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Rita Levi-Montalcini

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Io ti cercherò

Io ti cercherò

di Alberto Negrin RITA LEVI-MONTALCINI

Origine: Italia, 2020 Produzione: Rai Fiction, Cosmo Production Regia: Alberto Negrin Soggetto: Roberto Jannone, Francesco Massaro, Alberto Negrin Sceneggiatura: Roberto Jannone, Francesco Massaro, Alberto Negrin, Monica Zapelli Interpreti: Elena Sofia Ricci (Rita Levi-Montalcini), Iris Dondi (Rita Levi-Montalcini bambina), Carolina Sala (Rita Levi-Montalcini ragazza), Luca Angeletti (Franco), Ernesto D’Argenio (Dottor Lamberti), Francesco Procopio (Francesco Capriotti), Katia Greco (Madre di Elena), Elisa Carletti (Elena Capriotti), Dora Romano (Caterina), Morena Gentile (Moglie di Franco), Andrea Lolli (Professor Crocicchi), Matteo Olivetti (Guido), Maurizio Donadoni (Professor Poli-Richter), Franco Castellano (Professor Levi), Riccardo Lombardo (Professor Canò), Carla Ragonwe (Dottoressa), Giancarlo Ratti (Adamo, padre di Rita), Federico Saliola (Corriere macchina del caffè), Distribuzione: Rai 1 Durata: 104’ Uscita: 26 novembre 2020

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RRita ammira allo specchio l’abito all’antica che indossa. Gli abiti sono una sua caratteristica e la sua unica debolezza femminile; lei, come la regina, viene riconosciuta da com’è vestita. Entra un uomo e le chiede come si sente: “inadeguata”, è la sua risposta. L’uomo (Franco) l’accompagna nel salone dove le viene consegnato il premio Nobel per la medicina. Caterina, la sua domestica, piange quando la vede in televisione, mentre Rita viene assalita dalle domande dei giornalisti.

Tornata a casa, la trova sommersa da fiori e lettere, che si impegna a leggere, anche se vorrebbe continuare le sue ricerche; sono piene di richieste d’aiuto da parte di persone malate che si sono illuse che le sue scoperte possano risolvere ogni problema. Mentre la dottoressa rientra nel suo centro di ricerca, la gente che la vede applaude. Al suo interno viene accolta con entusiasmo dalle sue studentesse ma Rita rimanda i festeggiamenti. Nella sua stanza trova ancora innumerevoli regali, lettere e fiori: ha vinto il Nobel, per di più essendo donna. Ma li guarda a malapena e indossa il camice, recandosi al piano di lavoro, mentre Franco, il suo assistente, le elenca gli inviti a cui deve scegliere se partecipare; Rita accetta immediatamente ciò che riguarda i giovani, mentre non vuole sapere nulla di ciò che riguarda i soldi. Il giorno dopo, insieme a Franco, si reca all’evento di un’orchestra torinese composta da giovani a cui è stata invitata, e quando in macchina Franco le parla dei conti, lei lo interrompe riflettendo sulla bellezza e sulla consapevolezza che ha l’uomo di vederla, estasiata dal paesaggio che le scorre davanti. Tornata a concentrarsi sulle spese, Franco le comunica che sono oltre il budget per la ricerca e Rita gli propone scherzosamente di finanziarla costruendo candele in cera con il suo volto.

Intanto i ragazzi si preparano al concerto, emozionati, domandandosi cosa abbia scoperto la donna. Una bambina, Elena, offre a Rita dei fiori a nome di tutti, e lei si alza, ringraziando; inizia allora a raccontare che ha studiato tutta la vita la mente, che è capace di sviluppare pensieri, suoni, parole e la musica ne è una sua manifestazione. Esprime poi la sua speranza: i giovani saranno in grado di spiegare il cervello.

I ragazzi cominciano a suonare, ma a un certo punto Elena, che dirige per prima l’orchestra suonando il violino, strabuzza gli occhi, finché non si accascia a terra. Viene chiamato un medico che, davanti agli occhi preoccupati di tutti, annuncia che la ragazza respira normalmente; Elena infatti riapre gli occhi, spiegando cosa è avvenuto. Rita segue la ragazza in barella e il medico finché non vengono portati via in ambulanza. In albergo, Rita incontra di nuovo la bambina assistita dai genitori e, dopo essersi informata sulla sua salute - positiva secondo i medici a parte forse un problema alla vista - rassicura Elena che la guarda tristemente offrendole di finirle il concerto a Roma. Dà poi al padre della bambina il numero di telefono dell’oculista migliore che conosce. Quando l’oculista visita la bambina scopre che ha un grave problema alla cornea, una malattia che se non si estingue da sola porta alla cecità, non esistendo cure specifiche.

Rita torna nel laboratorio, portando la torta gelato che aveva promesso alle studentesse, ma due di loro non si trovano lì. Le due tornano mentre la professoressa

mette la torta nel frigo: cercano di impedirle di aprirlo, ma non fanno in tempo e Rita scopre del cibo al suo interno. Le studentesse, che sono state sposate, le spiegano che fanno la spesa al mattino per portarlo ai figli, così da poter rimanere fino a tardi e lei sorride, ricordando come ai suoi tempi o si lavorava o ci si sposava.

Poco dopo il dottor Lamberti, il cui primario ha visitato Elena, le comunica che la bambina perderà la vista ma che non ne è stata ancora informata; il problema ha origine neurologica. Elena, intanto, si esercita, ma non riesce più a vedere chiaramente lo spartito. È preoccupata perché presto avrà un’audizione ma la madre la invita a dormire per riposare gli occhi; alla domanda su quando guarirà la madre le mente, dicendole di avere pazienza.

Rita studia cercando una cura per Elena e si scorda persino di mangiare. Quando Caterina la invita a cenare lei le confessa che dopo la laurea ha rinunciato a fare il medico perché il dolore dei pazienti che non poteva guarire la paralizzava. In quel momento le riaffiora alla mente il ricordo di quando era bambina e le sue compagne andavano al catechismo; lei aveva deciso di non avere una religione e di decidere da grande. Mentre aspettava di tornare dalla madre, aveva visto un ragazzo senza una gamba e aveva chiesto alla maestra che malattia avesse e se sarebbe guarito. Ricevendo un ovvio no come risposta, l’aveva attraversata lo stesso sguardo velato di tristezza che ora l’accompagna mentre viaggia nella memoria. Un secondo ricordo le affiora tra i pensieri: il momento in cui aveva riferito al padre che l’unica cosa che sapeva fare era studiare e che voleva iscriversi a medicina; gli aveva confessato che non voleva avere figli, né sposarsi, e il padre, stupito, le aveva detto che nonostante fosse intelligente non avrebbe trovato lavoro, in quanto donna.

Rita si reca al lavoro, dove trova Franco e l’oculista Lamberti che sperimentano nuove cure per la cornea sui topi, ma appena li vede li rimprovera, ammonendoli che il compito di un medico non è quello di dare false speranze, ma di accettare la realtà e aiutare chi ne è coinvolto ad accettarla. Porta poi entrambi a consultare dei fascicoli, frutto della sua ricerca, che dimostrano che a certe malattie è impossibile trovare una cura. Spiega allora quanto la faccia soffrire non aver scoperto delle cure e vedere la delusione sul volto delle persone quando ne prendono coscienza, ma è necessario accettare la realtà scientifica. Tornati in laboratorio Rita si scusa con Franco, e lo invita a richiamare il dottor Lamberti; si accorge che l’assistente ha qualcos’altro nella testa. Lui le mostra una lettera: l’hanno sfrattato da casa sua nonostante abbia due bambini.

Intanto Elena fa il provino all’istituto Santa Cecilia; gli occhi non le funzionano bene, ma suona comunque davanti alla commissione. Finito il provino le comunicano che la vogliono alla seconda selezione e i genitori l’abbracciano contenti. Facendo una seconda visita oculistica, il dottore scopre che la situazione si è aggravata a tal punto che se non la operano entro poche settimane perderà anche i bulbi oculari cosa che le deformerà il viso; devono dirle la verità.

Rita va a trovare Elena ma quando le chiede di finire il concerto la bambina le dice che diverrà cieca. Parlano poi di quanto si sentano sole: Rita non ha una famiglia ma il lavoro è il suo rifugio, come per lei il violino. Elena però non vuole più suonare; ora ogni cosa le sembra inutile, perché non potrà più vedere. Rita spiega che a volte sembra che la vita ci stia portando via ogni cosa, eppure non è così; le racconta che lei voleva curare le persone, ma c’è riuscita solo in piccola parte. Voleva studiare il cervello, nonostante gli scienziati lo temessero, perché pensavano venisse da Dio e non fossero abbastanza preparati per farlo; solo un professore (Levi) si occupava di esso e non ne aveva paura. Lei si era presentata al professore per offrirsi di fare ricerche sul cervello. Gli aveva mostrato i suoi voti eccellenti ma lui non li aveva considerati; davanti alla sua diffidenza Rita aveva pensato che così fosse perché era donna, ma a lui non importava, voleva solo che i suoi studenti fossero intelligenti. Rita gli aveva spiegato che le interessava il cervello, e lui le aveva ordinato di contare tutte le cellule dei glandi sensitivi dei topi. Passava le sue giornate in laboratorio a studiare senza preoccuparsi d’altro, tanto che un ragazzo (Guido) una volta, mentre lei dormiva, le aveva portato da mangiare. Il professore lo aveva scacciato quando lui aveva fatto notare che Rita stava sempre in laboratorio: era giusto stesse lì e non a casa a preparare da mangiare.

Rita aveva contato ogni cellula di ogni topo, e, soddisfatta, aveva mostrato la ricerca al professore che le aveva dato una risposta: non sapeva se il cervello venisse

da Dio, ma sapeva che era composto da cellule. Le aveva poi dato da leggere un articolo di Viktor Hamburger e Rita aveva creduto di avercela fatta. Ma il professor Levi, ebreo, era stato mandato via dalla scuola a causa delle leggi fasciste che vietavano insegnamento e istruzione a professori e alunni ebrei; all’università mentre un professore teneva una lezione sui tratti somatici e sulle malattie degli ebrei, Levi era entrato in classe interrompendolo per avvertire gli alunni di non farsi abbindolare da chiunque si ponesse in cattedra, ma di avanzare dubbi e interrogarsi, perché senza vera conoscenza non c’è libertà. Il professore lo aveva cacciato, indicando l’uscita anche a Rita, e Guido aveva difeso entrambi: tutti erano a conoscenza che i migliori insegnanti e alunni della scuola erano ebrei. Quando Guido era uscito dalla stanza, alcuni alunni lo aveva seguito per poi picchiarlo al suo dichiararsi “ebreo onorario”. Rita, che aveva sentito, era corsa da lui per soccorrerlo; Guido aveva colto l’occasione per confessarle che voleva sposarla. Ma Rita aveva rifiutato sorridendo: una donna in quel secolo non poteva essere sia madre che ricercatrice, non poteva essere tutto.

Si era poi recata dal professore, chiedendogli cosa fare: senza laboratorio né libri non avrebbero potuto continuare le ricerche. Il professore le aveva spiegato perché non aveva mai avuto paura del cervello, al contrario dei suoi colleghi: sapeva di avere dei limiti, per cui non poteva studiarlo tutto, e aveva considerato solo la parte embrionale, consapevole che ciò che vale per il piccolo vale anche per il grande. Così le aveva fatto capire che gli embrioni possono essere studiati anche senza laboratorio, perché si trovano nelle uova, aggiungendo che le era stato impedito di fare il medico, ma non di pensare.

Rita offre il violino ad Elena, che le continua il concerto.

Qualche giorno dopo, Rita si reca nella biblioteca di un’università - dove gli alunni e la professoressa la accolgono con sguardi stupiti e affascinati - per affiancarli nello studio della struttura oculare. In quell’istante ricorda quando insieme al professor Levi scoprì che l’esperimento funzionava; lui le aveva detto che è proprio quando tutto sembra perduto che bisogna combattere.

In laboratorio avverte Franco di continuare con la ricerca sulla cornea che lui e il dottor Lamberti avevano iniziato a sua insaputa; rimarranno a studiare la notte per recuperare il tempo perduto. Franco la informa di aver trovato casa, ma la dottoressa pensa che sia troppo lontana dal laboratorio. In quel momento arriva una nuova macchina del caffè e il direttore si lamenta dell’acquisto perché sono già fuori dal budget. Rita non gli presta attenzione: per il successo della ricerca scientifica di nuove cure è lecito spendere qualsiasi somma. La sera, Franco, Rita e il dottor Lamberti si recano nel laboratorio a cui il custode li fa accedere segretamente. I tre iniziano le ricerche sugli animali e, dopo aver trovato un coniglio con la stessa lesione alla cornea della ragazza, restano a lavorare fino a tarda notte. Rita comunica comunque che il mattino seguente, a poche ore di distanza, dovranno ritrovarsi lì. Poi fa visitare a Franco una nuova casa, sita di fronte al laboratorio: sarà così sempre reperibile, mentre del costo si occuperà lei.

Tornati al centro di ricerca, Rita trova il dottor Lamberti al suo microscopio; lui la invita a guardare e le mostra la sensazionale scoperta. Mentre osserva, si ricorda di quando, nel 1943, aveva scoperto che il sistema nervoso non era statico: mentre i bombardamenti piegavano la città, lei e il professor Levi si erano resi conto che le fibre nervose potevano crescere, al contrario di quanto aveva scritto Hamburger nell’articolo che le aveva dato il professore.

Cominciano quindi a sperimentare, mangiando solo cibo dalle macchinette e lottando contro il tempo: hanno tre giorni. Iniziano a provare le dosi su un coniglio.

Elena, nel frattempo, contempla i colori dei fiori malinconicamente, con i genitori che le stanno accanto; non si rassegna a vedere solo il nero. Quando poi arriva la lettera di convocazione per l’audizione, la bambina si fa promettere dal padre che le consentirà di partecipare.

Gli scienziati continuano gli esperimenti sui conigli, ma quel che funzionava in vitro non sembra funzionare sugli animali; Rita non si regge più dalla fatica e dalla stanchezza ma quando il dirigente del laboratorio viene a cacciarli perché ne usufruiscono in orari non concessi, Rita lo fronteggia a testa alta, spiegandogli che la ricerca non ha orari; chi è riuscito a trovare soluzioni reali è andato oltre le regole. L’uomo le ordina comunque di andarsene e lei si toglie il camice ma prima lo accusa di essere un burocrate: un uomo, cioè, che scambia gli esseri umani per numeri. Rita, fuori dal laboratorio, si chiede cosa voglia dire quan-

do alla fine della propria vita si commettono gli stessi errori di quando si era bambini: Lamberti le risponde che significa che non è mai invecchiata, ma lei ribatte che forse non è mai cresciuta e si perde nel ricordo.

Il professor Levi nel 1946 era tornato all’università di Torino e lei con lui: le aveva dato una lettera del professor Hamburger del quale Rita aveva contestato la teoria; lui la invitava in America, e il professore le aveva detto di partire, raccomandandole di non deluderlo. Le spiegò poi che quando lei gli si era presentata, l’aveva volutamente maltrattata affidandole un compito impossibile perché lei tirasse fuori tutta la sua forza. Vedeva in lei il meglio di sé e il suo futuro.

Durante la notte, Franco si sveglia per bere, e dalla finestra nota la luce del laboratorio accesa: si reca subito al suo interno e vi trova Rita addormentata sul bancone, attorno a lei boccette e documenti caduti per terra; quando cerca di svegliarla non risponde, ma nel momento in cui si appresta a chiamare un’ambulanza, Rita riapre gli occhi e lo ferma. Si regge a malapena in piedi dalla stanchezza, ma continua a borbottare di voler continuare il suo lavoro; Franco l’accompagna a casa e l’affida a Caterina, malgrado la sua opposizione. Mentre parlano però, Rita si ricorda del suo vecchio professore: le diceva sempre che per risolvere un problema insolubile bisogna tornare al principio. La mattina presto si sveglia con un’illuminazione. Si veste rapidamente e si reca in laboratorio dove spiega la sua intuizione: la soluzione non funzionava sugli animali perché la somministrazione doveva essere effettuata, localmente, goccia a goccia; bastava tornare agli elementi semplici.

Elena si prepara per l’operazione e guarda per l’ultima volta la casa e il giardino dove abita. Il dottore la rassicura, promettendole che suonerà ancora il violino. Intanto i dottori continuano con la sperimentazione; passano la notte a somministrare la soluzione al coniglio, fino all’alba. Quella mattina Elena sarà operata, ma quando i medici entrano nella sua stanza non c’è; i genitori la cercano ovunque, finché non la trovano che suona bendata davanti al giardino dell’ospedale; quando la madre le sta per togliere la benda, Elena dissente: ora si sente pronta. La bambina viene portata in sala operatoria, dove viene anestetizzata; intanto Rita, Franco e il dottor Lombardi corrono verso l’ospedale portando con sé la soluzione. Lombardi prega l’oculista di ascoltare Rita e, nonostante non sia convinto, il dottore alla fine acconsente a riceverla; davanti anche ai genitori di Elena, Rita spiega la medicina (con il nome di “cura compassionevole”, recentemente è entrata nella pratica clinica), avvertendo però che è stata provata solo sugli animali; ma quella è la loro unica speranza e Rita è sicura che funzioni. Per dimostrarlo la prova su di sé, e il dottore, sentito il parere dei genitori, consente di provarla sulla bambina: se ci saranno effetti entro 12 ore non la opereranno. Rita rimane a fianco della bambina per tutte le successive somministrazioni mentre ricorda l’ultimo incontro con il suo professore: era coricato sul letto di un ospedale e le annunciava che sarebbe morto in poche settimane. Quando gli aveva raccontato come procedeva l’esperimento sul sistema nervoso, lui aveva capito subito che lei aveva paura di sbagliare, di scoprire di non aver scoperto niente; ma l’aveva invitata a proseguire e a non fermarsi mai, nemmeno a causa della paura, perché l’uomo è imperfetto ed è lecito sbagliare.

La cura su Elena non ha però alcun effetto; Rita chiede ancora qualche ora al dottore che gliene concede altre otto. Rimane sola con la bambina che per un attimo si sveglia, dicendole che ha sognato che qualcuno diceva che aveva trovato una cura per lei.

Dopo le ore prestabilite viene ricontrollato l’occhio alla bambina; la soluzione sta funzionando, la malattia si sta man mano dissipando. La gioia assale il dottore, gli assistenti, i genitori. Elena viene svegliata dal loro entusiasmo; intanto, Rita si allontana e sorride al sole, dove Franco la raggiunge. Delle lacrime le scendono sulle guance ma finge sia a causa della luce. Chiede subito a Franco della prossima ricerca e alla sua battuta sul non darsi tregua Rita risponde accennando un sorriso serio, che non si deve dare tregua a niente.

Poco tempo dopo, Elena fa un concerto accompagnata solo dal piano, a cui Rita, il dottor Lamberti e Franco assistono sorridendo. Nel mentre, Rita riflette sulla vecchiaia: tutti pensano che sia un evento negativo, eppure avere poco tempo rende ogni cosa più preziosa.

IIl film, diretto da Alberto Negrin, mostra uno spicchio della straordinaria vita di Rita Levi-Montalcini. Ricercatrice donna del

secondo Novecento, viene ritratta negli ultimi anni della sua brillante carriera, dal giorno in cui il suo culmine pare a tutti raggiunto: il ricevimento del premio Nobel per la medicina per la scoperta scientifica del Fattore di Accrescimento Nervoso (NGF). Eppure nella testa della donna il termine “lavoro” è ben lungi dal rimanere addormentato. Nonostante l’età avanzata, non perde un attimo per studiare, sperimentare, capire e il suo cervello sempre attivo è “giovane” e difatti è con i giovani che ama passare il tempo. Elena Sofia Ricci si cimenta in un’interpretazione strepitosa, mostrando la particolare personalità della donna in ogni sguardo, gesto e parola: Rita è delicata ma forte, dolce ma decisa, fiera nel portamento e con uno spiccato senso dell’umorismo. L’attrice riesce appieno nell’intento di scolpire il ricordo della caparbietà di una donna eccezionale, che ha in sé la rara nobiltà di volersi dedicare al prossimo senza ricevere nulla in cambio. Le riprese, condotte in grande parte attraverso primi piani, accompagnano delicatamente questa non facile impresa; la telecamera si sofferma spesso sugli occhi, occhi parlanti, che esprimono la sofferenza e la gioia più di quanto possano fare le parole. La fine ragnatela poetica che caratterizza l’intero film e i suoi personaggi, si espande per tutta la sua durata sulle musiche di Paolo Vivaldi, che valorizzano i momenti di ansia e paura, quelli dove regna il coraggio e quelli della soddisfazione. Il violino di Elena segue la storia e la rende trasportante e avvincente, caricandola di un significato nuovo e segreto che coinvolge lo spettatore fino a renderlo parte dell’impresa impossibile che Rita si carica sulle spalle insieme ai suoi aiutanti. Così la storia si compone di un ritmo tutto suo, nient’affatto lento e noioso come la vecchiaia che la protagonista attraversa potrebbe far pensare.

Colorata dei flashback che ripercorrono la vita di Rita, la storia mostra come la sua sia solo una vecchiaia fisica, non mentale. È proprio la mente la grande forza dell’uomo, che permette di superare qualsiasi ostacolo impossibile la vita ci ponga, come per Elena la perdita della vista; è nel cervello che risiede la capacità di essere, e il film insegna che è grazie ad esso che si può trovare la forza di lottare, e di vincere, anche se il risultato comprende una “fine”. Coraggio che traspare lungo tutta la storia, coraggio fisico ma anche il coraggio morale di credere che l’impossibile resta tale solo se non si tenta di superare le leggi che vincolano l’uomo a rimanere nel suo piccolo, a non spingersi oltre quello che gli dicono che “può”: Rita oltrepassa le regole per continuare la ricerca, non si ferma davanti a ciò che le viene imposto, rimanendo tuttavia composta e rispettosa; ride della burocrazia e degli schemi, spesso inutilmente regolatori, che intralciano ogni più piccolo spazio della società. La cosa più importante è per lei curare le persone; la scienza è la sua passione più grande e attraverso la sua figura si riesce a sbirciare nel suo enorme mondo, fatto di consapevolezza e realismo, che la conducono a meravigliose scoperte, ottenute grazie a straordinaria pazienza e forza di volontà che poi l’uomo comune chiama “miracoli”.

Chi non conosce il mondo della scienza crede che tutto sia possibile e si illude che ogni scoperta porti alla soluzione dei suoi problemi, senza rendersi conto che la scienza è composta di miliardi di pezzettini frammentati, e che ricomporli tutti è molto difficile tanto da parere impossibile. Questo mondo particolare e sconosciuto ai molti, è reso ancora più particolare dal fatto che si evidenzi grazie agli occhi insoliti di una donna; il film si concentra sulla non banalità della figura femminile, sulla scelta di Rita di non sposarsi, incredibile a quel tempo, sulle difficoltà di farsi spazio in un ambiente di soli uomini. Un mondo che però cambia; e verso la “professoressa” portano tutti rispetto e ammirazione, espressi da ogni personaggio del film, i quali insieme creano una cornice calzante intorno alla sua prorompente figura. Ogni personaggio è infatti dotato di grande credibilità, a partire dalla dolce e fine Elena (Elisa Carletti), e al simpatico dottor Lamberti (Ernesto D’Argenio) fino al grande professor Levi (Franco Castellano). Ottima l’interpretazione di Luca Angeletti nei panni di Franco, assistente di Rita e suo caro amico, il quale appare disinvolto e incredibilmente “vero”, così come Carolina Sala che impersona Rita da ragazza, sicura di sé e determinata. Anche la sceneggiatura è tutt’altro che scontata: i dialoghi e i monologhi sono spesso semplici ma sempre interessanti e rimangono impressi in chi ascolta.

Ha ottenuto circa il 22% di sharing, con 5 milioni e mezzo di spettatori; è forse proprio la sua semplicità nella trama e nel finale che colpisce lo spettatore e lo coinvolge. Come dice Rita nel film a volte bisogna partire dagli elementi semplici per giungere a una grande conclusione.

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