Kaire 09 Anno III

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Il settimanale di informazione della Chiesa di Ischia ANNO 3 | numero 9 | 27 febbraio 2016 | E 1,00

“Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – 70% Aut: 1025/ATSUD/NA”

ISCHIA PONTE: IL CANTIERE DELLA SIENA SEQUESTRATO Ancora una volta il nostro mare viene inquinato. La Capitaneria di Porto di Ischia sequestra l’area in quanto durante i lavori si provvedeva allo smaltimento illecito in mare di rifiuti speciali non pericolosi. A pag. 7

EDITORIALE DEL DIRETTORE

La domenica è sacra Di Lorenzo Russo

Incantevole Don Fabio Nella V catechesi giubilare, don Fabio Rosini affascina i presenti con una lezione sul senso della vita: “La vita senza una direzione e senza un senso resta una vita persa”, e sui giovani “tirare fuori quello che di bello si ha dentro”.

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on si possono imporre turni domenicali ai lavoratori che per ragioni di culto vogliono osservare il giorno festivo dedicato al riposo”. E’ quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n°3416 di qualche giorno fa chiamata a pronunciarsi sulla vicenda di un dipendente delle Poste Italiane, cattolico praticante, che nel 2004 aveva dichiarato di non voler lavorare nelle giornate domenicali, e che per due domeniche si era assentato da lavoro dando comunque disponibilità a recuperare. Nel 1999 Poste italiane, in via sperimentale, aveva introdotto il turno domenicale nel Centro di Peschiera Borromeo, estendendo poi tale turno anche ad altri reparti senza però raggiungere un accordo sindacale. Questa situazione aveva generato proteste da parte dei lavoratori e dei sindacati, soprattutto da coloro di fede cattolica che aspettavano la domenica «come momento religioso e di pratica di fede». E così Poste italiane, dopo le due assenze domenicali del dipendente sopra in questione, lo aveva sanzionato con la sospensione da lavoro e dalla retribuzione per un giorno. Un provvedimento considerato eccessivo e ingiusto dal lavoratore oggetto del provvedimento che ha così fatto ricorso in tribunale.

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Andrea Di Massa

RACCONTI INEDITI

SEGUIAMO FRANCESCO

ANACAPRI SENZA SLOT

Vivere e raccontare la natura. Franco Mattera ci racconta la storia di una mamma merla coraggiosa.

«Caro Papa, ti scrivo». Preti, suore, mamme e tanti bambini scrivono lettere al Papa. E le risposte arrivano, una per una…

Un esempio da importare: dal 1° gennaio è il primo comune in Italia a non avere le slot nel proprio territorio.

FISCO E FAMIGLIE Arriva la ‘carta famiglia’ che permette sconti e agevolazioni per nuclei con almeno tre figli. Cos è e chi la può usare?


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Primo Piano 27 febbraio 2016

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UDIENZA GENERALE

Continua da pag. 1 Una lunga causa dove già i giudici di primo e secondo grado avevano dato parere positivo al lavoratore ritenendo sproporzionate le sanzioni della società. E ora la suprema corte ha risolto definitivamente il caso, sancendo che il datore di lavoro, in base al diritto e alla libertà d’impresa, può certamente organizzare turni domenicali, ma se ci sono resistenze da parte dei dipendenti che per motivi di culto non intendono lavorare, è opportuno che non siano inflitte sanzioni disciplinari ai lavoratori. Una sentenza quindi che sembra tradurre in termini giuridici l’esortazione di Papa Francesco all’osservanza del riposo domenicale, sottolineata all’udienza generale del 12 agosto scorso: “il tempo del riposo soprattutto quello domenicale, è destinato a noi perché possiamo godere di ciò che non si produce e non si consuma, non si compra e non si vende. E invece vediamo che l’ideologia del profitto e del consumo, vuole mangiarsi anche la festa: anch’essa a volte viene ridotta a un “affare”, a un modo per fare soldi e per spenderli. Ma è per questo che lavoriamo? L’ingordigia del consumare, che comporta lo spreco, è un brutto virus che, tra l’altro, ci fa ritrovare alla fine più stanchi di prima. Nuoce al lavoro vero, consuma la vita. I ritmi sregolati della festa fanno vittime, spesso giovani. (…) L’Eucaristia domenicale porta alla festa tutta la grazia di Gesù Cristo: la sua presenza, il suo amore, il suo sacrificio, il suo farci comunità, il suo stare con noi… E così ogni realtà riceve il suo senso pieno: il lavoro, la famiglia, le gioie e le fatiche di ogni giorno, anche la sofferenza e la morte; tutto viene trasfigurato dalla grazia di Cristo. (…) Ma che belle sono le feste in famiglia, sono bellissime! E in particolare della domenica”.

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«Il potere vissuto con prepotenza genera morte»

Papa Francesco nell’udienza di mercoledì scorso ha parlato di chi detiene l’autorità e di come questa dev’essere vissuta: come servizio, non come privilegio o, peggio, come sopruso. Di Lorenzo Russo

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ari lettori di Kaire, come avete notato, dall’edizione natalizia del nostro settimanale diocesano, il delegato vescovile per la pastorale don Pasquale Trani sta approfondendo il tema del Concilio Vaticano II e la categoria della misericordia. Una rubrica che ci aiuta a mettere in luce i legami del concilio di cinquant’anni fa con l’anno Santo in pieno svolgimento. E anche Papa Francesco prosegue nelle sue udienze generali con la misericordia e la spiegazione di cosa c’è nella Scrittura. E così nell’udienza di mercoledì 24 febbraio parla dei potenti, dei re, degli uomini che “stanno in alto” e della loro «arroganza» e dei loro «soprusi». Una catechesi attualissima, che tocca anche le cronache del nostro territorio. Francesco spiega: «La ricchezza e il potere sono realtà che possono essere buone e utili al bene comune, se messe al servizio dei poveri e di tutti, con giustizia e carità. Ma quando, come

Via delle Terme 76/R - 80077 Ischia Codice fiscale e P.Iva: 04243591213 Rea CCIAA 680555 - Prefettura di Napoli nr.11219 del 05/03/2003 Albo Nazionale Società Cooperative Nr.A715936 del 24/03/05 Sezione Cooperative a Mutualità Prevalente Categoria Cooperative Sociali Tel. 0813334228 Fax 081981342 info@kairosonline.it pec: posta.kairos@pec.it Registrazione al Tribunale di Napoli con il n. 8 del 07/02/ 2014

troppo spesso avviene, vengono vissute come privilegio, con egoismo e prepotenza, si trasformano in strumenti di corruzione e morte». E narra quindi la storia della vigna di Nabot, così come è raccontata nel Primo libro dei Re, dove il re d’Israele, Acab, vuole comprare la vigna di Nabot, perché questa vigna confina con il palazzo reale, proposta legittima, ma impossibile perché in Israele le proprietà terriere erano considerate inalienabili. Ma Acab la vuole a tutti i costi. La storia si può leggere al capitolo 21 del Primo Libro dei Re. Il Papa commenta: «Questa non è una storia d’altri tempi, è una storia d’oggi, dei potenti che per avere più soldi sfruttano i poveri, la gente; è la storia della tratta delle persone, del lavoro schiavo, della povera gente che lavora in nero con il minimo, è la storia dei politici corrotti che vogliono sempre più e più e più!». Poi spiega che qui porta l’esercizio di «un’autorità

Direttore responsabile: Dott. Lorenzo Russo direttorekaire@chiesaischia.it @russolorenzo Direttore Ufficio Diocesano di Ischia per le Comunicazioni Sociali: Don Carlo Candido direttoreucs@chiesaischia.it Progettazione e impaginazione: Gaetano Patalano per Cooperativa Sociale Kairos Onlus

senza rispetto per la vita, senza giustizia, senza misericordia» e «la sete di potere» che «diventa cupidigia che vuole possedere tutto». Bergoglio aggiunge che c’è un testo di Isaia che spiega bene le cose, quando il profeta dice che «il Signore mette in guardia contro l’avidità i ricchi latifondisti che vogliono possedere sempre più case e terreni»: «Guai a voi, che aggiungete casa a casa e unite campo a campo, finché non vi sia più spazio, e così restate soli ad abitare nel paese». Bergoglio commenta: «Il profeta Isaia non era comunista! Dio, però, è più grande della malvagità e dei giochi sporchi fatti dagli esseri umani». E’ per questo motivo che Dio decide di aiutare Acab a convertirsi e il re «messo davanti al suo peccato, capisce, si umilia e chiede perdono». Prosegue il Papa: «Che bello sarebbe che i potenti sfruttatori di oggi facessero lo stesso». Infatti «la misericordia può guarire le ferite e può cambiare la storia».

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della

27 febbraio 2016

V CATECHESI GIUBILARE

Insegnare agli ignoranti per scoprire

il senso della propria vita Una catechesi di fuoco quella di martedì 24 febbraio in Cattedrale con don Fabio Rosini biblista romano e ideatore delle catechesi per i giovani sui dieci comandamenti. Don Fabio: “la vita senza una direzione e senza un senso resta una vita persa”.

Di Francesco Schiano

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gni volta che ascoltiamo la Parola di Dio dobbiamo essere pronti a cambiare punto di vista sulla nostra storia, mentre spesso da Essa cerchiamo solamente conferme alle nostre idee”. Don Fabio Rosini ci ha esortato con questa ed altre espressioni a lasciarci provocare dalla Parola di Dio, una Parola viva che ancora oggi parla ai nostri cuori e li trasforma, nella quinta catechesi giubilare in cattedrale di martedì scorso, dal tema: insegnare agli ignoranti. Don Fabio, da innamorato della Parola, ci ha affascinati e trascinati verso la sorgente inesauribile della Misericordia di Dio. Le sue catechesi sui dieci comandamenti, che porta avanti da diversi anni nella città di Roma, parlano da sole per il numero così alto di giovani che le frequentano – l’ultima ha visto la partecipazione di 1200 giovani! - ma soprattutto per i frutti che portano

Andrea Di Massa

nella vita di ciascuno di loro; si va e si torna, come i Magi, “per un’altra strada”, perché dove agisce veramente la potenza della Parola di Dio l’uomo non può restare indifferente e la sua vita non è più la stessa. La stessa gioia e lo stesso entusiasmo apostolico che da sempre contrassegnano l’operato di don Fabio, bibli-

sta e direttore dell’Ufficio di Pastorale vocazionale della diocesi di Roma, li abbiamo potuti apprezzare in ciò che martedì scorso ci ha donato, incentrando la sua riflessione in modo particolare attorno al brano evangelico dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35), scuotendoci dal torpore in cui troppo spesso siamo immer-

si anche in un periodo così intenso come quello della Quaresima. Insegnare agli ignoranti per don Fabio è introdurre qualcuno a scoprire il senso della propria vita: “la vita senza una direzione e senza un senso resta una vita persa.

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L’INTERVISTA

Educare una persona vuol dire tirare fuori quello che di bello ha dentro Di don Pasquale Trani Delegato vescovile per la pastorale

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Don Fabio, ti occupi in modo particolare della pastorale vocazionale a Roma, ma la tua vocazione come nasce? “La mia vocazione nasce dall’aver incontrato, da ragazzo ateo, dei cristiani, essermi così avvicinato alla Chiesa ed essere stato formato poi dall’esperienza missionaria, per la quale lasciai il mio lavoro di violoncellista in un’orchestra. Non volevo essere sacerdote, avrei voluto rimanere celibe e laico, ma chi mi guidava mi ha convinto a entrare in seminario e andai nell’allora nascente Redentoris Mater. Esperienza molto positiva per me, da cui però poi mi sono staccato: l’avventura che porto avanti con i giovani parte dall’obbedienza al mio parroco che mi impose di occuparmi dei giovani. Io pensavo che non fosse quello il mio compito, ma l’obbedienza paga, sempre, e mi ha pagato profumatamente, perché mi ha portato a una grande trasformazione: sono sacerdote da venticinque anni e ho vissuto un’esperienza di grande Misericordia da parte del Signore e di grande creatività sul campo, con

Continua da pag. 1 La Parola di Dio è quella bussola che ci permette di orientarci nel cammino. Si tratta di aiutare qualcuno a perdere anche le convinzioni in cui è immerso e che sono diventate il centro della propria esistenza. Diceva il card. Spidlik che la vera possessione diabolica è la possessione delle idee: quanta gente si fissa sulle cose, si fissa su determinati pensieri per eventi accaduti magari nella propria infanzia e se li porta avanti poi per tutta la vita, amareggiandola”. Il brano dei discepoli di Emmaus ci rivela tutta la passione di Dio per l’uomo: “ci troviamo nella sera di Pasqua, due discepoli sono in viaggio verso il villaggio di Emmaus, Gesù è accanto a loro eppure non lo riconoscono, perché i loro occhi sono ‘catturati’ da altro e i loro cuori sono pieni delle proprie idee”. I due discepoli sono immersi nella loro tristezza per quel-

tante soddisfazioni e tanta bellezza”. Si è realizzato da poco il Sinodo Ordinario dei vescovi sulla famiglia; tu hai molto lavorato e lavori ancora nel campo della pastorale familiare, tanti tuoi giovani si sono sposati e ti seguono, s’impegnano… cosa possiamo fare in questo campo così vasto? “Il vero problema è la formazione. Da alcuni anni, insieme a Chiara Corbella Petrillo (la ragazza morta a 28 anni di un tumore che non ha voluto curare perché incinta di suo figlio) e a suo marito Enrico ideammo il corso di preparazione remota al matrimonio e articolammo una preparazione molto remota perché i fidanzati vivessero il fidanzamento quasi al pari di un seminario. Ciò che porta i ragazzi ad avere grandi difficoltà nel matrimonio è che non hanno l’attrezzatura, è come se partissero per scalare l’Everest con le scarpe da ginnastica. Non è stata consegnata loro tutta quella strumentazione che

è assolutamente necessaria per affrontare quest’epica sfida, la dimensione sacramentale del matrimonio, una sfida improba in una società in cui non c’è veramente un’istanza di difesa dell’avventura famigliare. E in un’epoca anche più globalmente intesa in cui siamo in una fase di grande fragilità. Se la generazione di trenta, quaranta anni fa era una generazione combattiva, idealista, aggressiva, quella attuale è una generazione scoraggiata: siamo passati dall’ansia da costrizione - l’ansia in cui ci si sente in contrapposizione con l’autorità - all’ansia da insufficienza, non ci si sente all’altezza di niente, per cui abbiamo questi uomini che non reggono alla sfida della paternità, queste donne che non hanno la forza di sostenere l’essere spina dorsale di una casa. Quando combattiamo a livello di famiglie, molto spesso vediamo che non è che manchi la strategia, mancano proprio gli strumenti per portare

lo che poteva essere, non vanno oltre la propria visione delle cose: “per gli orientali la tristezza è l’ottavo vizio capitale; spesso con la tristezza ci andiamo a braccetto, ci piace piangerci addosso, ci piace star male e parlare di male. Cleopa fa un elenco perfetto di parole e di fatti che dovrebbe per forza di cose portarlo a credere che Cristo era veramente risorto eppure non lo riconoscono”. Gesù cerca di smuovere i due dalla loro chiusura: “ogni volta che mi metto davanti alla Parola di Dio, devo lasciare che Gesù mi rimproveri per la mia durezza di cuore – ha affermato Rosini - Tutte le volte che mi trovo davanti ad

un giovane in ricerca, a una coppia in crisi mi domando quale messaggio inganna queste persone. Tutte le volte che mi dispero e non amo c’è un messaggio nel mio cuore che devo saper leggere”. Il discepoli non riuscivano ancora a concepire l’idea di un Dio che doveva attraversare la strada della sofferenza per entrare nella Gloria senza fine: “quante volte anche noi vogliamo togliere il dolore e le difficoltà dalla vita dei nostri figli e cresciamo dei perfetti imbecilli. – ha esordito ancora don Fabio - Ogni missione, fosse anche quella familiare o professionale implica la sapienza della Croce. Ogni nostra storia è una storia che Dio permette

VIDEO CATECHESI SUL WEB Sul sito web youtube.com/chiesaischia potete rivedere le catechesi della misericordia diocesane

avanti una strategia. È diventato per me molto importante - è un’idea già esposta in nuce nella Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II - fare una lunga preparazione al matrimonio, non corsi prematrimoniali molto lunghi, perché tanto non verrebbe nessuno, ma aiutare i giovani a vivere il tempo del fidanzamento”. A proposito di giovani, che cos’è che attrae in modo particolare tanti giovani che vengono alle tue catechesi? “La radicalità. Non è vero che bisogna fare le cose in maniera addomesticata: molto spesso vedo dei progetti che non esito a definire puerili, invece i giovani hanno lo spunto dell’eroismo, hanno la voglia di fare cose belle, grandi. Più è seria la proposta, più sarà seria la risposta. E dobbiamo parlare alla gente della loro bellezza. Io passo il mio tempo a dire ai giovani: voi non sapete quanto siete belli! Voi non sapete che cosa potete fare, non sapete le vostre potenzialità. E proprio voi così fragili avete un capitale di misericordia nel cuore; non è vero che dovete essere perfetti, dovete essere misericordiosi. Il problema non è “ti devi comportare meglio”, ma se t’innamori di Colui che servi, t’inventerai tu come servirlo, e sarai meraviglioso… G.G.Lubrano

per arrivare al Cielo!” Infine l’invito conclusivo è quello a lasciarci mettere in discussione dalla Parola, a vivere una vita realizzata nell’Amore: “lasciamoci contestare dalla Parola di Dio, il nostro non è un Messìa che ci salva dalla notte ma ci salva nella nostra notte. Insegnare agli ignoranti allora è dire a qualcuno che la sua come la nostra è sempre una storia di salvezza. E a nulla varranno le mie conoscenze e la mia sapienza se al termine della vita non avrò amato. Se muoio e non ho amato avrò vissuto invano!”


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5 27 febbraio 2016

RUBRICA: LA MISERICORDIA E IL CONCILIO

10. Il dialogo, stile e forma del cammino ecclesiale

Dopo aver esaminato categorie come “aggiornamento” o “riforma nella continuità” e laicità, in questo articolo l’autore completa l’esame delle tre grandi “consegne”

Di don Pasquale Trani Delegato vescovile per la pastorale

del Concilio alla Chiesa di oggi: il dialogo, vera

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a “riforma nella continuità” e il nuovo protagonismo dei laici nella Chiesa sono stati al centro delle ultime riflessioni sulle grandi consegne conciliari che ancora hanno da svilupparsi. Vi è anche una terza consegna decisiva (ovviamente ve ne sono tante altre che qui ometto): il dialogo come forma e stile della Chiesa in cammino nel tempo. Il dialogo, prim’ancora che strategia e categoria comunicativa, è una categoria teologica. Che significa? E’ la catena di trasmissione - insita in Dio - Trinità e comunicata a noi dallo Spirito Santo - delle istanze di rinnovamento e di apertura al mondo espresse in modo particolare dalla Lumen gentium (costituzione dogmatica sulla Chiesa, 21 novembre 1964), ma soprattutto al cuore della riscoperta della comunione come elemento intrinseco della vita della Chiesa. La costituzione pastorale Gaudium et spes (sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 7 dicembre 1965) può manifestare la forte attenzione della Chiesa verso il mondo, proprio perché la Lumen gentium ne getta le basi teologiche, definendo la Chiesa stessa “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG, 1). Il proemio di Gaudium et spes è in questo alquanto indicativo: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia.” (GS, 1). L’enciclica Ecclesiam Suam (6 agosto 1964) del nuovo papa Paolo VI chiamato a prendere le redini della

forma in cui si può dipanare la misericordia

Chiesa e del Concilio dopo la morte di papa Giovanni – dopo aver ben chiarito che i cristiani vivono “nel mondo ma non sono del mondo”, anticipò i temi dei documenti succitati: “La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio” (n° 67). Nella missione ab intra e soprattutto ad extra non può dunque mancare il dialogo e un atteggiamento dialogico. La Gaudium et spes dedica un numero intero al dialogo (n° 92), mostrando come esso si sviluppi a cerchi concentrici, a partire dal dialogo fra cattolici: “…Ciò esige che innanzitutto nella stessa Chiesa promuoviamo la mutua stima, il rispetto e la concordia, riconoscendo ogni legittima diversità, per stabilire un dialogo sempre più fecondo fra tutti coloro che formano l’unico popolo di Dio, che si tratti dei pastori o degli altri fedeli cristiani. Sono più forti infatti le cose che uniscono i fedeli che quelle che li dividono; ci sia unità nelle cose necessarie, libertà nelle cose dubbie e in tutto carità” (cf. discorso di papa Giovanni XXIII, 29/6/1959). Ma il dialogo si estende necessariamente a quanti vivono segnati dallo stesso battesimo, tracciando nuove alleanze ecumeniche: “…Il nostro pensiero si rivolge contemporaneamente ai fratelli e alle loro comunità, che non vivono ancora in piena comunione con noi, ma ai quali siamo uniti nella confessione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e dal vincolo della carità, me-

mori che l’unità dei cristiani è oggi attesa e desiderata anche da molti che non credono in Cristo. Quanto più, in effetti, questa unità crescerà nella verità e nell’amore, sotto la potente azione dello Spirito Santo, tanto più essa diverrà per il mondo intero un presagio di unità e di pace. Perciò, unendo le nostre energie ed utilizzando forme e metodi sempre più adeguati al conseguimento efficace di così alto fine, nel momento presente, cerchiamo di cooperare fraternamente, in una conformità al Vangelo ogni giorno maggiore, al servizio della famiglia umana che è chiamata a diventare in Cristo Gesù la famiglia dei figli di Dio.”. Il dialogo è la via privilegiata anche per la riscoperta dei rapporti interreligiosi: “Rivolgiamo anche il nostro pensiero a tutti coloro che credono in Dio e che conservano nelle loro tradizioni preziosi elementi religiosi ed umani, augurandoci che un dialogo fiducioso possa condurre tutti noi ad accettare con fedeltà gli impulsi dello Spirito e a portarli a compimento con alacrità.”. Il Concilio si spinge oltre e arriva a tracciare cammini di collaborazione e stima anche coi non credenti e con quanti si impegnano sui grandi valori condivisibili dalla Chiesa e in qualche modo contenuti nel messaggio evangelico: “Per quanto ci riguarda, il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con la opportuna prudenza, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne rico-

PROSSIMI EVENTI GIUBILARI DIOCESANI 1° marzo: Giubileo gente di mare 7 marzo: VI catechesi sulle opere di misericordia con il card Edoardo Menichelli

noscano ancora l’autore, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere. Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati a una sola e identica vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace.”. La Chiesa di papa Francesco, forte di queste acquisizioni conciliari, può mostrarsi misericordiosa proprio perché alle sue spalle ha trovato un patrimonio documentale nel Concilio e un successivo cammino fatto di testimonianze sante ed edificanti che dicono l’umiltà con cui oggi sia noi cattolici che in generale tanti altri cristiani si pongono fra loro e con la società, che fa ben sperare, pur in mezzo a tante ombre e paure che ancora qua e là emergono e che bloccano lo slancio missionario verso le sfide e le opportunità che il mondo pone. * Per continuare il dialogo con l’autore: pasqua.trani@gmail.com


6 27 febbraio 2016

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Pellegrinaggio della parrocchia di SS.Maria Assunta- Ischia Ponte A diversi mesi dall’apertura della porta santa, ultima tra le parrocchie del decanato di Ischia, anche per la Parrocchia di Santa Maria Assunta, che da mesi vive la sua vita parrocchiale in Cattedrale accogliendo i pellegrini isolani, arriva il momento di varcare come pellegrini la soglia della Misericordia. Di Silvia Pugliese

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fedeli di Ischia Ponte hanno potuto attraversare la Porta Santa accompagnati dal loro San Giovan Giuseppe, che è stato portato per le vie del borgo dai suoi amati concittadini, aprendo metaforicamente la strada alla folla di fedeli che varcava la Porta della Misericordia, proprio come li ha preceduti e li attende in Paradiso. Durante il percorso, a quanti capitava di voltarsi indietro, vedendo la grande folla, veniva in mente: “Chissà quale sarà la gioia del nostro amato Santo nel vedere quanti suoi fratelli camminano insieme verso il Padre Misericordioso.” Il rito di passaggio è stato segnato da un’emozione incontenibile; “Ho vissuto l’esperienza dell’apertura della Porta Santa come se fosse stata la prima volta…Eppure pensavo: ci sono passata per tutti questi giorni, da dicembre ad oggi! Ma vedere tutta la parrocchia riunita, le toccanti parole del Vescovo…è stato come se la Porta si aprisse per la prima volta”. Questa piccola testimonianza, raccolta a caldo pochi minuti dopo la celebrazione, riassume un po’ quella che è la vera esperienza di cristiani, il cammino nella vita parrocchiale: un Padre Misericordioso, che è lì tutti i giorni, noi ci passiamo accanto nei suoi volti e nei suoi tanti luoghi, senza quasi accorgercene, ma Lui ci stupisce sempre con effetti speciali, ed è come se fosse sempre la prima volta! Ad animare la S. Messa, un numerosissimo coro parrocchiale, che riuniva i rappresentanti dei cori di tutte le età. Un’altra grande gioia è stata quella di vivere questo giorno, insieme a Padre Pietro, proprio nell’anniversario della sua elezione come pastore della nostra chiesa, abbiamo potuto quindi ringraziarlo, ma soprattutto ringraziare Dio nostro padre, per il dono di averlo come nostra guida, e per questi intensi anni insieme. È stato molto commovente il momento della presentazione dei doni, una lunga processione offertoriale alla quale hanno preso parte tutte le realtà della parrocchia, portando al Signore un segno della propria vocazione nella chiesa e nel mondo: bambini, catechisti,

Andrea Di Massa

cresimandi e fidanzati, hanno portato all›altare il pane e il vino, poi i 4 territori della parrocchia, che hanno voluto esprimere al Signore un ringraziamento per averci donato una natura così bella, il mare, gli scogli, il castello, la bellissima natura; i giovani, che hanno portato all’altare una tela bianca, simbolo della loro vita, perché Dio la dipinga a suo piacere con i suoi colori, i cori e i gruppi di preghiera, le varie comunità e spiritualità presenti in parrocchia, la collegiata dello Spirito Santo e l›Arciconfraternita di Santa Maria di Costantinopoli, la squadra di calcetto della parrocchia, il Gruppo Caritas, che ha presentato una scatola con le offerte per realizzare

lo sportello della Misericordia. E nell’omelia il vescovo ci ha donato gli ingredienti preziosi per la vita di parrocchia, invitandoci a costruire una fede non fatta di parole e apparenza, sull’esempio del nostro San Giovan Giuseppe. “La parrocchia è la scuola di Gesù per chi si vuole far guidare da Lui. Il Signore chiama questa parrocchia a continuare a camminare sulla strada del discepolato, mettendo al centro Gesù e nessun’altro! Egli vuole che vi lasciate trasformare in una comunità di persone che gli somigliano, che lo testimoniano nelle occupazioni di ogni giorno: non riduciamo la nostra fede alla religione del dire. Come parrocchia dovete sentirvi respon-

sabili del dono che è stato S. Giovan Giuseppe, nascendo a pochi passi da qui, perché questa parrocchia deve sentire che il Signore la chiama sulla strada della santità. S.G.Giuseppe è l’unico santo nato ad Ischia, ma anche noi possiamo diventare santi! Leggendo la sua storia, vediamo come rifuggiva da ogni forma di apparenza e vivendo il Vangelo attraeva tanta gente, perché in lui si sperimentava la presenza del Signore. A questa parrocchia così animata, il Signore consegna questa pagina del Vangelo: continuate a diventare una parrocchia che cresce nella fede, nella speranza, nella carità e ad attirare tante persone a Gesù, il volto della Misericordia del Padre!”


Attualità

7 27 febbraio 2016

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Ischia Ponte: il cantiere della Siena sequestrato Di Isabella Marino per quischia.it

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ue anni fa di questi tempi, agli inizi del febbraio 2014 per l’esattezza, in un incontro presso il Comune d’Ischia per parlare della sempre attuale questione del ripascimento degli arenili, fu indicato agli operatori balneari, come soluzione più a portata di mano, l’utilizzo della “sabbia” del parcheggio della Siena. A dire il vero se ne parlava già da un po’, da quando era cominciato lo scavo nell’ex florido vigneto-frutteto all’ingresso del centro storico di Ischia Ponte e si erano venute accumulando delle montagnole di terra fin lungo il caratteristico Muro rotto al confine con l’attigua omonima spiaggia. Ma dato che le analisi sulla caratteristiche e la granulometria di quei detriti non erano state ancora effettuate e non potendone prevedere l’esito, sembrava decisamente azzardato dare per scontato che sarebbe stata sabbia buona da buttare a mare. La cosa poi non si è verificata e in quel caso, forse, la prevenzione ha funzionato, evitando magari un problema più grave di quello che s’intendeva correggere. Ma a parte quell’episodio, l’aggettivo “PREVENTIVO”, applicato al sequestro del cantiere di via Pontano avvenuto martedì 23 febbraio, suscita un certo stupore. Non tanto per il provvedimento giudiziario in sé, con le sue ragioni e i suoi fondamenti di cui si discuterà e ci si confronterà tra i soggetti interessati nelle sedi opportune, ma quanto meno per la tempistica e la reale efficacia preventiva di questo atto, che blocca un’opera mastodontica, in corso da oltre due anni in una posizione centralissima e che ha cambiato profondamente l’aspetto di quell’angolo – pregiato – di territorio. In questi due anni e più, su quell’area e in tutto il contorno, di cose ne sono accadute e tante. Cose che non potevano e che non sono passate inosservate agli sguardi dei cittadini e dei turisti. E come sarebbe stato possibile con il cantiere in piena vista, all’entrata del centro storico e lungo la strada che porta ad una delle zone balneari più importanti e frequentate dell’isola? E come si potevano ignorare le centinaia di betoniere e enormi camion che in questi anni hanno fatto continuamente avanti e indietro, non senza difficoltà per le loro dimensioni, sul percorso verso Ischia Ponte, infilandosi a fatica nel budello di via Pontano, trasformata

Cos’altro c’è più da prevenire dopo quanto è già compiuto?

in pertinenza del cantiere? E come non accorgersi dei lavori in corso e della loro entità con il rumore dei battipali, in funzione di giorno e di

sera comprese le domeniche, distinguibili fin sulle collinette circostanti e le vibrazioni percepite nelle abitazioni del circondario? Tutti effet-

ti collaterali che hanno gravato in questo periodo sull’intera zona, nel cuore anche turistico, oltre che di enorme valore storico-ambientale, di Ischia. Ma di prevenzione non se n’è mai fatta. Per non parlare delle stranezze (chiamiamole così) che si sono pure verificate in questi anni. Dalla cascata di acqua termale che per settimane dal cantiere finì in mare nell’autunno 2014 alla sorgente di acqua dolce che per mesi ha zampillato nel cantiere (in quel tratto costiero nell’antichità erano conosciute varie fonti), senza dimenticare gli enormi cumuli di detriti portati con i camion e accatastati anche lungo il muro di cinta che costeggia la pubblica via. Situazioni anche di interesse anche generale, visto che hanno coinvolto il mare e le risorse del sottosuolo, su cui sarebbero stati opportuni e necessari approfondimenti e conseguenti chiarimenti pubblici, che sono mancati. E lì sarebbe stata auspicabile e opportuna e ci si sarebbe aspettati quella prevenzione di cui, invece, non c’è stata traccia. E che dire dell’impatto di un cantiere così impegnativo su Ischia Ponte e dintorni per un tempo così prolungato, ben oltre i tempi previsti per la realizzazione della mega opera, che usufruisce anche di un finanziamento europeo, dunque di soldi pubblici? Dopo tutte queste vicissitudini, quell’aggettivo “preventivo” riferito al sequestro attuale suscita altrettanto stupore e perplessità: cos’altro c’è da prevenire, dopo tutto ciò che già si è compiuto e si è consentito che si compisse nell’ex ubertoso terreno della Siena? Ci avviamo ad un’altra opera infinita, con il suo carico di disagi e brutture, finché prescrizione non ce ne liberi? Quali altre stupefacenti novità ci dovrà riservare il costruendo parcheggio in stile metropolitano alle porte del Borgo di Celsa? La mente corre ai ricordi di bambina: alla vigna di “pizzutella”, alle pesche dorate e al profumo irresistibile delle “crisommole” d’estate, alle uova appena raccolte da Nina e alle galline libere tra i filari, al profumo intenso e rassicurante di terra buona, che ti accompagnava fino a lasciare il passo a quello della sabbia e del mare. Grazie a Dio ho fatto in tempo a godere di quella meraviglia. E non riesco a non pensarci, ogni volta che passo davanti a quanto c’è oggi e che non riesco a definire. Ogni volta, con crescente rimpianto.


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Punti di Vista

27 febbraio 2016

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Di Franco Iacono

Arrivederci nonno Umberto

1.

In questo mondo sempre più feroce e crudele, per una volta, sono protagonisti i bambini. Al funerale di Umberto Eco, a Milano nel Castello Sforzesco, fra tanti discorsi ufficiali e comunque di personaggi importanti, “sono le parole del nipote Emanuele a strappare lacrime ed applausi”, riferisce il Corriere della Sera di mercoledì 24 Febbraio “…Grazie per le storie che mi hai raccontato, per le parole crociate che abbiamo fatto insieme, per la musica che mi hai fatto ascoltare e per i viaggi che abbiamo fatto io e te soli”! Sono le parole che ogni nonno vorrebbe ascoltare al proprio funerale: può capitare solo a quei nonni che le avranno “meritate”. In verità ed amore! E Umberto Eco sicuramente le avrà meritate se ha saputo suscitare tanta emozione in quel suo nipote! Umberto Eco: un grande non solo per Cultura, ma anche per umanità affettuosa! Ancora protagonisti sono i bambini di tutto il mondo, che hanno scritto, e posto domande, a Papa Francesco, che ha risposto a ciascuno. Domande dei bambini e risposte del Papa sono raccolte in un libro, “Amore prima del Mondo” Rizzoli Editori. Fra le altre mi ha colpito una domanda posta da un bambino americano, William, di 7 anni: “Se tu potessi fare un miracolo, che cosa sarebbe?” Papa Francesco ha risposto: “Io guarirei i bambini che soffrono. Per me è un mistero. Non so dare spiegazioni. Mi interrogo su questo punto. Prego su questa domanda: perché i bambini soffrono? E’ il mio Cuore che si pone la domanda…”Il Papa appare angosciato dal dolore di milioni di bambini, che muoiono di fame di malattia o nei tanti, troppi, naufragi di migranti nelle acque del Mediterraneo. Quante volte, rispetto a queste tragedie, ci viene da

domandarci: ma Dio dov’è, perché sembra che giri lo sguardo altrove?! Sono i dubbi che devono aver attraversato anche il Papa, che continua angosciato: “…la mia risposta al dolore dei bambini è il silenzio oppure una parola che nasce dalle mie lacrime!” Quanta umanità, quanta tenerezza, quanto dolore in queste riflessioni di Papa Francesco. 2) In questi ultimi, feroci, delitti consumati tra giovanissimi nell’area napoletana mi colpisce l’indifferenza al male, la disumanità senza “Emozione”, il disprezzo per la vita altrui e per la propria, ridotta a puro “vegetare”! Senza anima, senza amore, senza speranza e senza futuro. Se non con la prospettiva di marcire i qualche carcere. O sottoterra! Ma i “i protagonisti, sempre più numerosi, di questo “modello di vita” non sono essi stessi delle vittime, così come le loro tragiche famiglie? E quali sono le colpe di questi poveri “disgraziati”, di questi “relitti?” Forse quelle di non avere avuto un educazione, di essere stati dimenticati dalla scuola, che dovrebbe essere “Scuola dell’obbligo” (ma chi doveva obbligare dov’era? Forse qualcuno ha pensato di incriminarlo per “omissione in atti di ufficio”?), per non essere mai entrati nel mondo del lavoro o della formazione pro-

fessionale, ma solo in qualche carcere minorile? E chi ha parlato a loro di Amore, di Amicizia, di Bellezza, di Poesia? E perché questi temi tragici, che riguardano un intera generazione di ragazzi, compresi quelli che si perdono, regolarmente armati di coltelli e…droga, nelle “movida” dei vari quartieri della Città, non vengono trattati nelle “giaculatorie” tristi e stantie delle “primarie” del PD o nei programmi dei vari candidati a Sindaco di Napoli? Pare tutto surreale, se si pensa alle amenità dei contendenti a quelle “primarie”: dal gatto Fred, “Spin Doctor” di Bassolino o all’altra, potere dell’emulazione, del cane Gennaro, “Spin Doctor” del giovane(?!)Sarracino, o a quella del cartoncino “Minollo” di Valeria Valente, riferito ad una vecchia gag di Troisi. Da non credere, se si pensa alla tragedia che vive Napoli, la città che ciascuno di loro pretenderebbe di governare. Peccato che anche il Cardinale, e tanti Parroci di periferia, non faccia sentire spesso, come prima accadeva, la sua voce. Una volta nei paesi di campagna quando il Male ed il Peccato avanzava, le parrocchie organizzavano le “Missioni”: un gruppo di predicatori e confessori aveva il compito di scuotere, anche con prediche apocalittiche spesso ben colorite,

gli animi e le coscienze, inducendo con la minaccia dell’Inferno al pentimento e al ritorno sulla retta via. A Napoli sarebbe necessaria una Missione continua per “costruire” un tempo buono. Ma sarebbe necessaria anche una classe dirigente che si ponesse questi problemi che proponesse qualche idea per affrontarli e non si baloccasse dietro sceneggiate ad effetto, alla rincorsa all’ultimo voto. Già il 50% non va a votare! Fra poco rischiamo di essere una Città morta, abitata da anime spente. Senza sorriso! E senza futuro!

24 ORE CON IL SIGNORE 3 marzo: ecco l’inizio degli appuntamenti nei decanati Ischia: ore 18 chiesa Cattedrale (dal 4 al 5 marzo) Casamicciola Terme Lacco Ameno: ore 9 chiesa del Buon Consiglio (vicino al Bar Calise - Casam.) Barano - Serrara Fontana: ore 18 chiesa di San Sebastiano Martire (Barano) Forio: ore 18:30 chiesa di San Francesco D’Assisi


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Giovani 27 febbraio 2016

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A scuola di misericordia Domenica 21 febbraio tanti giovani e ragazzi provenienti dalle varie realtà parrocchiali isolane e non solo si sono ritrovati di buon mattino al Centro Caritas Diocesano Giovanni Paolo II a Forio per trascorrere una giornata di spiritualità: terza tappa del percorso di formazione in preparazione alla prossima GMG di Cracovia.

Di Giuseppe Galano

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ra i ragazzi, che man mano arrivavano al Centro, si respirava fin da subito un clima di vera gioia e fraternità. Ad accogliere i giovani ci hanno pensato alcuni dei meravigliosi ospiti della struttura e i volontari che offrono il loro preziosissimo contributo affinché chi vive nel disagio questo particolare momento della propria vita possa sentirsi amato ed accolto. Tema della giornata è stato “A Scuola di Misericordia”, un tema molto forte che ha aperto il cuore di tanti. Padre Giuseppe Carulli, sacerdote vincenziano che opera per la Caritas Diocesana, ha animato il ritiro, offrendo ai partecipanti numerosi ed intensi spunti di riflessione. Quale atto preliminare egli ha fatto ascoltare un canto molto bello tratto dal repertorio di Elisa, datato 2009, dal titolo “Ti vorrei sollevare”, una canzone il cui testo è stato perfettamente riadattato al tema trattato. Le parole della canzone hanno permesso a tutti di entrare più che mai nel vivo della tematica. Il testo potrebbe sembrare il dialogo tra Dio e l’uomo. Da un lato vi è l’amore che finisce, dall’altro Dio che dice ti vorrei sollevare, proviamoci ancora. “Dio da fiducia all’uomo, mettendolo alla prova, l’uomo lo delude, si lascia distrarre, si lascia condizionare. Nonostante questo


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Giovani

27 febbraio 2016

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PREGHIERA GIOVANI CON PADRE PIETRO

Beati gli operatori di pace Venerdì 12 febbraio si è rinnovato l’appuntamento mensile tra i giovani ed il Vescovo Lagnese in Cattedrale. Un appuntamento che ha coinvolto un nutrito numero di ragazzi desiderosi di mettersi in ascolto della Parola di Dio e meditare sulle riflessioni proposte dal Vescovo.

Dio offre Misericordia all’uomo”. Successivamente viene proposto un brano tratto dal Vangelo di Luca (10,25-37) noto come la Parabola del Buon Samaritano. Questa parabola, incastonata nel dialogo tra Gesù ed un dottore della legge mette in risalto la misericordia e la compassione cristiana da mostrare verso il prossimo, chiunque esso sia. Il passo del Vangelo racconta di un uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, dei briganti lo spogliarono, lo percossero e se ne andarono lasciandolo mezzo morto. Un sacerdote passava per quella strada e quando lo vide passò oltre così come fece un levita. Invece un samaritano che era in viaggio passando lo vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite versandogli olio e vino; poi lo caricò sopra il suo giumento e lo portò ad una locanda affinché si prendessero cura di lui. “Ebbe compassione. “Con queste parole - afferma padre Giuseppe - Gesù spiega l’atteggiamento del Samaritano nei confronti del malcapitato”. La parabola potrebbe benissimo essere riadattata alle storie degli ospiti della struttura foriana. Li vi sono persone che vivono nel bisogno, fratelli che non hanno nulla e che chiedono solo di essere amati ed accolti. Per far questo è necessario saper leggere le loro storie con gli occhi del ferito in modo tale da porsi in una prospettiva diversa. “La Parola di Dio ci insegna questo, saper leggere le storie con gli occhi del ferito di turno. Tutti gli ospiti del Centro Caritas vanno visti con gli occhi del ferito della Parabola del Buon Samaritano”. Se consideriamo la prospettiva del samaritano possiamo considerare le “Cinque azione della Misericordia”. Tutti noi siamo chiamati ad avere compassione, a lasciarci muovere

nelle viscere nel vedere l’altro nel bisogno. Occorre farsi vicino e fasciare le ferite. Essere misericordioso vuol dire avere compassione e farsi vicino al ferito proprio come fece il samaritano. E’ necessario prendersi cura del bisognoso, mettendo a disposizione del malcapitato tutto ciò che si ha. Quarta azione della misericordia è chiamare in causa gli altri, chiedere aiuto anche ad altre persone. L’azione della misericordia coinvolge anche gli altri, non può essere solo individuale. La quinta azione è rappresentata dal ritorno. La storia è continuata nel tempo. Occorre continuare a preoccuparsi del bisognoso. La misericordia richiede continuità nel tempo. Dopo queste intense riflessioni vi è stato spazio per la riflessione personale a cui ha fatto seguito il pranzo offerto grazie al lodevole impegno dei volontari della Caritas. Ha fatto seguito la divisione in gruppi di ascolto e lavoro. Ai ragazzi è stato chiesto di riflettere sulle tematiche trattate, in particolare di passare dall’io al noi, pensando a come realizzare nei vari contesti parrocchiali e di gruppo le cinque azioni del samaritano. Sono state fatte nei vari gruppi proposte molto belle e concrete da poter attuare al fine di mostrare agli altri il volto misericordioso di Dio. A seguire è stata celebrata la Messa nella graziosa Cappellina della struttura. A conclusione della giornata sul volto dei ragazzi si leggeva un senso di profonda pace. I giovani si sono lasciati toccare dalle riflessioni proposte da padre Giuseppe ed hanno fatto ritorno alle loro case desiderosi di testimoniare con la loro vita la Parola di Dio. Un grazie speciale va all’equipe della Pastorale Giovanile per la passione e la dedizione con cui hanno organizzato questo evento.

Di Giuseppe Galano

“B

eati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” è il tema scelto per l’incontro. “Ci ritroviamo anche questa sera per metterci in ascolto del Signore”. Con queste parole molto semplici pronunciate da padre Pietro ha inizio il momento di preghiera. Le belle voci della corale della Pastorale Giovanile intonano il canto Inno allo Spirito Santo. Per entrare al meglio nel vivo di questa Beatitudine viene proposto un brano del Vangelo di Matteo (10, 34-39). “Questo passo è un pugno nello stomaco come sempre dovrebbe essere la parola di Dio”. Per entrare ancora di più nel vivo della tematica dell’incontro viene fatto ascoltare un canto tratto dal repertorio di Nek, Fatti Avanti Amore, secondo classificato nel 2015 al Festival di Sanremo. “Perché questa canzone? Beati gli operatori di pace, beati coloro che fanno qualcosa per la pace. La pace è una cosa concreta che richiede che ognuno faccia la propria parte. La pace non è tranquillità. Gesù è venuto a donarci pace e non tranquillità. Una vita tranquilla è una vita vissuta senza lasciarsi scomodare. Gesù non vuole questo da noi”. Questa canzone è la storia di un ragazzo che fa la proposta a quella che potrebbe essere la sua ragazza. Fatti avanti amore è l’espressione che più si ripete nella canzone. “Abbiamo bisogno di persone che con Gesù si mettano a fare la pace. La canzone è un invito ad essere giovani. E’ proprio dei giovani sentire, nonostante tutto, il desiderio di lanciarsi e credere che la pace si possa fare”. Dal testo il Vescovo estrapola alcune frasi che ben si adattano quale supporto alla meditazione. Abbiamo gambe per fare passi. “Occorre fare passi per costruire la pace”. Io sono pronto a vivere ti guardo e so perché.” Dobbiamo essere pronti a metterci in gioco e fare la nostra parte”. L’attenzione si sposta nuovamente sul brano del Vangelo di Matteo. “Gesù non è venuto a portare la pace sulla terra ma è venuto a portare spada. Sembra che sia venuto a portare guerra e rivoluzioni. Gesù, per portare la pace, ha accettato di morire, di uscire da se stesso”. Molto significativa questa parte del Vangelo. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per se la propria vita la perderà, e chi avrà perduto la propria vita a causa mia, la troverà.”Questa Parola deve illuminarci e farci capire che per fare la pace occorre che ognuno di noi sia disposto a perdere , sia disposto a metterci del suo. Gesù ci invita a costruire la pace, giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, imparando a metterci del nostro. Gesù cerca persone che diano una mano a costruire la pace”. Ritornando al testo di Nek altre frasi offrono preziosi spunti di riflessione. Nonostante noi. “Nonostante i nostri limiti offriamo il nostro contributo di vita dicendo al Signore che ci siamo”. Afferma padre Pietro che la pace non è semplicemente assenza di guerra ma qualcosa di più, è pienezza di vita, per questo Gesù è salito sulla croce. “Questa sera chiediamo perdono al Signore per tutte le nostre inerzie, per tutte le volte che ci siamo tirati indietro ed abbiamo preferito stare tranquilli dicendo il nostro no a Dio”. Conclude così le sue riflessioni: “Gli operatori di pace sono coloro che vivono la stessa vita di Dio, somigliano a Dio, nel loro cuore hanno gli stessi desideri di Dio e saranno, come Gesù, costruttori di Pace”. In risposta alla Parola è proposta la lettura del Salmo 72 a cui fa seguito l’ascolto del Canto Hopes of Peace (Speranza di Pace-Gen Rosso). Al termine dell’incontro tra i presenti si respirava un bel clima di pace e benessere, frutto della Parola meditata.


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Racconti Inediti 27 febbraio 2016

Di Francesco Mattera

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uali pensieri puoi avere, una caldissima domenica d’estate, al ritorno dalla spiaggia, dopo una settimana di lavoro durante la quale il mare l’hai a lungo sospirato? Una doccia tiepida e ristoratrice, e poi un bel pranzo come Dio comanda! Uno della mia età pensa anche al dopo, al riposino della controra che ti restituisce le energie per una bella passeggiata serale in buona compagnia. Pensi a tutto ciò, o nemmeno ci pensi. Ti culli nella routine, nella buona ruspante consuetudine che ti regala soddisfazione anche per il solo fatto che è cosa che ti piace, ti gratifica nella sua normalità e non ti procura particolari affanni. Tanto sai già che è così e ti basta. Poi puoi fare sponda con fortuite occasioni che ti ampliano il godimento della giornata: la telefonata dell’amico che non senti da tempo, la lettura di un buon libro, il gelato che ti porta tua moglie senza preannunciartelo, seduto all’ombra della magnolia, nel giardino di casa, o le ultime notizie del calciomercato della squadra del cuore: il Napoli, naturalmente. Con la vespa che arranca sulla strada di casa, moglie sul sellino posteriore che fatica a tenere in equilibrio l’ombrellone, si giunge a casa con la salsedine che ti rapprende tutto, capelli, pelle e occhi. Un mix non perfetto di sale, sudore, crema solare e gas di scarico delle macchine. Meno

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Storie di an

Una mamma corag male che il tragitto dalla Mandra a casa è breve! Ed il godimento del mare è stato totale. Arronzo la vespa in un angolo e via sulla scala che divide in due il giardino roccioso. Canticchio, telo da spiaggia in spalla e occhiali da sole di schimbescio, una vecchia canzone di Demis Roussos che dalla mattina mi si è arrovellata nella testa e non vuol saperne di lasciarmi: “La, lalalà, lalalalalà, lalalà, uhmm, tiritì, tututuruturutù ……pippirippippippippiiiiì…” e via con gorgheggi ignobili da vergognarsi per tutta la vita se qualcuno ti sente e ti vede, e tu vedi che ti vede, e ti sente, lui, il vicino di casa, che proprio non ti sta simpatico. E pensi: “questo fa finta di non aver sentito, ma sicuramente sta ridendo di me, dei miei versacci, maledizione…”! E nemmeno ti viene il coraggio di interromperti di colpo: fai l’indifferente, gradui in diminuendo la voce, moduli il volume come se tenessi tra le mani la manopola della voce di una radio, e

spegni in gola gli ultimi spregevoli vocalìzi. Un uhmm e un pezzetto di tosse strascicato in gola pone fine al supplizio. Ecco l’imprevisto!, ti coglie in surplace: l’asciugamano color cocozza ancora in spalla, inzuppato di mare e sabbia, quasi cadente che l’afferri con i denti per tenere con l’istinto subitaneo le mani libere per cose che ancora non sai di dover provare a fare. Un gatto, un gattone grigio tigrato, Kitty, il bel gatto di mia nipote Patty: mi sta di fronte sulla scala, il vello della groppa irto, gli occhi fiammeggianti, la coda bassa, in bocca un batuffolo di piume e penne da cui emerge una fauce gialla, aperta, con una lingua piccola piccola che si dibatte e, sul lato opposto una sola zampina che si dimena in uno spasimo di debolezza infinita, che ti prende il cuore e te lo spacca in due dal dolore. “Kitty, Kitty…, dai lascialo, se lo lasci ti do una dose doppia di croccantini…, dai fai la brava…!” Ma quella se ne frega delle mie suppliche, o forse, o certo, nemmeno decodifica il mio parlare come una richiesta di grazia per l’uccellino che tiene saldamente in boc-

ca. Istinto, solo istinto, è solo, semplicemente istinto quello di Kitty, realizzo in una frazione di secondo. “Bah, che banalità!, penso: l’ho sempre saputo che nei gatti l’istinto predatorio è innato”. Ed ecco il secondo imprevisto: la cima del lentisco che sovrasta la scena, improvvisamente si piega sotto il peso di una sagoma grigia di un uccello adulto: la vedo, è la merla che ogni mattina all’alba mi sveglia con il suo verso stridulo che si assona con quello del suo compagno, il nerissimo merlo maschio. Il suo è un lamento straziante, si dimena e fa vibrare la fronda come se fosse un’appendice delle sue corde vocali. Più in la, il maschio fa altrettanto, ma non con lo stesso impeto, senza passione, come di uno che imita, che si specchia in un altro, ma in fondo non è convinto di quello che fa e di quello che spera. Anche questo mi da un pensiero subitaneo: “conosco persone che fanno proprio come quel merlo maschio, si, si, è proprio così che certe volte vanno le cose!” - Poi uno scarto improvviso, Kitty sgattaiola via prendendo di traverso le guglie del giardino roccioso. Passa sotto la rete dell’aiuola delle rose e guadagna il cortile della casa di Patty, al piano terra. Si acquatta nell’angolo più stretto del parapetto della cisterna, il piccione di merlo sempre saldamente in bocca. Gli grido il


Racconti Inediti

27 febbraio 2016

kaire@chiesaischia.it

nimali

ggiosa

Kittyyyyyy!!! …più cattivo e spaventevole che mi riesce, lascio sulla scala ciostole, asciugamano ed occhiali e mi menneo (maschile verbizzato del mitico, velocissimo Pietro Mennea) girando ad angolo il portoncino del giardino e piombando come un siluro a meno di un metro dal gattone famelico. Muso contro muso, in ginocchio, pupille centrate sulle sue pupille, fiamma contro fiamma: oh Dio, possibile che l’ho ipnotizzato! Si addolcisce Kitty, bellissimo adorabile gattone, mette giù i peli, alza la coda, apre la bocca lascia cadere il piccolo della merla, appena appena non più implume. Un miaooooo…. liberatorio di Kitty, senza ripensamenti, mi sembra. Poi la mia mano a guscio nell’angolo del muro per accogliere il merlino ancora imbrattato della saliva di Kitty che cerca di guadagnarlo, l’angolo, come estremo rifugio. Gli accarezzo la testolina e gli alito nella boccuccia gialla, è vivo e vegeto. Kitty come liberata da una cosa che in fondo non voleva, forse pensa alla doppia razione di croccantine e mi struscia sulla gamba, la coda ritta a novanta gradi. Ritorno in giardino, sulla scala. Mamma merla continua il suo lamento irato, incessante. Come restituirglielo? Sto li indeciso, con l’uccellino ormai cheto nell’abbraccio della mia mano. Mi chino per terra. Mamma merla

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non la vedo, ma poi all’improvviso sento un frullo di ali, impetuoso, diretto, sulla mia testa. Poi, una, due, tre, quattro, una serie innumere di beccate sulla mia povera testa, già a corto di capelli. Ohimè, che cacchio di dolore! Lascio sull’erba del prato il piccolo. Spunta papà merlo, si avvicina al piccolo e con le ali aperte e la coda bassa, lo sospinge nel folto della siepe di lentisco, e li scompaiono entrambi, al sicuro. Mi strofino la testa: non c’è sangue per fortuna, ma brucia non poco. Mamma merla che fa? Ha scambiato me come un nemico e non come un salvatore. E ancora mi ritiene un pericolo: mi gira intorno in tondo, un’ala dritta e l’altra ripiegata verso terra. Una zampa dritta e l’altra sul prato, come se fosse zoppa. Forse nel difendermi l’ho ferita!, penso. Ma no, no, se nemmeno l’ho toccata! Continua a cerchi concentrici e centrifughi: via via si allontana da me, rassicurata ma non troppo, poi guadagna anche lei la siepe. Una famiglia riunita, sana e salva! Rinuncio alla doccia: internet, clicco etologia degli uccelli, istinto materno, e invio: “…Quasi tutte le mamme degli uccelli simulano di essere ferite e zoppe per attrarre su di loro il predatore per così distoglierlo dal loro piccolo minacciato”. Oh bella, dico ad alta voce! Mi risponde mia moglie: “dici a me, caro!”


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La Storia siamo Noi 27 febbraio 2016

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Quando Ischia importava la canapa Dalle filatrici domestiche isolane del Testaccio, Fontana, Panza e della vecchia Ischia Ponte del dopo guerra alla produzione di oggi su scala commerciale per un mercato sofisticato. Dalle abili mani delle nostre nonne filatrici di canapa un mondo artigianale domestico vivo ancora oggi.

Di Antonio Lubrano

Q

uando si parla di Filatrici ischitane si pensa subito alla canapa, a come la si trattava, all’uso che di essa se ne faceva ed al come si riusciva a farla arrivare sull’isola. Siamo al tempo in cui l’isola d’Ischia viveva dei soli prodotti della sua terra, e fra questi purtroppo non c’era la canapa. In definitiva la si importava dal casertano e dal napoletano. Provvedevano i corrieri a portarla sull’isola su precise ordinazioni di negoziante e famiglie locali organizzate per la manifattura di borse, cappelli, corde e stuoie. Tutto questo accadeva già dagli anni ‘20 per diventare col prosieguo degli anni una sorta di commercio a sfondo domestico che si avviò per la continua richiesta sul mercato locale. Erano gli anni in cui le nostre nonne filavano di gran lena con la “conocchia” o l’antico fuso e l’arcolaio. In pratica con il termine filatrice si intende proprio colei che tramite degli attrezzi di cui sopra e soprattutto con le proprie abili mani, ricava un filo più’ o meno omogeneo dalla torsione di varie fibre tessili di origine animale o vegetale e da cui poi si ricavano stoffe per tutti gli impieghi. Il filato nella storia ha origine antiche: si hanno resti di stele di filatrici già in epoca greca, raffigurati su vasi arrivati sino ai giorni nostri. La creazione di filato è stato sempre compito femminile, le fibre più usate erano lino, canapa per l’appunto, lana, cotone, seta ed anche ortica, seppur principalmente usata nelle corde per la sua forte resistenza alla trazione. In Campania, e per l’esattezza nel casertano e nel napoletano, la coltivazione della canapa è stata una delle attività agricole che ha occupato, per secoli, la maggior parte della superficie coltivata e della popolazione rurale, fino alla sua regressione avvenuta negli ultimi decenni. Il settore fu del tutto abbandonato dopo il 1975, quando fu inasprito il divieto della coltivazione della canapa indiana (una varietà della canapa) e nello stesso tempo messe in atto severe normative per la canapa tessile (Cannabis

Le vecchie conocchie o fusi con fili di canapa anni 50 per calzini e sciarpe dele sorelle Mascolo a Ischia Ponte

sativa L.). Concause di questo abbandono sono da ricercarsi nell’aumento del costo della manodopera e nei problemi derivanti dal pesante impatto ambientale dei maceratoi. La canapa coltivata in Italia era tra le più pregiate per la produzione di fibra per resistenza, colore e resa. Nel 1936 fu tentata una classificazione della qualità della canapa, progetto abbandonato con il sopraggiungere della guerra. In questa classificazione, la canapa campana “paesana” (se coltivata a sud dei Regi Lagni) e “forestiera” (se coltivata a nord dei Regi Lagni) si distingueva in “chiara”, “mezzo-colore” e “scolorata”; era poi divisa in sei diverse qualità, da “SS” (spago superiore). Ischia ne ha sempre seguito l’evoluzione di questa fibra fino a farsene arrivare nei propri magazzini in notevole quantità anche per la presenza a Barano negli anni ‘40 e’ 50 di una fabbrica tessile portata avanti da un esperto nel settore, il tessitore Vincenzo Di Meglio, consorte della signora Durante e padre del compianto dott. Benedetto, e delle sue figlie Edda

e Letizia Di Meglio tutt’ora vivente (la prima abita a Forio ed è la vedova del compianto prof. Ottato e Letizia che vive con la sua famiglia a Battipaglia nel salernitano. La vecchia fabbrica Di Meglio produceva tessuti di canapa, lino ed anche capi di corredo per signorine in odore di matrimonio. In quegli stessi anni, ad Ischia e Forio andavano forte i calosci fatti di legno spesso e canapa resistente. Il negoziante don Antonio Monti e figli ad Ischia Ponte, li importava da Napoli, esaurendoli in breve tempo. Le sorelle Mascolo, in via Giova Battista Vico invece erano specializzate nella confezione di zoccoli, pantofole e sciarpe di canapa bianco-avorio. Sul continente, ossia dal casertano e napoletano fino all’Emilia Romagna la filatura domestica consisteva nella formazione di fili continui derivanti dallo stiramento e dalla torcitura delle fibre. La data tradizionale per l’inizio della filatura era il giorno di Santa Caterina, il 25 novembre. Così le donne dei contadini nei mesi invernali, il più delle volte nelle stalle,

filavano il gargiolo e la stoppa per i bisogni della famiglia. Piccole quantità di filato di stoppa potevano essere venduti sui mercati locali per la produzione di tele da sacchi e da imballaggi. Per secoli nelle campagne bolognesi si filava la canapa con la rocca e con il fuso. La rocca incappucciata dalle filatrici con una certa quantità di fibra, era trattenuta da un nastro all’altezza della spalla e infilata nella cintura in modo da lasciare le mani libere per tirare e torcere le fibre. Con una mano le filatrici tiravano il filo dalla rocca, con l’altra, facendo ruotare il fuso tra il pollice e l’indice, provocavano la torsione e l’avvolgimento del filo. Il fuso a ruota azionato a mano e il filatoio a pedale modificava solo in parte e molto lentamente i procedimenti di filatura. Nel bolognese il filatoio a pedale si diffuse a partire dal XVIII secolo. Ma fino alla prima guerra mondiale restò dominante nelle campagne la filatura con la rocca e il fuso. Dalle filatrici domestiche isolane del Testaccio, Fontana, Panza e Ischia Ponte alla produzione di oggi


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La Storia siamo Noi

27 febbraio 2016

kaire@chiesaischia.it

La fiaba delle tre filatrici Il valore della solidarietà e dell’aiuto reciproco.

Di Michele Lubrano L'ultima filatrice ischitana scomparsa nel 1983 signora Maria Lauro di Testaccio a Barano d'Ischia

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Una storica foto del mitico Gaetano Di Scala del 1953 la filatrice di Ischia Ponte signora Di Massa con la conocchia

su scala commerciale per un mercato sofisticato quale quello diventato tale nella nostra isola. La dimostrazione viene dall’Azienda De Vivo con attività a Ischia e a Lacco Ameno con i suoi prodotti di canapa e di lino che ricordano il lavoro antico delle storiche donne ischitane. Così parla i De Vivo: “Da oltre 50 anni la tessitura De Vivo produce oggetti pregiati, capi di lino e canapa e propone oggi con lo stesso amore e la stessa passione la sua attività. Il lino naturale “DeVivo” accompagna con freschezza ed eleganza ogni momento della giornata. Ed è testimone di valori immutati nel tempo, conferendo alla biancheria da letto, oltre alla ricercatezza sensazioni uniche di freschezza e comfort dovute alla sue proprietà termoregolatrici (caldo in inverno e fresco in estate). De Vivo propone inoltre splendidi asciugamani tradizionali in lino e canapa che rievocano sogni d’altri tempi che parlano di impalpabili corredi di fibre nobili. Non possono mancare i tendaggi più esclusivi tessuti a mano sul telaio. De Vivo veste

le vostre case con biancheria preziosa, esclusiva e, quel che più conta, frutto di una lunga e nobile tradizione artigiana che si tramanda di padre in figlio. Ma la sintesi perfetta si concretizza nei tessuti da arredamento e nella biancheria da letto, da bagno e da cucina”. Un impalpabile connubio che da oltre mezzo secolo si celebra nell’azienda “De Vivo Tessile Ricami” di Lacco Ameno. Qui il cavaliere Salvatore De Vivo e i suoi figli selezionano le migliori fibre e con esse realizzano capi unici per comfort ed eleganza, che le vere amanti del bien vivre non possono farsi mancare: delicati tendaggi confezionati a mano sul telaio, preziose lenzuola e asciugamani, fini tovaglie e frivoli pigiami. Capi di altri tempi eppur mai obsoleti, ricercati e richiesti in tutto il mondo, dove i De Vivo esportano il loro marchio di fabbrica, le loro trame esclusive per qualità e manifattura, che, da oltre cinquant’anni, vengono confezionate con amore e passione immutati per una clientela sempre esigente, che annovera tanti vip.

ulle filatrici di canapa ci sono rispettivamente: la fiaba dei fratelli Grimm, un famoso quadro di Diego Velàsquez realizzato nel 1657 e conservato nel museo del Prado di Madrid, in Spagna, e alcune popolari filastrocche e addirittura opere teatrali. La fiaba dei fratelli Grimm ha attirato più di altro la nostra attenzione. Riportarla per intero ci avrebbe sottratto molto spazio che purtroppo non abbiamo. Allora abbiamo pensato di parlarne e a tratti commentarla. Nella fiaba si racconta la storia di una ragazza molto pigra, che non ne vuole sapere di filare all’arco, ma, incontrando per “caso” tre vecchie filatrici, riesce persino a sposare un principe e ovviamente le invita al suo matrimonio. La fiaba è stata scritta dai famosi Fratelli Grimm, in Germania, tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800. Apparentemente sembra un inno alla pigrizia: la ragazza non fa niente, ma viene sostituita dalle tre filatrici e riesce pure a fare bella figura! Pedagogisti e commentatori si sono scatenati nel comprendere questa favola, che evidentemente non è un’esaltazione del dolce far niente, ma molto probabilmente un modo diverso per spiegare il valore della solidarietà e dell’aiuto reciproco. Tra Settecento e Ottocento il mestiere di filatrice era uno dei più comuni, almeno nei Paesi europei, soprattutto tra le giovani. Ma in realtà ha origini antichissime: tutte le civiltà antiche (egiziana, greca, romana, perfino cinese) hanno esempi, in testi o dipinti, di donne che filano. In Italia quasi tutte le donne fino agli inizio del 1900 sapevano filare la canapa, la lana o la seta. Negli anni più recenti la filatura venne fatta con macchine a pedale e il fuso venne quindi sostituito dalla spola. Si filava tutto l’anno, ma soprattutto durante le serate invernali trascorse al tepore delle stalle. Tra le filatrici non mancavano certo donne più pigre, come testimonia una filastrocca popolare calabrese: dal titolo espressivo “La filatrice scansafatiche”: La fiaba insegna a non aspettare a fare il proprio dovere, perchè ci si può cacciare nei guai. Oltre a combattere la pigrizia, però, insegna anche che non c’è da vergognarsi a cercare aiuto e, quando lo si trova, bisogna essere riconoscenti. Inoltre anche per una “buona a nulla” come la filatrice pigra ci può essere un destino buono dietro l’angolo… C’era una volta una ragazza pigra che non voleva filare; la madre poteva dire qualunque cosa, ma non riusciva a persuaderla. Un giorno la madre andò in collera e le scappò la pazienza, cosicché‚ la picchiò, ed ella incominciò a piangere forte. In quel momento passava di lì la regina, e quando sentì piangere fece fermare la carrozza, entrò in casa e domandò alla madre perché picchiasse sua figlia, dato che si sentivano le grida da fuori. Allora la donna si vergognò di dover rivelare la pigrizia di sua figlia e disse: “Non posso staccarla dal filatoio, vuole sempre e soltanto filare e io sono povera e non posso procurarle il lino”. - “Ah,” rispose la regina, “non c’è cosa che mi faccia più piacere del sentir filare e nulla mi rallegra di più del ronzio delle ruote: datemi vostra figlia, la porterò al castello; ho lino a sufficienza perché‚ fili quanto ne ha voglia.” La madre acconsentì di cuore e la regina si prese la ragazza. La fiaba prosegue e finisce così: Quando la festa incominciò, le tre zitelle entrarono stranamente abbigliate, e la sposa disse: “Siate le benvenute, care cugine.” - “Ah,” disse lo sposo, “che cosa ti lega a queste donne così brutte?” E andò da quella con il gran piedone e chiese: “Come mai avete un piede così largo?” - “A furia di calcare,” rispose quella. Allora lo sposo andò dalla seconda e disse: “Come mai avete quel labbro così cascante?” “A furia di leccare,” rispose. Allora domandò alla terza: “Come mai avete il pollice così largo?” - “A furia di torcere il filo,” rispose. Allora il principe inorridì e disse: “D’ora in poi la mia bella sposa non dovrà più toccare un filatoio!” E così la liberò da quell’impiccio.


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Seguiamo Francesco 27 febbraio 2016

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L’UFFICIO “SMISTAMENTO” DI FRANCESCO

«Caro Papa, ti scrivo...». E loro leggono Di Alberto Bobbio

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sacchi arrivano su al mattino presto, terza loggia del Palazzo apostolico, uffici della Segreteria di Stato. Ci sono una porta e una scala che scende l’ammezzato, piano intermedio. Erano uffici sonnacchiosi, queste stanze dove ogni giorno si apre la posta indirizzata al Papa. Ma solo fino all’elezione di Jorge Mario Bergoglio, fino a quando il mondo intero ha scoperto la straordinaria empatia di papa Francesco, cioè la sua capacità di comprendere lo stato d’animo degli altri, che si tratti di gioia o di dolore, di immedesimarsi in esso, quasi che il Papa sentisse dentro di sé le emozioni di ogni persona. Così l’ufficio postale di papa Francesco si è ingolfato a dismisura, prima ha raddoppiato e poi ancora di più, fino a che adesso le lettere che arrivano sono dieci o addirittura 15 volte superiori al passato. Al Papa scrivono tutti. Ma non solo chiedono, anzi spesso danno consigli su come guidare la barca di Pietro. E lui vuole che a tutti si risponda. Ma gestire un migliaio di lettere alla settimana, in tutte le lingue, anche se lo spagnolo sta al primo posto e l’italiano al secondo,

Preti, suore ma anche mamme. Aprono la corrispondenza, la dividono e rispondono alle lettere, una per una. Perché lui ha voluto così: «Lo si fa con tutti, è vero?»

scritte quasi sempre a mano con evidenti difficoltà di lettura, da gente diversissima, dai bambini ai nonni, dalle mamme in attesa ai detenuti di tutte le carceri del mondo, è un’impresa ardua e complessa, oltre che delicatissima.

Eppure sono queste stanze il “front office” della Chiesa di Francesco, “l’ufficio davanti”, il più importante per lui tra tutti quelli della Curia romana. Lui ha fatto la rivoluzione quando un giorno, poco dopo essere stato eletto, uno dei dirigenti dell’Uf-

ficio corrispondenza ha visto aprirsi una porta e ha notato una mano e una manica bianca che si affacciavano sull’uscio. Il rinnovamento è passato per lo scompiglio sintattico. Non più Sommo Pontefice, ma papa Francesco, basta con la terminolo-


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Seguiamo Francesco

27 febbraio 2016

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gia barocca e altisonante sul Santo Padre che ringrazia e benedice. Bergoglio è diventato l’amico di penna. Al mattino si aprono le lettere che vengono divise per lingua e poi per argomento e poi per categoria degli scriventi. Sono i bambini che scrivono di più e mandano disegni, collage, pupazzi di pezza. C’è una squadra di mamme che si occupa delle lettere, ci sono suore e sacerdoti, volontariato al servizio della penna del Papa, perché lui da solo non ce la farebbe. C’è uno staff che ragiona su quelle più difficili, sui consigli da dare, sulle persone da mettere in moto nelle diocesi e nelle parrocchie dalle quali provengono, perché Bergoglio ha vo luto così. Un giorno si è presentato per rassicurarsi: «Si risponde a tutti, è vero?». E ogni settimana qualche lettera finisce sulla sua scrivania a Santa Marta. Sono quelle più intime, quelle alle quali il Papa risponde personalmente. A volte decide di telefonare a chi gli scrive, oppure rimanda indietro con indicazioni precise. La gente scrive al Papa perché si fida di lui, e anche perché non si fida degli altri. Racconta il proprio dramma di indigenza, lavoro perso, affitto da pagare, figli da crescere. Dal Vaticano contattano parroci e Caritas e la gente capisce la cifra dell’empatia del Papa. Gli scrivono perché è simpatico e dalla risposta si capisce che c’è qualcosa che ha a che fare con

la condivisione della vita di ognuno. Le lettere dei bambini sono una miniera di affetto. Alessandra Buzzetti, giornalista del Tg5, ne ha raccolte alcune nel libro Letterine a Papa Francesco (Gallucci Editore). Mancano le risposte, ma padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, rimedierà quando in primavera verrà pubblicato negli Stati Uniti un libro che contiene le risposte autografe del Papa ai suoi amici di penna. Passare una mattina nelle stanze del “front office” di Bergoglio è come affacciarsi sulla vita intima, affidata alla carta, a matite, a francobolli, strumenti desueti, praticamente dismessi. I bambini sono incredibili. Lo invitano a fare merenda con pane e Nutella, ad andare a trovarli in parrocchia, a fermarsi a casa loro: «Potresti dormire nella casa del parroco se ti va, altrimenti c’è posto a casa mia». Nel libro la più bella è la lettera di una bimba che racconta del catechismo: «Facciamo le Messe spesso e tu saresti perfetto come sacerdote». Ci sono il dolore che commuove fino alle lacrime e l’allegria che spinge alla risata. Un bambino lo consiglia di vestirsi come san Francesco e per essere più chiaro gli manda un pupazzo con il saio e la croce di legno. Nulla viene perso, tutto viene archiviato, compresi i biglietti che la gente getta nella papamobile. Se c’è un indirizzo arriverà una risposta.

Francesco in un libro per bambini: voi siete la mia speranza! Un libro originale, semplice e straordinario al tempo stesso. Dal 25 febbraio nelle librerie italiane, “L’amore prima del mondo. Papa Francesco scrive ai bambini”. Il libro offre al lettore un dialogo da cuore a cuore tra il Papa e i bambini di tutto il mondo, che si rivolgono a Francesco come a un padre confidandogli problemi e speranze.

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oma - «È bello rispondere alle domande dei bambini, ma li dovrei avere qui con me, tutti! Lo so che sarebbe bellissimo. Ma so anche che questo libro di risposte andrà in mano a tanti bambini in tutto il mondo che parlano lingue differenti. E di questo sono felice». Il 25 febbraio è uscito un libro eccezionale: L’amore prima del mondo. Papa Francesco scrive ai bambini (pubblicato da Rizzoli). Il libro è speciale per due motivi. Il primo è che l’autore è papa Francesco. Il secondo è che il libro è composto dalle risposte che il Pontefice ha dato a una trentina di lettere, spesso accompagnate da disegni, che gli sono state inviate da bambini di ogni angolo del mondo. «Ma sono difficili queste domande!», esclama Bergoglio, quando Antonio Spadaro, direttore di La Civiltà Cattolica, curatore del volume, gliele presenta. In effetti la spontaneità e l’innocenza dei bambini colpiscono per il modo diretto e preciso con cui toccano le grandi questioni della vita, come pure per l’attenzione ai “particolari” solo in apparenza meno significativi. «Che cosa faceva Dio prima di creare il mondo?»; «Come ha camminato sull’acqua Gesù?»... e così via!!! Ma Francesco sa togliersi d’impaccio con una delle sue armi preferite, fornendoci un’indimenticabile lezione di catechismo: la semplicità. Perché è Dio a essere semplice. La tenerezza è semplice. L’amore è semplice. Siamo noi, a volte, a rendere complicati Dio e insieme la nostra vita.


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In Diocesi 27 febbraio 2016

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Relazioni socio affettive e sessuali Di Giuseppe Galano

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l percorso di formazione sta riscontrando un enorme successo tra genitori, insegnanti e ragazzi, desiderosi di approfondire tematiche estremamente importanti ed attuali. Il tema (vedi titolo articolo) è stato particolarmente interessante in quanto sono stati analizzati aspetti fondamentali alla base delle relazioni di coppie. Il relatore ha posto l’accento su un aspetto peculiare: per vivere relazioni mature occorre che i partner siano maturi. E’ fondamentale educare le persone e non semplicemente fornire contenuti. L’amore immaturo dice: amo perché sono amato, ti amo perché ho bisogno di te. L’amore maturo dice: sono amato perché amo, ho bisogno di te perché ti amo. Oggi molti desiderano essere amati dando per scontato di saper amare. L’amore maturo ama sempre per primo, il bisogno dell’altro nasce perché si ama. Bellantoni parla di Analfabetismo e Competenze emozionali affermando come le persone non sappiano riconoscere e gestire le proprie emozioni. Parlando di amore e sessualità è possibile inquadrarle secondo una visione tridimensionale della persona umana. L’amore a livello biologico è ricondotto all’attrazione sessuale. L’amore a livello psicologico è legato all’eros. Entrambi questi livelli non conducono la coppia alla felicità. Il livello spirituale è l’amore vero e proprio, è ciò che fa amare il partner in maniera piena. Il relatore sottolinea come spesso e volentieri le persone vadano incontro alla prestazione sessuale limitandosi all’amore inteso in senso biologico. Altra distinzione che Bellantoni propone alla platea è quella tra amore visto in senso procreativo/unitivo e sesso inteso in senso ricreativo. Quest’ultimo va inquadrato come ricerca di piacere fine a se stesso e quindi si parla di esperienza sessuale vissuta senza alcuna implicazione relazionale. Il significato dell’amore e della sessualità va collocato all’interno del senso di vita della persona. Se il senso della vita è dato da relazioni autentiche la sessualità assumerà significato proprio alla luce di questo orientamento. Altro aspetto da considerare è la coerenza. Le coppie che stanno bene insieme vivono la loro vita all’insegna della coerenza verso una direzione condivisa per cui agire, pensare e sentire vanno nella stessa direzione.

Giovedì 18 febbraio presso il Centro Polifunzionale ad Ischia si è svolto il quinto appuntamento con il prof. Domenico Bellantoni nell’ambito del Progetto Formativo sull’Affettività e Sessualità per una Educazione Libera e Responsabile

“Il livello spirituale è l’amore vero e proprio, è ciò che fa amare il partner in maniera piena” Il relatore ha successivamente proposto due modelli: schema ABC e schema GAB. Il primo considera A una data situazione e C la risposta alla stessa. Secondo questo modello ognuno è convinto che la propria reazione alla situazione particolare sia quella giusta; questo potrebbe scatenare contrasti nella coppia. Occorre saper accettare i differenti punti di vista. Perché sono diverse le reazioni alla stessa situazione? Le

nostre reazioni di fronte ad una data situazione dipendono dalla nostra interpretazione (B) che può essere dovuta a vari aspetti tra cui storia di vita, contesto familiare, predisposizione genetica ed altro. Nella coppia bisognerebbe chiedersi cosa impedisce di andare incontro al partner. Le persone sono diverse, hanno esperienze differenti ma occorre chiedersi sempre quale sia il valore in gioco ed avere la capacità di con-

vogliare verso un binario comune. Lo schema GAB considera i tre stati dell’Io: genitore, adulto e bambino. L’Io Bambino si forma a partire dall’infanzia, esprime le emozioni, la spontaneità, la creatività, la parte ribelle ed intuitiva. Nel bambino vi sono 4 aspetti: Bambino Libero, esprime liberamente le proprie emozioni; Bambino Ribelle, trasgressivo, contrario a norme e regole; Bambino Adattato, vuole piacere agli altri a tutti i costi e Piccolo Professore, capace di trovare soluzioni e manipolare gli altri. L’Io Genitore si forma a partire dall’infanzia e rappresenta le dimensioni in cui si ripongono stili di pensiero ed emozioni tipiche di chi rappresentavano autorità quando si era bambini, ossia genitori ed insegnanti. Distinguiamo tra Genitori Normativi, autoritari con limitata espressività e creatività individuale e Genitori Affettivi, protettivi che tendono ad aiutare e consolare, insegnare e non imporre. L’Io Adulto è razionale, logico, capace di prendere decisioni, di tenere conto anche delle emozioni del bambino e delle regole da rispettare. Chi esclude l’Io Genitore tende a non rispettare le regole. Chi esclude l’Io Adulto non vede la realtà in maniera obiettiva e chi esclude l’Io Bambino è freddo e razionale. Al termine del suo intervento il relatore ha dato spazio a domande e riflessioni. Genitori, insegnati e catechisti hanno posto una serie di quesiti molto interessanti. Nel corso dei vari interventi sono stati offerti spunti di riflessione e sono state ulteriormente approfondite le tematiche trattate nel corso dell’incontro.


Società

27 febbraio 2016

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Dalla Redazione

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iascuno ha il suo talento. Il nostro compito deve essere quello di individuarlo e indirizzarlo nel miglior modo possibile. I giovani non devono rinunciare alle proprie ambizioni, né al confronto con nuovi mondi, sempre più vicini nell’era della globalizzazione. Nell’avvicinare gli studenti al mondo del lavoro, e alle opportunità che offre, dobbiamo fare in modo che ciascun talento trovi le condizioni ideali per realizzarsi”. Mario Sironi è il dirigente scolastico dell’istituto alberghiero “Telese” di Ischia, tra i partner del progetto “YEP!” (Youth Empowerment Program), che vede protagonista l’associazione di volontariato “Gabbiani Onlus” e che rientra tra le iniziative finanziate dal Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel settore “Giovani per il Sociale”. L’istituto, che forma professionalità spendibili in tutta la filiera turistica e che ha di recente aperto nuovi indirizzi (come l’indirizzo professionale Servizi per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale, più gergalmente Agrario), si caratterizza per una ottima percentuale di occupabilità post diploma. “Ma è opportuno che i gio-

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“Yep!”, Il Telese raccoglie la sfida “I giovani assecondino il loro talento”. vani neodiplomati coltivino sogni e ambizioni, svincolandosi dalle logiche del lavoro stagionale sotto casa, tanto più di quello al nero”, spiega Sironi. “E’ anche per questo – aggiunge – che sarebbe opportuno che il sistema-Ischia viaggi alla stessa velocità con la quale viaggia il mondo, che cambia in continuazione. E che ne intercetti le tendenze, in particolare nel mondo dell’accoglienza, della ricettività, della ristorazione. La scuola, e il nostro istituto in particolare, si sforza di individuare le linee strategie del prossimo futuro, le strade lavorative che offrono più opportunità. Ma l’interlocuzione con politica e impresa resta fondamentale». «In questa ottica, il nostro progetto – spiega Lucia Esposito, sociologa e coach, project manager di “YEP!” – si propone proprio di creare il network ideale sul territorio per agevolare i processi decisionali degli studenti nell’approccio al mondo del lavoro e dell’università. Progettare il futuro senza ansie, ma con piena consapevolezza di sé. Per valorizzare i talenti ai

quali faceva riferimento Sironi». Nei 18 mesi della durata del progetto, che coinvolge anche gli altri istituti dell’isola d’Ischia, una popolazione di circa duemila unità sarà seguita e affiancata con percorsi di coaching studiati a supporto dei processi decisionali, con seminari specifici rivolti anche alle famiglie. Un progetto che intercetta un’esigenza diffusa, partendo dal basso e dalla spinta del terzo settore. Perché la sfida di realizzare il lavoro dignitoso per tutti sull’isola – si legge infatti nella mission di “YEP!” – coinvolge soprattutto i giovani, che nell’ultimo decennio, affacciandosi al mondo del lavoro, hanno trovato una realtà profondamente deteriorata. «Creare l’humus ideale perché i talenti riescano a realizzarsi, anche grazie a idee creative e a strumenti in grado di favorire l’imprenditorialità, scongiurando il rischio che la pigrizia si impossessi dei nostri giovani, è – conclude Lucia Esposito – una sfida complessa ma affascinante, alla quale è in larga parte dedicata la mission di Yep!».

Aspettando andar per sentieri Ricomincia la campagna di pulizia dei sentieri in attesa dell’evento di fine Aprile C.S. - Il 27 febbraio parte nuovamente la campagna di pulizia dei sentieri che accompagnerà i fine settimana isolani fino ad arrivare alla manifestazione di fine aprile “Andar per sentieri”, sulla scia dell’esperienza positiva dello scorso anno che ha visto in questo evento la numerosa presenza di volontari che hanno deciso di rimboccarsi le maniche e darsi da fare per il Bene Comune. Si inizia da sabato 27 febbraio con la pulizia promossa dall’associazione “Amici del Maio”, della zona del Cretaio e del Bosco della Maddalena.


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Ecclesia 27 febbraio 2016

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Pietrelcina, pupilla dei miei occhi Con queste parole Padre Pio si espresse in vita circa il suo paese natale, un piccolo borgo del Sannio, lontano circa dieci chilometri da Benevento che dall’11 al 14 febbraio ha ospitato le spoglie del suo santo figlio. Un gruppo di ischitani ha partecipato all’evento

Di Alfonso e Marisa Filisdeo

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ietrelcina è un paese ospitale, tranquillo, laborioso, dove si percepisce la spiritualità legata alla storia del grande uomo a cui ha dato i natali. La presenza del Convento dei frati Minori Cappuccini, la cui costruzione fu fortemente voluta da Padre Pio, è punto di riferimento di migliaia di pellegrini che continuamente affluiscono in questa terra benedetta. Le reliquie del Santo provenivano da Roma, dove Papa Francesco le aveva fortemente volute, assieme a quelle di San Leopoldo Mandic, per mostrare al mondo «un segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in cerca del suo perdono». Giovedì 11 febbraio le reliquie del Santo sono giunte nella località di Piana Romana, dove i Forgione avevano dei terreni dalla cui coltivazione ricavavano il necessario per vivere e dove, nella chiesetta di San Francesco, è ancora visibile ciò che resta del fusto di un olmo, sotto il quale il giovane Francesco, durante la calura estiva, si riparava insieme alle pecore che portava al pascolo: fu lì che ricevette per la prima volta le Stigmate l’8 settembre 1911. Dopo una breve liturgia l’urna è stata portata prima nella Chiesa della Madonna della Libera, di cui il Padre era molto devoto, e dopo la celebrazione eucaristica, una lunga processione ha scortato le reliquie verso la chiesa conventuale della Sacra Famiglia. Il paese si è riempito nel giro di poche ore di migliaia di pellegrini giunti non solo dai paesi vicini ma anche da altre regioni del Sud Italia, per poter toccare con le mani o con fazzoletti l’urna in cui il serafico padre ripo-

sa, rivolgergli un sorriso, una breve preghiera, un “grazie” per qualche grazia ricevuta. Una lunga e suggestiva veglia notturna di preghiere ha ceduto il passo all’alba che ha visto la fila dei pellegrini allungarsi ulteriormente lungo i percorsi disciplinati dalle forze dell’ordine e dai volontari, arrivando addirittura alla lunghezza di ben sette chilometri. Si può ben dire che non c’è più stata differenza tra il giorno e la notte; da giovedì 11 a domenica 14 è stata una lunga, commovente, suggestiva maratona di preghiere, veglie, celebrazioni eucaristiche condotte dai frati, dal Vescovo di Napoli S.E. Sepe, dal Cardinale Angelo Comastri, Vicario Generale del Papa per la Città del Vaticano, il quale ha composto per l’occasione una bellissima preghiera a San Pio; le loro omelie hanno sottolineato l’instancabile lavoro svolto dal Santo per sottrarre le anime al peccato, riavvicinando a Dio coloro che lo avevano rinnegato e offrendo il perdono e la misericordia che cambiava in breve tempo le loro vite. I giorni trascorsi a Pietrelcina sono stati di incredibile spiritualità: in tanti abbiamo chiesto grazie per l’anima ed il corpo al Frate che ha fatto della Misericordia il suo mestiere; a qualunque ora è stato possibile ricevere il perdono e ricevere l’Eucaristia che riempie l’anima. E’ difficile descrivere le sensazioni provate nel constatare come sia grande il desiderio di affidarsi a Dio, di invocare Cristo attraverso colui che lo ha imitato in vita, portando i segni del suo martirio. Per tre giorni ci è sembrato di vivere in un luogo non lontano dal paradiso. Siamo tornati con i piedi sulla terra solo quando, alle otto e mezzo di domenica 14 febbraio l’auto scortata dalle forze dell’ordine ha portato via Padre Pio verso Benevento; se n’è andato salutato con applausi, sventolii di fazzoletti e lacrime di commozione di tutti i concittadini, e di noi fedeli venuti da ogni parte. “Tutta la vita di padre Pio è stata un inno alla misericordia, un modo di vivere concretamente la misericordia”- ha commentato Padre Marciano Morra, dell’ OFM Cappuccini e Segretario Generale Emerito dei Gruppi di Preghiera di padre Pio - anche con il martirio della propria vita”. Ricordando le parole di Papa Francesco secondo le quali “E’ grande la misericordia di Dio, è grande la misericordia di Gesù. Perdonarci, carezzandoci!”, con lui ringraziamo San Pio per tutte le “carezze” che ha dato nella sua vita, e per guidare ancora tutti noi a fare altrettanto verso tutti i nostri fratelli.


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Liturgia

27 febbraio 2016

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La condanna a morte

Commento al Vangelo

Domenica 28 febbraio 2016 III domenica di Quaresima

Oggi come allora Di Don Cristian Solmonese

Di Ordine francescano secolare di Forio

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opo l’Angelus del 21 febbraio scorso papa Francesco ha voluto sostenere l’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio contro la pena di morte: «Il comandamento non uccidere ha valore assoluto e riguarda innocenti e colpevoli. I giubileo promuove forme di rispetto della vita e della dignità: anche il criminale mantiene inviolabile il diritto alla vita». In questo periodo di quaresima noi cristiani cerchiamo di avere gli stessi sentimenti di Cristo che vive la Sua passione, dal tradimento di Giuda e Pietro alla morte in croce, la morte di un innocente, una condanna a morte che lascia l’amaro in bocca e tanta tristezza agli spettatori di ogni tempo. Ancora oggi assistiamo ogni giorno, tramite i mezzi di comunicazione, a molteplici condanne a morte nel mondo “civile” e in quello “primitivo”, a volte precedute da infami torture, o dopo un lungo periodo di attesa nel braccio della morte. Eppure dal “Nessuno tocchi Caino”, l’ammonimento che Dio diede ai primi uomini dopo l’uccisione di Abele da parte del fratello, ancora oggi l’uomo si mette al posto di Dio, unico Supremo Giudice, per giustiziare coloro che vengono ritenuti degni di morte, motivi a volte assurdi e banali. Le prime comunità cristiane furono rese feconde col sangue innocente dei loro martiri, su imitazione di Cristo, oggi il martirio cristiano si perpetua in modo drammatico più di ieri. Anche al tempo

di san Francesco d’Assisi la condanna a morte era una pratica usuale, alcuni desideravano andare in terra straniera per evangelizzare trovando spesso morte certa. Alcuni dei primi frati francescani, mossi dall’ardore di salvare le anime, andarono presso i mussulmani, venendo giustiziati per la loro fede. Lo stesso san Francesco e sant’Antonio da Padova cercarono il martirio ma Dio aveva disposto diversamente per loro. Un giorno fra Eletto, uno dei frati molto amato dal santo, fu giustiziato dai saraceni tenendo in mano la Regola francescana: “non scordò questo santo esempio e questi dettami del beatissimo padre, un fratello laico, che crediamo indubbiamente assunto nel coro dei martiri, e andò tra gli infedeli per brama di martirio. Mentre i Saraceni lo portavano alla pena capitale, egli, tenendo con grande fervore la Regola tra le mani e piegando umilmente le ginocchia, disse al compagno: «mi confesso colpevole, fratello carissimo, di tutte le cose che ho commesso contro questa Regola, davanti agli occhi della divina Maestà e dinanzi a te». Appena terminata questa breve confessione, gli fu vibrato un colpo di scimitarra, ed egli finì questa vita ottenendo la corona del martirio. Era entrato nell’Ordine da giovanetto cosicché appena riusciva a sopportare i digiuni della Regola, e pur tanto fanciullo, portava sulle carni uno strumento di mortificazione. Beato ragazzo, che cominciò felicemente e più felicemente finì!” (FF 1772). Preghiamo perché al più presto venga abolita la pena di morte in ogni angolo di questa terra.

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arissimi amici, il vangelo di questa domenica si presenta in maniera enigmatico ma profondo. Esso è composto da due parti: la prima che contiene le raccomandazioni di Gesù a coloro che prendono sotto gamba la conversione e la seconda che racchiude la parabola o similitudine del fico. Centro del testo è il giudizio di Dio che con la venuta di Gesù è iniziato sulla terra. Per la Scrittura il giudizio di Dio, non è solo quello finale che riguarda tutte le cose, ma anche quello in corso, intermedio; il giudizio di Dio riguarda anche le guerre, gli sconvolgimenti, le lotte che ci sono, ciò che divide e distrugge l’uomo. «Se non cambierete» dice Gesù «camminate inesorabilmente verso la rovina». È un imperativo imminente a non sottovalutare la conversione, che non avviene in un attimo, legata ad un’emozione, ma essa è un cammino che dura tutta la vita; è un lavoro artigianale che partendo dal cuore, coinvolge tutto me stesso e il mondo che ci circonda. Questo imperativo di Gesù viene ribadito nella parabola del fico sterile, il cui scopo in questo contesto, è di precisare la minaccia del giudizio imminente e il conseguente invito al cambiamento. È come se Gesù volesse metterci in guardia da due possibili equivoci. C’è chi pensa: «Ormai è troppo tardi, la pazienza di Dio si è esaurita» oppure, al contrario, chi dice: «Dio è paziente, c’è sempre tempo». La giusta posizione è un’altra: Dio è paziente, ma la sua pazienza non si può programmare, la minaccia rimane incombente, ma le possibilità della salvezza sono ancora aperte. Come lascia intendere l’intercessione del vignaiolo: «Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime» (v.8). Urgenza e pazienza, minaccia ed incoraggiamento non si contraddicono. Nessun rimando è lecito, ma neppure è consentito rassegnarsi o disperarsi. Il fico sterile rappresenta il popolo di Dio, e non è un’immagine nuova, si trova infatti nel libro del profeta geremia: «Non c’è più uva sulla vite , né fichi sul fico» (8,13). I Giudei del tempo di Gesù leggevano il passo profetico, e altri analoghi, applicandolo al popolo del passato. È il solito metodo, il più facile per rendere insignificante la parola di Dio. Gesù invece lo applica al popolo di adesso, e la comunità cristiana, se vuole essere fedele al suo metodo, lo deve applicare a se stessa. La parabola è stata raccontata per l’oggi. Buona domenica!

13 marzo ore 21:00 Lucignolo La Brasserie - Forio



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Teatro

27 febbraio 2016

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Divertirsi a teatro In scena la scorsa settimana al polifunzionale ad Ischia “A cas d’e pazz – pe

ABBONAMENTO POSTALE

na collana e nu profumo” presentata dalla compagnia “Giannino Messina Di Gina Menegazzi

S

i va a teatro per divertirsi, questo è indubbio. Ed è bello poterci andare con tutta la famiglia, magari ad applaudire un parente o un amico, e all’uscita portarsi via il sapore di un testo gradevole e di risate schiette, e forse ripetersi qualche battuta che ci è piaciuta, che possiamo fare nostra. Ma mi chiedo come possa essersi divertito il pubblico che sabato 20 e domenica 21 febbraio ha assistito a “A cas d’e pazz – pe na collana e nu profumo” presentata dalla compagnia “Giannino Messina”. E’ una compagnia che potrebbe essere dignitosa, grazie ad alcuni elementi che se la cavano bene sul palco, ma che invece in uno stato di perenne movimento e con una recitazione spesso gridata, è riuscita comunque a far addormentare parecchie persone, soprattutto nel secondo tempo, troppo lungo, monotono, confuso. Quello che mi ha colpito di più è non solo il totale vuoto di un testo che cercava di riempire con troppe parole un’enorme superficialità, ma soprattutto la completa amoralità della vicenda. Mi chiedo quanti si siano soffermati a vedere che cosa c’è dietro questa perenne questione di corna fatte con la massima leggerezza (“tanto io amo mia moglie”) a pochi giorni da un matrimonio tanto voluto, dietro l’origliare sfacciato delle vicine, o dietro la rapina al furgone portavalori, compiuta per procurarsi i soldi che servono a fare il regalo all’amante.

Mi chiedo se quegli stessi discorsi fossero fatti in casa, alla presenza di quegli stessi bambini che erano numerosi a teatro, quanti genitori, quante donne (e, spero, quanti uomini) si sarebbero inalberati, sostenendo che non è così che ci si deve comportare, che bisogna portare rispetto agli altri, che bisogna essere consapevoli delle conseguenze dei propri gesti…

Era solo una commedia, per farsi quattro risate? Attenzione, perché le cose che si apprendono divertendosi sono quelle che si fissano di più nella mente, e che risultano poi giuste e ovvie… E se invece divertimento non c’è stato, mi chiedo allora perché si propongono e si vanno a vedere simili testi. Claudio Cervera

CONVENTO S. ANTONIO FRATI MINORI ORDINE FRANCESCANO SECOLARE

PELLEGRINAGGIO COLLEVALENZA - ASSISI - LA VERNA GRECCIO - FONTECOLOMBO

14 - 17 APRILE PROGRAMMA 14 APRILE: PARTENZA DA CASAMICCIOLA PER COLLEVALENZA: VISITA – S. MESSA - PRANZO PARTENZA PER ASSISI - SISTEMAZIONE IN ALBERGO ( Hotel Antonelli) - VISITA E VESPRI AL SANTUARIO S. DAMIANO CENA E PERNOTTAMENTO 15 APRILE: PARTENZA PER IL MONTE DELLA VERNA ( luogo delle Stimmate di S. Francesco ) - VISITA - S. MESSA – PRANZO - PROCESSIONE CAPPELLA STIMMATE - RIENTRO AD ASSISI - CENA E PERNOTTAMENTO 16 APRILE: S. MESSA: S. MARIA DEGLI ANGELI ALLA PORZIUNCOLA - VISITA BASILICA S. CHIARA E S. FRANCESCO - PRANZO - POMERIGGIO: VISITA E PREGHIERA ALL’EREMO CARCERI E GIRO LIBERO PER ASSISI - CENA ROSARIO E FIACCOLATA A S. MARIA DEGLI ANGELI 17 APRILE: PARTENZA DA ASSISI PER GRECCIO, VISITA SANTUARIO, FONTECOLOMBO, VISITA - S. MESSA E PRANZO. POMERIGGIO PARTENZA PER NAPOLI QUOTA DI PARTECIPAZIONE 350,00 € Supplemento singola 20,00 € PER INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI RIVOLGERSI: fr. Mario LAURO P. MARIO LAURO: 081.99.11.70 guardiano NICOTRA EDUARDO: 081.98.35.13/ 333.86.47.628

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