniscono in modo stabile per aprirsi alla vita e all’educazione dei figli –, e la scelta religiosa, che comprende e assume la scelta civile. Il matrimonio è fondamentalmente un diritto naturale, e il matrimonio concordatario solo il riconoscimento di questo diritto. Non è quindi qualcosa da cancellare, ma un punto di arrivo. Nel senso di una gradualità per le situazioni che stanno emergendo nella società». Un esempio di gradualità? «Convivere vuol dire ridurre totalmente una relazione all’aspetto privato. Può essere però solo un primo passo per poi arrivare al matrimonio civile, che almeno riconosce che la

Via delle Terme 76/R - 80077 Ischia Codice fiscale e P.Iva: 04243591213 Rea CCIAA 680555 - Prefettura di Napoli nr.11219 del 05/03/2003 Albo Nazionale Società Cooperative Nr.A715936 del 24/03/05 Sezione Cooperative a Mutualità Prevalente Categoria Cooperative Sociali Tel. 0813334228 Fax 081981342 info@kairosonline.it pec: posta.kairos@pec.it Registrazione al Tribunale di Napoli con il n. 8 del 07/02/ 2014

società attorno contribuisce al nascere di quella famiglia. Infine la scelta religiosa: significa non solo sposarsi in Dio, ma sposarsi dentro

Direttore responsabile: Dott. Lorenzo Russo direttorekaire@chiesaischia.it @russolorenzo Direttore Ufficio Diocesano di Ischia per le Comunicazioni Sociali: Don Carlo Candido direttoreucs@chiesaischia.it Progettazione e impaginazione: Gaetano Patalano per Cooperativa Sociale Kairos Onlus

una comunità di fratelli, quindi sentire fortemente che non sei da solo a vincere la sfida dell’amore da costruire nella coppia».

Redazione: Via delle Terme 76/R - 80077 Ischia kaire@chiesaischia.it | @chiesaischia facebook.com/chiesaischia @lagnesepietro Tipografia: Centro Offset Meridionale srl Via Nuova Poggioreale nr.7 - 80100 Napoli (NA) Per inserzioni promozionali e contributi: Tel. 0813334228 Fax 081981342 oppure per e-mail: info@kairosonline.it

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Rigenerati dall’amore Un

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per formarsi alle nuove unioni di separati Di Lorenzo Russo

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nna e Salvatore Califano per tanti anni sono stati corresponsabili dell’ufficio familiare della nostra diocesi fino a quando poi hanno ceduto il passo ad Antonio e Raffaella Di Leva. Ma la loro passione nell’aiutare il prossimo, soprattutto le famiglie in difficoltà, non è mai calata. E così, hanno deciso di poter dare un loro contributo in diocesi dedicandosi soprattutto a quelle coppie formate da separati in una nuova unione. In questi giorni c’è stato un importate convegno a Roma sul tema a cui i nostri Anna E Salvatore hanno partecipato. “Quando in diocesi abbiamo lasciato la responsabilità familiare ad Antonio e Raffaella, ci è stato affidato l’ambito dei separati divorziati e accompagnati. Siccome sentivamo il desiderio di formarci, abbiamo partecipato ad un convegno a Roma a fine febbraio. “Rigenerati dall’amore”, questo il titolo dell’evento che ha visto la partecipazione di circa 100 persone provenienti da tutta Italia, che stavano vivendo l’esperienza di una nuova unione”. Un weekend di formazione intenso ma molto bello dove sono state affrontate varie tematiche su Dio-Amore: ognuno di noi è amato da Dio immensamente. E’ Dio che fa il primo passo nei confronti dell’uomo e lo ama. Questo tema è stato inserito nella realtà dei separati. La parola – si diceva al convegno – è quello che ci accomuna tutti! Tutti possono vivere il Vangelo, senza nessuna distinzione. Molto belle le esperienze a seguire, dove si poteva avvertire tutta la sofferenza di queste persone che hanno vissuto in passato ma che continuano a portarsi dentro anche in questa loro nuova unione”. Perché ancora sofferenza? “Beh’ innanzitutto c’è in loro una grande sofferenza per non poter ricevere la comunione durante la Messa, ma poi ci sono le tante domande

che i figli pongono, sul perché non si possono – i genitori – accostarsi all’Eucarestia, perché sono considerati “diversi” da tutti gli altri….” E’ venuto anche don Paolo Gentili, direttore dell’uff. nazionale di pastorale familiare? “Si, è venuto a parlarci della Misericordia nel magistero di Papa Francesco e dell’attualità della Chiesa. Una mezz’oretta a tu per tu con don Paolo sull’argomento che ha preso spunto dal libro del Papa sulla misericordia e al suo libro “Luci di spe-

ranza per le famiglie ferite”. Come quindi essere misericordia e vegliare vicino questi fratelli ‘separati’, ed essere molto attenti nei loro confronti perché immancabilmente si allontanano queste persone dalla chiesa e questo non è giusto. La misericordia vale per tutti. Sono persone che hanno bisogno del nostro aiuto, della tenerezza di Dio”. Qual è stato il momento più forte? “Forse quando sabato sera eravamo alla veglia nella cappella e il sacerdote che animava il momento di

preghiera ha chiesto a tutti di andare dinanzi l’altare e baciare il crocifisso, quasi come una consegna a Cristo Crocifisso di tutte quelle sofferenze, sperando nella risurrezione”. Cosa vi portate da questo convegno? “Innanzitutto un atteggiamento diverso nei confronti di queste persone, questi nostri fratelli che hanno affrontato un dolore, e vivono una sofferenza. Forse c’è stata – e c’è ancora – una chiusura nei loro confronti….non deve essere così".


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Al Senato

Unioni civili, e cco cosa dice la legge Ecco quali sono i punti principali della legge sulle unioni civili tra omosessuali e sulle convivenze, approvata al Senato e ora attesa alla prova della Camera Di Angelo Picariello - Roma

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A PREMESSA

Una “specifica formazione sociale” Il nuovo punto 1 sancito dall’ac​ cordo di maggioranza e riscritto dal governo conferma la dizione «specifica formazione sociale» che era stata proposta dai “cattodem”. Ma aggiunge il pieno riferimento a due articoli della Costituzione. Ap, a circoscrivere la portata della normativa, ha chiesto e ottenuto quello all’articolo 2 (che parla proprio delle formazioni sociali), mentre il Pd ha reinserito il richiamo al 3 (principio di uguaglianza davanti alla legge) come a tenere la porta aperta ad un possibile allargamento dei diritti. IL RITO (E IL COGNOME)

Davanti all’Ufficiale di Stato civile L’unione viene sancita, con chiara analogia con il matrimonio, mediante «dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni». L’ufficiale di stato civile «provvede a registrare gli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso». Quanto al cognome, «le parti - si stabilisce al punto 10, uno dei più contestati perché può configurare un simil-matrimonio - possono stabilire di assumere un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome. GLI OBBLIGHI

Assistenza e coabitazione, non la fedeltà Alcune modifiche sono state apportate al regime di nullità. Eliminato il richiamo sic et simpliciter al codice sono state enumerate per esteso le diverse cause di nullità eliminando il riferimento astrattamente possibile, nel vecchio testo, alle devianze sessuali riscrivendo la parte relativa all’errore sulle qualità personale dell’altra parte. Fra gli obblighi reciproci figura quello all’assistenza morale e materiale, nonché alla coabitazione. Eliminato del tutto, invece, l’obbligo di fedeltà reciproca. Anche quest’ultimo cambiamento, che ha fatto molto discutere, è frutto di una proposta di Ap.

LA “VITA FAMILIARE”

Residenza comune e indirizzo concordato «Le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato». È uno degli aspetti più contestati. La volontà nel difendere questa dicitura viene spiegata, nel Pd, da Giuseppe Lumia richiamandosi alla sentenza della Consulta che fa riferimento a un nuovo istituto giuridico e non solo a diritti e obblighi reciproci. Se si fosse parlato di «coppia» o anche solo di «unione» non ci sarebbe stata quella che appare come una porta aperta all’adozione. Il regime patrimoniale, salvo scelta diversa, è la comunione dei beni. REVERSIBILITA’ ED EREDITA’

Dalla pensione al Tfr “maturato” I punti 19, 20 e 21 contengono una lunga serie di rimandi al codice civile. Fra questi, anche la pensione di reversibilità e il Tfr maturato, che spettano anche al partner dell’unione, e la successione. Per la quale valgono le norme in vigore per il matrimonio: al partner superstite va la “legittima”, cioè il 50%, e il restante a eventuali figli. Giorgio Tonini, presidente della commissione Bilancio, rivela anche i costi messi a copertura del ddl: «Due milioni nel 2016 e 21 a regime, nel 2025». Costi «che hanno ottenuto la bollinatura della Ragioneria, relativi alla reversibilità, ma anche a sgravi fiscali e assegni di mantenimento». LE LEGGI SUL “CONIUGE”

Si applicheranno alle unioni civili Il punto più controverso però è il 20. Nel quale permane la dicitura più contestata. D’ora in poi ovunque figuri la parola “coniuge” «in leggi, regolamenti, atti amministrativi e contratti collettivi», le stesse previsioni si applicheranno anche alle unioni civili. Su proposta del presidente della Commissione Giustizia Nico D’Ascola (di Ap), a tentare di limitare l’automatismo, è stata inserita la dicitura con cui si stabilisce che tali disposizioni riferite al matrimonio si applicano «al solo fine di assicurare

l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile». ADOZIONI

Niente “stepchild”, parola ai giudici Nel testo è specificato che tali disposizioni non si applicano «alle norme

del codice civile non richiamate espressamente», che sono comunque tante, «nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, numero 184», la norma sulle adozioni. Via quindi la “stepchild adoption” e anche il rinvio alle adozioni speciali. «Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle


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norme vigenti», viene però aggiunto. E quest’ultima previsione consentirà ai giudici minorili nel procedimento di adozione di poter intervenire caso per caso, tenendo conto del nuovo istituto giuridico delle unioni civili. LE COPPIE DI FATTO

Fissati diritti (limitati) e doveri La seconda parte del nuovo testo regolamenta le coppie di fatto, che non sono legate da matrimonio e unione civile, sancendo alcuni limitati diritti e doveri, in materia di assistenza reciproca, donazione organi, diritto alla casa, e obbligo agli alimenti che può essere disposto dal giudice in caso di scioglimento del rapporto. Quanto ai decreti attuativi del provvedimento, entro 6 mesi il governo dovrà varare «uno o più decreti legislativi di attuazione». Ed entro 2 anni «il governo può adottare disposizioni integrative e correttive».

Omicidio stradale: è legge Sì del Parlamento al nuovo reato Renzi: una legge per le vittime. Si rischiano 18 anni di carcere.

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oma. Pene severe, da 8 a 12 anni di carcere, per chi uccide una persona guidando in stato di ebbrezza grave. Aumenti di pena, se il conducente fugge dopo aver causato l’incidente. Altre aggravanti sono previste se vi è la morte - in questo caso si arriva a 18 anni di carcere - o lesioni di più persone oppure se si è alla guida senza patente o assicurazione. Mentre per riavere la patente, che viene automaticamente revocata in caso di condanna o patteggiamento, si dovranno attendere 15 anni per l’omicidio (30 se il conducente è fuggito) e 5 per le lesioni. Sono le principali novità della legge che introduce il reato di omicidio stradale. Il Senato ha approvato il provvedimento - uscito da una lunga spola con Montecitorio, che recentemente aveva modificato il testo - con 149 sì, 3 no e 15 astenuti. Un voto arrivato tra le polemiche per la fiducia posta dal

governo. Non hanno partecipato al voto il centrodestra, il Movimento 5 Stelle e Sel. Mentre Ala, il gruppo di Denis Verdini ha dapprima annunciato l’uscita dall’aula, poi ha virato verso l’astensione, che a Palazzo Madama equivale al voto contrario. L’ultimo tentativo di sospensiva e ritorno in Commissione, respinto dall’Aula, è stato fatto in mattinata da Carlo Giovanardi (Idea-Gal), che ha accusato l’esecutivo di «arroganza» e di aver posto la fiducia solo per evitare possibili imboscate con il voto segreto su tre emendamenti. Il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, ha replicato dicendosi «orgogliosa di porre la fiducia su un ddl a tutela delle vittime della strada». Il premier Matteo Renzi, subito dopo il voto twitta: «Per Lorenzo, per Gabriele, per le vittime della strada. Per le loro famiglie. L’omicidio stradale è legge, finalmente». Lorenzo e Gabriele sono Lorenzo Guarnieri e Gabriele Borgogni, due ragazzi morti ai quali sono intitolate due associazioni. Il primo caso è stato seguito da Renzi sin da quando era sindaco. E nel 2014 in un messaggio annunciava alla sua famiglia l’ intenzione di introdurre la legge. «Abbiamo mantenuto un impegno preso. È una legge di civiltà», dice il viceministro alle Infrastrutture e Trasporti, Riccardo Nencini. Il reato viene ‘graduato’ su tre varianti: resta la pena già prevista oggi (da 2 a 7 anni) nell’ipotesi base, quando cioè la morte sia stata cau-

sata violando il codice della strada. Ma la sanzione penale sale sensibilmente negli altri casi: chi infatti uccide una persona guidando in stato di ebbrezza grave, con un tasso alcolemico oltre 1,5 grammi per litro, o sotto effetto di droghe rischia ora da 8 a 12 anni di carcere. Sarà invece punito con la reclusione da 5 a 10 anni l’ omicida il cui tasso superi 0,8 g/l o abbia causato l’incidente per condotte di particolare pericolosità (eccesso di velocità, guida contromano, infrazioni ai semafori, sorpassi e inversioni a rischio). Stretta speculare per le lesioni stradali. Ipotesi base invariata, ma pene al rialzo, se chi guida è ubriaco o drogato: da 3 a 5 anni per le lesioni gravi e da 4 a 7 per le gravissime. Sopra la soglia 0,8 g/l o se l’ incidente è causato da manovre pericolose, scatta la reclusione da un anno e mezzo a 3 anni per lesioni gravi e da 2 a 4 anni per le gravissime. L’ ipotesi più grave di omicidio stradale (e lesioni) si applica a camionisti e autisti di autobus anche con un tasso sopra 0,8. In caso di fuga, scatta l’ aumento da un terzo a due terzi, e la pena non potrà essere meno di 5 anni per l’ omicidio e tre per lesioni. Infine, il nuovo reato prevede il raddoppio dei termini di prescrizione e l’ arresto obbligatorio in flagranza nel caso più grave (ubriachezza e droga). Negli altri è facoltativo, ma è espressamente escluso, solo per lesioni, se il conducente presta subito soccorso.


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8 Marzo, far festa, perché? Di Lello Montuori e Mariangela Calise

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hissà cosa resta di quella iniziativa di tante donne coraggiose - sopravvissute all’immane tragedia della Seconda guerra mondiale - che nel settembre del 1944 crearono a Roma l’UDI, Unione Donne in Italia e organizzarono l’8 marzo 1945, la prima giornata della donna nelle zone dell’Italia libera, mentre a Londra veniva approvata e inviata all’ONU una Carta della donna con richieste di parità di diritti e di lavoro. Chissà quale ne era lo spirito, quando dall’8 marzo 1946 la Festa della donna fu celebrata in tutta l’Italia e vide la prima comparsa del suo simbolo, l’odorosa mimosa che fiorisce proprio nei giorni di marzo. Chissà se in quegli anni difficili, con la seconda guerra mondiale appena finita, le donne italiane ripensarono all’8 Marzo del 1917 quando a San Pietroburgo le donne russe d’ogni ceto e condizione, guidarono una grande manifestazione per la fine della prima grande guerra - definita dall’inascoltato Benedetto XV un’ inutile strage - in cui molte di essere avevano perso mariti, padri, figli, fratelli, amici e con essi gli affetti più cari. O piuttosto chissà se pensarono invece all’inizio della grande rivoluzione russa, quella che doveva portare a tutte il sogno del paradiso in terra e invece finì poi nell’incubo della liberticida società comunista. Chissà cosa c’era nella testa e nel cuore di quelle donne, contadine, operaie, madri e sorelle colte op-

pure analfabete, ascoltate oppure discriminate, forti e coraggiose ma anche femminili e sognatrici, nel bel mezzo di un secolo tragico per gli uomini e le donne di ogni paese. Non resta che l’eco di quelle giornate, di ideali, di lotta, di diritti richiesti, eppure ancora per lungo tempo negati. Su di esse forse aleggiava ancora lo spirito di figure di donne ammirate da Rosa Luxemberg a Clara Zetckin che, agli inizi del secolo, nell’Internazionale socialista avevano posto le basi della questione femminile e del suffragio universale alle donne. Ma c’era, forse, molto altro ancora. La rivendicazione di un ruolo per l’altra metà del cielo, nella società e nelle istituzioni, nella famiglia e nel lavoro, in città e campagna, nelle fabbriche e a casa. Cos’è oggi a distanza di un secolo, da quegli avvenimenti carichi di tensione ideale e forse di pathos, la festa della donna? L’ho chiesto ad una amica con cui condivido molte riflessioni sull’oggi senza pretesa di esser nel vero, una donna impegnata nella professione di avvocato e nella società, una persona a me cara che - a mio parere non ha rinunciato ad una femminilità anche più ricercata pur non incarnando l’icona femminile - forse cara ad alcuni - di angelo del focolare. Avv.Mariangela Calise: “Non è una riflessione semplice quella che mi viene chiesta; la festa della donna nel mondo occidentale, dove normativamente non esistono diseguaglianze di genere e dove - ad esempio – la stessa Commissione Europea è impegnata in tutte le sue politiche a

promuovere pari indipendenza economica per le donne e gli uomini, parità di retribuzione per un lavoro di uguale valore, parità nel processo decisionale, dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne, uguaglianza di genere anche fuori dai confini dell’UE, induce gran parte dell’universo femminile a considerare l’8 marzo quasi come un giorno della memoria anziché uno spunto sempre attuale. E’ questo generalizzato e indotto falso senso di sicurezza circa una presunta e garantita parità di genere, il più grande nemico delle donne perché, al netto dei proclami e delle leggi, restano ancora disparità tra donne e uomini sul mercato del lavoro e le donne continuano a essere sovrarappresentate nei settori scarsamente retribuiti e sottorappresentate nelle posizioni decisionali”. Lello Montuori: C’è ancora un problema di ruoli, nella società e nella famiglia? Avv. Mariangela Calise: “Rispondo citando Natalia Aspesi: «Il destino delle donne non è fare figli, ma vivere» e si badi bene, con questo non deve intendersi che la maternità sia nemica della libertà femminile, ma semplicemente che, ancora oggi, molte donne pagano dazio al pregiudizio che la loro esistenza sia connaturata alla funzione riproduttiva e a tutto ciò che ne consegue. La donna che tradisce la figura retorica (ruolo) dell’angelo del focolare per seguire altri interessi e altra realizzazione, nel sentire comune – soprattutto femminile – rinnega la propria natura. Ecco, finché il destino della donna, le sue scelte e

il suo posto nella società non sarà percepito come qualcosa del tutto indipendente e neutra rispetto al genere, come accade per l’uomo, non potremo parlare di pari dignità della donna, né nella professione, né nel ruolo familiare.” Lello Montuori: Eppure oggi le donne sono ovunque, anche in posizioni di vertice. Avv. Mariangela Calise: “Non lasciamoci ingannare. Le (poche) donne che in Italia occupano posizioni apicali fanno notizia per essere inusuali almeno quanto un presidente nero per gli Stati Uniti, ed in ogni caso ad esse fanno da contraltare milioni di donne che, a parità di titoli, faticano ad entrare nel mercato del lavoro e ove occupate, sono spesso sottopagate rispetto ai colleghi uomini. L’offensiva leggerezza con cui si affronta l’argomento è testimoniata dal ricorso, ad esempio, alle c.d. quote rosa (norme volte a tutelare la parità di genere all’interno degli organi rappresentativi, garantendo alle donne un numero di posti riservati all’interno delle liste elettorali) che in assenza di una politica che crei le condizioni, anche e soprattutto culturali, di un effettivo riscatto femminile, lanciano un messaggio diametralmente opposto rispetto alle intenzioni; con la riserva di posti si rimarca una differente possibilità di accesso delle donne in politica che presta il fianco ad essere interpretata come inattitudine della donna e non come vizio culturale dell’intero apparato. Insomma c’è ancora da lavorare per festeggiare. Il mio augurio per le donne è che l’8 marzo possa davve-


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ro diventare il giorno della memoria, ma di un percorso di conquiste portato a definitivo compimento.” La festa della donna per me che ho fatto l’intervista Lello Montuori. No. Non indulgerò ad un’inutile ricerca di senso per un evento che lo ha avuto e per me oggi non lo ha più. Con tutto il rispetto per chi, ancora oggi, fa festa. Perché? Semplicemente perché non credo alle Feste. Mi piace commemorare eventi di storia civile. Il lavoro, la Repubblica, la Costituzione perfino. Ma non amo la Festa dei nonni, né quella della mamma, né quella del papà. Trovo anzi queste feste dannose. Innalzano nuovi lai-

cissimi totem nel calendario già affollato delle feste liturgiche, molte delle quali già snaturate di loro. Commemorazioni civili e religiose che non hanno più senso, accomunate, come sono, da una patina che le rende commerciali, talvolta volgari. No, se fossi una donna non festeggerei l’8 Marzo. Lascerei gli odorosissimi rami di mimosa sugli alberi, augurandomi un giorno in cui le donne, amiche, confidenti, compagne, mogli, madri, sorelle, possano contare su uomini capaci di essere uomini, amici, confidenti, compagni, mariti, figli e fratelli, all’altezza di loro. Sarebbe un gran bel giorno. Anche senza festa.

AVVISO

Idoneità aspiranti insegnanti di religione cattolica Tenuto conto delle diverse richieste per l’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC), gli Ordinari diocesani della Regione Ecclesiastica Campana intendono procedere, di comune accordo e a livello regionale, all’accertamento dell’abilità pedagogica ai fini del riconoscimento dell’Idoneità per l’IRC nelle Scuole di ogni ordine e grado statali e paritarie. Significato dell’Idoneità: “L’idoneità non è paragonabile a un diploma che abilita a insegnare correttamente la religione cattolica. Essa stabilisce tra il docente di religione e la comunità ecclesiale nella quale vive un rapporto permanente di comunione e di fiducia, finalizzato ad un genuino servizio nella scuola, e si arricchisce mediante le necessarie iniziative di aggiornamento, secondo una linea di costante sviluppo e verifica... Il riferimento che l’insegnamento della religione deve necessariamente avere con il vissuto religioso testimoniato dalla comunità cristiana comporta che il docente di religione sia non solo oggettivamente riconosciuto dalla comunità stessa, ma anche soggettivamente partecipe della sua esperienza di fede e di vita cristiana.” (CEI, nota pastorale, n. 22, maggio 1991). Coloro che aspirano a supplenze e/o incarichi per l’Insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado delle diocesi della regione ecclesiastica campana possono consegnare a mano la domanda all’Ufficio Scuola della diocesi di appartenenza entro lunedì 11 aprile 2016. Le domande e i curriculum saranno presi in esame solo se redatti utilizzando l’apposito modulo che trovate in allegato sul sito chiesaischia.it o reperibile sul sito www.ireca.it. Il mancato utilizzo dell’apposito modulo comporta l’annullamento delle domande. Il/La candidato/a deve indicare nella domanda l’ordine e grado di scuola per il quale intende sostenere la prova di accertamento dell’abilità pedagogica. Le domande di partecipazione saranno trasmesse dall’Ufficio Scuola diocesano all’Ufficio Scuola della Conferenza Episcopale Campana, con allegato nulla osta dell’Ordinario diocesano entro il 26 aprile 2016.L’Ufficio Scuola della CEC ricevute le domande e i curriculum vitae provvederà ad inviare al candidato, all’indirizzo di posta elettronica indicato, la convocazione formale alla prova di accertamento dell’abilità pedagogica con le indicazioni relative al luogo, data e orario di svolgimento. Solo i candidati convocati dall’Ufficio Scuola della CEC possono accedere alle prove. (...) PER QUALSIASI INFORMAZIONE CONTATTARE LA PROF. SSA MATILDE DI MEGLIO, RESPONSABILE UFFICIO SCUOLA DIOCESI DI ISCHIA: ufficioscuolaischia@libero.it


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Giubileo Misericordia della

RUBRICA: LA MISERICORDIA E IL CONCILIO

11. Il dialogo nella “Evangelii gaudium” La terza eredità del Concilio è il dialogo. Dopo che lo si è analizzato nei testi del Concilio si fa un salto all’oggi, nel pensiero di papa Francesco.

Di don Pasquale Trani Delegato vescovile per la pastorale

“L’

evangelizzazione implica anche un cammino di dialogo. Per la Chiesa, in questo tempo ci sono in modo particolare tre ambiti di dialogo nei quali deve essere presente, per adempiere un servizio in favore del pieno sviluppo dell’essere umano e perseguire il bene comune: il dialogo con gli Stati, con la società – che comprende il dialogo con le culture e le scienze – e quello con altri credenti che non fanno parte della Chiesa cattolica. In tutti i casi «la Chiesa parla a partire da quella luce che le offre la fede», (Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2012) apporta la sua esperienza di duemila anni e conserva sempre nella memoria le vite e le sofferenze degli esseri umani. Questo va aldilà della ragione umana, ma ha anche un significato che può arricchire quelli che non credono e invita la ragione ad ampliare le sue prospettive.” Così si è espresso papa Francesco al n° 238 della sua Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” (24 novembre 2013), vero documento programmatico del suo pontificato. Il termine dialogo qui vi ricorre ben 46 volte e ne tratta in modo esteso, in particolare nella quarta parte del cap. 4 («La dimensione sociale dell’evangelizzazione») che ha per titolo «Il dialogo sociale come contributo per la pace» (nn. 238-258). Come è suo solito l’attuale pontefice, più che formulazioni teoriche, preferisce trattare del dialogo come di una “pedagogia dell’incontro”: un cammino personale, pastorale e sociale che propone a persone e a gruppi. Egli si fa erede delle suggestioni sul dialogo offerte dal Concilio (cf. precedente articolo) e praticate dai suoi predecessori e riproposte dalla XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema della nuova evangelizzazione

(7-28 ottobre 2012). Forse è questo il numero più personale e meno “istituzionale”, posto al termine dei cinque sottotitoli: “Come credenti ci sentiamo vicini anche a quanti, non riconoscendosi parte di alcuna tradizione religiosa, cercano sinceramente la verità, la bontà e la bellezza, che per noi trovano la loro massima espressione e la loro fonte in Dio. Li sentiamo come preziosi alleati nell’impegno per la difesa della dignità umana, nella costruzione di una convivenza pacifica tra i popoli e nella custodia del creato. Uno spazio peculiare è quello dei cosiddetti nuovi Areopaghi, come il “Cortile dei Gentili”, dove «credenti e non credenti possono dialogare sui temi fondamentali dell’etica, dell’arte, e della scienza, e sulla ricerca della trascendenza» (Propositio 55). Anche questa è una via di pace per il nostro mondo ferito.” (n° 257). Francesco parla anche del dialogo con l’altro in modo personale e informale come via previa per ogni altro discorso di tipo missionario in due numeri, dal titolo Da persona a persona: “Ora che la Chiesa desidera vivere un profondo rinnovamento missionario, c’è una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta

di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. È la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa. Essere discepolo significa avere la disposizione permanente di portare agli altri l’amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada.” (n. 127). “In questa predicazione, sempre rispettosa e gentile, il primo momento consiste in un dialogo personale, in cui l’altra persona si esprime e condivide le sue gioie, le sue speranze, le preoccupazioni per i suoi cari e tante cose che riempiono il suo cuore. Solo dopo tale conversazione è possibile presentare la Parola, (…) ma sempre ricordando l’annuncio fondamentale: l’amore personale di Dio che si è fatto uomo, ha dato sé stesso per noi e, vivente, offre la sua salvezza e la sua amicizia. È l’annuncio che si condivide con un atteggiamento umile e testimoniale di chi sa sempre imparare, con la consapevolezza che il messaggio è tanto ricco e tanto profondo che ci supera sem-

pre. A volte si esprime in maniera più diretta, altre volte attraverso una testimonianza personale, un racconto, un gesto, o la forma che lo stesso Spirito Santo può suscitare in una circostanza concreta…” (128). Vi è un terzo passaggio importante in cui il Papa parla del dialogo in riferimento all’omelia, quindi nel contesto liturgico, dove, citando un celebre passo di Giovanni Paolo II, si raggiunge “il momento più alto del dialogo tra Dio e il suo popolo” (cf. Lettera apostolica Dies Domini, 31 maggio 1998): “(…) Vi è una speciale valorizzazione dell’omelia, che deriva dal suo contesto eucaristico e fa sì che essa superi qualsiasi catechesi, essendo il momento più alto del dialogo tra Dio e il suo popolo, prima della comunione sacramentale. L’omelia è un riprendere quel dialogo che è già aperto tra il Signore e il suo popolo. Chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dov’è vivo e ardente il desiderio di Dio, e anche dove tale dialogo, che era amoroso, sia stato soffocato o non abbia potuto dare frutto.” (EG, n° 137). * Per continuare il dialogo con l’autore: pasqua.trani@gmail.com


Giubileo Misericordia della

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9 5 marzo 2016

IV CATECHESI GIUBILARE

Perdonare le offese 7 marzo 2016 Chiesa Cattedrale ore 20.00 Con il Cardinale Edoardo Menichelli, Arcivescovo di Ancona Osimo

«Perdona l’offesa al tuo prossimo e allora, per la tua preghiera, ti saranno rimessi i peccati.» (Sir 28,2)

«Ero un possibile delinquente. E invece il buon Dio...» Il Card. Edoardo Menichelli si racconta: «A undici anni sono rimasto senza genitori, a dodici anni ho dovuto abbandonare la scuola per andare a lavorare. E indovini che mestiere ho fatto? Il pastore». Una giornata accanto a un pastore che conosce l’odore delle sue pecore, la loro testardaggine e la loro mitezza.

Di M. Michela Nicolais

«A

desso le dico una cosa che non ho mai detto a nessuno: a undici anni sono rimasto senza genitori, a dodici anni ho dovuto abbandonare la scuola per andare a lavorare. E indovini che mestiere ho fatto? Il pastore». Comincia con una confidenza, davanti a una tazza di latte, la mia giornata «a tu per tu» con il Card. Edoardo Menichelli, uno dei 20 cardinali che un anno fa ha ricevuto la «berretta» dal Papa durante il concistoro. Quando ho chiesto a don Edoardo - è così che vuole essere chiamato, anche dopo il Concistoro, perché «non cambia niente» con la porpora cosa volesse dire per lui l’invito di Papa Francesco a essere pastori «con l’odore delle pecore», non mi aspettavo una risposta così, arrivata dopo una breve pausa come un fiume in piena: «Ho fatto il pastore: l’odore delle pecore lo so qual è, la testardaggine delle pecore so qual è… anche la mitezza delle pecore so qual è». Un pastore innamorato del suo gregge: 76 anni, 51 di sacerdozio, 21 di episcopato di cui la metà trascorsi ad Ancona. Ma anche i 26 anni trascorsi a Roma sono ancora tutti lì: se li ricorda nelle telefonate che riceve, ma anche nei venti chilometri che facciamo fianco a fianco, mentre guida la sua Panda beige nel tragitto verso Osimo. Capisce di avere a che fare con una romanista, e ricordando il presidente Viola - «ogni tanto si ricoverava a Villa Mafalda», io ero assistente lì»- mi dice con piglio sicuro: «Il problema della Roma sono i tifosi». «Io ero un possibile delinquente», confessa quasi a bruciapelo guardandomi dritto negli occhi: «lo dico sempre ai ragazzi. A 11 anni ero senza genitori. C’è stato un disegno del buon Dio che attraverso percorsi difficili mi ha portato là. Il buon Dio ci disegna la vita, dà una trama, come una maglia. Se non capisci che per Dio sei una meraviglia così come sei, diventi un manichino».

Chi è il cardinale Edoardo Menichelli

O

ltre vent’anni di ministero episcopale in due arcidiocesi dell’Italia centrale, preceduti da un lungo servizio nella Curia romana: si può riassumere così l’esperienza del cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo. Settantasei anni e 5 mesi, è nato a Serripola di San Severino Marche, in provincia di Macerata, il 14 ottobre 1939. Ordinato sacerdote il 3 luglio 1965, tre anni dopo è stato chiamato a Roma dov’è rimasto per ventisei anni, lavorando fino al 1991 come officiale presso il Supremo tribunale della Segnatura Apostolica e in seguito presso la Congregazione per le Chiese Orientali come addetto di segreteria. Ha ricoperto anche l’incarico di segretario particolare del cardinale prefetto del dicastero Achille Silvestrini. Negli anni romani, a partire dal 1970 e fino alla nomina episcopale, ha prestato la sua opera come cooperatore presso la parrocchia dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, al quartiere Trieste, seguendo soprattutto la pastorale familiare. È stato inoltre assistente spirituale nella clinica Villa Mafalda per più di vent’anni e ha anche collaborato con il consultorio familiare della facoltà di medicina al Policlinico Gemelli, dove per alcuni anni ha insegnato etica professionale nella scuola per infermieri. Ha infine preso parte attiva al Sinodo della diocesi di Roma, conclusosi nel 1993 dopo un cammino settennale. Il 10 giugno 1994 Giovanni Paolo II lo ha nominato arcivescovo di Chieti-Vasto, successore di Antonio Valentini, dimessosi per raggiunti limiti di età. Dieci anni dopo, l’8 gennaio 2004, è stato trasferito alla sede metropolitana di Ancona-Osimo, successore di Franco Festorazzi. L’11 settembre 2011 ha accolto Benedetto XVI in visita pastorale ad Ancona, dove nel cantiere navale ha presieduto la messa conclusiva del venticinquesimo Congresso eucaristico italiano. Per espressa volontà dell’arcivescovo, la grande assise nazionale è stata connotata da una triplice scelta tematica — racchiusa in tre “c”: celebrazioni, carità e cultura — e da alcuni particolari incontri con il Papa: uno riservato agli sposi e ai sacerdoti insieme, per recuperare un’identità vocazionale e riscoprire il comune impegno educativo; e un altro con i fidanzati, per manifestare loro la vicinanza della Chiesa. Ma la visita viene ricordata anche per un altro significativo momento: il pranzo condiviso dal Pontefice con una rappresentanza di operai in cassa integrazione e alcuni poveri assistiti dalla Caritas. Un riconoscimento alla sua speciale attenzione pastorale alla famiglia è venuto dalla nomina pontificia a membro della terza assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi sulla famiglia (ottobre 2014), di cui è stato relatore del circolo minore italiano.



Pastorale Sociale & Lavoro

11 5 marzo 2016

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Una missione possibile Di Fortuna Scotti ed Emmanuel Buono Studenti di Kosmopolis

I

l prof. Gennaro Iorio, docente di Sociologia presso l’Università di Salerno, relatore dell’incontro, prendendo spunto dall’Enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco e dal suo programma di “ecologia integrale”, ha ben evidenziato come l’impegno per l’ambiente equivalga ad impegno a favore dei poveri e delle classi sociali più in difficoltà, prime vittime dei tanti disastri e sciagure ambientali. I cambiamenti climatici non solo condizionano la vita di quanti sono vittime dei loro effetti, ma anche le relazioni interpersonali a tutti i livelli. L’era dell’industrializzazione, con l’eccessivo uso di energia fossile, ha portato ad una crescente disuguaglianza tra i paesi industrializzati, maggiori produttori di CO2 e gli strati disagiati della popolazione mondiale. La COP21 2015 di Parigi, che si è prefissata di contenere l’aumento di temperatura globale entro il grado e mezzo, ha anche stimato una riduzione nella produzione agricola, che marcherà ancora di più queste disuguaglianze. Sia gli “alti consumatori” che i “bassi consumatori” saranno soggetti a effetti negativi perché “siamo tutti connessi tra di noi con la natura”. Gli spunti offerti dal prof. Iorio sono stati tanti: a cominciare da quello sul concetto di sviluppo sostenibile e sulle possibilità di riciclo e di riproduzione dell’energia e dei beni di consumo, passando agli interrogativi relativi al rapporto tra energia utilizzata e dieta alimentare. Si può parlare di futuro in un mondo che, per soddisfare il fabbisogno della propria dieta media, richiede la disponibilità, secondo gli ultimi dati, di “un pianeta e mezzo”? E, più in generale, la felicità e la soddisfazione personali sono davvero legate al consumismo sfrenato? Abbiamo la fortuna, tuttavia, di disporre di notevoli soluzioni tecnologiche. Attraverso internet, per esempio, possiamo usufruire di rilevanti flussi di comunicazione e informazione “a costo marginale zero”, di risorse sostanzialmente aperte. Il nuovo trend dovrebbe essere quindi improntato sull’utilizzo dei cosiddetti ‘commons’, beni accessibili a costo marginale zero. Esempio è l’energia solare, ancora troppo poco utilizzata a causa degli interessi delle

multinazionali, oppure le informazioni e le conoscenze che vengono collettivamente condivise e che tendono ad essere in genere gratuitamente a disposizione di tutti. In tal senso, si può sfruttare la rete per diffondere buone pratiche relative alla collaborazione e alla condivisione delle cose può costituire, come sottolineato dallo stesso prof. Iorio, un passo fondamentale per promuovere una “governance” di livello mondiale, che favorisca contemporaneamente il progresso industriale e la salvaguardia dell’ambiente, e che permetta la diffusione di uno spirito solidale non più indirizzato verso il

bianco o il nero ma, semplicemente, verso il prossimo. Sul piano personale è richiesta una presa di coscienza di tipo biosferica su come le nostre azioni si riflettono inevitabilmente sulla società e sull’ambiente, e questo ci può condurre ad un nuovo stile di vita, più sobrio, ecologico e solidale. Alla relazione è seguito un ampio dibattito tra i presenti, visibilmente toccati dal tema, seppure con opinioni diverse: chi vedeva alla base della società e dei rapporti soltanto una questione di interessi, chi riteneva l’istruzione il mezzo più efficace per cambiare la mentalità egoi-

stica dei paesi industrializzati, chi affermava il bisogno di dover partire dall’occuparsi dei “poveri” della porta accanto e iniziare dal piccolo a costruire qualcosa di grande sul principio della sostenibilità. Ci sono state anche due forti testimonianze isolane. La prima è stata quella del centro ospitante, con Luisa Pilato e M. Concetta Mazzella, le quali ci hanno illustrato l’impegno quotidiano accanto agli ultimi, sostenuti da vari uomini e donne isolani, che in prima persona si impegnano a strappare un sorriso a quelle persone che hanno ormai perso la felicità. La seconda è stata quella di Nunzia Mattera, fondatrice della “Catena alimentare”, un’associazione di volontari, con un banco alimentare isolano grazie al quale essi riescono a sopperire alle esigenze primarie di ben 70 famiglie. Toccanti sono state le parole con le quali ha concluso il suo intervento, affermando che alla sera, pur ritrovandosi stanca del lavoro compiuto, è felice, sì, felice, perché c’è “più gioia nel donare che nel ricevere” !


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Santo Patrono 5 marzo 2016

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5 Marzo: giorno del “più bel fior d’Aenaria” Ischia, Mar Del Plata, San Pedro: triangolo d’amore e di fede nel mondo per il Santo Patrono e concittadino San Giovan Giuseppe della Croce.

Di Antonio Lubrano

I

n contemporanea a Ischia, a Mar del Plata in Argentina e a San Pedro in California negli Stati Uniti d’America si festeggia la storica e tradizionale data del 5 marzo, giorno tanto atteso per gli ischitani residenti sull’isola e nel mondo. Il calendario ripropone puntuale la ricorrenza rievocativa della volata al cielo nel 1734 del Santo concittadino Giovan Giuseppe della Croce, “vanto e gloria di quest’isola” come recita lo storico inno “Oh Gran Santo Protettor…” scritto nel lontano 1924 dal Canonico della Cattedrale Francesco Colonna. Il Novenario ad Ischia Ponte in onore a San Giovan Giuseppe è iniziato il 25 febbraio scorso con la “Giornata dell’emigrante”, iniziativa solidale in pieno clima giubilare, per pregare e ricordare le migliaia di emigranti ischi-

tani sparsi in tutto il mondo. La fede e la devozione da quelle parti per il Santo concittadino sono più forti del sentimento nostalgico che provano stando da una vita lontani dall’amata isola che li ha visti venire alla luce e poi partire “’pe terre assai Luntane…”. Per questo qui ad Ischia, in marzo e a fine agosto, mesi in cui si festeggia in forma solenne il Santo Patrono, si pensa anche ai concittadini amici e congiunti, residenti all’estero, che al pari di noi si stringono intono a San Giovan Giuseppe per atto di amore e di fede. Quindi la settimana che conclude il 5 marzo, è stata vissuta nel segno di un programma scandito da iniziative che hanno rispecchiato il messaggio del giubileo voluto da Papa Francesco e fatto osservare alla lettera sull’isola dal Vescovo di Ischia Mons. Pietro Lagnese. Dopo il passaggio della Sacra Urna dorata contenente il corpo di San Giovan Giuseppe per la Porta Santa della Misericordia in Cattedrale, si è proseguito con la “Giornata della Consolazio-

ne”. Martedì scorso 1 Marzo, è stata la volta del “Giubileo Diocesano della Gente di Mare” dove il Vescovo Lagnese ha benedetto tutti coloro che lavorano sul mare. Mercoledì invece si è celebrata la “Giornata della Memoria”. Giovedì 3 marzo, si è data spazio alla “Giornata dell’Amicizia” con il pellegrinaggio dei fedeli della parrocchia di S. Maria delle Grazie di Lacco Ameno verso la Cattedrale dove hanno ricevuto in dono la Croce dell’Amicizia. Venerdì 4 marzo, giorno che ha preceduto la ricorrenza liturgica del Santo, iniziativa eccezionale di “24 ore per il Signore” con la Cattedrale di Ischia Ponte aperta giorno e notte fino all’indomani, ossia sabato 5 marzo giornata di giubilo speciale dedicato a San Giovan Giuseppe della Croce, la cui celebrazione con il Pontificale del Vescovo Mons. Pietro Lagnese ha luogo nel Santuario dello Spirito Santo, dove per l’occasione, sono esposti al culto dei fedeli la storica statua settecentesca del Santo particolarmente familiare ad ogni ischitano devoto e l’Urna Sacra con le spoglie mortali di San Giovan Giuseppe che nel tardo pomeriggio passerà nella chiesa Cattedrale vicina, e vi rimarrà fino al giorno seguente domenica 6 marzo. Il programma di Ischia si conclude proprio domenica con la Giornata Caritas e con il ritorno in serata dell’urna col Corpo del Santo dalla Cattedrale stessa alla chiesa conventuale di Sant’Antonio alla Mandra. A San Pedro in California, tutti i membri ischitani della Federazione Cattolica italiana presieduta da Neal

Di Leva presso il complesso ecclesiale di Mary Star, da qualche settimana si sono mobilitati per vivere il loro 5 marzo dedicato al Santo Concittadino nella migliore maniera, nella fede e nella devozione verso San Giovan Giuseppe, loro compagno perenne nella quotidiana nostalgica lontananza dalla propria terra che alcuni dei tanti emigrati non l’hanno neppure più rivista. Oggi 5 marzo, ciascuno di loro si sentirà ancor più ischitano, perché immedesimato nella vita santa del proprio illustre concittadino e renderà omaggio a San Giovan Giuseppe raffigurato in San Pedro nella storica statua del bianco marmo di Carrara che troneggia in una esclusiva cappellina sotto la navata sinistra della grande chiesa Stella Maris costruita nei primi del novecento con il sostanzioso e determinate contributo degli ischitani pescatori, a quel tempo ivi emigrati. Gli ischitani di San Pedro glorificheranno il Santo nella loro chiesa madre con una messa solenne e canti liturgici magnificati dalla bella e grande voce del tenore di madre ischitana Agostino Castagnola dell’Opera di Los Angeles, che come ogni anno, anche oggi 5 marzo canterà con la bravura ampiamente riconosciuta, l’inno “Oh Gran Santo Protettor…” in omaggio a San Giovan Giuseppe del quale Agostino è fervente devoto grazie all’influenza avuta su di lui da bambino sua nonna Caterina Curci. Nel tardo pomeriggio alle ore 18.00 gran raduno nella grande sala del’Auditorium di Mary Star per l’annunciato grande Dinner Dancing a cui


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Santo Patrono

5 marzo 2016

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LA BELLEZZA DELLA DEVOZIONE E DELLA FEDE

Il santo che affascina: il miracolo delle tre pesche La statua di San Giovan Giuseppe di marmo bianco di Carrara nella chiesa di Amry Star a San Pedri di California

Di Michele Lubrano

S

Il Programma Mar Del Plata

Il Programma di San Pedro col dinner dancing

Il gonfalone con l'immagine del santo cara agli ischitani d'Argentina

Giovani figli di ischitani emigrati a Mar Del Plata San Pedro - Chiesa di Mary Star il gonfalone di portano in processione la loro statua di San Go- san Giovan Giuseppe esce in processione van Giuseppe venerata nella chiesa della Sagrada Familia Del Porto

prenderanno parte, in omone di San Giovan Giuseppe oltre seicento persone, fra ischitani e devoti del Santo anche di altre etnie. A Mar del Plata in Argentina una nutrita Commissione guidata da Alfonso Vottola e da padre Miguel Cacciutto si è messa al lavoro già da un mese per mettere a punto il programma dei festeggiamenti in

onore di San Giovan Giuseppe che sono iniziati giovedì 3 marzo scorso per concludersi oggi sabato 5 marzo con processione, adorazione, messe solenni, banda musicale e fuochi pirotecnici finali. Tutto dentro e fuori della loro chiesa del porto, la Sagrada Familia. antoniolubrano1941@gmail.com Giovan Giuseppe Lubrano

nocciolare i miracoli del Santo, fra Napoli e Piedimonte D’Alife, non basterebbe l’intero giornale per renderli di pubblico apprendimento. Quelli più significativi, hanno incuriosito studiosi impegnati e raffinati teologi per meglio capire il fenomeno e dare una spiegazione logica. Ma i miracoli sono miracoli. Di fronte ad essi, le spiegazioni più o meno logiche per dimostrare il contrario, spesso si perdono in interpretazioni del nulla. I miracoli di San Giovan Giuseppe erano semplici, per così dire “domestici” e autentici. Quello del bastoncino che volava sulle teste della gente che affollava il Duomo di Napoli e raggiunse per… “miracolo” il povero vecchietto che l’aveva smarrito, seduto sul sagrato della chiesa con difficoltà a muoversi. E il miracolo delle tre pesche che qui di seguito raccontiamo, danno un’idea migliore per accogliere il senso del miracolo in se stesso e la sua attendibilità. Sia che l’abbia fatto San Giovan Giuseppe della Croce, sia che l’abbia fatto un altro Santo della lunga schiera che vanta la religione cattolica. Il miracolo delle tre pesche fatto da San Giovan Giuseppe, ci indica la bellezza del miracolo stesso quando colpisce ed affascina. Quindi, vale la pena seguirlo nella sua esposizione. Verso sera, nel febbraio del 1726, il nostro Santo era atteso a S. Lucia al Monte da un mercante napoletano, che stava narrando al Duca di Lauriano come la sua consorte, prossima a diventare madre, corresse grave pericolo, per un desiderio - inappagabile in quella stagione - di pesche belle e mature pronte da mangiarsi. Insomma pesche duracine. Giunto al Servo di Dio, il povero signore gli espose la disperazione del suo caso, pregando con lacrime di venirgli in soccorso. Con l’anima sempre facile a intenerirsi alle sventure altrui, il Santo levati gli occhi al cielo, pieno di speranza in Dio: -Via- gli risposepazienti un po’ sua moglie, da qui a domani il Signore, S. Pietro d’Alcantara e S. Pasquale... provvederanno. Il negoziante partì con questa fiducia e il Santo nel salir le scale insieme al Duca, veduto un mucchio di fascine, rivolto al terziario che lo accompagnava: - Fratello Michele, - gli disse prendi questi steli, perché li vogliamo piantare. Chi sa che Dio, S. Pietro e S. Pasquale non facciano nascere qualche pesca, cosi da salvare quella povera donna e l’anima della sua creatura. - Volete piantarli, Padre? - gli rispose - e come possono fare delle pesche questi rami di castagno?Ma il Duca, non visto dal Santo, fece cenno di obbedire e i tre steli furono portati nella cella del Santo e, in nome della SS.ma Trinità, vennero piantati. L’indomani i tre rami erano coronati di foglie, e da ciascuno pendeva una pesca. Perfino il Vicerè Cardinale d’Althann seppe del prodigio. Nel pomeriggio stesso, il Duca rivide i tre ramoscelli cresciuti maggiormente, ancora a testimoniare come Dio è mirabile nei suoi Santi.


14 5 marzo 2016

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DOPO UN AUTUNNO ED UN INVERNO TRANQUILLI

Il ciclone di fine Febbraio mette a nudo le debolezze della nostra isola

Continua da pag. 1 mendare gli strappi, assecondare più di altri la naturale tendenza della natura a riparare le ferite inferte dal dispiegarsi, a volte furioso, degli elementi. I danni alle colture sono evidenti, ma non fanno notizia. Carciofi rasi al suolo, piantagioni piccole e grandi di fave e piselli stracciati dal vento, quegli aranci che avevo decantato qualche numero orsono di Kaire, miracolosamente illesi dopo tanti mesi, belli solo a vederli, ridotti al suolo in una poco dignitosa coperta arancione che la terra non reclamava affatto per essere più bella, ma ora pronta ad accogliere nel suo seno per rinnovare ancora una volta il ciclo della natura. Ci mancheranno quelle arance, manderini, pompelmi ! Mancheranno nella primavera che verrà, alle giornate tiepide e poi calde che reclamano una premuta ristoratrice, uno sbucciare a mani nude proprio sotto l’albero col sorriso che copre i morsi succo-

si inferti al frutto denudato a fatica, con le mani rese oleose ma profumate dalle bucce , ora disseminate a frammenti sulla terra. Ma il contadino, l’agricoltore con mani callose, scarpe grosse, cervello fine, pazienza fatta persona , si rimbocca le maniche e lavora ! Sa che i suoi carciofi, le sue fave e piselli, le verdure ancora giovani sono un poco come i bambini piccoli: fanno presto ad ammalarsi, ma si riprendono alla grande in pochi giorni e presto tutto viene superato. Cure amorevoli ed il soccorso prodigo della natura: la spinta dei giorni lunghi, del sole ora più caldo, dell’acqua di pioggia ora non più desiderata, né meschina nella sua scarsezza, le riparazioni della zappa e delle mani sue , permetteranno in breve tempo di giungere al traguardo di raccolti comunque soddisfacenti. Ecco, usiamo e capiamo bene le parole : Soddisfazione ! E’ il sentimento che prova colui o colei

(meglio entrambi, perché vuol dire che si è in due almeno, in mutuo e muto accordo!) che pur provando un senso di alienazione e sgomento di fronte alla presunta brutalità della natura, ha la forza di reagire e poi di cogliere quella intima gioia di avere fatto qualcosa per non perdere tutto il lavoro fatto precedentemente. Contadini pazienti e coraggiosi meritano sempre la soddisfazione dei loro raccolti!, soprattutto quando sembrano perduti , e soprattutto quando altri nemmeno si accorgono di quello che fanno, e spesso li sminuiscono, anche nel seno della loro stessa famiglia, e spesso li disprezzano pure, con l’indifferenza, con tentativi tradotti con un banale e sciocco Ma - chi - te – lo- fa- fare !? , centellinato con pause artefatte proprio come ho scritto, per andare in profondità e così scalfire quella pazienza atavica divenuta patrimonio genetico della razza contadina.

Ecco, ora torniamo ai danni civili! Quelli che riguardano i comuni cittadini. Si può dire così di alberi, tettoie, casette, baracche, cabine di spiaggia, ecc. ecc. ? Forse ci vorrebbe , occorrerebbe più che mai un poco di sapienza contadina. Quella , haimé, non annacquata e avvilita di oggi, pur bastevole nelle cose più lievi, ordinarie. Quella invece antica, non drogata dalle facilonerie del consumismo, quella delle cose fatte per bene, ragionate, spese con accortezza perché se soldi si spendono, sono soldi sudati, sudatissimi . Il vento : odiato più che amato ! Qualche mese fa, e poi con tanta ricorrenza, si parlava di polveri sottili, di blocchi del traffico nelle città, si malediva l’aria bassa e stagnate e si invocava il vento. Poi il vento arriva, muove arie e acque, ma si becca le maledizioni di tanti! Solo perché mette le mani sulle debolezze umane? E perché non fare forti quelle


15 5 marzo 2016

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debolezze ! , mi chiedo ? Se gli alberi cadono non è certo né colpa degli alberi né colpa del vento. C’è qualcuno che ha sbagliato. C’è qualcuno che ha dormito il dolce sonno dell’ignavia. Senza errore grossolano, con la sapiente preveggenza, con il saper fare le cose giuste al momento giusto, annotando mentalmente

in tempi tranquilli quella probabilità che possa accadere quel qualcosa che tutti temiamo, anche usando in maniera involontaria i ragionamenti della statistica spicciola, quegli alberi non cadrebbero ( forse perché nemmeno ci sarebbero !) , quelle tettoie resisterebbero, quelle cabine di spiaggia sarebbero protette, quel-

la vita umana non sarebbe spezzata, quegli animali negli allevamenti non sarebbero morti, o dispersi. E la scienza? La scienza deve meritarsi la S maiuscola. Deve lavorare per aiutare l’umanità a considerare gli eventi naturali nella loro giusta dimensione, non creare

e nutrire paure. Aiutare a vincerle quelle, semmai . Forse un giorno, chissà il vento, le tempeste, le forze della terra e dell’universo potranno essere invocate dall’uomo, godute come spettacolo meraviglioso e positivo del creato, perché dall’uomo comprese e governate. Un saluto a voi tutti.


16 5 marzo 2016

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ischia

Potatura tigli in Via Acquedotto Il 28 febbraio leggo su facebook nella pagina del caro amico Beppi Banfi un suo post in merito alla potatura dei famosi alberi in via Acquedotto. Avverto così la preoccupazione di Beppi (non è la prima volta che scrive su questo argomento) e mi chiedo cosa fare per capire se è giusto o meno il metodo utilizzato per la potatura di questi alberi. Nello stesso momento vorrei cercare di dare una risposta all’autore del post. E così ho chiesto lumi ad uno dei maggiori esperti sull’isola, l’agronomo Francesco Mattera, che conoscete benissimo care e cari lettori Kaire perché è una prestigiosa firma di questo giornale. Di seguito riporto il post di Beppi con la risposta che mi è arrivata da Franco, sperando di aver potuto contribuire nel risolvere questo dubbio sia al caro Beppi che ai tanti lettori Kaire che vivono e frequentano la parrocchia di Sant’Antuono in via Acquedotto. Lorenzo Russo


17 5 marzo 2016

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il post

LA RISPOSTA DELL’AGRONOMO

Di Francesco Mattera

Di Beppi Banfi

S

iccome l’ho detto io da qualche anno a questa parte e pare che non abbia interessato alcuno, ve lo faccio dire dal Prof. Ferrini. Qui di seguito uno stralcio del suo intervento al programma GEO su RAI3 di mercoledì 24 febbraio. Francesco FERRINI, Ordinario di Arboricoltura all’Università di Firenze Tagliare gli alberi nel modo corretto non è facile, spesso vengono “capitozzati” drasticamente accorciando la cima e in alcuni casi il taglio viene fatto in prossimità del tronco, la “stroncatura”. Questa operazione è una delle principali cause delle cattive condizioni in cui versano molti alberi ornamentali. La corretta potatura detta a “Testa di salice” non stressa la pianta. È bene sfatare una leggenda metropolitana cioè l’errata convinzione che questo intervento rinvigorisca la pianta. Il suo effetto, invece, è esattamente l’opposto. Un altro tipo di potatura è quella chiamata a “testa di salice”. Esiste un programma di certificazione europeo, di cui la SIA (Società Italiana di Arboricoltura - www.isaitalia.org) è il partner nazionale. Quindi se si ha necessità di potare un albero bisogna rivolgersi a personale qualificato. Il Prof. Ferrini ha aggiunto che risparmiare sulle potature è come far morire gli alberi così selvaggiamente tagliati, comincio a pensare che l’Amministrazione comunale, persistendo in questa barbarie, voglia eliminare i Tigli di via Acquedotto, in effetti da quando è iniziata questa scellerata operazione tre/quattro Tigli sono morti, basta fare una passeggiata per quella strada. Avete notato? Nelle foto che ho pubblicato, sono di ieri (27 febbraio), non c’è una gemma, vorrà pur dire qualcosa? La considerazione amara è che un domani, non troppo lontano, io possa dire: “Ve l’avevo detto”. Ora, invece dico: “VERGOGNATEVI”.

C

aro Lorenzo, Beppi è tanto simpatico, tanto personaggio, tanto acceso nelle sue passioni, oso dire, senza tema di essere smentito, tanto buono e generoso nelle sue battaglie, che non mi va di dirgli qualcosa che possa fargli perdere anche uno, uno solo dei tratti del suo meraviglioso e vulcanico carattere! I tigli di via Acquedotto, come i loro pari età di via Morgioni, ed altri sparsi a caso su via Alfredo De Luca, risalgono alla prima amministrazione di Enzo Mazzella (anni settanta) e furono voluti da Peppe Brandi che di quell’ amministrazione era assessore con delega al Patrimonio. Io e Peppe Sollino gli davamo una mano con il verde, malpagati e spesso maltrattati, ma giovani ed entusiasti. Sembra, e non ne sono certo, che addirittura gli alberelli furono ottenuti gratuitamente da un vivaio di Pistoia. Bisognerà chiedere al simpatico Peppe Brandino! Ma veniamo al tema che ha prodotto l’indignazione di Beppi: le potature sbagliate , a volte selvagge, che vengono riservate alle alberature cittadine. Nel caso delle foto riportate dal nostro, gli alberi mostrano proprio quella potatura a capitozza o testa di salice di cui riferisce l’esimio prof. Ferrini. Dunque, tranquillo Beppi! E vero, di tanto in tanto ci sono nei filari di via Acquedotto dei tigli che muoiono, non ributtano in primavera. Ma posso rassicurarti caro Beppi, non è responsabile la potatura! Spesso, se non sempre, qualche albero da fastidio a qualcuno, e questo qualcuno passa alle vie di fatto. Ergo, sabotaggio dell’albero con relativo de profundis! La stessa storia si ripete sistematicamente anche sulla borbonica: su quella strada a rimetterci le penne (pardon, le foglie), sono i pini. Una riflessione è d’obbligo: c’è qualcosa che non va, c’è qualcosa che non è andata bene nel passato, c’è qualcuno che reagisce ad errori del passato in maniera spropositata ed illecita. C’entrano i cittadini, alcuni di via Acquedotto, che non sono stinchi dio santo. C’è una macchina amministrativa che occorre correggere nelle sue azioni. C’è bisogno di fare cose giuste al momento giusto, e di farle fare con competenza. C’è bisogno di pianificazione, meno o niente di improvvisato ed empirico. Ma gli operai di Ischia Ambiente a cui è affidato il compito di potare le piante del nostro comune posso rassicurare Beppi, sono bravissime persone. Sono contadini, figli di contadini, e conoscono e rispettano le piante loro affidate. Se fanno qualche errore, e sono pochi in verità, lo fanno in buona fede. Avrebbero bisogno di una guida, di un corso di aggiornamento. Ma sono certamente migliori delle ditte di cui si servono alcune amministrazioni pubbliche per potare le strade di Ischia isola. Lì, le gare al massimo ribasso spingono a lavori spregevoli per rincorrere un minimo di redditività economica. Vediamo di portare tutto sul piano della razionalità e buttiamo fuori dalla porta i semplicismi frutto della non conoscenza. Alcune alberature stradali non dovevano proprio essere fatte, oggi dovrebbero essere soppresse: sono quelle ad esempio che impediscono ai pedoni di usare i marciapiedi, quelle che mettono a rischio il diversamente abile che si avventura su un marciapiede con rampa per disabili e poi si trova da impedirgli tutto, anche una ipotetica via di ritorno, da un bestione di eucalipto. Ciao Beppi, potremmo parlarne con calma, che dici?


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La Storia siamo Noi 5 marzo 2016

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Il cosiddetto tondo in mezzo al porto d’Ischia

Di prof. Nunzio Albanelli

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uando ieri l’altro recandomi al porto ho visto in quali condizioni è ridotto il “tondo”, non ho potuto fare a meno di riandare col pensiero al suo glorioso passato, soprattutto quando si imponeva all’attenzione di tutti. Mi piace rammentare la serie in cui, nel corso dei festeggiamenti del centenario del porto, grazie all’impianto piuttosto rudimentale di collegamento elettrico con la riva dirimpettaia, vi si esibivano i cantanti che allora andavano per la maggiore, accompagnati dai complessi in cui non mancavano i cinque strumenti fondamentali: pianoforte, violino, mandolino, chitarra e batteria. Rammento che l’eco degli scroscianti battimani degli spettatori assiepati di fronte giungeva chiaramente fino a loro e si diffondeva ampiamente per il porto contribuendo efficacemente al successo della manifestazione. Con questa nostalgia ricordo che nella circostanza fummo invitati a cantare sia io che mia sorella Elena, purtroppo scomparsa nel ’92. Al pari di me aveva anche lei 4 figli!. Mi piace ricordare mio zio Ciro Saturnino, Enrico Corbino, Totonno Savarese, Nino Di Muccio e il fratello Aldo, mia sorella già ricordata, con la sua amica coniugatasi con un inglese trasferitosi poi ad Ischia. Ancora oggi guardando la foto d’epoca in mio possesso sembra incredibile che tanti trovassero posto su quel tondo. Tuttavia la padronanza del tondo non è dovuta all’iniziativa rievocata, ma piuttosto al riferimento che fu allo stesso l’imperatore Marco Aurelio in una lettera al suo maestro Marco Frantolone verso il quale nutre un affetto senza dubbio filiale. La lettera risale alla metà del II secolo d.C. e dimostra a chiare note la sua prassi stilistica, mirata a riuscire incerta, sfumata, caliginosa, e la pedissequa imitazione del maestro.

In breve Marco Aurelio accenna chiaramente al “tondo” scrivendo che “all’interno dell’isola Enaria c’è un lago, in quello c’è un’altra isola, anch’essa abitata”. Si tratta di uno spunto di cui Frantone potrebbe giovarsi nel preparare il discorso di ringraziamento al consolato avvenuto nel 143, e una lettera di risposta a quella che evidentemente gli aveva inviato la maestra quando si era concessa un periodo di riposo. Marco Aurelio suggerisce a Frontone di sviluppare tale immagine precisando che come l’isola Enaria tollera la vemenza delle tempeste e ripara l’altra isola al suo interno (cioè il tondo), che pur godendo dei vantaggi che le derivano dal fatto che è bagnata dal mare, non deve affrontare i pericoli relativi, così il Padre Antonino Pio regge il peso dell’impera e protegge Marco Aurelio che si trova nelle stesse condizioni del citato tondo, inoltre agli isolani importa la notizia, riferita nel capitolo VII dello stesso libretto che su quello scoglio (tondo) sorgeva un tempio a Venere. Mi piace in merito riferire che l’artista Antonio Cutaneo, illustre discepolo di Vincenzo Funiciello, ha ricostruito dal punto di vista storico efficacemente tale tempio.


Attualità

19 5 marzo 2016

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Di Franco Iacono

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“Al buio cerco i tuoi occhi verdi. Stiamo giocando a nascondino… 1, 2, 3… via! Dove sei? 1, 2, 3… via! Ti cerco… sono passati 25 anni. Tu sei vicino, ti sento ridere, sento il tuo fiato sul collo. 1, 2, 3… Mi giro… Ti vedo!” Così scrive Gianpaolo Barbieri, uno dei grandi maestri della fotografia, nel suo libro ”Fiori della mia vita”. Ne dà conto il Corriere della Sera di venerdì 26 di febbraio in un bello articolo di Daniela Monti. Confesso: ho sempre avuto, ed il tempo non mi ha aiutato a “crescere”, un atteggiamento un poco estraneo al tema dell’Amore fra persone dello stesso sesso. Forse per la “paura” di approfondire o per “condizionamenti” antichi. Naturalmente non mi è mai mancato il rispetto civile, morale e sociale per chi nutre questi sentimenti. Epperò l’esperienza, vissuta e raccontata, di questo grande fotografo mi ha colpito molto: amava, lui di trenta anni più anziano, un ragazzo, del bergamasco, Evar, “bello come un Dio greco”, morto tragicamente, travolto con la sua moto da due auto. Era il 1991. “La memoria è tutto, è la fonte di ogni nuova idea: dalla testa non può uscire nulla che non sia, in qualche modo, già dentro. C’è chi dialoga con le persone che ha perduto, io ho sempre avuto Evar nella mia vita: ho a casa un suo ritratto e davanti, ogni giorno, metto un fiore nuovo. Ho custodito tutto, anche i biglietti che mi scriveva, infantili e profondi. All’Amore non importa delle leggi, dei contratti: chiede solo di essere seguito”. Ancora: “Ho sognato di essere in una stanza piena di fiori e di persone. Da lontano ti vedo. Nella mano tieni un casco della moto. Mi sorridi e dici: “Non credere a coloro che ti diranno che sono morto! Io sono qui per te””. Parole, sentimenti tenerissimi, e dolorosi, custoditi con pudore per 25 anni. Mi vengono in mente le parole, che echeggiano il Vangelo, ammonitrici di Papa Francesco: “Chi sono io per giudicare?!” L’Amore non si può prestare né a strumentalizzazioni, né a volgarità. Né a giudizi, che spesso sono pregiudizi. Su questa terra, nessuno ha titolo per giudicare! Questa bella storia mi fa ha fatto molto riflettere! 2. Gli Oscar del Cinema hanno fornito lo spunto per mille sensazioni positive. Ha vinto Leonardo Di Caprio, finalmente, con un film “The Revenant”, del regista Iñárritu, anche lui premiato con l’Oscar, che parla del valore dell’integrazione

Punti di Vista razziale e della salvaguardia dell’ambiente. Ha vinto, anche per lui finalmente, Ennio Morricone con la colonna sonora di “The Hateful Eight” di Quentin Tarantino: il suo discorso di ringraziamento, la sua tenera dedica alla moglie, ha emo-

zionato tutti, come la sua Musica. Ha vinto l’Oscar, come miglior film, “Spotlight”, sulla tragedia che vive la Chiesa, relativa ai preti pedofili, di cui alle mille coperture e ai mille silenzi, spesso “motivati” da un malcelato, ed inconcepibile, senso

dell’onore da salvaguardare. Silenzio, omertà, complicità sulla pelle di migliaia di vittime indifese, la cui vita e stata distrutta da quella esperienza indelebile. Con Papa Benedetto, ed ancor più con Papa Francesco, il velo è caduto ed i “protagonisti” di tanto scempio vengono colpiti con durezza e le loro responsabilità vengono smascherate. Torna così la fiducia in un tempo nuovo per la Chiesa, anche in questo campo delicato. E quei ragazzi, dolorosamente segnati, possono guardare in faccia carnefici e complici. Senza paura. Con la speranza di poter alleviare la loro tragedia: una riparazione, comunque modesta al loro dolore! 3. Le primarie del PD: un fallimento annunciato! Senza anima, senza pathos, senza fuoco, senza proposte e senza… Politica. Salvo il tema iniziale sullo scontro generazionale e sul… parricidio di Bassolino (anche qui un delitto senza… sangue!), per il resto solo malinconia. Sullo sfondo, “protagonista” torbido, il “caso” del Comune di Casavatore. Un “duello” surreale fra Quarto per il Movimento 5 Stelle e Casavatore per il PD: tutto in bella mostra sulle pagine nazionali. Questo passa il convento della Politica, almeno a Napoli. Allo stato delle cose il Sindaco può dormire sonni tranquilli. Non so i Napoletani! A meno che… l’antico Bassolino non abbia un colpo di coda poderoso e tiri fuori dal letargo gli astenuti del passato e li trascini alle primarie e poi al voto di giugno. Chi vivrà vedrà.


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Liturgia 5 marzo 2016

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Commento al Vangelo

Domenica 6 marzo 2016 IV domenica di Quaresima

Il Padre prodigo di misericordia Di Don Cristian Solmonese

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uesta quarta domenica di quaresima è conosciuta anche come la domenica della gioia (in laetare), la gioia di Dio, la sua tenerezza e la sua misericordia per la vita dell’uomo, la sua salvezza. Infatti l’antifona d’inizio ci introduce proprio in questo tema “Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione” (cf. Is 66,10-11). Nelle letture che la liturgia oggi ci propone troviamo il popolo di Israele che finalmente arriva nella terra promessa (1^ lettura); “Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato (Sal 33); san Paolo che ci annuncia che in Cristo “le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove”. Ma soprattutto è il vangelo, con la parabola del padre misericordioso, a darci la chiave di lettura di una gioia vera, basata sulla misericordia, che papa Francesco ha lanciato come tema di riflessione in questo anno giubilare. Nella lettera di indizione Misericordiae Vultus viene citato questo racconto al n. 9: “Nelle parabole dedicate alla misericordia, Gesù rivela la natura di Dio come quella di un Padre che non si dà mai per vinto fino a quando non ha dissolto il peccato e vinto il rifiuto, con la compassione e la misericordia”. In questa domenica incontriamo una delle più famose, quella del Padre misericordioso. Nel brano del vangelo Luca ci offre il lieto annuncio della misericordia di Dio, che mette in crisi i benpensanti del tempo, che rifiutavano l’atteggiamento di Gesù verso i peccatori. La chiave di lettura del brano non è il “figliol prodigo”; egli non è il personaggio principale, ma una figura provocatoria che fa emergere le qualità profonde del padre, il vero protagonista, e l’atteggiamento del fratello maggiore, che pensa di essere “buono e osservante”, mentre è solo un uomo arido. Questo fratello è l’immagine della povertà religiosa dei farisei, ai quali la parabola è rivolta: uomini devoti, sicuri di sé, dei loro schemi religiosi e delle loro classificazioni morali, ma che non sanno cogliere, anche in chi sbaglia, il bisogno ancora

inespresso di verità e di bontà con cui costruire rapporti nuovi di fiducia e di amore. Nel gesto del figlio c’è non solo un gesto di ribellione. C’è anche l’ansia di crescere comune a ogni uomo, sia pure tra gravi malintesi. Il peccato non è nel distacco dal padre (in qualche modo necessario, inevitabile), è piuttosto nella superficialità del figlio, nella mancanza di motivazioni profonde, è nelle scelte successive, nell’incapacità di orientare la sua vita in senso sociale, in un’apertura verso gli altri. La sua vicenda rimane pura evasione; in altre parole, il giovane adolescente non cresce, resta “figlio di papà”, legato alla casa del padre, non per amore, ma per i vantaggi che essa offre (“I salariati di mio padre... e io qui muoio di fame”). Il suo ritorno è equivoco e interessato: è un ritorno senza maturazione. È il padre che salva il figlio, non con un facile perdono, ma con tutto il suo atteggiamento. Prima c›è il silenzio del padre che sembra il gesto di un debole: perché non ha reagito? Perché non lo ha trattenuto? Il vangelo non ci dà argomenti per difendere un autoritarismo (o paternalismo) che soffoca la crescita dell›altro. Ma il padre non entra in angoscia quando il figlio non risponde alle sue attese, non sente ingiusta la sua richiesta, non ricorre a misure repressive quando gli chiede di fare la sua esperienza, non si abbandona a gesti isterici quando esige la sua parte di eredità. Soffre molto (come si soffre la morte di un figlio: “Era morto”, dirà), ma rispetta la libertà dei figli, e attende con pazienza, in silenzio, la loro maturazione. La grandezza del padre è legata all’interesse solo per il figlio, che permetterà l’incontro definitivo. Muore una paternità che soffoca, che pretende di “avere esperienza”, di “sapere come vanno le cose”, che vuol dare sicurezza, certezze (le sue certezze!). Cioè viene meno la pretesa di imporre “la propria ricchezza”: tra padre e figlio ora c’è solo l’amore. Lasciamoci toccare dai gesti della parabola e da questo Padre che come un prodigo esce ed entra dalla casa per cercare noi e rivestirci del suo amore. Buona Domenica!


Ecclesia

21 5 marzo 2016

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La preziosità del silenzio abitato dall’amore Di Antonio Magaldi

La sterilità feconda L' Di Ordine francescano secolare di Forio

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ell’Angelus del 28 febbraio scorso papa Francesco ha voluto evidenziare a un certo punto come ognuno di noi spesso è come un albero sterile, come il fico che il padrone voleva tagliare perché non portava frutti ma che il contadino voleva cercare di recuperare concimandolo. È Gesù quel contadino paziente. San Francesco d’Assisi, quando era ancora nei peccati, era ricco di sé, ricco di orgoglio, di vanagloria, credeva di essere un albero che avrebbe portato grandi frutti mantenendo alto il nome della casa paterna e della sua città diventando un grande cavaliere. Quando poi capì che tutto ciò lo portava all’aridità interiore e ad una insoddisfazione incolmabile, frutti di una grande sterilità spirituale, con l’aiuto dello Spirito Santo cercò e trovò la gioia della fecondità, generando a Cristo molti poveri peccatori: “Guardava con preoccupazione il vecchio mondo imbrattato nel sudiciume dei vizi, gli ordini (sacri) insensibili agli esempi degli apostoli e, mentre la notte dei peccati era a metà del suo corso, era imposto il silenzio alle sacre discipline; quand’ecco, all’improvviso, emerse sulla terra un uomo nuovo, e all’apparire subitaneo di un nuovo esercito, i popoli furono ripieni di stupore davanti ai segni della rinnovata età apostolica. È ora d’un tratto portata alla luce la perfezione già sepolta della Chiesa primitiva, di cui il mondo leggeva sì le meraviglie, ma non vedeva l’esempio. … È da ammirare, inoltre, la fecondità della donna sterile. Sterile, ripeto e arida questa Religione poverella, perché ben lontana dal terreni umidi. Sterile davvero, perché non miete, non ammassa nei granai, non porta sulla strada del .Signore una bisaccia ricolma.

E tuttavia, contro ogni speranza, questo Santo credette nella speranza che sarebbe diventato erede del mondo e non considerò privo di virilità il suo corpo né sterile il seno di Sara, certo che la divina potenza poteva generare da essa il popolo ebreo. Questa Religione infatti non si sostiene con cantine ricolme, dispense abbondantemente fornite, amplissimi poderi, ma dalla stessa povertà per la quale si rende degna del cielo, viene meravigliosamente alimentata nel mondo. O debolezza di Dio, più forte dell’umana fortezza, che porta gloria alla nostra croce e somministra abbondanza alla povertà! Abbiamo infine contemplato questa vigna che, cresciuta in pochissimo tempo, ha esteso da mare a mare i suoi tralci fruttiferi. ... E non soltanto la vediamo in breve tempo moltiplicata nel numero dei figli, ma anche glorificata, poiché parecchi di quelli che ha generato, sappiamo che hanno conseguito la palma del martirio, e veneriamo nell’albo dei santi molti di essi, a motivo della perfetta pratica della virtù” (FF 822). San Francesco voleva che i suoi frati più che eloquenti predicatori fossero degli ottimi esempi di virtù: “Aveva un suo modo di spiegare l’espressione biblica: Anche la sterile ha partorito molti figli. La sterile, diceva, è il frate poverello, che non ha nella Chiesa l’ufficio di generare figli. Costui, nel giorno del giudizio, partorirà molti figli, nel senso che in quel giorno il Giudice ascriverà a sua gloria quelli che egli ora converte con le sue preghiere nascoste. Colei che ha molti figli diventerà infeconda, nel senso che il predicatore vanitoso e loquace, il quale ora si rallegra di avere molti figli, come se li avesse generato per propria virtù, allora conoscerà che, in costoro, lui non ha niente di suo” (FF 1137).

umile silenzio, per colui che medita nel proprio cuore, permette la comunione con Dio e il Suo mistero. “Nel molto parlare non manca la colpa, chi frena le labbra è prudente” (Prv. 10,19), bisogna amare il silenzio se vogliamo diventare un’anima di orazione, se parleremo molto con gli uomini, parleremo poco con Dio. (Os. 2,16) Dobbiamo imparare ad entrare nel silenzio, ciò avviene se siamo convinti d’essere abitatati dallo Spirito di Dio che è desiderio di Dio in noi, un Dio che si rivela come Potenza Divina d’Amore, Creatore che divinizza l’uomo, un Dio che non aliena la nostra libertà, ma ci costruisce, ci crea, amandoci. “E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!” (Gal. 4,6). Ma come potremo sentire mormorare questa sorgente interiore dello Spirito del nostro cuore senza fare silenzio che è anche un dono di Dio? Il silenzio del cuore è molto più di un problema ambientale o di un fenomeno psicologico; è una manifestazione dello Spirito che respira in noi, aspira a Dio, adora e intercede. Non si fa silenzio, vi si entra, ci si apre a una presenza che rende inutili le parole. Tale silenzio “spirituale” non ce lo conquistiamo ma dobbiamo accoglierlo. Il dialogo tra Dio e l’uomo, culmina egregiamente in San Giovanni: “Se uno mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv. 14,23). Questa dimora è il nostro “cuore” dove possiamo, come dice Gesù: “Adorare il Padre in Spirito e verità”; si, ogni uomo che entra nel silenzio del proprio cuore può sentire il mormorio di Dio, accogliere lo Spirito di Gesù Cristo vivente e partecipare così al dialogo eterno del Padre e del Figlio. Ogni uomo non è solo un composto di carne, di globuli e di cellule; l’uomo non è il frutto del caso, non è un animale nato per consumare, riprodursi e morire. L’uomo è stato creato per divenire la “silenziosa dimora” di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Fare silenzio è abitare la “casa del nostro cuore”, dove Dio ci precede sempre. Fare silenzio è rendersi presenti a questa eterna presenza spirituale di Dio. Fare silenzio è rinascere alla nostra vera identità mediante le nostre profondità. Il silenzio è Misericordia: quando non divulghi le colpe dei fratelli, quando perdoni senza indagare nel passato, quando non condanni, ma intercedi nell’intimo. Il silenzio è adorazione: quando abbracci la Croce senza chiedere il perché. L’uomo moderno, capace di esplorare i pianeti, di analizzare i meandri del cervello, di sondare le profondità dell’oceano, di controllare i prodigiosi meccanismi della vita, purtroppo ha perso la strada del proprio cuore, non conosce più se stesso, è diventato straniero a se stesso. Vi prego ascoltatemi, saper abitare il silenzio è il segreto della felicità. L’amore del silenzio, conduce al silenzio dell’Amore. “Lo Spirito Santo è la sorgente inesauribile della vita di Dio in noi” (Papa Francesco 09.05.2013)


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Cultura 5 marzo 2016

Di Enzo D’Acunto

È

su uno degli scaffali della libreria Imagaenaria d’Ischia Ponte, nella saletta interna, tra i libri d’arte, le litografie e le due poltroncine in vimini dove di solito ristora il meraviglioso gatto cui allude il cartello precauzionale posto sulla porta d’ingresso – chi ama questa meravigliosa libreria all’antica, li avrà sicuramente notati entrambi, gatto e cartello! – che, attratto dall’insolito colore giallo ocra delle edizioni “Via del vento-testi inediti e rari del novecento”, ho acquistato, alla modica cifra di 4 euro, un insolito e misterioso racconto di Curzio Malaparte: Febo cane metafisico. Pur non avendo ancora, al momento dell’acquisto, letto La pelle – iniziato pochi mesi fa, grazie alla recente pubblicazione in edizione economica da parte di Adelphi – né tanto meno, nessuno dei suoi racconti, ero, tuttavia, già a conoscenza della fama e del tratto robusto e machista, ma non da meno fine ed elegante del toscanaccio, avendo passato molte ore sul suo Kaputt. Eppure, quel libricino con caratteri stampati su della resistente carta vergatina color avorio, rappresentava l’occasione propizia per un approccio sfumato e per questo ancora più interessante, con un Curzio Malaparte scrittore, diverso, ma non per questo, meno coinvolto con il suo tempo. Ne ero certo! E sfogliando le prime pagine, fui subito affascinato dalle polemiche righe iniziali: “poiché è molto più difficile, oggi, per ragioni varie e non tutte pacifiche, scriver la storia di un uomo, che di un animale, nessuno, il quale abbia cognizione del suo tempo e dei problemi del nostro

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Febo cane metafisico

tempo arrischierà di rimproverarmi se imprendo a scrivere la breve storia del mio cane, Febo”. L’oggi in cui Curzio Malaparte scriveva, coincide con il periodo di confino sull’isolotto di Lipari, dove, tra la fine del 1933 e la prima metà del 1934, dopo essere già stato arrestato per ragioni politiche e recluso a Regina Coeli – vi ritornerà ancora nel 1943 – lo scrittore si trova relegato, secundum voluntatem magni ducis, con animo malinconico e polmoni malandati, e dove incontra quel piccolo cucciolo, battezzato per l’appunto, Febo. Sarà l’unico essere a fargli compagnia, come scrive Malaparte, l’unico “essere al quale confidarmi, nel quale affidare le mie speranze, i miei timori, i miei più

cari e segreti pensieri e sentimenti”. Gian Antonio Stella, sulla pagina culturale del Corriere, ha scritto qualche anno fa, nella recensione dell’interessantissimo volume “Curzio Malaparte alle isole Eolie” di Giuseppe La Greca, che in quel caso si trattò di “un fascista, mandato al confino dai fascisti!”, e in particolare, per un libro, Tecnica del colpo di Stato, pubblicato in Francia nel 1931 e messo al bando, come ha osservato Giorgio Pinotti, “in tutti quegli Stati in cui le libertà pubbliche e private erano soffocate”. Un libro, quindi, vietato in Italia ma pubblicato all’estero, che non era piaciuto ad Italo Balbo e che era stato causa, prima dell’arresto, e poi, del confino. Ma questa è una storia altra, solo

prodromica a quella di Febo. Un cane appartenente alla razza dei levrieri, di proprietà di un falegname liparese, che tutte le notti mugolava serrato in bottega per l’aspra guerra ricevuta da famelici topi che arrivavano a mordicchiargli le orecchie. Un cucciolo amante della libertà, del raspare nei mucchi di immondizia, imbrancandosi, se necessario, con gli altri cani randagi, proprio come l’inarrestabile autore toscano che si sente molto più simile a Febo che a qualsiasi altro essere umano presente su questa terra. Un racconto che procede – la scrittura di Malaparte, con il suo aggettivare deciso, anche in questo caso si rivela infallibile – con una rapida e realistica descrizione delle abitudini di quel piccolo quadrupede e del suo nuovo amico bipede, capace di salvarlo da un destino che, a causa di quei morsi che lo stavano ammazzando, sembrava annunciare nient’altro che morte. Un racconto che si trasfigura nella chiusa finale, trasformandosi in uno straordinario inno alla libertà, che mai Malaparte negoziò in vita, e che Febo, cane coraggioso, sogna con i suoi occhi canini, seguitando il moto del sole e poi della luna, che un po’ ingenuamente, insegue latrando, un po’ come Curzio. Interessante, infine, la nota al testo di Luigi Martellini (curatore del Meridiano dedicato a Curzio Malaparte) che sottolinea il valore letterario del racconto, evidente per la straordinaria abilita con cui lo scrittore si serve di allegorie e simboli. Insomma, il racconto di un letterato puro, di una nobile amicizia, e soprattutto, di un uomo unico. Checché se ne dica in giro!


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Teatro

5 marzo 2016

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Di Gina Menegazzi

U

n lavoro veramente enorme quello svolto dalla Compagnia instabile del Torrione per portare in scena con un musical I Promessi Sposi. L’accattivante registrazione di un intervento di Papa Francesco che loda il romanzo manzoniano ha dato inizio a uno spettacolo che ha visto sfilare sul palco un numero incredibile di attori, comparse e ballerini. L’opera riprende l’omonimo spettacolo, con testo e regia di Michele Guardì, andato in scena la prima volta a Milano nel 2010. Quello, definito “opera moderna”, era a metà tra musical e rock, questo ischitano, invece, non ne ha avuto né la grinta né il ritmo, indispensabili soprattutto in un musical, vuoi per i tagli effettuati che hanno interessato i brani più vivaci, vuoi per l’imperizia degli attori. Ne è risultato uno spettacolo con alti e bassi, troppo lungo e a tratti noioso, con musiche un po’ ripetitive, e spesso tali da non consentire di capire le parole, facendo perdere il senso della storia. Molto belli i costumi, eleganti e impegnativi, e particolare la semplice scenografia: un telone su cui venivano proiettate foto che servivano all’ambientazione, e pochi oggetti, portati avanti e indietro sul palco da giovanissimi aiutanti. Il personaggio che ha retto meglio la scena è stato senz’altro Nello di Leva - Don Abbondio, vivace e simpatico. Mi è piaciuta pure Anna Insante, che ha caratterizzato in modo originale una narcolettica Donna Prassede. Daniele Cigliano – Renzo ha una bella voce, molto apprezzata, ma la sua recitazione deve migliorare. Imma Iaccarino - Lucia e Pasquale Matarese - l’Innominato non hanno lasciato il segno. Ma senz’altro l’arrivo di Gaetano Maschio – Cardinale Borromeo ha fatto fare un salto di qualità all’opera, per le

I Promessi Sposi

sue capacità sceniche e canore di alto livello. Determinate scelte di regia rispetto al testo manzoniano sono invece da attribuire a Michele Guardì, e se mi è molto piaciuto il parallelo tra l’amore negato di Lucia e quello della Monaca di Monza, in altri casi avrei preferito un umile rispetto del testo originale, che continua ad avere una grande forza. Alcune forzature poi hanno travisato pesantemente il senso del romanzo, come l’arrivo di Renzo a Milano, in piena sommossa del pane (ma quanti lo hanno capito?), in una città tutt’altro che accogliente, soprattutto per chi ha appena lasciato il mon-

do sicuro del proprio paesello; nel musical c’è invece una lode sperticata per la città, le opportunità che offre, i sogni che vi ha riposto Renzo… O la dolcissima e semplice scena della madre di Cecilia, in cui il Manzoni non spreca una parola di troppo: una donna chiusa in un dignitoso dolore, le cui sole parole sono un saluto alla figlia, e una raccomandazione ai monatti, qui diventa una popolana che piange e si lamenta, per abbandonarsi tragicamente disperata ai piedi del carretto. Insomma, un’opera zoppa e non ben riuscita, nonostante l’impegno evidente profuso da tutti.

CONVENTO S. ANTONIO FRATI MINORI ORDINE FRANCESCANO SECOLARE

PELLEGRINAGGIO COLLEVALENZA - ASSISI - LA VERNA GRECCIO - FONTECOLOMBO

14 - 17 APRILE

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PROGRAMMA 14 APRILE: PARTENZA DA CASAMICCIOLA PER COLLEVALENZA: VISITA – S. MESSA - PRANZO PARTENZA PER ASSISI - SISTEMAZIONE IN ALBERGO ( Hotel Antonelli) - VISITA E VESPRI AL SANTUARIO S. DAMIANO CENA E PERNOTTAMENTO 15 APRILE: PARTENZA PER IL MONTE DELLA VERNA ( luogo delle Stimmate di S. Francesco ) - VISITA - S. MESSA – PRANZO - PROCESSIONE CAPPELLA STIMMATE - RIENTRO AD ASSISI - CENA E PERNOTTAMENTO 16 APRILE: S. MESSA: S. MARIA DEGLI ANGELI ALLA PORZIUNCOLA - VISITA BASILICA S. CHIARA E S. FRANCESCO - PRANZO - POMERIGGIO: VISITA E PREGHIERA ALL’EREMO CARCERI E GIRO LIBERO PER ASSISI - CENA - ROSARIO E FIACCOLATA A S. MARIA DEGLI ANGELI 17 APRILE: PARTENZA DA ASSISI PER GRECCIO, VISITA SANTUARIO, FONTECOLOMBO, VISITA - S. MESSA E PRANZO. POMERIGGIO PARTENZA PER NAPOLI QUOTA DI PARTECIPAZIONE 350,00 € - Supplemento singola 20,00 € PER INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI RIVOLGERSI: fr. Mario LAURO P. MARIO LAURO: 081.99.11.70 guardiano NICOTRA EDUARDO: 081.98.35.13/ 333.86.47.628

COLLABORIAMO INSIEME Per inviare al nostro settimanale articoli o lettere (soltanto per quelle di cui si richiede la pubblicazione) si può utilizzare l’indirizzo di posta kaire@chiesaischia.it I file devono essere inviati in formato .doc e lo spazio a disposizione è di max 2500 battute spazi inclusi. Le fotografie (citare la fonte) in alta risoluzione devono pervenire sempre allegate via mail. La redazione si riserva la possibilità di pubblicare o meno tali articoli/lettere ovvero di pubblicarne degli estratti. Non sarà preso in considerazione il materiale cartaceo.

Comune di Ischia Edicola di Piazza degli Eroi; Edicola di Ischia Ponte; Edicola al Bar La Violetta; Edicola di San Michele da Odilia; Edicola di Portosalvo Comune di Lacco Ameno Edicola al Bar Triangolo Edicola Minopoli sul corso Comune di Casamicicola T. Edicola di Piazza Bagni; Edicola di Piazza Marina; Comune di Forio Edicola del Porto; Edicola di Monterone



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