Petala aurea

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Petala aurea

La collezione comprende soprattutto brattee auree decorate prevalentemente con motivi geometrici e fitomorfi, talora anche con ritratti e scene figurate: di questo insieme fa parte un consistente nucleo di crocette in lamina d’ambito longobardo e un altrettanto significativo gruppo di sottili laminette di differenti forme e dotate di forellini, probabilmente per essere applicate a qualche supporto. Accanto ad altri monili aurei e argentei, la raccolta comprende alcune placche ornamentali in lega d’argento e rame, che in qualche caso riteniamo fossero applicate a scudi da parata o a testate di sella, in altri casi a cassette e reliquiari. Le materie prime utilizzate sono l’oro e l’argento, le tecniche di lavorazione risultano piuttosto semplici, ma capaci di esiti efficaci. Gli oggetti in mostra possono essere datati prevalentemente tra il vi e vii secolo, mentre più difficile da valutare è la loro provenienza e l’ambito culturale di pertinenza: se alcuni oggetti risultano di sicura matrice protobizantina, altri rimandano al gusto barbarico e in qualche caso è anche possibile ipotizzare che siano stati prodotti in Italia settentrionale; tuttavia, la maggior parte dei manufatti ha caratteri più sfuggenti, privi di una cifra stilistica definita e riflette bene le contaminazioni culturali del periodo. L’arte orafa dei primi secoli del Medioevo vede l’antica tradizione mediterranea confrontarsi e talora coniugarsi con gli apporti originali della cultura barbarica; il naturalismo che domina l’arte ellenisticoromana, ancora vitale nella sensibilità degli artefici romanzi anche se già filtrato e in parte snaturato dagli elementi introdotti nel tardoantico e dalla nuova spiritualità veicolata dalla religione cristiana, dialoga con l’astrattismo e l’essenzialità della visione germanica, proponendo nuove sintesi che proprio nell’Italia longobarda si manifestano in innumerevoli occasioni1. Monza, grazie al Tesoro custodito nel suo Duomo, offre testimonianze straordinarie dei risultati raggiunti dall’oreficeria del periodo e conserva diverse opere relative al suo nucleo più antico, quello costituitosi al tempo della regina Teodolinda in occasione delle fondazione della basilica di San Giovanni e dei successivi donativi effettuati dalla famiglia reale e da papa Gregorio Magno. La croce detta di Adaloaldo, una capsula cruciforme in oro su cui è rappresentata a niello la crocifissione, corrisponde quasi sicuramente al phylacterium con il frammento della vera croce ricordato tra i doni che Gregorio Magno aveva inviato in occasione del battesimo del principe nel 604. I due piatti di legatura in lamina d’oro attraversati da grandi croci e arricchiti di perle, gemme, smalti cloisonné e cammei classici, riportano l’iscrizione che ricorda l’offerta dei pregiati manufatti da parte della regina. La committenza di re Agilulfo era invece segnalata nell’epigrafe che correva intorno alla corona votiva su cui era raffigurato Cristo benedicente attorniato da apostoli e arcangeli; purtroppo la corona è andata perduta a seguito dei saccheggi napoleonici e del prezioso oggetto resta ora solo la croce pensile, rivestita di gemme. 12


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