La collezione come forma d'arte

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Hieronymus Francken (attr.), Cabinet d’amateur, 1621.

to di canoni artistici».7 Non si tratta cioè – in ogni caso per noi – di ricerca della vaghezza o dell’ambiguità come esaltazione della confusione degli ambiti, della rottura dei confini tra le discipline, tra arte e scienza e altro ancora, di contaminazioni e di trasversalità finalizzate all’immaginario o alla fede in una forma unica e pervasiva, originaria e formante, ma piuttosto dell’arte che c’è in ogni disciplina, di nodi che si creano tra gli ambiti, di studio esatto della loro forma, della bellezza e del senso che sconfinano dallo specifico e non si pongono come modello ma come incontro sul percorso e come risultato di una spinta. Un’altra forma speciale di collezione tipica del xvii secolo è il cosiddetto cabinet d’amateur, quadro che ha come soggetto appunto la raccolta del collezionista, ed è quindi la rappresentazione di una collezione. Anche in questo caso, come in quello della collezione stessa, la stragrande maggioranza dei quadri nasce dalla volontà di fare ordine, di catalogare, piuttosto che di esporre liberamente e cercare nessi imprevisti. Prevalgono così le Allegorie, che siano dei sensi, delle virtù e dei vizi, dei generi, perfino dei continenti e quant’altro, o i “quadri mnemotecnici”, organizzazione e disposizione di rimandi come guida per la memoria, secondo l’antica tecnica retorica. Ma non c’è ars memoriae senza ars oblivionis, come giustamente ricorda Victor Stoichita, e non c’è allegoria apologetica senza reazione iconoclasta.8

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Elio Grazioli


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