Kaire 03 Anno III

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isola d’Ischia si riscopre solidale, famiglia, orgogliosa di dare. In questo ultimo periodo pre e post natalizio, attraverso la Caritas diocesana abbiamo potuto constatare quanta voglia di misericordia e solidarietà c’è negli isolani. E’ un coinvolgimento che va incoraggiato e sostenuto. E soprattutto, se fatto insieme, è un modo di poter fare un’esperienza di famiglia diocesana. Questo è uno dei compiti della Caritas diocesana che in questi giorni, attraverso il centro diocesano Giovanni Paolo II di Forio, ma anche attraverso aiuti mirati, ha potuto dare un sostegno a coloro che vivono da soli, a chi ha bisogno di un abbraccio, un pacco di pasta, una carezza, un po’ di ascolto… Il centro diocesano di Forio ogni giorno vede l’aiuto di tanti volontari che provengono da ogni parte dell’isola per poter fare questa esperienza di famiglia, di solidarietà e misericordia. In pochi mesi è diventato un punto di riferimento per il territorio isolano. Gli ospiti del centro hanno assistito a concerti natalizi di cori parrocchiali, pranzi di solidarietà, serate di festa, veglie di preghiera, incontri di famiglie per poter dare un sostegno, un sorriso, una mano per sollevare l’animo di qualcuno. E, cose sempre, l’esperienza è sem-


pre quella di andare lì per donare….ma poi torni a casa più carico di quanto hai donato. Provare per credere! Chiedete al vostro parroco di poter fare come parrocchia un pomeriggio al centro e poi mi direte!!! La famiglia del centro diocesano di Forio in questi giorni si è allargata perché da qualche giorno sono stati accolti alcuni immigrati: 6 giovani provenienti dal Mali e dalla Costa D’Avorio PRANZO DI SOLIDARIETA’ ALL’ALBERGHIERO Nei giorni scorsi la Caritas Diocesana, in collaborazione con l’istituto alberghiero V. Telese ha organizzato un pranzo di solidarietà proprio nei locali dell’istituto scolastico di Fondobosso. Un’esperienza nuova ma nel contempo interessante, perché ha visto coinvolti per la prima volta docenti e alunni, insieme al preside Mario Sironi entusiasta dell’iniziativa. Al pranzo hanno partecipato circa un’ottantina di persone, ma la gioia più grande è stato poter vedere i ragazzi dell’istituto che con grande professionalità svolgevano il loro lavoro per coloro che hanno bisogno concretamente di un aiuto… è stato un modo per fare solidarietà anche in questo modo. Al pranzo vi ha partecipato anche il vescovo Pietro che ha ringraziato tutti, spronando gli organizzatori ad andare avanti per aiutare chi si trova in situazioni di disagio, perché non possiamo girarci e far finta di niente. Dobbiamo essere solidali, è la nostra strada per la salvezza. Il preside Sironi avendo saputo che al centro diocesano di Forio c’è un finlandese che ha perso la memoria, ha deciso di regalare una tastiera al centro Caritas, perché “la musica potrebbe aiutarlo a ricordare e fargli ritornare la memoria”. E’ un bel gesto concreto di misericordia e solidarietà. GLI AIUTI CARITAS Ogni mese la Caritas Diocesana aiuta circa 500 famiglie sul territorio isolano attraverso il banco alimentare. Se in passato la realtà era legata per di più all’extracomunitario, oggi gli aiuti convergono molto sugli isolani che non hanno lavoro o ce l’hanno per soli sei mesi l’anno e non riescono ad arrivare a fine mese. Una solidarietà che travalica l’aiuto materiale e che va oltre cercando di aiutare la persona in piccoli gesti concreti. Tanto si è fatto finora, ma ogni giorno c’è la voglia di fare ancora di più per poter aiutare il prossimo. L’incoraggiamento arriva non solo dal direttore dell’ufficio diocesano don Gioacchino Castaldi, ma anche dal vescovo di Ischia Pietro Lagnese a cui stanno a cuore soprattutto gli ultimi, coloro che vivono in situazioni di disagio, gli emarginati della società. IL CENTRO-AIUTO AI TOSSICODIPENDENTI Grazie all’aiuto della comunità Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi e attualmente guidata da Paolo Ramonda (nelle pagine successive trovate l’intervista e la sua catechesi in occasione del giubileo), Padre Pietro, avendo visto quanto sia diffusa sulla nostra isola la piaga della dipendenza da stupefacenti, ha voluto dare una mano anche in tal senso a chi soffre. E così presto avremo un centro diocesano di aiuto per gli isolani che non possono fare a meno di stupefacenti. Il fenomeno non è da meno e molte famiglie isolane non sanno cosa fare per aiutare un proprio familiare che vive questa sofferenza. Sappiamo benissimo che ormai la dipendenza è cambiata. Non solo più da stupefacenti, ma anche alcool, sesso e soprattutto gioco d’azzardo. La Chiesa di Ischia non può far finta di niente. Aiutare chi soffre è nel dna di ogni cristiano, di ogni persona di buona volontà.

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bbiamo contattato il preside dell’Istituto alberghiero “Telese”, il prof. Mario Sironi per avere un suo commento sul pranzo della solidarietà Preside ci dia un suo commento all’evento. “E’ andato tutto bene siamo tutti molto contenti e speriamo sia stato così soprattutto per gli invitati al pranzo. I ragazzi e i docenti erano felici di questa nuova iniziativa promossa in istituto. La mia idea, che ho subito condiviso col Vescovo Lagnese e don Gioacchino Castaldi, è che questo pranzo di solidarietà potrebbe diventare un momento fisso, ogni anno, qui da noi. E’ un modo per sensibilizzare i ragazzi affinché capiscano cosa vuol dire fare solidarietà e aiutare il prossimo. Spero davvero che siano rimasti contenti gli ospiti e tutti i volontari Caritas”. Com’è nata questa collaborazione fra l’alberghiero e la Caritas? “E’ stato molto semplice. Mi ha contattato il direttore della Caritas diocesana, don Gioacchino Castaldi proponendomi questa iniziativa e noi abbiamo subito risposto positivamente perché non poteva che essere un’occasione unica per i nostri ragazzi e tutto il personale” Quante persone hanno partecipato al pranzo? “In tutto erano circa un’ottantina di persone. Ne erano previste sessanta, ma per fortuna prepariamo sempre più portate per coloro che potrebbero aggiungersi all’ultimo. Ne è valsa la pena. Chef, ragazzi, i docenti hanno potuto gioire per questa ottima iniziativa. Speriamo quindi di replicarla presto.”


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uali sono le richieste di assistenza più frequenti che arrivano al SERT? Il grosso è l’eroina. Sarà fuori moda, ma a Ischia non si è mai interrotto il consumo di questa sostanza, alla quale se ne sono aggiunte altre. Di quali altre sostanze stiamo parlando? Cocaina, exstasy, crack e allucinogeni di vario tipo per lo sballo del sabato sera la cui assunzione a lungo termine distrugge le cellule celebrali, inebetisce. Come si arriva a diventare consumatori di eroina? Generalmente chi abusa di cocaina, che è un eccitante, poi ha bisogno ad un certo punto di arginare l’effetto: “di spegnerla” e dunque ha la necessità di ricorrere ad alcolici o all’eroina. L’eroina, dal canto suo, produce come ben si sa una dipendenza fisica oltre che psicologica, dalla quale difficilmente si riesce a venir fuori. Allora la cocaina e le pasticche non danno dipendenza? Possiamo dire di no perché quando si smette di assumere cocaina gli unici sintomi avvertiti dal soggetto sono stanchezza, senso di abbattimento, depressione. Ancor meno questi sintomi li avvertono i consumatori di pasticche. Dunque i dati del SERT sono assolutamente relativi… Si, perché questo tipo di consumatore certamente non ha bisogno di rivolgersi al SERT. Mentre per l’eroina, qualora si fosse istaurata un’assunzione costante, c’è il rischio che questa diventi una dipendenza anche dal metadone che il servizio sanitario offre per la disintossicazione. Può spiegarci meglio? Chi volesse disintossicarsi dall’eroina, se davvero fosse motivato, potrebbe farlo anche autonomamente. In realtà i più fragili sono coloro che non hanno preso veramente questa decisione o magari hanno alle spalle famiglie disfunzionali e continuano a venire semplicemente per drogarsi con il metadone acquisendo una doppia dipendenza. Che cosa intende per famiglia disfunzionale? Dove c’è un figlio con questo tipo di problema c’è una famiglia disfunzionale al cui interno ci sono difficoltà di comunicazione, genitori assenti, indifferenti o magari incapaci di affrontare il problema perché loro stessi non hanno un’identità personale ben definita. Sono in balia dei modelli consumistici che questa società

propone: vali se possiedi, senza badare alle modalità con cui si arriva a possedere. Spesso i figli sono in competizione con la famiglia e viceversa, almeno per quanto riguarda una delle figure genitoriali. Altre volte, i problemi psicologici che spingono un ragazzo a far uso di sostanze, si possono riscontrare in maniera speculare nei genitori, vale a dire che i problemi personali non risolti dagli adulti si trasmettono ai figli. Questo vale per ogni comportamento socialmente lesivo. Chi è l’ischitano drogato? Ischia è atipica. Non vi aspettate di trovare segni esteriori che possano caratterizzarlo: non ci sono straccioni. Son tutti bravi ragazzi con una particolare attitudine a mentire a loro stessi e agli operatori del servizio: tutti dicono di volersi disintossicare ma semplicemente per convincerci a somministrare loro il metadone. In poche parole non c’è la voglia di affrontare il problema alla radice. Sull’isola il consumatore medio ha tra i 30 e 40 anni, anche se ci sono diversi ragazzini ventenni e anche qualche minorenne. Dunque, se questi ragazzi vengono per il metadone, possiamo ipotizzare un fallimento del principi istitutivi del SERT, almeno sull’isola? Lo Stato ha istituito i SERT, ma in realtà sono attualmente solo dei servizi di contenimento sociale, servono ad impedire che queste persone possano provocare danni alla società, viene disattesa tutta la parte riguardante la riabilitazione della quale pare non freghi niente a nessuno. Le risorse non ci sono e lo Stato non le fornisce. Noi ad esempio avremmo bisogno di uno staff ben più ampio di quello del quale disponiamo per offrire assistenza adeguata non solo al consumatore, ma anche alle famiglie. Molti progetti, finanziati dallo Stato, che nascono per dare soluzione a questo problema, in realtà servono solamente a fornire pro-tempore lavoro. Quale strada indicherebbe allora non solo nella cura ma nella prevenzione del problema? Bisognerebbe educare gli educatori in qualsiasi ambito: scolastico, familiare, parrocchiale. In concreto qualunque contesto sociale deve diventare occasione per veicolare principi attraverso comportamenti coerenti, valori strutturanti l’essere umano. Non puoi dire a tuo figlio che il gioco d’azzardo è pericoloso e poi lo mandi a compare i gratta e vinci. Accusato numero uno è lo Stato che lucra sul gioco d’azzardo e poi negli spot pubblicitari ci raccomanda di giocare con prudenza sottolineandoci la pericolosità di certe pratiche.


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aolo, avevi 19 anni, 35 anni fa, quando ti sei tuffato in questa realtà di don Oreste Benzi, se tu dovessi sinteticamente dire chi era questo prete, questo pazzerello di Dio…, io lo definivo “un bambino incantato”… “Era un innamorato di Gesù. La sua vocazione l’ha scoperta a 7 anni: sentendo la sua maestra parlare così bene degli scienziati, degli esploratori, dei sacerdoti, è tornato a casa e ha detto a sua mamma “Mamma, mi faccio prete!” e non ha più cambiato idea. Era talmente innamorato del suo essere prete che ci ha fatto innamorare tutti della nostra vocazione, quindi chi si è sposato, innamorato dell’essere sposato… Il professor Zamagni, un economista, dice “io sono innamorato del contributo che posso dare attraverso l’economia, ma l’ho imparato da don Oreste!”. Ricordo quando eravamo a Colonia, alla Giornata Mondiale della Gioventù: stavamo sul palco in attesa che arrivasse papa Benedetto, e don Oreste camminava avanti e indietro sul palco, mi aveva chiesto di accompagnarlo. C’erano tutti i cardinali, i vescovi… ma a un certo punto era così impressionante la folla immensa di giovani, e ancora giovani, che lui si è messo a esclamare: “L’anima mia magnifica il Signore! L’anima mia magnifica il Signore!” e mi portava da una parte e dall’altra, sempre esclamando. “L’anima mia magnifica il Signore!”. Così ricordo sempre don Oreste come questo bambino che viveva in un’altra dimensione, però allo stesso tempo, ricordo la sua concretezza, la sua forza, questo suo gridare la verità di Dio, andando controcorrente, anche rischiando di persona. “Lui diceva che non c’è nessuno di più impegnato su questa terra di chi è immerso in Dio. Dava del tu al Signore, come un bambino al papà, e proprio per questo aveva un’umanità ricchissima: quando incontrava le persone veramente li sentiva come figli di Dio, come suoi fratelli, parte della stessa famiglia. Aveva costruito una cella interiore, un’unione col Signore, con cui parlava, con cui dialogava sui problemi che incontrava… e poi, quando incontrava la gente era un padre affettuoso, generoso, anche severo, a volte, ma di un’umanità disarmante per cui anche chi lo

incontrava per la prima volta sentiva come quando incontri i santi, e non sai perché, ma dici “C’è qualcosa di Dio, in quest’uomo”!” Ricordo una frase che ci ha ripetuto ogni volta che lo abbiamo incontrato: “Ho paura non della cattiveria dei pochi, ma del silenzio dei buoni.” “Sì, l’indifferenza, quello che diceva anche Madre Teresa. Lui nell’incontro che faceva con noi scuoteva la nostra parte più importante, cioè la bellezza, i talenti che Dio ha messo dentro ognuno di noi. A volte quei talenti noi li teniamo un po’ nascosti, e lui li smuoveva, li faceva venire fuori, li rendeva belli. E dava delle responsabilità, diceva “tu hai un compito, una missione nel mondo, nella storia, quello che potrai dare tu non lo potrà dare nessun altro. Quindi chiediti che cosa il buon Dio vuole da te, mettiti in preghiera, confrontati con la comunità, e poi dì il tuo sì su dei piccoli impegni, piccole responsabilità.” Che cosa significa per te essere il primo successore di don Oreste? “Io ho la consapevolezza dei miei limiti, davvero tanti, però sento anche che noi siamo come degli amministratori. Don Oreste ha passato il testimone, come io lo passerò ad altri, però il protagonista della vita cristiana, della vita della chiesa, del bene che si fa nel mondo è veramente lo Spirito Santo, accolto den-

tro la nostra umanità. Sento di dovere, con i miei limiti, donarmi, per quel che sono capace, con tutto me stesso, con responsabilità, con sacrificio, con intelligenza d’amore, con dedizione ai fratelli. Don Oreste, a quello che sarebbe venuto dopo di lui diceva: “Devi fare solo due cose: stare in ginocchio per i tuoi fratelli, e incontrarli a tu per tu.” Ed è quello che cerco di fare: stare un po’ in ginocchio ogni giorno per i miei fratelli e poi girare il mondo, in tutte le famiglie e le comunità, per ascoltare la loro vita, la loro gioia, i loro pianti. E questo mi fa crescere anche tanto, e quindi mi dà anche tanta forza”. Se tu dovessi, con una frase, dire che cos’è il carisma della Comunità Giovanni XXIII? “E’ quello di condividere direttamente la vita degli ultimi, mettere la spalla sotto la Croce, non delegare; farlo noi di persona, direttamente, la condivisione diretta con i poveri, questo è il carisma”. Voi verrete anche qui a Ischia e inizierete questa esperienza anche nella nostra diocesi isclana, cioè verrete a condividere personalmente con i poveri, in modo particolare coloro che vivono la dipendenza dalla droga, che colpisce purtroppo tanti nostri giovani. “Quando un vescovo chiama, don Oreste ci diceva che bisognava correre, perché lì è Dio che chiama, e di-

ceva anche che non dobbiamo perdere la coincidenza con Dio. Quindi abbiamo sentito la chiamata del vescovo monsignor Pietro Lagnese come provocazione, pro-vocazione, per sviluppare ancora la vocazione e abbiamo detto di sì. Abbiamo già individuato le persone che verranno e veniamo con tanta gioia nel cuore per camminare con voi, con questa gente, in questa bellissima terra”. Alcuni anni fa quando intervistai don Oreste eravamo in cammino sinodale e gli chiesi una parola d’incoraggiamento. Lui disse, a noi chiesa di Ischia: “Camminare insieme, fare esperienza di popolo”. Riprese questo concetto più volte: essere popolo di Dio, camminare insieme. Tu, come suo successore: un augurio alla chiesa d’Ischia? “Continuare a camminare insieme, nessuno escluso, cioè senza lasciare nessuno indietro, ma anzi che i piccoli, le persone che fanno più fatica vengano veramente tenuti in considerazione come delle perle preziose. Questo camminare insieme trasforma la comunità, la fa diventare veramente un popolo in cammino, come il popolo dell’Esodo che insieme cammina verso la terra promessa, verso la terra della libertà, della misericordia”.


II CATECHESI

Vestire gli ignudi è ridare dignità a chi l’ha persa Lunedì 11 gennaio si è tenuto in cattedrale il secondo incontro dedicato alle opere di Misericordia. A parlarci di Vestire gli ignudi è venuto Paolo Ramonda, responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi.

Di Gina Menegazzi

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opo aver ricordato la recente visita del nostro Vescovo presso la loro comunità, quando 95 giovani hanno festeggiato la fine del loro percorso di uscita dalla droga, Ramonda ha raccontato che alla fine degli anni ’60 don Oreste aveva costruito una casa sulle Dolomiti per far fare ai giovani un “incontro simpatico con Cristo”. Diceva che Cristo non è una filosofia, o un’ideologia, ma una persona viva, da incontrare. In questa casa ospitava i ragazzi disabili degli istituti riabilitativi di Rimini, dove era parroco; al momento del rientro, però, i giovani gli chiesero: “Perché non ci portate a casa vostra, a vivere nelle vostre famiglie?”. Nel 1973 così è nata la prima casa famiglia. Paolo Ramonda, con la sua sposa Tiziana, vive da 35 anni in una di queste case dove ha allevato i suoi tre figli naturali e altri nove figli diversamente abili. Da decenni, poi, la comunità è impegnata nelle carceri e ha aperto case per ospitare uomini e donne in una pena alternativa. Ha sottolineato Ramonda: “Molti sono stati abbandonati da piccoli; l’abbandono crea ferite tali, una violenza tale, che a qualcuno la faranno pagare. O fuori, o su loro stessi: pensate ai suicidi e a tutte le nuove patologie

e dipendenze. Ognuno di noi ha bisogno di essere amato, perché l’uomo non è il suo errore, o il suo handicap…” Negli ultimi anni la comunità si è aperta all’emergenza profughi. A un famoso politico che accusava Ramonda di “volerli salvare tutti”, la risposta è stata: “Tra salvare tutti e non salvare nessuno c’è il salvare qualcuno. (…) Non basta la commozione, è necessaria la rivoluzione dell’amore, che parte dal prendere su di noi la sofferenza del fratello.” Infine dal 1984 sono state create piccole comunità in terra di missione: Africa, America Latina, Asia. “Don Oreste diceva: “Dai, ci stai?” a costruire mondi nuovi, la civiltà dell’amore. Il mondo cambia nella misura in cui c’è il mio sì. Se ciascuno dice il suo sì nell’ambiente in cui Dio l’ha messo, il deserto fiorisce. Il mondo cambia se capiamo che prima c’è il noi, poi l’io. Diamo da mangiare ogni giorno a 41.000 persone, ne accogliamo più di 3.000 nelle 500 tra case famiglia, comunità terapeutiche, cooperative di lavoro, case di preghiera, pronte accoglienze, capanne di Betlemme. E ne apriamo di nuove. Perché mettendo insieme i beni, si moltiplicano, e noi, quando viviamo nella sobrietà, stiamo meglio, di corpo e di spirito.” Alla fine Padre Pietro ha osservato

che quella di Ramonda è “la testimonianza di un cristiano appassionato, un cristiano contento. Questa gioia, la stessa di don Oreste, nasce dalla combinazione di Vangelo e poveri: i tesori della Chiesa. Una volta don Oreste mi disse: “Quando incontro una coppia che sta vivendo un momento di crisi, io

dico loro «Volete accogliere un bambino diversamente abile?» Ma come, mi dicono, noi stiamo per separarci! «Provate ad accogliere un bambino diversamente abile!»: cioè uscite dal vostro egoismo e imparate a scoprire la bellezza di amare. Abbiamo bisogno di cristiani passionali, com’è stato don Oreste.”

IL REGALO

EUCARESTIA E POVERI Padre Pietro ha ringraziato Paolo Ramonda per aver accettato il suo invito ad aprire sull’isola una comunità per tossicodipendenti, e ha mostrato il regalo ricevuto da Paolo: un ostensorio a forma di barca a vela, fatto con il legno dei barconi dei migranti che sbarcano sulle nostre coste. “Le membra più deboli sono le più necessarie – ha detto il vescovo - i poveri sono un dono, non una zavorra, sono una grazia che ci è data perché possiamo vivere la bellezza e la gioia di essere cristiani, cominciando dal nostro piccolo, impegnandoci per dare dignità a coloro che l’hanno persa: per vestire gli ignudi.” Il Vescovo Lagnese ha deciso di collocare l’ostensorio nella cappella dell’Episcopio.


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n folto numero di fedeli ha accolto l’invito del parroco, don Antonio Angiolini, che, durante le celebrazioni che hanno preceduto l’evento, ha rivolto alla comunità. Ha esortato tutti a riunirsi in preghiera per prepararsi a vivere questo momento intenso di spiritualità e a non perdere la grande opportunità di ricevere l’abbraccio misericordioso del Padre. Nonostante il freddo intenso, la comunità parrocchiale di “Gesù Buon Pastore” si è riunita alle 17,00 presso la chiesa conventuale di S. Antonio in Ischia e, dopo qualche minuto di raccoglimento, il Parroco ha invitato tutti alla preghiera, dando così inizio al pellegrinaggio verso la Cattedrale. Sotto la guida del Parroco, raccolti e composti, pregando con fede, la comunità ha raggiunto la chiesa Cattedrale dove ha attraversato la Porta della Misericordia. Fraternamente accolti dal parroco don Carlo Candido e dalla comunità di S. Maria Assunta, i fedeli, entrati, hanno continuato a pregare in attesa di celebrare la Divina Eucaristia presieduta dal Vescovo Pietro che, nel frattempo, amministrava il Sacramento della Riconciliazione a quanti, numerosi, gli si sono accostati da penitenti per sperimentare l’amore di Dio che perdona e consola. Dopo la recita del Rosario, alle 18,00 ha avuto inizio la celebrazione della Santa Messa, presieduta dal Vescovo concelebrata da don Antonio e don Carlo, mentre il servizio liturgico è stato affidato al diacono Giovan Giuseppe con i ministranti di Gesù Buon Pastore. Il canto, animato dalla corale Buon Pastore, guidata dal maestro Manfra, ha fatto sperimentare tutta la bellezza della liturgia. Il Vescovo ha amabilmente accolto i fedeli con il saluto iniziale: “Inauguriamo i pellegrinaggi giubilari con la comunità di Gesù Buon Pastore che, col parroco don Antonio, viene nella chiesa Cattedrale per lasciarsi abbracciare dall’amore del Padre e per esprimere il desiderio di fare esperienza della misericordia del Padre insieme al Vescovo che vi accoglie con gioia mentre, insieme, ci riconosciamo peccatori e bisognosi del perdono di Dio”. I numerosi fedeli hanno ascoltato con grande raccoglimento la proclamazione della Parola di Dio e l’omelia donata da padre Pietro che ha esortato a essere comunità orante raccolta intorno

al proprio Parroco per chiedere a Dio: “Signore, fammi capire ciò che devo fare e dammi la forza di fare ciò che Tu vuoi da me, ciò che a Te piace. Ho bisogno del Tuo aiuto e della forza che solo Tu mi puoi dare, perché da solo non riuscirò a essere ciò che Tu vuoi che io sia”. Ha invitato a sperimentare la potenza della preghiera personale e comunitaria, perseverante, senza stancarsi, credendo fermamente che “stando in preghiera vicino a Lui saranno sanate le nostre ferite, le nostre infermità e i nostri dolori per una vita bella, vissuta nell’amore e nel perdono reciproco. Sia la vostra comunità, sotto la guida del Parroco, comunità che prega, che ascolta e che vive ciò che ascolta. Comunità che sappia annunciare la misericordia di Dio padre, con l’aiuto di Maria che ha pregato, ha ascoltato e ha creduto”. Tutta la celebrazione è stata vissuta intensamente dai convenuti che hanno gustato la tenerezza dell’abbraccio del Padre e la dolcezza di essere Chiesa radunata col proprio parroco, intorno all’amato vescovo Pietro, nella bella e accogliente chiesa Cattedrale, Chiesa Madre per tutti i fedeli della Diocesi di Ischia.


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opo la parrocchia Gesù Buon Pastore, primo dei 25 pellegrinaggi parrocchiali previsti dal calendario giubilare, è stata la volta della parrocchia di Santa Maria di Portosalvo. I pellegrini radunati alla chiesa conventuale di S. Antonio insieme al parroco don Luigi De Donato hanno proseguito in processione, pregando, verso la Chiesa giubilare della Cattedrale ove sono stati accolti dal Vescovo Pietro. La semplice e bellissima immagine del crocifisso sospeso sull’altare ha polarizzato subito lo sguardo e l’attenzione dei pellegrini verso il vero significato di quanto si andava a celebrare. Altrettanta bellezza e semplicità nell’omelia del Vescovo: “ricominciare ad essere comunità vere e per farlo basta guardare la giornata tipo di Gesù, cadenzata da 3 ricorrenze: Preghiera (dialogo con il Padre), Parola (annuncio della parola di Dio), Prossimo (portare Gesù, accogliere, aiutare chi è in difficoltà)”. E ancora l’incitamento: “tutti dobbiamo annunciare, non si può delegare. E’ compito di tutti i cristiani annunciare la parola di Dio, il suo messaggio d’amore”. Poi gli interrogativi che sono risuonati roboanti, nonostante sussurrati: “come stiamo vivendo questa opportunità? Stiamo agendo le opere della misericordia? Riusciamo a dire come Samuele, parla Signore che ti ascolto?” L’omelia del Vescovo terminava con l’augurio ai fedeli che la vergine S. Maria di Portosalvo, cui la chiesa è

dedicata, aiuti tutti a vivere i valori dell’accoglienza. Poiché, tali valori, oltre ad essere qualità propria del cristiano, sono predestinati per la particolare ubicazione della chiesa stessa. Il Vescovo Pietro chiamato a guidare la nostra comunità diocesana piena di contraddizioni, ferite, lacerazioni e tragici lutti è stato al centro delle intenzioni delle preghiere dei fedeli perché con la grazia di Dio e la sua misericordia guidi la chiesa di Ischia a riscoprire la via, la verità, la vita.


4.

Papa Bergoglio-Francesco Nell’articolo precedente avevo usato la metafora della danza per definire il rapporto stabilito da Dio col suo Popolo. Bisogna però onestamente confessare che forse ancora oggi manca una capacità della Chiesa di muoversi insieme, come Popolo tutto di Dio (e non solo come Pastori), pur apprezzando il notevole progresso che lo stesso Concilio ha motivato riguardo al campo d’azione proprio dei laici, nella Chiesa e nel dialogo col mondo (cf. soprattutto Lumen gentium e Gaudium et spes). Forse non a caso papa Bergoglio, il papa venuto “dalla fine del mondo”, nell’affacciarsi dalla loggia centrale della basilica di San Pietro, in occasione del suo primo saluto, dopo l’elezione a successore di Pietro, in quella serata di mercoledì 13 marzo 2013, invitò ad iniziare un “cammino di Chiesa”: “E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo… Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo (…) sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella!”. Il primo Papa gesuita e non europeo offre a tutta la Chiesa da un lato i risultati del cammino post-conciliare delle Chiese latino-americane (ha avuto un ruolo determinante nelle ultime assemblee della Conferenza delle Chiese Latino-Americane, per la stesura del “documento di Aparecida”, ad es.) e dall’altro il connubio tra la spiritualità di sant’ Ignazio di Loyola, santo della modernità, e quella di san Francesco, la cui forma Evangelii è proposta da Bergoglio (il primo papa che ha avuto il coraggio di assumere il nome del poverello di Assisi), come forma Ecclesiae, cioè posta come programma di governo di tutta e per tutta la Chiesa. La sua esortazione apostolica, Evangelii gaudium (2013), riporta con forza il vangelo e in particolare “la gioia del vangelo”, al centro dell’ azione missionaria della Chiesa. Sin dai primi mirabili

numeri, essa presenta in forma kerygmatica, cioè di annuncio semplice e diretto che va al cuore di ogni persona, il nocciolo del messaggio di Cristo, del suo essere nato, morto e risorto per tutti e per ciascuno, fondamento di nuova speranza e gioia di vivere: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni.” (EG, 1). Se papa Giovanni Paolo II aveva dovuto confrontarsi nel tempo della guerra fredda con l’ateismo militante di matrice comunista, se papa Benedetto aveva individuato nella “dittatura del relativismo” il pericolo più sottile per tutta la Chiesa, Francesco vede nell’individualismo una forma tipicamente occidentale che rovina la vita di tanti - impostata sul consumismo - che porta al vuoto e al non senso: “Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata” (EG, 2). Negli stessi termini ebbe modo di esprimersi anche quando si recò in visita alle Istituzioni europee (25/11/2014). Il Papa avverte che se si vuole guarire da questi

mali del nostro tempo, la medicina si trova solo nel rapporto diretto coi poveri, con gli esclusi, gli scartati: facendosi misericordiosi, si può ricercare la via della gioia interiore: “Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente.” (EG, 2) Ma la novità di Francesco è più ampia: questa gioia non è offerta solo a qualcuno spiritualmente più sensibile, ma è per tutti: è a portata di mano dell’intero Popolo di Dio! Una nuova tappa dell’evangelizzazione sta muovendo dunque i primi passi, con creatività, con entusiasmo, con slancio, in mezzo a un mondo cattolico - e non solo - che sembra a volte spento, vecchio, recalcitrante, infastidito da un qualcosa che lo possa al tempo stesso salvare dalla non-significanza che rischia di relegare il cristianesimo nei musei della storia. No, siamo sicuri che lo Spirito Santo, che mai abbandona la Chiesa, offra ancora oggi tutto ciò che serve, in santità e sue forme, per attrarre al Risorto quanti vorranno a Lui avvicinarsi! E lo sta facendo già da tempo, in dialogo e collaborazione feconda anche con quanti sono mossi “fuori dalla Chiesa” da intenti di pace, giustizia, fraternità universale che germogliano nel cuore e nella mente di ogni uomo. * Per continuare il dialogo con l’autore: pasqua.trani@ gmail.com


Fra Pierbattista Pizzaballa è Custode di Terra Santa dal maggio 2004. È nato a Cologno al Serio, in diocesi e provincia di Bergamo, il 21 aprile 1965 ed è sacerdote dal 15 settembre 1990. Ha vestito il saio francescano il 5 settembre 1984, entrando a far parte della Provincia di Cristo Re, dei Frati minori dell’Emilia Romagna. Il 14 ottobre 1989 ha emesso i voti solenni. Dopo il primo ciclo di studi filosofico-teologici ha conseguito il baccellierato in Teologia il 19 giugno 1990 presso il Pontificio ateneo Antonianum di Roma. Ha compiuto gli studi di specializzazione presso lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, ottenendo la licenza in Teologia biblica il 21 giugno 1993 e successivamente ha conseguito il grado di Master presso l’Università ebraica di Gerusalemme. È stato assegnato alla Custodia di Terra Santa nel luglio 1997. Ha svolto il compito di docente di ebraico biblico alla facoltà francescana di Scienze bibliche e di Archeologia a Gerusalemme e nell’ambito del patriarcato latino di Gerusalemme ha lavorato nella pastorale per i fedeli di espressione ebraica. Dal maggio 2001 al maggio 2004 è stato superiore del convento dei Santi Simeone e Anna, a Gerusalemme, dove ha sede una delle comunità cattoliche ebreofone. Dal 2005 al

2008 è stato anche vicario patriarcale (del patriarca mons. Michel Sabbah) per i cattolici di lingua ebraica. Il 18 marzo 2008 Papa Benedetto XVI ha nominato padre Pizzaballa, per un quinquennio, consultore della Commissione per i rapporti con l’ebraismo presso il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Dall’8 al 15 maggio 2009 Benedetto XVI compie un pellegrinaggio in Terra Santa e padre Pizzaballa fa parte del seguito ufficiale del Pontefice. In particolare gli dà il benvenuto, con due brevi discorsi, nella visita al Cenacolo (la mattina del 12 maggio) e in quella al Santo Sepolcro (la mattina del 15). Dal 24 maggio al 20 giugno 2009, in quanto Custode di Terra Santa, padre Pizzaballa partecipa, con altri 150 confratelli di tutto il mondo, al 187° Capitolo generale dell’Ordine dei Frati minori che si svolge ad Assisi. Con lettera del 22 maggio 2010 viene comunicato che il ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori, fra José Rodríguez Carballo, riconferma fra Pizzaballa alla guida della Custodia di Terra Santa per un altro triennio. Il 27 giugno 2013 fra Pizzaballa è stato riconfermato per altri tre anni Custode di Terra Santa dal ministro generale dei Frati Minori, fra Michael Perry, con il consenso della Santa Sede.

Quest’anno il tema della settimana di preghiera dell’unità dei cristiani è: “Chiamati per annunziare a tutti le opere meravigliose di Dio.” (cfr 1 Pietro 2,9). Abbiamo una nuova vita di Grazia: il Battesimo apre un nuovo cammino di fede, che unisce ogni fedele cristiano con il popolo di Dio. Dio ci ha scelto, senz’altro, non come privilegio, non perché noi siamo cristiani degni, non perché ne abbiamo diritto. Certamente ci ha scelto per raggiungere uno scopo. Battesimo – annuncio - chiamata costituiscono un percorso comune a tutti i battezzati di “annunziare a tutti le sue opere meravigliose” Come cristiani, quindi, siamo impegnati al servizio di Dio, nel portare a tutti il suo amore, che ci ha resi santi, non perché i cristiani siano più virtuosi degli altri, ma santi nella Grazia di Dio. La Veglia ecumenica di preghiera presieduta dal nostro vescovo Pietro, dalla pastora luterana Kirsten Thiele e dal prete greco ortodosso Florin Bontea sarà celebrata GIOVEDÍ 21 GENNAIO 2016 ORE 19.30 (ACCOGLIENZA 19.15) PRESSO LA CHIESA Di S. GIOVANNI BATTISTA – BUONOPANE. Vi invitiamo a condividere questo momento di preghiera e a darne diffusione perchè come dice papa Francesco : “ Il tempo della misericordia è ora”.


n nido materno in Cattedrale. Una chiesa dove c’erano più bambini che adulti. Per la prima volta la Chiesa principale della diocesi di Ischia si è trasformata in un piccolo asilo nido, accogliendo le famiglie e anche alcuni nonni. Emozionante vedere il corridoio della Chiesa pieno di carrozzini… Salvatore Nicolella e Maria Italiano dell’ufficio catechistico hanno dato il benvenuto ai partecipanti. Per l’occasione è stato portato il reliquiario dei santi coniugi Martin che in questi giorni stanno girando l’isola entrando nelle case delle famiglie per portare un po’ di santità. Con le reliquie è stato recitato il

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Santo Rosario insieme, e a seguire è stato proiettato un breve video di un’udienza di Papa Francesco che parlava dei bambini. Tutti i partecipanti sono rimasti colpiti dalla gioia del vescovo Pietro nel vedere i tanti bambini che hanno riempito la Chiesa. Egli ha quindi animato il pomeriggio di festa, coinvolgendo le famiglie con il canto “Alleluia delle lampadine”. “Avete sentito cos’ha detto il Papa? – ha detto Lagnese - Che i bambini sono un dono grande, straordinario, un regalo del Signore. Vi ringraziamo quindi per esserci. In ogni bambino in maniera del tutto speciale c’è la presenza del Signore. E’ per questo che i bambini sono sempre gioiosi, trasmettono purezza. Ci fa


bene guardare ai bambini, contemplarli, fare silenzio davanti a loro così come si fa silenzio davanti l’eucarestia”. E così ha raccontato una storia di un semplice papà, “che la sera prima di andare a dormire, benediceva il proprio bambino e poi si inginocchiava davanti a lui. Qualcuno gli ha chiesto il motivo! “Perché in lui è presente Gesù”. E così Padre Pietro ha chiesto a tutti i fedeli di guardare per qualche secondo i propri bambini...e dare loro un bacio e un abbraccio. E’ partito poi un lungo applauso di ringraziamento. Il vescovo Lagnese ha continuato ricordando che “i coniugi Martin hanno avuto 9 figli e chiedevano al Signore una cosa sola: che la vita dei loro figli diventasse Santa. Ed è quello che dobbiamo fare ogni giorno per i nostri figli e nipoti”. E così ha invitato tutti gli adulti (genitori e nonni) a pregare un Ave Maria per i propri figli e nipoti. Poi, cantando ancora una volta il coinvolgente alleluia delle lampadine, ha fatto salire tutti i bambini sull’altare per poter benedire e pregare per i genitori e i nonni. Durante l’incontro è stata fatta una raccolta soldi per poter avviare un’adozione a distanza – non è la prima

volta che qualche ufficio diocesano sostiene azioni del genere - per la crescita e l’educazione di un bambino. Alla fine una sorpresa: fuori dalla Chiesa c’erano alcuni palloncini bianchi dov’erano state legate alcune frasi sulla famiglia sulla vita. Tutti sono usciti fuori il sagrato e insieme al vescovo hanno fatto partire in cielo questi palloncini come gesto simbolico. Ai bambini poi sono stati consegnati tanti palloncini colorati. Padre Pietro ha dato la Sua personale benedizione finale, insieme a Gabriele, il bambino più piccolo (nemmeno due mesi) che ha partecipato all’evento.




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roprio quest’anno, per organizzare il Natale con il Cuore, è nato un piccolo coordinamento tra il Comune di Ischia, la Pastorale Giovanile e Sport, ed alcune associazioni sportive, e si è ben pensato insieme ad Ottorino Mattera, delegato allo sport per il comune, di dare un ulteriore sostegno alla manifestazione inserendo la collaborazione con “Mettiamoci in gioco - crescere scoprendo lo sport”, il percorso della Pastorale dedito alla riscoperta dei valori dello sport. “Natale con il cuore” si è svolto durante tutto il periodo delle vacanze natalizie, dal 20 dicembre al 10 gennaio, dove ogni società sportiva in una data stabilita svolgeva la propria festa di chiusura delle attività, e durante uno degli incontri di organizzazione, più responsabili delle varie società sentivano il desiderio di voler partecipare con tutti i loro atleti ad una Messa di Natale loro dedicata. Infatti mercoledì 30 dicembre, nel tardo pomeriggio, alla palestra del Polifunzionale si è svolto il “Natale dello Sportivo - Messa di fine anno” celebrazione presieduta dai co-direttori della pastorale don Gianfranco e don Marco. Alla celebrazione hanno partecipato un bel po’ di società, era una bella immagine vedere tanti giovani atleti, ognuno con le proprie tute di

rappresentanza che mostravano le categorie sportive di appartenenza, si respirava un bel clima, fraternità reale, espresso concretamente nel momento dell’offertorio, dove ogni atleta ha donato un oggetto riguardante il proprio sport porgendolo ai piedi dell’altare. Dopo Messa, c’è stato il momento dei saluti dove la Pastorale ha voluto donare un ricordo a tutti i partecipanti sotto forma di segnalibro, sul retro vi era riportato un ritaglio da un discorso di Papa Francesco: “E’ importante che lo sport rimanga un gioco! Solo se rimane un gioco fa bene al corpo e allo spirito. Vi invito a mettervi in gioco nella vita come nello sport. Mettervi in gioco nella ricerca del bene, nella Chiesa e nella società, senza paura, con coraggio ed entusiasmo. Mettervi in gioco con gli altri e con Dio. Non accontentatevi di un “pareggio” mediocre, ma date il meglio di voi stessi, spendendo la vita per ciò che davvero vale e che dura per sempre; non accontentatevi di una vita tiepida, vita “mediocremente pareggiata”

ma andate avanti, cercando la vittoria sempre!” Per chiudere in bellezza, dopo l’inizio del nuovo anno, si è pensata una festa che chiudesse la manifestazione, il 10 gennaio infatti c’è stata “La Befana in Pista”. Le società, il comune, la pastorale si sono ritrovati alla palestra della scuola Marco-


ni per un primo momento di giochi con i piccoli atleti, per poi dirigersi tutti insieme alla pista di pattinaggio nella piazzetta S. Girolamo, dove è arrivata la befana direttamente sui pattini per donare dolcetti ai bambini, anche qui, grazie soprattutto alla partecipazione dei più piccoli si è respirata una bella aria di festa che si percepiva notando la collaborazione concreta tra le varie società, magari rivali, sportivamente parlando, durante l’anno. E, proprio nell’occasione della festa conclusiva, dopo il momento dei ringraziamenti con la consegna di una targa di ceramica in ricordo della manifestazione, la Pastorale giovanile e sport ha presentato “Mettiamoci in gioco - crescere scoprendo lo sport” ai genitori, allenatori, accompagnatori lì presenti, invitandoli al secondo appuntamento di questo percorso di riscoperta ai valori dello sport. “Le valenze educative del movimento, del gioco e dello sport” titolo di questo secondo appuntamento, avrà come ospiti un’illustre figura del mondo del mondo del calcio nazionale ed internazionale, Alfredo Trentalange ex arbitro di Serie A e designatore arbitrale FIFA, e don Claudio Belfiore, salesiano e presidente CNOS Sport, che guideranno l’incontro proprio verso la scoperta

dell’importanza dei valori educativi dello sport. La Pastorale giovanile e sport invita tutti, genitori, atleti, istruttori, insegnanti a partecipare lunedì 18 gennaio ore 18 presso l’Accademia delle arti marziali in via Leonardo Mazzella - Ischia (scuola materna di Fondobosso/traversa hotel Continental Terme) al II appuntamento di “Mettiamoci in gioco - crescere scoprendo lo sport”!


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he la strada si apre passo dopo passo, ora su questa strada noi. E si spalanca un cielo, un mondo che rinasce e si può vivere per l’unità.” Con queste parole, tratte dal canto “Che la strada si apre”, possiamo descrivere l’esperienza meravigliosa, carica di emozioni, una più forte dell’altra, vissuta da oltre cinquanta ragazzi ad Assisi dal 2 al 5 gennaio. Il ritiro vissuto dai giovani provenienti dalle varie realtà della nostra isola è stata un’esperienza bellissima d’amore, gioia ed unità, forse impensabile per tanti. E’ stata la testimonianza viva che se ci si fida di Dio, si apre il cuore e lo si svuota di ogni peso avvengono meraviglie. I ragazzi si sono ritrovati sabato 2 gennaio di buon mattino ad Ischia porto per partire alla volta di Napoli. Nei loro volti si leggeva tanta felicità ed un mare di curiosità. Ognuno di loro stava per mettersi in cammino alla ricerca di un qualcosa. A guidare i ragazzi vi erano don Gianfranco Del Neso, don Marco D’Orio, codirettori della Pastorale Giovanile e don Emanuel Monte, parroco di Fiaiano. Durante il viaggio in pullman si è iniziato a creare tra tutti un clima di forte armonia ed amicizia; i cuori dei ragazzi, perfino quelli più induriti stavano iniziando ad aprirsi. Per tanti ragazzi, alcuni provenienti dalla terraferma, si trattava della prima esperienza. Ognuno portava con se un carico di aspettative. Vi era chi cercava la luce dopo un periodo buio, chi semplicemente la felicità e chi desiderava ringraziare il Signore per l’anno appena concluso. Nel presentarsi agli altri ognuno donava un qualcosa di se, un pezzo della propria vita. Ad Assisi ad attendere i ragazzi vi era Padre Amedeo, sacerdote francescano conventuale, esperto in psicologia. E’difficile trovare le parole adatte per descrivere questa meravigliosa persona, un dono prezioso per tutti in questi giorni. I ragazzi hanno alloggiato in una struttura nuova, moderna e confortevole, dotata di sale per eventi ed una graziosa Cappella, dove l’essenzialità elegante la fa da padrone, “Casa Leonori”, a pochi passi dalla Basilica di Santa Maria degli Angeli. Assisi è fin da sempre un luogo speciale; la città santa della cristianità è continua meta di pellegrini desiderosi di visitare i luoghi ove San Francesco nacque, operò e morì ed offre a tutti una risposta concreta al bisogno di spiritualità: un luogo in cui è concretamente possibile vivere forti ed appassionate esperienze religiose. Gli esercizi spirituali per tutti sono stati molto fruttuosi. Ciascuno ha sperimentato quanto sia forte l’amore di Dio, quanto sia bello ascoltare lo Spirito Santo e lasciarsi guidare da quella vocina che sta nella nostra coscienza e ci invita a fare il bene. Ognuno ha desiderato mettersi in gioco alla ricerca di un qualcosa che operasse un cambiamento di vita. Per fare ciò è stato necessario in primis mettersi in ascolto accogliendo la Parola di Dio rivolta ai ragazzi in questi giorni speciali. Dio parla, ha ripetuto spesso padre Amedeo, occorre svuotarsi di ogni peso che si porta dentro ed accogliere la Parola. Tema centrale degli esercizi spirituali è stato quello dell’Amore. Amo

dunque sono. L’amore permette di essere dono di se nei confronti dell’altro. L’amore è quella forza che spinge l’uomo ad andare incontro all’altro. Tutti hanno sperimentato cosa significhi l’amore vero e quanto sia bello portarlo alla vita di tutti i giorni. Il secondo giorno di ritiro è stato carico di sorprese ed emozioni. Nel primo pomeriggio ci si è diretti alla Basilica di San Francesco, luogo che dal 1230 conserva e custodisce le spoglie mortali del Santo. Non nascondiamo che vi sono state lacrime sui volti di tanti davanti alla tomba di Francesco. In quel luogo, stretti in profondo raccoglimento tutti hanno sperimentato un senso di pace favorito dall’ intensa preghiera. Molto toccante, a sera, l’Adorazione Eucaristica nella Cappella della struttura alberghiera; lì vi è stata la possibilità di confessarsi ed aprire così ulteriormente i cuori all’amore misericordioso di Dio.

Il giorno successivo è stato altrettanto carico di sorprese e meraviglie culminato con la veglia di Adorazione Eucaristica e l’abbraccio a Gesù Crocifisso. Ciascuno ha deposto ai piedi della Croce dolori, sofferenze e pesi interiori offrendoli tutti a Gesù. Il giorno successivo, quello della partenza, ha mostrato persone diverse, piene di luce, energia e desiderose di amare in maniera smisurata, testimonianza delle meraviglie che Gesù opera quando ci si fida di Lui. Terminiamo ringraziando ciascuno dei partecipanti al ritiro per la gioia, la bontà e l’amore donato in ogni momento. Un ringraziamento va allo staff della PG che ha organizzato il tutto alla perfezione, senza nulla lasciare al caso. Un grazie speciale a don Gianfranco, don Marco, don Emanuel che con la loro umiltà si sono fatti tutt’uno con i ragazzi e a padre Amedeo, persona speciale.


LUISA Venite e vedete. Queste semplici parole le sento mie. Sono andata ad Assisi ed ho vissuto quattro giorni stupendi. Inizialmente non me la sentivo di partire poi ho capito che la volontà di Dio era quella di sperimentare con i miei occhi le meraviglie che mi attendevano. Sono stata spinta ad andare, a mettermi in gioco. Sono partita con la gioia di voler sperimentare realmente l’amore di Dio, un amore che va testimoniato. Momento più bello per me è stato quando mi sono posta davanti a Gesù in Croce offrendogli tutte le mie sofferenze, le mie debolezze; in quel momento io e Gesù siamo diventati una sola cosa. ANGELA Durante il viaggio di ritorno in pullman ho osservato uno stormo di uccellini volare tutti insieme. In questi giorni ad Assisi mi è sembrato che tutti noi fossimo così. Ora ci attende volare insieme ad Ischia. FIORELLA Quando pensiamo ad un dono facciamo riferimento sempre a qualcosa di materiale, qualcosa che possiamo toccare o vedere, qualcosa che in un modo o nell’altro possa servire alla nostra vita. Una persona può donarti anche qualcosa che può servire alla tua vita, al tuo cuore, alla tua anima. Anche questo è un dono. Io ho avuto la fortuna di ricevere un dono speciale, ho avuto il piacere di apprezzarlo nel migliore dei modi e questo è stato possibile solo perché ho aperto il mio cuore. Desidero trasmettere a tutti questo messaggio: non è impossibile aprire il cuore. Quando non apriamo il cuore non riusciamo ad apprezzare i doni che riceviamo. ROSSELLA E’ stata la mia prima esperienza di esercizi ad Assisi. Il mio obiettivo era quello di uscire dal buio e ritrovare quella luce che ricolma il mio cuore di gioia. Non so rendermi conto se sia realmente accaduto questo, penso che non sia andata realmente così, dovrò continuare a lavorarci. Ho conosciuto in questi giorni fantastici ragazzi pronti ad aiutarti ed ascoltarti in qualsiasi momento, persone straordinarie. “Solo nel buio della notte si vedono le stelle”, questa frase pronunciata da padre Amedeo la porterò sempre nel cuore. “Tra il dire ed il fare vi è il ricominciare”, questa frase la sento mia e desidero metterla in pratica ogni giorno. MICHELE Questo ritiro è stato paradisiaco perché prima di tutto Assisi aveva un’atmosfera di raccoglimento ed è per questo che me ne sono innamorato a prima vista. Gli insegnamenti e i discorsi di padre Amedeo erano e sono ancora qualcosa di unico e anche le conversazioni che facevamo con lui erano molto profonde. Il momento che mi è piaciuto più di tutti è stato quando abbiamo abbracciato Gesù Crocifisso ed affidato a Lui tutte le nostre colpe, così abbiamo avuto modo di conoscere noi stessi più a fondo. GAETANO Esercizi spirituali? Beh posso dire che non sono stati come me li aspettavo. Arrivati alla struttura che ci avrebbe ospitato abbiamo conosciuto Padre Amedeo il nostro “illustratore” durante il ritiro. Tanti i temi affrontati tra questi la cosa che mi ha colpito maggiormente è stata l’espressione “Ognuno di noi è unico e Dio ci ama proprio per questo”. L’udire ma soprattutto il comprendere queste parole fecero azzerare il mio “conta dolori” dovuti al fatto che non ero come gli altri mi volevano. Ho deciso di ricominciare senza paure e senza alcun pensiero grazie all’esperienza di condivisione di gruppo che mi ha aiutato ad essere libero da me stesso. CARMELA Da questo ritiro spirituale ad Assisi, non mi aspettavo niente. Ma sapevo già che sarei tornata a casa con una valigia piena di emozioni indescrivibili. Sin dal primo giorno, ho avuto modo di relazionarmi con delle persone fantastiche, che ringrazio ancora, perché ho davvero trovato una casa, una famiglia, persone che erano pronte ad ascoltarti anche se non ti conoscevano affatto, senza quella paura di essere giudicati. Non posso esprimere ciò che ho vissuto, perché sono un mix di forti emozioni che bisogna viverle per capirle, e a me personalmente hanno fatto bene, ho avuto certezze effettive che LUI c’è, LUI esiste e se ci apriamo a LUI, lasciamo un po’ quella porta della nostra vita aperta ci metterà sulla strada giusta e farà della nostra vita un capolavoro!


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l percorso di formazione offerto dalla Diocesi sta riscontrando sempre più enorme successo tra genitori, insegnanti, operatori pastorali e studenti dei vari Istituti isolani. All’evento erano presenti tante persone desiderose di approfondire tematiche di fondamentale importanza le quali hanno ascoltato con vivo interesse le parole del relatore. Nel corso dell’incontro si è trattato di “Competenze ed Autoregolazione Emotiva”. Le emozioni sono parte di ogni persona; sono stati mentali o fisiologici associati a modificazioni psicofisiche, a stimoli interni o esterni, naturali o appresi. A volte si corre il rischio di assolutizzarle; altre volte invece non le si considerano per cui è necessario trovare il giusto equilibrio. Il dott. Bellantoni ha affermato a più riprese che è fondamentale saper riconoscere le emozioni e saperle regolare. Spesso e volentieri si tende a sopprimere emozioni importanti come la rabbia la quale andrebbe regolata ed utilizzata in maniera socialmente accettabile. E’ fondamentale che le emozioni vengano comunicate fin da quando si è piccoli. A detta del relatore è importante saper riconoscere le emozioni; occorre imparare a mettere su di esse la giusta etichetta. Dispiacere e rabbia, ad esempio, sono due stati emotivi che potrebbero essere facilmente confusi. Compito del genitore è proprio quello di trasmettere ai propri figli l’etichetta con il nome esatto dell’emozione che prova. Bellantoni propone alla platea un modello molto semplificato che considera le quattro emozioni fondamentali: paura, tristezza, rabbia e gioia. La rabbia è emozione adeguata quando si ha percezione di ingiustizia. Le persone davanti alle ingiustizie devono provare rabbia ed esercitarla nel modo migliore per cambiare la situazione di ingiustizia. Una condizione di rabbia nei confronti di una situazione appartenente al passato provoca rancore o risentimento per

cui l’ingiustizia non è modificabile. Una rabbia rivolta al passato non ha alcun valore; questo andrebbe insegnato ai figli. La paura è emozione funzionale nel momento in cui indica un pericolo reale per il futuro, serve ad evitare le situazioni di pericolo; se rivolta al passato non ha alcuna funzionalità. La tristezza da percezione che qualcosa di bello è irrimediabilmente perso; ha la funzione di favorire la rassegnazione. Bellantoni, a titolo esemplificativo, ha considerato una condizione di lutto affermando che questa va vissuta ed elaborata, occorre piangere. Quando una situazione richiede sofferenza la persona va fatta soffrire in pieno; questo fa parte del normale percorso evolutivo. La gioia indica piena e viva soddisfazione dell’animo. Chi prova gioia ha elaborato le perdite del passato e sa affrontare il futuro. La gioia piena tuttavia è un qualcosa che si sperimenta poche volte. Esistono vari strumenti che permettono di riconoscere le emozioni. Compito degli educatori è quello di saper stare accanto a tutte le emozioni dei bambini. Se da piccoli si imparerà che non potranno essere espresse determinate emozioni si avrà una condizione di contenimento. Provare emozioni davanti ad una determinata situazione è fisiologico. Oggi vi è confusione tra emozioni e sentimenti. Le persone tendono a non provare più sentimenti per persone o cose, provano emozioni. Nella società dei consumi passa il modello delle emozioni per cui non ci si lega più affettivamente a oggetti o persone. Le stesse relazioni tra persone sono governate da emozioni; due persone stanno insieme fino a quando si emozionano, manca l’investimento affettivo per cui non esistono quasi più relazioni a lungo termine. La seconda parte dell’incontro è stata caratterizzata da un momento di dialogo tra il relatore e la platea nel corso del quale sono state ulteriormente approfondite le tematiche affrontate.


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alla redazione Martedì sera 12 gennaio Antonio Lubrano ha radunato un gruppo di suoi amici intorno al suo presepe per rinnovare ancora una volta, e non sarà l’ultima, la tradizionale “Festa del Bambino” alla presenza del Vescovo di Ischia Mons. Pietro Lagnese che ha benedetto personalmente per il terzo anno consecutivo, il bambinello adagiato nella storica mangiatoia ed ha introdotto l’attesa cerimonia del bacio al bambino che è stata seguita da tutto il gruppo degli amici invitati, presente anche il parroco della Chiesa di Portosalvo Don Luigi De Donato. Il messaggio presepiale di Casa Lubrano parte dalla residenza di Giovanni Lubrano in Port Said (EGITTO) sulle sponde del Nilo, dove l’atmosfera biblica ed evangelica induceva alla rievocazione delle scene vissute della cristianità dalle sue origini. Così nel primo presepe di Giovanni Lubrano in Egitto, papà dei nostri apprezzati collaboratori

Antonio, Michele e Giovan Giuseppe Lubrano, prendevano forma la Grotta, la Natività, il villaggio con il vasaio, le locande, il forno per il pane, il falegname, il mercato, il palazzo di Erode, gli zampognari riportati all’italica cultura, la lavandaia, il ruscello, i greggi di pecorelle, i re magi, i personaggi vari, tutti a rappresentare la scena generale di vita del presepe sopratutto in famiglia. Giovanni Lubrano, con questo spirito, con questa visione ha proiettato il suo presepe a chi ne ha raccolto l’eredità. E’ toccato al figlio Antonio prendere il testimone nel Natale del 1955 e portarlo avanti con grande passione ed impegno in maniera ininterrotta fino ad oggi.


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arissimi amici, in quest’anno dedicato a Luca, scriba della mansuetudine di Cristo, iniziamo il tempo ordinario con un’inserzione giovannea: le nozze di Cana. Iniziamo il nuovo anno ripetendoci che incontrare Dio è come partecipare ad una splendida festa di nozze. Il testo del vangelo molto ricco di spunti per una riflessione è l’immagine di un matrimonio più alto, tra Dio e il suo popolo. Questo matrimonio purtroppo nel corso della storia biblica langue, è come le giare del racconto di oggi, impietrito e imperfetto (sono sei le giare: sette - numero della perfezione - meno una): la religiosità di Israele è stanca e annacquata, non dona più gioia, non è più festa. Il popolo vive una fede molto simile alla nostra religiosità contemporanea, stanca e distratta, molto spesso “annacquata”, travolta dalle contraddizioni e dalla quotidianità. Il testo è ricco di personaggi, ma ne spiccano due in particolare: Maria e i servi. L’evangelista si esprime in modo strano e questa stranezza deve attirare la nostra attenzione: come mai viene citata, tra i presenti, Maria per prima, mentre invece Gesù e i suoi discepoli vengono quasi in second’ordine? D’altra parte Maria non è citata con il suo nome, ma come “madre di Gesù”. Si vuol indicare il ruolo e la missione del tutto singolare di Maria nella storia della salvezza, e insieme si vuol dire che questo ruolo dipende totalmente dal fatto che Ella è la madre del Signore. La sua presenza e, come vedremo, il suo intervento sono decisivi al fine di creare le condizioni per la manifestazione

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messianica del Figlio di Dio. La Madre di Gesù fa parte della festa. Ella simbolizza il Vecchio Testamento. Anche Gesù è presente, ma in veste d’invitato. Lui non fa parte del Vecchio Testamento. Insieme ai suoi discepoli lui è il Nuovo Testamento che sta arrivando. La Madre di Gesù aiuterà al passaggio dal Vecchio al Nuovo Testamento. «Non hanno più vino!». Le parole della madre di Gesù hanno un destinatario e un contenuto. In primo luogo esse sono rivolte esplicitamente al Figlio. Maria sa fin dall’inizio chi è la persona che può intervenire a risolvere la situazione e si rivolge direttamente a Gesù. Il contenuto della sua frase è insieme un’accorata constatazione della penuria della condizione umana e un appello, discreto ma chiaro, rivolto al Figlio perché intervenga. La missione mediatrice di Maria, che si fa carico delle difficoltà che insidiano la felicità degli uomini, appare in queste sue parole. Gli altri personaggi importanti sono i servi fedeli, figura centrale del racconto, sono coloro che tengono in piedi il matrimonio fra Israele e Dio, coloro che - con fatica e senza capire - obbediscono, che perseverano, che non mollano. Ancora non lo sanno, ma il loro gesto fedele porterà frutto e rianimerà la festa. Animo amici che vi sentite come i panda in via di estinzione quando vi consumate passando i pomeriggi in parrocchia o dedicandosi a Gesù e al Vangelo! La vostra fedeltà è necessaria al miracolo del vino nuovo! È Gesù, lo sposo dell’umanità, che trasforma l’acqua dell’abitudine nel vino della passione, è lui che riceve i complimenti da noi sommelier, discepoli ubriacati dall’ebbrezza della Parola.

l Centro Democratico d’Iniziativa degli Insegnanti dell’isola d’Ischia desidera contribuire concretamente alla crescita delle comunità educative del territorio attraverso una serie di attività tese alla valorizzazione del personale della Scuola con coerenti e mirate azioni di formazione, soprattutto in questo delicato momento che il comparto sta attraversando. A tale scopo sono stati elaborati due questionari (uno per il personale docente ed uno per il personale ATA) per individuare con precisione i reali bisogni formativi del personale in servizio. La crescita professionale legata alle reali esigenze del personale in continua relazione con il territorio, rappresenta certamente un punto fondamentale per programmare ogni azione formativa efficace ed efficiente. I questionari, da compilare in forma anonima, saranno disponibili sul sito www.ischiacidi.it, nonché sulla pagina Facebook CIDI Isola d’Ischia, fino al prossimo 31 gennaio 2016. Al fine di non rendere vana ogni iniziativa tesa alla reale crescita professionale e del territorio, si invita cordialmente tutto il personale della Scuola dell’isola d’Ischia a dedicare cinque minuti alla compilazione del citato questionario, i cui risultati saranno condivisi con tutta la comunità scolastica.


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l giorno dell’Epifania Papa Francesco ha voluto evidenziare come la figura dei Re Magi rappresentino tutti i popoli in cammino alla ricerca della Verità, della vera Luce, del Signore Gesù che salva con la Sua umiltà, il Suo amore: « I Magi … guidati dallo Spirito, arrivano a riconoscere che i criteri di Dio sono molto diversi da quelli degli uomini, che Dio non si manifesta nella potenza di questo mondo, ma si rivolge a noi nell’umiltà del suo amore ». Nelle Fonti Francescane Jacopa dei Settesogli è una donna fedelissima a san Francesco, tanto da essere considerata, in senso spirituale, parte dell’Ordine dei Minori, venendo definita “frate Jacopa” e venendo paragonata alla figura dei Re Magi, perché guidata dallo Spirito Santo, portò diversi doni al santo morente: “Un giorno Francesco fece chiamare i suoi compagni e disse: « Voi sapete come donna Jacopa dei Settesogli fu ed è molto fedele e affezionata a me e alla nostra fraternità. Io credo che, se la informerete del mio stato di salute, riterrà ciò come una grazia grande e consolazione. Fatele sapere, in particolare, che vi mandi, per confezionare una tonaca, del panno grezzo color cenere, del tipo di quello tessuto dai monaci

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DC-Campania e il suo commissario on. Giuseppe De Mita sostiene Vincenzo D’Ambrosio, presidente del consiglio comunale di Casamicciola Terme dell’UDC, nel suo impegno per valorizzazione e recuperare del Pio Monte di Misericordia di Casamicciola Terme: “Il recupero del complesso Pio Monte della Misericordia – ha dichiarato l’on. Giuseppe De Mita – rappresenta un’eccezionale occasione di rilancio sia turistico che culturale non solo per Casamicciola e per l’isola d’Ischia, ma anche per il comparto turistico costiero campano”. “Ad un anno dal sopralluogo, non va dispersa questa progettualità” – ha voluto ricordare il prof. Michele Infante che saluta e ricorda con affetto gli amici della festa regionale di Ischia, oltre al dott. D’Ambrosio, soprat-

cistercensi nei paesi d’oltremare. E insieme, invii un po’ di quel dolce che era solita prepararmi quando soggiornavo a Roma ». Si tratta del dolce che i romani chiamano mostacciolo, ed è fatto con mandorle, zucchero o miele e altri ingredienti. Jacopa era una donna spirituale, vedova, devota a Dio, una delle più nobili e ricche signore di Roma. Per i meriti e la predicazione di Francesco ella aveva avuto da Dio tanta grazia da sembrare quasi una seconda Maddalena, teneramente devota fino alle lacrime. Scritta che fu la lettera secondo le indicazioni del padre santo, un frate stava cercando chi la potesse recapitare, quando d’improvviso si udì bussare alla porta. Il frate che corse ad aprire si trovò davanti donna Jacopa venuta da Roma in gran fretta per visitare Francesco. … il frate fu tutto felice al capezzale di Francesco, annunziandogli come la signora era arrivata in compagnia del figlio e di numerose altre persone. … Jacopa entrò dunque da Francesco e al vederlo si mise a piangere. Suscitò stupore che l’ospite avesse recato con sé il drappo funebre co-

lor cenere per confezionare la tonaca, e tutte le altre cose che le erano state chieste nella lettera. La straordinaria coincidenza lasciò attoniti i frati, che vi scorsero un segno della santità di Francesco. Donna Jacopa si rivolse loro e spiegò: « Fratelli, mentre stavo pregando, mi fu detto in spirito: --Va’ e visita il tuo padre Francesco. Affrettati, non indugiare, poiché se tu tardi non lo troverai vivo. Gli porterai quel tale panno per la tonaca, e il necessario per preparargli un dolce. Prendi con te anche gran quantità di cera per fare dei lumi e altresì dell’incenso -». Veramente, Francesco non aveva parlato di incenso nella sua lettera; ma il Signore ispirò alla nobildonna che ne portasse, come a ricompensa e consolazione della sua anima e affinché meglio conosciamo la grande santità di lui, il povero che il Padre celeste volle circondare di tanto onore nei giorni della sua morte. Colui che ispirò ai re Magi di avviarsi con donativi a rendere onore al diletto Bambino, Figlio Suo, nei giorni della sua nascita nella povertà, volle ispirare a quella gentildonna, che

abitava lontano, di recarsi con doni a venerare il glorioso corpo santo del suo servo Francesco, il quale con tanto amore e slancio amò e imitò, in vita e in morte, la povertà del suo Figlio diletto” (FF1657).

tutto Adriano Pirozzi ed Alessandro Pascarella, a nome di tutti gli amici che hanno collaborato alla riuscita dell’evento giovani vedi tutto su UDC_GIOVANI ISCHIA. Inoltre, si intende anche ringraziare Nunzia Piro, Rappresentante Udc Al Consiglio Comunale ed i Consiglieri del Gruppo, Parisio Iacono, Conte Giuseppe, Parpinel Grazia che sono impegnati a portare avanti il progetto sull’isola. Il vice-segretario nazionale Udc, on. Giuseppe De Mita che ha avuto modo di visitare la struttura lo scorso settembre in occasione della festa regionale Udc, è impegnato nella valorizzazione e nel rilancio del patrimonio turistico ed artistico campano: sia delle aree costiere, che delle aree interne della regione. Ha recentemente proposto interventi legislativi per il rilancio e la riorganizzazione turistica anche al neogovernatore Vincenzo De Luca. “Un’occasione di progettazione e di riutilizzo nel rispetto del valore storico dell’edificio e dei suoi vincoli di

conservazione, un’operazione innovativa ed intelligente – ha aggiunto Vincenzo D’Ambrosio – a cui stiamo lavorando da più di un anno ormai. Studiando la soluzione migliore come amministrazione comunale per rendere di nuovo fruibile parte del complesso alla cittadinanza ed ai turisti: per mostre, eventi culturali, sale espositive”. Il progetto proposto dall’UDC non prevede nessun maxi intervento, l’ambiente resterebbe allo stato “grezzo” il più possibile, per evitare investimenti economici e problemi di autorizzazioni e nulla osta da parte della Soprinten-

denza, ciò, considerato il vincolo sul bene ritenuto di interesse storico. Questo permetterebbe di ottenere un doppio effetto: lo snellimento delle procedure burocratiche e l’arricchimento della “sala espositiva” attraverso la naturale atmosfera dei luoghi che rendono a pieno il senso della decadenza e del trascorrere del tempo. Dopo le pulizie si passerebbe alla messa in sicurezza con l’interdizione degli accessi agli ambienti limitrofi, oltre che alla riattivazione del portone d’ingresso. * Coordinatore Responsabile Udc Italia Isola Di Ischia


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n grande amore per Forio. E non solo per la sua storia, ma per la sua aria, i suoi cieli, i suoi angoli nascosti e la sua gente. Questo si percepiva, in maniera palpabile, nello spettacolo La locanda delle cose perdute, che i bravissimi Uomini di Mondo hanno portato in scena mercoledì 6 gennaio in una sala del Chiostro di San Francesco (l’ex municipio di Forio). Tavoli e panche lungo il muro, su cui prendere posto, e gli attori seduti in mezzo al pubblico, a raccontare a più voci - tra una tazza di te, due dolcetti e una cioccolata calda - una terra e i suoi personaggi, vittime degli uomini, delle disgrazie o di terremoti, ma anche capaci di cantare, con allegria e malizia. E se “raccontare è la miglior maniera di coltivare la memoria”, questo coinvolgere il pubblico, non più semplice spettatore ma immerso nella scena, parte di essa, mescola il tempo passato con il presente, fissando ancor più nella mente le storie di questa “terra di poeti ribelli, sacerdoti visionari, donne coraggiose, uomini liberi.” Ancora un plauso, quindi, per Corrado Visone, autore dei testi e attento oste, Valerio Buono, regista e vivace cantante e Valentina Lucilla Di Genio, Alessandra Criscuolo, Sara Migliaccio, Domenico D’Agostino, Francesco Calise, Luca Patalano, Felicia Castagliuolo, Ivan Aiello, Marisa Morgera, Rossella Calise, Agnese Elia,

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a storia del brigantaggio post-risorgimentale è stata nascosta e travisata, scritta com’è solo dai vincitori. Ma comincia ora a venire fuori, grazie a studiosi caparbi che scavano e scoprono documenti, decreti, lettere, a rivelare una realtà molto lontana da quella che ci viene talora ancora raccontata dai libri di scuola. Lo spettacolo 1861 – la brutale verità, portato in scena il 5 e 6 gennaio presso il Polifunzionale dal gruppo calabrese CarMa, e tratto dal libro di Michele Carilli, regista dello spettacolo insieme a Lorenzo Praticò, si propone, pur non negando l’importanza e il valore dell’unità d’Italia, di raccontare l’altra verità, “perché soltanto quando

Gloria Azar, Valentina Bramante, Pierpaolo Mandl, narratori e attori di uno spettacolo che dovrebbe essere presentato regolarmente a ischitani e ospiti… anche con il piccolo contributo di un biglietto!

c’è consapevolezza da ambo le parti, cioè c’è un pensiero condiviso, solo allora ci può essere veramente l’unità.” Così scopriamo che, fino all’Unità, il Sud era una terra ricca, il terzo stato per benessere dopo Inghilterra e Francia, e che la spedizione dei Mille fu possibile solo grazie all’impegno economico e militare degli inglesi, che avevano grossi interessi commerciali in Sicilia. Ma quello che fecero poi i Savoia fu una tremenda opera di distruzione fisica e psicologica, le cui conseguenze paghiamo tuttora. Depredato delle sue ricchezze, chiuse o trasferite al nord molte imprese fiorenti, il Mezzogiorno si vide invaso, “contro il brigantaggio” da una

forza militare d’occupazione di circa 100.000 soldati per una dura repressione, protrattasi per 10 anni e messa in atto attraverso un sistematico ricorso ad arresti in massa, esecuzioni arbitrarie, distruzione di casolari e masserie, vaste azioni contro interi centri abitati. Lo spettacolo, che ha visto sul palco Gabriele Profazio, coinvolgente narratore, Marinella Rodà, intenso e volitiva brigantessa, Mario Lo Cascio chitarrista, Alessandro Calcaramo chitarra e buzuchi, ha interca-

lato il racconto con canti in lingua calabrese (che era possibile seguire su un libretto). Il suo limite, forse, è quello di presentare solo un aspetto della complessissima storia del Mezzogiorno pre e post unitario, il suo merito, invece, di far nascere la voglia di documentarsi, di saperne di più, e di sollecitare forse qualche paragone con altre situazioni che vediamo in giro per il mondo. Senz’altro uno spettacolo che lascia il segno.


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n nuovo mondo, quindi, che creandosi sulle macerie e sul sangue versato dei nativi, necessitava, per l’appunto, di una precisa e stabile cifra identitaria, quella stessa cifra che, per ragioni anche di pura convenienza politica, da sempre favorisce quegli intrecci, talvolta lodevoli e opportuni, altre volte indegni e nefasti, tra la parola scritta e pensata e la pura azione politica. E la storia, di esempi, ne è piena: il “Manifesto del Partito Comunista”, che a suo modo è anche un grande testo letterario, è probabilmente il più significativo, ma si può pensare anche, giusto per restare nella città di Londra (città dove il manifesto fu pubblicato per la prima volta nel 1848), al ruolo ricoperto dagli scritti di Charles Dickens nella formazione di una coscienza sociale di protezione per i bambini, o ancora, all’importanza degli scritti di lady Virginia Woolf nel processo di affermazione di una coscienza femminista. Una parola, quindi, che è punto fondante e mezzo di riforma, e che nell’affermarsi porta con sé qualcosa in più, qualcosa di cercato ma mai del tutto previsto. Ed infatti, così come la nascita di ogni Stato è sempre stata anticipata da solenni Costituzioni, Dichiarazioni o Trattati, così accade che, se di atto costitutivo o di solenne proclamazione nella letteratura americana si può parlare, lo si deve fare senza dubbio alcuno, riferendosi alle parole del bardo Walt Whitman, che proprio come i poeti antichi, ambì in quella sua vita appartata e silenziosa, ad afferrare il tutto e trattenerlo in quel torrenziale fiume di parole che poi è stata la sua poesia. Un fiume in cui nulla sarà escluso, e in cui si andrà cristallizzando quel nuovo codice poetico fondativo, quasi una genesi, della moderna letteratura americana. Il critico letterario Harold Bloom, celebre per essere tra i massimi conoscitori viventi dell’opera di Shakespeare, oltreché, per la sua intelligente “teoria dell’influenza letteraria”, ha scritto che Walt Whitman è l’unico poeta americano ad esercitare un’influenza a livello mondiale, tanto da potergli essere ascritto il merito di aver generato la poesia di poeti come H.D. Lawrence, Pablo Neruda, Jorge Luis Borges e Vladimir Majakovskij. E non a caso, ciò che immediatamente colpisce di questa poesia, coincide proprio con quel profondo spirito di affermazione, che ne fa in fondo, pur nella sua vasta cordialità, una poesia ingombrante, prepotente e anche molto auto-celebrativa, non priva di certo, di una notevole dose di banale esaltazione sensoriale - a tal proposito, William Faulkner riteneva che le sue parole spesso si riducessero in insulsaggini nerborute - destinata, su tutto, a cantare l’uomo moderno, suo fratello e compagno, nell’atto e nei gesti miracolosi del suo quotidiano. Una poesia fondativa che si rivela sotto forma di annunciazioni, e quindi anche, di fondamentali atti di fede: in primis, nella poesia stessa, “da queste pagine balzo tra le tue braccia” dice un suo verso - ed in secundis, nell’uomo; secondo un obiettivo chiaro e primordiale: scrivere, semplicemente per esserci.



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