Kaire 04 Anno III

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Il settimanale di informazione della Chiesa di Ischia ANNO 3 | numero 4 | 23 gennaio 2016 | E 1,00

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TRENTALANGE - BELFIORE: LE VALENZE EDUCATIVE DELLO SPORT Grande successo al 2° appuntamento di "Mettiamoci in gioco - crescere scoprendo lo sport", itinerario della Pastorale Giovanile e Sport di Ischia per scoprire i valori propri dello sport

Di Raffaele Montuori

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on so quali siano le persone moleste a cui ha pensato Padre Pizzaballa, Custode in Terra Santa, durante il suo pacato intervento in Cattedrale alla presenza del Vescovo, del Vicario Generale, di molti parroci e del popolo fedele della Diocesi di Ischia, accorsi ad ascoltarlo. Perché senz’altro la pazienza francescana lo assiste fin da quando nel ‘90 fu mandato in Terra Santa, in quei luoghi che da oltre 600 anni i Vicari di Cristo affidarono all’ordine fondato da San Francesco, il Patrono d’Italia che nel 1219 non aveva esitato a incontrare Malik al Kamil il Sultano d’Egitto, recandosi a Damietta, in quello che può essere considerato uno dei primi incontri interreligiosi della storia della cristianità. Così Padre Pizzaballa ha ricordato di essere in Terra Santa a nome di tutta la Chiesa per testimoniare, con quella presenza, l’amore verso l’uomo in quanto tale, cristiano, ebreo o musulmano, davvero non importa. Ha parlato della vita dei cristiani in Medio Oriente, ma non si è sottratto al tema dell’incontro. Sopportare pazientemente le persone moleste. Sopportare, ossia “portare sulle proprie spalle”. Dall’ebraico. Sperando che il Signore ci sollevi almeno di una parte del peso che ci opprime. Del resto il Suo giogo è lieve e il Suo carico

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GRAZIE FRA PIERBATTISTA La Chiesa Cattedrale strapiena per ascoltare la catechesi giubilare di Padre Pizzaballa. Il frate ci ha donato la sua esperienza in un territorio martoriato da odio e guerre inutili. Un esempio di come essere testimoni di pace e misericordia dove c’è tanta sofferenza.

Andrea di Massa

Toccare con mano la sofferenza del Medio Oriente

RELIQUIE SANTI CONIUGI MARTIN L’esperienza della parrocchia di Lacco Ameno: un insieme di piccole chiese domestiche, per essere chiesa in uscita

SOCIETA Una voce per Antonia: al via il primo concorso musicale dedicato alla memoria della piccola Antonia Spedicati.

KAIRE TERRITORIO

CANONE TV IN BOLLETTA

L’Ailanto: alcune precisazioni dell’agronomo Francesco Mattera per fare chiarezza su questa pianta, alla luce dell’Enciclica Laudato sì’.

Alcune indicazioni sulle novità introdotte con la legge di stabilità 2016. Primo prelievo a luglio.


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IL BILANCIO

Toccare con mano la sofferenza del Medio Oriente

Continua da pag. 1 è leggero. (Mt.11,29-30) Ciò che accade in Terra Santa è diverso dalla Siria e dall’Iraq. Una guerra vergognosa in questi paesi martoriati. Poco a che vedere con l’annosa questione israelo-palestinese. Il Medio Oriente del ‘900 non esiste più. Sono finiti gli Stati nazionali post coloniali. Gli esiti della guerra che si sta combattendo in questi mesi, saranno forse quelli che ci sono stati in Europa dopo la prima grande guerra. L’Europa cambiò volto. Sparirono gli imperi. Ancora non sappiamo cosa accadrà nei prossimi anni in Medio Oriente. È indubbio che la guerra in Siria e Iraq sia anche una guerra tra musulmani sunniti che hanno come faro l’Arabia Saudita e sono politicamente sostenuti da molti paesi occidentali e gli sciiti che guardano all’Iran sostenuti dalla Cina e dalla Russia. Così l’elemento religioso diventa tutt’uno con le ragioni o i torti della politica, della geo-politica, alla quale non sono estranei inconfessabili interessi delle potenze occidentali. Ha ricordato Padre Pizzaballa che l’appartenenza religiosa definisce anche l’identità delle persone in un Medio Oriente in cui è lontana la laicità dei nostri Stati. Non ci si può sposare senza il rito religioso.

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La confessione religiosa designa l’individuo, lo connota fin da quando nasce, anche se non crede a nessun Dio. È evidente che occorra evitare scontri di civiltà ma le decapitazioni ci sono davvero. I fondamentalisti quando prendono il controllo di un territorio eliminano le minoranze. Quali che siano le minoranze. Non si tratta dunque di una guerra anti cristiana. Perseguitano allo stesso modo i Curdi, gli Yazidi. In Siria due terzi di cristiani se ne sono andati. In Iraq oramai, a sentire il Vescovo caldeo, i cristiani sono ridotti a poche centinaia di migliaia quando erano più di un milione prima che scoppiasse la guerra civile. I profughi siriani sono quasi due milioni; gli sfollati, coloro che pur vivendo ancora in Siria sono stati costretti a lasciar le loro case, sono quasi otto milioni. Due terzi dei siriani non vive più dove viveva prima. Il 90% delle centrali elettriche non funziona più. Le scuole sono chiuse da due anni. I trasporti pubblici sono interrotti come buona parte delle comunicazioni. La Siria, come noi l’abbiamo studiata, non esiste più; è un territorio martoriato, governato da fazioni: Al Qaeda, Daesh, le milizie che restano ad Assad. Aleppo, una città

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dove più forte era la presenza dei cristiani, è senza elettricità e senza acqua da mesi. Due milioni di abitanti senza luce e acqua. Un solo accesso. Due ospedali senza medicine e con le attrezzature guaste. Descrive un episodio il Padre Custode. Per dare il senso di ciò che oramai divide una comunità che era un crogiolo di razze e di etnie. Un mese fa. Un violento bombardamento ad Aleppo. Duecento persone morte. Cristiani ma anche tanti musulmani. Ma ciascuno contava solo i suoi. Come se gli altri non fossero morti. Ci sono morti che sono più morti di altri. Ogni parroco contava solo i suoi. L’imam lo stesso. Le relazioni fra le comunità sono saltate. I musulmani si sentono al centro dell’odio del mondo e i cristiani sotto assedio. I musulmani dei villaggi vicini hanno cacciato i cristiani dalle loro case. Eppure i cristiani con il loro senso di misericordia avranno molto da fare alla fine della guerra. Nessuno di loro ha mai abbandonato la fede cristiana, pur in una situazione difficilissima. Il Padre ha parlato di tre villaggi cristiani sotto il controllo di Al Qaeda nel Nord del paese. C’erano parroci cattolici e ortodossi. Ma gli ortodossi sposati e con famiglie se ne sono andati. Sono

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rimasti solo i preti cattolici. Al Qaeda è persino moderata rispetto a Daesh. I cristiani almeno possono usare la terra, non esserne proprietari perché la terra islamica è solo dei fedeli di Allah e di Maometto. L’anno scorso l’emiro proibì ai contadini cristiani di raccogliere le olive. Quest’anno si è ripreso gli ulivi perché ha detto che l’anno scorso, le olive non le avevano raccolte. Si vive così in queste terre dilaniate. Sono vietati tutti i simboli cristiani. I contadini, ai crocifissi e alle statue, hanno fatto un funerale. Li hanno sepolti. Sperando che risorgano. Un giorno. Il vino è proibito. Lo nascondono. Per celebrare la messa. Non ci hanno rinunciato. I parroci che sono rimasti lì sono stati rapiti. Anche più volte. Uno di loro è stato liberato da un imam. Lo ha aiutato a calarsi dalla finestra di una casa abbandonata che era diventata una prigione accanto alla moschea. Ha distratto le guardie mentre il prete fuggiva. Solidarietà fra uomini di Dio. In nome della loro umanità. Resta la domanda di come comportarsi di fronte al male. Eliminarlo dal mondo non si può. E forse non è nemmeno un progetto di Dio. Bisogna combatterlo, il male. Perché se si eliminasse non ci sarebbe più la libertà. Quella di scegliere. Persino il male. Al Qaeda e Daesh per quanto forti, di fronte ai contadini e alla loro fede autentica sono impotenti. Non temono la morte e vogliono la messa. Noi non cambieremo la grande politica del Medio Oriente ma grazie ai ragazzi di Aleppo, ai contadini, a quelli che portano acqua che nascondono il vino pur di celebrare la messa, abbiamo esempi di un cristianesimo vissuto.

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Di fronte alla brutalità di una guerra atroce, ancora molte persone restano umane. Per concludere o forse solo per dare un esempio di ciò che si sopporta, il Padre Custode ha parlato poi di Terra Santa. Di un conflitto quello tra Israeliani e Palestinesi di fronte al quale ci sentiamo impotenti. Forse non si può fare altro che restare lì. Con il rischio però che prima o poi i movimenti fondamentalisti prendano il sopravvento come nel resto del Medio Oriente e questo è motivo di preoccupazione per i luoghi santi. Ora come ora la situazione in Terra Santa è difficile ma non drammatica come in Siria. Preoccupa la mancanza di prospettiva per i cristiani. Dei cristiani palestinesi. Ha concluso con l’immagine di Abramo. Speculare all’Ulisse mitologico. Ulisse dopo aver navigato per il vasto mare aperto e aver conosciuto tante genti, vuole tornare a Itaca. Abramo viene chiamato. Deve lasciare la sua casa. Ma gli è indicata un’altra terra. Lui crede nella promessa. Non sa dove arriverà. Ma sa che è con Dio o meglio che Dio è con lui. Un bell’incontro quello con il Custode di Terra Santa. Che mi ha arricchito. Un incontro di cui essere grati al Vescovo e a chi l’ha organizzato. Andrea Di Massa

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L’INTERVISTA

Pizzaballa: “il dialogo è essenziale per risolvere i conflitti” Intervista di don Carlo Candido *

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una grande responsabilità: significa essere lì a testimoniare, in una realtà così complessa, chi è il Santo. Non basta dire io appartengo al Santo: per testimoniarlo la pazienza, la misericordia, il perdono, valori così difficili da far passare, sono determinanti. Non basta dire noi custodiamo il Calvario, bisogna anche testimoniare ciò che il Calvario rappresenta: il perdono, l’amore, la consegna di sé.” In questi anni hai vissuto fianco a fianco con i fratelli cristiani di altre confessioni (penso agli ortodossi): quali passi, anche piccoli, sono stati fatti verso l’unità dei cristiani? “È cambiato molto: sono Custode da 12 anni, ma presente in Terra Santa da 25 anni. Ho visto un cambiamento costante, nonostante parentesi dolorose di difficoltà, lotte e tensioni profonde. Bisogna tener presente che il Santo Sepolcro non è solo una basilica, è un “condominio”: le discussioni, le relazioni tra noi non sono di carattere teologico ma “condominiale”. Bisogna anche considerare le differenze culturali enormi e le storie differenti che ci sono tra noi, però tutto sommato riusciamo a vivere insieme. In questi ultimi anni sono stati due i momenti fondamentali: il primo, 50 anni fa, l’incontro Paolo VI - Atenagora; il secondo, l’anno scorso, l’incontro Papa Francesco - Patriarca Bartolomeo. Quello di 50 anni fa fu un incontro privato, con le telecamere sì, ma nella residenza del Patriarca sul monte degli Ulivi. L’anno scorso è stato al Santo Sepolcro, nel cuore della Gerusalemme cristiana - che è anche il luogo delle nostre divisioni. E non era un incontro diplomatico, era una liturgia, preparata insieme dalle due chiese: per la prima volta dal 1054 il Patriarca Occidentale e il Patriarca Orientale pregavano insieme al Santo Sepolcro. Questo ci dice come concretamente siano cambiate le cose e che bel cammino abbiano fatto le Chiese. Ancora molto resta da fare, però quando c’è una tensione tra noi ci vergogniamo, mentre prima ne eravamo fieri.” Ci hai raccontato delle partite giocate tra i nostri seminaristi e i seminaristi ortodossi… “Bisogna preparare la generazione futura. Tra i seminaristi, nostri e loro, ci saranno sacrestani, guardiani, ve-

Padre, da 12 anni sei Custode di Terra Santa. Cosa significa per te essere Custode, ma soprattutto vivere nella terra del Santo?

scovi e patriarchi, o custodi. Se questi giocano a pallone insieme, quando avranno una responsabilità le loro relazioni saranno umanamente molto più semplici che non se hanno a che fare con uno sconosciuto.” Tu hai vissuto l’esperienza della visita di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e di Francesco. Cosa sono stati questi viaggi per te, per voi Francescani lì? “Giovanni Paolo II fu il primo ad abbattere definitivamente il muro, soprattutto tra noi e l’Ebraismo, con le visite al muro del pianto, alla Moschea, all’Yad Vashem (memoriale dell’Olocausto). Di Benedetto XVI ricordo i discorsi, che rivelano una grandissima profondità e chiarezza e restano una pagina esemplare di quel che dev’essere la vita del cristiano in Terra Santa. E poi la messa a Gerusalemme nella Valle del Cedro: “Pietro” che celebra nel luogo dove tradizionalmente (per ebrei e musulmani) ci sarà il Giudizio Finale, tra i Getsemani e la porta dorata del tempio. Di Papa Francesco è stato determinante per noi l’incontro al Santo Sepolcro.” Molti ricorderanno quando, durante l’Intifada, nella basilica della Natività a Betlemme hai custodito tanti fratelli palestinesi.

“Restare lì aveva un valore molto simbolico: significava che noi non abbandoniamo. Se per paura ce ne fossimo andati, avremmo passato alla comunità cristiana un messaggio di disimpegno, invece era importante dire che noi siamo qui per custodire una memoria viva a nome della comunità. Quindi era necessario restare…” Non hai paura? “Quando sei dentro, non ci pensi. Poi dici “era da pazzi, bisognava fare attenzione”. Ma in quei momenti pensi agli impegni, alle responsabilità, a quel che devi fare, che è anche il modo per esorcizzare.” Qual è il vostro ruolo in questo momento insieme alle altre due grandi religioni monoteiste, Ebraismo e Islam? “Le grandi religioni monoteiste sono ora sul banco degli imputati, accusate di essere responsabili, o comunque canali, di gran parte delle tensioni che ci sono in Medio Oriente – la Terra Santa ha dinamiche un po’ diverse rispetto a Siria e Iraq. È nostra responsabilità agire diversamente e anche educare, dobbiamo dialogare e interloquire, essere esigenti su questo: non si può mai, in nessun modo, giustificare la violenza.” Mi ha colpito, in quei paesi, che

le scuole tenute da voi francescani siano frequentate per più del 50% da musulmani. “In generale le istituzioni cristiane sono l’unico luogo concreto dove cristiani e musulmani s’incontrano. Il dialogo nasce dalle realtà della vita: vivendo insieme, lavorando insieme, devi anche dialogare. Nasce ed è sempre legato alla vita in comune, non è mai su temi astratti: ed è l’unica cosa che funziona. E’ vero che con le scuole arriviamo al massimo al 5% della popolazione, ma bisogna tener presente che noi siamo solo l’1%. Che cosa ti porterai nella bisaccia quando finirai questi 25 anni in Terra Santa? “Innanzitutto la Bibbia, studiata, letta e riletta lì, in quei luoghi. Ogni pagina mi ricorda un luogo dove sono stato, dove ho avuto un incontro. Tanti volti, tante persone, tante comunità locali, e migliaia di pellegrini: una Chiesa che, passando di lì, ti fa vedere quanto è bella e vitale. E poi in questi anni ho imparato che chi ha una responsabilità non deve avere la presunzione di risolvere tutti i problemi, ma imparare a starci dentro, e insegnarlo agli altri.” * Direttore ufficio comunicazioni sociali diocesi di Ischia Andrea Di Massa


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III CATECHESI

Padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa Dopo mesi di attesa finalmente la diocesi di Ischia ha potuto conoscere Padre Pizzaballa, il padre francescano custode di Terra Santa. Di Silvia Pugliese

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ndubbiamente, dal momento in cui è stata annunciata la sua presenza, l’intera comunità ha atteso con ansia questo momento. La partecipazione del popolo è stata grande quanto l’attesa! Mercoledì 20 gennaio un sorridente Padre Pizzaballa è stato accolto in Cattedrale per la catechesi sulle opere di misericordia, come di consueto, dal canto dell’inno giubilare “Misericordes sicut Pater”. Fra Pierbattista ci ha raccontato di una realtà che spesso proviamo a immaginare, ma che ci siamo resi conto di non conoscere per niente, quanto si vive in Terra Santa e nei paesi vicini, in guerra e nella distruzione più totale. E’ stato anche molto duro ascoltare la situazione della Siria, un paese distrutto, nelle sue infrastrutture, nei trasporti, nelle comunicazioni, nel sistema scolastico. Una zona che fatica a riprendersi visto che il 90% delle centrali elettriche sono inattive per l’impossibilità di essere raggiunte dal gasolio. Il sistema sanitario rappresenta un vero problema per la sopravvivenza della popolazione: ci sono solo due ospedali funzionanti, il costo dei medicinali è altissimo e spesso il commercio e la distribuzione dei farmaci cade nelle mani di sciacallaggio e brigantaggio. In Siria ci sono stati circa 2 milioni di profughi che si sono riversati tra Europa e Turchia, più dei due terzi dei siriani sono sfollati, non vivono più nelle loro case. Anche qui Padre Pierbattista ci ha fatto riflettere su una parola che spesso sentiamo e ripetiamo senza conoscerne la verità più profonda: chi è lo sfollato? Una persona che ha perso tutto, che deve ricominciare da zero non avendo nulla, deve cercare una nuova casa, un nuovo lavoro, una nuova scuola per i figli e tutto il resto… Ma anche andare via non è facile, gli spostamenti sono pericolosissimi, non ci sono confini decisi, da una zona all’altra cambiano continuamente i gruppi di potere. Si rischia di essere rapiti, arrestati, aggrediti, derubati, dalle forze armate come quelle di Al Qaeda, o dell’Is o dagli assalti di briganti.

La guerra è sempre drammatica e tragica, ma il vero pericolo di questa situazione è che in un paese con tutte queste differenze etniche, culturali e soprattutto religiose, l’equilibrio tra le varie comunità è saltato. E’ molto difficile vivere in queste condizioni, ma ancor più preoccupante è una domanda che viene spesso alla mente, cosa sarà dopo? Come ricostruire la fiducia tra queste comunità? Bisogna ricostruire attraverso la Misericordia. In tutto questo odio la missione dei cristiani è molto importante, per il nostro senso del perdono e della misericordia. Come vivono i cristiani in quelle zone? Nessun vescovo, nessun parroco, ha presentato casi di abbandono della fede. Anche a fronte di questa situazione difficilissima nessuno ha rinnegato la Cristo. Ci ha raccontato di un villaggio al Nord della Siria, assediati da Al Qaeda, completamente cristiani, ma di varie confessioni. Gli ortodossi hanno abbandonato il villaggio insieme alle loro famiglie, ma lì alcuni anziani cattolici hanno deciso di rimanere. Il parroco, più volte minacciato, di fronte alla proposta di lasciare il villaggio per essere al sicuro, risponde: “Se loro restano, io resto” Questo, Padre Pizzaballa lo racconta per testimoniare che di fronte a questo mare di peccato, di male, di dolore, si vedono grandi testimonianze di fede. Questi cristiani non hanno la possibilità di riunirsi, non hanno un luogo dove pregare, non hanno la possibilità di celebrare la Messa, perché non hanno nemmeno il vino, e oltretutto rischiano la vita ogni volta che si ritrovano in preghiera. Nonostante questo in loro è talmente vivo e talmente forte il desiderio di pregare e di celebrare l’Eucarestia, che non vi rinunciano nonostante le persecuzioni. Quanti di noi cristiani occidentali, di fronte a impedimenti come la mancanza di tempo, stanchezza o altre motivazioni del genere, rinunciamo alla Messa e ai Sacramenti senza pensarci troppo? Il miracolo di questi luoghi dove il dolore e l’orrore dilagano è che i cristiani, che sono pochi, in una minima percentuale ri-

spetto alla popolazione, ci sono fino in fondo, al 100%. Come comportarsi di fronte a tutto questo male? Molti pensano che si debba cancellare il male dal mondo, ma cancellare il male non è un concetto cristiano. Gesù non vuole cancellare il male, vuole vincerlo! Come si può cancellare il male se si priva l’uomo della sua libertà? Non abbiamo una soluzione, una risposta politica, ma abbiamo un esempio, quello di chi ha messo al primo posto la Messa, anche prima della propria vita. E i tanti giovani, che rischiano la vita e fanno chilometri a piedi, per recuperare l’acqua da portare agli anziani e agli ammalati che non possono muoversi. Tutto questo non è scontato. Di fronte al

male, all’odio, alla brutalità, ci sono persone che restano profondamente umane, e essere umani è essere cristiani, è Gesù che completa la nostra umanità. L’immagine che Padre Pizzaballa propone ai suoi figli in Terra Santa e offre anche a noi, per dare e darci speranza è quella di Abramo, contro quella di Ulisse. Ulisse torna, viaggia, conquista ed esplora, ma poi torna a casa. Abramo invece viene chiamato da Dio e non tornerà mai più a casa. L’unica certezza di Abramo era la sua relazione con Dio, il credere in quella promessa. L’unica certezza è che abbiamo Gesù e su questa scommessa abbiamo basato la nostra vita.

PROSSIMA CATECHESI OPERE DI MISERICORDIA

Visitate i carcerati «Ricordatevi dei carcerati come se foste loro compagni di carcere e di quelli che soffrono, essendo anche voi in un corpo mortale.» (Eb 13,3). 5 febbraio, Chiesa Cattedrale, con don Luigi Ciotti Fondatore di “Libera”


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RUBRICA: LA MISERICORDIA E IL CONCILIO

5. Il Vaticano II: un concilio pastorale Di don Pasquale Trani Delegato vescovile per la pastorale

Nel presente articolo si ricerca nella genesi del Concilio e nei suoi sviluppi le tracce profonde di un rinnovato rapporto tra la Chiesa e l’annuncio al mondo in modo comprensibile della misericordia di Dio.

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l Concilio Vaticano II è definito pastorale, volendo intendere da un lato che esso non ha voluto emettere pronunziamenti dogmatici, dall’altro che era interessato a uno “sguardo” nuovo sulla realtà intima della Chiesa in rapporto a Dio e in rapporto al mondo. Con questo sguardo i padri conciliari definirono la Chiesa come “sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, 1). Una definizione che appunto coniuga la fedeltà al cielo e la vicinanza al cammino di tutti gli esseri umani. Il modello a cui si guardava non poteva non essere che Cristo Gesù: è Lui il fondamento per avere uno “sguardo di misericordia” - usando il linguaggio di Francesco - verso l’umanità e ciascun uomo. Quando san Giovanni XXIII definiva il concilio una “nuova Pentecoste”, probabilmente si riferiva proprio a questa nuova vicinanza che permette alla Chiesa stessa di ri-accogliere il cuore del vangelo: la misericordia, l’amore invincibile del Padre, che nella morte e resurrezione del Figlio Gesù ha prescritto la sua “medicina” per il mondo malato e alla continua, spasmodica ricerca di felicità. Col concilio si determina così un passaggio decisivo: da una fede vista come dato oggettivo, ossia come una verità da accogliere, a un’assunzione e valutazione della stessa fede in senso soggettivo, cioè proposta come via per la realizzazione piena di ogni uomo, dove la libertà e la fatica di ogni individuo fanno parte del cammino verso la verità che sempre si offre nella carità di Dio verso l’uomo ben disposto. Ai nostri giorni papa Francesco non a caso si è così espresso in Evangelii gaudium, n°3, citando il beato Paolo VI: “Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore» (Paolo  VI, Esort. ap. Gaudete in Domino, 9 maggio 1975, n° 22)”. Non che questo cammino libero e faticoso non fosse già presente nella storia bimillenaria della Chiesa precedente il Concilio, ma l’esigenza - inevitabile e fondamentale - di definire sin dai primi secoli pratiche sacramentali e di fede aveva prodotto formule dottrinali e strutture istituzionali che con l’andare del tempo si erano cristallizzate, riducendo di molto l’azione evangelizzatrice della Chiesa con l’uso di linguaggi e forme incomprensibili. Anzi, la Chiesa, ponendosi in atteggiamento di continua condanna di posizioni che il mondo andava producendo, stava rischiando di non comprendere più se stessa in rapporto proprio alla Verità del vangelo che invece abbisognava e abbisogna sempre di essere mutuata nel tempo e nelle diverse culture.

Dunque, non senza un forte impulso dello Spirito, la Chiesa ha avuto col Concilio la grazia di disincagliarsi dalla marginalità storica, culturale e spirituale in cui stava cadendo. Già nell’Ottocento veri e propri profeti illuminati avevano incoraggiato a un cambio di passo e prospettiva. Due nomi su tutti: il teologo e filosofo Antonio Rosmini (1797–1855; proclamato beato nel 2007), il cardinale John Henry Newman (1801–1890; proclamato beato nel 2010). Nel Novecento un grande movimento di ritorno ai Padri della Chiesa e alle fonti del primo millennio ha preparato quanto poi prese forma con l’indizione del Concilio. Alcuni uomini spiccano e hanno dato un contributo notevole - fuori e dentro la Chiesa Cattolica - nel cambio di marcia e direzione tra il prima e dopo Concilio: Karl Barth, Hans Urs von Balthasar, Pavel Florenskij, Sergej Bulgakov; Dietrich Bonhoeffer, Henry de Lubac, Yves Congar, Marie-Dominique Chenu. Anche alcune donne sono da annoverare: s. Teresa di Lisieux (l’unico Dottore della Chiesa dell’età contemporanea!), Edith Stein, Simone Weil, Chiara

Lubich. Spicca fra tutti forse la figura di Karl Rahner che, a proposito del concilio, scrisse: “Questo concilio si può chiamare pastorale in quanto non si è accontentato solamente di formulare o presentare principi fondamentali e perenni della Chiesa, il suo dogma, la sua morale e, su questa base, le norme giuridiche per la vita della Chiesa, ma ha avuto anche il coraggio di dare le sue direttive in vista di una situazione concreta: direttive che hanno quasi un carattere carismatico, che non sono avulse dai principi e dalle norme generali, ma che si impongono per un certo imperativo concreto in situazioni concrete e che quindi impegnano la libertà e le responsabilità degli uomini di Chiesa. (…) Il Concilio è il Concilio dell’inizio dei tempi nuovi e in questo modo è <<l’inizio dell’inizio>> che deve essere attuato nella chiesa postconciliare” (K. Rahner, Il Concilio Vaticano II, in I documenti del Concilio Vaticano II, Paoline, Roma, 1967, pp. 15-16). * Per continuare il dialogo con l’autore: pasqua.trani@gmail.com


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Pastorale Giovanile & Sport

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Trentalange-Belfiore: le valenze educative dello sport Il secondo appuntamento di “Mettiamoci in gioco - crescere scoprendo lo sport”, itinerario della Pastorale Giovanile e Sport di Ischia per scoprire i valori propri dello sport, si è svolto lunedì 18 gennaio, presso l’Accademia delle arti marziali di Francesco di Meglio.

Dalla Segreteria diocesana di Pastorale giovanile

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e valenze educative del movimento, del gioco e dello sport”, il titolo di questo appuntamento nel quale siamo stati guidati da due illustri ospiti di livello internazionale: Alfredo Trentalange, educatore, ex-arbitro di Serie A di calcio, nonché attuale designatore arbitrale FIFA; e don Claudio Belfiore, sacerdote salesiano, e presidente nazionale del CNOS Sport. I nostri ospiti si sono cimentati in una performance a due molto coinvolgente, nella quale hanno interagito con i presenti. Nel presentarsi si sono soffermati su alcuni simpatici aneddoti calcistici riguardanti la carriera arbitrale di Trentalange, sottolineando l’importanza del senso della giustizia che lo ha mosso nello scegliere di diventare arbitro. La progettualità e l’organizzazione, la formazione, la regola, sono alcune delle valenze su cui ci si è soffermati. Lo sport è mutamento, afferma don

Claudio, pertanto deve esserci alla base un chiaro progetto che metta in relazione il passato con il presente ed il futuro, avendo come finalità il miglioramento costante. Le dinamiche che viviamo devono portare a soddisfare alcuni obbiettivi, necessari alla crescita dell’atleta, pertanto allenando è necessario aprire canali di comunicazione coi giovani. L’organizzazione assume allora l’identità di obbligo morale che ci permette di raggiungere l’obbiettivo proposto. “La formazione costa, l’ignoranza costa ancora di più”, ha affermato Trentalange, in quanto a pagare poi la nostra ignoranza sono sempre i più deboli, i più piccoli. Il concetto “formazione” quindi va concepito non come spesa di tempo, denaro, ma come investimento per il futuro. La regola poi, è necessaria affinché ognuno possa godere degli stessi diritti nel gioco,anche i “più piccoli” devono avere la possibilità di giocarsela alla pari con gli altri, soprattutto nella vita. Le regole inoltre ci indiriz-

zano su ciò che deve avvenire, sono un principio di realtà, ci mettono con i piedi per terra e permettono di relazionarci in modo corretto. La mancanza di regole nelle relazioni è causa di problemi. Gli elementi fondamentali da valorizzare nello sport sono diversi, come la squadra, l’allenamento, il risultato, quale spinta che ci permette di superare i propri limiti, per migliorarci e puntare alla sfida con noi stessi evitando i falsi miti della “vittoria a tutti i costi” che rischia di aprire la pericolosa “porta” del doping, del denaro facile, il vedere l’avversario come un nemico e il dilagare della violenza soprattutto fuori dai campi da gioco. E’ nostra responsabilità scegliere la direzione verso cui proiettarci, dare la giusta importanza al nostro impegno, l’attenzione all’altro, comprendere e rispettarlo nella sua cultura. Infine, circa la formazione, Trentalange ha affermato che spesso, erroneamente e a causa di logiche di mercato non sempre eticamente giuste, le persone più competenti la-

vorano ai vertici, mentre dovrebbero lavorare nei settori giovanili, con i più piccoli, per far si che si formino atleti nella scelta dei loro valori. Ancora circa la formazione, ha concluso Trentalange, occorre non farsi prendere dall’inganno di essere preparati e sapere già tutto, ma lasciarsi vincere da quella “sana” curiosità che ci spinge a formarci, a migliorarci, per vedere lo sport come modello di vita. Lo sport è lo specchio della vita, ha il ruolo di formare i nuovi uomini e donne di domani, anzi, di oggi. Vogliamo ringraziare per la loro disponibilità e collaborazione Francesco Di Meglio per averci messo a disposizione la palestra, la DIM Hotel nella persona di Isidoro Di Meglio per aver ospitato i nostri invitati, e il ceramista Rosario Scotto Di Minico per aver creato le due splendide targhe ricordo. La Pastorale Giovanile e Sport vi da appuntamento lunedì 29 febbraio 2016 sul tema “Sport e Relazione” con la dott.ssa Mariangela Lamagna, psicologa ed esperta di relazioni.


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Società 23 gennaio 2016

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concorso musicale

Una voce per Antonia Di Giuseppe Galano

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a bella ed accogliente comunità parrocchiale di Maria SS. Madre della Chiesa in Fiaiano organizza e promuove un evento a dir poco straordinario, la prima edizione del concorso musicale “Una Voce per Antonia” dedicato alla piccola Antonia Spedicati. Una ragazza speciale, di soli 15 anni, che aveva incontrato Dio nel corso della sua vita e che a Lui si è unito lo scorso 2 giugno dopo un periodo di malattia. Antonia, prima di tre figli, nasce il 10 settembre 1999 da Monica e Ciro, genitori meravigliosi, preziosi collaboratori parrocchiali e persone sempre attente alle esigenze della comunità, che nella loro semplicità hanno guidato la ragazza ad una vita cristiana. Antonia da tutti viene definita una ragazza solare, altruista e sempre pronta ad aiutare il prossimo. Amava sempre dire quello che pensava e non nutriva mai sentimenti di rancore. Fin da piccola la contraddistingue un temperamento forte ed un carattere a dir poco vivace. Era una ragazza con una dote alquanto particolare: amava incondizionatamente e disinteressatamente e sorrideva alla vita in ogni momento, pure davanti alle difficoltà. Era amata da tutti e travolgeva con il suo entusiasmo chiunque le si presentava davanti. Spesso e volentieri non esitava a farsi carico di chi era nel bisogno mostrando amore smisurato nei confronti dei più deboli e sofferenti. In famiglia, a scuola e nelle attività della vita di tutti i giorni, era sempre mossa dal desiderio di donarsi all’altro. Le amiche della classe considerano fin da sempre Antonia quale punto di riferimento, maestra di vita e strumento di unità. Antonia le amava profondamente e cercava di essere un esempio per loro. Sempre disponibile con tutti, nonostante la sua giovanissima età si mostrava molto attenta alle tematiche sociali. La Parrocchia, la sua “Scuola di Gesù” era per lei la sua Grande Famiglia. Dopo aver ricevuto la prima Comunione ha voluto continuare a frequentare, senza mai interromperlo, un percorso di fede assumendo nel corso degli anni, con amore e passione, tanti impegni. Amava pregare, partecipare alle funzioni liturgiche ed incontrarsi settimanalmente con coetanei per approfondire il suo rapporto con Dio. Per lei ogni occasione era adatta per andare in chiesa dal suo amato Gesù In Parrocchia aveva stretto amicizie vere; con il gruppo giovani vi è stato fin da sempre un legame fortissimo. Il canto è uno tra i tanti talenti che Antonia ha desiderato mettere a disposizione della comunità parrocchiale. Prima come membro del coro dei bambini che animava le celebrazioni della domenica mattina poi come animatrice dello stesso coro si distingueva per la voce bella ed impostata. Questo talento, inoltre, l’ha resa partecipe di vari spettacoli e rappresentazioni realizzate nel corso degli anni in Parrocchia. Con il canto emergeva in tutto e per tutto il suo speciale rapporto con Gesù. Antonia cantava con il cuore, dando tutta se stessa, sapeva di essere ascoltata da Dio. Il concorso “Una Voce per Antonia”, fortemente voluto dal parroco don Emanuel Monte, dai vari collaboratori pastorali e dalla famiglia della ragazza, ha lo scopo di promuo-

La Parrocchia Maria SS. Madre della Chiesa organizza e promuove un concorso musicale dedicato alla memoria della piccola Antonia Spedicati che si svolgerà nella settimana dal 04 al 09 aprile 2016 nel salone della chiesa parrocchiale. vere e valorizzare la memoria di questa straordinaria creatura che ha dedicato tutta la sua vita terrena a Dio ed al prossimo. L’evento sarà occasione stra-

ordinaria per coinvolgere adolescenti, giovani ed adulti e per creare momenti di aggregazione utilizzando la musica leggera e liturgica come strumento di unione proprio come lo era Antonia nella vita di tutti i giorni. Il concorso, senza scopo di lucro e non finalizzato ad essere una gara professionistica o agonistica, si svolgerà a Fiaiano nei locali della chiesa parrocchiale Maria SS. Madre della Chiesa nella settimana dal 04 al 09 aprile 2016. Al concorso sono ammessi tutti i generi musicali ed i testi in qualsiasi lingua. I testi delle canzoni dovranno necessariamente attenersi a valori quali l’amore, l’amicizia, la famiglia o in generale che non siano in contrasto con la fede cristiana. Le domande di partecipazione dovranno pervenire entro e non oltre le ore 24:00 del 20 marzo 2016. Per tutte le informazioni relative al concorso è possibile contattare l’indirizzo email unavoceperantonia@gmail.com oppure consultare la nostra pagina ufficiale www. facebook.com/unavoceperantonia Per quanti lo vorranno il concorso sarà occasione preziosa per mostrare talenti, creatività voglia di cimentarsi con altre realtà ed un modo concreto per onorare la memoria della piccola Antonia.


Attualità

23 gennaio 2016

kaire@chiesaischia.it

Di Franco Iacono

1.

Ma chi ha detto che Ettore Scola è morto?! Vive, e per sempre, nelle sue opere, nei suoi capolavori! Come Luchino Visconti, Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Ermanno Olmi! E poi: “Una giornata particolare” è poesia purissima! 2. Maurizio Sarri deve aver preso qualche cattivo esempio dal suo Presidente! Chi non ricorda Aurelio De Laurentiis “scappare”, letteralmente sul sedile posteriore di un motorino, preso al volo, senza casco, per protestare contro la compilazione del calendario di quella annata, oppure alcune altre “memorabili” dichiarazioni, per la gioia di Fiorello, che del personaggio fece imitazioni esilaranti!? Per fortuna, Sarri, a differenza del Presidente suo, ha saputo scusarsi della sua grave caduta di stile, perché di questo si tratta e di niente altro. Certo, resta un sospetto fondato: Mancini, offeso ed infuriato, non ha voluto chiudere la questione sul campo, come in genere avviene in questi casi, ed ha pensato di farne oggetto di una improbabile accusa di omofobia. Forse per marcare la sua superiorità, almeno sul piano civile, a fronte della rozza sfrontatezza di uno “oscuro” allenatore di provincia, che aveva osato stargli davanti, non per stipendio (sarebbe stato difficile superare quello faraonico di Mancini!), ma per qualità e bellezza di gioco del suo Napoli. E per classifica. Almeno per ora! 3. Il Corriere della Sera di martedì 19 gennaio, insieme a tanta parte della stampa, ci informa che “I sessantadue miliardari più ricchi del Mondo concentrano nelle loro mani risorse pari a quelle messe insieme dalla metà più povera della popolazione del Pianeta”. Una enormità: sessantadue persone soltanto sono alla “pari” con il reddito di milioni, se non di miliardi di altre persone. In Italia, nel nostro piccolo, il 10% della popolazione detiene un reddito pari a quello del 50%, se ricordo bene le statistiche. Una diseguaglianza insopportabile! In questo tempo di crisi i ricchi sono diventati sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri: questa è la denuncia costante di Papa Francesco! E qui si nota la debolezza degli Stati, rispetto ai quali la grande finanza fa il bello ed il cattivo tempo, di cui a tutti i marchingegni, che presiedono all’andamento delle Borse e dei tassi. E le crisi le pagano sempre di più le classi meno abbienti. Non saranno, purtroppo, le accorate denunce di Papa Francesco a determinare una più equa distribuzione delle ricchezze. Magari, come già accade, anche se di rado, qualcuno di questi

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PUNTI DI VISTA

“paperoni” penserà di salvarsi l’anima con qualche beneficenza, ben propagandata. Con buona pace dell’insegnamento Evangelico: “la mano destra non sappia quello che fa la mano sinistra”! 4. Matteo Renzi ha lanciato un bel macigno nello stagno delle Istituzioni Europee, sempre ben protette da mille regole e dagli eterni burocratismi, sui quali la sua verve, inizialmente ingenua, si è infranta, non riuscendo ad incidere in nessuna maniera. Certo, Renzi dice cose giuste ma ha sicuramente due punti deboli: 1) l’Italia, non spende, e non spende bene, le risorse Comunitarie, che lei stessa finanzia lautamente; come si sa, molte di quelle tornano a Bruxelles, appannaggio di quei Paesi virtuosi, nei confronti dei quali, in tal modo, il gap dell’Italia aumenta. E qui Juncker, e la Commissione, non c’entrano; 2) Matteo Renzi sembra un lupo solitario che ringhia contro il Mondo: non

è riuscito a fare alleanze ed il suo Partito, il PSE, non lo sostiene, salvo che con il suo Capogruppo Gianni Pittella; non lo sostengono sicuramente i Paesi a guida socialista, a cominciare dalla Francia di Hollande. In Europa, senza alleanze forti non si va da nessuna parte! Si pone quindi un problema Politico! Renzi ha cambiato Ambasciatore a Bruxelles, non con un diplomatico di carriera ma con il fido Calenda, che, lui si augura, non faccia la fine della Mogherini, riapparsa!, perfettamente allineata con Juncker. Forse da questa nomina di un politico di professione si può ricominciare a tessere la tela, dopo che la strategia muscolare non ha prodotto effetti. Certo, al momento, per finalità interne ed elettorali, stanno prevalendo i nazionalismi rispetto a valori e a principi. A prescindere dalla contingenza, non era questa l’Europa che avevano vagheggiato i Padri Fondatori.


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Di don Pasquale Trani, Raffaella Mattera e Antonio Di Leva*

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na intera famiglia santa! Dopo aver tracciato un breve profilo della recente storia di santità coniugale che si va affermando nella Chiesa di oggi (cf. articolo “Santi insieme”, Kaire, n° 1/2016), entriamo un pò più dentro la vita santa dei coniugi Martin. Essa è intessuta di desideri ardenti custoditi e offerti, di scelte eroiche nascoste e consumate nel segreto, di una vita del tutto ordinaria ma toccata dal raggio della grazia. In realtà è da notare come sia tutta una famiglia santa, genitori e figli! Nella storia della Chiesa si è anzitutto conosciuta la santità di Teresa “del Bambino Gesù”, straordinaria e umile nello stesso tempo. Questa santità familiare ci permette di intrecciare la dimensione coniugale e quella verginale: nell’esistenza concreta queste due vocazioni sono congiunte in maniera inestricabile. La reciprocità vocazionale appare così in tutta la sua fecondità ecclesiale, perché ogni vocazione è realmente al servizio dell’altra. Luigi e Zelia Martin hanno vissuto e comunicato la fede, non si sono accontentati di generare nella carne, ma

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Mentre è in pieno corso la Peregrinatio diocesana delle reliquie dei santi Luigi e Zelia Martin, che sta lasciando una scia di nuova luce, rinnovati amore e fede in tante famiglie, proseguiamo nella loro conoscenza più da vicino…

SANTI DA SPOSI


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si sono impegnati a generare nello Spirito, collaborando con docilità e generosità all’opera di Dio. In questo contesto è maturata la vocazione monastica delle cinque figlie. D’altra parte, la scelta verginale delle figlie non ha offuscato la radice coniugale, anzi ha mostrato la fecondità del matrimonio. Quando Teresa parla della sua famiglia e dei suoi genitori, lo fa con una delicatezza sorprendente, evidenziando tutto il bene che ha ricevuto dalla sua famiglia. In questo modo annuncia che senza quella “scuola di santità” non avrebbe potuto vivere la fede secondo quella misura che il Vangelo chiede a tutti. Nella conferenza che ha accompagnato l’annuncio della beatificazione (12 luglio 2008), il Card. Saraiva Martins ha detto che “Luigi e Zelia sono santi non tanto per il metodo o i mezzi scelti per partecipare all’evangelizzazione, che sono evidentemente quelli della Chiesa e della società del loro tempo, ma sono santi per la testimonianza della serietà in cui era vissuta e trasmessa la fede nella loro famiglia”. Dobbiamo cercare di capire lo stile di vita, il segreto di quella fedeltà che ha permesso loro di dare alla propria esistenza, non priva di affanni, uno stile evangelico. Santità nel quotidiano

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Quella di Luigi e Zelia Martin è una santità vissuta nel contesto di una normale famiglia, fatta di quelle opere che appartengono alla vita coniugale e familiare. Niente di eccezionale, almeno in apparenza. E tuttavia, a ben vedere è proprio questa santità che ci mette in crisi. Ammiriamo i santi che hanno compiuto grandi opere: siamo affascinati dall’eroica carità di Madre Teresa di Calcutta; dinanzi a san Pio da Pietrelcina ci sentiamo confusi dalla grandezza della sua fede e della sua offerta sacrificale. Queste testimonianze sono per noi un’ulteriore conferma che Dio opera prodigi e dona ad alcuni di comunicare in modo del tutto speciale la Sua potenza. Questa santità ci affascina ma nello stesso tempo si manifesta forse troppo distante dalla vita di famiglie di oggi. Più che modelli a cui guardare, questi santi sono intercessori a cui rivolgerci per ottenere grazie. La testimonianza dei beati Martin, invece, interpella, riguarda proprio i coniugi che sono chiamati ad una vita ordinaria. Luigi e Zelia insegnano i sentieri della santità feriale, quella che il Vaticano II ha chiesto a tutti i battezzati1: la fedeltà con cui hanno vissuto, la costante ricerca della volontà Dio, l’obbedienza nella prova. La loro esperienza chiama

COMUNICATO-INVITO

Comunicazione e Misericordia L’Ufficio Comunicazioni Sociali della nostra Diocesi, in occasione della festa liturgica di S. Francesco di Sales, protettore dei giornalisti, si prepara a celebrare la 50° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Il Santo Padre ha scelto come tema per quest’anno “Comunicazione e Misericordia: un incontro fecondo” volendo sottolineare come una buona comunicazione possa essere occasione di incontro e di dialogo. Lunedì 25 gennaio alle ore 11,30 in Episcopio si terrà una conferenza stampa aperta a giornalisti e tutta la cittadinanza, alla quale interverranno le giornaliste Stefania Falasca della sede centrale del quotidiano “Avvenire” e Valeria Chianese corrispondente da Napoli della stessa testata. Vi aspettiamo numerosi!

in causa tutti. Le lettere di Zelia illustrano assai bene cosa vuol dire farsi santi nel quotidiano. La vita della famiglia Martin è piena di impegni e di preoccupazioni, intessuta di gioia e di sofferenze. In tutto questo i beati coniugi non staccano mai lo sguardo da Dio. È questo il cuore della loro spiritualità. “Questo vivere la presenza di Dio – scrive Mezzasalma - non è una devozione particolare e neppure un momento buono per qualche giaculatoria. È qualcosa di semplice e di profondo allo stesso tempo. Attraverso il primato di Dio nella vita, si vive in continuo contatto con lui e a lui si fa riferimento nelle mille vicissitudini della vita”2. Teresa di Lisieux cresce a questa scuola. La sua spiritualità denominata piccola via, in fondo, rappresenta il pieno e perfetto compimento di questa esperienza maturata in famiglia3. Non sono le opere, dirà l’ultimo fiore di questa “terra santa”, che misurano la perfezione, ma la carità, anche e soprattutto quella più nascosta. La testimonianza dei coniugi Martin è una forte provocazione per gli sposi, la loro santità risplende in mezzo agli affanni e i molteplici problemi che accompagnano la vita di una famiglia. Non cercano una vita tranquilla, non fuggono i pro-

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blemi; imparano a convivere con la sofferenza che li accompagna come una fedele amica. Eppure non si scoraggiano mai, non gettano mai la spugna, anche quando le loro preghiere restano inascoltate. Questo accade perché vivono ogni cosa alla presenza di Dio e nelle prove confidano sempre in Dio. “Hai sufficiente energia e fede – scrive Zelia al fratello Isidoro nell’occasione della perdita di un figlio – per sopportare le afflizioni della vita”4. In queste parole traspare l’autorità di una donna ormai matura nella fede e la convinzione che guida la sua vita. Un’esperienza così semplice e nello stesso tempo eroica mostra l’inconsistenza delle scuse con le quali spesso giustifichiamo la nostra mediocrità e stimola perciò la chiamata alla santità. Il “terribile quotidiano” non è un ostacolo alla perfezione ma il luogo in cui s’incarna il mistero di Dio. Viviamo “nella carne”, scrive san Paolo ma non secondo la carne perché la fede tutto riveste di luce nuova (2 Cor 10,3). È questa in fondo la sfida che accompagna tutta l’esistenza: “Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1 Gv 5,4). *corresp. Ufficio di pastorale familiare e vita di Ischia

1 Cf Lumen gentium, 39-42. 2 C. Mezzasalma, Santità nel quotidiano, in Lettere familiari, XIX. 3 Quando muore Zelia, Teresa non ha ancora compiuto cinque anni ma le sorelle hanno continuato l’opera educativa seguendo lo stile della mamma. Sappiamo anche che Teresa conosceva le lettere della mamma e ne cita alcuni passaggi nella Storia di un’anima. 4 Z. Guérin, Lettere familiari, Edizioni OCD, Roma Morena 20043, 71, 17 ottobre 1871.

Prossimi pellegrinaggi parrocchiali alla cattedrale nel mese di Gennaio 25: Santa Naria delle Grazie in San Pietro (Ischia) 27: S.Domenico in SS.Annunziata (Ischia)


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L’accog

calorosa de

Dalle parrocchie di San Leonard Santa Maria delle Grazie in San P delle reliquie dei santi coniugi M isolane. Una grazia speciale, don


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glienza

ella Santità

do a San Ciro, da San Rocco a Pietro… continua la peregrinatio Martin nelle case di tante famiglie no di Dio per l’intera isola.

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14 23 gennaio 2016

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esperienza di vangelo vissuto

Lacco Ameno: un insieme di piccole chiese domestiche Di Debora Caputo

E'

stato un momento di particolare grazia per tutta la comunità lacchese. Accompagnando le reliquie di casa in casa si è riscoperto il senso della famiglia come chiesa domestica, come primo nucleo fondamentale di ogni comunità cristiana, luogo in cui trovarsi insieme a pregare. La preghiera particolare di affidamento ai coniugi, insieme alla lettura dei frammenti di alcune lettere scritte da Zelia e Luigi e al racconto della loro vita, è mirabile esempio di come la santità non sia qualcosa di irraggiungibile, ma una condizione tangibile. Essa si realizza nella famiglia cristiana che ha costruito la propria dimora sulla Roccia e che vive l’amore coniugale nel più grande amore di Dio. E quanto amore si è respirato nei momenti che abbiamo condiviso in questi giorni! La peregrinatio delle reliquie è stato,

Dall’ 11 al 18 gennaio la Parrocchia di S. Maria delle Grazie in Lacco Ameno ha avuto la gioia di accogliere le reliquie dei Santi Coniugi Luigi e Zelia Martin.


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inoltre, un momento propizio per sperimentare la “chiesa in uscita”, così come promossa dal nostro Vescovo Pietro. Entrando in ogni casa, ciascuno si è spogliato del proprio egoismo, ha messo da parte i propri impegni, ha rinunciato alla routine quotidiana, ha messo in secondo piano il proprio io, per essere membro vivo di una famiglia più grande: la parrocchia. E’ stato il momento in cui tutti hanno scoperto la gioia autentica del dare: dare amicizia, dare gioia con la propria presenza, dare incoraggiamento e sostegno, dare conforto, dare il proprio canto e la propria preghiera per l’altro, dare se stessi per i fratelli nella sofferenza e nella difficoltà. Molto significative in tal senso sono stati i momenti di preghiera in casa Monti e casa Tedesco, dove il Vescovo ha stupito tutti con la sua visita a sorpresa. Padre Pietro ha desiderato toccare con mano la sofferenza per moltiplicare la gioia scaturita dalla sua presenza.

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Ha insegnato a tutti noi che non dobbiamo lasciarci frenare da timori e paure nell’andare oltre, ma dobbiamo metterci in cammino verso il prossimo! Colpiti dal fatto che, proprio laddove la solitudine e la sofferenza sono maggiori c’è maggiore necessità di sentire la presenza di Dio e dei fratelli nella fede, si è optato per un fuori programma: si sono portate le reliquie nelle case degli anziani ammalati impossibilitati ad uscire. Quanta gioia commossa di tutti: sia di quelli che ricevevano la visita sia dei pellegrini che accompagnavano le reliquie di porta in porta! Tutti quelli che hanno partecipato ad uno qualsiasi dei momenti di preghiera tornavano alle proprie casa gioiosi, arricchiti da un esperienza straordinaria di fratellanza e di spiritualità, grati al Signore di aver offerto loro la possibilità di sperimentare la preghiera domestica comunitaria. La peregrinatio delle reliquie dei coniugi Martin è stato senz’altro motivo di crescita per la nostra comunità che si ripropone di ripetere i cenacoli di preghiera domestica.

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Ailanto

Ailanto, vile albero popolare.

Accosti a mezz’aria i tuoi rami gravidi di arrossate pannocchie. Sconosciuto il tuo nome alla gente della strada, con fastidiosa inquietudine pronunciato dai botanici di salotto. Impudente sai insidiare la matura mediterranea macchia amante contesa dai verdi oligarchi della natura, i nevrotici di oggi. Ami i luoghi violati dall'uomo, le terre fagocitate dal bull-dozer impiastricciate da spezzoni di mattoni, sacchi vuoti di cemento, scheggiati legni, tortigli di ferro imbandierati da fastelli di politene. Pure ti amano i depositi di veleno le montagne di pivvicci le insalate di copertoni lattine e altri disordinumi

permeati da colaticci di idrocarburi, masse venefiche di eternit e metalli pesanti. Ovunque trovi ospitale ricetto, silenzioso efficiente disseminatore. Non conosci il percento delle nascite bensi' il supercento della fertilita'. Stendi pietoso la tua verzura prodigiosa sulle vergogne del disutile, del rimescolato rifiuto, stimmi indegradabili dell'uomo in progress no-progress. Timido ti insinui nei verdi templi della botanica tra bouganvillee fiammeggianti, sontuosi palmizi, pullulanti effimere fioriture: Ne sei ricacciato come vile buoncazzone come in spregio ti qualifica il volgo. Cosa voglia mai significare tale nome resta un mistero! Francesco Mattera (09/03)

AILANTO Di Lorenzo Russo

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rancesco Mattera ci ha fatto pervenire questo suo componimento inedito dedicato nel 2003 all’ailanto, l’albero a cui nel 2014 ha riservato poi un suo servizio su KAIRE del 16 agosto con il sottotitolo “Vi racconto gli alberi a modo mio”. Gli abbiamo chiesto il motivo per cui ha inteso proporlo proprio in questo periodo. Ecco la sua risposta: “Negli ultimi tempi vi è un vero e proprio accanimento nei confronti di tale albero. Quasi che fosse la causa di veri e propri guai per il nostro ambiente. Lo accusano, quasi fosse possibile accusare una specie vegetale di un qualche delitto, di essere invadente, di togliere spazio ad altre piante, di puzzare, di sporcare con le foglie e con i semi secchi caduti per


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LANTO terra, cortili, terrazzi, ed altre sciocchezze simili. Addirittura si organizzano convegni pubblici per dire tutto questo, facendo salire sul banco degli imputati il nostro buoncazzone. Da pochi mesi che è uscita l’enciclica di Papa Francesco “Laudato si’” ed ancora c’è gente che ragiona in questi termini, è una vera assurdità. Propugnare una caccia all’ailanto (=buoncazzone) oltre ad essere un’impresa vana (non la si spunta con la Natura!) è anche sciocco ed inqualificabile. Noi uomini, noi ischitani, dovremmo interrogarci sulle cause di questo straordinario successo di questa pianta. Riflettere sul fatto che siamo noi che gli apriamo la strada per farla crescere in taluni contesti. Se si legge bene il componimento che oggi propongo (e scritto in tempi non sospetti) si capisce bene cosa voglio dire. L’ailanto cresce

laddove l’uomo fa sentire la sua mano pesante. E meno male che c’è lui che copre le nostre vergogne. In quanto all’assurdità che il buoncazzone sia una minaccia per la macchia mediterranea, chi lo afferma mostra di non capire niente di ecologia! Gli ecosistemi maturi e non perturbati gravemente dalla mano dell’uomo non hanno nulla da temere da questa specie che potremmo definire gregaria, in maniera opportunistica, delle attività umane. O anche delle inattività dell’uomo. Ad esempio quando si abbandona un terreno coltivato che diviene preda poi dell’ailanto. Ma sono, quelli, gli stadi iniziali di una successione ecologica che, se completamente dispiegata nel tempo e senza disturbi esogeni (e occorrono molti anni, a volte numerosi lustri!) porterebbe nuovamente all’ecosistema naturale di partenza. Se quello era

IL COMMENTO

Poesia che si nutre di poesia Di Enzo D’Acunto

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i perdonerà Franco, se della poesia eccellente di cui ci ha omaggiato, parlerò solo di traverso. In primis, voglio ricordare che c’è stato un tempo in cui:

"E tutta la vita è in noi fresca aulente, il cuor nel petto è come pesca intatta, tra le pàlpebre gli occhi son come polle tra l’erbe, i denti negli alvèoli son come mandorle acerbe. E andiam di fratta in fratta,

or congiunti or disciolti (e il verde vigor rude ci allaccia i mallèoli c’intrica i ginocchi) chi sa dove, chi sa dove! E piove su i nostri vólti silvani, piove su le nostre mani ignude,

Per chi non conoscesse questi versi, dico subito che si tratta dei versi finali della più celebre poesia del detestato quanto mai amato Gabriele D’Annunzio: “La pioggia nel pineto”. Monumento al piacere e all’esaltazione sensoriale, questa poesia è tra i più grandi tributi mai celebrati alla natura. C’è stato dunque un tempo in cui il sacro e

su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri che l’anima schiude novella, su la favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’illude, o Ermione.”

profano volto della sventurata Ermione ritraeva alacremente il trionfo purificatorio ed esaltatorio della pioggia al contatto con la vita, e c’è oggi un tempo in cui questo modo incantato di apportarsi alla natura non sembra più possibile. E Ailanto, in tutto questo, pare l’ennesima conferma dell’aggiunta e non centralità dell’uomo

la macchia mediterranea, si avrebbe nuovamente la macchia mediterranea! E l’uomo può fare una sola cosa, far lavorare la natura, assecondare il creato, se questo fosse la cosa più desiderabile. Del resto ciò è verificabile sulla nostra isola. Basta andare in qualsiasi luogo dove è presente ancora la macchia mediterranea a livello stabile (climax) per rendersi conto che l’ailanto è relegato a livello sporadico, episodico, per lo più ai margini, ovvero laddove l’interferenza delle attività umane genericamente intese, è più forte e costante. Per favore quindi, lasciamo in pace il nostro buoncazzone, e dedichiamo piuttosto la nostra attenzione a cose più serie”. Cosa possiamo aggiungere noialtri di Kaire? Niente, se non un grazie a Francesco Mattera per averci ancora una volta regalato una bella riflessione alla luce della “Laudato si’. in questo mondo. Il simbolo di un corso naturale che nonostante tutto continua lungo una sua direttiva, l’immagine di ciò che resiste alle pretese di classificazione e alle etichette con le quali l’uomo pretende di ordinare e modellare il mondo. E come l’anguilla di Montale “che lascia il Baltico / per giungere ai nostri mari, / ai nostri estuari, ai fiumi / che risale in profondo, sotto la piena avversa, / di ramo in ramo e poi / di capello in capello, assotigliati / sempre più addentro, sempre più nel cuore / del macigno, filtrando / tra gorilelli di melma finché un giorno / una luce scoccata dai castagni / ne accende il guizzo in pozze d’acquamorta” , così l’Ailanto, altro grande simbolo di cieca o provvidenziale resistenza, ama “i luoghi violati dall’uomo / e terre fagocitate dal bull-dozer / impiastricciate da spezzoni di mattoni, / sacchi vuoti di cemento, / scheggiati legni, tortigli di ferro / imbandierati da fastelli di politene.” In un percorso che in entrambi i casi è mistico amore per la vita. E poi ancora, un po’ come l’ “upupa, ilare uccello caluniato dai poeti” che lo stesso Montale elevò tra le sue creature predilette, e un pò come la “odorata ginestra” che il poeta Giacomo Leopardi vedeva “d’afflitte fortune ognor compagna”, così il buoncazzone si eleva a compagno prepotente dei nostri tristi giorni. Una poesia, dunque, che come sempre accade si nutre di altra poesia, e funge in ogni senso quale foglia di fico della nostra indecenza.


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Libri 23 gennaio 2016

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LETTURE CONSIGLIATE Di don Vincenzo Avallone

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ella prefazione al libro, l’Autore Daniel Golemam dice: «Ho scritto Emotional Intelligence in un momento in cui la società civile americana si dibatteva in una crisi profonda, caratterizzata da un netto aumento della frequenza dei crimini violenti, dei suicidi e dell’abuso di droghe – come pure di altri indicatori di malessere emozionale – soprattutto fra i giovani. Il mio consiglio per guarire questi mali sociali era di prestare una maggiore attenzione alla competenza sociale ed emozionale nostra e dei nostri figli, e di coltivare con grande impegno queste abilità del cuore. L’Italia, fra i paesi industrializzati, è seconda solo agli Stati Uniti per la frequenza di omicidi. Tutto questo indica che alcuni minorenni italiani stanno avviandosi all’età adulta con gravi carenze relative all’autocontrollo, alla capacità di gestire la propria collera. Tutto questo quindi suggerisce la necessità di
 insegnare ai bambini
quello che potremmo definire l’alfabeto emozionale – la capacità fondamentale del cuore, introducendo nelle scuole, oltre alle materie tradizionali come la matematica e la lingua, l’insegnare ai bambini le capacità interpersonali essenziali. Oggigiorno queste capacità sono fondamentali, proprio come quelle intellettuali in quanto servono equilibrare la razionalità con la compassione.
È proprio la neuroscienza che sostiene la necessità di prendere molto seriamente le emozioni. Le nuove scoperte scientifiche ci assicurano che se cercheremo di aumentare l’autoconsapevolezza, di controllare cioè più efficacemente i nostri sentimenti negativi, di conservare il nostro ottimismo, di essere perseveranti nonostante le frustrazioni, di aumentare la nostra capacità di essere empatici e di curarci degli altri, di cooperare a stabilire
legami sociali – in altre parole, se presteremo attenzione in modo più sistematico all’intelligenza emotiva – potremo sperare in un futuro più sereno. “Spuzzicando” qua e là da questo libro veramente interessante, ecco alcune idee che trovo da sottolineare: 1. Il temperamento non è destino. Ogni genitore sa benissimo che fin dalla nascita un bambino può essere calmo e placido, o irritabile e difficile.
Il problema è quello di stabilire se questa configurazione emotiva determinata dalla biologia possa essere modificata dall’esperienza (pag. 349) ... «Quand’anche
questa

Intelligenza emotiva dimensione fondamentale del temperamento venisse stabilita fin dalla nascita, gli insegnamenti emozionali impartiti durante l’infanzia possono avere un impatto profondo sul temperamento,
amplificando o mettendo a tacere una predisposizione innata. La grande plasticità del cervello durante l’infanzia implica che le esperienze fatte durante quegli anni possano avere un impatto duraturo sulla formazione delle vie neurali» (pag.358). Il cervello degli esseri umani è quello che impiega di più per maturare completamente. Ciò fa dell’infanzia un’opportunità fondamentale per modellare inclinazioni emotive destinate a durare tutta la vita (pag. 366). 2. L’empatia. L’empatia si basa sull’autoconsapevolezza: quanto più siamo aperti verso le nostre emozioni, tanto più
 saremo abili anche nelle leggere i sentimenti altrui...
L’empatia è la capacità che ci consente di sapere come si sente un altro essere umano, ed entra in gioco in moltissime situazioni, da quelle tipiche della vita professionale – si pensi alla giornata lavorativa di un venditore o un dirigente – a

Recensione del libro “Intelligenza emotiva”

di

Daniel

Goleman

– Prima edizione Rizzoli 1996 Settima edizione bestBUR 2015 quelle della vita privata – si pensi alle relazioni sentimentali e ai rapporti fra genitori e figli. 3. Quando intelligente è uguale a ottuso. Sembra un paradosso, ma sentiamo cosa dice Goleman: «La domanda è: come può capitare (e capita!) che una persona di altissima intelligenza faccia delle cose irrazionali, stupide, degne di un cervello ottuso?... Certo, nella riuscita della vita, l’intelligenza è il valore più importante ma non è assolutamente sempre così, tanto che l’importanza del nesso fra i punteggi scolastici e la riuscita nella vita è minimizzato da un altro insieme di caratteristiche che l’individuo incontra nella vita, come la capacità di motivare sè stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni; di controllare gli impulsi e riman-

dare la gratificazione; di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare; e ancora, la capacità di essere empatici e di sperare (pag. 65)...
È proprio questo il problema: l’intelligenza accademica non offre pressoché alcuna preparazione per superare i travagli e cogliere le opportunità che la vita porta con se... Molti dati testimoniano che le persone competenti sul piano emozionale si trovano avvantaggiate in tutti i campi della vita, sia nelle relazioni intime che nel cogliere le regole che portano al successo politico (pag. 68). Post scriptum • Il tema mente e cuore è un tema antico, percorre tutto il pensiero umano e ci porta a catalogare gli uomini. Dal lato della mente potremmo metterci Aristotele, San Tommaso d’Aquino, papa Ratzinger. Dal lato del cuore ci metteremmo, si fa per dire: Platone, S.Agostino, papa Giovanni. • Questo libro non tocca mai la sfera cristiana eppure ti viene spontaneo domandare: in Gesù Cristo ha prevalso la mente o il cuore? La risposta, si capisce, è una sola: tutt’e due le cose, allo stesso livello. Anche se il sottoscritto farebbe pendere la bilancia dalla parte del cuore. • Il tema dell’intelligenza empatica ed emotiva non è poi alla base dell’Anno della Misericordia?

Daniel Goleman ha insegnato psicologia ad Harvard ed è collaboratore scientifico del “New York Times”. È uno dei più apprezzati consulenti e conferenzieri a livello mondiale. Ha pubblicato i best seller “La forza della meditazione” (1997), Menzogna, autoinganno, illusione (1998), Lavorare con intelligenza emotiva (1998), Lo spirito creativo (2001), Essere leader (2002), Intelligenza sociale (2006), Intelligenza ecologica (2008).


Libri

19 23 gennaio 2016

kaire@chiesaischia.it

Editoria

Libro Papa: Benigni, “misericordia è anche sfida sociale e politica” e il Papa “la va a cercare tra gli ultimi” Di Agensir

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olo a questo Papa poteva organizzare una presentazione con un cardinale veneto, un detenuto cinese e un comico toscano”. “E’ la mia prima volta in Vaticano: questo Papa mi piace tanto, non si può parlare moderatamente del Papa. Ieri ho fatto di tutto per vederlo nella piccola delegazione per consegnargli il libro, quando l’ho visto mi sono sentito come Zaccheo”. E’ uno scoppiettante Roberto Benigni quello intervenuto martedì

12 gennaio alla presentazione del volume di Andrea Tornielli su Papa Francesco e la misericordia, all’indomani del suo incontro con il Pontefice per la consegna della prima copia del volume. “La misericordia – incalza – non è una virtù seduta in poltrona, non sta ferma un secondo ma va incontro ai poveri e ai peccatori”, questo libro “innalza i nostri cuori senza annacquare il cervello”. Si sente che per Francesco “la vita è compassione, amore e che il perdono è alla base del suo pontificato”. “La misericordia è la giustizia più grande, non la cancella, non la cor-

rompe né abolisce, va oltre”. La misericordia “è il caposaldo della missione del Papa, il miserere mei Deus secundum misericordiam tuam del salmo 50 di Davide mi commuove sempre: un peccato così grande come quello di Davide, se lo ha perdonato può perdonare tutti no”. La misericordia “contiene la gioia nel dolore: due colonne portanti nel cristianesimo, ma mentre il dolore è sempre presente nel cristianesimo la gioia la teniamo spesso nascosta. La gioia è invece il gigantesco segreto del cristianesimo, il suo elemento costitutivo.

Chi ha sofferto senza perdere la gioia cristiana è vicinissimo al Signore”. “Dobbiamo diffidare degli infelici – il monito di Benigni -. Amate le persone felici, che sono umili, gioiose e vicine a Dio. Il primo miracolo che fa nel Vangelo di Marco è la guarigione della suocera di Pietro perché subito dopo lei si mise a servirli, Gesù gustava le gioie della vita”.

LETTERE DI MISERICORDIA

«Può essere Francesco il mio Papa? Può esserlo di chi non è cattolico» Pubblichiamo di seguito una interessante lettera di Peppino Caldarola, “già” direttore de l’Unità, al direttore di Avvenire Marco Tarquinio. Queste parole sono rivolte soprattutto ai lettori del Kaire che si ritengono atei, o che forse sono alla ricerca di qualche risposta alle tante domande, dubbi, perplessità…Con questa lettera (e con la risposta di Tarquinio) è per noi un modo per amarli e farli sentire fratelli.

Caro direttore, può essere Francesco anche il mio Papa? «sofferta coscienza cristiana» era base per il dialogo, Berlinguer era andato Può essere cioè anche il Papa di chi non è cattolico? Ho letto il suo ultimo li- più avanti) e l’ oggi. L’ oggi di Francesco è la gioia della misericordia, questo bro intervista con Andrea Tornielli, seguo le sue missioni pastorali, ascolto e primato della persona, così interconnesso con tutta la cultura cattolica, che rileggo i suoi messaggi e questa domanda mi suona nella testa e nel cuore. Che sceglie nel perdono, nel pentimento e anche - scrive lui - nel desiderare la mi sta succedendo? Sono stato a lungo un comunista italiano e ho sempre av- volontà di pentirsi quando non si è ancora pronti a farlo, uno straordinario vertito, soprattutto con Enrico Berlinguer, una inclinazione rispettosa e cu- messaggio per gli umani. Ecco il perché della domanda iniziale che ho rivolriosa versa la fede, i credenti e gli uomini di fede. Ho amato Giovanni XXIII, to a questo giornale (Avvenire), ai suoi lettori e, con umiltà, anche al Papa la figura di Paolo VI mi ha sempre colpito. Non parlo degli altri Papi per non Peppino Caldarola già direttore de “l’Unità” esagerare e per tenermi a quelli che mi hanno più interrogato la coscienza. Con Francesco avverto, invece, un passaggio in cui la domanda interiore IL DIRETTORE RISPONDE: SARETE GIUDICATI DALL’AMORE scava più in profondità. Il Dio che Francesco racconta, la vicenda umana Stai pur certo, caro Caldarola, che i cattolici vogliono bene al Papa, ma non e divina di Gesù sono un messaggio di comprensione del mondo che non ne sono gelosi. Almeno non nel senso di una qualche pretesa di “esclusiviavevo mai letto in modo così esplicito, accogliente, generoso, in grado di tà”. Siamo felici se altri, con noi, ne condividono i pensieri e ne seguono l’ diventare il pensiero forte (oltre che per chi ha fede) per questo nostro mon- esempio. Credo, poi, che la bella e spiazzante domanda che hai articolato do pieno di cose brutte e di ingiustizie. Ho sia una di quelle a cui nessuno può dare risposta al pocapito finalmente che cosa vuol dire “miseristo tuo. O al posto di papa Francesco. Ma se davvero “La domanda di Peppino Caldarola, che viene da cordia”, cioè quell’ atteggiamento divino, ma vuoi anche il mio parere, ebbene credo che tu abbia già una storia comunista e ha diretto “l’Unità”, a mio anche degli umani, che spinge alla comprendeciso, come il Papa del resto. Mi basta leggere ciò che parere è già una risposta. Che riecheggia quella sione, alla solidarietà, alla non esclusione. hai scritto, caro direttore. E basta ascoltare ciò che lui che ascoltiamo ogni giorno dal Papa stesso” Il Dio di Francesco non è un Dio precettivo, dice. Basta per rendersi conto che Francesco parla davanche se dà regole, non è un Dio “cattivo”, vero a tutti e soprattutto a chi nel suo cammino si sente non è un Dio giustiziere. La sua Chiesa è fuori dai suoi palazzi e il Papa la impegnato - anche se non la richiama apertamente, anche se la “respira” invita a farsi ospedale da campo, non laboratorio d’ analisi ultrascientifico, quasi inconsapevolmente - dalla parola scolpita da Matteo in quel passo del ma vero pronto soccorso di anime ferite, di tutte le anime ferite. Se penso Vangelo (25, 31-46) che spiega perché alla sera della vita “saremo giudicati al mondo d’ oggi sento di poter dire che un messaggio d’ amore così forte sull’ amore”. C’è dentro l’ essenziale: le benedizioni e le maledizioni che e così includente non si ascoltava da molti anni. Come è facile capire io non sperimentiamo sotto il cielo di Dio su questa terra, che è la nostra fatica e sono un uomo di dottrina, come i miei amici “atei devoti” che hanno tenuto la nostra casa comune, e il luogo dove scriviamo un infinito futuro. È ben banco fino a poco tempo fa. Sono una persona che, con mille errori e mu- più della richiesta di coltivare una gran dottrina. È la chiamata a guardare in tamenti anche di orizzonte, si è sempre posta il tema della sofferenza e se l’ faccia e a rispettare ogni altro uomo e ogni altra donna soprattutto nella deè posto politicamente. bolezza (perché è così che continuiamo a incontrare il Figlio che ci è dato). Continuerò a farlo. Avverto però la differenza che c’ è fra una parte del È la via, anche civile, a una vita buona e a un mondo giusto. mio passato (Togliatti invitava a rivolgersi al mondo cattolico perché una Marco Tarquinio


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Liturgia 23 gennaio 2016

www.chiesaischia.it

Commento al Vangelo

Domenica 24 gennaio 2016

È l’oggi di Dio Di Don Cristian Solmonese

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arissimi amici, in questa terza domenica del tempo ordinario ci incontriamo con un bravo molto bello, ma di difficile interpretazione: l’annuncio della salvezza nella Sinagoga di Nazareth. Il testo offertoci dalla liturgia è composito, formato da due parti: la prima parte (Lc 1,1-4) è il brano del prologo di Luca e la seconda parte invece (Lc4,14-21) è il racconto dell’episodio nella sinagoga di Nazareth. I primi versetti della pericope ci mostrano un evangelista che ha a cuore la sua serietà di storico, che ci tiene a confermare la fede in cui è rimasto coinvolto: non sono favole quelle in cui ha creduto, né pie elucubrazioni. Ha dato del tempo, Luca, a questa ricerca e ci tiene a precisarlo. Forse il periodo in cui Luca scriveva era simile al nostro: il vangelo è e resta uno splendido esempio di libro religioso, Gesù è una figura ammirevole, ma tutto si confonde (morale, favola, dottrina…). Luca scuoterebbe la testa, invitandoci a prendere più sul serio la nostra fede, a dedicare del tempo alla

Come cambia il lavoro nel 2016 Di Roberta Pegoraro

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Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” dice l’Art. 1 della Costituzione Italiana, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 27 dicembre del 1947, a seguito della Seconda Guerra Mondiale. Nel 2015, non vediamo macerie fisiche come si vedevano nel 1947, ma vediamo macerie umane. Le persone travolte da crisi finanziarie a cascata, si sono visti ridurre gli orari di lavoro nel migliore dei casi, nei peggiori dei casi l’hanno perso e per molti sono saltati equilibri di vita e di famiglia faticosamente conquistati. La crisi ha cambiato il modo di considerare le cose. 10 anni fa una persona in cassa integrazione era sfortunato e stava passando un periodo difficile, adesso una persona in cassa integrazione è una persona fortunata, che ha almeno una base fissa seppur contenuta, sulla quale contare. Hanno perso il lavoro persone qualificate, competenti e capaci. Proprio perché capaci, hanno saputo reinventarsi, accettare lavori meno qualificati, lavorare il doppio per mantenere la dignità di se stessi e della loro famiglia. Questi comportamenti virtuosi, insieme alla crisi, hanno completamente rimescolato le carte nel mondo del lavoro, che ha dovuto ripensare il proprio sistema e organizzazione. Posto fisso, inefficienza, sprechi è qualcosa che una parte del Paese vuole risolvere. E’ un’Italia migliore quella che è pronta a smettere

nostra preparazione, a renderci conto che la fede va nutrita, informata, capita, indagata. E invece no: le quattro nozioni imparate di malavoglia al catechismo sono, spesso, l’unico approccio al cristianesimo che abbiamo conosciuto. Siamo seri: il problema è la nostra pigrizia, la nostra superficialità, (se vuoi) il problema è la dimenticanza: non ci importa della nostra interiorità, non investiamo perché in fondo non ci crediamo. Vuoi veramente cercare la fede? Indaga. Cerchi davvero Dio? Informati. Vuoi davvero dare senso alla tua vita? Fidati. Sì perché - ci ricorda Luca - la fede nasce dalla testimonianza di chi ha visto e creduto. Ecco il centro del racconto si trova nel breve commento di Gesù al testo profetico proclamato: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (v. 21). Gesù non da alcuna spiegazione esegetica, né si attarda in alcun modo con applicazioni morali come facevano gli abituali predicatori del tempo. Gesù si proclama Messia e da le linee programmatiche della sua missione ricorrendo alle parole dei profeti. Ispirandosi al profeta Isaia egli annuncia la sua missione come un grande messaggio di liberazione globale e completa. E questa liberazione avviene “oggi” dice Gesù. Per il Signore esiste l’oggi. La Comunità cristiana, io come cristiano, sono messianico nella misura in cui m’impegno a realizzare le promesse di Dio oggi, che proclama la liberazione dal peccato, la giustizia ai poveri e agli oppressi, che da cibo a chi a fame. Sono questi gli esercizi di misericordia che attualizzano la missione di Gesù. Noi siamo chiamati con Gesù a fare questo, a collaborare con lui perché la salvezza si realizzi attraverso la misericordia. Buona domenica!

di rimpiangere il passato e preferisce inventarsi e contribuire alla creazione del futuro. Da un lato la grande riforma del lavoro, che introduce flessibilità e novità contrattuali, dall’altra le imprese che devono far quadrare i bilanci e cercano operatori professionali capaci e competenti. Non c’è più spazio per pressapochismi e fannulloni, il Paese ha bisogno di persone disposte a guardare avanti , persone appassionate, disposte ad investire nella propria formazione e a creare un nuovo modello di lavoro professionale. Il terreno della professionalità e del rispetto è il terreno dello sviluppo di nuove professionalità.La Legge 4/2013 ha come obiettivo la regolamentazione delle professioni non ordinistiche. Consente agli operatori che svolgono professioni non riconosciute in ordini di organizzarsi e riunirsi in associazioni, stabilendo criteri di qualità misurabili. Recepisce una direttiva europea, già applicata in altri Paesi che vedono il confronto e la competizione come l’elemento sano della modernità. Il COLAP (Coordinamento delle libere associazioni professionali), è l’organizzazione che coordina e promuove la crescita professionale delle professioni non ordinistiche in Italia e che si batte per l’applicazione di criteri di qualità misurabili alla professioni. IL COLAP Aderisce a Civicrazia, si rispecchia nei suoi valori e come Civicrazia promuove innovazione competenza, confronti costruttivi e educazione continua. Avere gli stessi valori consente di convergere su obiettivi comuni e di acquisire maggiore forza a favore del cambiamento.


Ecclesia

23 gennaio 2016

kaire@chiesaischia.it

Di Antonio Magaldi

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ufficio proprio del Sacerdote è d’essere mediatore tra Dio e il popolo, in quanto trasmette al popolo le cose divine, e per questo “Sacerdote” equivale a ”datore di cose sacre”» (Tommaso D’Aquino Summa Theologiae III) Non dimentichiamo, che, colui che ci dona Gesù nell’Eucaristia, è proprio il Sacerdote. Se non ci fosse il Sacerdote, non esisterebbe né il Sacrificio Eucaristico, né la presenza reale di Gesù nel Tabernacolo. È solo il Sacerdote, l’uomo di Dio, difatti, è solo il Signore che sceglie gli uomini con una vocazione specialissima. Se la comunità parrocchiale, non sta al fianco del suo Sacerdote e non prega per Lui, il Sacerdote rimane solo. Ho compreso, quanto siamo responsabili gli uni per gli altri. Oggi è molto difficile per il prete, restare fedele! Dobbiamo pregare per Lui e

Dell' Ordine Francescano Secolaredi Forio

Il sacerdote aiutarlo, non ha bisogno dei nostri giudizi, ma delle nostre preghiere e del nostro amore. Collaboriamo con Lui, condividiamo la sua vita, ma non abbiamo la consapevolezza di quanto è importante sia la sua presenza. Il Signore semina doni abbondanti attraverso il prete: “Nessuno può attribuire a se stesso quest’onere, se non chi è chiamato da Dio” (Eb 5,4). Stando alla scuola dell’Eucaristia, il Sacerdote impara ad essere l’uomo degli altri: - Non vive per essere servito, ma per servire – (25/03/81 S. Giovanni P. II). “Lasciate una parrocchia per vent’anni senza prete e la gente incomincerà ad adorare le bestie”. Sono parole forti

pronunciate dal S. Curato d’Ars con tanta saggezza. Volendo guardare con occhi realistici la situazione attuale, ci sono molte persone che svolgono l’azione dell’anticristo: uccidere l’anima e il corpo delle persone. La mancanza del prete in una comunità si sente quando egli viene a mancare. Il prete è un generatore di valori, è una sentinella sulla frontiera dell’autenticità della vita, è il custode della presenza di Dio, è il difensore della dignità umana. Ecco l’invito di Gesù ai sacerdoti: «Mi credano i miei sacerdoti… diano ascolto al grido del mio Cuore… Cerchino di riempirsi di questo ineffabile Spirito di Amore, eterna Fiamma in cui tutto viene vivificato… per poter poi trasmetterla, in

qualunque modo loro possibile nei cuori dei loro fedeli. È necessario che il mondo sia rinnovato in questa Divina Carità» (Dal libro Potenza Divina d’Amore – Gesù a M. C. Venturella ispiratrice dell’Opere dello Spirito Santo - 03/11/1966). Vi prego, soffriamo e preghiamo per i sacerdoti, senza stancarci mai. La conclusione a Papa Francesco: «…L’apostolo deve sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia ovunque si trova. Un cuore pieno di Dio è un cuore felice che irradia e contagia con la gioia tutti coloro che sono intorno a sé: lo si vede subito! Non perdiamo dunque quello spirito gioioso, pieno di humor…» (22/12/2014)

La tenerezza di Dio

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urante l’Udienza generale di mercoledì 13 gennaio, Papa Francesco ci ha parlato della misericordia di Dio nella prospettiva biblica presente nell’Antico testamento e precisamente del brano in cui il Signore si proclama a Mosè come “misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e fedeltà” e questa Sua misericordia ci fa ricordare la tenerezza di una madre. Il Signore è “misericordioso”: questa parola evoca un atteggiamento di tenerezza come quello di una madre nei confronti del figlio. Infatti, il termine ebraico usato dalla Bibbia fa pensare alle viscere o anche al grembo materno. Perciò, l’immagine che suggerisce è quella di un Dio che si commuove e si intenerisce per noi come una madre quando prende in braccio il suo bambino, desiderosa solo di amare, proteggere, aiutare, pronta a donare tutto, anche sé stessa. Un amore, dunque, che si può definire in senso buono “viscerale”. La vita oggi è difficile perché i rapporti si sono fatti duri, senza prossimità, anaffettivi, e gli uomini e le donne del nostro tempo sentono soprattutto il bisogno di tenerezza. Tenerezza come sensibilità, apertura all’altro, capacità di relazione in cui emergono l’amore, l’attenzione, la cura. La tenerezza è l’ altro nome della misericordia che è l’essere e l’agire di Dio. Se l’uomo è sempre

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meno capace di misericordia, di tenerezza, di compassione, di relazioni autentiche, di prossimità Dio si sostituisce alle mancanze umane incarnandosi e seminando amore e ispirando l’uomo all’amore. In questo contesto rifulge l’insegnamento e l’esperienza cristiana di S. Francesco d’Assisi che dopo aver scoperto la misericordia che Dio gli usava ha aperto il suo cuore ai miseri, ha usato, a sua volta, misericordia verso le donne e gli uomini del suo tempo. L’amore di S. Francesco inizia da un incontro che trasformò

la sua esistenza facendolo rinascere alla vita nuova del Vangelo. E’ “ l’incontro-scontro” con il lebbroso, i poveri più emarginati e temuti del suo tempo: «Quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra i lebbrosi e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo» (FF 110). Dall’incontro con il lebbroso S. Francesco incontra l’Amore imparando ad amare, riceve e dona misericordia, tene-

rezza, comprensione, forza e gioia. Ed è sperimentando la grazia della misericordia di Dio che il Poverello d’Assisi riscopre anche la devozione e l’affetto per Maria, madre della misericordia e del Figlio di Dio fattosi tenerezza per il mondo: «Circondava di indicibile amore la Madre del Signore Gesù, per il fatto che ha reso nostro fratello il Signore della Maestà e ci ha ottenuto la misericordia» (FF 786). Colui che in nome del Padre, ha rimesso i peccati persino a chi non glielo aveva chiesto, Colui che ha guarito anime e corpi senza nulla in cambio, Colui che ha pagato per chi lo torturava e lo crocifiggeva, ci ha rivelato un Padre che supera immensamente la migliore paternità che possiamo immaginare. Su una paternità simile la nostra speranza riposa sicura. Se pecchiamo sappiamo che ci perdona, purché vogliamo veramente tornare a Lui. Se falliamo nella nostra vita con le nostre scelte sbagliate, con le nostre imprudenze, con le nostre superficialità, Egli è capace di volgere al bene i nostri stessi errori purché siamo disponibili a ritornare ai suoi progetti. Nulla Egli vuole né permette nella nostra vita che sia per il nostro male: questo è il motivo del nostro ottimismo, questa è la forza della nostra speranza.


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Televisione 23 gennaio 2016

DA SAPERE

Il canone tv nella bolletta elettrica Novità introdotta con la legge di stabilità 2016. Primo prelievo a luglio. Regole ancora de definire su area di applicazione, autocertificazioni ed esenzioni. Alcune indicazioni per fare chiarezza Di Massimiliano Casto

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ella legge di Stabilità del 2016 approvata a fine anno, tra le tante novità una è di particolare importanza perché riguarda tutte le famiglie italiane che hanno un televisore e che quindi sono costrette a pagare il canone di abbonamento. Infatti a partire da quest’anno il famoso balzello si pagherà attraverso la bolletta dell’energia elettrica che riceveremo dal 1 luglio ma solamente per la prima casa. Con questa nuova disposizione fiscale tutti i fornitori di elettricità saranno costretti ad aggiornare la fatturazione sulla base di un imminente decreto attuativo ed ovviamente nella bolletta di luglio troveremo gli arretrati dei sei mesi precedenti pari a 60 euro. Regna comunque ancora tanta confusione ma è stato già chiarito che il canone si pagherà solo sulla prima casa e una sola volta nella famiglia, a condizione che i coniugi e/o i figli siano tutti residenti nello stesso immobile. Inoltre nel caso di coppia di coniugi con residenze in due immobili diversi, su entrambi gli immobili la società elettrica addebiterà, nella bolletta, il canone. Lo stesso dicasi per i figli: se questi ultimi cambiano residenza dovranno pagare il canone nell’immobile anche se in locazione o in comodato. Quindi nella residenza anagrafica del contribuente che ha un contratto di energia elettrica, da ora, si presume la detenzione di un televisore, ma tale presunzione va, eventualmente, superata presentando una regolare autocertificazione che avrà validità annuale. Inoltre le autocertificazioni, da recapitarsi presso qualsiasi sportello dell’Agenzia delle Entrate, dovranno essere presentate solo in caso di cambiamenti o esenzioni. Il decreto non fa riferimento al possesso di smartphone, tablet e PC. La nota positiva è che l’importo del canone è stato ridotto da 113,50 a 100 euro l’anno e che dal 2017 sarà diviso in 10 rate da 10 euro, da Gennaio a Ottobre (20 euro a bolletta) e quindi non si pagherà sulla bolletta dell’ultimo bimestre dell’anno.

Tale rivoluzione del canone televisivo con il pagamento nella bolletta dell’energia elettrica riguarderà molti contribuenti ma non tutti. Una parte di italiani dovranno pagare il canone Rai con i bollettini con scadenza 31 gennaio 2016, così come avveniva già negli anni passati. Infatti, bisogna sottolineare che la novità del pagamento del canone in bolletta riguarda soltanto le famiglie, ovvero la riscossione del canone televisivo ordinario, e non

attività commerciali che pagano il canone speciale. Per questi canoni speciali (attività commerciali) resta tutto invariato rispetto al 2015. In definitiva, il canone di abbonamento televisivo in bolletta sarà pagabile nella bolletta dell’energia elettrica soltanto da chi soddisferà un requisito fondamentale: residenza anagrafica nel luogo in cui viene fornita l’energia elettrica. Solo nel caso, quindi, che si abbia la residenza e l’intestazione

del contratto di fornitura dell’energia elettrica nello stesso immobile il canone Rai sarà addebitato in bolletta. In tutti gli altri casi si dovrà continuare a pagare il canone Rai con i bollettini a scadenza il 31 gennaio 2016. Il pagamento avverrà con la bolletta sia per chi ha un contratto con una compagnia elettrica del mercato libero che per chi è coperto dal servizio di maggior tutela (la stragrande maggioranza degli italiani). E’ utile ricordare che è prevista anche l’esenzione dal pagamento solo per chi ha compiuto 75 anni di età entro il termine di pagamento del canone ma a condizione che possieda un reddito che, unitamente a quello del proprio coniuge convivente, non sia superiore complessivamente a 8mila annui. Vediamo in sintesi come bisogna comportarsi. Chi deve pagare Il canone di abbonamento televisivo è dovuto una sola volta per nucleo familiare: al pagamento, per la stessa famiglia, dunque è sufficiente che provveda un unico soggetto. Possesso di più di un televisore Risulta dovuto un solo canone di abbonamento indipendentemente dal numero di apparecchi televisivi presenti all’interno dell’abitazione del nucleo familiare. Possesso di più di un immobile Anche in questo caso, è dovuto un solo canone televisivo indipendentemente dal numero di immobili posseduti dal nucleo familiare. Verrà richiesto il pagamento solo nella bolletta in cui il nucleo familiare ha la propria residenza anagrafica. Possesso di una seconda abitazione abitazioni con residenze diverse Qualora una coppia detenga una seconda abitazione e i coniugi abbiano due residenze diverse la situazione si complica. Nonostante, come detto, sulla seconda casa non scatti l’imposta sulla televisione in quanto non vi viene stabilita alcuna residenza, quando uno dei due coniugi vi ha fissato invece la rispettiva residenza, sarà costretto a pagare il canone Rai anche sul secondo immobile in quanto la società elettrica addebiterà, sul correlato contratto di energia elettrica, il relativo importo.


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Teatro

23 gennaio 2016

kaire@chiesaischia.it

Improvvisazione teatrale Di Gina Menegazzi

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ersonalmente non riesco a considerare del tutto i Match d’Improvvisazione Teatrale un vero e proprio spettacolo di Teatro; li vedo più come un’esibizione, in cui quello che viene offerto al pubblico, oltre al divertimento, è la bravura degli attori, che si trovano a creare storie estemporanee senza nemmeno un canovaccio, cosa che spesso al pubblico sembra impossibile. Ciò non toglie che il divertimento possa essere davvero tanto, quando si fondono magicamente capacità di stare in scena, battuta pronta, caratterizzazione dei personaggi nel breve arco di pochi minuti e creazione di una storia. Perché questa è l’Improvvisazione Teatrale, andata in scena sabato 16 e domenica 17 al Polifunzionale, con la partecipazione degli Strani Tipici Aurora Cecchi, Maria Elena Verde, Luigi Mennella, Cenzino Di Meglio, Luigi Boccanfuso, Vito Maria Impagliazzo, e dei romani Chiara Buglione, Lara Ceccarelli, Luciano Riviello e Piero Savastano. Alla tastiera Carlo Meoli. Sotto la guida dell’arbitro Giovanni Dallargine, molto severo e pronto a rilevare falli non sempre evidenti per il pubblico, le due squadre - di quattro o cinque individui l’una - più che affrontarsi in una vera e propria sfida, mescolano i propri elementi per costruire una storia per quanto possibile credibile e divertente, in un tempo medio di 3-5 minuti (raramente si arriva a 7), sulla base di un titolo dato. E alla fine il voto del pubblico, invitato a esprimersi per l’una o l’altra squadra, non è poi così fondamentale.

Certo, se si sanno già i meccanismi del gioco è più facile seguirlo, se si conoscono i film di Almodovar e di Quentin Tarantino, o la scrittura di Shakespeare e dei romanzi fantasy, si potrà apprezzare meglio l’aderenza a questo o a quel “modello” e la risata sarà più piena. Ma quello che mi piace di più dei Match d’Improvvisazione Teatrale, definiti “lo spettacolo più rappresentato al mondo, ma sarete voi gli unici spettatori” (proprio perché lo spettacolo è sempre diverso e…improvvisato) è l’elasticità che sviluppano gli attori. La formazione di un improvvisatore è quindi un’ottima scuola, che tutti dovrebbero seguire almeno per un po’, per imparare a reagire velocemente e a interagire con gli altri, a rispettarne le idee, le proposte,

senza voler prevaricare, a tirar fuori quel po’ di coraggio e di faccia tosta, ma anche di umiltà, che nella vita sono indispensabili.Come dice Arlecchino nell’inno dei Match: “in fondo, improvvisando io ho girato il mondo!”. Lucia De Luise

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e 24 gennaio artù in Il gran ballo di Cinerello di Salvatore Ronga

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