La collezione come forma d'arte

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zioni che vanno dal giocoso al simbolico, fino addirittura all’anticipazione, per cui nel quadro si trova la versione finita di un dipinto che il pittore nella realtà ha appena abbozzato e non ancora portato a termine. Il gioco dei rispecchiamenti si riflette anche sulle figure del pittore e del collezionista attraverso uno scambio di sguardi dalle rispettive posizioni che sfiora a volte lo scambio di parti: anche il collezionista è artista, come l’artista è collezionista in questa rappresentazione di una collezione. E la collezione è opera a sua volta: quando il collezionista Hermann Raffke muore, lascia disposizioni per essere imbalsamato e conservato in una stanza che ricostruisce la disposizione dello Studiolo e sulla cui parete di fondo figura naturalmente lo Studiolo stesso. Il libro racconta tutta la storia della collezione, la sua formazione, la sua vendita, le monografie che l’accompagnano, una sul collezionista e l’altra sul pittore dello Studiolo. Una storia per la verità non particolarmente appassionante, “normale”, per così dire, senza slanci né dichiarazioni significative, finché, colpo di scena finale e nodo che aggiunge un elemento quasi sempre trascurato, anche l’erede entra in scena non solo nella parte passiva di chi riceve e, come spesso accade, smantella e vende la collezione che non sente sua, ma in maniera attiva e imprevista: i quadri venduti alle aste dopo la morte del collezionista sono in realtà quasi tutti falsi e l’erede ne è l’autore. Collezionista per procura, l’erede assume così anche il ruolo del pittore in seconda battuta, ma il gioco non è finito e si eleva anzi alla seconda potenza: l’operazione infatti è una vendetta concordata tra zio e nipote dopo la scoperta che i quadri della collezione, comprati su indicazione di sedicenti esperti, sono quasi tutti falsi o copie di scarso valore; la vendetta consiste nel realizzare dei falsi di falsi. Naturalmente il nipote erede, Humbert Raffke, non è altri che Heinrich Kürz, il pittore dello Studiolo, e la mise en abîme si chiude. Scrive Pomian: Nel xviii secolo i mercanti cominciano a mettere mano alla penna per dare consigli sulla scelta e la sistemazione di una collezione, scrivere dissertazioni sul commercio delle curiosità e sulle aste, e pubblicare manuali a uso dei collezionisti. Nello stesso periodo è la volta degli storici e dei critici d’arte.15

Ma, mentre sistematizza e ordina, commercializza e normalizza, il secolo galante ed erotico ha in una delle sue figure più rappresentative un vero e proprio tipo, per quanto del tutto speciale, di collezionista, non di opere d’arte o di oggetti particolari, ma appunto di amori. Ci riferiamo a don Giovanni – versione più collezionistica del visconte di Valmont delle Liaisons dangereuses, di Casanova e di De Sade – e naturalmente alla sua interpretazione mozartiana. «Madamina, il catalogo è questo / delle belle 21

La collezione come forma d’arte


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