Junks 08 - Maggio/Giugno - 2012

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08 - MAGGIO/GIUGNO 2012

INTERVISTA COL DUO ROCK CHE HA CONQUISTATO L’ITALIA E NON SOLO

BUD SPENCER BLUES EXPLOSION THE IMPELLERS

FUOCO NEGLI OCCHI

RIVEROCK FESTIVAL

COVER & COVER


JUNKS

ABBIAMO INTERVISTATO I BUD SPENCER BLUES EXPLOSION, REDUCI DALL’INTERNATIONAL BLUES CHALLENGE DI MEMPHIS,

PAG. 10

Sommario Foto copertina: ILARIA MAGLIOCCHETTI LOMBI

REDAZIONE Testi

Andrea Colangelo, Gaetano Grilli, Jada Parolini, Agostino Silvestri, Ilaria Abruscia, Dimitri Prepio, Maurizio Placentino, Rosibetti Rubino, Fabio de Palma, Davide Monz, Valerio Pappalardo, Giuseppe Di Furia, Filippo D’Errico.

Art Director Filippo D’Errico

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BREAK 04 FEELGOOD 24 COVER & COVER 40 JAM IT 44 BRAND NEW 62 NON SOLO MUSICA 66


JUNKS

&COVER

COVER Direttamente dal Regno Unito, un’esclusiva intervista alla funk band The Impellers che ci si presentano a 360°/ Pag. 30

Editoriale

Abbiamo fatto 4 chiacchiere con la formazione rap italo-belga Fuoco negli Occhi, da poco uscita con il suo nuovo album / Pag. 50

di ANDREA COLANGELO ari Junkerz, come avrete notato dalla copertina abbiamo apportato dei cambiamenti a questo nuovo numero, non di contenuto ma di immagine. In particolare, siamo orgogliosi del restyling del marchio che, grazie a Filippo D’Errico (Art Director del gruppo) è diventato la figata che tutti potete ammirare. Siamo già arrivati a maggio, e noi di Junks approfittiamo per ricordare che, tra qualche giorno, si celebrerà l’anniversario della strage di Capaci, avvenuta 20 anni fa. In molti ricorderanno questo tragico avvenimento della storia della nostra nazione, ma questo non mi esonera dal non parlarne. Il 23/05/1992, a Capaci, moriva sotto la brutalità di 500 kg di tritolo non solo un uomo, ma anche un sogno e la speranza di un Italia migliore. Prima del 1986 la Mafia non esisteva, o almeno era quello che ci raccontava, sminuendola, la classe dirigente dell’epoca: “tutte favole”, ci dicevano. Poi, dopo il maxiprocesso, tutto è cambiato: improvvisamente la Mafia esisteva, ed era lì sotto gli occhi di tutti. Le organizzazioni criminali in Italia si sa, sono tante; è vero,

C

In questo nuovo numero scorprirete Cover & Cover, la nuova rubrica che, attraverso un’attenta analisi, fonde musica e design / Pag. 40

sono nate tutte al Sud, ma da un Sud (ricordiamolo sempre) abbandonato dallo Stato (chi altri avrebbe potuto creare un antistato?). Chi pensa che la mafia si trovi recintata solo giù al Meridione (come messa in fondo ad un paese senza problemi), non ha nessun contatto con la realtà. I dossier sul controllo che hanno attualmente Camorra e ‘Ndrangheta in tutto il nord Italia (è ovvio che si va a rubare dove c’è qualcosa da rubare) sono numerosi. Oggi non si usano più le bombe; l’attacco è più infido, più potente e molto meno visibile. Il controllo politico ed economico non è immediatamente evidente, ma ci rende schiavi. Non rendiamo queste morti inutili, non lasciamo che tutto cada in quel dimenticatoio che è la storia, cerchiamo di tenerlo sempre a mente: la Mafia non è morta! È ancora guerra aperta! Il magistrato Gianni Falcone è il capofila di quella lunghissima lista di persone ammazzate dalla Mafia. Questi uomini e queste donne sono morte non solo per combattere la Mafia, ma per proteggere tutti noi.

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Non solo musica

ROCK

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Non solo musica

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Illustrazione BERNARDO ANICHINI

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BREAK

SUBSONICA Istantanee Tour

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BREAK

foto di PASQUALE MODICA

“Il cielo su Torino sembra ridere al tuo fianco. Tu sei come me.” 26 aprile 2012: SubsOnicA live a Torino, Istantanee Tour. Per una che non ha la fortuna di vivere lì, (ri)trovarsi nella città-culla della band è un sogno. Per una che, data l’età, si è persa i live iniziali del gruppo, la possibilità di assistere ad un revival dei vecchi tempi è molto più di un sogno. Ovviamente, la scelta “parterre” è stata la scelta migliore, così come “la conquista della transenna”, anche se laterale. Entro nel Palaolimpico per le 19.00, do un’occhiata ai vari stand con maglie vintage e il libro appena sfornato X15, 15 racconti per 15 scrittori ispirati da 15 testi dei Subsonica in occasione dei 15 anni dall’uscita del loro primo album. Mi dirigo sotto al palco e, guardandomi intorno, rimango a bocca aperta di fronte all’immensità della struttura che ospiterà la festa.

Io sono lì, finalmente, e non riesco a crederci. L’attesa di un gruppo generalmente stanca; per me invece è l’occasione per far salire la mia gioia sempre di più fino a farla esplodere al momento giusto, quando la giostra parte. Vedere un luogo riempirsi di persone che condividono la stessa passione è un’emozione fortissima; ho lo stomaco chiuso e il cuore a mille, come quando aspetto qualcuno di importante. Questo è ciò che amo di più dei concerti: sentirsi parte di qualcosa, di una grande, gigantesca famiglia. Deve essere una bella sensazione pure per Samuel e soci guardare come le cose sono cresciute, da allora ad oggi. Alle 21.30 parte tutto. Come se apre la parte “vecchia scaletta” ed è una botta allo

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foto di MARIA GABRIELLA CINÀ BREAK

stomaco strepitosa. Segue Cose che non ho + Daitarn 3 con cui ci si comincia a scaldare, Istantanee, Onde quadre che esplode nel ritornello “E sugli spigoli, che noi giochiamo con la pelle sugli spigoli...” – l’aspettav(am)o da una vita questa canzone, e poterla sentire live è davvero una goduria. Poi è la volta di Radioestensioni, Giungla nord che acquieta tutti, e Per un’ora d’amore, che Samuel interpreta in maniera divina. Prima pausa. La tela-cover

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del primo album sonico che fa da sfondo al palco avanza e partono acustiche Funkstar e Tutti i miei sbagli. La calma è apparente perché stanno per arrivare a raffica Ratto, Aurora sogna, Depre, Liberi tutti, Il diluvio – con tanto di “tutti giù per terra” e salto pazzesco dell’oceano di folla che siamo – L’errore, Tu menti, Colpo di pistola... Siamo un’unica voce che grida a memoria ogni singola parola, un unico corpo che freme e balla senza fermarsi mai, un unico cuore che pompa e si riempie e sputa energia tutto intorno. È quell’energia che si crea che mi fa chiedere silenziosamente “ancora... che non finisca mai tutto questo”. E la festa, in effetti, continua con Istrice, e con Il cielo su Torino, che sì, ho avuto la fortuna di ascoltare varie volte, ma è la prima volta che l’ascolto proprio a casa loro. Si ritorna a sudare con La glaciazione, Discolabirinto, Nuvole rapide, Nuova ossessione, Up patriots to arms, Tutti i miei sbagli. Preso blu fa riprendere il fiato prima dell’ironica e travolgente Benzina Ogoshi. Nicotina Groove chiude un’incredibile festa di compleanno che però, in fondo, non si chiude. Un paradosso? No, perché la festa continua. Continua e continuerà ovunque saremo, in tutti noi che abbiamo fatto nostre la musica, le parole e relative sfumature di un gruppo che SA parlare di cose vere e SA smuovere le emozioni delle persone. Siamo tutti pezzi di un unico puzzle, un’unica voce, un unico corpo, un unico cuore, anche se a fine festa ognuno torna per la propria strada. Ilaria Abruscia


foto di MARCO COMETTO BREAK

foto di NICOLÒ CATALANO

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BUD SPENCER BLUES EXPLOSION Dio odia i tristi

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a cura di ANDREA COLANGELO foto di ILARIA MAGLIOCCHETTI LOMBI

BSBE: Adriano Viterbini alla chitarra e Cesare Petulicchio alla batteria. Il loro primo lavoro nel 2007: Happy. Nel 2009 il secondo album Bud Spencer Blues Explosion, il successo riscosso al concertone del primo maggio a Roma e il via ad un tour che li ha portati in giro per gli Stati Uniti. Nel 2011 l’album della maturità Do it (acronimo di Dio odia i tristi) e l’inizio di un secondo tour che li ha portati prima in giro per l’Italia poi a Memphis. Ora sono impegnati in un mini-tour europeo e poi, in estate, il ritorno in patria. Non si fermano mai; suonano, suonano, suonano e suonano. Li abbiamo presi al volo per scambiare due chiacchiere. Junks - Volevo iniziare questa intervista chiedendovi come vi siete conosciuti e quando avete deciso di iniziare a suonare insieme. Come sono nati i Bud Spencer Blues Explosion? Adriano - Io e Cesare abbiamo cominciato a suonare insieme nel 2007. Poco prima ero stato negli Stati Uniti e per caso ascoltai i Black Keys in un locale. Tornato in Italia contattai immediatamente Cesare (che conoscevo grazie ad amicizie in comune) e gli proposi di vederci per fare un pò di alternativeblues in due. Cominciammo a provare nella sala prove di un

gruppo hardcore di mio fratello, nei momenti in cui la sala era libera... jammavamo per ore. Junks - Il vostro nome deriva dai Joe Spencer Blues Explosion (band alternative rock di New York). Ascoltandovi, si percepiscono tantissime influenze: blues, rock, grunge, rock elettronico; passate dagli Zeppelin agli LCD Soundsystem, tenendo un occhio sui Verdena e Hendrix. Il vostro è un blues “bello sporco” e organico, parte di un evoluzione musicale che inizia dagli anni ‘60 e arriva fino ad oggi. Il vostro si può considerare un blues moderno?

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“In Italia spesso si tende ad essere troppo seri, politicizzati, un po’ pesanti; per noi, musica deve essere gioia e divertimento.” Cesare - È sempre molto difficile per noi definire il nostro genere. Entrambi abbiamo suonato con gli artisti più vari, e questo ci ha dato la possibilità di crescere come individui e come gruppo. Sicuramente le nostre radici affondano nel blues, un genere che da sempre si presta ad essere contaminato.

Junks - La prima volta che vi ho sentiti è stato al concertone del primo maggio 2009 a Roma. Quando avete suonato Hey Boy, Hey Girl dei Chemical Brothers… è stato incredibile! Siete partiti dal Delta del Mississipi per approdare in club underground del terzo millennio, dove, anacronisticamente, avete fatto una cover rock

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di un pezzo icona dell’elettronica. Da quella esibizione, il pubblico e la critica hanno iniziato a guardarvi con occhi diversi. Oggi, secondo voi, quanto contano i live per una band? Adriano - Il primo maggio 2009 fu per noi un giorno fondamentale: riuscimmo a suonare davanti a tanta gente ed in tv nel nostro modo impro-jam. All’epoca, le esibizioni live erano fondamentali per arrivare al cuore dei Bud, per capire a fondo il nostro progetto. pian piano stiamo maturando personalità anche su disco; ma è un percorso diverso, e stiamo ancora studiando. I live per una band sono un elemento essenziale: è grazie ad essi che si matura il sound e si stabilisce un contatto con il pubblico.

Junks - Il vostro ultimo album, Do it, decisamente uno dei più bei lavori del 2011, è una specie di inno al muoversi, al fare e al non piangersi addosso. Come mai questa scelta del titolo? È solo un consiglio per chi vuole vivere suonando? Adriano – Grazie! Per noi, Do It significa “poche parole ma fatti”. È un po’ la nostra filosofia di vita (oltre che essere l’acronimo di Dio Odia I Tristi, come già citato, ndr). È una spinta


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all’ottimismo: in Italia spesso si tende ad essere troppo seri, politicizzati, un po’ pesanti; per noi, musica deve essere gioia e divertimento.

tudine di libertà totale sul palco sia una nelle cose più “rock” che esista in Italia. Ecco, ho fatto una dichiarazione da rocker! (ride)

Junks - Voi avete, prima ancora della tecnica, la capacità, le “palle” e lo spirito giusto per incarnare l’energia rock nella sua essenza; non vi sparate pose da rockers maledetti, non giocate a fare le star, anche se ve lo potreste tranquillamente permettere. È per questo che piacete così tanto?

Junks - Io ho un certo debole per i duo: Simon & Garfunkel, White Stripes, Black Keys. Penso che sia un rapporto molto più forte a differenza di band “normali” con quattro o più elementi: due sole persone che suonano insieme devono essere in totale simbiosi per creare qualcosa di così potente. In Do It, però, ci sono collaborazioni con Dj Mike e Stefano Tavernese (mandolinista blues). Perché? Pensate sia un limite il vostro tipo di formazione a due?

Cesare - Sinceramente ho trovato sempre un po’ ridicolo l’atteggiarsi a rockers maledetti in Italia. Anche i più grandi sono lontanissimi da essere paragonati alle vere icone del rock. Bho, riguardo noi forse se fossimo diventati “Bud” a vent’anni sarebbe stato diverso, o forse no…Penso che comunque la nostra atti-

Adriano - Il duo per noi è sinonimo di completa libertà, veicolo di massima espressione. È come se quando salissimo sul palco, in real-

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tà’, salissimo su una macchina veloce e sicura che si butta da una montagna. Junks - L’ultima volta che vi ho visti è stato all’Urban club di Perugia. Il giorno dopo siete partiti per Memphis all’International Blues Challange (sottolineo il fatto che eravate l’unico gruppo italiano a partecipare). Che esperienza è stata? Cesare - È stata un’esperienza incredibile! Sia musicale

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che di vita. Oltre Memphis e Nashville abbiamo girato tanto per tutto il Mississippi, fermandoci in paesini sperduti e jammando di notte con i veri bluesman. Agricoltori di giorno, musicisti pazzeschi di notte. Abbiamo conosciuto la vera America, molto diversa da quella che vediamo in tv, tanto più colpita dalla crisi e dove il razzismo è ancora tanto presente. Forse è per questo che lì giù il

blues è ancora vivo e vegeto. Quando il blues morirà vorrà dire che non ci saranno più problemi da risolvere e sinceramente vedo quel giorno ancora molto lontano. Junks - In programma c’era anche la visita alla Thirdman Records di Jack White a Nashville. Avete in programma di registrare un album nella patria del Blues?


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Adriano - In realtà torneremo negli Stati Uniti per un Tour; non abbiamo in programma di registrare dischi li. Vorremmo, invece, fondare un nostro studio di registrazione e lavorarci a Roma. Junks – Tornando al Blues: una musica che nasce da un dolore grande, quello di uomini e di donne in schiavitù. All’inizio del ‘900 conquista il mondo e diventa il papà della musica contemporanea. Se oggi, a distanza di un secolo, questa musica continua a suonare e ad affascinare è perché tocca le corde più profonde dell’animo umano e riporta alle origini più remote, cosa che nessun altro genere musicale riesce a fare? Cesare - Il blues è istintività allo stato puro. È come se tutti avessimo dentro una sorta di ghiandola che, se stimolata, ci fa viaggiare. Anestetizza dolori. Non importa se sei esecutore o spettato-

re. Da ateo quale sono non avrei mai immaginato di avere questa illuminazione in una chiesa. Eravamo a Como, una piccola cittadina del Mississippi. Junks – In questi giorni siete impegnati in un mini-tour europeo: Bruxelles, Parigi, Lucerna e Londra. Perché avete deciso di vivere questa esperienza? Cesare - Era tanto tempo che cercavamo di fare date in Europa, ma è sempre molto difficile per noi Italiani. Diciamo che il fatto di non cantare in inglese è sempre stato un problema per la distribuzione dei dischi e di conseguenza per l’organizzazione di un tour nel resto d’Europa. Cosa che invece non accade in America.

Quindi avere la possibilità di fare questi concerti per noi è molto importante e una bella soddisfazione. Junks - Altri progetti futuri? Io ho sentito parlare di un dvd live: è vero? Adriano - In estate regaleremo DVD, live, concerti... e tante altre sorprese! Junks - Siamo arrivati alla fine di questa nostra chiacchierata, volevo dirvi ancora grazie per la vostra disponibilità ! Un saluto ai lettori di Junks Magazine?

BUD: Che la forza sia con voi!

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QUELLO CHE NON C’È IN PADANIA

Dopo I milanesi ammazzano il sabato e la sporadica apparizione sanremese, alla notizia dell’uscita del nuovo album degli Afterhours ho temuto la più completa delusione. Una volta arrivato nelle mie mani, Padania mi ha comportato giorni e giorni di ascolti ininterrotti e sempre più perplessi. Alla fine, ho deciso che è un album troppo complesso per darne una visione d’insieme. È un album che va preso traccia per traccia, pillola per pillola, perla per perla. E così ho deciso di parlarne.

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BREAK

M

etamorfosi: traccia di apertura. Manuel Agnelli sembra aver preso lezioni da Demetrio Stratos, gli arrangiamenti sono cupi, i violini splendidi. Nel complesso però ha un non so che di fastidioso, risultato credo attribuibile ai vocalizzi di Agnelli. Terra di Nessuno: Non avrebbe stupito ascoltare questa canzone in qualche vecchio album. Niente di nuovo all’orizzonte. Rispettabile, ma aspettabile, ecco. Riecheggia Bye bye Bombay, senza però raggiungerne la qualità del testo. La tempesta è in arrivo: Ho avuto paura appena è uscita, ma dopo un paio di ascolti, è un singolo stimabile. Orecchiabile, ma duro. Il ritorno di Xabier è evidentissimo, insieme a quello del rock nudo e crudo. Grazie a Dio. Costruire per distruggere: Strana. Suoni e coretti iniziali che sfiorano l’odioso oltre che l’inutile. Poi, ci si fa l’orecchio. Il testo è complesso, a volte un po’ fuori metrica, ma Manuel può permettersi un sacco di cose con la voce che si ritrova. Fosforo e blu: Ecco Xabier che torna in una delle tracce più arrabbiate di Padania. Pare essere tornati ai tempi di Ossigeno e della Sinfonia dei Topi. Un mix di grezzume, nel senso buono, e maturità del suono. 2 minuti e 11, di La-

sciamileccarel’adrenalina memoria, di rabbia. Perché “se non ti ammazza, rinforza”. Padania: Titolo terribile. A prescindere dall’opinabilità del concetto alle spalle, è proprio brutto a sentirsi. Detto ciò, la ballata non è male. Uno dei pezzi più tranquilli, ottimo testo, ottimi arrangiamenti. Ritornello che rimane in testa. Ci sarà una bella luce: Straniante. Cambia tutto e di continuo, dal genere al cantato. A 2 minuti e mezzo, poi, ulteriore colpo di scena. Due canzoni in una e non capirci niente di nessuna delle due. L’astrattismo della musica. Spreca una vita: Il migliore. Blues e rock ‘n roll e quel maledetto riff di chitarra. “Aspetti qualcosa e lo aspetti una vita e poi quel qualcosa

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BREAK

era proprio l’attesa”. Un grido di rabbia contro l’inerzia da una parte, l’arrivismo dall’altra. Nostro anche se ci fa male: Torna l’amore nelle parole di Manuel. “Cambia cuore” però è degno della peggiore Gianna Nannini. Anche qui, niente di innovativo. A parte i coretti pop che onestamente non capisco. Giù nei tuoi occhi: L’inizio sembra cantato da Caparezza. Poi, lascia l’impostazione hip hop per ritornare al rock. Quasi quasi mi ricorda

Celentano. Io so chi sono: Continui cambiamenti. Il finale spacca. Poco da fare, si sente che suonano da sempre. Nonostante i coretti dei bambini alla fine che li mantengono così tremendamente giovani. Iceberg: Violini, splendidi violini. Tragicamente freddi e distaccati come solo gli iceberg sanno essere. La terra promessa si scioglie di colpo: Ottima per concludere l’album. Dittature interiori contro cui combattere o forse no, testo riflessivo e malinconico. Maledetto Agnelli. E pensare che non mi stai neanche troppo simpatico. Bene, Padania termina qui, a questo punto sommate gli addendi, invertiteli, raggruppateli in base all’umore. Il risultato finale non cambia. Non dovrebbe perlomeno, ma io con i numeri non ci so fare particolarmente. Nel complesso, però, è un prodotto valido. Non sarà Quello che non c’è, ma insomma, il risultato è apprezzabile anche se non rimarrà nella storia. Rosibetti Rubino

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Artista Rolling Stones Anno 1972 Label Rolling Stones Records/Atlantic Records, Virgin Records Durata Album 67:17 Traccia consigliata Rip This Joint

P

ubblicato il 12 maggio 1972, Exile on Main Street è una delle composizioni più massicce e cariche di musica di tutta la storia dei Rolling Stones e del rock. Nel 1971, “l’esilio sulla strada principale” portò la band, a causa di problemi fiscali, a scappare dall’Inghilterra e a nascondersi in Francia (a Villa Nellcote, vicino Nizza), precisamente nella cantina della villa di Richards. Ci vollero ben cinque anni per registrare il disco (la Francia li distraeva parecchio). Bill Wyman (storico bassista degli Stones) ricorda che si lavorava principalmente di

notte: «Naturalmente, non tutti venivano in studio a lavorare tutte le sere». All’epoca Richards si faceva d’eroina, e a Jagger piaceva tanto la bella vita. Insomma, ognuno faceva un po’ quel che cazzo che voleva, tanto che, per finire il disco, dovettero mettere un attimo la testa a posto e trasferirsi a Los Angeles dove finalmente partorirono il loro capolavoro. All’uscita la critica era divisa: da una parte lo giudicarono un disco di difficile assimilazione, dall’altra lodarono l’opera per il suo suono sporco ritenuto molto rock. In realtà questo è un album

lontanissimo dalle tecniche di registrazione dell’epoca, un anacronismo musicale che portò Exile on Main Street ad essere un vero e proprio elogio alla musica nera, un equilibrio perfetto tra blues, soul e rock. Un’essenzialità e un ruvidità che descrive molto bene il pensiero “Richardiano”, per cui: «Per fare un disco rock, la tecnologia è la cosa meno importante». E come dargli torto? A distanza di quarant’anni, Exile on Main Street è in ottima forma, uno splendido quarantenne con l’anima da eterno ragazzino. Andrea Colangelo

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CLASSICS

EXILE ON MAIN STREET


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S NEW RELEASE

Artista Drink to me Anno 2012 Label Uniph Records Durata Album 35:18 Traccia consigliata Future days

T

utti d’accordo sul disco precedente: il violento Brazil è un album fuori dal comune. Ora i torinesi Drink to me sono tornati con il loro nuovo lavoro, S. Attraverso synth e campionatori, hanno destrutturato e mischiato alla continua ricerca di un sound che finalmente hanno trovato. C’è voluto un po’ ma ce l’hanno fatta! Un viaggio, il loro, che li ha portati ad un equilibrio perfetto tra sperimentazione e melodia. Sembrano buttate a caso cose totalmente differenti come hip hop, cantautorato, kraut rock ma, come sempre,

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le cose nel caos si trovano perfettamente tutte al loro posto. Queste dieci tracce sono fighe, originali e folli; Henry Miller, il vero capolavoro, è un brano che, senza un ritornello, riesce a conquistare: questa si chiama magia. Se I Drink to me fossero nati in California, ora saremmo bombardati dalla radio e dalla pubblicità come nella miglior tradizione statunitense. Questo loro nuovo lavoro, registrato tra le lande torinesi, mixato a Bologna e masterizzato a Chicago è un incredibile salto di qualità: dona ai Drink to me un carisma internazionale,

una bellezza tale da farli diventare vanto per la musica italiana. Questo è un album da vivere, questa è la musica di oggi: al bando influenze limpide e riconoscibili, ben vengano genio e consapevolezza di essere figli del proprio tempo. S è un disco da avere e conservare, non solo perché è il migliore di questo inizio 2012 (siamo tutti d’accordo) ma soprattutto perché è una finestra su quello che sarà il futuro del rock. Andrea Colangelo


BREAK

Artista Management del Dolore Post-Operatorio Anno 2012 Label MArteLabel Durata Album 35:16 Traccia consigliata Irreversibile

L

a prima cosa che ho pensato quando, per puro caso, mi sono imbattuta ne Il Management del dolore postoperatorio è stata “Minchia!”: tipica esclamazione terrona di meraviglia, stupore, rabbia, gioia, consapevolezza. Sì, perché l’opera prima dei ragazzi di Lanciano è completa quasi quanto la parola “minchia”. AUFF!!, uscito il 5 febbraio scorso per MArteLabel, ha avuto lo stesso effetto sulla mia persona del primo album del Teatro degli Orrori. È uno di quegli album che ti rimette speranza nelle sorti della musica nostrana.

C’è tutto dentro. Ci sono i Ministri, Capovilla, i CCCP. I quattro abruzzesi prendono il punk, lo sporcano con il rock ‘n roll e ci scrivono sopra con il cantautorato di denuncia. Il risultato è straniante. Pochi fronzoli. Verità e problemi gridati, sfacciati e orecchiabili, ti entrano dentro e ci rimangono. Luca Romagnoli grida, recita, canta di una società sfinita, affranta, sfatta fra la chirurgia plastica e il digitale terrestre dell’epoca berlusconiana. È una denuncia, quella del Management, che va oltre la semplice retorica, è il nuovo punk intellettuale,

perché d’altronde chi non ha un amico che “non ha nulla da invidiare ad Edgar Allan Poe” nell’epoca dei finti radical chic e degli hipster esterofili? Il tutto condito da arrangiamenti più maturi di quello che ci si potrebbe aspettare da un’opera prima, grazie alle chitarre arrabbiate di Marco Di Nardo, il basso aggressivo di Andrea Paone e la batteria schizofrenica di Nicola Ceroli. Insomma, un mix niente male per un album che apre loro tutte le porte per il successo. Rosibetti Rubino

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NEW RELEASE

AUFF!!


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SELECTA

Apriamo questa nostra playlist con un pezzo estratto dal nuovo album capolavoro di Jack White (Blundersbuss). Il resto? Tutta musica fresca fresca per iniziare questa bella nuova stagione come sempre all’insegna del rock!

• I’m shakin’

• Flowers

di Jack White

di Altre di B

• Turn it around

• Lei

di The Men

di Fast Animals and Slow Kids

• Spreca una vita

• Gli anni

di Afterhours

di Colapesce

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BREAK

EVENTI

THE BUD SPENCER BLUES EXPLOSION

THE HIVES

METALLICA

BRIAN JONESTWON MASSACRE

09 • 05 • 2012 Circolo degli Artisti - Roma

13 • 05 • 2012 Stadio Friuli - Udine

THE BLACK LIPS 27 • 05 • 2012 Tunnel - Milano

BRUCE SPRINGSTEEN & The E Street Band

13 • 06 • 2012 Carroponte - Sesto San Giovanni (MI)

19 • 06 • 2012 Bolognetti on the Rocs - Bologna

RADIOHEAD + CARIBOU 30 • 06 • 2012 Rock in Roma - Roma

07 • 06 • 2012 Stadio Meazza - Milano 10 • 06 • 2012 Stadio Franchi - Firenze

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FEEL GOOD

R’n’B • SOUL • FUNK 24 JUNKS Maggio • Giugno 2012


FEELGOOD FEEL GOOD

Illustrazione JADEN

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FEEL GOOD

WHAT THESoulFUNK? Train pt.1 Alla fine degli anni 60, la presenza Afro-americana sui media USA era limitata ai notiziari che narravano vicende di violenza urbana, e raramente le minoranze venivano rappresentate in luce positiva. Ma tutto cambia con l’avvento del programma Soul Train, definito da Spike Lee come “una capsula del tempo sulla musica nera”.

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FEEL GOOD

D

on Cornelius era l’uomo dietro al programma. Come produttore e conduttore di Soul Train, Don era responsabile di aver portato la musica black e la relativa cultura alla ribalta dei media Americani. Ha condotto lo show per oltre 20 anni, dando visibilità a stelle del soul come Marvin Gaye, James Brown, Al Green e molti altri ancora. Originariamente un giornalista ispirato dal movimento per i diritti civili, Cornelius aveva riconosciuto l’opportunità di creare uno show televisivo indirizzato ad un mercato ancora largamente inesplorato: i giovani Afro-americani. L’ispirazione del programma era il popolarissimo American Bandstand, trasmissione nata nel 1952 in cui tanti giovani teenager (bianchi) venivano ripresi mentre ballavano le hit del momento, spesso suonate in playback dalle band ospiti in studio. Raramente però veniva dato spazio a musicisti neri. Dopo quasi un anno di negoziazioni con la rete locale di Chicago WCIU in cui lavorava, nel 1970 Don Cornelius non soltanto convince i suoi capi a mandare in onda la sua versione nera di American Bandstand, ma ne diventa anche

proprietario intellettuale, uno dei primi Afroamericani ad avere i diritti di uno show televisivo.

Sotto: Don Cornelius in una scena tratta dal suo programma Soul Train.

Quando Soul Train fa finalmente il suo debutto è un successo immediato. La formula consiste nel riprendere una grande sala piena di giovani neri reclutati tra la popolazione locale che ballano al ritmo di soul e funk. I ballerini più bravi finivano davanti alle telecamere, che li riprendeva mentre eseguivano l’ultima mossa di tendenza o ne inventavano di nuove. In ogni puntata anche un ospite tra i musicisti di Chicago, come BB King, The Staple Singers, Curtis Mayfield. La combinazione di giovani ballerini entusiasti ed il miglior talento musicale della zona non solo resero lo

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FEEL GOOD

show una hit, ma una vera e propria rivoluzione.

ABOUT

In meno di un anno Soul Train fa il salto da locale a nazionale, andando in onda sulla rete CBS e trasferendosi a Los Angelos, nello stesso anno in cui anche la storica

etichetta Motown si trasferisce lì da Detroit. Al suo debutto nazionale nell’Ottobre del 1971, Soul Train viene trasmesso da sole 7 città, ma Don non si fa scoraggiare. La prima stagione è difficile, e deve affidarsi a ripetute apparizioni di amici da Chicago come gli O’Jays e Curtis Mayfield per avere abbastanza ospiti musicali. La sua perseveranza, assieme ai nuovi ballerini di LA, con le loro mosse stravaganti ed il loro senso di stile; gli afro, i

Nata in Italia nel 1982, ma cresciuta tra il Sud-Est Asiatico e New York City, Jada Parolini aka Calamity Jade inizia ad interessarsi di musica fin da adolescente, soprattutto durante gli anni trascorsi a NY, dove inizia a comprare dischi funk in vinile e a muovere i primi passi da DJ. Nel 2002 Jade si trasferisce a Milano e da quel momento parte un’attività incessante in questo campo, sia sfornando mix che vengono trasmessi su emittenti radiofoniche, che

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pantaloni a zampa, le camicie colorate Daishiki, permettono allo show di resistere. Per capitalizzare sul successo dei ragazzi in studio, dandogli maggiore risalto, Don inventa una sezione nuova, il “Soul Train line”, in cui i ragazzi si dividono in due file ai lati e poi a due a due percorrono ballando la linea di spazio che si crea tra le file. Il “Soul Train Line” diventerà un marchio di fabbrica del programma e uno dei momenti cloù dello show. Alla fine della prima stagione Soul Train aveva trovato il suo groove, passando da 7 a 50 città. La seconda stagione iniziò col botto grazie all’ospite speciale Tina Turner.

selezionando musica dal vivo. Dal 2009 Calamity Jade collabora con la rinomata etichetta funk/soul Italiana Record Kicks, con la quale consolida la sua posizione nella scena della black music contemporanea. Nel 2012 apre una sua agenzia di promozione musicale, willwork4funk, tramite la quale collabora a svariati progetti con diverse etichette Internazionali, cimentando ancor di piu’ la sua posizione come figura di riferimento del genere.


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Erano finiti i giorni in cui Don doveva arrabattarsi per trovare ospiti di rilievo. Seguirono a ruota apparizioni di Aretha Franklin, Stevie Wonder, Sly & The Family Stone e anche la mighty Motown bussò alla porta di Don per far apparire i suoi artisti sullo show. Soul Train era diventato il più importante canale promozionale in America per la musica soul e funk, soprattutto perché il suo pubblico non era più composto solo di Afro-americani, ma anche di giovani bianchi. Dopo sole 2 stagioni, il programma stava battendo regolarmente gli indici di ascolto di American Bandstand ed iniziarono a spuntare le imitazioni, come Soul Unlimited creata dal bianchissimo Dick Clark, produttore di Bandstand appunto. Il programma copia non dura molto, ma Cornelius si rende conto che per essere veramente inattaccabile Soul Train deve evolversi in continuazione, e decide di correre

un grosso rischio, rendendo la musica dal vivo il vero focus dello show. Non più solo playback, adesso c’era anche la possibilità di suonare live, dando vita ad alcuni dei momenti più memorabili nella storia del programma, come quando si esibisce Barry White, con un orchestra a seguito composta da 40 elementi. Sono anni d’oro per il funk ed il soul, sia per la qualità delle produzioni che per la popolarità che riscontra il genere tra i giovani, e Soul Train capitalizza in pieno sulle circostanze favorevoli. La sua ulteriore affermazione avverrà anche tramite un preciso messaggio sociale e politico, ma questa storia, la trovate nel prossimo numero di Junks… come diceva Don alla fine di ogni programma, “vi auguriamo pace, amore e SOUL!” Jada Parolini

Le foto ritraggono alcuni momenti del Soul Train Line.

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THE IMPELLERS

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a cura di VALERIO PAPPALARDO e la collaborazione di JADA PAROLINI

Il nostro viaggio alla scoperta del funk ci porta a Brighton, dove tra gabbiani e università vive una realtà musicale tra le più effervescenti del Regno Unito. È lì che nascono gli Impellers, che dopo il successo di Robot Legs si ripropongono con un nuovo album, “This is not a drill”. Ce ne parla Glenn Fallows, leader della band, in un’intervista dove gli Impellers si presentano a 360 gradi. Junks – È appena uscito il nuovo album che abbiamo molto apprezzato. Siamo curiosi di sapere come è nato il vostro progetto. Glenn Fallows - Grazie! Il gruppo è nato 5 anni fa, ma con la formazione attuale suoniamo insieme da 3 anni. Dopo aver registrato Robot Legs adesso contiamo anche su una sezione fiati di 4 elementi, 2 chitarristi, e un percussionista a tempo pieno, Joel. Nel primo album alle percussioni c’era il leggendario DJ Snowboy, quindi Joel ha degli standard molto alti da raggiungere! Junks – Cosa significa per voi “funk”?

Glenn Fallows - Mi piace che il funk sia sporco e potente. Un sacco di band dicono di fare funk, ma lo fanno senza quell’energia che mi piace sentire. Suonare funk è come un allenamento fisico dove puoi sfogare tutte le frustrazioni. Molti pezzi hanno dei messaggi forti o delle storie da raccontare, una tradizione che ci piace portare avanti nei nostri brani: i testi sono molto importanti per noi. Per il nuovo album stavo scrivendo un pezzo che parlasse di temi forti, e da qui è nata Politiks kills people, una canzone contro la guerra. Junks – Come siete arrivati alla realizzazione del nuovo album “This is not a drill”?

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Glenn Fallows – Il primo album l’avevo scritto interamente da solo. Nel nuovo, invece, ci sono pezzi scritti insieme ad altri membri del gruppo come Barry, il chitarrista, Clair, la cantante, e Chris, sax contralto nonché produttore. Sarebbe bello se si scrivesse le canzoni tutti insieme, ma essendo in 10 diventa difficile. Perciò di solito creiamo delle demo al computer che ci passiamo e integriamo tra di noi. Faccio una linea di basso o un riff di chitarra e da lì scrivo il testo e

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si arrangia il resto del pezzo. Poi, nel momento in cui suoniamo tutti insieme, i brani prendono la loro forma finale. Abbiamo registrato in uno studio dell’Essex, il Big Noise Studio, che per Snowboy è “la risposta inglese al Daptone Studio”. Molti artisti della scena funk britannica registrano lì, come Speedometer, Jezebel Sextet, Snowboy & The Latin Section. Simon Davies, il ragazzo che lavora lì, è molto bravo nel suo lavoro, e sa come far uscire il suono che vogliamo.

Junks – Come si è evoluto il sound del gruppo rispetto agli inizi e al primo album? Glenn Fallows – Siamo migliorati con i rispettivi strumenti, e questo aiuta molto! All’inizio poi non tutti eravamo appassionati di funk al 100%, ma ora che suoniamo questa musica da tempo la conosciamo bene. E così possiamo riprodurre più facilmente i suoni che cerchiamo, il che non è sempre facile. Ci ho messo anni a trovare la tecnica giusta per fare


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una buona plettrata chicken scratch. È una scienza! Il nuovo album è un pò meno veloce del primo, c’è una componente in più di soul assieme al solito heavy funk. C’è anche la nostra prima ballad e un pezzo afrobeat. Junks – Nella vostra carriera avete collaborato con artisti come James Taylor, Breakestra, Lack of Afro e Kid Koala. Come hanno influenzato il vostro stile? Glenn Fallows – James Taylor è uno dei primi Hammondisti che ho scoperto. Vivevo con un amico all’università che era fan dell’Acid Jazz e scoprì grazie a lui i James Taylor Quartet, Corduroy e i Brand New Heavies. L’influenza di JTQ si vede nelle

canzoni del primo album dove l’Hammond la fa da padrone. Anche i Breakestra sono stati una fonte di ispirazione. L’energia dei loro set era spaventosa e siamo rimasti impressionati dal modo in cui passavano senza interruzione da un pezzo all’altro. È stato un onore quando Adrian Gibson, DJ e promoter di grande spessore, ci ha chiesto di fare un live sui pezzi di “Ultimate Breaks and Beats”, qualcosa di molto simile a quello che fanno i Breakestra. Kid Koala lo ricordo per uno show fantastico dove fece una versione di Moon river live usando dei samples individuali. Non solo fu la cosa

tecnicamente più difficile che ho mai visto fare, ma era tremendamente emozionante. Non ho mai visto nessuno che facesse piangere il pubblico a suon di mix e scratch. È incredibile! Lack of Afro, invece, non mi piace per niente. Scherzo! È un amico, e uno dei migliori

“Un sacco di band dicono di fare funk, ma lo fanno senza quell’energia che mi piace sentire. Suonare funk è come un allenamento fisico dove puoi sfogare tutte le frustrazioni.” Maggio • Giugno 2012 JUNKS 33


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artisti e produttori nel giro. Poi gli piace il cricket, e finiamo a parlare di quello più della musica. Junks – Parlateci dei vostri live, ci sono delle tracce con cui di solito aprite o chiudete i concerti? Glenn Fallows – Di solito apriamo con qualcosa di veloce e energico per svegliare il pubblico come Upstairs at Harry’s. Per chiudere suoniamo spesso una cover di Fire di Jimi Hendrix. Nei prossimi live suoneremo anche qualcosa del nostro progetto Ultimate Breaks & Beats. Sarà come un misto non-stop tra noi, James Brown, Kaiser Chiefs (facciamo una cover funk di I predict a riot), Marva Whitney e tanto altro funk, soul e hip hop. Junks – Qual è stato il momento più bello da quando suonate insieme? Glenn Fallows – Il live più

bello è stato con Kid Koala, DJ Vadim e Mr Thing al Koko di Londra. La migliore esperienza è stata invece al St. Paul Jazz Festival, nel sud della Francia. Quattro giorni tra sole, piscina, birra e buon cibo. E ogni sera c’erano gruppi meravigliosi. Junks – Quali sono un album funk del passato e uno del presente che ogni amante del genere dovrebbe conoscere? Glenn Fallows – Cambierebbero ogni giorno, ma ci sono due album che sto sentendo molto ultimamente. Del passato Be what you are degli Staple Singers, di cui adoro il brano I ain’t raisin’ no sand. L’album del presente invece è Naturally di Sharon Jones & The Dap Kings. So che è una scelta ovvia, ma la ballad in quest’album è una delle mie canzoni preferite in assoluto.

MORE INFOS WEB// www.theimpellers.com

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TAKE FROM ME NEW RELEASE

Artista Dojo Cuts Anno 2012 Label Record Kicks Durata Album 41:44 Traccia consigliata Easy To Come Home

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ake from Me è il nuovo album della band australiana Dojo Cuts. Come abbiamo avuto modo di notare, il funk, nel Paese più grande dell’intera Oceania, è una macchina in piena attività. Dal 2008, anche questa band, grazie alla sua musica, entra a far parte di questo sistema in pieno fermento. Con Take From Me, la band mette a segno il suo secondo disco, uscito lo scorso aprile per l’etichetta milanese Record Kicks. I brani sono un concentrato di sonorità principalmente soul che vanno a creare un’atmosfera

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fresca ed avvolgente. Ciò è reso possibile attraverso un sound che, traendo spunto dalle radici del soul, crea un ponte diretto con il funk contemporaneo. Così, tra stacchi di batteria, incastri fra basso e chitarra, tastiere ed una immancabile sezione fiati, veniamo accompagnati di traccia in traccia dalla voce grintosa di Roxie Ray (presente anche nel tour europeo della band il prossimo autunno 2012). La nota cantante soul caratterizza difatti tutti i brani vocali del disco, contribuendo all’ottima riuscita di quello che è sicuramente

un importante colpo a segno nella carriera dei Dojo Cuts. Sono notevoli brani come Easy to Come Home, un soul dolce ed incantevole scelto come primo singolo del gruppo; a questo contrapponiamo il funk più grintoso di pezzi come Mamacita, giusto per darvi l’idea del mood dinamico del disco. Segnaliamo inoltre la rivisitazione di un grande successo di Etta James (I’d Rather Go Blind), e della bonus track What Do I Have To Do, classico di Marva Whitney e James Brown. Filippo D’Errico


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2

Q

uando ho avuto per le mani il secondo album degli inglesi Funkshone, intitolato semplicemente 2, la cosa che subito mi è balzata all’occhio è il piccolo logo nella parte bassa della copertina che avverte circa la presenza di un’alta quantità di breaks. E non si può affatto dargli torto! Non è un caso se tra i fondatori troviamo il nome del batterista Mike Bandoni, uno che di breaks ne sa, in quanto vincitore di Funk Drum Battle (gara in cui i batteristi si sfidano a colpi di routine di breaks). Inoltre si capisce

la dedizione della Funkshone al break, quando si citano come fonti d’ispirazione le librerie KPM piuttosto che le Dewolf, vere e proprie bibbie per i cultori del breaks e per i breakers. Le quattordici tracce di 2 alternano varie atmosfere, al punto tale da farlo apparire quasi un sampler, e dimostrano di che cosa sia capace questa formazione, alla luce dei sei anni di carriera! L’alternanza di pezzi vocali, cantati dall’ottima voce di Jaelee Small, e tracce strumentali rendono l’ascolto fluido e dinamico. Non mancano atmosfere più

NEW RELEASE

Artista Funkshone Anno 2012 Label Skyline Records Durata Album 45:35 Traccia consigliata It Ain’t Never Gonna Work

soul, così come possiamo trovare tracce perfette anche per una colonna sonora di un poliziottesco, genere tanto caro alla tradizione italiana, o tracce dal vivace gusto funky. Tutto questo non può far altro che accrescere l’interesse per le performances dal vivo dei Funkshone, che come capita spesso per le band new-funk, rappresentano il loro vero motore… E magari anche come colonna sonora per le sfide di breakdance! Ultima nota: l’album è uscito anche su vinile, qui si fa sul serio! Maurizio “Zaio” Placentino

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SELECTA

Per rimanere nel pieno mood del programma di Don Cornelius (Pag. 26) vi suggeriamo la visione di questo fantastico estratto di Soul Train, sulle note degli Earth Wind and Fire! A seguire, la selezione completamente dedicata ad alcuni degli artisti apparsi durante gli oltre 20 anni di vita di Soul Train... Buon divertimento!

• Mighty Mighty di Earth Wind and Fire

• Change di Barry White

• Sugar Daddy di Jackson 5

• People Get Up And Drive Your Funky Soul di James Brown

• Slow Train di Staple Singers

• Rockin’ After Midnight di Marvin Gaye

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EVENTI MULATU ASTATKE

ALICE RUSSELL

NICK PRIDE & THE PIMPTONES feat. SNOWBOY & JESS ROBERTS

SIR JOE QUARTERMAN

24 • 05 • 2012 Carroponte - Sesto San Giovanni (MI)

21 • 06 • 2012 Jazz: Re: Found - Vercelli

23 • 06 • 2012 Jazz: Re: Found - Vercelli

09 • 06 • 2012 Novara Jazz - Novara

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COVER & COVER

&COVER

COVER

Dopo il primo articolo apparso sul portale Soulville.it, Cover & Cover approda su Junks. Questa rubrica tratterà le Cover nel duplice significato: “cover” in senso di copertina, quindi grafica e tutto quello che riguarda l’artwork/design/ packaging dei nostri amati supporti e “cover” nel senso musicale, quindi realizzare delle composizioni “gemelle” non per forza “omozigote”. Quando parliamo di cover

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ci riferiamo a quelle a noi più vicine ovvero il sampling, non a caso alcuni noti produttori non parlano più di campionare ma di interpretare i brani. Estenderemo quest’ulteriore significato anche alla grafica ovvero se ci sono elementi che sono stati ripresi per realizzare artwork di progetti musicali contemporanee… e così faremo in modo che il disco, ooops… il cerchio, si chiuda!


COVER & COVER

a cura di MAURIZIO “ZAIO” PLACENTINO

L’esordio su Junks prende in esame due album interessantissimi: I want you di Marvin Gaye [fig.1] (Tamla, 1976) la cui copertina ha ispirato l’album d’esordio Uptown saturday night del duo Camp Lo [fig.6] (Profile Records, 1997).

S

iamo a metà degli anni 70, quando Barbara Hunter, futura suocera di Marvin Gaye, consiglia al nostro di acquistare otto quadri di un artista: Earnie Barnes (www. erniebarnes.com), le quali opere si intravedevano nella nota sitcom seventies Good Times. Tra queste otto ne figura una in particolare: Sugar Shack, la quale ritrae una scena di un party afroamericano in cui una folta platea si dimena a ballare sulla musica suonata da una band in secondo piano sulla destra, attaccati al soffitto campeggiano quattro banners. Marvin rimane colpito dall’arte di Barnes e chiede di poter usare per la copertina del suo tredicesimo album l’opera menzionata. L’artista non solo accorda il permesso ma personalizza la composizione con un quinto banner in cui riporta il singolo promozionale, nonché titolo dell’album, I want you. La scelta da parte di Marvin di quest’immagine non è semplicemente estetica: il pittore Barnes vuole rappresentare il modo in cui gli afro-americani esorcizzano con il ritmo le tensioni fisiche e il nostro Soulsinger vuole indur-

ci a questa riflessione. L’apertura alle nascenti sonorità disco è alquanto chiara: non a caso le tiepide critiche che hanno accolto l’album sono state ribaltate in seguito in virtù del contributo che il lavoro ha dato a generi come

1. Marvin Gaye - I want you

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COVER & COVER

2. Faith Hope & Charity Faith Hope & Charity

il Quiet Storm o l’R’n’B contemporaneo. L’artwork è affidato a Frank Mulvey, che lavora soprattutto al lettering, ma è chiaro che qui il merito va tutto a Ernie Barnes che inaugura con questo lavoro una fortunata serie di covers per importanti album: si comincia con l’omonimo dei Faith, Hope & Charity [fig.2] (troppo simile a quella da noi esaminata), per proseguire con Donald Byrd [fig.3], Curtis Mayfield [fig.4] e per finire con l’ottimo lavoro realizzato per i Crusaders [fig.5]. Tutto questo senza menzionare dell’influenza che ha avuto nel campo dell’aerografia e

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della produzione di un artista che in seguito è stato definito il “Picasso of the black art world”. Passano 20 anni esatti e nella colonna sonora di The Great White Hype si nota la traccia Coolie High di un nuovo duo del Bronx, il loro nome è Camp Lo. Come recita il chorus stesso “Relax yourself and let the sugar Lo flow”, il loro è un sound morbido e fluido: possiamo paragonarlo a una sorta di quiet storm track, quel genere al quale I want you ha dato molta influenza. Potrebbe essere questo il motivo ispiratore della copertina dell’album di debutto dei Camp Lo, dato alle stampe nel gennaio del 1997. Infatti, qui ritroviamo un’interpretazione del quadro Sugar Shack ad opera del writer Dr.Revolt, nel quale figurano in primo piano i due MCs Sonny Cheeba e Geechi Suede dei Camp Lo, in particolare in alto il lettering è in prospettiva per dare un tono moderno alla copertina. Se andiamo a scavare nel sound di quest’album, la chiara matrice black è molto presente ma non troviamo

3. Donald Byrd And 125th Street N.Y.C.

4. Curtys Mayfield Something to Believe in

5. Crusaders The good and bad times


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6. Crusaders - Ghetto blaster

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dei riferimenti diretti al lavoro di Marvin Gaye; quasi tutti i brani sono costruiti su samples di ottime tracce con delle originali incursioni nella disco-funk d’inizio anni 80. Al contrario, se analizziamo l’importanza del contributo di I want you per i successivi produttori, ci rendiamo conto che ogni brano di quest’album è stato saccheggiato e

in molti casi ha ispirato delle hit memorabili. Basti citare: Break Ups to Make Ups di Method Man con D’Angelo che riprende Soon I’ll Be Loving You Again oppure Be Happy di Mary J. Blige che si rifà ad I want you e infine With Me dei De La Soul magistralmente costruita su After the dance. I Camp Lo dedicano comunque 7. Camp Lo - Uptown Saturday Night un tributo, e lo fanno a chi ha reso popolare Earnie Barnes, cioè la serie periodo fantastico per la cretelevisiva Good Times, dediatività Black. candogli il video del secondo E il disco, ooops… il cerchio singolo Black Nostaljack con si chiude! tanto di sigla di apertura, a ricordare la nostalgia per un

Maurizio “Zaio” Placentino si avvicina alla musica a metà anni 90 grazie alla cultura Hip-Hop. Nel ’99 si trasferisce a Roma e dal 2000 comincia a trasmettere, dalla storica frequenza di Radio OndaRossa, il programma “Soulfood” di musica Black e Hip-Hop, che condurrà fino al 2008. In questi anni suona e organizza parties e concerti con noti personaggi della scena nazionale. Negli ultimi anni a Roma suona ai principali eventi italiani di Breakin’ e Wri-

ting, oltre a locali, teatri e tv. Dal 2008 torna nella sua terra d’origine, il Gargano, con l’aspirazione di portare un’alternativa musicale e culturale nella provincia. Dal punto di vista prettamente musicale l’idea di poter ascoltare e ballare Black Music non solo nelle grandi città lo porta ad organizzare varie eventi e a fondare nel 2010, insieme ad altri 3 appassionati, RITMO BROS; in cantiere per il futuro nuove compilation e produzioni musicali.

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RAP • REGGAE 44 JUNKS Maggio • Giugno 2012


Illustrazione DAVIDE MONZ JAM IT

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LE NOVE VITE DI MR. KALONJI

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Miguel Collins, meglio conosciuto come Sizzla Kalonji, è uno dei rappresentanti principali della scena reggae degli ultimi 20 anni alla pari di Buju Banton e Capleton, di cui però ha qualche anno in meno. La discografia di Mr Kalonji è sterminata e inafferrabile, con decine e decine di album e migliaia di singoli all’attivo, ma ugualmente delineabile nella sua crescita ed evoluzione.

D

ai primi album realizzati sotto l’egida del compianto Phatis “Xterminator” Burrell nella prima metà degli anni ’90 a “Da real Thing” del 2002, la continuità artistica riconduce alla preghiera (anche lui come Bob Marley è rastafariano), al tema del ritorno in Africa e alla pace, unione e fratellanza tra le genti, aldilà di colore della pelle, religione e orientamento sessuale. “Da real thing” rappresenta un vero e proprio capolavoro del primo decennio del 2000, un’opera fondamentale composta da 15 singoli che consacrano il giovane Miguel a maestro del genere. In questo periodo però qualcosa comincia a cambiare. Da qualche anno infatti Sizzla si è unito al movimento dei Bobo Ashanti, ala integralista della religione Rastafariana che si rifà al concetto di “Supremazia nera”, sponso-

rizzando spesso odio e violenza nei confronti di bianchi e omosessuali. Sizzla rimane condizionato dalle idee che il movimento sostiene e, nel tempo, anche la sua musica ne risente. L’amore e la fratellanza di cui erano permeati i suoi testi cominciano a lasciare spazio a odio e rancore, con richiami espliciti all’uso di armi da fuoco e violenza nei confronti di bianchi e omosessuali, in uno stile “gangsta” mutuato in tutto e per tutto dall’hip hop nordamericano. Tutto ciò gli fa guadagnare la fama di bad boy, grazie a veri e propri inni omofobici e razzisti, come il famigerato “Nah apologize”. E se un tempo Kalonji primeggiava nel reggae di nuova generazione, ora è il boss indiscusso del nuovo hardcore-bashment. Ma l’odio non paga mai: in Europa i suoi con-

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tinui attacchi a bianchi e omosessuali non sono visti di buon occhio e le sue tournee oltreoceano cominciano a venire cancellate grazie al lavoro di associazioni e movimenti di protesta. E la gangsta fashion comincia a marcare il passo. Per fortuna dal 2005 le tematiche violente cominciano ad abbandonare i suoi testi e

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l’artista torna nuovamente in Europa per alcune date che richiamano vecchi e nuovi fan. Ma Sizzla è irrequieto: alterna concerti memorabili a quelle che sembrano semplici formalità e le sue produzioni si fanno sempre più scadenti (salvo qualche sporadico episodio). La strada sembra quella del declino, per lui come per Buju

Banton (arrestato in USA per possesso di cocaina) e Capleton (che dopo “The reign of fire” sembra scomparso dalle charts), a favore di giovani emergenti che si fanno spazio a colpi di hit (Romain Virgo, Tarrus Riley, Konshens e Busy Signal su tutti). Quasi provvidenzialmente poi, a fine agosto 2011, avviene un evento che ha del


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ABOUT

miracoloso: durante un giro in moto Sizzla ha un gravissimo incidente che fa gridare i media alla sua morte. Per fortuna l’incidente non è fatale e dopo qualche mese di convalescenza il nostro torna timidamente sulla scena; e sembra che qualcosa sia nuovamente cambiato. A inizio 2012 esce “The chant”, un disco interlocutorio denso di good vibes che sembrano riportare Sizzla sulla buona strada. E, dopo essersi completamente ripreso, torna in tournee in Europa per oltre 20 date. La

tappa iniziale è Milano, la successiva Roma. L’artista sembra ritrovato agli occhi di pubblico e critica: si torna a respirare positività, la voce è di nuovo quella leonina di un tempo e la grinta non manca di certo. Ho avuto la fortuna di incontrarlo in studio dopo il concerto di Milano e sono rimasto estasiato dalla pace d’animo che quell’ometto tutto dreadlocks emanava. Voglio essere fiducioso e credere che l’incidente gli abbia aperto la mente verso una nuova fase artistica.

Dimitri “Prepio” Sonzogni, classe ’83, non sa ancora se è uno zoologo con la passione per la musica o un dj con la passione per gli animali. Dal 2003 è cofondatore del progetto I-Trees, un sound system reggae-dancehall (il cui set sconfina però in tutti i settori della black music) conosciuto in tutta Italia e vincitore di diversi soundclash, sfide musicali all’ultimo disco. Dal 2008 è cofondatore e presidente del progetto Bergamoreggae, un’associazione culturale che promuove e or-

E, anche se le associazioni che difendono i diritti degli omosessuali continuano a perseguire una serrata campagna di boicottaggio nei suoi confronti (fino all’annullamento di molti suoi show tra Spagna e Benelux), voglio sperare che la magia della musica reggae continui a vivere negli occhi e nello spirito di questo grande artista. Dimitri “Prepio” Sonzogni

ganizza eventi reggae in tutta la provincia (tra cui quattro edizioni del Bergamoreggae Sunfest). Dal 2010 collabora con diversi progetti con i quali realizza dj set a tema, come Mallet Brown, Soul tree e In Bass We Trust. È anche cofondatore, assieme a Bonnot (producer di Assalti Frontali), I-Trees e Shanty sound, dell’etichetta Can-I-B.I.S. records, con la quale promuove musica inedita su vinile di artisti italiani e internazionali.

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FUOCO NEGLI OCC Facciamo quattro chiacchiere con i Fuoco Negli Occhi, formazione rap italo-belga con base a Bologna composta dagli mc Kyodo, Brain e Prosa e dalla soulsinger Micha.

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È da poco uscito il loro terzo album, Indelebile, che la crew sta portando in tour proprio in questi mesi. Tecnica, innovazione, attitudine street e forte credibilità sono i tratti che


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a cura di GAETANO GRILLI Junks - Come sono nati i Fuoco Negli Occhi, quale è il background (musicale e non) del gruppo e quali sono stati i primi passi che avete mosso nella scena Hip Hop e i ricordi di quel periodo?

CHI contraddistinguono la crew sin dal loro esordio nel 2004. Non ci resta che conoscere meglio uno dei gruppi più rappresentativi della scena italiana degli ultimi anni. Jam It!

Kyodo - Io ho iniziato come writer nel ‘97, poi le mie esigenze artistiche mi hanno portato a dedicarmi a tempo pieno all’arte dell’Mc. Io provengo da una realtà di quartiere. Ai tempi la cosa più importante era la balotta. Io e Brain cantiamo assieme dal ‘99; per un periodo ho fatto parte della PMC e di un gruppo chiamato StratusBolo con Gianni Kg, Brain e Fadamat. Nel frattempo abbiamo conosciuto Prosa, Micha e Dj Rod e i progetti sono venuti da sé. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare. È stato un processo lento e spontaneo. Prosa - Io e Micha siamo nati e cresciuti a Bruxelles fino ai 20 anni, respirando il movimento rap francofono. Era il ‘98 quando iniziai a prendere confidenza con un microfono con il gruppo MF di Etterbeek, in Belgio, e in seguito, dal 2000, con Micha entrammo in una grande crew multietnica che si chiamava Malefix Team. Poi ci siamo trasferiti a Bologna nel 2004, cominciando a conoscere la scena bolognese.

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Junks - Arrivano i primi album, i lavori solisti, fino all’ultimo lavoro, Indelebile. Come descrivereste la vostra evoluzione musicale? Quali sono le principali differenze e similitudini fra i vostri tre album? È stato difficile conciliare i vostri diversi stili?

si mai a favore dell’artista... avendo troppe aspettative si rischia di non riconoscere i frutti. Magari ti aspettavi mele e arrivano fragole, così finisci per non coglierle. Bisogna essere professionali senza farsi troppe costruzioni mentali.

Kyodo – È stato un processo lento e graduale, non abbiamo saltato nemmeno una tappa, sia nei dischi che nei live. Graffi sul vetro è stato molto istintivo; Full Immersion rispecchia l’esigenza di confrontarsi e collaborare con artisti del settore; Waiting 4 raccoglie i pezzi che abbiamo realizzato in un periodo di passaggio; Indelebile vuole essere un progetto completo, equilibrato e maturo.

Junks - In tutti i vostri lavori, e ancor di più in Indelebile, si nota una spiccata attitudine alla ricerca tecnica e stilistica ma anche una grande dose di contenuti, cosa sempre meno rintracciabile nel rap italiano forse troppe volte orientato più alla cura dell’immagine. Cosa pensate del rapporto fra questi tre elementi (tecnica, contenuti, immagine)? Cosa avete cercato di trasmettere nei brani dell’album?

Prosa – È stata una bella trafila e i nostri stili diversi sono stati sicuramente un’arma in più perché, confrontandoci, abbiamo imparato molte cose. La voglia di imparare è la prima regola nella musica, perché l’evoluzione non ha un traguardo: è infinita!

Prosa - Una cosa è sicura, noi siamo tutto tranne che personaggi e questo sicuramente ci limita. A me dell’immagine frega ben poco, vorrei che gente giudicasse gli FNO per quello che fanno. Ultimamente, invece, vedo che crearsi un personaggio è fondamentale perché i ragazzini hanno bisogno di questo e le tv spingono parecchio sull’immagine. Però, ripeto, a noi non interessa. Ciò che ci ha tenuti in piedi spingendoci a migliorare è stata l’esigenza di scrivere e di evolversi a livello tecnico metrico.

Junks - Parliamo del vostro ultimo lavoro, Indelebile. Parlateci di come è nato e quali sono le aspettative che avete per l’album. Kyodo - Per realizzare Indelebile ci abbiamo messo parecchio tempo: alcuni pezzi sono stati scartati, altri riscritti, riadattati ecc. Un’opera che si rispetti è composta da tanti piccoli dettagli. Sono soddisfatto del prodotto finale. A mio avviso le aspettative non giocano qua-

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Kyodo - Ci vuole un buon equilibrio fra contenuto e tecnica. L’immagine è un elemento percepito dal pubblico, deve venire da sé; è un prodotto, non un punto di partenza. Il con-


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tenuto è il succo, le parole sono il suo vestito. La tecnica dà valore al concetto e i giochi di parole dan valore alla tecnica. Questi elementi sono caratterizzati dall’interpretazione. Ribadisco che ci vuole molto equilibrio. Junks - Indelebile non è certo un album dubstep (o rapstep), ma ci sono molte influenze elettroniche. Come avete scelto le basi? Cosa pensate di quest’ondata electro nel rap: moda o evoluzione, classic o dubstep? Prosa - Se devo essere sincero, io non ascoltavo la dubstep e non avevo mai pensato di rappare su determinati suoni, però sono anni che Brain è in fissa per queste sonortità e ben prima del boom “rapstep” lui già cercava beatmaker italiani con i quali collaborare. La cosa buffa è che, mentre Brain cominciava a stringere contatti con un mondo musicale non

suo, certi furbetti prendevano basi di Bare o di Skrillex e ci cantavano sopra facendosi passare come innovatori italiani. Dico questo perché noi ci siamo fatti il culo per trovare un beat alla Chi ha parlato!? quando ancora nella scena rap nessuno usava basi proprie con questi suoni. Kyodo - Amo tutta la musica quando è ben fatta. L’Hip Hop è una cultura nata e sopravvisuta grazie alla contaminazione. In questo periodo è normale che subisca le influenze del panorama elettronico. È inevitabile. Io continuo a preferire il suono classico, ma è una questione di attitudine personale. I miei prossimi lavori saranno rigorosamente classici. Se un artista lo fa per moda o per esigenza non sarò io a giudicarlo. È facile essere trascinati dalle onde. Il mio obbiettivo non è diventare famoso a tutti i costi, altrimenti avrei fatto altro.

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“Il contenuto è il succo, le parole sono il suo vestito. La tecnica dà valore al concetto e i giochi di parole dan valore alla tecnica. Questi elementi sono caratterizzati dall’interpretazione.“ Junks - Ancora su Indelebile, ci sono brani che hanno un significato particolare per voi di cui siete soddisfatti più che di altri? Perché? Kyodo - I brani che più mi rappresentano sono “Il trono senza memoria”, “I tempi cambiano” e “Vizi”. Sia per il genere che per il fatto che mi hanno permesso di raccontarmi in maniera parecchio fedele. Nel primo esprimo le mie considerazioni riguardo ciò che mi circonda; nel secondo ho descritto metaforicamente come ho vissuto internamente certe situazio-

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ni ben precise; nel terzo parlo di un vizio che conoscevo molto bene prima che decidessi di decapitarlo... Prosa - Io sono molto legato al brano “Storie” per i suoi significati. Tra l’altro, per chi non lo sapesse, preciso che è uscito anche il videoclip. Tra gli altri brani ti cito anche “Non fa per me” perché farlo in live prende bene e chiaramente “Chi ha parlato?!”. Junks - Bologna è da sempre una delle città di riferimento della scena Hip Hop italiana, forse nel tempo un po’

“oscurata” da Milano e Roma. Come vedete l’attuale scena bolognese e cosa vi augurate per il futuro? Kyodo - L’Hip Hop trova terreno fertile dove c’è maggior scambio interculturale. Usa la contaminazione come punto di forza, non ne ha paura. Milano e Roma sono più grandi e offrono possibilità che a Bologna sono più ristrette. Credo che nella mia città ci sia più varietà di stili. Ogni mc, ogni gruppo ha il suo stile, cerca di essere il più personale possibile; probabilmente è un fatto di tradizione. Stanno crescendo molte situazioni interessanti anche fra i giovanissimi. Sono certo che le generazioni che ci succedono sapranno portare in alto il nome della nostra città; hanno la fotta, il talento e la mentalità per farlo. Io propongo un laboratorio musicale itinerante chiamato HipHop Phylosophy nei quartieri e nelle scuole: parlo ai ragazzi delle origini del nostro movimento, do loro varie nozioni tecniche e infine permetto loro


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di registrare un brano musicale. Segnalo inoltre OnTheMove: collettivo cresciuto all’interno dell’XM24 composto da giovanissimi talenti. Junks – L’Hip Hop nostrano sta avendo negli ultimi tempi sempre maggiore visibilità a livello radiofonico e televisivo. Inoltre i nuovi mezzi di comunicazione, come i social network, hanno un grande ruolo in questa visibilità. Cosa ne pensate? È un bene o un male? Tutto ciò aiuta a diffondere la cultura o no? Kyodo - I tempi sono cambiati molto dagli anni ‘90, princi-

palmente perchè sono cambiati i mezzi di comunicazione. Io non mi sono adattato molto... sono un po’ retrò. Prima c’era più contatto umano, ora guardarsi negli occhi è passato in secondo piano. Ora, nel bene e nel male, ci sono più informazioni, la comunicazione è più immediata, si sono ridotte le tempistiche. Se artisti Hip Hop hanno visibilità non posso che essere contento per loro. Sicuramente danno visibilità al movimento stesso nella misura in cui non portino avanti solo uno stereotipo, un guscio privo di contenuti, un vizio di forma ricco di luoghi comuni. Ognuno lo sa da sé. Noi portiamo il nostro nel modo che riteniamo più giusto.

Junks - Nonostante Indelebile sia uscito da poco, avete nuovi progetti in cantiere? Porterete Indelebile in tour? FNO - Stiamo già portando in giro per l’Italia “Indelebile Tour”, proponiamo inoltre un live che comprende FNO, Madness, ClaverGold e K-Maiuscola. Poi segnaliamo che Kyodo sta scrivendo un disco con ClaverGold in uscita a fine anno. Junks – Vi ringraziamo per questa chiacchierata e vi auguriamo il meglio per i vostri progetti! Big Up! FNO - Salutiamo chi porta avanti il movimento, chi ci supporta, chi segue la sua linea senza compromessi, chi porta il suo fregandosene del giudizio degli altri, chi dà un fine alla sua anima... Pace.

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LA BELLISSIMA GIULIETTA E IL SUO POVERO PADRE GRAFOMANE NEW RELEASE

Artista Murubutu Anno 2011 Label La Kattiveria Durata Album 55:19 Traccia consigliata L’Ussaro triste

A

circa due anni di distanza dall’uscita di Il giovane Mariani e altre storie, il rapper reggiano Murubutu torna con il suo secondo lavoro solista, La bellissima Giulietta e il suo povero padre grafomane, una perla nel panorama spesso omologato dell’hip hop italiano. L’appellativo rapper è sicuramente molto riduttivo: Murubutu è un cantastorie, uno storyteller raffinato, un cantautore figlio della tradizione cantautorale italiana. L’album, infatti, è composto da suggestivi racconti brevi, da storie appassionanti fatte di sentimenti, colpi di sce-

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na, giochi di parole, particolari poetici, capacità narrativa: storie di guerra, d’amore (nelle sue sfaccettature, come Anna E Marzio e La Bellissima Giulietta), di vita (Quando Venne Lei e Martino E Il Ciliegio) e molte altre, intervallate da uno sfogliare di pagine che aiuta a rendere il concept al meglio. L’artista riesce ad imprimere alle parole una carica espressiva molto forte, le sceglie in maniera attenta per dipingere paesaggi e situazioni, le rende veicolo di colori e profumi, le ricama una per una fino ad ottenere un equilibrio perfetto fra struttura narrativa, metrica, interpreta-

zione e musica. Questo album dimostra in maniera eccellente che il rap può essere poesia, pura emozione e, perché no, anche didattica. I bellissimi testi sono magistralmete accompagnati dalle produzioni di Dj Caster, Dj S.I.D., Dj Kappa O, Il Tenente, Yanez Muraca, Dj T-Robb, MalosmokiÈs, Vanilla, arricchite da scratch, ed inserti di chitarra, sax e flauto traverso. Ad accompagnare Murubutu ci sono le partecipazioni di Vara e dei soci della crew La Kattiveria. Chiudete gli occhi e lasciatevi trasportare dalla poesia di Murubutu! Gaetano Grilli


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FINO AL COLLO I

l nuovo lavoro della crew romana Brokenspeakers riconferma che questo collettivo è una delle realtà più belle del panorama rap italiano. Fino Al Collo è stato annunciato come il loro ultimo lavoro insieme, un vero peccato per gli appassionati: questo album è un lavoro solido, genuino e vero, quindi perfetto per tirare le somme di un’esperienza importante, di cinque intensi anni di crescita fra lavori solisti, album di gruppo e collaborazioni di peso. I Brokenspeakers non rinunciano al loro credo in fatto di rap: coerenti fino all’ultimo, testimoni del

passaggio fra la storica scena romana (e non) e il nuovo che avanza, sempre indipendenti, sempre sé stessi. Tutto ciò confluisce in modo chiaro nei punti cardine del disco: le tematiche sono interpretate in modo concreto, maturo e mai banale da Lucci, Coez, Hube, Nicco e Franz, che riescono a dare un senso di fluidità notevole; i beat di Ford78 danno ulteriore spessore ai testi e li completano, accompagnandoli nel classic scuola romana che tanto splendore ha dato all’hip hop italiano; i featuring di Kaos (Non Lo So), Primo (Merda Fino Al Collo), Colle Der

NEW RELEASE

Artista Brokenspeakers Anno 2012 Label La Grande Onda Durata Album 53:59 Traccia consigliata Il Motto Fomento (Sempre Uguale), Dj Craim, 3D (I Soldi Tuoi La Testa Mia), Xtreme Team (A Me No) e Strength Approach (Anthem Do Or Die) parlano da soli. Una menzione particolare va al brano Anthem con la partecipazione della Città Eterna e del suo pubblico, insieme omaggio, ringraziamento e arrivederci ai supporters. Vero e proprio manifesto dell’album è, però, il brano Il Motto in cui significativamente viene sottolineato che ‘L’Hip Hop è morto, peccato non me n’ero accorto’. Non possiamo che essere d’accordo! Gaetano Grilli

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S.F. KARTOONS Artista Sud Foundation Krù Anno 2010 Label Autoprodotto Durata Album 44:00 Traccia consigliata Rota

S

FK aka Sud Foundation Krù! Questo il nome della band che vogliamo proporre in questo nuovo numero di Junks Magazine. La band pugliese, precisamente di Palagiano (TA), nasce nel 2000 e, dopo varie partecipazioni a festival e concorsi di caratura nazionale, dal 2010 è fuori con il nuovo album S.F. Kartoons. Un progetto davvero interessante che di sicuro vi colpirà per la sua originalità. La band (composta da Freezer, U’Belmond, P’K’Red e DonPabloMan), rivisitando alcune delle principali colonne sonore dei cartoni animati che hanno ca-

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ratterizzato le nostre infanzie, tira fuori un prodotto divertente ma cosciente nel quale, pur utilizzando un mood ironico e leggero, tratta importanti tematiche di disagio e ingiustizia sociale. Temi che interessano sia la nazione intera che, soprattutto la loro terra d’origine: quella parte di Puglia (Taranto e provincia), troppo spesso maltrattata e dimenticata. Un album di 11 tracce molto fluido e allegro che ascolterete piacevolmente. Le produzioni, come detto, riprendono molti campioni famosi ma hanno una buona struttura, con evidenti influenze reggae e hip

hop. Le metriche sono buone, concepite con quel giusto mix di semplicità e schiettezza che devono possedere quando la musica vuole essere utilizzata principalmente come mezzo di denuncia. Non riescono però a non dedicare una traccia (Rota, secondo noi la più bella dell’album) alla musica in quanto tale, come passione imprescindibile senza la quale non riuscirebbero a vivere. In passato abbiamo avuto la possibilità di assistere ad un loro live e vi possiamo garantire che il coinvolgimento e il divertimento sono assicurati. Agostino Silvestri


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SELECTA

La parola d’ordine della playlist che vi consigliamo in questo numero è: ROOTS. Così, in occasione dell’uscita del nuovo film documentario della star del reggae Bob Marley (uscito lo scorso 20 aprile) apriamo la nostra selezione con una performance negli studi Capital Record di Los Angeles; la formazione dei Wailers comprendeva ancora Peter Tosh, Bunny Wailer e i fratelli Barrett. Buona visione e buon ascolto!

• Duppy Conqueror

• Are We a Warrior

• False Rasta

• Last Straw

di Bob Marley & The Wailers

di Delroy Wilson

• Suzy Wong di Jacob Miller

di Ijahman Levi

di Pablo Moses

• Remember Me di Junior Byles

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EVENTI BOUNTY KILLER HOSTED BY DON RICO & TERRON FABIO

STAMM’ STREET III Festival di Street Art e Musica Hip-Hop

FLY GIRLS & YARAH BRAVO

31 • 05 • 2012 Brancaleone - Roma 01 • 06 • 2012 Villa Lampedusa - Palermo 02 • 06 • 2012 Rockplanet Club - Pinarella di Cervia (RA)

10 • 05 • 2012 Atlantico - Roma

26 • 05 • 2012 Barrios - Milano

SEAN PRICE

13 • 05 • 2012 Big Bang - Roma

DAVID RODIGAN

19 • 05 • 2012 Intifada - Roma

SKARRA MUCCI

25 • 05 • 2012 Parco Fazenda - Langhirano (PR)

TIPPA IRIE

26 • 05 • 2012 Bosco Frascati - Castelfranco Emilia (MO)

23 • 05 • 2012 Piazza Regina Margherita - Lancusi (SA)

LA COKA NOSTRA

ANTHONY B

14 • 06 • 2012 Carroponte - Sesto San Giovanni (MI) 21 • 06 • 2012 Villa Ada - Roma

CYPRESS HILL

26 • 06 • 2012 Rock in Roma - Roma

CYPRESS HILL, EVERLAST, DOPE D.O.D.

27 • 06 • 2012 Sherwood Festival - Padova

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BRAND NEW

BRAND NEW

Brand new è uno spazio interamente dedicato alle band ed agli artisti emergenti (o quasi) del panorama underground italiano. Presentateci i vostri lavori, potrebbero uscire sul prossimo numero di Junks Magazine! ALTRE DI B

There’s a million better bands Gli Altre di B hanno un nome molto nostrano, ma cantano in inglese. Dicono di non prendersi molto sul serio e di essere soltanto uno dei tanti gruppetti che nascono tra i banchi del liceo, ma dal 2006 ad oggi hanno macinato chilometri e concerti, vincendo concorsi e ricevendo una sonora dose di apprezzamenti. Siccome gli anni passano e non si può cazzeggiare in eterno, hanno registrato un disco e si sono indebitati fino a rimanere in mutande, ed ora per protesta in qualche concerto si presentano in mutande per davvero. Il disco (autoprodotto) è in free download sul bandcamp di Unhip Records. There’s a million better bands, titolo che riprende un verso dei Presidents of the USA, band molto cara agli Altre di B per sonorità

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e (finta) cialtronaggine, è un disco diretto e preciso, ritmo costante e chitarre elettriche, che rimandano ai Tokyo Police Club e agli Arctic Monkeys. Le dieci tracce del disco hanno una compattezza invidiabile, una mezz’ora di musica decisamente spigliata che potrebbe giungere direttamente da Sheffield. Parlano di sfortune e di piccole vendette e di esistenzialismo spicciolo ma soprattutto suonano a testa bassa, senza preoccuparsi di avere troppe certezze. There’s a million better bands: una sincera rivelazione.

TOMVIOLENCE

God is busy Si sa: il terzo album è quello della maturità, e i Tomviolence (Lorenzo Cerelli alla chitarra e alla voce, Leonardo Cioni alla chitarra e alla voce, Giuseppe Basilicò al basso, Antonio Martini alla batteria e Mirco Tani ai synth e ai piani) lo sanno benissimo: God is busy è il loro miglior lavoro (finora). Composto da sette brani (cinque inediti più due remix di pezzi estratti da Borderlinelovers, loro secondo album del 2009) God is busy produce un incontro/scontro tra groove e chitarre in cui i ritmi


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contemporanei si portano dietro tutto il loro bagaglio sonoro. Si percepisce, inoltre, la costante ricerca di una diversa centralità degli innesti vocali, anche grazie a un nuovo approccio verso la stesura delle canzoni. I brani sono fotografie di storie vissute il cui unico filo conduttore è il dilemma: Dio esiste? O è davvero troppo impegnato? Il gruppo invita il pubblico a scaricare e condividere liberamente The wizard, primo singolo estratto, per cimentarsi nel remix del brano. Entro l’estate, i cinque membri della band sceglieranno, a loro insindacabile giudizio, alcuni remix da pubblicare sul proprio sito ufficiale e, tra questi, il migliore figurerà nel prossimo album firmato Tomviolence, in uscita nel 2013.

testi – di senso, in sintonia coi suoni partoriti dal gruppo e in italiano, per garantire comprensione immediata al target audience – e sia, infine, nell’alternanza dei componenti alle voci e agli strumenti. Il titolo esprime la disillusione verso un mondo che non dà nulla in cui sperare; tuttavia, il gruppo sottolinea come questa disillusione vada intesa come «spinta per darsi da fare e migliorare quello che ancora per fortuna di buono c’è», come la Musica ad esempio, passione che dà forma e consistenza a questo lavoro. Da menzionare è anche la presenza di Mario Lalli, musicista della scena desert californiana, in uno degli 11 brani che compongono l’album (Ninna Nanna per Grisù).

MALE DI GRACE

Tutto è come sembra Male di Grace è una giovane rock band di Milano nata nel 2007. Lo scorso gennaio è uscito il loro primo album, Tutto è come sembra, un lavoro completamente autoprodotto. Il lavoro dimostra il talento del gruppo sia nel sound – coinvolgente e convincente (Anni luce, Disfatta, Tentazione, Ai confini) – sia nei

ATOMIK CLOCKS

Magdan in Charleroi Gli Atomik Clocks sono un progetto di improvvisazione collettiva, nato nell’estate 2006 costituito da Francesco Li Puma (bassista e sax tenore), Marco Ruggiero (batteria), Filip-

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po Pratesi (sax alto) e Massimo Peroni (sax baritono). Il loro primo demo album Tundra Funk, r intracciabile in free download, è stato registrato in presa diretta, un mix d’improvvisazione e brani funk risalente al giugno 2007. Nel novembre 2008 si registra il secondo lavoro un demo EP di transizione in trio/quartetto, the Country Hell (reperibile sempre in free download) costituito da improvvisazioni collettive più quella che loro definiscono una “ciliegina” hard-core. A fine 2010 pubblicano un piccolo “Live Promo 2010” con 4 nuovi brani live. Il loro ultimo lavoro Magdan in charleroi è uscito lo scorso 30 settembre ed è in free download attraverso la pagina del gruppo su Bandcamp. I brani prendono vita tra settembre 2010 e maggio 2011 presso il What a Guazza Studio, in quel di Firenze. Il consolidato quartetto da vita ad un mix di suoni sperimentale dove a dominare è il jazz, con chiare contaminazioni funk che caricano del groove, caratteristico di questo genere, ogni traccia dell’album. Lavoro molto interessante, consigliato prettamente agli amanti del genere.

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U SHAMAN

Hand Mad HandMad è l’EP in free download che contiene i brani scritti e registrati dall’mc pugliese U Shaman. Un concentrato di liriche che esprimono in maniera cruda e diretta i pensieri più intimi del rapper verso il mondo che lo circonda. Affrontando tematiche differenti, U Shaman fa constatazioni sulla società odierna; smontandone ogni singolo meccanismo e mettendo in luce un sistema malato e corrotto, dove l’unica soluzione plausibile può esser trovata in un cambiamento radicale. La sua arma sono le parole, strumento che utilizza con grande precisione e cura, non cadendo mai nella pura apparenza o nella banalità (come troppo spesso ci capita di ascoltare), bensì dando credito alla vera cultura Hip hop


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attraverso l’importanza dei temi affrontati e la dedizione con cui ci si applica. Il flow e la metrica sono assolutamente di livello, maggiormente avvalorati da una proprietà di linguaggio notevole e ricercata che permettono a U Shaman di catturare l’interesse dell’ascoltatore che di certo avrà modo di apprezzare ed ascoltare più volte brani come Catrame, Babilonia, Amamm. Anni ’10. Questo lavoro, essendo più che altro un demo, non ha la pretesa di essere un concept album completo e strutturato poiché, pur restando l’esigenza di registrare e raccogliere, i brani che lo compongono sono stati concepiti in tempi e occasioni fra loro differenti. Le produzioni del disco sono quasi tutte di Spash Da Klark, fatta eccezione per le ultime 2 tracce, prodotte da Keos-T (del collettivo Hip hop Vomitorz). Queste ben si legano con lo stile di U Shaman, viste le atmosfere cupe ed a tratti futuriste che riescono a creare attraverso la semplicità delle strutture e la scelta dei suoni.

ZEROCALL

Battle of young Quando abbiamo ascoltato il singolo Battle of young, ci siamo subito chiesti cosa si nascondesse dietro quel sound così spudoratamente anni ’80; è così che abbiamo scoperto la realtà degli Zerocall. Un progetto nato a gennaio 2011 dalla passione per la musica elettronica

di Andy e Frank, due ragazzi perugini. Partendo da background differenti (uno batterista, impegnato nel panorama indie/rock, l’altro tastierista e cantante, dedito all’electro/ pop e french touch) i due hanno maturato un interessante percorso musicale. Da un approccio più rock, spendendo diverse ore in sala prove, la loro ricerca è mutata in un’attività dedita alla creazione di pezzi più sintetici e sperimentali. Ecco che sopraggiungono attrezzi del mestiere quali Drum machine, effetti, compressori analogici e tastiere rigorosamente anni ’80 indispensabili per gli Zerocall che hanno ben chiaro il loro obiettivo. Così, dopo un anno di sperimentazioni, il risultato è la registrazione di ben 30 tracce, tra queste ne vengono selezionate 5 che andranno a comporre l’EP di debutto del duo, in uscita a giugno. Secondo quanto ci raccontano oltre al ricordo degli anni ’80 suggerito da pezzi come Battle of young, nel loro prossimo lavoro, potremo apprezzare anche la ricerca affrontata dagli Zerocall in vista di un sound più moderno e sorprendente.

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Non solo musica

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LA SINCRONICITÀ DELL’ARTE

La capacità di far ritornare un foglio nuovamente bianco... provate a pensarci per qualche secondo... La mente si ferma, nella realizzazione dell’impossibile, lascia il posto alla fantasia, per poi rendersi conto, qualche istante più tardi, di quanto i nostri piedi si siano sollevati dal terreno e ritrovarci, un istante più tardi, a precipitare nel mondo in cui viviamo... Ora, se avete avuto lo stesso pensiero, vi racconto una fiaba:

C’

è stato un giorno in cui ho imparato a vedere ogni singolo edificio, ogni singolo muro, come un foglio scritto dalla storia e sporcato dalla vita. Armato di rullo e vernice, ho riportato quei muri alla loro prima esistenza, ho fatto ritornare bianco il foglio. Attraverso il fiato degli spray, ho gridato la mia voce, piegato quei muri e fatto vedere al mondo come la storia può cambiare. Un foglio sporco è tornato alla sua originale forma, alla sua prima esistenza, per raccontare a chi passerà dopo di me che la strada può mutare. Qui è nato un nuovo concetto, la mia voce si è trasformata nel contatto con il mondo: è

divenuta colore. Sono nato tra alte mura, il cielo non si raggiunge da qui, la terra ti tiene inchiodato al suolo come la gente che mi scorre intorno; e i colori sono un lusso per chi si può permettere di sognare o per i ragazzini più fortunati. Ho cominciato a disegnare. Il primo odore che ricordo è quello nel ferramenta dove ho comprato i primi colori, il posto era contrassegnato da un enorme insegna con una chiave gialla. Il primo pensiero non sono gli spray, ma è quello di fare le bozze,

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il giorno prima, su un foglio di carta, e riflettere su come queste verranno trasportate nella realtà della strada. Andare a disegnare con i grandi, il farsi spazio dove spazio non c’è, o per lo meno non lo puoi avere, la paura.

ABOUT

La paura di fissare quello che porti dentro su un muro. Qualcuno ha detto che la grandezza di un uomo si misura dalle sue azioni, il realizzare un nuovo pezzo che sia di musica, un disegno o una scultura è una necessità quando la porti dentro. Ma fa paura. È una strada che segui correndo e che non sai dove ti porta, fino a quando

non provi a seguirla. A farti compagnia c’è solo una flebile vocina che ti pulsa nel cervello e ti sale dallo stomaco mentre manca il fiato, riga dopo riga, colore dopo colore, nota dopo nota. Questo è quello che dalle mie mani raccontavo su un muro, questo è quello che potete leggere sulle pareti della mia città, tra le strade che ho percorso. E adesso che vi ho raccontato quello che è stato, che vi ho narrato come l’arte è divenuta parte della mia vita, vorrei accompagnarvi in un viaggio, attraverso vari punti vista, diverse persone e personaggi. Cercheremo di farvi vivere la

Davide Ippolito in arte Monz, nasce a Foggia il 5 Maggio 1987. Cresciuto alla “breccia” nel quartiere popolare Candelaro, già tra i banchi delle scuole secondarie si avvicina alla cultura underground, passione che non lo abbandonerà nel tempo. Nel 2001 si iscrive all’Istituto d’Arte “G. Perugini” di Foggia, dove ha modo di acquisire tecniche, scindendo la pittura dal writing convinto che quest’ultimo sia un “credo” più che un percorso

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loro arte in poche righe con rapidi sguardi. In un contatto intimo con l’essere umano che si cela dietro ogni forma di espressione e cercheremo di raccontare come l’arte ha cambiato la loro vita. Non definiteci artisti, bensì figli d’arte perché di essa siamo innamorati come lo si è di una madre creatrice, senza nome e senza confini. Lo spazio che segue è per Lei, il successivo foglio bianco... Davide “Monz” Ippolito

artistico. Si trasferisce a Firenze nel 2007 per frequentare il corso di pittura all’Accademia di Belle Arti, dove inizia a sperimentare tecniche e nuovi linguaggi artistici. Solo nel 2010 dopo aver conosciuto il Professore S. C. Vinciguerra, maestro nelle tecniche murali, riesce a trovare il giusto compromesso tra i due linguaggi mediante la tecnica dello strappo, forgiandone nuovi aspetti. Non tecnica in quanto tale ma mero concetto.


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EVENTI

RIVEROCK FESTIVAL Questo è un periodo rovente per i ragazzi dell’Associazione Riverock. C’è proprio un gran bel da fare. Il successo invernale del Riverock Contest sta volgendo al termine, e già si affacciano, insieme ai primi raggi di sole primaverile, le notizie dell’uscita ufficiale del Riverock Festival 2012. Andando per ordine: sabato 5 maggio, all’Urban Club di Perugia, si svolgeranno le finali del contest, in cui si scontreranno i tre gruppi che la giuria ha scelto nelle

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tre precedenti serate. Torneranno ad esibirsi con la loro energia il giovanissimo power trio vicentino dei Bad Black Sheep; Da Cuneo invece arriveranno come al solito con chitarre, cerchioni, bidoni e quant’altro la formidabile Traffic Light Orchestra; i catanesi Nadiè, terzo gruppo selezionato per la finale, non potranno per problemi di salute essere sul palco quella sera e verranno degnamente sostituiti dal Pinguino Imperatore, pazzo


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gruppo perugino che si è classificato subito dietro il terzetto di testa. A chiudere, come da tradizione del Riverock Contest, un ospite illustre, i Waines, un tornado di blues, ritmi folli e sudore. Nell’attesa di sapere chi sarà il vincitore, già sono uscite i primi nomi per l’atteso festival estivo, che quest’anno durerà ben tre giorni, 2930 giugno 1 luglio, e si svolgerà a Perugia. La prima sera, venerdì, si alterneranno durante tutto il giorno numerosi gruppi, emergenti e non, che lasceranno il posto ai vincitori del Riverock Contest prima e i vincitori del Jack on Tour dopo, tali Majakovic, rientrati freschi freschi da un tour americano con gli Afterhours. La seconda serata sarà animata da Aucan e Pink Holy Days, mentre la terza, in collaborazione con l’associazione Dancity, protagonisti saranno i Dj. Solo un nome su

tutti: Peter Hook, che inizialmente non vi dirà niente, ma comincerete sicuramente a capire se associato a parole come “Joy Division” o “New Order”, gruppi a cui è apparenuto come bassista e di cui tra l’altro è stato fondatore. Il festival, allestito nell’immenso spazio verde attorno all’Ostello “Mario Spagnoli” e completamente gratuito (n.d.r.), non offrirà ai presenti solo buona musica. Workshop di fotografia, seminari in collaborazione con l’Università di Perugia, mercatini etnici e mostre accompagneranno i presenti per tutta la durata della manifestazione. In serbo molte altre sorprese, che verranno annunciate gradualmente attraverso il sito internet (www.riverockfestival.it) e i canali di facebook e twitter. L’estate si preannuncia molto calda, non resta che aspettare, ma se volete vedere che aria tirerà il 29, 30 giugno e 1 luglio a Perugia basta che facciate una capatina il 5 maggio all’Urban Club.

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CINEMA DAL MALI AL MISSISSIPI Anno: 2003 Regia: Martin Scorsese Genere: Film documentaristico Per gli amanti del blues, un documentario musicale diretto dal Maestro Martin Scorsese, primo capitolo dei documentari “The blues”. Il film racconta le origini del blues: un viaggio che ripercorre i luoghi dove tutto ebbe origine, risalendo il delta del mississipi e tornando, a ritroso, nel cuore dell’Africa, in Mali. Il chitarrista moderno Corey Harris intervista i grandi della musica blues. Tra questi, il grande e ultimo suonatore di fiffaro Othar Turner, scomparso dopo qualche mese all’età di 95 anni; musicista, tra l’altro, amato dal re del blues, Albert Nelson, (in arte Albert King), uno dei “tre re” della chitarra blues. Oltre a grandi interpreti della musica blues, Harris Corey intervista grandi musicisti della musica africana come Salif Keita e Ali Farka Tourè (scomparso prematuramente nel 2006), grandi interpreti della musica africana: per fare ciò, come anticipato, Corey approderà in Mali, terra di origine di molti schiavi e antenati dei grandi bluesman odierni. Oltre alle parole suggestive, alle testimonianze emozionanti e ai ricordi piacevoli, il documentario prevede interpretazioni di grandi del passato come John Lee Hoker,

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Son House e Muddy Waters: pezzi di storia che rimangono impressi nel cuore di chi ama questo genere fantastico. Il tutto, condito con un sottile senso di nostalgia di quei tempi lontani, dove il blues era l’espressione della rivolta di un popolo oppresso. Il grande maestro Scorsese dimostra che solo una musica nata dalla sofferenza, dalla gioia, dalla fede, dall’amore e dalla voglia di libertà che si respirava nei campi di cotone del delta del Mississipi può dare emozioni tanto forti. Buena vista. Fabio de Palma


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NOWHERE BOY Anno: 2009 Regia: Sam Taylor-Wood Genere: Biografico Mix di emozioni per un gran film che segna il debutto alla regia dell’artista concettuale Sam Taylor-Wood. Ispirato al libro biografico Imagine: Growing Up with My Brother John Lennon , scritto dalla sorellastra Julia Baird, il film tratta temi molti delicati, come l’adolescenza travagliata di John, il rapporto con le due donne della sua vita, sua madre Julia e sua zia Minnie, l’amicizia con Paul McCartney e George Harrison pre-Beatles e come si è avvicinato al rock’n’roll. Nowhere boy descrive in maniera impeccabile la personalità molto eccentrica del giovane John, interpretato da Aaron Johnson, un tipo bullo e strafottente ma con una grandissima sensibilità. Nel film si evidenza la sua grande sofferenza per la mancanza della figura materna, che scopre essere viva all’età di 15 anni. Con la neo-ritrovata madre riuscirà a creare un bellissimo rapporto, che si concluderà tragicamente con la prematura morte della donna, investita da una macchina. Il film racconta anche i tanti contrasti tra sua zia Minnie, un tipo conservatore, e la di lei madre Julia, una tipa eccentrica e moderna. Quanto questo vuoto, questo turbamento adolescenziale hanno in-

fluito sulla straordinaria personalità artistica del grande artista che fu? Scoprirlo è il lavoro della regista, in questo viaggio introspettivo nell’uomo che sarebbe diventato l’artista più importante del XX secolo. Curiosità: nel film si sottolineano i primi effetti di amicizia-rivalità con Paul, con il quale John era già impegnato musicalmente nei Quarryman, prima band che diede i natali ai Beatles. Nel film si possono ascoltare alcune delle prime canzoni incise, come In spite of all the danger. Se amate la figura di John e dei Beatles, siete obbligati a vederlo; se amate davvero questo artista, beh… ne verserete di lacrime! Buena vista! Fabio de Palma

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LIBRI UN MONDO DEL TUTTO DIFFERENTE, LA STORIA DI WOW E DEI VERDENA Autore: Emiliano Colasanti Editore: Arcana Un mondo del tutto differente, la storia di Wow e dei Verdena è il primo libro sul trio di Bergamo – i fratelli Alberto e Luca Ferrari, e Roberta Samarelli – che continua ad arricchire, da anni, la scena musicale alternativa italiana. Scritto dal giornalista Emiliano Colasanti, il libro si concentra sull’ultimo lavorocapolavoro della band, Wow (2011), un doppio album coraggioso (“Nei minuti necessari ad aprire il cellophane di un vinile riusciamo a scaricare intere carriere di musicisti. In un’epoca del genere, un album doppio è visto come un atto di coraggio.”) e che riesce a dare ottimi risultati in tutto: vendita, tour, e critica (la quale sembra essersi accorta soltanto ora del puro talento dei Verdena, “una vera mosca bianca del panorama italiano, che ha sempre messo la musica davanti a tutto il resto relegando a un ruolo secondario ogni questione di immagine e marketing.”). Il libro scorre veloce e in modo semplice e leggero, arricchito da foto (live e non), parole del trio e di Omid Jazi (musicista di supporto nel Wow tour), testi (impossibile non ritorna-

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re con la mente ai Diari di Cobain) e materiale del batterista Luca (che, proprio poco dopo l’uscita del libro, ha presentato i suoi dipinti e collages al Bloom di Mezzago). Nel connubio di tutto ciò sta la forza di questo libro, che vuole mostrare come e a che costo i tre hanno portato avanti il loro progetto, e sottolineare, soprattutto, come la Musica sia sempre “Il motore. Quello che ti fa andare avanti anche quando sei convinto di non farcela più.” Ilaria Abruscia


Non solo musica

L’OPERA STRUGGENTE DI UN FORMIDABILE GENIO Autore: Dave Eggers Editore: Mondadori Dave ha 22 anni, una tragica storia alle spalle e un fratellino, Toph, cui fare da padre, madre e fratello al tempo stesso. Alla morte dei suoi genitori, Dave lascia tutto ciò che ha e parte con Toph per la California. Sotto la sua tragica figura e le sue idee megalomani non c’è altro che il desiderio di dare un senso a quell’assoluta libertà che gli è, in un certo senso piombata addosso: Dave sente di volerla vivere senza compromessi e senza il timore di giudizi di chi, non essendo come lui, non potrebbe mai capire. Questa ricerca si manifesta nel rapporto con il fratello, nelle relazione con le sue ex compagne ma anche nel suo ruolo nella redazione, di un giornale, Might : «Stiamo cominciando a perfezionare un nostro equilibrio tra l’essere vicini alle cose che sono in movimento (…) e allo stesso tempo mantenere le distanze, una mentalità da outsider!». Un romanzo al limite della farneticazione e della follia ma di un bruciante realismo, caratterizzato da una scrittura vivace, brillante, ironica e spiritosa che reca nel profondo una voglia, un desiderio di pienezza, affermazio-

ne, lotta e vita. «E noi saremo pronti, alla fine di ogni giorno saremo pronti, non diremo di no a niente (…) e respireremo a fondo, respireremo tutta l’aria piena di vetro e unghie e sangue, la respireremo e la berremo!». Giacoma di Vieste

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