Kaire 01 Anno III

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Il settimanale di informazione della Chiesa di Ischia ANNO 3 | numero 1 | 2 gennaio 2016 | E 1,00

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LE RELIQUIE DEI SANTI CONIUGI LUIGI E ZELIA MARTIN AD ISCHIA In occasione del Giubileo della Misericordia le reliquie gireranno l’intera isola entrando nelle nostre case. Ripercorriamo la loro storia di santità. All’interno il calendario della peregrinatio diocesana.

EDITORIALE DEL DIRETTORE

ULTIMA CORSA

Un futuro incerto e La Caremar inspiegabilmente manda a casa i quattordici preannunciato Di Lorenzo Russo

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entiquattro anni di lavoro andati in fumo con l’anno appena concluso. Niente rinnovo del contratto per i quattordici dipendenti delle biglietterie della Caremar di Napoli, Ischia e Casamicciola Terme. Volti di persone che conosciamo benissimo, dietro quel vetro alle biglietterie. Pochi secondi che ci legavano nel fare il biglietto per poi correre sul traghetto o sull’aliscafo, ma tanto bastavano per dire che erano facce note. Persone che hanno alle spalle una storia, una famiglia da sostenere, un mutuo da gestire. In poco tempo si sono sentiti cacciati da un’azienda che speravamo davvero non facesse questa fine. E invece, con la privatizzazione della Caremar questo è uno degli esempi negativi di come si gestisce un’azienda senza puntare alla competenza storica delle persone. Per non parlare poi del danno d’immagine che sta creando alle tre isole del golfo di Napoli. “La Caremar continua a sbagliare e si comporta in modo inaccettabile – ha affermato il consigliere regionale dei Verdi Francesco Emilio Borrelli - Oltre a un servizio scadente adesso sta mandando a casa 14 lavoratori. Cercheremo in ogni modo di tutelare queste persone che non meritano questo trattamento”.

dipendenti delle biglietterie, dopo 24 anni di lavoro, sostituendoli con alcuni giovani neoassunti.

ESCLUSIVO

AL CENTRO CARITAS GPII UN PRANZO SPECIALE

A MESSA DA PAPA FRANCESCO

PRESEPE VIVENTE A CAMPAGNANO

Il 25 dicembre una sessantina di persone hanno partecipato insieme al vescovo al pranzo natalizio.

Franco Iacono con la moglie e i nipoti alla messa per il Giubileo della Famiglia. Ecco le parole scambiate con Francesco.

Anche la 13a edizione è stata ricca di emozioni. Con i soldi raccolti si realizzerà uno scivolo per disabili per la parrocchia.

EPIFANIA Qual è il legame dei Re Magi con la Befana? Perché la Befana porta i dolci ai bambini?


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La Voce di Pietro 2 gennaio 2016

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Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce! La veglia della Vigilia e la Santa Messa di mezzanotte con il nostro Vescovo Pietro Di Silvia Pugliese

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ella umida e fredda notte del 24 dicembre, il popolo di Ischia, ha voluto celebrare la nascita di Gesù, proprio come i pastori di Betlemme in quella fredda notte di più di 2000 anni fa! Insieme al vescovo Padre Pietro, con la Cattedrale in penombra, abbiamo atteso la mezzanotte, con una veglia meditativa, in cui la lettura della Parola si alternava a racconti di Parola vissuta, con esperienze di perdono, fede e martirio di alcuni saldi testimoni del Vangelo. E finalmente a mezzanotte, la proclamazione della Kalenda, l’annuncio della nascita del Signore, e pochi istanti dopo, durante il canto del Gloria, la chiesa cattedrale è stata piena di luce, come la vita di ogni cristiano, con la venuta al mondo del bambino Gesù! E senza quel bambino noi non potremmo vivere, sarebbe ancora notte. Gesù nasce di notte, nel buio, quasi a dirci che la vita senza di lui, come ha detto il profeta Isaia, è tenebre. “Oggi per noi è nato il Salvatore!” questo il ritornello del Salmo Responsoriale, parole su cui Padre Pietro si è soffermato nell’omelia, invitandoci a prestare attenzione a quel “per noi” per dire anche noi al Signore la nostra gratitudine per questo amore concreto che egli ci ha mostrato nel suo figlio. Il racconto della nascita del Signore – ci ricordava il nostro Vescovo- inizia con le parole “un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questa indicazione ci fa risalire alla data precisa della nascita del Signore. Ma il il nostro Padre Pietro ci suggerisce uno spunto di riflessione ben più profondo e meraviglioso: è come se il Signore ci dicesse che lui

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ci ha contati tutti, siamo tutti contati ad uno ad uno, considerati ad uno ad uno, e per tutti e per ciascuno Lui viene, per quelli di ieri, per quelli oggi, per quelli di sempre, per quelli del Nord, del Sud, dell’est e dell’ovest. “La misericordia di dio si è fatta carne in Gesù, questo bambino nato per noi. Dio mostra concretamente il suo amore.” Così, il nostro vescovo, ci invita a gioire. E perché gioire? Qual è il motivo di questa gioia? E perché questo bambino viene per

Via delle Terme 76/R - 80077 Ischia Codice fiscale e P.Iva: 04243591213 Rea CCIAA 680555 - Prefettura di Napoli nr.11219 del 05/03/2003 Albo Nazionale Società Cooperative Nr.A715936 del 24/03/05 Sezione Cooperative a Mutualità Prevalente Categoria Cooperative Sociali Tel. 0813334228 Fax 081981342 info@kairosonline.it pec: posta.kairos@pec.it Registrazione al Tribunale di Napoli con il n. 8 del 07/02/ 2014

liberarci, viene a togliere da noi ogni forma di schiavitù, e soprattutto la paura, “non abbiate paura, non temete!” dice ai pastori: questo bambino viene a togliere la paura, quanto più lo accoglieremo tanto più sperimenteremo che non occorre difenderci, perché sarà lui a combattere per noi, non ci sarà più bisogno di combattere, perché Lui farà la pace. Il nostro Vescovo ci ha invitati quindi a chiedere la Grazia di stupirci e intenerirci di fronte al bambino Gesù, e di sapergli ripetere in questa

Direttore responsabile: Dott. Lorenzo Russo direttorekaire@chiesaischia.it @russolorenzo Direttore Ufficio Diocesano di Ischia per le Comunicazioni Sociali: Don Carlo Candido direttoreucs@chiesaischia.it Progettazione e impaginazione: Gaetano Patalano per Cooperativa Sociale Kairos Onlus

Eucarestia e nella nostra preghiera personale: “Signore, sei venuto per me, sei venuto per noi, perché l’umanità sia trasformata nella Tua natura divina.” Padre Pietro ci saluta come sempre con la preghiera a Maria, perché ci insegni a contemplare Gesù, a custodire questo sguardo di amore, a ripetere nel silenzio “Oggi un bambino è nato per noi… Oggi, Gesù, tu vieni per me, perché non sia più notte nella mia vita.” Andrea Di Massa

Redazione: Via delle Terme 76/R - 80077 Ischia kaire@chiesaischia.it | @chiesaischia facebook.com/chiesaischia @lagnesepietro Tipografia: Centro Offset Meridionale srl Via Nuova Poggioreale nr.7 - 80100 Napoli (NA) Per inserzioni promozionali e contributi: Tel. 0813334228 Fax 081981342 oppure per e-mail: info@kairosonline.it

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La Voce di Pietro

2 gennaio 2016

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Il Vescovo con i bambini di Suor Edda

Il Vescovo con i bambini di Suor Edda

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Alcuni momenti del Vescovo alla Residenza Sanitaria Villa Mercede

Il vescovo Lagnese durante i giorni di Natale si è recato a Casamicciola Terme presso i bambini di Suor Edda e alla residenza sanitaria Villa Mercede di Serrara Fontana, per portare alcuni doni e il messaggio di Natale. Tanta la gioia per la presenza del Vescovo di Ischia fra di loro. I bambini di Suor Edda hanno festeggiato la presenza di Padre Pietro con alcuni canti natalizi.


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Famiglie & Anno Santo 2 gennaio 2016

Di don Pasquale Trani, Raffaella Mattera e Antonio Di Leva*

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a litania dei santi è una delle preghiere più belle e suggestive, anche se forse è poco usata nella preghiera personale. L’invocazione dei santi fa parte della liturgia battesimale e, da poco, è stata inserita anche in quella nuziale (più ampia quella prevista per l’Ordine sacro). Attraverso la litania ripercorriamo la lunga storia della Chiesa, duemila anni in cui la santità di Dio si è manifestata in molteplici forme. Se, come dice la Scrittura, uno solo è il Santo, diversi sono i testimoni della santità. Per usare l’immagine di un autore dei primi secoli, è come se la stessa acqua, incontrando la terra, generi frutti assai diversi tra loro. È bello contemplare questa variegata storia di santità, fatta di testimonianze molto diverse pur nella fondamentale unità, come tante perle tenute insieme da uno stesso filo che formano una sola collana. La santità ha illuminato tutti i secoli, ha accompagnato i passaggi più importanti della vicenda umana, ha aperto sentieri di carità nei tempi della crisi, ha seminato speranza in ogni stagione. La santità non è legata alla vita consacrata ma abbraccia tutte le vocazioni. L’elenco dei santi comprende i pastori, i coniugi, i religiosi, le vedove, le vergini. La santità abbraccia tutte le latitudini, anche se per motivi di carattere storico, la maggior parte dei santi riconosciuti appartengono all’Europa. La santità è legata alla sapienza non al grado d’istruzione: alcuni santi sono stati grandi pensatori, Sant’Agostino e San Tommaso d’Aquino, ad esempio; altri, invece, non erano neppure alfabetizzati, come Caterina da Siena o Bernadette Soubirous. Quello della santità è uno dei capitoli più interessanti della storia ecclesiale, perché sono pagine scritte dallo Spirito Santo, pagine che hanno il profumo del Vangelo e, proprio per questo, conservano la loro attualità, anche a distanza di secoli. Grazie ai santi, il Vangelo appare come un libro vivo e sempre attuale. Gesù promette: “Chi rimane in me porta molto frutto” (Gv 15,5). “I santi – ha detto san Giovanni Paolo II nell’omelia pronunciata nella Basilica di Lisieux il 2 giugno 1980 – non invecchiano praticamente mai, non cadono in prescrizione. Essi testimoniano la perenne giovinezza della Chiesa”. I santi sono una parola originale, non ripetono le cose dette dagli altri. E se a volte riprendono la testimonianza lasciata da altri, lo fanno sempre in modo personale

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Santi insieme Ripercorriamo la storia della santità nella Chiesa, evidenziando la nascita di una santità coniugale che sta emergendo come un fiore all’interno del grande solco tracciato dal Concilio vaticano II, che ha parlato di “vocazione universale alla santità” (Lumen gentium, cap. V). I santi coniugi Martin ne sono l’espressione attuale.

Coniugi Martin

e comunitario, tracciando o approfondendo nuove vie di spiritualità. Grazie a Dio i santi non mancano mai, accompagnano tutti i secoli e illuminano anche quei periodi più oscuri, anzi, nei passaggi critici della storia sono proprio i santi a indicare la strada. La santità coniugale. Una breve storia. Scorrendo la lunghissima lista dei santi che hanno accompagnato tutta la storia della Chiesa, facciamo fatica a trovare coppie di sposi. Eppure non mancano singoli sposi che hanno vissuto con eroica fedeltà il Vangelo. Sulla soglia della redenzione troviamo proprio una coppia di sposi: Maria e Giuseppe. La storia della salvezza passa attraverso questa umile famiglia; dobbiamo però riconoscere che la dimensione coniugale e familiare dei santi Sposi è rimasta spesso nascosta fin quasi al punto da far apparire Maria e Giuseppe come due single! Il Nuovo Testamento regala altre figure di santità

coniugale a cominciare da Aquila e Priscilla. Il postulatore della loro causa è lo stesso apostolo Paolo che scrive di loro: “Per salvarmi la vita - scrive Paolo - essi hanno rischiato la loro testa, e ad essi non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese dei gentili ” (Rom 16, 3-4). La Chiesa riconosce la santità anche di altre coppie bibliche: Abramo e Sara, Zaccaria ed Elisabetta, Gioacchino ed Anna. Nella storia della Chiesa vi sono molte altre coppie – Mario e Marta (IV sec.), Isidoro e Maria Toribia (XII sec.; è significativo registrare che la memoria liturgica di questa coppia è distinta: Isidoro il 15 maggio, la moglie il 9 settembre) – ma sono rimaste praticamente sconosciute, non sono mai state proposte come modelli di riferimento, se non di recente. È andata diversamente per alcune figure di santi sposati ma non in coppia – e spesso a motivo delle scelte fatte dopo la morte del coniuge – come san Paolino di Nola (IV – V sec.), s. Rita da Cascia (13811457) o s. Giovanna de Chantal (1572-

1641). Più recente e più conosciuta s. Gianna Beretta Molla (1922-1962), modello di sposa e madre, beatificata nel 1994 e proclamata santa dieci anni dopo. Vi sono tante altre figure di sposi di cui la Chiesa ha già riconosciuto la santità che restano per ora nell’ombra: il beato Giuseppe Tovini (1841-1897), avvocato bresciano, sposo e padre di dieci figli o il beato Giuseppe Toniolo (1845-1918), economista di fama internazionale e intrepido animatore della dottrina sociale. Il terzo millennio è iniziato con la beatificazione dei coniugi Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi. Nel 2008 anche i coniugi Martin si sono aggiunti a quella che per ora è solo una piccola lista ma che nel prossimo futuro potrà arricchirsi di molti altri testimoni perché numerosi sono fin d’ora i candidati. Vi sono buone speranze di vedere nei prossimi anni una fioritura di santità coniugale, cioè di sposi che hanno camminato insieme sulla via della santità. Tutto questo è stato possibile gra-


Famiglie & Anno Santo

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zie all’opera e all’incoraggiamento di san Giovanni Paolo II! È stato lui a chiedere con insistenza di far emergere la santità coniugale dal limbo in cui era stata confinata. Nella Tertio millennio adveniente (1994), la Lettera che annunciava il grande Giubileo dell’anno Duemila, il Papa scriveva: “In special modo ci si dovrà adoperare per il riconoscimento dell’eroicità delle virtù di uomini e donne che hanno realizzato la loro vocazione cristiana nel Matrimonio: convinti come siamo che anche in tale stato non mancano frutti di santità, sentiamo il bisogno di trovare le vie più opportune per verificarli e proporli a tutta la Chiesa a modello e sprone degli altri sposi cristiani” (n. 37). Questo invito non è caduto nel vuoto, negli ultimi anni diverse diocesi hanno aperto il processo informativo per mettere in luce la vita santa di sposi che hanno lasciato il profumo del Vangelo. Tra questi: i coniugi Gheddo, Giovanni e Rosetta; Ulisse e Lelia Amendolagine; Settimio e Licia Manelli. Tutte coppie vissute nel XX secolo. La “terra santa” della famiglia Martin. Anche se Luigi e Zelia Martin sono stati beatificati nel 2008, la loro fama di santità ha una storia piuttosto lunga. È stata santa Teresa del Bambino Gesù (loro figlia!), ha detto scherzosamente il cardinale Saraiva Martins, annunciando nel 2008 la loro beatificazione, la prima postulatrice, in quanto attraverso i suoi scritti ha messo in luce proprio quegli aspetti che la severa verifica canonica ritiene indispensabili per riconoscere la santità di vita. Il processo della canonizzazione della piccola santa, passando in rassegna anche la vita familiare, ha mostrato a tutti che proprio in quell’ambiente familiare ella avesse ricevuto quel nutrimento spirituale che avrebbe poi sviluppato in modo straordinario. La famiglia è per Teresa la “terra santa” nella quale è nata e cresciuta! L’esperienza di fede di Luigi e Zelia è l’anima dell’educazione e imprime nel cuore di Teresa quei contenuti e quello stile che, con la grazia dello Spirito, troveranno poi compimento nell’esistenza della santa carmelitana. La sua santità è il frutto maturo di un albero, come scrive san Paolo ai Romani: “Se le primizie sono sante, lo sarà anche tutta la pasta; se è santa la radice, lo saranno anche i rami” (Rm 11,16). Nell’introduzione alla Storia di un’anima, pubblicata in Italia nel 1928, molte pagine sono dedicate a “far conoscere i virtuosi genitori dell’Angelica Teresa”. “La loro storia è un devoto poema che preludia alla loro gloriosa missione e merita di essere citata”. Leggiamo ancora: “Essi erano lontani dal supporre

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Coniugi Beltrame Quattrocchi

Santa Teresa di Lisieux

quel futuro apostolato: l’andavano però preparando a loro insaputa per mezzo di una vita sempre più perfetta” (Teresa di Lisieux, Storia di un’anima, Torino 1928, 6 e 10). In occasione della canonizzazione, il cardinale Vico, allora prefetto della Congregazione dei Riti che si occupava anche delle cause dei santi, disse: «Ebbene, ora bisogna chiedere a Roma di occuparsi del papà!» (cf J. Clapier, Luigi e Zelia Martin, Editrice Punto Famiglia, Angri 2011, p.19). Questo auspicio non trovò accoglienza a causa del netto rifiuto da parte di Madre Agnese (sorella di Teresa e priora del Carmelo di Lisieux), che ritenne già troppo gravoso l’impegno di seguire gli sviluppi legati alla canonizzazione della piccola Teresa. Nel 1946 padre Stefano Giuseppe Piat pubblica una biografia completa di Luigi e Zelia intitolata Storia di una famiglia. In esso emerge con chiarezza la vita di una famiglia tutta avvolta dalla grazia e tutta protesa a vivere sotto lo sguardo

di Dio, in totale obbedienza a Lui. Mons. Picaud, vescovo di Bayeux e Lisieux, nella prefazione scrive: “La sua iniziativa risponde a un voto che formulavo da molti anni e che una modestia eccessiva esitava sempre ad esaudire. Finalmente lei presenta al pubblico cristiano la vita esemplare dei coniugi Martin”. Questo libro certamente favorì una migliore conoscenza della famiglia Martin, e tuttavia, la causa canonica fu avviata nella seconda metà degli anni ’50, dopo la morte di Madre Agnese, quand’era rimasta in vita la sola Celina, che morirà nel 1959. All’inizio i processi erano due, uno per ciascuno dei coniugi. Mancava ancora una sensibilità ecclesiale coniugale (l’iter per la canonizzazione di Luigi Beltrame Quattrocchi e Maria Corsini, invece, ha avuto fin dall’inizio, nel 1994, un’impronta coniugale). Solo nel 1971, durante il pontificato di Paolo VI le due cause furono unificate! Il 26 marzo 1994 Giovanni Paolo II ha dichiarato Venerabili Lu-

igi e Zelia Martin, riconoscendo così che la loro vita è stata vissuta nella piena conformità al Vangelo. Per la beatificazione si attendeva il miracolo, avvenuto il 29 giugno 2002, a Milano. Pietro Schilirò era nato con una grave malformazione ai polmoni, i medici attendevano solo la morte. I genitori iniziarono una novena di preghiera invocando l’intercessione dei coniugi Martin. Il piccolo guarì improvvisamente. La Chiesa ha ritenuto che un solo miracolo era sufficiente per riconoscere la santità di entrambi, perché contiene un implicito riconoscimento che il legame coniugale, che ha intessuto l’esistenza terrena, continua nella luce celeste. La santità coniugale entra così a pieno titolo nella storia della Chiesa! Nel prossimo numero vedremo più da vicino le vicende della famiglia Martin attraverso le quali hanno intessuto la loro tela di santità. *Corresp. Ufficio di pastorale familiare e vita di Ischia


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Famiglie & Anno Santo 2 gennaio 2016

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CALENDARIO DELLA PEREGRINATIO DIOCESANA DELLE RELIQUIE DEI SANTI CONIUGI LUIGI E ZELIA MARTIN Domenica 3 gennaio – Sabato 13 febbraio 2016 *Dom. 3/1/2016. Cattedrale. Arrivo dei reliquiari dalla “Cittadella della Famiglia” di Angri (SA) e S. Messa (presieduta dal Vescovo) alle ore 18.30 con rito finale di consegna alle famiglie dei 4 decanati della diocesi. *Incontro previo di preparazione con tutti i coniugi coinvolti in episcopio dalle ore 16.00 alle 18.00.

Decanato di Ischia 1) S. Maria Assunta: lun. 4 (mattina) – sab. 9/1 (fino alle 16.00) 2) Gesù Buon Pastore: sab. 9 – gio. 14/1 (fino alle 16.00) 3) S. Maria delle Grazie in S. Pietro: gio. 14 (pomeriggio) – mar. 19/1 (fino alle 16.00) 4) S. Ciro Martire: mar. 19 – dom. 24/1 (fino alle 16.00) 5) S. Maria di Portosalvo: dom. 24 – ven. 29/1 (fino alle 16.00) 6) S. Domenico in SS. Annunziata ( Campagnano): ven. 29/1 – mer. 3/2 (fino alle 16.00) 7) S. Antonio Abate: mer. 3 – lun. 8/2 (fine alle 16.00) Decanato di Casamicciola - Lacco Ameno 8) S. Maria Maddalena Penitente: lun. 4 – lun. 11/1 (fino alle 16.00) 9) SS. Annunziata in S. Maria delle Grazie: lun. 11 ( dalle 16.00 ) – lun. 18/1 (fino alle 16.00) 10) S. Antonio da Padova: ven. 5 – ven. 12/2 (fino alla sera) Decanato di Forio 11) S. Vito Martire: lun. 4 – sab. 9/1 (fino alle 16.00) 12) S. Francesco Saverio: sab. 9 (dopo le 16.00) – gio. 14/1 (fino alle 16.00) 13) S. Leonardo Abate: gio. 14 (dopo le 16.00) – mar. 19/1 (fino alle 16.00) 14) S. Michele Arcangelo – Monterone: mar. 19 (dopo le 16.00) – dom. 24/1 (fino alle 16.00) 15) S. Sebastiano Martire: dom. 21 (dopo le 16.00) – ven. 26/1 (fino alle 16.00) 16) *S. M. di Montevergine: ven. 26/1 (dopo le 16.00) – mer. 31/1 (fino alle 16.00) *un giorno al Centro di prima accoglienza “Giovanni Paolo II” Decanato Barano - Serrara 17) S. Sebastiano Martire: lun. 4 – sab. 9/1 (fino alle 16.00) 18) S. Giorgio Martire: sab. 9 (dopo le 16.00) – gio. 14/1 (fino alle 16.00) 19) Maria SS Madre della Chiesa: gio. 14 (dopo le 16.00) – mar. 19/1 (fino alle 16.00) 20) S. Maria la Porta: mar. 19 (dopo le 16.00) – dom. 24/1 (fino alle 16.00) 21) S. Maria del Carmine –: dom. 24 (dopo le 16.00 – ven. 29/1 (fino alle 16.00 22) S. Maria della Mercede: – ven. 29/1 – mer. 3/2 (fino alle 16.00) 23) S. Giovanni Battista: mer. 3 (dopo le 16.00) – lun. 8/2 (fino alle 16.00) 24) Natività di Maria SS.: mer. 3 – lun. 8/2 (fino alle 15.00) 25) S. Michele Arcangelo: lun. 8 (dopo le 16.00) – mer.10/2

Eventi diocesani con la presenza delle reliquie dei santi Martin (nelle ore indicate uno dei tre reliquiari sarà presente agli eventi diocesani per sottolineare il cammino di santità che tutta la Chiesa di Ischia sta compiendo in questo anno giubilare) Gio. 7/1: Corso sull’affettività col prof. Bellantoni – auditorium polifunzionale, ore 16.00 – 18.30 Sab. 9/1: Incontro-Festa diocesana battezzati (0-5 anni) – Cattedrale, ore 16.00-18.00 Lun. 11/1: Catechesi giubilare – Ramonda – Cattedrale, ore 20.00-22.00 Gio. 21/1: Corso mensile di formazione on line sulla preparazione al matrimonio, “Webinar” – Episcopio, ore 20.00 – 22.30 Mar. 26/1: Plenum clero con la dt. Cammarota (mattina) + incontro diocesano per tutti (pomeriggio-sera) Dom. 31/1: Consiglio Pastorale Diocesano - Episcopio, ore 16.00 – 20.00 Lun. 1°/2: Giubileo diocesano della Vita Consacrata – Cattedrale Gio. 4/2: S. Messa per i “Figli in Cielo” - Cattedrale Dom. 7/2: Giornata Nazionale della Vita - Cattedrale Ven. 8/2: Catechesi Giubilare – don Ciotti – Cattedrale, ore 20.00-22.00 Gio. 11/2: Ospedale Lacco – Festa della Madonna di Lourdes – Giornata Mondiale Malati ** Sabato 13 febbraio - Cattedrale, ore 18.30: Giubileo diocesano della Famiglia e Conclusione della Peregrinatio delle Reliquie dei santi coniugi Martin ** Il programma potrebbe subire variazioni che saranno comunicate volta per volta.

Di Annachiara Valle

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l pellegrinaggio è partito già dalle 7.30 del mattino. Dal presepe posto al centro di piazza San Pietro e fin dentro la basilica le famiglie si sono messe in marcia pregando e cantando. Oltre trentamila persone sono arrivate a Roma il 27 dicembre scorso per partecipare a questo Giubileo, molte di loro, dopo i serrati controlli, prendono posto tra i banchi con i bambini. Nel giorno della festa liturgica della Santa Famiglia, in tutte le diocesi i vescovi sono stati chiamati a convocare le famiglie per celebrare il Giubileo presso una delle chiese locali dove è presente una porta santa. Occasione, come ha spiegato monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, per «imparare ad aprire le porte delle loro case. Ogni porta deve essere una porta santa attraversando la quale ciascuno impara ad incontrare gli altri e ad accogliere i poveri». Un pellegrinaggio quello delle famiglie che si richiama a quello di Elkana e Anna e di Giuseppe e Maria che portano Samuele e Gesù al tempio, «due famiglie che compiono il loro pellegrinaggio verso la casa di Dio», spiega papa Francesco. E la bellezza di questi pellegrinaggi è che sono compiuti dalla famiglia intera: «Papà, mamma e figli, insieme, si recano alla casa del Signore per santificare la festa con la preghiera. E’ un insegnamento importante che viene offerto anche alle nostre famiglie». E come Maria e Giuseppe che hanno insegnato le preghiere a Gesù, portandolo alla sinagoga, anche per le nostre famiglie «è importante camminare insieme e avere una stessa meta da raggiungere! Sappiamo che abbiamo un percorso comune da compiere; una strada dove incontriamo difficoltà ma anche momenti di gioia e di consolazione». La cosa più bella è insegnare ai propri figli la preghiera, è affidarli a Dio,


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Famiglie & Anno Santo

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Il Papa «famiglie, la vostra missione sia il perdono»

benedicendoli, tracciando all’inizio e alla fine della giornata «sulla loro fronte il segno della croce come nel giorno del Battesimo. Non è forse questa la preghiera più semplice dei genitori nei confronti dei loro figli? Benedirli, cioè affidarli al Signore, come hanno fatto con Elkana e Anna, Giuseppe e Maria, perché sia Lui la loro protezione e il sostegno nei vari momenti della giornata». Il Papa ricorda l’importanza di pregare prima dei pasti, ringraziando Dio i doni ricevuti e insegnando a condividerli. «Sono tutti piccoli gesti, che tuttavia esprimono il grande ruolo formativo che la famiglia possiede». Bergoglio, poi, spiega che il pellegrinaggio non ha fine quando si arriva alla meta, ma quando si torna a casa «e si riprende la vita di tutti i giorni, mettendo in atto i frutti spirituali dell’esperienza vissuta». E fanno parte del pellegrinaggio della famiglia anche certi momenti più difficili, come quella che il Papa definisce la «scappatella» di Gesù che

si era fermato a discutere nel tempio provocando la pena di Maria e Giuseppe. Ma anche questi sono momenti di crescita, spiega Francesco, che ci fanno sperimentare anche la gioia del perdono. «Nell’Anno della Misericor miglia cristiana possa diventare luogo privilegiato in cui si sperimenta la gioia del perdono. Il perdono è l’essenza dell’amore che sa comprendere lo sbaglio e porvi rimedio. E’ all’interno della famiglia che ci si educa al perdono, perché si ha la certezza di essere capiti e sostenuti nonostante

A San Pietro il 27 dicembre si è celebrato il Giubileo delle famiglie. E, sull’esempio di Giuseppe e Maria, di Elkana e Anna, Francesco affida loro il compito importante di insegnare la preghiera e il perdono ai loro figli in un pellegrinaggio domestico che ha il suo culmine quando ci si affida gli uni agli altri

gli sbagli che si possono compiere». Infine il Papa sprona a non perdere la fiducia nella famiglia! «E’ bello aprire sempre il cuore gli uni agli altri, senza nascondere nulla. Dove c’è amore, lì c’è anche comprensione e perdono». Ed è questa la missione che Francesco affida alle famiglie, nel loro «pellegrinaggio domestico di tutti i giorni»: sperimentare la gioia del perdono, «una missione così importante, di cui il mondo e la Chiesa hanno più che mai bisogno».

SEGNA IN AGENDA Giovedì 7 gennaio Corso sull’affettività col prof. Bellantoni auditorium polifunzionale di Ischia ore 16.00 – 18.30

Sabato 9 gennaio Incontro-Festa diocesana battezzati (0-5 anni) Cattedrale ore 16.00-18.00


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Giubileo Misericordia della

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LA MISERICORDIA E IL CONCILIO

Dopo il primo articolo di introduzione generale, continua la trattazione sul rapporto tra Concilio Vaticano II e misericordia, posta da papa Francesco al cuore dell’anno giubilare.

Di don Pasquale Trani Delegato vescovile per la pastorale

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el primo articolo si è cominciato a tratteggiare il nesso che papa Francesco ha voluto porre in essere tra concilio e anno della misericordia. E si è presentata una prima indicazione lungo la quale ci si muoverà in questa piccola trattazione: la novità sempre attuale del Concilio e le sue novità che ancora non si sono espresse in pienezza in rapporto allo stile di Chiesa che da esso promana. Ora mettiamo in evidenza un secondo aspetto: la categoria della sinodalità. In realtà non è un tema esclusivo del Concilio. Infatti già nel V concilio ecumenico (concilio di Costantinopoli II) si diceva: “Anche i santi Padri, lungo i secoli, si radunarono nei quattro santi Concili, e, seguendo gli esempi degli antichi, presero insieme le decisioni relative alle eresie che erano sorte ed altre questioni, avendo per certo che nelle discussioni comuni, quando cioè si af-

LA SINODALITÀ frontano problemi che interessano l’una e l’altra parte, la luce della verità dissolve le tenebre della menzogna. Nelle discussioni sulla fede fatte in comune non è possibile che la verità si manifesti in modo diverso; perché ciascuno ha bisogno dell’aiuto del suo prossimo, come afferma Salomone nei suoi Proverbi: «Il fratello che aiuta il fratello sarà esaltato come una città fortificata, ed è saldo come un regno dalle solide fondamenta» (Pro 18, 19). Dice ancora l’Ecclesiaste: «Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica» (Eccl 4, 9). Del resto, il Signore stesso dice: «In verità vi dico ancora. Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve lo concederà. Perché dove sono riuniti due o tre nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 19).” (Ecumenicorum Decreta, Herder, Freiburg 1962, p. 84). Come si evince dal testo, nel 553 d.C., i cristiani si radunarono col vivo desiderio di conoscere ciò che è buono, bello e vero, come espressione di confronto comune alla presenza di Colui che, solo, è il Bello, il Vero, il Buono. Ma il Concilio Vaticano II non nasce in un contesto di eresie da confutare o per affermare delle verità dottrinali da proclamare solennemente. Il Concilio fu indetto per interpretare la realtà in cui vive la Chiesa all’interno di uno stile e metodo ecclesiale condiviso che potremmo definire con l’inflazionato termine comunione. La Chiesa col Vaticano II si è posta in modo nuovo come espressione del rapporto fra Dio e gli uomini: “…La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’ intima unione con Dio e dell’ unità di tutto il genere umano” (Lumen gentium, 1). Ma questo “essere ponte” della Chiesa non può intendersi semplicemente come una pura imitazione della comunione intra-trinitaria tradotta con un particolare modo sociologico di agire. La comunione ecclesiale va intesa piuttosto come “partecipazione” della vita stessa di Dio. Il salto è notevole, perché comprendiamo immediatamente che non stiamo più parlando di una metodologia comunicativa, ma di una vita nello Spirito, che ci renda ca-

paci di porci come riflesso della Trinità l’uno verso l’altro in modo nuovo. La Chiesa è inserita in una complessa trama di relazioni interne ad essa ed esterne, col mondo, con la realtà con cui interagisce. Solo collegandosi con un tessuto relazionale che si sviluppi in senso verticale, col divino, oltre che col prossimo, è possibile non disperdersi, non abdicare a quella sua vocazione di “segno e strumento” profetico di canale di grazia col cielo per tutti gli esseri umani. La Chiesa si pone così come il “luogo” dove è possibile cogliere la fitta trama di singole questioni e l’ordito divino che la Provvidenza va costruendo attraverso di esse: “Alla tua luce, Signore, vediamo la luce” (salmo 36, 10b). La stessa Lumen fidei (enciclica del 29/6/2013, scritta fondamentalmente “a quattro mani”, dai pontefici Benedetto XVI e Francesco) afferma: “Si tratta di un modo relazionale di guardare il mondo, che diventa conoscenza condivisa, visione nella visione dell’altro e visione comune su tutte le cose” (n. 27). La sinodalità dunque, sotto questo aspetto, diventa metodo decisivo del porsi dei membri della Chiesa, gli uni verso gli altri, come portatori di elementi di verità da non contrapporre, ma da saper cogliere in dia-logo, cioè arrischiando fino in fondo, in un parlare e in un ascoltare fatto di attenzione e reciprocità senza dietrologie e pregiudizi. Illuminanti le parole a tal proposito di papa Francesco nella esortazione apostolica Evangelii gaudium: “La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cfr Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana.” (n. 169). Se sapremo reciprocamente accoglierci, allora la verità-Gesù troverà un luogo, tornerà a farsi carne, come avvenne prima nel cuore e poi nel grembo di Maria e illuminerà, come dono di misericordia, il cammino ecclesiale e in definitiva dell’umanità intera.


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Punti di Vista

2 gennaio 2016

kaire@chiesaischia.it

Nel giorno del Giubileo delle famiglie, Franco Iacono con la moglie Anna e alcuni nipoti hanno potuto vivere un momento speciale, pochi attimi ma intensi con il Papa durante l’offertorio nella messa domenicale nella Basilica San Pietro a Roma

A tu per tu con Papa Francesco

Di Franco Iacono

1.

“Santità, La ringrazio per la testimonianza del Vangelo, che rende alla Chiesa e a tutti noi. Abbiamo una famiglia con sei figli, 14 nipoti, fra poco, compiamo 50 anni di matrimonio!” E Papa Francesco, con sorriso cordiale e coinvolgente: “Che bella testimonianza! Ora i giovani… si stancano presto!” Poi, sorridente, ha stretto la mano con calore ad una “rappresentanza” dei nostri nipoti, Francesco di Vito, Marianna di Vittorio, Gaia di Valerio, Marta di Francesca. Ma con mia moglie Anna è stato particolarmente caloroso ed affettuoso, cogliendo appieno la sua emozione, che era quella di tutti noi. Una bellissima fotografia, postata sul profilo di Papa Francesco, rende appieno questo momento molto intenso dell’incontro con Anna. Gli altri della famiglia erano nella basilica di San Pietro, anche loro coinvolti ed emozionati. Una bella ed intensa esperienza, la nostra, nel giorno del Giubileo delle Famiglie. Un bel regalo, anticipato di qualche mese, per il cinquantesimo anniversario del nostro matrimonio. Ho voluto rendere, e mi è parso giusto così, solo per Kaire questa testimonianza di un incontro – eravamo fra gli “offerenti” nella Messa di Papa Francesco in San Pietro, domenica

27 di dicembre – brevissimo, ma intenso ed indimenticabile! Veramente un regalo della vita! 2. Sono un estimatore, tra i tantissimi, di questo grande Papa, che ha “riscoperto” il Vangelo, né più, né meno! Eppure passa per essere un “comunista”, un “rivoluzionario”: quanto è “scomodo” per tutti noi, ed anche per tanti della Chiesa, il Vangelo! A suo tempo, il messaggio di Cristo minò alle basi lo stesso Impero Romano e distrusse “padre” Giove con il suo Olimpo di dei! Oggi quel messaggio fatica ad entrare nel nostro animo e, soprattutto, a determinare la rivoluzione nei nostri comportamenti. Anche in quelli individuali! Quanti di noi hanno restituito il saluto a chi l’avevano tolto per una bega banale, quanti hanno dato mandato ad un proprio avvocato di rinunciare ad una causa, intentata, anche contro i propri familiari, per motivi di interesse, quanti hanno pensato ad una rinuncia in favore di chi ha meno di noi?! Eppure, a prescindere dall’insegnamento antico del Vangelo, questo è l’anno della Misericordia e del Perdono. E quando questa “rivoluzione” non si concretizza nella stessa Chiesa e nei suoi rappresentanti su questa Terra, il dolore, credo anche di Papa Francesco, è ancora più grande! Tutto questo fa pensare che il messaggio Suo, e del Vangelo, è del tutto estraneo a molti della stessa Chiesa. Per questo ho ringraziato Papa Francesco per “la testimonianza del Vangelo, che rende alla Chiesa ed a tutti noi!”

E le sue parole, anche quel giorno del Giubileo delle Famiglie, hanno riempito il nostro animo. Auguri, perché questo Nuovo Anno nel segno di Papa Francesco e del Vangelo, determini la “rivoluzione”, che semini Amore, Solidarietà, Bellezza! Comune di Serrara Fontana Associazione Terra

Sabato 2 gennaio 2016 Escursione al Monte Epomeo “Gesù Bambino nasce nella chiesa di San Nicola, sul Monte Epomeo” Ore 10.00 Partenza dalla Piazza di Fontana Ore 11.30 Santa Messa, celebrata dal Don Agostino Iovene. Canti e Musiche Natalizie a cura del M° C. Matarese Visita all’Eremo restaurato. Gastronomia tradizionale e vino delle Cantine di Cesare Mattera I cittadini dell’Isola d’Ischia ed i graditi ospiti turisti sono invitati. Il Sindaco Rosario Caruso Il Presidente Onorario Franco Iacono


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Giovani 2 gennaio 2016

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Luce nella notte

Di Giuseppe Galano

L

a sera del 23 dicembre per tanti giovani e ragazzi delle varie comunità parrocchiali isolane è stata un susseguirsi di emozioni, una più forte dell’altra. Alle 21:00 ci si è ritrovati a Forio nella centralissima piazzetta San Gaetano. I giovani, circa venti, guidati da don Gianfranco Del Neso, condirettore dell’Ufficio di Pastorale Giovanile, hanno dato vita ad un qualcosa di straordinario, Luce nella Notte, un’esperienza per alcuni impensabile fino a quel momento. L’esperienza vissuta dai giovani è stata diversa rispetto alle volte precedenti; fin da subito si respirava un clima di vera gioia ed immenso amore tra i partecipanti. Per l’occasione la graziosa chiesa di San Gaetano, di recente ristrutturata e riportata al suo originale splendore aveva le sue porte completamente aperte ed al suo interno vi era l’Esposizione di Gesù Eucarestia. La serata è stata animata dalle splendide voci della corale della Pastorale Giovanile. I canti, a detta di quanti hanno partecipato all’evento, sono stati bellissimi ed hanno aiutato quanti entravano in chiesa ad immergersi completamente nella preghiera e nella meditazione. I giovani, dopo un intenso momento di preghiera ed adorazione si sono recati all’esterno della chiesa raggiungendo le stradine limitrofe, donando “Abbracci Gratis”a quanti passavano per la piazza. Per le strade di Forio, complice la serata fredda, non vi era tanta gente che passeggiava. La maggior parte delle persone incontrate hanno accolto con gioia ed entusiasmo l’iniziativa. Tuttavia, come

era ben prevedibile, vi è stato chi ha rifiutato l’abbraccio. Inizialmente, tra i partecipanti, soprattutto per chi era alla prima esperienza, vi era un senso di timore ed inibizione ma è bastato poco per vincere la timidezza e donare abbracci calorosi e ricchi d’amore. Con alcuni passanti si è riuscito ad instaurare veri e propri dialoghi. E’stato bello vedere come le persone si aprivano con i ragazzi raccontando esperienze di vita, gioie e dolori. Le persone sono state invitate ad entrare i chiesa e ad offrire una loro personale preghiera davanti a Gesù Eucarestia. Hanno accolto l’invito ad entrare in chiesa perfino atei e persone che non vi entravano da svariati anni. Ai piedi dell’altare vi era un cesto nel quale le persone ponevano un bigliettino con una loro personale preghiera. Un altro cestino conteneva frasi tratte dalla Parola di Dio. Ognuno, dopo aver deposto un lumino davanti a Gesù ha pescato un bigliettino ottenendo un personale messaggio. Davanti ad un simile gesto tanti si sono commossi ed hanno sentito la forte esigenza di confessarsi. L’iniziativa è andata avanti fino a notte inoltrata. Per tutti è stata un’esperienza unica ed indescrivibile che ha donato un’infinità di amore, gioia e pace.


Giovani

11 2 gennaio 2016

kaire@chiesaischia.it

Preghiera giovani

Beati gli afflitti perchè saranno consolati Martedì 22 dicembre nella Chiesa Cattedrale di Ischia Ponte si è tenuto l’ultimo appuntamento del 2015 tra i giovani delle varie realtà isolane ed il nostro Vescovo Pietro.

Di Giuseppe Galano

pochi giorni dal Santo Natale per tanti giovani e ragazzi è stato bello ritrovarsi a pregare e meditare con il nostro Vescovo. Tema dell’incontro è stata la Seconda Beatitudine, “Beati gli afflitti perché saranno consolati”. Quale atto preliminare Padre Pietro ha affidato i ragazzi allo Spirito Santo. Le voci della corale della Pastorale Giovanile hanno intonato il canto d’invocazione Vieni Santo Spirito di Dio. “Lo Spirito Santo ci spinge come il vento spinge le vele delle imbarcazioni. Questo giorno abbiamo contemplato Maria che si reca da Elisabetta che attende un bambino. Anche Lei è spinta dallo Spirito che ha ricevuto. Vogliamo chiedere al Signore che questo Spirito spinga anche noi, possa soffiare come vento sulla nostra Chiesa e come fuoco ardere in noi affinchè saremo testimoni di Gesù. Chiediamo il dono dello Spirito affinchè sia davvero Natale per noi e per le persone che incontreremo”. Con queste belle e toccanti parole ha inizio il momento di riflessione proposto dal nostro Vescovo. Egli ha invitato a pregare a partire dalla Seconda Beatitudine. Quale supporto della meditazione è stato scelto un brano tratto dal libro del profeta Isaia (61,1-3) “Beati gli afflitti perché saranno consolati. Cosa significa? Gesù vuole che facciamo penitenze, che ci autopuniamo? Per un certo tempo così è stata letta questa Beatitudine. La chiesa era diventata il luogo dove si esaltava la sofferenza, il sacrificio e la penitenza. Il profeta Isaia dice il contrario: il Signore vuol far vestire con abito nuovo, vuol e che l’abito di lutto sia sostituito da veste di lode”. E’stato proposto un canto molto bello, tratto dal repertorio di Laura Pausini, “Il mondo che vorrei”, datato 1996. “Gli afflitti non sono coloro i quali per un motivo o un altro vivono una situazione difficile. Il Signore è vicino a chi vive nel dolore e nella sofferenza, a chi è segnato da una malattia, da un’assenza o un fallimento. Questa Beatitudine sottolinea che Dio sta sempre dalla parte di chi soffre. E’ bello prepararci al Natale pensando che il Signore venga a condividere le nostre sofferenze ed i nostri dolori”.Il Vescovo ha invitato tutti a dedicare un pensiero o una preghiera per una persona che vive nella sofferenza. “Beati gli afflitti significa anche altro, una cosa alla quale abbiamo pensato poco. Il Signore ci

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chiede di imparare a piangere. Bisogna imparare a farlo. Se non lo si fa vuol dire che non si potrà mai essere Beati.”Padre Pietro ha affermato che il canto di Laura Pausini ci parla del mondo che vorrei, il mondo che desidero e non esiste. La canzone vuole trasmettere una sorta di malinconia, vuole spingerci a soffermarci sulle situazioni di sofferenza che vi sono nel mondo. “Gli afflitti sono coloro che soffrono per le cose brutte che avvengono nel mondo, che non sono indifferenti, coloro che hanno un cuore tenero, si commuovono e sanno piangere. Questi sono gli afflitti di cui parla Gesù definendoli Beati. Le persone che sanno soffrire perché la Parola di Gesù non è accolta,il Vangelo non realizzato perché tante persone non hanno incontrato il Signore. Dobbiamo imparare a far crescere in noi questa sofferenza. Il mondo che vorrei ci vuole invitare a questa Beatitudine. Sono Beati coloro che sanno piangere davanti ad un dolore, ad una cattiveria, ad una situazione di ingiustizia e falsità”. Il Vescovo dal testo di Laura Pausini ha estrapolato frasi molto significative. Come si fa a rimanere qui, immobili così, indifferenti ormai. “Gli afflitti sono coloro che non restano immobili, non sono indifferenti, sanno commuoversi, sanno piangere davanti a chi soffre. Gesù è l’afflitto per eccellenza, più volte ha pianto. Egli viene per cambiare il mondo, per renderlo più bello”. Nel mondo che vorrei avremo tutti un cuore. Il mondo che vorrei si chiamerebbe amore. “Finchè questo non si realizza Gesù sarà afflitto. Egli chiede a tutti noi di condividere il suo dolore. L’afflitto è chi condivide il dolore di Gesù, chi piange insieme a Lui, chi fa suo il dolore di Gesù.” Belle e toccanti le parole pronunciate da Mons. Lagnese al termine della sua riflessione: “Beati gli afflitti che sappiano impegnarsi in prima persona a portare gioia ed amore li dove non vi sono”. In risposta alla meditazione è stato proposto il canto Emmanuel Tu Sei intonato dalle voci della corale. “Più crescerà l’afflizione e più aumenterà la gioia, due sentimenti contrastanti, dove vi è l’uno vi è l’altro. Dove vi è afflizione vi è gioia e capacità di commuoversi e di piangere, altrimenti non sarebbe gioia vera ma un accontentarsi di poco, vivere in superficie. Chiediamo al Signore che sia questa Beatitudine anche la nostra.


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Caritas Diocesana 2 gennaio 2016

Di Lorenzo Russo

“è

stato il regalo più bello della mia vita. La cosa più bella che ho vissuto su questa terra”. Con queste parole suor Rosa, del centro Caritas Giovanni Paolo II di Forio, ci racconta l’esperienza vissuta nel pranzo di Natale del 25 dicembre scorso. Un evento organizzato per coloro che frequentano il centro Caritas ma anche per quelle persone (anziani, disabili e non solo!) sole, che hanno parenti lontani o deceduti. Un modo per vivere e festeggiare la nascita di Gesù insieme e fare famiglia! Si, perché proprio questa è stata la sensazione di chi vi ha partecipato: un’unica famiglia. Una sessantina di persone (ischitani e non) che hanno potuto vivere il 25 dicembre in modo diverso dagli altri anni. “Si vedeva negli occhi la felicità di aver trascorso un momento di famiglia – ci racconta Anna, che ha dato una mano insieme alla sua famiglia ad allestire il salone e i tavoli - La gioia più grande è stato poter avere con noi il vescovo Pietro insieme ad alcuni sacerdoti, come don Gioacchino, don Emanuel, e padre Giuseppe Carulli”. Suor Rosa e suor Miriam non riescono ad esprimere la gioia di un momento così bello, tanta l’emozione vissuta. “Molte di queste persone avrebbero trascorso il 25 dicembre da sole – ci racconta suor Miriam - , ed è stato perciò un motivo in più per non lasciarli soli. Si sentivano tutti a casa. Anche se alcuni di loro non si conoscevano, c’è però stato fin da subito un clima di famiglia”. “Il vescovo era felicissimo di stare li – ci confida un’altra partecipante che insieme al marito hanno cucinato per tutti - Si vedeva la gioia dai suoi occhi. Padre Pietro, in genere, è sempre una persona gioiosa, ma quel giorno era davvero luminoso. Si è seduto vicino ogni persona, ha scambiato con loro qualche parola, un abbraccio o una stretta di mano. Era davvero un Padre umile e misericordioso. Sono tornata la sera a casa felicissima. Vai per donare e ritorni che hai ricevuto il centuplo”. Le suore e i volontari del centro GPII hanno poi dato al vescovo una lettera di ringraziamento, con un crocifisso di cristallo, come segno di gratitudine per quello che stavano vivendo insieme. Padre Pietro, ha benedetto tutti i partecipanti, e donato il suo messaggio natalizio. Tutto è stato pensato fin nei minimi particolari: dal menù, all’addobbo della sala, al dolce a fine pranzo con musica al seguito. Il menù è stato pensato in base a quello che

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Un meraviglioso

Sessanta persone, un’unica famiglia. Il 25 dicembre al centro Cari

lizio per festeggiare la nascita di Gesù Bambino. Tanta la gioia, so


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13 2 gennaio 2016

pranzo di Natale

itas Diocesano Giovanni Paolo II di Forio c’è stato il pranzo nata-

oprattutto in coloro che avrebbero trascorso il Natale da soli.

c’era in dispensa, ma la fantasia e l’arte del saper cucinare hanno fatto il resto. E così sono state preparate lasagne, roastbeef, piselli, lo spezzatino, melanzane a funghetti, etc... Anche nella preparazione della sala con gli addobbi natalizi e la sistemazione di tavoli e sedie, sono stati occasione per coinvolgere le persone del centro, in un clima di gioia e misericordia. Il vescovo ha incoraggiato tutti i volontari ad andare avanti, per stare al fianco di chi ne ha bisogno, in ogni istante. Il centro Caritas di Forio ormai è diventato un punto di riferimento per tutta l’isola. Ogni giorno gruppi di persone dalle varie realtà parrocchiali vanno a dare una mano e stare insieme a coloro che vivono in situazioni di disagio, sia fisiche che economiche. Le famiglie di Fiaiano hanno festeggiato il giorno della Sacra Famiglia lì al centro, oppure il coro di Sant’Antonio di Padova ha tenuto un piccolo concerto natalizio. In ultimo anche i giovani della Pastorale Giovanile hanno voluto trascorre un Capodanno diverso, vivendo la mezzanotte insieme, pregando e ringraziando Dio per il nuovo anno.


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La Storia siamo Noi 2 gennaio 2016

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GLI AUDACI “AFFARI” DELL’IMMEDIATO DOPO GUERRA

Quando l’ischitano Nicola Iacono divenne “padrone” dell’isolotto di Vivara Un’esperienza del passato che lega Ischia a Procida. Nicola Di Antonio Lubrano

D

a via delle Terme a Ischia, dove prese in moglie Leonida della estesa famiglia Lauro di Porto d’Ischia, ai Maronti, dove impiega tutte le sue migliori energie giovanili nella lavorazione della terra, dalla quale trae prodotti e profitti per un presente che promette altresì nuove esperienze di vita nel lavoro e nelle legittimi aspirazioni di arrivare il più in alto possibile, tra vantaggi ed inevitabili disagi. Questo, in sintesi, è uno degli spaccati di vita di Nicola Iacono, meglio conosciuto col soprannome di Nicola ‘e Maruont, che appena dopo l’ultimo conflitto mondiale, tra lo stupore degli ischitani e della stessa sua famiglia, conclude uno di quegli affari tra i più audaci che si potessero pensare e allo stesso tempo realizzare in quel particolare tempo di fermento sociale per Ischia e per la Nazione intera. Riuscì ad entrare in possesso, attraverso una convenzione con l’Ente proprietario, nientemeno che del dirimpettaio isolotto di Vivara. Superò un iter burocratico complicato, vincendo l’asta indetta dal proprietario che era l’ospedale Civico Albano Francescano. L’ingegnere Minutolo di Procida fu incaricato della stima. L’isolotto era abbandonato da quarant’anni. La prima asta fu vinta da un procidano. Nicola Iacono rilanciò sulla stima stabilita su insistente pressione di suo cognato Ferdinando Mattera e di Vincenzino Pirozzi appassionati cacciatori come lui. Per legge fu indetta l’asta successiva dal notaio De Luca di Napoli. Tutto finì per il meglio con la soddisfazione piena di Nicola che da quel momento era possessore unico ufficiale di Vivara. Le condizioni di pagamento furono le seguenti: importo annuale di base di settecentomila lire oltre a dazioni in natura già contemplate del Capitolato e cioè: trenta quintali di legna da ardere, tre quintali e venti kilogrammi di olio, un barile di vino bianco ed uno di vino rosso “del migliore che produce il fondo”, tre quintali di patate, sessanta carciofi, cinquanta chili di fave secche, cento chili di frutta fresca assortita, sedici conigli, due capponi a Natale, e due galline a Pasqua, cinquanta uova a

Iacono inizio a gestire l’isolotto di Vivara abbandonato da oltre 40 anni. Iniziò a produrre vino di ottima qualità, frutta di stagione, legumi e verdura di ogni specie. Un’isola felice che fece parlare di sé in quegli anni del dopo guerra.

Nicola Iacono appasionato cacciatore con amici cacciatori di Ischia Vincenzo Granatz detto Negus ed Ernesto Di Meglio

Vivara 1948 Nicola con la piccola Lucia nata a Procida

Maronti primo anno 1960 del ristorante Nettuno

Vivara Nicola e Leonida con i figli Lucia e Domenico

Pasqua. Tutto questo Nicola Iacono doveva consegnarlo ogni anno a Procida presso la sede dell’ospedale civico locale. Il contratto di fitto fu firmato da Nicola presso lo studio del notaio Francesco De Luca il 14 marzo del 1947, repertorio 800, progressivo 455. Nicola Iacono fiducioso in ciò che di buono poteva venir fuori da quell’affare, prese possesso di Vivara il tre febbraio del 1947, il giorno di San Biagio. Con lui v’erano la moglie Leonida, il figlio primogenito Domenico ancora in fasce e una ventina di operai ai quali Nicola pagava un salario di cento lire al giorno. L’impresa si presentò già durissima, per il lavoro da praticare senza risparmio a cominciare dalle prime luci dell’alba. Nicola con la moglie Leonida in attesa di dare alla luce il secondo figlio che fu una femmina e che chiameranno Lucia, presero alloggio a Procida alla Chiaiolella presso una brava donna del posto di nome Mariuccia. Poiché a quel tempo l’isolotto di Vivara non era ancora collegato con Procida, bisognava raggiungerlo con la barca. Per questo Nicola si accordò, attraverso un impegno mensile, con un barcaiolo-pescatore della Curicella,

il conosciuto Fracalà, il quale serviva Nicola ed il suo seguito con soddisfacente dedizione. Nicola in quegli anni in cui tenne Vivara, curò molto la coltivazione delle viti, producendo uva in quantità e vino di ottima qualità. Una mattina di Aprile, col tempo splendido, Nicola che ormai con la sua famiglia viveva tra Procida e Vivara, si recò a Ischia, per portare un campione del suo vino prodotto nei vigneti di Vivara, ai fratelli d’Ambra sul porto. L’incontro con D’Ambra fu cordiale e producente tanto che invitò i fratelli Mario, Salvatore e Michele e Agostino Lauro con cui era imparentato, tutti appassionati cacciatori, a fargli visita a Vivara per una distensiva battuta di caccia visto che in quei giorni l’isolotto era infestato di quaglie che “entravano” a tutte le ore già dal primo mattino. Nicola Iacono era contento e orgoglioso di quella interessante esperienza di vita di poco lontano dai “suoi” Maronti a Ischia. Proprio in quel mese di aprile nacque a Procida sua figlia Lucia. Vivara ormai per Nicola e la sua famiglia che a mano a mano cresceva, era diventata la sua casa, il suo spazio d’esistenza dove pensava, ama-

va, pregava e lavorava. L’estate del 1948 per Nicola e famiglia fu una estate felice. Riceveva visite di amici e parenti di Ischia e di Barano per scampagnate ed allegre gite in barca. I terreni di Vivara producevano buona frutta di stagione, e legumi e verdura di ogni specie. “L’isolotto era per me come un bastimento ancorato in rada, da dove si vede il mare da tutti i lati…” disse un giorno Nicola. E sul quel “bastimento” chiamato Vivara, imbarcatosi per sua scelta, dopo un impeto di entusiasmo e di fiducia in ciò che faceva, Nicola incominciò a vivere giorni non più felici. “La sera - ha lasciato scritto Nicola a commento di quella esperienza da lui voluta - mi recavo a caccia per procurare qualcosa che completasse la cena. Mia moglie impastava farina rossa per ricavare i famosi scagniuozzi da mangiare… ero molto preoccupato, non sapevo da dove far uscire i soldi per pagare l’affitto… Il primo anno affrontammo un lavoro bestiale…ci rifacemmo l’anno dopo con un buon raccolto di olive… Producemmo olio in quantità che fu acquistato da mio cognato Ferdinando che ci forniva i generi alimentari. Dopo i conti non tornarono più. Ferdinando si mise di traverso e subentrò con altri nel possesso di Vivara. Mi indebitai, stavo perdendo tutto, anche la mia proprietà di Ischia. Mio padre Domenico tremava ed io con lui. Fui contento di lasciare Vivara dopo aver venduto tutto ciò che avevamo per saldare i debiti. Partimmo da Vivara con poche cose, oltre alla ricchezza più grande rappresentata dalla mia famiglia che intanto, era cresciuta ancora. Leonida, mia moglie aveva dato al mondo il ventinove di settembre del 1949 un altro procidano, Michele, nato come Lucia alla Chiaiolella”. Nicola tornò ai Maronti a lavorare la sua terra. Successivamente, proprio ai Maronti aprì un ristorante, il Nettuno dove si poteva gustare il migliore coniglio di fosso alla cacciatore cucinato dallo stesso Nicola. Nel 1968 ai Maronti, in luogo del ristorante Nettuno, Nicola Iacono fa sorgere l’hotel Parco Smeraldo. Il piccolo Michele nato a Procida, diventerà dopo Assessore al Turismo del Comune di Banano d’Ischia. Da Vivara ai Maronti, ovvero, una parabola alla fine, meravigliosamente ascendente.


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La Storia siamo Noi

2 gennaio 2016

kaire@chiesaischia.it

Vivara, l’isola che da sempre ci è tanto familiare Di Michele Lubrano

V

ivara ce l’abbiamo di fronte, poco più vicina di Procida. Ecco perché in primis ci è familiare. Fa parte di diritto del nostro paesaggio… all’orizzonte. La sua storia comprende lontani dati ed episodi che riguardano ischitani soprattutto per la passione per la caccia. Dal XIV secolo a.C. ogni traccia di vita stabile su Vivara scompare per circa due millenni, per riprendere soltanto in epoca moderna con la costruzione, nel 1681, di una villa colonica sul pianoro sommitale che rimane ancor oggi l’unica costruzione di rilievo dell’isola. Verso la metà del XVIII secolo, il re Carlo III di Napoli, fece di Vivara una sua riserva di caccia, popolandola, tra l’altro di fagiani, conigli e caprioli. La proprietà dell’isola passò in seguito al Comune di Procida (1818), e quindi a privati, tra cui Biagio Scotto La Chianca (che favorì le prime ricerche), i quali introdussero le coltivazioni della vite e dell’ulivo) per passare infine, nel 1940, all’Ospedale di Procida (denominato “Albano Francescano”, oggi fondazione di diritto privato), che ne detiene ancora oggi la proprietà. Nel 1947 l’ischitano Nicola Iacono alla seconda asta si aggiudica il fitto dell’isola. Nel 1957 fu costruito, per il passaggio dell’acquedotto che raggiunge Ischia, uno stretto ponte di collegamento con Procida e, finalmente, nel 1972 l’isola fu assegnata in fitto alla Regione Campania, che le riconobbe lo status di oasi di protezione naturale. Dal 1977 al 1993 Giorgio Punzo, docente in pensione e appassionato naturalista, visse sull’isola, impegnandosi personalmente nell’opera di studio, protezione e valorizzazione dell’ambiente naturale di Vivara. Tale impegno non fu tuttavia appoggiato dalle istituzioni, tanto che, quando scadde il fitto che l’Ente Proprietario dell’isola aveva concesso alla Regione Campania, quest’ultima decise di non rinnovare il contratto, sfrattandolo di fatto dall’isola. Da allora Vivara ha vissuto una situazione di degrado causato sia dall’incuria sia dall’opera di vandali e bracconieri che hanno potuto agire in quasi completa libertà almeno fino al 2009, anno in cui la fondazione proprietaria ha provveduto a

Storia recente di divieti e provvedimenti contestasti – dal 2002 l’isola è diventata Riserva Naturale dello Stato. chiudere i varchi abusivi presenti e instaurato una collaborazione con il servizio di vigilanza volontaria della LIPU che ha potenziato la sorveglianza già assicurata dal Corpo Forestale dello Stato. Nel 2002, con decreto ministeriale 24/06/2002 (pubblicato in G.U. n. 225 del 25/09/2002), l’isola è diventata una riserva naturale statale nonché sito di importanza comunitaria e zona di protezione speciale nell’ambito della rete Natura 2000, il cui presidente designato è attualmente l’imprenditore napoletano Maurizio Marinella. Per lungo tempo il Comitato di Gestione non è riuscito a provvedere alla gestione ordinaria dell’isolotto per problemi di ordine burocratico. Il 22 marzo 2013, tuttavia, viene firmato un protocollo d’intesa tra il Comune di Procida e il Comitato di Gestione, consentendo l’accesso ai turisti durante le festività pasquali, dopo ben 11 anni dalla sua chiusura al pubblico. Al giorno d’oggi è proibito l’ingresso all’isola di Vivara perché non è possibile transitare sul ponte che la collega a Procida, ristrutturato di recente, e perché manca un piano per la fruizione della Riserva. Esiste tuttavia un dibattito riguardo al futuro dell’isola. Molte persone ritengono che l’isolotto potrebbe diventare un’importante attrattiva turistica per Procida dal punto di vista storico e ambientale. Nel 2001 Vivara è entrata nel Guinness dei primati grazie al ponte tibetano più lungo del mondo, costruito tra il promontorio di Santa Margherita a Procida e l’isolotto di Vivara. Il ponte, lungo 362 metri, fu realizzato tra il 2 e il 10 luglio 2001 utilizzando 40 tubi Innocenti, 40 morsetti, 34 picchetti di un metro e mezzo, 2500 metri di corda, 500 m di cavi d’acciaio, 1 trivella e 1 verricello. Nel 2006, durante una conferenza stampa, Maurizio Marinella, proprietario dell’omonimo e celebre atelier, nonché presidente della “Riserva Statale Isola di Vivara”, ha presentato una cravatta dedicata all’isola di Vivara.

Targa della riserva naturale ove e' vietato l'accesso

Il ponte che congiunge oggi Vivara a Procida

L'aspetto tipico di Vivara visto da Ischia

Procida con Vivara attaccata e l'isola d'Ischia sullo sfondo

Casa abbandonata oggi su Vivara


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Ambiente 2 gennaio 2016

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Di prof. Giuseppe Sollino

A

partire dal VII secolo, gli arabi avevano già introdotto nelle aree mediterranee alcune piante esotiche, ma fu alla fine del XV secolo, con la scoperta dell’America, che si scatenò una vera invasione botanica. Uno degli scopi del viaggio di Cristoforo Colombo era la ricerca di una nuova strada per le Indie per procurarsi le piante che producevano spezie, una merce di grande valore commerciale. Dopo aver lasciato le Canarie, Colombo attraversò l’Atlantico in trentatrè giorni con le sue tre caravelle, approdando su un isolotto delle Bahama. Esplorò la costa veleggiando tra le isole di Cuba e di Haiti. Quì Colombo e i suoi esploratori incontrarono animali strani, lucertole spaventose(Iguane) e uccelli variopinti, ma anche uomini che inalavano il fumo di strane foglie arrotolate. Sicuro di trovarsi nelle Indie –anche se in una terra mai esplorata – cominciò a raccogliere rami e foglie di alberi e cespugli per verificare se fossero o meno aromatici e se dunque potessero valer come spezie. Mostrava agli indigeni dei campioni di cannella, pepe e altre spezie tipicamente orientali che si era portato appresso, per confrontarle. Insieme al suo equipaggio degustò il vitto locale: furono i primi europei ad assaggiare la Manioca e il Mais. Dopo tre mesi di esplorazione, si mise in viaggio per l’Europa portando con sé i campioni delle sue scoperte. Il Re di Spagna lo ricevette a Barcellona, dove Colombo mostrò alla Corte reale dieci “indiani” dipinti e seminudi che aveva portato con sé, insieme a campioni d’oro, d’ambra e di cotone. Mostrò gabbie con uccelli variopinti e mai visti prima ed esemplari di foglie secche che riteneva potessero essere utili come spezie. Tra le piante ancora vive che aveva con sé c’erano i tuberi di piante simili ai convolvoli mediterranei, che egli assicurò essere eccellenti da mangiare e di gusto simili alle “dolci castagne”. I tuberi vennero piantati nei giardini di Barcellona.Questa che fu probabilmente la prima pianta a metter radici in Europa, era chiamata nella zona di origine(Haiti) “Comoto”. In Spagna venne trasformata in “Batata”, che in inglese divenne “Potato”:Solo un secolo dopo si aggiunse l’aggettivo “Dolce”: l’attuale “Patata Dolce” o Batata. Rapidamente questo tubero ricco di amidi, ottenne un grande successo, anche perché si riteneva che avesse grandi poteri afrodisiaci. La pianta che ha bisogno di clima caldo non si diffuse nelle aree del Nord Europa, ma nel Bacino del Mediterraneo divenne una delle piante più importanti. A queste seguirono un gran numero di nuove piante, che si insediarono stabilmente negli orti e nei giardini del Mediterraneo, costituendo ancora oggi una voce basilare delle coltivazioni e della cucina Mediterranea. Tra queste un posto importante occupano le Solanacee.Molte piante appartenenti a questa famiglia contengono alcaloidi velenosi che agiscono sul sistema nervoso: Quasi tutte di provenienza esotica, erano ben note, per le loro proprietà a farmacisti, erboristi e stregoni fin dai tempi più antichi.

Mandragora autunnale

Solanacee

Le invasioni botaniche La Mandragola, oggetto di molte superstizioni Medioevali, contiene un alcaloide ad azione sedativa, e perciò veniva impiegata come anestetico nelle operazioni chirurgiche. Il Giusquiamo contiene principi analgesici che erano usati soprattutto in odontoiatria. La Dulcamara contiene diverse sostanze attive che la rendevano utile contro l’asma, la pertosse e i reumatismi. Il frutto dello Stramonio veniva usato dai veggenti come allucinogeno. La Belladonna contiene diverse sostanze molto velenose, ma anche un principio attivo che provoca la dilatazione delle pupille, che veniva largamente impiegato nelle “toilette” aristocratiche delle nobildonne. Nelle Americhe crescono più di un migliaio di specie di Solanacee: tra queste, una delle prime ad essere introdotta in Europa e che costituiva la dieta fondamentale delle popolazioni andine era la Patata. Al suo arrivo, i suoi tuberi furono giudicati, molto simili a quelli della Patata Dolce, per cui si preferì dare lo stesso nome alla nuova patata senza aggettivi. Era il 1570 quando arrivò nel vecchio continente, probabilmente dal Cile. Come in quasi tutte le Solanacee, le parti aeree della patata sono velenose, ma non i suoi tuberi, che invece sono molto ricchi di amido. Sicuramente la patata è stato uno dei doni più importanti che è arrivato dal Nuovo Mondo: a parità di area coltivata, produceva cinque volte più cibo di qualsiasi altra pianta conosciuta a quel tempo. Secondo alcuni sociologi la diffusione della patata è coincisa con lo sviluppo demografico europeo di quel periodo. Nella affannosa ricerca delle spezie, gli Spagnoli scoprirono un’altra solanacea con frutti rosso fuoco che, morsicati, producevano un bruciore doloroso alla bocca. La spezia che più si avvicinava a questa specie nuova era il Pepe, che è il frutto di una pianta lianosa della giungla indiana. Tra le due piante, in realtà, c’è ben poca somiglianza, ma la nuova scoperta fu ugualmente chiamata dagli inglesi “pepper” il Peperone. Questa pianta divenne molto popolare, e fu coltivata in molte varietà, alcune producevano grandi frutti

carnosi, da verdi a scarlatti, che possono essere consumati come verdure; altre con frutti piccoli e piccanti,sono note come “Peperoncini”;altre ancora vengono essiccate e macinate per ricavarne la “Paprica”. Dal Messico proviene un’altra Solanacea che gli Spagnoli portarono in Europa. Si tratta di una pianta che veniva coltivata dagli Aztechi per i gustosi frutti gialli e rossi e che essi chiamavano “Tomatl”. In Italia questa nuova specie venne chiamata “Pomo d’oro”, in Francia “ pomme d’amour”, mela d’amore, mentre gli inglesi ripresero il nome originario di “tomato”. C’era infine un’altra specie della famiglia delle Solanacee provvista di foglie aromatiche, che Colombo aveva visto fumare dagli “indiani”: era il “Tabacco”. Subito introdotto in Spagna e inizialmente coltivato per le sue proprietà medicinali e come pianta ornamentale, assunse sempre più importanza l’uso di fumarne le foglie proprio come gli “indios”. L’ambasciatore francese alla corte portoghese di Lisbona, Jean Nicot, ne acquistò alcuni semi e li inviò a Parigi, dove la pianta fu chiamata “Nicotiana” in suo onore - ancora oggi il nome scientifico è Nicotiana tabacum – e quando più tardi i chimici isolarono dalle foglie l’alcaloide che provoca il “piacevole” effetto che induce al vizio, questo fu chiamato “Nicotina” Naturalmente non tutte le piante importate erano Solanacee. Una ad esempio era una Leguminosa .- parente dei Fagioli – questa nuova pianta ,proveniente dal Messico e chiamato dagli Aztechi “Ayacotl”, fu coltivato no solo per i suoi splendidi fiori scarlatti,ma anche per i suoi semi carnosi e per i baccelli giovani e teneri:si trattava del “Fagiolino” Una specie dello stesso genere del Girasole fu inviato dalla Virginia per i suoi tuberi commestibili :era il “Topinambur” che oggi possiamo osservare inselvatichito lungo i margini stradali. L’importazione delle piante esotiche era oggetto di particolari cure da parte degli spagnoli, che, prima di introdurle nel vecchio continente le facevano acclimatare in speciali vivai alle isole Canarie. Qui, dopo un mese di viaggio in condizioni difficili, venivano curate e anche riprodotte, finché non riacquistavano tutto il loro vigore. Allora


Ambiente

2 gennaio 2016

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Belladonna

Agave

del Mediterraneo il viaggio poteva essere completato per l’Europa, dove giungevano in condizioni ottimali. Molte piante vennero importate solo perché bizzarre o decorative, tra queste le più amate dagli Europei erano sicuramente le Cactacee, spinose e succulente , diffusissime nelle Americhe. Alcune, come il Fico d’India, approdarono in Europa all’inizio del Cinquecento. Questa specie si adattò particolarmente bene nelle aree Mediterranee. Il suo fusto è formato da una serie di cladodi –simili a cuscinetti di forma ovale – coperti di spine, che possono radicare anche singolarmente, se piantati nel modo giusto. La sua robustezza e la sua facilità di propagazione fecero del Fico d’India la pianta ideale per formare siepi impenetrabili sia dagli uomini che dagli animali. Inoltre, questa pianta produceva frutti porporini dal gradevole sapore che ricordavano vagamente i Fichi. Nell’Africa del Nord divenne così rigogliosa e abbondante che alcuni Europei ritennero provenisse di lì , tanto che la chiamarono :Fico di “Barberia” Dal Messico arrivò anche l’Agave che, come le Cactacee, si adatta particolarmente bene a condizioni desertiche trattenendo l’acqua, anziché nel fusto come le Cacatacee, nella rosetta basale delle sue spesse foglie carnose. Importata per abbellire i giardini mediterranei, l’Agave ben presto sfuggì alle colture e si inselvatichì costituendo una delle note più caratteristiche delle aree costiere del Bacino del Mediterraneo, con la tipica infiorescenza , che adorna lo stelo alto fino a 10 metri. Un’altra pianta straniera subentrata nel caratteristico paesaggio mediterraneo, nei secoli scorsi, è l’Eucalipto, proveniente da una terra ancora più lontana: l’Australia. In questo giovane continente si svilupparono circa cinquecento specie diverse, nelle condizioni più disparate, dalle foreste pluviali umide agli aridi deserti. Tra questi ricordiamo l’ “Eucaliptus globulus” che proviene dall’Australia Meridionale dove c’è un clima del tutto simile a quello Mediterraneo. E’ una pianta slanciata, sempreverde, che raggiunge anche i 40 metri d’altezza, con la corteccia è grigia azzurrognola che si desquama con facilità,la crescita è molto rapida. Il legname che se ne ricava è robusto e di buona qualità, con un considerevole valore commerciale.

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Agli inizi del Ottocento, i semi dell’Eucalipto furono spediti in Francia, dove se ne comprese la grande capacità di crescere anche sui terreni disboscati, dal suolo così povero e instabile da precludere lo sviluppo di qualsiasi altro albero. E così, nel corso del XIX secolo diverse specie di Eucalipto, si diffusero sui terreni erosi e pressoché desertici delle aree Mediterranee, dal Nord Africa all’Europa Meridionale,costituendo barriere frangivento,fornendo gradita ombra e stabilizzando il suolo. In realtà sembra quasi che nella nuova patria questa pianta cresca in modo ancora più rigoglioso che non nella terra d’origine, anche perché i parassiti da cui viene colpita in Australia sono assenti nel Bacino del Mediterraneo. Diffusissimo nell’isola d’Ischia è poi l’Ailanto o Albero del paradiso - Ailanthus altissima (Miller) Swingle – albero molto elegante alto fino a 20 metri dalla corteccia grigio-cenere cosparsa da lenticelle biancastre. Originario della Cina da dove fu introdotto prima in Inghilterra nel1751 e successivamente in Italia per alimentare un Bombice (una Farfalla) che forniva un’eccellente seta nell’area di origine. Il tentativo fallì in quanto l’insetto non si adattò. La pianta invece conquistò vaste aree della penisola. Ad Ischia si trova un po’ dappertutto. Sia lungo le strade – spesso usata come alberaturache nei giardini; ma più frequentemente l’Ailanto è diffuso nei terreni abbandonati, dove diviene addirittura infestante, soffocando lo sviluppo delle piante mediterranee, con significative alterazioni degli equilibri biocenotici... Tuttavia dalla corteccia si ricava un decotto utile per lavare i capelli grassi, mentre l’infuso di corteccia giovane viene impiegato come insetticida con notevoli vantaggi ambientali. Dalla Cina proviene infine, anche il Gelso bianco - Morus alba L. -. Fu introdotto in Italia da alcuni monaci. Soppiantò in breve tempo il Gelsomoro –Morus nigra L. – che originario della Persia era coltivato in tutto il bacino del Mediterraneo per i suoi frutti. Le due specie sono in genere accomunate anche se è il Gelso bianco, con le sue foglie che alimenta il Baco da seta e quindi la Bachicoltura. Con i frutti delle due specie si preparano ottime

marmellate e uno sciroppo ricco di zuccheri, acido citrico e acido malico, usato per le sue proprietà astringenti e per le infiammazioni alla gola. L’introduzione del Gelso nell’isola d’Ischia si deve ai frati del Convento di S. Maria della Scala. Questi che avevano appreso l’arte dell’allevamento del Bombice, misero a coltura con questa pianta i terreni intorno al Monastero (Giardino Nuovo). Successivamente tutti i terreni dell’antico Borgo Marinaro si coprirono del verde della pianta venuta dall’Oriente. Nel 1390 ormai il toponimo era diventato “Borgo Celza della Città d’Ischia” e aveva fornito agli isolani, dopo i disastri della tremenda eruzione di Fiaiano del 1302, una fonte insperata di ricchezza. Infatti, progressivamente, Gelsi si diffusero in tutti i casolari di Ischia, raggiungendo Lacco Ameno (il Giardino di Gelsi dei frati Carmelitani) e Forio, dove, nel 1576 troviamo il fiorente Borgo detto “di Gelso”. A Casamicciola, il giardino dell’ospizio del Monte, ospitava altresì una fiorente coltivazione della verde Moracea. All’ombra di questi splendidi alberi si suonavano inni sacri e ci si ritrovava per le preghiere. A Testaccio (Barano) nel 1769 il conte Giorgio Corafà, dopo aver fatto costruire una strada che tagliava la montagna e portava alle miracolose fonti dei Maronti (Olmitello e Cavascura, la inverdì con 150 alberi di Gelsomoro, affidandone la cura e i profitti alla Chiesa parrocchiale di S. Giorgio. Ancora oggi, chi ha la ventura e la fortuna di recarsi ai Maronti, attraverso la stradina antica, ha la possibilità di ammirare alcuni maestosi esemplari di Gelso dell’antica piantagione. L’organizzazione del fiorente commercio legato alla bachicoltura era gestita dagli “incettatori di foglie”, che le compravano dai contadini per passarle ai cittadini dei Borghi che allevavano le larve dl Baco da seta. Gli insetti venivano forniti in primavera allo stadio larvale iniziale, nutrendosi avidamente delle foglie di Gelso si accrescevano rapidamente e a giugno si imbozzolavano. Sull’isola si provvedeva anche alla tessitura, che era un arte legata alla trasformazione di altre fibre come la Canapa o il Lino. Figure “professionali” ormai scomparse ma molto importanti fino agli inizi del secolo scorso erano oltre agli “Incettatori”, anche il “Linaiolo e il Setaiolo”, che solo nelle rappresentazioni presepiali più antiche rivivono e arricchiscono la nostra eredità storico-ambientale e sociale. Naturalmente altre numerose specie provenienti da ambienti e continenti lontani hanno arricchito le aree mediterranee ed in particolare l’isola d’Ischia di forme, di colori e profumi che accentuano, il grande senso di “ospitalità” della natura che rende le nostre terre “l’Universal Giardino” come ricordava Giulio Jasolino parlando dell’isola d’Ischia nel suo famoso trattato “De Rimedi Naturali……..”alla fine dl 1500.


18 2 gennaio 2016

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Il tempo si ferma al presepe di Campagnano Lo spettacolare presepe vivente nella collinetta di Campagnano ad Ischia arriva alla sua 13a edizione. Quest’anno i fondi raccolti per l’evento serviranno per realizzare uno scivolo per disabili per la parrocchia.

Dalla Redazione

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l presepe vivente di Campagnano, come ogni anno, ha richiamato migliaia di persone, tra isolani e turisti. La partenza dei Re Magi dalla frazione di Sant’Antuono ha dato il via all’evento tanto atteso, ambientato in uno scenario naturale che è tipico del borgo collinare. La passeggiata fra le antiche cantine, le grotte naturali, immersi in un paesino ricostruito con antichi mestieri e laboratori artigianali ha dato un’atmosfera unica ai partecipanti. E’ sempre emozionante parteciparvi, anno dopo anno, e se il freddo e l’umidità possono dar fastidio, il senso del piacere per la gioia di essere lì in quel momento prevale. Circa 250 i figuranti che hanno partecipato all’evento, dai 6 mesi di vita fino ad oltre gli 80, con una numerosa partecipazione dei giovani. “Ogni anno l’evento si migliora nei particolari – ha raccontato l’avvocato Giuseppe Di Meglio, uno degli organizzatori dell’evento - senza sprecare soldi, recuperando, riciclando in modo parsimonioso. I proventi raccolti per la manifestazione serviranno per realizzare uno scivolo per i disabili per la nostra parrocchia”. Un mix di arti e mestieri isolani e presepiali, che si amalgamano con gli odori dei piccoli negozietti. Il vescovo, mons. Lagnese ha visitato i vari angoli del presepe e le antiche botteghe dei vari artigiani che, con antichi utensili, procedevano nel proprio lavoro, arrivando poi alla grotta della natività per la benedizione. Giovan Giuseppe Lubrano


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Parrocchie

2 gennaio 2016

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PARROCCHIA SS.ANNUNZIATA IN S.MARIA DELLE GRAZIE – LACCO AMENO Di Mena Alvi

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a mattina del 27 dicembre in Parrocchia a Lacco Ameno erano presenti alcune coppie di sposi che festeggiavano il loro amore coniugale: un anno di matrimonio, i 25 anni, i 50 e persino i 60 anni! “Oggi la Chiesa ha esordito Don Gioacchino - vuole mettere in evidenza e nel cuore di ogni credente la famiglia. La posizione della famiglia oggi è molto delicata a causa dei tanti mali e soprattutto a causa dei dissidi che avvengono all’interno di essa, per i beni materiali da dividere”. Il messaggio del parroco è speranzoso quando afferma che “anche la famiglia di Nazareth non fu esentata da prove: paura, povertà, solitudine, sbigottimento a causa del comportamento di Gesù dodicenne che volle restare a Gerusalemme, per porre delle domande ai Dottori della Legge”. Il parroco asserisce che il figlio in questo caso non segue la via dei padri , ma quella del “Padre” . Gesù rivela così la sua missione: deve compiere la volontà del Padre celeste. Come Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini, anche Maria cresce e diventerà discepola di suo figlio. Maria e Giuseppe si comprendevano e si completavano. Queste coppie ischitane hanno testimoniato che Dio è vissuto sempre con loro, anche quando qualche volta può capitare che il legame sembra allentarsi, per motivi di stanchezza e di amarezza, ma comunque ha sempre trionfato l’amore. Questi coniugi hanno rinnovato le loro promesse matrimoniali ed è seguita la benedizione degli anelli. E’ stato un momento di gioia anche la presenza dei loro figli, emozionati più dei genitori. Concludendo, il Parroco ha espresso un concetto molto importante: “ci sono due piani, la nostra libertà di figli di Dio e la crescita come famiglia e comunità nel rispetto degli altri. Maria e Giuseppe hanno educato e fatto crescere Gesù

Trionfa l’amore coniugale

come adulto che ha dato una nuova impronta alla storia umana. Essi sono veramente modelli da imitare! Abbiamo

molto da fare. Cerchiamo di crescere, dobbiamo tendere alla grandezza di Dio e soprattutto essere testimoni visibili dell’amore universale del Padre”.

I bambini alla scuola “Principe di Piemonte” di Lacco Ameno hanno raccontato Gesù Di Mena Alvi

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li alunni della scuola elementare Principe di Piemonte, il 22 dicembre, istruiti e accompagnati dalle maestre, si sono recati in Parrocchia “Madonna delle Grazie” in Lacco Ameno, per cantare e recitare i tradizionali canti natalizi. Questi bambini con la loro voce hanno voluto ricordare Maria, Madre della Misericordia, e ringraziarla come madre loro, per averci donato Gesù. I bambini hanno raccontato Gesù come uno di loro, sottolineando il censimento e il viaggio di Maria e Giuseppe con l’asinello, guidati da una stella! Bravissimi in tutto, soprattutto nella recitazione, sotto lo sguardo dei genitori e dei passanti sopraggiunti per la curiosità.


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Liturgia 2 gennaio 2016

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Commento al Vangelo

Domenica 3 gennaio 2016

Il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi

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iamo ancora in tempo di Natale, seguiamo il percorso dell’azione di Dio, nella creazione prima e nella storia degli uomini. E’ un percorso che sappiamo essere di miliardi di anni, da quando almeno il nostro universo esiste, ed è un percorso che ha consentito alla Parola/azione di Dio di fiorire in forme nuove, di esprimersi in qualità di vita sempre ricca e complessa, fino alla specie umana, che è molto recente rispetto ai miliardi di anni della creazione. E in Gesù la Parola di Dio, è giunta a esprimersi in forma umana, ma con promesse di compimenti non ancora realizzati. Noi siamo tempo, non abbiamo la capacità di accogliere in un solo istante la perfezione che ci viene donata a piccoli frammenti, nella successione delle esperienze che compiamo. Non siamo Dio, sembra scontato, ma è bene dircelo, siamo creature e sappiamo esprimerci in modo limitato. Il compimento non sappiamo in che cosa consista, san Paolo direbbe che è il diventare “figli”, che vuol dire vivere autenticamente la nostra vita: incontrare i fratelli, portare i difetti nostri e degli altri, affrontare la sofferenza, vivere la gioia. Oggi si legge l’inizio del vangelo secondo Giovanni, si parla di “Verbo”.. cosa significa questo termine? Significa “pensiero.. parola.. intenzione.. azione”, il senso pieno è “l’azione potente di Dio nella storia”. E’ la Parola che crea e fa le cose. E’ la Parola che illumina i profeti. E’ la Parola che convoca il popolo e “si fece carne” ossia esprime la sua potenza in forma umana, prende il limite della creatura. Non si può vedere Dio senza morire, dice la Bibbia, ma Giovanni conclude il prologo del suo vangelo dicendo: “Dio nessuno l’ha mai visto; il Figlio unigenito, lui lo ha rivelato”. Dio infatti non fa parte del creato che si tocca, che si vede. Eppure un bambino è nato, la cui missione sarà di manifestare il Padre nella filigrana della sua persona. Diventato adulto, alla vigilia della sua morte, potrà affermare a uno dei suoi: “Chi ha visto me ha visto il Padre”. Come ogni opera rimanda all’artista, come i figli

GENNAIO

TANTI AUGURI A… Don Gaetano Pugliese compleanno il 1° e ordinazione il 6 gennaio 1979 Diacono Salvatore Nicolella compleanno il 15 Seminarista Marco Trani compleanno il 24

assomigliano ai genitori, così Dio si rivela nel creato e, in modo particolare, nell’essere umano. Tuttavia la sua immagine è deformata dalle differenze dell’uomo che non riesce a credere nell’amore, dalla sua miopia che lo porta a illudersi di trovare la propria felicità senza guardare a quella altrui. Gesù invece è nato per mostrare il Padre attraverso i suoi gesti di guarigione, di perdono, di amicizia, di attenzione ai poveri, ai disprezzati, ai lontani. Facilmente l’essere umano identifica Dio con chi l’ha cresciuto. Genitori severi, esigenti, che usavano del loro potere per ottenere dai figli l’atteggiamento che desideravano, hanno tramandato l’immagine di un Dio pericoloso, difficile o impossibile da accontentare, insieme imprevedibile, sconcertante e seduttore. Chi ha avuto la fortuna di trovare all’inizio della propria vita una relazione fiduciosa, che dava spazio alla sua originalità e cercava il suo vero bene, fa certamente meno fatica a credere in un Dio buono. “Quando venne la pienezza dei tempi”, quando cioè l’uomo ebbe acquisito, grazie alla pedagogia della legge divina, la capacità di accogliere Dio come fonte del bene, del perdono, come autore di una salvezza gratuita, nacque Gesù, il primogenito di tutti noi. Venne per aprire la strada che può condurre tutti a diventare figli del Padre, come lui lo era. Con la sua vita ha insegnato a relazionarsi con Dio e con gli uomini e trovare così la felicità. “Dalla sua pienezza, noi tutti abbiamo ricevuto”. Amici, la gioia che ci auguriamo a Natale non proviene dal successo, dalla ricchezza, dal riconoscimento da parte degli altri di ciò che facciamo, è la gioia che proviene dalla presenza di Dio nella nostra vita, da quella forza di vita per cui la sua Parola può diventare per noi carne, cioè pensiero, decisione, fraternità. Cresciamo come figli suoi!


Ecclesia

21 2 gennaio 2016

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Il segno della croce Dell' Ordine francescano secolare di Forio

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ell’omelia sulla santa famiglia di domenica 27 dicembre papa Francesco invita i genitori a benedire i propri figli col segno della croce: “Cosa può esserci di più bello per un papà e una mamma di benedire i propri figli all’inizio della giornata e alla sua conclusione. Tracciare sulla loro fronte il segno della croce come nel giorno del Battesimo. Non è forse questa la preghiera più semplice dei genitori nei confronti dei loro figli? Benedirli, cioè affidarli al Signore, come hanno fatto Elkana e Anna, Giuseppe e Maria, perché sia Lui la loro protezione e il sostegno nei vari momenti della giornata”. Attuare quest’invito del Papa è fondamentale per creare armonia nella propria famiglia, le benedizioni col segno della croce sono sempre auspicio di garanzia nell’operare il bene e nel compiacere a Dio Padre. Questo lo aveva capito perfettamente san Francesco d’Assisi. Tutta la sua vita è stata vissuta all’insegna della croce: “…egli ebbe dal cielo la missione di chiamare gli uomini a piangere, a lamentarsi, a radersi la testa e a cingere il

sacco, e di imprimere, col segno della croce penitenziale e con un abito fatto in forma di croce, il Tau, sulla fronte di coloro che gemono e piangono. Ma ci conferma, poi, in essa, con la sua verità incontestabile, la testimonianza di quel sigillo che lo rese simile al Dio vivente, cioè a Cristo crocifisso. Sigillo che fu impresso nel suo corpo non dall’opera della natura o dall’abilità di un artefice, ma piuttosto dalla potenza meravigliosa dello Spirito del Dio vivo” (FF1022). San Francesco amava in particolare il segno del Tau che gli ricordava quello della croce. Il Tau era scolpito negli ospedali dei monaci antoniani lungo le vie verso san Giacomo di Campostella. In particolare lo colpì il Tau scolpito sulle vecchie mura del monastero antoniano di Castrogeriz, il principale dell’ Ordine in Castiglia.

A riguardo il Celano ricorda: “Familiare gli era la lettera Tau, fra le altre lettere, con la quale soltanto firmava i biglietti e decorava le pareti delle celle. Infatti anche l’uomo di Dio, Pacifico, contemplatore di celesti visioni, scorse con gli occhi della carne sulla fronte del beato padre, una grande lettera Tau, che risplendeva di aureo fulgore. Per convincimento razionale e per fede cattolica appare giusto che chi era così preso da ammirabile amore della croce, sia divenuto anche mirabile per causa della croce. Nulla pertanto è più veramente consono a lui, quanto ciò che si predica delle stimmate della croce” (FF828). San Francesco segnava le sue lettere col segno del Tau, come quella che indirizzò a frate Leone sulla Verna e segnò col Tau in rosso anche sulle pareti della cappelletta della Maddalena a Fonte

Colombo, ancora oggi visibile. Uno dei miracoli del santo fu compiuto proprio per mezzo del segno della croce: “Nella diocesi di Ostia, un uomo aveva perduto completamente l’uso di una gamba, e non riusciva in alcun modo a camminare e a muoversi. Preso da un’angustia profonda e disperando dell’umano aiuto, corninciò una notte, come se vedesse presente il beato Francesco, a lamentarsi davanti a lui del suo stato: « Aiutami san Francesco, nel ricordo del favore e della devozione che ho mostrato per te! …». Commosso da tali implorazioni, subito il Santo, apparve con un frate all’uomo che non poteva dormire. Disse che era venuto perché da lui chiamato a portare rimedio per la guarigione. Toccò la parte sofferente con un bastoncino, che recava su di sé il segno del Tau . Subito si ruppe l’ascesso e, ricuperata la salute, fino ad oggi è rimasta impressa in quella parte il segno del Tau. Con tale sigillo san Francesco firmava le sue lettere, ogni qualvolta o per necessità o per spirito di carità, inviava qualche suo scritto”(FF980).


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Epifania 2 gennaio 2016

Epifania: quegli astrologi simbolo di chi cerca Dio Di Antonio Sanfrancesco

Forse i Magi non erano tre e non erano Re ma sapienti che, come ha detto Benedet-

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to XVI, «scrutavano il cielo» per trovare Dio. Una leggenda li associa a una vecchina

he c’entra la Befana con il giorno dei Magi? Qual è il legame tra la vecchia che porta i doni ai più piccoli e i misteriosi re (che re non erano, ma forse astrologi, e non erano nemmeno tre) che offrirono a Gesù Bambino oro, incenso e mirra? Nel libro Storia e leggende di Babbo Natale e della Befana (Newton Compton) gli autori Claudio Corvino ed Erberto Petoia riportano una leggenda secondo la quale i Magi, diretti a Betlemme con i doni, non riuscendo a trovare la strada chiesero informazioni a un’anziana. La quale, nonostante le loro insistenze, affinché li seguisse per far visita al Bambino, restò ferma. Salvo poi dopo pentirsi della sua riluttanza. Per questo preparò un cesto di dolci, uscì e cercò i re. Ma non li trovò. A quel punto decise che si sarebbe fermata a ogni casa lungo il suo cammino, donando qualcosa ai bimbi, sperando che uno di essi fosse Gesù. Da allora porta regali a tutti i piccoli. Ecco quindi che “epifania”, parola greca che significa “manifestazione divina, apparizione” (quella di Cristo Signore a tutti i popoli in questo caso) si è guastato ed è diventato befana. In Italia è comunque una festa molto popolare e sentita, dà luogo a diverse manifestazioni e tradizioni, dai pranzi e i doni offerti per i più poveri a quella, squisitamente religiosa, specie al Sud, del bacio del Bambinello nei presepi viventi allestiti per Natale. Fino al corteo dei Magi e le sagre di paese. Nel 1978 il governo Andreotti la abolì, ma poi fu reintrodotta nel calendario religioso e civile dal 1985. È il Vangelo di Matteo a narrare l’episodio della visita dei Magi a Gesù Bambino i quali da Oriente giungono a Gerusalemme e chiedono “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”. Il significato è teologico: i Magi simboleggiano gli stranieri e i pagani che riconoscono la venuta del vero Dio. Originariamente, si pensa comunque che i personaggi non sono tre e non sono Re. La provenienza da Oriente fa pensare alla Persia, perché «magio» è un vocabolo di questa terra ma dall’etimologia un po’ oscura. Indica comunque una tribù

riluttante che poi divenne la Befana che porta i doni ai più piccoli. Nella liturgia cristiana è la festa in cui Dio, nel Bambino Gesù, si manifesta a tutti i popoli.

originaria dell’Iran occidentale nel stalla di Betlemme e la mirra come ha detto Benedetto XVI nell’omecui ambito erano scelti i sacerdoti un vermifugo. Lutero, quattro se- lia della solennità dell’Epifania del che aderiranno alla riforma di Zo- coli dopo, li associa a fede, speranza 2011, «erano probabilmente dei saroastro. e carità, le tre virtù teologali. pienti che scrutavano il cielo, ma Leggende e interpretazioni si spre- Un’altra leggenda armena vuole che non per cercare di “leggere” negli cano. I Padri della Chiesa ne han- i Re Magi fossero fratelli e riferisce i astri il futuro, eventualmente per rino date diverse. Tertulliano, nel loro nomi: Melkon, che regnava sui cavarne un guadagno; erano piuttosto uomini “in ricerII secolo, concede ai Magi la qualifica ca” di qualcosa di di Re; nello stesso I Magi ci indicano la strada sulla quale camminare più, in ricerca della vera luce, che sia in periodo Sant’Irenella nostra vita. Essi cercavano la vera Luce grado di indicare la neo spiega il signistrada da percorrere ficato dei tre doni: Papa Francesco nella vita. la mirra è l’olio traErano persone cerdizionalmente utilizzato per la sepoltura e allude alla Persiani; Baldassarre, il secondo, te che nella creazione esiste quella Passione di Cristo, l’oro è simbolo di sugli indiani; Gaspare, il terzo, pos- che potremmo definire la “firma” sedeva il paese degli Arabi. di Dio, una firma che l’uomo può e regalità, l’incenso è riservato a Dio. Nel XII secolo, invece, Bernardo Al di là delle leggende, stermina- deve tentare di scoprire e decifrare». di Chiaravalle spiegherà che l’o- te, la Chiesa li ha sempre conside- Nelle foto la rappresentazione alla spiagro era per alleviare la povertà della rati come simbolo dell’uomo che gia della Mandra ad Ischia dello scorso Vergine, l’incenso per disinfettare la si mette alla ricerca di Dio: «Essi», anno, dell’arrivo dei Re Magi dal mare


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Epifania

2 gennaio 2016

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Una calza personalizzata Di Giulia Martinelli

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ancano pochi giorni all’arrivo della Befana, la vecchietta più amata dai bambini, che sulla sua scopa volante conclude le feste natalizie, riempiendo le calze dei più piccoli di dolci e piccoli doni. La tradizione vuole che una calza vuota venga lasciata sul camino o ai piedi del letto, per essere ritrovata la mattina del 6 gennaio piena di caramelle, cioccolatini e carbone di zucchero. Di calze da riempire se ne trovano ovunque, ma preparare da sé la calza della Befana potrebbe essere un modo divertente per passare il tempo e riciclare vecchie stoffe. Una vecchia sciarpa di feltro, magari di un colore rosso natalizio, potrebbe essere l’ideale, ma va bene qualsiasi tipo di stoffa, l’importante è che si possa ritagliare senza che si sfilacci. Per prima cosa bisogna disegnare su un cartoncino il modello, piegare in due la stoffa che abbiamo scelto, poggiare sopra il disegno e ritagliare, così da ottenere i due lati della calza. Ottenute le due metà, bisogna sovrapporle e cucirle, così in pochi passaggi abbiamo realizzato la nostra calza. Il vero divertimento è però nelle decorazioni. Con un vecchio calzino bianco possiamo creare il tipico risvolto superiore della calza, basta ritagliare una striscia rettangolare un po’ spessa del calzettone e poi cucirla sulla parte superiore della nostra calza, ancora meglio se il calzino è di spugna o di lana così sarà ancora più morbido. Con un altro pezzo di stoffa, del colore che si preferisce, magari verde se si amano i colori natalizi, possiamo ritagliare un piccolo quadrato che sarà la toppa da cu-

Bastano qualche pezzo di stoffa vecchia, bottoni colorati, ago e filo per creare una calza per la Befana pronta per essere riempita di leccornie e piccoli doni

cire nella parte della calza dove andrebbe il tallone, in questo modo le si darà un aspetto un po’ vecchio e consumato, ma molto carino. Qualche bottone, dello stesso colore della toppa, può essere cucito appena sotto il risvolto bianco che abbiamo creato e per concludere basta aggiungere il nome del bambino che avrà la fortuna di tro-

vare piena la sua calza. Con la colla a caldo, possiamo scrivere il nome sulla lunghezza della calza e attaccare poi i brillantini su ogni lettera. Insomma basta un po’ di creatività e la calza della Befana è pronta per essere appesa e riempita di dolcetti!

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