ARCHITETTURA MEDIEVALE LA PIETRA E LA FIGURA
A. CAdei, F. GAndolFo, P. PivA, H. THies, W. sCHenkluHn, F. ZuliAni
A. CAdei, F. GAndolFo, P. PivA, H. THies, W. sCHenkluHn, F. ZuliAni
A cura di Paolo Piva Campagna fotografica BAMS photo Rodella
LA PERCEZIONE DEL MEDIOEVO Fulvio Zuliani p.6
ARCHITETTURA, SCULTURA MONUMENTALE, VETRATA Harmen H. Thies p.11
ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA DELL’ARCHITETTURA MEDIEVALE Wolfgang Schenkluhn p.65
LA FACCIATA SCOLPITA Francesco Gandolfo p.93
LE CATTEDRALI ALL’ORIGINE DEL GOTICO Antonio Cadei p.151
LO ‘SPAZIO LITURGICO’: ARCHITETTURA, ARREDO, ICONOGRAFIA (SECOLI IV-XII) Paolo Piva p.221 Note e Bibliografia p.265
1. Particolare del bassorilievo a destra del portale di San Zeno a Verona: il lavoro dei progenitori.
Nell’arco del Medioevo, l’interesse per la fac ciata, come possibile spazio decorativo, è feno meno tutto sommato tardo, legato a intenzioni culturali molto determinate e saldamente calate all’interno della linea di cambiamento lungo la quale esse si muovono. Non si ha infatti notizia della presenza di decorazioni sulle facciate degli edifici risalenti al periodo altomedievale e tale mancanza, più che imputata a una perdita di te stimonianze, deve essere accolta come la prova del disinteresse che si ebbe, per lungo tempo, nei confronti dell’esterno, lasciato volutamente spo glio. Per contrasto fu invece enfaticamente ricco l’interno, dove i mosaici e le tarsie marmoree del periodo paleocristiano lasciarono presto il posto a tecniche meno dispendiose, come lo stucco e l’af fresco, ma altrettanto capaci di infondere il senso di una raffinata ed esuberante qualità decorativa che guardava ai modelli antichi, con sempre più convinta attenzione.
Poteva fare eccezione in questo quadro Roma, dove la facciata della basilica di San Pietro fu de corata abbastanza per tempo con mosaici1. Per quanto scarne, le testimonianze in proposito sono capaci di farci capire che, iconograficamente, non si trattava altro che del contemporaneo trasporto, in una parte diversa dell’edificio, della decorazio ne, di tenore apocalittico, con l’Agnus Dei, i sim boli degli evangelisti e i ventiquattro vegliardi che
offrono corone, sperimentata, entro la metà del v secolo, al tempo di Leone Magno e di Galla Placi dia, per l’arco trionfale della basilica di San Paolo fuori le mura. Non vi fu dunque una particolare attenzione rivolta allo specifico della porzione di edificio che si era deciso di decorare e pur inaugu rando, almeno per quanto riguardava la scelta del luogo e dei materiali, un genere che avrà, in segui to, larga fortuna nella Roma medievale, sul piano tematico, in quella occasione, non si creò nulla di specifico e di nuovo, soprattutto nulla che avesse a che fare con la scultura.
L’idea che la facciata potesse essere uno spazio comunicativo di primaria importanza prese corpo, con decisione, nel corso della costruzione della cattedrale di Salerno, tra il 1080 e il 1085. Le due date fissano l’arco cronologico all’interno del qua le si colloca l’attività di finanziatore dell’impresa svolta da Roberto il Guiscardo che fu ricordata, proprio in facciata, disponendo, alla base del tim pano, la iscrizione monumentale che ancora oggi lo attraversa per la intera larghezza2. Il modello erano le iscrizioni dedicatorie dei templi della Ro ma antica, prima fra tutte quella, all’epoca partico larmente ammirata, di Agrippa al Pantheon3. Ma a interessare non è tanto l’aspetto elitario e raffinato della scelta, quanto il fatto che ci si accorga del le possibilità comunicative della facciata solo nel momento in cui si deve glorificare l’intervento di
un committente insolito quale è un avventuriero normanno che è riuscito a conquistare il control lo dell’Italia meridionale, con la forza delle armi e con l’abilità politica4. Si tratta dunque di una committenza a proposito della quale non è fuori luogo dire che era mossa da intenzioni demago giche e populiste, volutamente diversa rispetto a quelle tradizionali, vescovili o principesche, atten te a mantenere viva la raffinata eleganza degli in terni, intesi come spazi privilegiati e mondi chiusi, grazie ai quali avvolgere il potere in una simbolica campana di vetro. Per la prima volta destinatari del messaggio non sono la corte o la curia, nell’at to di agire liturgicamente all’interno dell’edificio, o i fedeli chiamati a riflettere sulle pitture disposte lungo le pareti, ma gli abitanti della città ai quali si vuole fare sapere che la cattedrale è offerta al pa trono, l’evangelista e apostolo Matteo, da Roberto «dux Romani imperii Maximo Triumphator de aerario Peculiari», dunque a sue spese, così come facevano, con i templi, gli imperatori e i principi della Roma antica.
Nella sua eccezionalità, l’episodio è impor tante, perché segnala un dato fondamentale e cioè che la facciata acquista importanza e che il suo ruolo è destinato a mutare solo nel momento in cui, nel corso del Medioevo, si affacciano sui cantieri delle componenti sociali nuove, rispetto alle classi dominanti del periodo feudale. È questa la ragione che spiega come mai il primo effettivo episodio di facciata scolpita sia da cogliere nella cattedrale di Modena e nell’opera che vi realizzò, nei primi anni del xii secolo, lo scultore Wiligel mo, con una novità di intenti di cui gli stessi con temporanei furono coscienti, tanto che intesero celebrarla epigraficamente5. Prescindendo dalle molte sculture disposte, almeno all’apparenza, in maniera erratica e dunque soggette a una forte incertezza di interpretazione, un primo elemento nuovo è rappresentato dal portale, non tanto per il decoro a tralcio abitato, di sapore antichizzante, già utilizzato anche a Salerno e del resto ben no to ai periodi precedenti, quanto per la inserzione dei profeti entro nicchie all’interno degli stipiti6 Si tratta di figure mute, nel senso che non reggo no cartigli con testi allusivi ma si limitano a es sere identificate, grazie al nome scritto sul listello soprastante. In ogni caso hanno un collegamento con le storie iniziali della Genesi che si dispon gono lungo la facciata e di cui suggeriscono, a chi entra, una continuazione nei libri profetici dell’Antico Testamento.
2. Facciata della cattedrale di Salerno.
3. Pianta della cattedrale di Modena.
4. Facciata della cattedrale di Modena.
Le storie della Creazione sono, per forma e col locazione, il grande momento di novità. Di per sé, non si tratta affatto di una scelta insolita, visto che quei temi erano entrati a fare parte delle ragioni decorative delle basiliche romane, già dalla metà del v secolo, e che da lì avevano tratto linfa per stabilirsi come modelli di riferimento iconografico assai visitati7. A livello monumentale tutto questo però si era svolto all’interno degli edifici, utilizzan do, come mezzo di espressione, l’affresco: il pas saggio all’esterno e alla scultura fu invenzione tutta di quel momento. È noto che l’apertura successiva dei portali minori ha alterato la iniziale disposizio ne, in rapporto alla facciata, delle quattro lastre in cui Wiligelmo scolpì la sequenza delle storie, nel senso che costrinse a un sollevamento più in alto delle due laterali, che finirono con l’essere sottrat te all’allineamento con le centrali. L’idea prima era
stata quella del rotulo, svolto lungo la facciata, an che se costretto a interrompersi in corrispondenza delle partizioni architettoniche. Dal punto di vista compositivo, non è detto che questo significhi un effettivo riferimento, come modello di partenza, a un rotulo biblico miniato, la cui esistenza, in quel contesto, è del tutto indimostrabile. Piuttosto van no posti in risalto i legami esistenti tra le sculture e le sacre rappresentazioni contemporanee e questo fa pensare che davvero la teatralità non sia stata estranea a quella scelta perché, per proporzioni e punti di vista, le figure agiscono come se si muo vessero su un palcoscenico8. Da questo può origi nare anche il fatto che non esistano partizioni tra una scena e l’altra, come invece era consuetudine negli analoghi cicli ad affresco, e che i personaggi si muovano in una sequenza temporale continua, come degli attori che recitano.
5. Particolare dei rilievi della facciata della cattedrale di Modena: la creazione di Adamo ed Eva e il peccato.
6. Particolare dei rilievi della facciata della cattedrale di Modena: Adamo ed Eva intenti a lavorare la terra.
Se la teatralità è una delle componenti nuove che entrano a fare parte di questo meccanismo de corativo complesso, tuttavia non si può spiegare solo attraverso di essa quelli che sono i contenuti del racconto, così come è stato articolato lungo la facciata. Chi progettò il percorso decorativo operò una scelta oculata delle scene e del modo di rap presentarle, utilizzando modelli diversi, tanto è ve ro che non è possibile fare riferimento a un unico libro miniato della Genesi, che possa avere svolto la funzione di fonte iconografica9. Le ragioni di tale modo di procedere stanno tutte nel contesto politico all’interno del quale venne presa la deci sione di ricostruire la cattedrale della città. Nel 1082 il vescovo di Modena Eriberto aveva aderi to allo scisma promosso dall’imperatore Enrico iv, con la creazione dell’antipapa Clemente iii, e
aveva trascinato l’intera città in quella avventura. Quella situazione si era protratta nel tempo, fino alla morte del vescovo scismatico, che dovette av venire intorno al 1096, quando finalmente poté entrare in città Benedetto che era stato nominato dal papa, all’atto dello scisma, ma che per anni era stato costretto a risiedere presso la contessa Ma tilde. Poco dopo anche il vescovo legittimo morì e fu a quel punto, in regime di sede vacante, che la cittadinanza e i canonici della curia decisero di procedere alla ricostruzione della cattedrale10
L’atto fu certamente simbolico, con una fina lità precisa: dimostrare ormai chiuso il controver so periodo scismatico e ottenere dal pontefice la possibilità di nominare un vescovo scelto nell’am bito del clero locale. Malgrado l’impegno rispo sto nell’operazione, questo non dovette avvenire,
8. Particolare dei rilievi della facciata della cattedrale di Modena: Noè e i figli escono dall’arca.
perché il vescovo successivo, Dodone, incontrò molte resistenze prima di essere consacrato, segno che era di nomina papale ed estraneo all’ambiente modenese. Come mostra il forzato rapporto tra le lastre con le storie della Creazione e le partizioni della facciata, è a costui che si deve la chiamata di Wiligelmo, a cantiere ormai avviato, e la scelta di una soluzione decorativa fatta per ragioni squi sitamente simboliche. Questo spiega perché le storie furono manipolate, al fine di introdurvi dei riferimenti antiscismatici, percepibili soprattutto nelle scene della quarta lastra, l’Uccisione di Cai no, da parte del cieco Lamech, e la Condanna del figlio Cam, da parte di Noè, due episodi nei quali la letteratura esegetica contemporanea coglieva, simbolicamente, l’infrazione di un divieto e i cui principali protagonisti, Lamech e Cam, adattava a
rappresentare i tipi negativi degli scismatici, men tre, al centro, l’Arca che naviga sulle acque del diluvio rappresenta la Chiesa, capace di superare qualunque avversità11. Tutto questo giungeva al termine di una sequenza che dava grande rilievo alla vicenda della caduta dell’uomo e alla conse guente condanna al lavoro, tanto è vero che la scena dei progenitori intenti a zappare la terra si dispone accosto al portale, sulla sinistra, in una posizione ben visibile da parte di chi entra nell’e dificio.
Il sistema iconografico era stato dunque ge nialmente pensato in relazione a una situazione storica contingente e reso volutamente funziona le a un rapporto di comunicazione con la realtà urbana circostante, fatta di quei cives che a suo tempo avevano assecondato il vescovo scismatico
ma che, nel 1106, ricuciti i rapporti con Dodone, pretendevano di fare la guardia alle reliquie di San Geminiano in numero doppio rispetto ai milites, a esplicita affermazione dell’importanza nuova del loro ruolo, nell’ambito dell’ormai nascente orga nizzazione comunale12. In virtù della sua naturale funzione di filtro, è questo il motivo principale che porta la facciata a diventare un luogo privilegiato di comunicazione, da parte del potere ecclesiasti co, nei confronti delle nuove realtà sociali, soprat tutto degli artigiani, le cui fortune sono legate, in quel momento storico, alla rinascita della econo mia urbana. Questo spiega perché il fenomeno della facciata scolpita nasca e abbia la sua diffusio ne nell’ambiente padano, dove quel rinnovamento sociale si manifestò prima e più intensamente che altrove. Ma questo spiega anche perché, malgrado fosse così profondamente legato, di per sé, alle vi cende locali, per il fatto che si muoveva all’interno del più ampio spazio della Riforma della Chiesa, l’esempio di Modena poté uscire da quell’alveo ristretto e diventare, per tempo, un punto di rife rimento per ulteriori e più concertati programmi decorativi.
Già a Cremona nel 1107, all’atto della fonda
9. Fregio con il ciclo dei mesi posto sulla facciata della cattedrale di Cremona.
10. Facciata della cattedrale di Cremona.
11. Fregio con il ciclo dei mesi posto sulla facciata della cattedrale di Cremona.
12. Vergine con Bambino e santi sulla facciata della cattedrale di Cremona.
zione della nuova cattedrale, si ha netta l’indica zione che alcuni degli spunti presenti nella fac ciata modenese furono presi in considerazione e rielaborati13. A due in particolare fu data in quel momento importanza: le figure dei profeti, colle gate al portale, e le storie della Creazione, realtà plastiche di cui restano solo frammenti, sufficienti tuttavia a stabilire i contesti nuovi nei quali esse erano collocate. I quattro profeti posti attualmen te all’interno degli stipiti del portale maggiore della cattedrale sono certamente in una posizione non originaria, malgrado sia simile a quella della sequenza modenese. Se si pone attenzione ai gesti che compiono e alla posizione dei loro corpi, ap pare ragionevole l’ipotesi che in origine dovessero essere disposti sulla fronte degli stipiti, diretta mente rivolti verso chi entrava e con una collo cazione inversa rispetto all’attuale, nel senso che quelli che si trovano a sinistra, dovevano essere a destra e viceversa.
Una novità è anche data dal fatto che reggono dei lunghi cartigli sui quali compaiono delle epi grafi che, a differenza di quanto accade per i loro predecessori modenesi, li rendono comunicanti. Si tratta di passi biblici ricavati dai rispettivi libri,
visto che i quattro sono identificati attraverso del le iscrizioni. Tre di queste citazioni, quelle relati ve a Isaia, a Daniele e a Geremia, che a sua volta deriva da un testo del discepolo di quest’ultimo Baruc, non sono estrapolate direttamente dalla Bibbia, ma ricavate, in via mediata, attraverso un trattatello, falsamente attribuito a sant’Agostino, il Contra Judaeos, Paganos et Arianos, il quale fa parlare i profeti e mette loro in bocca quei passi che saranno poi ripresi anche in una sacra rap presentazione medievale, l’Ordo Prophetarum14 La quarta iscrizione, quella relativa a Ezechiele, è tratta invece direttamente dal suo libro biblico e recita Vidi portam in domo Domini clausam, sem bra dunque che sia stata scelta volutamente, sulla base di un percorso diverso dalle altre, in virtù del richiamo alla porta alla quale la figura fisica mente si collegava. La porta a cui si fa riferimento nel testo biblico è quella del tempio e il passo è
tratto da un capitolo del testo di Ezechiele in cui si parla dei compiti e delle prerogative del sacer dozio. Nella ipotetica ricostruzione della disposi zione originaria delle sculture, la collocazione di Ezechiele, sulla sinistra, risulta speculare a quella di Isaia sulla destra la cui iscrizione recita: Hecce virgo concipiet et pariet filium et vocabitur nomen eius emanuel, con un riferimento esplicito al mi stero dell’Incarnazione.
Di conseguenza, alla promessa di redenzione contenuta in quel messaggio, si contrappone il ri chiamo al ruolo di mediazione svolto dal sacerdo te, il solo che possa attraversare la porta del tem pio, dopo averla aperta, nel senso di farsi tramite verso Dio, della cui parola è interprete. Al di sopra Geremia recitava Hic est inquit Dominus noster et non estimabitur alius absque illo qui invenit om nem viam scientiae et dedit eam Jacob puero suo et Israel dilecto suo e, di contro ad esso, Daniele di
13. Veduta laterale del protiro della cattedrale di Cremona.
14. I profeti Daniele e Isaia con cartigli sullo stipite sinistro del portale della cattedrale di Cremona.
15. Il profeta Ezechiele sullo stipite destro del portale della cattedrale di Cremona.
16. La cacciata dall’Eden sulla facciata della cattedrale di Cremona.
ceva: Dic sancte Danihel de Christo quod nosti cum venerit inquid sanctus sanctorum cessabit unctio ve stra. In coerenza con quanto era stato impostato al di sotto, le due citazioni individuavano la prima il favore concesso da Dio al popolo ebraico e la seconda il concludersi di quella predilezione, nel momento della venuta di Cristo e del suo mancato riconoscimento. Fissavano dunque, in traslato, le figure simboliche e contrapposte della Sinagoga e della Chiesa che successivamente, nel corso del secolo, avrebbero finito con il concretarsi in im magini dirette, dando vita al tema della Sinagoga sconfitta, personificata dalla donna, dal cui capo viene spinta via, con violenza, una corona, e della Chiesa trionfante, la quale esprime la propria vit toria reggendo uno stendardo15
L’altro partito modenese ripreso a Cremona era dato dalla presenza, anche in questo caso sulla
facciata della cattedrale, delle storie della Creazio ne. Ne rimangono solo due scene, relative al Pec cato originale e alla Cacciata dal Paradiso, ormai erratiche rispetto alla collocazione originaria che doveva essere solo parzialmente simile a quella del modello. Ragioni archeologiche intrinseche ai due frammenti dimostrano infatti che essi non pote vano articolarsi in una sequenza rettilinea, evoca trice della stesura di un rotulo, ma che dovevano disporsi con un andamento a scene sovrapposte, più simile a quello di un dittico monumentale, le cui valve si dovevano collocare ai lati del portale16. Si trattava di un cambiamento non da poco perché contribuiva a una occupazione in verticale della parete da parte delle sculture, nella zona centrale della facciata. Non è ovviamente possibile verifi care se a quella diversa disposizione della ragio ne narrativa, esemplificata attraverso le sculture,
corrispondesse un programma decorativo dell’in sieme della facciata, più complesso e argomentato di quello che è possibile recuperare attraverso gli scarsi resti odierni, tutti incentrati sul tema della caduta dell’uomo. Le suggestioni monumentali in site in essi avrebbero comunque sviluppato assai per tempo tutta la loro potenzialità organizzativa. Per arrivare a questo si dovette passare attraver so la valorizzazione, in chiave nuova, di una com ponente architettonica della facciata che aveva fatto anch’essa la sua comparsa a Modena, il protiro17. In quel caso iniziale, l’idea di collocare una volta a bot te, addossata alla facciata, a fare da corona al por
tale centrale, e di sovrapporvi un secondo piano, sempre retto da colonne, era venuta all’architetto Lanfranco per ovviare a un errore di impostazione che era venuto alla luce nel momento della chiusura dei due tronconi del loggiato che scavalca il portale. L’ala destra del loggiato è leggermente più alta di quella sinistra, segno che la costruzione delle due parti era stata portata avanti in maniera indipen dente: l’inconveniente rendeva necessario inserire un elemento estraneo a fare da raccordo ed esso, genialmente, fu trovato nel protiro a due piani. La scelta tuttavia dovette essere estemporanea e non fu possibile incanalarla nel contesto del più generale
17. Protiro e portale centrale della cattedrale di Piacenza.
18. Facciata della cattedrale di Piacenza.
19. Arcata inferiore del protiro centrale della cattedrale di Piacenza con la rappresentazione della Luna e del Sole, divise dalla mano di Dio. É questa la rappresentazione simbolica del mondo celeste.
20-21. Il mondo terreno, sottostante a quello divino. Le formelle con i segni zodiacali completano la rappresentazione cosmologica dell’arcata del protiro del portale centrale della cattedrale di Piacenza.
programma decorativo della facciata, per cui rima se del tutto priva di materiale plastico che non fosse semplicemente decorativo.
Fu a partire dal 1122, nell’ambito della bottega di formazione wiligelmica, attiva in quel momen to al cantiere della cattedrale di Piacenza, che si trovò il modo di dare una valenza simbolica anche alla presenza del protiro al centro della facciata. Per quanto l’insieme sia stato abbondantemente ricomposto con elementi falsi, nell’arcata inferiore del protiro centrale, lungo il bordo, è conservata una sequenza decorativa antica creata dalla suc cessione, in sei formelle per parte, dei segni dello zodiaco, intervallati dalle personificazioni di due venti, Eurus a sinistra e Auster a destra, visti co me figure pennute che soffiano in una tromba, e seguite dalle rappresentazioni di due stelle, busti femminili emananti raggi, chiusi entro clipei retti da angeli. Al centro, le rappresentazioni della Lu na a sinistra e del Sole a destra, entrambe perso
nificate, sono divise, al culmine della curva, dalla mano di Dio benedicente, l’elemento che più di ogni altro chiarisce come si fosse inteso utilizzare il semicerchio, disegnato dal profilo della volta a botte del protiro, per una rappresentazione co smologica che individuasse un confine simbolico tra il mondo terreno sottostante e quello celeste sovrastante18
Nell’ambito della bottega di Niccolò, che in quegli anni fu presente in prima persona sul cantie re piacentino, tutte quelle esperienze pregresse fi nirono con l’essere ulteriormente elaborate in vista della realizzazione di un programma globale che coinvolgesse l’intera facciata19. Il primo passaggio fu intorno al 1135, nella cattedrale di Ferrara, dove lo scultore introdusse un elemento, fino a quel mo mento estraneo all’ambiente padano, come la lu netta figurata del portale, dedicata, nello specifico, alla esaltazione del santo titolare dell’edificio, san Giorgio. Approfittò poi delle strombature del por
23-24. Particolare del protiro della cattedrale di Ferrara. Al culmine del protiro l’Agnus Dei con al lato sinistro san Giovanni Evangelista e a destra san Giovanni Battista. Lo stesso motivo era già presente nel protiro di sinistra della cattedrale di Piacenza (24).
22. Esterno della cattedrale di Ferrara.
25. Particolare del protiro della cattedrale di Ferrara: sullo sfondo un profeta con cartiglio.
tale per disporvi, come se fossero collocate entro nicchie, le figure degli stessi quattro profeti pre senti a Cremona, di cui riprese anche il contenuto dei cartigli, a conferma della volontà della citazio ne20. Di nuovo vi aggiunse la figure dell’arcangelo Gabriele e della Vergine, a comporre la scena della Annunciazione, approfittando del rispondersi del le due immagini da una strombatura all’altra. La loro presenza era funzionale a raccordare il pre annuncio biblico della venuta di Cristo, contenu to nei cartigli retti dai profeti, con l’architrave del portale, in cui, riprendendo una soluzione gia feli cemente sperimentata a Piacenza, poteva disporre, al di sotto di una sequenza di arcatelle, le storie dell’Infanzia di Cristo, partendo dalla Visitazio ne, fino al Battesimo, soluzione che gli consenti va di recuperare, come legata al contesto, la scena dell’Annunciazione, inserita nella strombatura del portale, e di farne l’elemento emblematico, di ma
nifestazione e di conferma dell’Incarnazione, pro messa dai cartigli profetici.
Anche per la decorazione della fronte dell’ar cata, la scelta cadde su una iconografia già col laudata. Nel protiro di sinistra della cattedrale di Piacenza, sicuramente poco dopo la fondazione del 1122, era stata realizzata per un pennacchio la figura di un san Giovanni Evangelista al qua le, molto più tardi, si accompagnò sulla destra un san Giovanni Battista, mentre al culmine, per se pararli, si provvide a inserire un Agnus Dei21. Nel fare questo si riprese una soluzione che, ad affre sco, era già stata realizzata a Roma fin dal ix seco lo, nel cosiddetto titolo di Equizio, in San Marti no ai Monti e in un oratorio annesso alla chiesa di Santa Susanna22. Dato che è del tutto inverosimile che gli scultori padani citassero quella soluzione direttamente da edifici tutto sommato marginali nel panorama monumentale romano, non è illo gico pensare che essa fosse presente sull’arcata trionfale di qualcuna delle basiliche maggiori, for se quella lateranense, e che da lì venisse ripresa. Nel caso della cattedrale di Ferrara la citazione romana aveva un senso preciso, in relazione a fatti del tutto contingenti. La sua rifondazione all’interno delle mura si poneva nel quadro di
una vicenda che tendeva a sottrarre la diocesi al controllo da parte del metropolita ravennate, per portarla sotto la diretta dipendenza della Santa Sede23. Ciò malgrado quella figurazione rimase canonica anche nelle successive facciate realizzate dalla bottega di Niccolò, segno che essa si poteva prestare a una interpretazione dal tono più ampio e articolato. Da questo punto di vista il caso più vistoso è quello della facciata di San Zeno a Vero na dove molti degli elementi comparsi in prece denza, in ordine sparso, vengono riargomentati in una composizione complessa. L’elemento primo e più appariscente è ovviamente la disposizione a dittico delle storie bibliche, dalla Creazione al Lavoro dei Progenitori, sulla destra del portale e di quelle evangeliche, dall’Annunciazione alla Crocifissione, sulla sinistra, a conferma della so luzione che si è ipotizzato potesse essere già stata proposta a Cremona.
Il tema delle storie del Vecchio e del Nuovo Testamento, reciprocamente contrapposte, riman da ancora una volta al tradizionale programma decorativo delle basiliche paleocristiane romane, prima fra tutte quella di San Pietro. Già in passa to esso era stato ampiamente ripreso e adattato, in campo pittorico, in disparate occasioni. Se si rac
26. Lunetta del portale di San Zeno a Verona.
27. Facciata di San Zeno a Verona.
Nelle doppie pagine seguenti: 28-29. Dittico della facciata di San Zeno a Verona. A sinistra le storie evangeliche dall’Annunciazione alla Crocifissione; a destra le storie bibliche, dalla creazione al lavoro dei progenitori.
30. Particolare del dittico di sinistra con la creazione di Eva e il Peccato Originale.
cordano quelle due valve alla fronte del protiro, con i due san Giovanni separati dall’Agnus Dei, viene spontaneo pensare alla trasposizione in scul tura e all’appiattimento sulla facciata della decora zione pittorica di un interno, in cui la lunetta del portale finisce con lo svolgere il ruolo di catino ab sidale. Ma è proprio partendo dalla scena presente in quest’ultima che si arriva a capire come quella decorazione fosse chiamata a svolgere compiti che si giustificavano nello stretto di una realtà locale e che prescindevano dalla maniera con la quale le stesse citazioni romane potevano essere state uti lizzate altrove. La lunetta è dominata al centro dal la figura monumentale del santo titolare, Zeno, le cui gesta miracolose sono narrate all’interno delle arcatelle che corrono lungo l’architrave24. Ripren dendo un motivo già colto a Modena, al momento
della traslazione delle reliquie di san Geminiano, e che doveva essere ormai entrato in maniera stabile nelle ragioni organizzative della cerimonialità lai ca, anche in questo caso ai lati del santo sono rap presentati, sulla sinistra, i cives, in numero doppio rispetto ai milites, armati di tutto punto e montati a cavallo, mentre entrambi i gruppi sono intenti a marciare nella annuale parata, organizzata per rendere omaggio al santo fondatore della diocesi, nel giorno della sua ricorrenza. Il comune come veicolo del potere delle nuove classi, create dall’e conomia urbana, è il collante che tiene insieme la decorazione e che giustifica la sua struttura orga nizzativa, volutamente simile a quella dell’interno di una chiesa, proprio perché deve sottolineare la meta finale di quella processione, identificando il ritratto del santo con le sue reliquie.
31. Facciata della cattedrale di Verona.
32. Protiro della cattedrale di Verona.
33. Profeti con cartigli nel portale della cattedrale di Verona.
Quasi contemporaneamente, la struttura gene rale impostata a San Zeno venne ripresa e ulterior mente elaborata, sempre dalla bottega di Niccolò, nella facciata della cattedrale della stessa Verona. Un primo dato significativo è il raddoppiarsi da quattro a dieci del numero dei profeti dislocati all’interno delle membrature del portale25. In os sequio alla tradizione si tratta sempre di profeti parlanti attraverso i cartigli che reggono con la mano sinistra. Tre, Geremia, Isaia e Daniele, sono presenti anche a Ferrara, con le stesse frasi ricava te dal Contra Judaeos Paganos et Arianos, mentre Ezechiele è stato sostituito da Abacuc, anche se il versetto disposto sul cartiglio è stato scelto sempre sulla base delle indicazioni fornite da quel tratta tello. L’allusione che è venuta a cadere è quella alla porta chiusa del tempio che solo il sacerdote può osare di aprire, la quale ha lasciato il posto al la indicazione di un annuncio divino che meglio si giustifica in relazione alle scene dell’Annuncio ai pastori e dell’Adorazione dei Magi, rappresentate nella lunetta del portale.
Con la sola eccezione di Davide, che si rifà al primo versetto del Salmo 131, una invocazione al Signore perché si ricordi di lui, anche i contenuti dei cartigli retti dai profeti che, rispetto a San Ze no, compaiono qui per la prima volta, sono tutti indirizzati a sottolineare e confermare il mistero della nascita di Cristo. In sequenza con i profeti, agli attacchi esterni delle due strombature del por tale sono disposte le immagini dei paladini Orlan do e Ulivieri, un tributo alla cultura dell’ambiente comunale, simile a quello che a San Zeno porta a collocare, in sequenza alle storie testamentarie, duelli cavallereschi e l’episodio della caccia di Te odorico, che prelude alla sua fine leggendaria, pre cipitato nelle fiamme dell’Etna26. Si tratta tuttavia di fatti marginali, rispetto a quello che è l’impianto portante della costruzione simbolica, nel rapporto tra scultura e architettura. Molto più significativo è che Niccolò disponga una mano divina benedi cente al culmine interno della botte del protiro e i simboli dei quattro evangelisti alla base, in cor rispondenza dei due architravi che la reggono, perché in questo modo recupera con chiarezza al la forma architettonica quel valore di confine tra mondo terreno e mondo celeste che le era stato già assegnato a Piacenza.
Una analoga intenzione era già stata espres sa nella sistemazione della facciata del San Zeno, laddove la funzione del ciclo dei mesi, distribuito sulle fronti dei due architravi, retti a loro volta da
due telamoni, simboli anch’essi della terra e del tempo, era stata proprio quella di fissare il passag gio dall’assoluto del divino al relativo dell’umano. Non per niente i due architravi coincidono, per posizione e livello, con il Lavoro dei progenitori, a conclusione delle storie della Creazione, e con la Crocifissione, a conclusione del processo di reden zione, esemplificato dalle storie del Nuovo Testa mento, disposte lateralmente, sulla facciata, ossia i due momenti determinanti per la caduta dell’uomo nel tempo e per il suo possibile ritorno all’eterni tà. Nella facciata la funzione simbolica recitata, in termini fisici, dalla struttura architettonica del pro tiro è indicata senza equivoci nel momento in cui, alla comparsa di Dio, la cui mano esce dalla volta, come se uscisse dalle nuvole, secondo quella che è una delle più collaudate e consuete ragioni ico nografiche del suo rivelarsi, corrisponde in basso la divulgazione della sua parola in terra, attraverso i testi evangelici. Allo stesso modo, nella lunetta, l’Annuncio ai pastori e l’Adorazione dei Magi sono conferme della Incarnazione, promessa dal prean nuncio profetico, nelle strombature del portale, i cui frutti, in vista della Redenzione, potranno esse re colti attraverso il messaggio evangelico.
Nella cattedrale veronese, il poter constatare che la volta a botte del protiro svolge un ruolo simbolico preciso, di rappresentazione del confine tra mondo terreno e mondo celeste, è importante perché si tratta del primo caso in cui, con sicurez za, si può affermare che il piano superiore della struttura è coevo a quello inferiore e che dunque la tipologia del protiro a due piani rientra in pieno nel progetto di elaborazione plastica della facciata iniziato con la cattedrale di Modena. Malgrado il vuoto che oggi lo caratterizza, è abbastanza ovvio pensare che quel vano fosse destinato a una rap presentazione teofanica e paradisiaca, attraverso statue, collocate al suo interno, le quali dovevano concludere il percorso simbolico, con una sorta di teatro sacro, in linea con quelle che erano state le premesse dell’operazione, fin dal momento wili gelmico.
In ambito padano, nel corso della prima metà del xii secolo, venne elaborato un sistema decora tivo della facciata di grande semplicità e coerenza, capace di fare agire la scultura in stretta relazio ne con specifiche forme dell’architettura. La sua efficacia fece sì che, anche successivamente, esso restasse, a livello locale, un frequentato punto di riferimento, come mostra bene la facciata della cattedrale di Cremona in cui, a una fase duecente
34. Particolare della facciata, vista da sud, e dei mosaici sullo stipite della chiesa di San Pietro a Spoleto.
sca, che colloca il ciclo dei mesi a conclusione del primo piano del protiro, a ribadirne la funzione di limite simbolico tra l’umano e il divino, corrispon de, ai primi del Trecento, il completamento del se condo piano «paradisiaco» con le statue, realizzate da Marco Romano, della Vergine con il Bambino e dei santi locali, Imerio e Omobono27. Ma le sug gestioni del modello padano arrivarono lontano,
mostrando, in ogni occasione, una straordinaria duttilità e una versatile capacità di adattamento, anche sotto il profilo tematico e organizzativo. Già da tempo è stata formulata l’ipotesi che sia nata proprio sulla base di una suggestione wiligelmi ca la sequenza dei pannelli scolpiti che si dispone sulla facciata della cattedrale inglese di Lincoln, approfittando, per la sua collocazione, delle par tizioni indotte dall’architettura. In realtà, è forse più ragionevole pensare a soluzioni simili, trova te indipendentemente, visto che l’unico fattore di rapporto è rappresentato dall’idea di utilizzare la soluzione del rotulo come contenitore per la suc cessione dei rilievi, mentre stilisticamente e icono graficamente i contatti sono del tutto inesistenti, malgrado che, anche in questo caso, ci si muova lungo un percorso vetero e neotestamentario28 È invece a un protiro padano che si può para gonare il timpano che abbraccia il portale della ab bazia molisana di Santa Maria della Strada presso Matrice, così come le sue due lunette laterali, chiu se all’interno di arcate cieche, sembrano mimare dei portali minori, atrofizzando il dispositivo che, nel concreto, caratterizza, ad esempio, la cattedrale di Ferrara che, non a caso, in piena coerenza te matica con quanto vi era stato realizzato nel secolo precedente, verso la metà del Duecento, riceverà un analogo completamento plastico con la colloca zione di un francesizzante Giudizio Finale sul tim pano del secondo piano del protiro29. Ritenuta per tanto tempo un caso esemplare di monumento in debito nei confronti delle tematiche della cultura del pellegrinaggio, la facciata di Santa Maria della Strada sviluppa semmai un impianto moralistico e didascalico in cui alla rappresentazione della Mor te di Assalonne, sulla sinistra, si contrappone, a destra, una scena di caccia, mentre al centro si im pianta con efficacia il tema apocalittico della vitto ria di Cristo che precede la resurrezione dei morti e il primo giudizio, quello delle anime dei beati30. Ma non è tanto questo l’aspetto da sottolineare, quanto il fatto che i campi destinati alla stesura del decoro plastico vennero individuati sulla base di una logica che lascia riconoscere la presenza di modelli padani. I due pennacchi ai lati dell’arcata del portale evocano lo spazio plastico che nei pro tiri di Niccolò è destinato alle figure dei due san Giovanni, mentre nella cuspide il Cristo apocalit tico si colloca nella zona teofanica corrispondente al secondo piano e non per niente la dimensione terrena sottostante è tutta improntata a una descri zione pessimistica del destino umano.
Ancora più radicato nel mondo padano è il caso della abbazia di San Giovanni in Venere a Fossacesia, dove fu proprio a uno scultore educa tosi nell’ambiente veronese di Niccolò che, dopo il 1165, venne assegnato il compito di disporre sulla facciata, ai lati del portale, come nel San Zeno, due grandi valve scolpite con le storie, in questo caso, del santo titolare, il Battista, segno che il sistema poteva essere adattato sulla base delle ragioni con tingenti31. Si spiega così la sua ricomparsa ai primi del Duecento nel San Pietro di Spoleto, a testimo nianza di come fosse quello del grande dittico ai lati del portale l’aspetto di maggiore impatto, tra le diverse soluzioni elaborate. Anche nel caso spo letino il rimando al modello padano vale esclusi vamente per l’idea della progressione in salita dei riquadri, visto che i contenuti iconografici sono destinati a rappresentare temi moralistici di sapore esopico o scene edificanti relative al santo titola re32. Una eco trecentesca di questa presenza può essere ancora vista nel sistema decorativo della cat tedrale di Orvieto, dove il criterio narrativo, che si espande dalla Creazione al Giudizio Finale, adatta i rilievi al sistema di partizione bassa della architet tura della facciata, come era avvenuto, due secoli prima, a Modena, con le lastre wiligelmiche33
Del resto proprio in Umbria, agli inizi del Due cento, si era diffuso una tipo di facciata in cui la sobria presenza degli elementi plastici sembrava cercare, sulla base di un percorso diverso, inten ti simbolici analoghi a quelli sperimentati, molti anni prima, nell’ambiente nicolesco. Gli elementi essenziali del sistema erano costituiti dai simboli degli evangelisti, collocati ai quattro angoli dell’i deale quadrato in cui si inscriveva un rosone, fit tamente decorato, disposto al centro della faccia ta e retto da telamoni. I monumenti ai quali fare riferimento, per la presenza di questa soluzione, la cui ripetitività la trasforma presto in collaudato sistema, sono la pieve di Santa Maria Assunta di Ponte a Cerreto di Spoleto, nel 1201, la Cattedra le di Santa Maria Assunta a Spoleto, nel 1207, e la cattedrale di San Rufino ad Assisi, nel 121034 Se si riflette sul valore dato al telamone in ambito nicolesco, come terra che regge la volta celeste, e lo si ribalta nella situazione umbra, si può cogliere nel rosone un fattore simbolico complesso, che va bene al di là del semplice fatto ornamentale.
L’immagine che viene per prima alla mente è quella di Atlante che regge la volta celeste. Ma a mitigare l’interpretazione interviene la considera zione che, tranne che nel caso di Cerreto di Spole
to, dove il telamone è uno solo e per di più voltato di schiena (ma si può anche dubitare che si tratti di quello originale), a Spoleto come ad Assisi, essi sono più di uno, hanno dunque una valenza ge nerica che ne conferma il ruolo di simboli della terra, in analogia con quanto accade a proposito dei telamoni nicoleschi. Ripetuta anche là dove mancano i telamoni sottostanti, la presenza dei simboli degli evangelisti accanto al rosone è una costante delle facciate umbre tra xii e xiii secolo e deve avere un valore non occasionale. L’unica possibilità per coglierlo è di pensare che la dia fania del rosone abbia una valenza teofanica. La cosa del resto sembra essere confermata dal fatto che a una data precoce, il 1141, immune tra l’altro da possibili sospetti di modelli francesi, la facciata della pieve di San Gregorio a Castel Ritaldi pre sentasse al suo mezzo un rosone al cui interno era iscritta una figuretta di Agnus Dei, un simbolo cristologico per eccellenza35. Il programma deco rativo della facciata si struttura dunque secondo lo stesso percorso logico individuato da Niccolò nella cattedrale di Verona, con i simboli degli evangelisti che, collocandosi al confine tra realtà terrena e mondo celeste, stanno a rappresentare il diffondersi della parola di Dio, interpretato, nella sua sovrannaturalità, non, come in quei casi, da una statua, fisicamente presente nel secondo piano del protiro, ma attraverso lo splendore e la luminosità del rosone.
L’ipotesi di una stratificazione in verticale, pie namente immedesimata in quelle che sono le for me architettoniche e chiamata, anzi, a dare loro una valenza simbolica, non è l’unica possibilità in base alla quale si può pensare che sia stato impo stato, nel corso del xii secolo, il programma deco rativo di una facciata. Esiste infatti, in parallelo, la tendenza a una costruzione in orizzontale che può essere vista come un percorso antitetico, nel rap porto tra la decorazione plastica e la facciata, teso a recuperare al massimo la portata didattica e nar rativa, a scapito di quella simbolica. Per quanto manomesso il caso più significativo è quello della cattedrale di Santiago de Compostela dove, negli stessi anni in cui, ad opera di Wiligelmo, si dava il via a quello che sarebbe stato il percorso creativo della facciata padana, scultori altrettanto significa tivi trovarono soluzioni diverse. Dal punto di vi sta della struttura monumentale, il loro punto di partenza fu la Porte des Comtes del Saint Sernin di Toulouse, ossia un sistema di apertura, forma to da due semplici arcate, accostate l’una all’altra,
35. Il rosone della cattedrale di Spoleto.
realizzato intorno al 108036. Nel caso del portale tolosano, lo spazio al di sopra delle arcate era sta to utilizzato per disporre, nel pennacchio centra le, una figura del santo titolare, all’interno di una nicchia, affiancata da due leoni, a ricordo del suo martirio, e in quelli laterali altre due figure analo ghe. Si trattava comunque di una soluzione priva di valenza narrativa, tenuto conto del fatto che le due porte erano state progettate prive di lunetta.
È a Santiago, poco dopo il 1110, che l’idea venne arricchita narrativamente, non solo com pletando i due portali con delle lunette figurate, ma riempiendo lo spazio ad esse soprastante con una ricca decorazione plastica, che trasformò l’in
sieme in una vera e propria facciata scolpita. Per ragioni legate ai tempi di sviluppo del cantiere edilizio, il sistema fu inizialmente applicato ai due bracci del transetto, dove agirono gli stessi scul tori. La decorazione plastica della fronte di quel lo settentrionale è andata perduta, tuttavia grazie alla «Guida del pellegrino» è possibile ricompor ne i contenuti, oltre che le forme37. I due ingressi erano affiancati da tre colonne per parte, per un totale di dodici, alternativamente di marmo e di pietra, dunque avevano un andamento strombato. Nel pennacchio al di sopra del pilastro divisorio tra le due aperture, segnato anch’esso dall’addos sarsi di una colonna, era collocato il Cristo in ma
36. La Porta degli Orefici a Santiago de Compostela.
37. Cristo in maestà benedicente e, alla sua destra, san Giacomo tra due alberi in germoglio. Particolare della Porta degli Orefici, Santiago de Compostela.
està, benedicente e con un libro nella sinistra, che oggi è murato sul contrafforte occidentale della Porta degli Orefici: intorno a lui si disponevano i simboli degli evangelisti, di cui sopravvive, nel lo stesso luogo, l’angelo di Matteo38. A destra la Guida ricorda la presenza del Rimprovero dei progenitori e a sinistra la Cacciata dal Paradiso: dai rilievi superstiti, trasferiti sulla fronte meridio nale, si ricava la presenza anche di una Creazio ne di Adamo, dunque si può concludere che lo spazio al di sopra delle arcate dei due portali era occupato da una sequenza plastica che, in termini non dissimili da quelli della cattedrale di Modena, illustrava le Storie della Creazione, con la sola ec cezione della rivelazione teofanica al mezzo. Nel la lunetta del portale di sinistra viene indicata la presenza della scena dell’Annunciazione, insieme con un ciclo dei mesi che, come a Piacenza, sem brerebbe disposto in corrispondenza dell’arcata, mentre sugli stipiti viene ricordata la esistenza di figure di apostoli che, come collocazione, ricorda no i profeti cremonesi. Come si può notare la vera differenza non è data tanto dai contenuti narrativi, quanto dal sollevarsi dell’apparato narrativo al di sopra dei portali, a fare corpo unico con essi e con la facciata, la quale non impone più le sue leggi architettoniche alla partizione delle sculture, che possono dilagare liberamente su di essa.
Lo stesso sistema venne applicato anche al braccio meridionale, dove ancora sopravvive nel la cosiddetta Porta degli Orefici, sia pure con in serti derivanti dalla distruzione degli altri portali medievali della cattedrale39. Da un punto di vista generale la sistemazione dei due portali è analoga a quella della fronte settentrionale: nella lunetta di destra, vi sono le scene della Cattura, della Flagel lazione e del Giudizio di Pilato e al di sopra com pare l’Adorazione dei Magi, mentre a sinistra il te ma dominante è quello delle Tentazioni di Cristo. Ancora più in alto, malgrado le manomissioni e le aggiunte spurie, la descrizione antica permette di rintracciare quella che ne doveva essere la ragione decorativa di fondo, nel momento in cui ricorda la presenza di Cristo al centro, affiancato alla sua sinistra da san Pietro e, a destra, da san Giacomo tra due alberi, seguito da suo fratello, san Gio vanni, e poi via via, equamente distribuiti dalle due parti, tutti gli altri apostoli40. Nei pennacchi, immediatamente al di sopra delle due arcate dei portali, la Guida colloca degli angeli che suona no delle trombe, una presenza, verificabile anco ra oggi, che va vista come un annuncio del giorno
del Giudizio, un tema iconografico al quale è da riferire anche lo schieramento apostolico imme diatamente soprastante. L’insieme delle due fronti del transetto rispondeva dunque a un programma decorativo pensato unitariamente che si muoveva dalla Creazione fino al Giudizio Finale, illustran do, come tappe intermedie, la caduta dell’uomo e la sua redenzione attraverso la venuta di Cristo41
Anche il portale occidentale era a due fornici e la Guida sottolinea che era ancora più grande e decorato degli altri42. In esso il tema dominante era fornito da una monumentale rappresentazione della Trasfigurazione che è da supporre che fos se disposta nella parete al di sopra delle arcate43 Vi compariva al centro il Cristo, sormontato dal Padre e affiancato da Mosé ed Elia. La figura di Mosé si è conservata perché, dopo la distruzione del portale, è stata trasferita nella Porta degli Ore fici. Si tratta di un busto, con il capo caratterizzato da corna che simbolizzano la luce che risplendeva su di lui dopo la discesa dal Sinai. Si affaccia da una corona di nuvole e questo particolare rende credibile la descrizione che viene data della figu ra di Cristo come collocata in nube candida, facie splendens ut sol, veste refulgens ut nix, ossia con degli effetti pittoreschi ottenuti attraverso la scul tura. Un altro protagonista che sopravvive è san Giacomo il quale, secondo i Vangeli, ma anche se condo la Guida, assistette al prodigio con Pietro e Giovanni. Anche il suo ritratto è finito murato nella Porta degli Orefici dove è affiancato da due alberi con i rami potati, dai quali escono linfa e germogli, un modo simbolico per sottolinearne il ruolo vitalizzante, in senso spirituale. L’aspetto si gnificativo è che san Giacomo si presenta a figura eretta e con un libro nelle mani su cui, in coerenza con quella dimensione iconografica, è scritto pax vobis: ma la soluzione contrasta con la posizione usuale del santo, nella scena della Trasfigurazio ne, prono in avanti, perché abbagliato dalla luce divina.
Nel caso specifico la variante è utile per capire che l’insieme della decorazione plastica si doveva sviluppare in altezza molto più di quanto avviene nella Porta degli Orefici, tenuto conto che i tre santi che assistevano alla visione usualmente veni vano collocati più in basso, rispetto al Cristo tra sfigurato. Della scena sopravvive anche un altro protagonista, in questo caso iconograficamente insolito, un Abramo a mezzo busto, nell’atto di uscire dal sepolcro con le mani sollevate in un ge sto di stupore che si giustifica sulla base del ver
38. Veduta d’insieme del portale della chiesa di Santa Maria a Ripoll.
Alle pagine seguenti: 39. Il portale della chiesa di Santa Maria a Ripoll con il Cristo in trono.
40. Parte destra del portale della chiesa di Santa Maria a Ripoll con la rappresentazione della battaglia di Refidim tra Giosué e gli Amaleciti.
piva un ulteriore passo in avanti, nel senso che la decorazione plastica vi si avventurava in una ricca concertazione teofanica, carica di valenze evocati ve, persino dal punto di vista materico, articolata su più livelli e non più paratatticamente allinea ta su uno solo, come accadeva nelle due facciate del transetto. Ciò che non è possibile stabilire è se quel sistema compositivo si argomentasse con le due fronti del transetto, in un unico percorso programmatico, tanto più che non dovette essere portato a compimento, visto che nel 1188 il suo posto fu preso dal Portico de la Gloria di Maestro Mateo il quale mutò radicalmente il sistema or ganizzativo della facciata, privandola di ogni rap porto immediato con la scultura44
Ciò malgrado la cattedrale di Santiago di Com postela fu un momento di passaggio determinante nel fissare alcune possibilità di utilizzo della scul tura, in rapporto allo sviluppo della facciata. Una prima idea di successo fu quella di disporre una decorazione figurata al di sopra della arcata del portale. Da questa base di partenza potevano sca turire diverse applicazioni. La più ovvia fu quella di fondere l’ornato del portale con quello della parete circostante e di organizzarli in un solo coordinato programma decorativo, cosa che fu attuata nella abbazia di Santa Maria a Ripoll45. Che in questo caso vi sia stata una regia, nella scelta degli episodi, e che la loro funzione non sia stata solo narrativa, ma anche simbolica, lo indica la differenza di peso dimensionale che è stata loro attribuita. Sulla de stra, la rappresentazione della Battaglia di Refidim, lo scontro che contrappone Giosué agli Amaleciti, con Aronne e Ur che tengono sollevate le braccia di Mosé, in ossequio alla promessa divina di vit toria, fintanto che egli potrà conservare quella po sizione orante, occupa per intero lo spazio che le è consentito dalla situazione architettonica, men tre al di sopra, gli altri episodi, relativi ai miracoli compiuti dallo stesso personaggio, pur mantenen do una organizzazione del tessuto plastico a fascia continua, si frazionano in una serie di scene, poste in successione l’una all’altra.
41. Facciata della cattedrale di Angoulême.
42. Cristo in mandorla, circondato dai simboli degli evangelisti particolare della facciata della cattedrale di Angoulême.
setto di Giovanni 8,56 «Abramo, vostro padre, esultò nel vedere il mio giorno: lo vide e si ral legrò», rapportato alla rivelazione della divinità di Cristo, espressa dalla Trasfigurazione. Non è possibile dire se, in ossequio all’idea rappresen tata, fosse collocato ancora più in basso, in ogni caso la sua presenza contribuisce anch’essa a con fermare che, progettata negli anni tra il 1116 e il 1122, la fronte occidentale della cattedrale com
Il criterio ha un precedente antico nella deco razione musiva della basilica romana di Santa Ma ria Maggiore, proprio in relazione a quello stesso episodio, così come ad altri, ai quali si voleva dare particolare risalto. Tanto che c’è da chiedersi se davvero la decorazione plastica si disponga, per fasce sovrapposte, ai lati e sopra l’arcata del por tale, a ricordo delle soluzioni presenti, in quello stesso senso, negli archi trionfali romani o non si
rifaccia, invece, a quello che era stato l’andamen to imposto ai mosaici sull’arcata absidale di quella basilica paleocristiana romana. Una valenza roma na del resto sembra essere confermata anche dalla presenza delle storie di San Pietro e di San Paolo, in una delle arcate del portale, collocate in modo tale da iniziare e concludersi in corrispondenza delle figure dei due santi, disposte a tutto tondo nella strombatura. Il problema semmai è quello del valore da dare a questi possibili richiami, visto che una chiave di lettura romana è stata proposta an che per la facciata della cattedrale di Angoulême, la cui costruzione fu avviata tra il 1110 e il 111546
In questo caso il sistema organizzativo è ori ginale e complesso, nel senso che davvero la fac ciata, nella sua intierezza, entra in rapporto con la scultura. Da un punto di vista architettonico, il motivo conduttore è fornito da un sistema di gran di arcate cieche, chiamate a svolgere la funzione di contenitori di una decorazione che si distribuisce su livelli progressivi. Come nel caso di Ripoll, il
concetto dominante è quello della rivelazione apo calittica della gloria di Dio. Nella abbazia catalana, la fascia superiore della decorazione è composta dal Cristo in trono, circondato dai simboli degli evangelisti, affiancato dai ventiquattro vegliardi e adorato, al di sotto, da due ali di santi. Una si tuazione analoga si propone anche ad Angoulême, ma è il risultato finale di un percorso costruttivo, lento e complesso, culminato, intorno al 1130, con il grande Cristo, entro una mandorla, a riempire l’arcata centrale. In questo caso però la situazione è iconograficamente ambigua, perché la presenza dei simboli degli evangelisti è confacente alla rive lazione apocalittica, mentre figurativamente l’in sieme richiama piuttosto l’Ascensione, con la qua le si accorda la presenza della Vergine e degli apo
stoli adoranti nelle arcate sottostanti, che peraltro fanno parte di una fase progettuale precedente.
Ai lati del portale la ripetizione delle figure de gli apostoli, impostate per prime intorno al 1120, sottolinea la funzione terrena della Chiesa, come guida spirituale. Essi sono disposti al di sopra di architravi con scene di caccia e di battaglia, ossia di immagini simboliche di un vivere quotidiano violento che deve essere redento, in vista della seconda venuta di Cristo47. La grande rappresen tazione cristologica conclusiva, con gli angeli che escono a capofitto dalle nuvole, ricorda, nello spi rito compositivo, quella, di poco precedente, de scritta dalla Guida, sulla fronte occidentale della cattedrale di Santiago de Compostela. Come il vescovo di Angoulême, Gerard, anche il commit tente di quest’ultima, l’arcivescovo Diego Gelmi
43-44. Figure degli apostoli collocate ai lati del portale della cattedrale di Angoulême, disposti sopra architravi con scene di caccia, a sinistra e di battaglia, a destra.
45. Particolare della scena di battaglia dell’architrave della cattedrale di Angoulême.
rez, era legato all’ambiente romano, in particola re a quello di papa Callisto ii, un pontefice non casuale, visto che fu proprio lui che, nell’ottobre del 1122, stipulò con l’imperatore Enrico v il con cordato di Worms che pose fine alla lotta per le investiture e che, da parte sua, visse l’avvenimento come una grande vittoria della Chiesa, tanto che lo fece celebrare in un trionfalistico ciclo di affreschi, realizzato all’interno del palazzo lateranense48
Intenzioni analoghe caratterizzano la facciata di Notre-Dame-la-Grande a Poitiers che da quel la della cattedrale di Angoulême deriva il motivo delle figure disposte all’interno di arcate, non an cora statue a tutto tondo, ma comunque fortemen te emergenti rispetto al fondo49. In questo caso la soluzione si regolarizza, rispetto al dispositivo sparso e disarticolato del modello, nel senso che le
arcate si succedono fitte, in due file sovrapposte, ai lati della grande finestra che si apre al centro, con otto figure di apostoli seduti nella zona sottostan te e altri quattro all’impiedi in quella soprastante, a comporre l’intero collegio, con i santi Pietro e Paolo nelle posizioni centrali. Ai lati della zona superiore, due figure di santi, uno vescovo, l’al tro papa, sottolineano il rapporto gerarchico con la Chiesa di Roma che il programma decorativo intende ribadire. Anche a Poitiers la decorazione si conclude, in corrispondenza del timpano, con l’immagine monumentale del Cristo, chiuso entro una mandorla e circondato dai simboli degli evan gelisti, che, al di là della sua rinnovata ambiguità iconografica, sembra essere una sorta di segno di stintivo e accomunante. Negli stessi anni, il tipo di facciata elaborato in ambito padano da Niccolò prevedeva una analoga manifestazione teofanica, a tutto tondo, collocata al di sotto dell’arcata del secondo piano del protiro: da un punto di vista logico, pur nella forte differenza strutturale, le due soluzioni sono equivalenti e questo conferma la presenza di una componente ideologica comune
46-47-48. Serie delle tre arcate della chiesa di Notre-Dame-laGrande a Poitiers sopra di cui si svolge il racconto della salvezza: il Peccato Originale, i Profeti, l’Annunciazione, la Visitazione, la nascita di Gesù.
49. Particolare del bassorilievo posto sopra l’arcata di sinistra: il Peccato Originale e Nabucodonosor in trono.
50. Particolare del bassorilievo posto sopra l’arcata di destra: la nascita di Gesù e la lavanda del Bambino.
che si riassume nella necessità, da parte della Chie sa, di affermare il proprio ruolo, visto che in tutti i casi si parte dalla sottolineatura della sua funzione di guida terrena, nella prospettiva del raggiungi mento di una meta trascendente, rappresentata dal Cristo trionfante, nella parte alta della facciata. Notre-Dame-la-Grande a Poitiers suggerisce però anche altre considerazioni, legate in parte al la valutazione del ruolo di modello che dovettero svolgere le facciate della cattedrale di Santiago de Compostela. Dal dispositivo ornamentale di quel le dei due bracci del transetto discende il criterio del decoro figurato posto, in sequenza continua, al di sopra delle arcate del portale e delle due finte bifore che vi si collocano ai lati50. In questo caso si parte da una dimensione negativa, rappresentata, sulla sinistra, dalla scena del peccato originale, al quale si affianca la figura di Nabucodonosor sedu
to in trono, per passare, attraverso le immagini dei profeti Daniele, Geremia, Isaia e Mosè, a quella promessa di redenzione, sottesa al Vecchio Testa mento, che è la stessa che fa parte anche del baga glio ideologico padano, fin dal tempo della fonda zione della cattedrale di Cremona. Non per niente, come nei contemporanei portali di Niccolò, la sce na immediatamente successiva ai profeti è quella dell’Annunciazione, seguita in questo caso dalle figure di Jesse e David, dunque due delle compo nenti essenziali della genealogia di Cristo, la cui venuta redentrice è implicita come esito finale in tutto questo. Al di là del culmine dell’arcata cen trale, la narrazione, in termini logici e simbolici, riprende con la conferma dell’evento, attraverso il succedersi della Visitazione, della Natività, della Lavanda del Bambino, ossia delle storie dell’In fanzia di Cristo, come accade nella cattedrale di
51. Facciata della chiesa di Notre-Damela-Grande a Poitiers.
52. Cristo in mandorla, particolare della facciata della chiesa di Notre-Dame-la-Grande a Poitiers.
A fronte: 53. Facciata della chiesa di Santa María la Real a Sangüesa.
Ferrara, dove, dai profeti e dall’Annunciazione, disposti nelle strombature del portale, si passa a quella stessa sequenza, collocata sull’architrave.
I cortei apostolici della cattedrale di An goulême e di Notre-Dame-la-Grande a Poitiers hanno un precedente in quello della Porta degli Orefici della cattedrale compostellana. Si tratta di un motivo che, in ambito locale, aveva esercitato una larga influenza, dando luogo alla caratteristica soluzione dell’apostolado. Lo mostra bene, ancora sul finire del xii secolo, la fronte meridionale della chiesa di Santa María la Real a Sangüesa, posta sul cammino verso Santiago, la quale, tra l’altro, riuti lizza una lunetta, con il Giudizio Finale, risalente all’avvio dei lavori, intorno al 113151. Al di sopra di un portale con statue colonna, di gusto e forme derivate dalla facciata occidentale della cattedra le di Chartres, compare la sequenza degli apostoli sotto arcate che, disposti su due file, si allineano
54. Lunetta con il Giudizio Finale della chiesa di Santa María la Real a Sangüesa.
55. Statue colonna del portale della chiesa di Santa María la Real a Sangüesa.
ai lati del Cristo tra i simboli degli evangelisti, col locato in un riquadro più ampio, al mezzo della seconda fila, affiancato, nelle arcate immediata mente limitrofe, da due angeli, a testimonianza di un processo di ritorno di quel tema dalla Francia, regolarizzato nelle forme e nel dispositivo, in virtù delle ragioni ideologiche che era stato chiamato ad assolvere.
56. Particolare dell’ornato popolato di mostri della facciata della chiesa di Santa María la Real a Sangüesa.
Al di sotto, tra il portale vero e proprio e la zo na dell’apostolado, si dispone un ornato di carat tere enciclopedico, popolato di mostri e di figure fiabesche, che, nell’andamento, ricorda ancora più direttamente i dispositivi delle facciate compostel lane. Il tono articolato e vario della decorazione richiama, nella sostanza formale, i due passi più incerti da interpretare, tra le descrizioni fornite dalla Guida, la quale dice, a proposito del porta le settentrionale: Ibidem vero circum circa, multe immagines sanctorum, bestiarum, hominum, ange
lorum, feminarum, florum, ceterarumque creatura rum sculpuntur; e di quello meridionale: Est igitur murus desursum et deorsum, ad dexteram scilicet et levam, obtime sculptus, floribus videlicet, hominibus, sanctis, bestiis, avibus, piscibus, ceterisque operibus, espressioni che, nell’insieme, non sembrano iden tificare il decoro delle colonne, sistemate ai lati dei portali, o quello delle lunette, ma fanno pensare invece a un ornato parietale, assai più ricco e arti colato, rispetto a quello che è sopravvissuto e del quale, nella situazione attuale, è impossibile im maginare la effettiva disposizione52.
Sulla via del pellegrinaggio la sequenza aposto lica ha un’altra testimonianza plastica nella faccia ta della abbazia provenzale di Saint-Gilles, dove si inventa, per essa, una soluzione dalle vigorose intenzioni antichizzanti. Approfittando della pre senza di tre portali, della marcata profondità delle loro spalle e dei poderosi pieni murari che li divi
57. Facciata della abbazia di Saint-Gilles.
58. Particolare del fregio scolpito con storie della vita di Cristo della facciata dell’abbazia di SaintGilles.
59. Serie di apostoli posti al lato sinistro del portale dell’abbazia di Saint-Gilles.
dono, chi ha progettato la facciata ha immaginato una serie di nicchie, divise da lesene, nelle quali ha collocato una sequenza, vitalissima, di statuari ritratti apostolici. Nelle due spalle che precedono il portale centrale sono posti, fianco a fianco, sul la sinistra, san Giovanni evangelista e san Pietro, sulla destra, san Paolo e san Giacomo maggiore, una scelta quest’ultima motivata, in prima istan za, da ragioni legate al pellegrinaggio jacopeo che riconosceva, nel monumento, una delle tappe ini ziali del suo percorso meridionale53. Come in al tri casi, però, le figure di Pietro e Paolo si legano anche alle esigenze di una rappresentazione sim bolica, dai forti toni ecclesiologici. E forse ancora, in riferimento ai possibili contenuti della perduta lunetta originale, va considerato che Pietro, Gia como e Giovanni sono i tre apostoli che assisto no alla Trasfigurazione, ossia alla scena impostata sulla facciata occidentale della cattedrale compo stellana. La posizione degli apostoli fornisce loro valenza di cariatidi nei confronti dell’architettura soprastante, ribadendo per essi quella funzione di
reggitori della Chiesa che, in altri contesti, trova riscontro nella interpretazione della successione delle colonne o dei pilastri come rappresentazione simbolica del loro collegio. Una funzione apotro paica della sequenza è invece ribadita dalla pre senza, ai due attacchi estremi, in corrispondenza delle figure apostoliche e nel loro stesso calibro di mensionale, di due ritratti dell’arcangelo Michele, sulla sinistra, mentre uccide il drago, un ricordo anch’esso legato al pellegrinaggio medievale e, sul la destra, mentre scaccia gli angeli ribelli54
Al di sopra corre continuo un fregio scolpito, con le storie della vita di Cristo, il quale accompa gna il percorso dell’architettura, fondendosi con gli architravi e con le lunette che, di quella vicen da, mettono in particolare risalto il momento della Natività e quello della Crocifissione. Il sistema è abilmente collegato alle colonne che si staccano rispetto alla parete e che, impostandosi in corri spondenza delle arcate esterne dei portali, evoca no forme per le quali è ovvio fare riferimento agli archi trionfali classici. Malgrado tanta complessità organizzativa, il rapporto tra decorazione plastica e facciata si concentra, di necessità, intorno ai por tali, che assumono quella funzione attrattiva domi nante che, fino a quel momento, era loro mancata, come del resto conferma la ripresa semplificata del tipo di Saint-Gilles, nella facciata della cattedrale di Saint-Trophime ad Arles55. Anche in questo caso il meccanismo plastico non supera il limite disegnato dalla arcata esterna del portale e quan do, nella applicazione di quelle stesse soluzioni, si tenta di andare al di là della configurazione maie statica dell’arco, come nel caso della facciata della cattedrale di Borgo San Donnino, legata per molti aspetti a quella di Saint-Trophime, si finisce con il cadere in un sostanziale disordine organizzativo56
La decisa funzione attrattiva del portale, a tut to scapito della facciata, è del resto una linea ge nerale di tendenza che, alla metà del xii secolo, si afferma con convinzione anche nell’Île-de-France. Scomparsa la possibilità di verificare, se non in modo indiretto, il sistema inventato per l’abbazia di Saint-Denis, l’immediata derivazione che ne fu fatta, nella facciata occidentale della cattedrale di Chartres, è sufficiente a chiarire come, da quel momento in poi, i portali fossero destinati a esse re un qualcosa di totalmente autonomo rispetto al resto dell’architettura della facciata. Tanto è vero che, come in Provenza, anche nell’Ile-de-France, il sistema plastico conobbe il suo limite in corri spondenza del margine esterno delle arcate e la
zona architettonica soprastante rimase del tutto indifferente a un rapporto con esso57. Nelle sue linee iconografiche generali, il pro gramma decorativo si muove con coerenza, dise gnando una storia spirituale dell’umanità che par te dal Vecchio Testamento, i cui avvenimenti sono rappresentati simbolicamente dalle figure dei pro tagonisti, disposte, come statue, al di sopra delle colonne delle strombature, per passare al Nuovo, in corrispondenza delle lunette dei portali. Es sa ha inizio con la Natività, esaltata nella lunetta del portale di destra, per terminare, nella parte corrispondente di quello di sinistra, nell’Ascen sione. Al centro si sviluppa la visione «presente» della «Corte celeste» di Apocalisse 4-5 (Cristo fra il Tetramorfo e – nell’archivolto – i ventiquattro vegliardi), accompagnata, sull’architrave, dalla se quenza degli apostoli, attraverso i quali si ribadisce il ruolo di guida, svolto dalla Chiesa, lungo quel percorso. Il sistema è poi completato dalle rappre sentazioni delle arti liberali, nelle modanature che circondano la lunetta di destra e dei mesi e del lo zodiaco in quella di sinistra, le quali legano al tema dell’assoluto, proprio della vicenda sacra, la relatività dell’agire umano nel tempo. Il program ma decorativo fa dunque propri molti degli spunti che erano già presenti, in precedenza, nel sistema elaborato da Niccolò, dal quale però si allontana nella ragione di fondo, perché rimane indifferente nei confronti della realtà archittettonica della fac ciata e del suo inevitabile verticalismo.
Una volta impostato da un punto di vista for male, quel modello divenne canonico e le varianti poterono entrare a farne parte soltanto in termini strettamente iconografici, nel senso di un cambia mento dei personaggi rappresentati nelle statue colonna, delle scene enfatizzate nelle lunette o dei temi enciclopedici disposti, in catena, nelle mo danature o nei basamenti. Rispetto alle soluzioni escogitate agli inizi del xii secolo, quello che non venne più cercato fu il rapporto con la facciata vera e propria che anzi tese ad arretrare leggermente, in modo tale da staccarsi, anche visivamente, rispetto al sistema dei portali. Si tratta di una impostazione del rapporto tra scultura e architettura inevitabil mente congeniale alla tendenza a sottrarre alla fac ciata ogni senso di muralità, fino a sostituirla con la diafania delle vetrate che diventerà dominante, in torno alla metà del Duecento, come mostrano be ne le cattedrali di Reims o di Bourges58. All’inter no di questa tendenza, il decoro plastico si doveva limitare, di necessità, a singole statue, disposte in
60. Sequenza degli apostoli sull’architrave del portale centrale della facciata della cattedrale di Chartres.
61. Veduta della facciata della cattedrale di Chartres.
62. I tre portali della facciata occidentale della cattedrale di Chartres.
Alle pagine seguenti: 63. Particolare dell’archivolto dedicato ai mesi e allo zodiaco nel portale di sinistra della facciata della cattedrale di Chartres.
64. Particolare dell’archivolto dedicato alle arti liberali nel portale di destra della facciata della cattedrale di Chartres: la musica.
tabernacoli gugliati, collocati negli ineliminabili punti di forza del partito murario.
Anche a questo si arriva con una progressione di scelte che parte dalla cosiddetta galleria dei re, nella facciata occidentale di Notre-Dame a Pari gi59. Si tratta di un loggiato continuo, disposto al di sopra dei tre portali e staccato rispetto ad essi, a conclusione del complesso basamentale, emergen te rispetto alla facciata vera e propria. Prima della rivoluzione la galleria, realizzata intorno al 1220, era popolata da 28 statue di dimensioni colossali, rappresentanti la sequenza dei re di Israele, ante nati di Cristo, così come è enumerata nel vangelo di Matteo: la fredda copia ottocentesca attuale solo in parte ne riflette l’eleganza monumentale. Subi to ripresa ad Amiens, la galleria suggerì la possi bilità di utilizzare singole statue anche all’interno della facciata e fu questo il modo definitivamente adottato a Reims intorno al 124560. Del resto che la
dissoluzione del raccordo rettilineo, rappresentato dalla galleria, fosse prima o poi inevitabile, era nei fatti fin da quando, con la cattedrale di Laon, la fronte esterna dei portali si era seccamente stac cata dal confine rappresentato dal resto della fac ciata, per dare luogo a una sorta di arco trionfale o di protiro a tre fornici, tra loro non comunicanti, conclusi superiormente da timpani, sui quali era stato possibile sistemare una ulteriore decorazio ne plastica61. Già acquisito nei bracci del transetto della cattedrale di Chartres, dove, creando con la loro successione un vero e proprio portico, i pro tiri sottolineano l’indipendenza architettonica e decorativa dei portali rispetto alla facciata, nella cattedrale di Reims il sistema fu arricchito con un elemento nuovo, il gâble gattonato, innestato al di sopra delle arcate esterne, sul quale furono scolpite scene che, in precedenza, sarebbero state collocate nelle lunette, al cui posto furono invece introdotte
65. La galleria dei re nella facciata occidentale della cattedrale di NotreDame a Parigi.
66. Facciata della cattedrale di Reims. delle vetrate, funzionali al senso complessivo di al leggerimento del pieno della parete62
Se nell’architettura dell’Ile-de-France, i porta li ebbero dunque il sopravvento sulla facciata, un procedimento inverso si ebbe in Inghilterra, usan do come strumento il dato di fondo suggerito dalla galleria dei re di Notre-Dame a Parigi : la statua chiusa all’interno di una nicchia. Già nella facciata della chiesa abbaziale di San Pietro a Peterborou gh, il motivo venne utilizzato per creare una se quenza rettilinea all’interno dei gâble che coronano le grandi arcate, scavate nello spessore della parete e per la sua intera altezza, in sostituzione dei vani dei portali63. Poi si passò, nelle cattedrali di Wells e di Salisbury, a una occupazione totale dello spa zio disponibile, attraverso una stesura, per strati regolari e successivi, che annullò completamente la funzione di richiamo dei portali64. Fino ad ar rivare, nella trecentesca facciata della cattedrale di
Exeter, a una identificazione onnivora del decoro plastico con il motivo delle statue entro nicchie, di sposte su tre file sovrapposte, in sostituzione dello stesso sistema dei portali65. Nel caso della catte drale di Wells, si assiste così a una rivincita della facciata, che può tornare a essere protagonista di un programma decorativo complesso, articolato su tre livelli sovrapposti, approfittando delle partizio ni suggerite dall’architettura.
Mentre l’unico portale, di per sé, svolge un ruolo del tutto secondario, al di sopra, ma ormai fuori del suo raggio di azione, si dispone la sce na della Incoronazione della Vergine, affiancata, lungo la parte basamentale, da una sequenza di quadrilobi che contengono angeli ed episodi tratti dal Vecchio e dal Nuovo Testamento. Nel livello intermedio, corrispondente al corpo dell’edificio, si rincorrono due file sovrapposte di nicchie con statue di profeti, patriarchi, martiri, confessori e santi locali, sormontati da un fregio, con la rap presentazione delle resurrezione dei morti. Il tutto è concluso, nella cuspide centrale, da una grande teofania che prevede, nella porzione culminante, il Cristo entro una mandorla, affiancato dai sim boli degli evangelisti, e al di sotto le sequenze so vrapposte degli apostoli e degli angeli, secondo lo stesso dispositivo formale della galleria dei re di Notre-Dame a Parigi.
Il ritorno all’uso della scultura avvenne dun que secondo una impostazione che ricorda la di mensione ascensionale dei sistemi messi in cam po, nel mondo padano, agli inizi del xii secolo, ma che era anche l’unica strada percorribile, nel momento in cui si decideva di sfruttare la strut tura architettonica della facciata, quale che essa fosse, come contenitore di una dimensione plasti ca a carattere figurato. Forse è questa la ragione per cui, accanto alle suggestioni tratte dall’Île-deFrance, è possibile cogliere anche una eco delle soluzioni inglesi, nei progetti di Giovanni Pisano per la facciata del duomo di Siena e di Arnolfo di Cambio per quella di Santa Maria del Fiore a Firenze. Soprattutto in quest’ultima, ammesso che il noto disegno di Bernardino Poccetti ne ri fletta almeno la sostanza di fondo, il criterio di utilizzare i pesanti contrafforti come sistemi di aggregazione di un decoro plastico, fatto preva lentemente di nicchie e di riquadri, all’interno dei quali sono accolte statue o scene, ripropone l’idea della facciata schermo, in cui il percorso scultoreo è costruito sulla base di un assetto indipendente, rispetto alla soggezione ai portali che, non a ca
so, adeguano le loro dimensioni a quelle suggerite dalle partizioni circostanti66 Nel caso invece di Siena il principio della fac ciata schermo è bene individuato dalla presenza di tre portali che, pur se di dimensioni diverse, sono inquadrati da arcate che hanno la stessa al tezza e che, visivamente, li rendono indipendenti rispetto alla struttura interna. Guardando al pas sato locale, esse sembrano rifarsi, annullandone l’emergenza, alle soluzioni, con portico alla ba se, del tipo del San Martino a Lucca o, meglio ancora, a quelle dettate, in prima istanza, dal duomo di Pisa, per via della fronte del portico semplicemente disegnata sulla facciata67. Quasi in contraddizione con la logica imposta dall’Îlede-France, la decorazione scultorea venne allora
tutta dislocata al di sopra del limite rappresentato dai portali e fu organizzata per statue, collocate all’interno di nicchie, distribuite sulla base delle possibilità offerte dalle partizioni architettoniche. In tutto questo traspare netta una attenzione alla tradizione umbra, testimoniata dal grande oculo centrale che ripropone ed enfatizza, attraverso la fitta aggregazione plastica che lo circonda, la va lenza teofanica che già gli era stata attribuita in precedenza, inventando una soluzione di com promesso, tra presente e passato, che, di lì a poco, sarebbe stata ripresa anche nella facciata del duo mo di Orvieto, a conclusione di un percorso che, malgrado le aperture verso il gotico transalpino, si caratterizza soprattutto in virtù del suo forte ra dicamento locale.
67. Facciata della cattedrale di Wells. 68. La cattedrale di Siena.
1. Cattedrale di Reims, strombatura destra del portale sinistro della facciata: Abramo e Isacco
Per quanto basato su un grossolano equivoco, il termine Gotico è quello che ha trovato la fortu na forse maggiore nella periodizzazione dell’arte occidentale. Fu coniato dai trattatisti del primo Rinascimento per designare un modo di fare ar chitettura che si riteneva cattivo, che si generaliz zava, in quanto tale, a tutto il Medioevo e del qua le si faceva carico ai Goti, distruttori della buona maniera antica. Ma i Goti nulla hanno avuto a che fare con nessuno dei fenomeni che oggi raccoglia mo nella categoria di Gotico e, soprattutto, erano estranei al reale obbiettivo polemico dei teorici rinascimentali, cioè la corrente allora più vitale e stilisticamente connotata dell’architettura euro pea, quale al principio del secolo appena concluso è stata definita Deutsche Sondergotik, ‘Gotico par ticolare tedesco’1
Il fatto è che, al di là della credibilità storica, l’idea era di quelle destinate a fissarsi nella coscien za che la civiltà occidentale ha del proprio passa to. Concettualizzava, collegandola con uno scon tro epocale di etnie, una visione dell’arte basata su fondamenti alternativi, se non opposti a quelli dell’arte espressa dal mondo antico: idea semplice e forte a un tempo, criticamente adeguata a defini re modificazioni e mutazioni verificatesi nel corso della millenaria vicenda delle arti in Europa tra la perdita – o creduta tale – e il recupero – o credu to tale – dell’armonia, dell’equilibrio, della misura
classiche. Ha così resistito al radicale ribaltamento di valutazione di ciò che sottindendeva, interve nuto circa tre secoli dopo che era stata formulata, quando il contenuto di quelle trasformazioni e mu tazioni piacque e fu apprezzato proprio per quanto di smisurato, disarmonico, irrazionale, in qualche modo di assoluto comportava.
È così che, sul filo di una progressione semanti ca che percorre tutto il pensiero critico moderno e contemporaneo, Gotico è arrivato a designare l’e poca delle arti d’Occidente sicuramente più estesa in senso cronologico e per l’orizzonte geografico che comprende, anche se da tutto il periodo di va canza della buona forma antica, ossia dall’intero Medioevo, cui i teorici rinascimentali vollero ap plicare il termine, il periodo da esso designato è stato via via ristretto alla sua fase finale e anche se inizio e fine variano grandemente, tra la metà del xii e la metà del xvi secolo, per ciascuna del le nazioni europee interessate e all’interno stesso di alcune di esse. Soprattutto è l’epoca più ricca per il numero e la varietà delle manifestazioni che contiene, tra loro a volte tanto diverse da potersi, a prima vista, difficilmente conciliare in quanto espressioni di una medesima epoca della civiltà; a tacere dell’applicazione che ‘Gotico’ trova nel campo della storia del pensiero e della letteratura, o di settori particolari come la scrittura.
Si comprende dunque come una parte prepon
derante della sua articolazione critica abbia dovu to impegnarsi non solo a definirlo e delimitarne la portata, ma, ancor più, a sezionare la totalità multiforme dell’epoca, a cogliere e isolare al suo interno fenomeni o dinamiche particolari di ordi ne stilistico, strutturale, tipologico, iconografico, sociale e come, in tale processo di segmentazione stratificata, attenzione precipua sia stata dedicata a identificare il momento d’origine, il mutante che ha segnato l’inizio dell’epoca. È nozione ormai universalmente acquisita che esso debba ricono scersi in un sistema linguistico che rinnovò radi calmente l’architettura sacra e in buona parte an che quella profana a partire dalla riformulazione dell’edificio della chiesa cattedrale che si verificò in un’area ristretta della Francia nordorientale, la cosiddetta Île-de-France, corrispondente, più o meno, al domaine royal, cioè ai territori soggetti direttamente al re di Francia. Si conviene, inoltre, che quel momento d’origine è rimasto uno degli assi portanti di tutto il decorso dell’epoca, nella durata di un modello che ha continuato ad influire sia nella sua totalità, sia – e in modo tanto più dif fuso e capillare – con la molteplicità di forme e tipi cui la sua disarticolazione ha dato luogo2
Esso conferiva espressione monumentale ad un avvicendamento di primazie entro l’istituzione della Chiesa; la chiesa vescovile, principale rap presentante della Chiesa docente in rapporto alla cristianità laica, assumeva il ruolo di centro pro pulsore di cultura che era stato prerogativa delle grandi abbazie benedettine. Fisicamente posta, di norma, al centro delle città, dove si veniva concen trando la vita sociale ed economica del tempo, la cattedrale si identificava in un solo grande edifi cio dominante il tessuto urbano. Tale passaggio di ruoli si esprime nella precisa continuità sul piano tipologico. Tutti i tratti salienti del nuovo modello di cattedrale: l’estensione preponderante del coro architettonico (distinto dal coro liturgico) nell’ar ticolazione a deambulatorio e cappelle radiali, l’alto transetto sporgente, di solito a tre navate, la scelta decisa in favore dell’alzato basilicale, lo schema di facciata a torri gemelle caratterizzavano già le grandi abbaziali benedettine che sorgevano lungo le vie dei pellegrini che attraverso Francia e Penisola Iberica convergevano su Compostela3
Il succo del rinnovamento, dunque, per quanto attiene al versante strettamente architettonico, fu un processo di ordine strutturale e stilistico e con sistette nella elaborazione di un sistema resistente
basato sulla applicazione coordinata e coerente dell’arco acuto, della volta a crociera costolonata, del contrafforte e dell’arco rampante che aboliva tendenzialmente come momento portante il muro indifferenziato e continuo. Decisamente più ardua si prospetta l’individuazione di precedenti signifi cativi per una dimensione di quel modello cui non è stata ancora prestata tutta l’attenzione dovuta: non è stato un fatto soltanto architettonico. Se la catte drale gotica corrisponde già, in quanto involucro architettonico, a una figura spaziale di eccezionale capacità evocativa, tanto più lo diventa e tanto più si definiscono i contenuti dell’evocazione quanto più ci si rende conto che è anche intessuta di figure mediate dall’immagine e si impara a interpretarne il senso. In altre parole, alla concezione e realizzazio ne della cattedrale gotica scultura e pittura parteci pano su un piano assolutamente paritario a quello dell’architettura, componenti costitutive e inscindi bili di una triade di ambiti tradizionalmente distin ti – anche se sempre intimamente cooperanti nel Medioevo – dell’attività artistica che diventa unità di significato e forma con l’opera compiuta. Lì sta probabilmente il dato vero di novità che la catte drale gotica introduce, il mutante che ha dato avvio all’epoca. La scultura si riappropria, in quel proces so, della dimensione monumentale perduta con la fine dell’antichità, ma, a differenza della scultura antica, rimane legata all’architettura, condizionata ad essa. La pittura sviluppa potentemente la pittura su vetro, sicuramente già praticata da secoli, ma da poco entrata realmente a far parte della rosa delle tecniche usuali nell’assetto decorativo dell’edificio sacro. A volersi servire della sempre più contestata contrapposizione tra arti maggiori e minori, con le cattedrali gotiche e nella loro età, ossia nell’età go tica la vetrata ricopre il ruolo di arte maggiore ben più del mosaico e solo con il rinnovamento intro dotto in Italia alla fine del xiii secolo torna a trovare un rivale nell’affresco.
Nel mancato o insufficiente riconoscimento di questo codice genetico della cattedrale gotica, che supera i tradizionali confini tra le arti, molte delle interpretazioni che se ne sono date trovano un limite oggettivo, tanto più invalidante quanto più esclusiva è stata la concentrazione esegetica sulla sola dimensione architettonica, in certi casi persino statico-costruttiva. Eviteremo l’ennesi ma sintesi della ricchissima storia critica recente della cattedrale gotica, visto che la ricognizione e discussione di quelle interpretazioni è stata fatta
2. Chiesa abbaziale di Saint-Denis, fianco sinistro.
più volte, da ultimo in una trattazione sistemati ca, capace di soddisfare molte delle curiosità che si potrebbero avere in proposito, di ogni testimo nianza utile all’interpretazione dell’architettura gotica dal xii secolo al 1960, arrivando con ciò a coprire quanto di sostanziale è stato scritto sino ad oggi4. Ciò non implica, naturalmente, che scul tura e vetrate siano state ignorate; è vero che sono state oggetto, a loro volta di vicende critiche pa rallele a quella che ha riguardato l’architettura, a partire dai grandi tentativi di sintesi interpretativa dell’iconografia di sculture e vetrate proposti tra la fine del xix e il principio del xx secolo5. Il limite sta proprio nel parallelismo, ossia nel mancato o insufficiente collegamento tra le analisi e ricostru zioni iconografiche e il momento dell’architettura, che non è solo supporto, ma assolve alla funzione di sistema espositivo, realizza il senso delle imma gini nel loro collegarsi reciproco e complessivo.
A ribadire la continuità tipologica tra cattedra li protogotiche dell’Île-deFrance e lo schema già consolidato in abbaziali benedettine, ma anche l’innestarsi su di esse delle dinamiche trasfiguranti indotte da scultura e vetrata, sta il fatto che il rin novamento prese avvio dalla ricostruzione dell’a trio e del coro della chiesa di Saint-Denis, attuata in brevissimo giro d’anni tra il 1135 ca. e il 1144 per iniziativa dell’abate Suger, che ne commentò la realizzazione in opere che sono state la base te stuale per la decifrazione dei contenuti teologici delle cattedrali di questa fase6. Saint-Denis, alle porte di Parigi, era una delle più antiche abba zie benedettine di Francia, custode delle spoglie di san Dionigi, apostolo della Gallia e il rinnova mento architettonico della sua chiesa si inseriva nel rilancio del suo ruolo di depositaria dei regalia
3. Chiesa abbaziale di Saint-Denis, navata centrale e coro.
4. Cattedrale di Sens, alzato della navata centrale.
(insegne del potere reale) della corona francese e dunque di garante della investitura divina dei re di Francia. Essa acquistava così l’autorità di model lo anche stilistico e, in ultima analisi, ideologico per la ricostruzione, presto avviata, di una serie di cattedrali di diocesi suffraganee di Sens, sede ar chidiocesana delle terre della corona, e di Reims, la cui cattedrale era tradizionalmente il luogo di incoronazione dei re di Francia7.
Tra il 1140 e il 1168 la cattedrale di Sens veniva ricostruita secondo una impostazione ancora fon damentalmente romanica, nella greve scansione in sistema alternato delle navate, nella successione, in alzato, di arcate, serie di bifore aprentisi sui sotto tetti delle navate laterali e finestre (rifatte nel Due cento), nella prevalenza che assume otticamente la massa muraria scavata in profondità sulla mo dellazione plastica della parete attraverso le mem brature salienti. Ma, subito dopo, si avviavano le ricostruzioni delle cattedrali di Senlis (1151/1156), Noyon (ca. 1157), Laon (1155/60), Parigi (1163) e Soissons (ante 1176) nelle forme inaugurate dal co ro di Saint-Denis. Tratto in tutte dominante è l’af
fiorare alla vista di un sistema di elementi portanti che, collegando direttamente i pilastri alle imposte di volta, scioglie il muro nel ricorrere, nella navata centrale, di quattro ordini di aperture: arcate, gal lerie, triforio (assente a Senlis), finestre. Ogni pie dritto d’arco è individuato in un elemento portante a sezione circolare, dai fusti dei pilastri ai fasci di membrature che, in combinazione con sottili cor nici orizzontali, delimitano aperture. Il ritmo breve e uniforme di campate rettangolari trasverse nelle navate centrali, raccolte a coppie solo nelle volte esapartite in residuo di sistema alternato, accom pagnate da campate quasi quadrate nelle laterali, si ripete uguale nei transetti e si adegua duttile alla curva terminale di coro e deambulatorio, nel 1205 sostituito a Laon da coro rettilineo. A fronte di un sistema strutturale-formale che comincia a configurarsi nitido e costante, fissando soprattut to l’alzato, diversificate sono le formule di pianta, nella soluzione della zona orientale, nella presen za o meno di transetti, a una o tre navate e delle cappelle radiali e nel loro rapporto con coro alto e deambulatorio. Non è privo di significato il fatto
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che la soluzione planimetrica poi normativa anche per le cattedrali sia stata raggiunta, nella seconda metà del xii secolo, nella ricostruzione parziale di un’altra chiesa benedettina interessata alla liturgia dell’incoronazione del re di Francia, Saint-Remi a Reims. In fase parimenti sperimentale è il sistema di contraffortatura, cui assolvono, in prima istanza, le gallerie, mentre parziale e ancora incerta è l’ado zione dell’arco rampante.
Nel 1194 uno spaventoso incendio devastò irreparabilmente la cattedrale di Chartres, la cui esistenza è documentata dall’età merovingia. Do po lo sbigottimento iniziale, la constatazione che il fuoco aveva risparmiato non solo parti consi stenti della facciata, gia ricostruita poco più di un mezzo secolo prima (post 1134), con le statue dei tre portali e le vetrate dei tre finestroni, oltre all’imponente Belle Verrière del coro rappresen
5-6. Cattedrale di Laon, volte della navata laterale e alzato di una campata della navata centrale.
tante la Madonna col Bambino, ma soprattutto non aveva toccato il Velo della Vergine, la presti giosa reliquia di cui la cattedrale era depositaria, fu causa della decisione immediata di una rico struzione che si deve considerare a tutti gli effetti il paradigma della cattedrale gotica, in quanto sin tesi profondamente innovativa degli esperimenti statici e formali condotti nelle cattedrali allora in costruzione nell’Île-de-France e punto di parten za condizionante per quelle che sarebbero stata avviate in seguito. Nel 1220 la nuova chiesa era coperta di volte in tutta la sua estensione e l’anno successivo vi si poteva allestire il coro con gli stal li lignei. La fondamentale invenzione del grande
e ignoto architetto che la ideò e ne condusse la costruzione fino al 1217 fu quella di liberare al la vista il sistema di contraffortatura della navata centrale e farne il determinante formale dell’e sterno, sciogliendo la massa edilizia nella gabbia dei contrafforti salienti sopra le navate laterali e il giro delle cappelle di coro, legati alla navata centrale dalla doppia serie degli archi rampanti. Il peso delle volte, concentrato nei quattro punti di appoggio della struttura a crociera costolona ta e trasformato in gran parte in spinta laterale dalla impalcatura degli archi acuti che ne costi tuisce l’ossatura, si trasmette senza soluzione di continuità agli archi esterni a quarto di cerchio, in
7. Cattedrale di Chartres, fianco sinistro.
8. Cattedrale di Chartres, stantuario e coro.
percorsi interamente esibiti alla vista che passano ininterrotti dall’interno all’esterno e danno qua lificazione formale a intuizioni di ordine statico. Esterno e interno con ciò non si fondono in una medesima immagine architettonica, ma creano due immagini omologhe, fatte di archi e pilastri che salgono a vincere la gravità: una immagine esterna completamente aperta, la cui consistenza costruttiva si stempera progressivamente fino a sciogliersi otticamente nello spazio; una immagine interna ermeticamente chiusa in sè – per l’effetto concorrente e determinante, come vedremo, delle vetrate – sino al punto da ricreare uno spazio pro prio, infinito e trascendente, diverso e distinto da quello naturale.
Anche per l’interno il contrafforte a rampan te ebbe una conseguenza tanto radicale che vi si deve vedere, dal punto di vista pratico, la motiva zione precipua della sua invenzione; rese del tutto
inutile il raddoppiamento in altezza delle navate laterali e del deambulatorio con quelle gallerie che, benchè nella lingua italiana subiscano spesso una impropria estensione della denominazione di matronei, non erano destinate ad accogliere don ne e non ebbero nessuna funzione liturgica o pra tica, se non quella di costituire con le loro volte struttura di controspinta per le volte della navata centrale, in un sistema staticamente assimilabile a quello della chiesa-a-sala8. Non è forse un caso che, parallelamente alle cattedrali a gallerie della seconda metà del xii secolo dell’Île-de-France, la chiesa-a-sala trovasse espressione gotica compiu ta con Saint-Pierre a Poitiers (iniz.1162), sia pure con volte a liernes 9 dalla forte salita cupoliforme caratteristiche dell’Anjou e del Poitou. Ridotto, con l’abolizione delle gallerie, da quattro a tre pia ni il sistema di alzato interno, per ciascuno di essi l’architetto di Chartres inagura una soluzione che,
9. Cattedrale di Chartres, volta della navata centrale.
10. Cattedrale di Chartres, alzato a tre piani della navata centrale.
o si impone come definitiva, o costituisce il pun to di partenza per ogni esperienza successiva. Al piano delle arcate terrene è il cosiddetto pilier can tonné che nell’aggregazione di un nucleo centrale a matrice circolare o, alternativamente ottagona, con quattro membrature inversamente ottagone o circolari – eco estrema del sistema alternato –normalizza la forma del sostegno nella funzione di svincolo tra navata centrale e laterali e, con temporaneamente, di avvio alle cordonature che preludono alle volte quadripartite. Nel piano più alto vengono fissati forma, numero e dimensioni delle finestre: entro ogni campata due lancette di uguali dimensioni sormontate da un grande oculo immediatamente sottostante all’arco longitudinale di volta, che per questa ragione non è acuto, ma a tutto sesto. Piano delle arcate e piano delle fine stre, equivalenti in altezza, sono separati dal na stro del triforio, che scava in arcature, segmentate secondo le unità di volta, il tratto di parete chiusa corrispondente ai sottotetti delle navate laterali. La novità dirompente di Chartres fece sentire il suo effetto immediato con mutamenti in corso d’opera di cattedrali in costruzione; a Soissons nel passaggio dai quattro piani del transetto meridio nale semicircolare a deambulatorio, eretto nell’ul timo terzo del xii secolo, ai tre piani nelle propor zioni di Chartres di coro e navate avviati nel 1197 o 1198, con l’adozione di uno snello apparato di contraffortatura ad archi rampanti e di un tipo di pilastro che innesta una membratura circolare ver so la navata centrale sul fusto colonnare caratteri stico dell’età protogotica. Persino al di fuori delle terre della corona, nella cattedrale di Rouen, nella ricostruzione avviata intorno al 1200 dall’archi tetto Jean d’Andeli con navate in alzato a quattro piani, il successore Enguerrand eliminò con un faticoso aggiustamento la distinzione tra navate la terali e gallerie e potè applicare senza remore l’al zato a tre piani impostando ex novo il coro.
Nonostante il periodo assai lungo della costru zione, avviata nel 1210 e ancora in atto nel 1299 e l’alternarsi alla sua direzione di almeno quattro maestri, fu soprattutto la cattedrale di Reims a perfezionare e consacrare in sistema assolutamen te unitario l’esempio di Chartres. Alle dimensioni gigantesche corrisponde una pianta compatta, che segna il punto di maggior distanza dal modello. Il transetto sporge di una sola campata sulle navate laterali e prosegue senza scarti nel complesso di coro alto, deambulatorio e cappelle radiali che fa
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11. Cattedrale di Soissons, coro a tre piani.
12. Cattedrale di Soissons, transetto meridionale semicircolare a quattro piani.
banda ombrosa del triforio. Piccole modificazioni intervengono però ovunque a segnare non tanto divergenze di gusto rispetto al modello di Char tres, quanto una sorta di sua sistematizzazione. I sostegni delle arcate eliminano l’alternanza combi nata tra forma circolare e ottagona di fusti e mem brature, normalizzando sulla matrice circolare la formula del pilier cantonné. Il capitello diventa una fascia fogliata continua inflessa secondo il profilo orizzontale del pilastro e le arcate, di salita più aguzza, traducono la complessa sezione di tori accostati a un largo archivolto di Chartres in un fascio unitario di archivolti torici.
Ma la novità di maggior portata si trova nelle finestre. Il disegno di partenza è il gruppo delle tre luci, coppia di lancette e oculo soprastante di Chartres, ma il modo della realizzazione e l’effetto finale sono completamente diversi. Il muro sopra la linea d’imposta è svuotato in una sola grande apertura, delimitata superiormente dall’arco acuto longitudinale della volta e il disegno delle lancette e dell’oculo esalobato entro cerchio è ottenuto in sottile trama di giunti di pietra che deve reggere se stessa e offrire un supporto alle vetrate, ma che è
13. Cattedrale di Reims, navata di destra.
14. Cattedrale di Reims, deambulatorio.
15. Cattedrale di Reims, planimetria.
16. Cattedrale di Reims, capitelli a fascia fogliata continua.
autonoma rispetto alla struttura dell’edificio, pur riproducendone in icastica finzione figurativa il disegno strutturale. Nasce così a Reims, con la tec nica del traforo a giunti lineari (che in assenza di una adeguata denominazione italiana, chiamere mo col termine inglese di tracery) un mezzo stilisti co precipuamente destinato alla illusione spaziale mediante figure che riproducono strutture fittizie; un mezzo destinato a diventare determinante per l’architettura gotica di tutta Europa; il modo pre cipuo per qualificare figurativamente, prima anco ra delle vetrate, le grandi pareti translucide costi tuite dalle finestre che si fanno via via più ampie; ma anche per incanalare in energia lineare attiva, come tracery cieca, ogni residuo inerte di parete continua.
Elementi della tradizione protogotica gia radi cati nell’architettura della Champagne riescono ad imporsi ove non sconvolgano il processo di omo logazione del sistema mutuato da Chartres, ma semmai lo completino e lo rendano più stabile, dal punto di vista statico ed anche come modello compiuto e ripetibile. In tutta la zona basamenta le della cattedrale il principio cosiddetto del mur épais (muro spesso), consistente nello svuotamen to di muri massicci e nella individuazione al loro interno di elementi distinti in ragione della fun zionalità statica, viene adottato nella formulazione del passage rémois: al livello d’imposta delle fine stre delle navate laterali e delle loro equivalenti nel transetto e nelle cappelle radiali, il muro riduce drasticamente il proprio spessore aprendo fornici profondi tra gli archi di volta e il piano vetrato. I fornici successivi sono messi in comunicazione mediante piccole aperture praticate entro le mu rature di spalla delle volte, ricavandone un passag gio continuo in spessore di muro che si interrom pe, a causa dei portali, solo in corrispondenza del la facciata e del transetto settentrionale. In questa sistemazione dell’organismo complessivo in modi confacenti alle singole parti, la cattedrale di Reims è divenuta il modello indiscusso di cattedrale in Francia e nell’Europa transalpina, ma con l’inven zione della tracery ha anche avviato la formazione di un lessico di singoli vocaboli il cui impiego ha travalicato di gran lunga i confini del sistema della cattedrale che li ha generati e che ha permeato di sé tutta l’architettura gotica europea. Il sistema della cattedrale di Reims è stato il punto di partenza per Robert de Luzarches, l’archi tetto che nel 1220 avviò la nuova costruzione che
ad Amiens dovette sostituire la cattedrale distrut ta da un incendio nel 1218. Non abbiamo notizie della gravità del disastro, che in questo, come in quasi tutti i casi precedenti, è stato all’origine della ricostruzione gotica. Certo è che incendi non erano una novità e spesso, in tempi precedenti vi si era posto rimedio con ricostruzioni, ristrutturazioni parziali, aggiunte e ammodernamenti. Le ricostru zioni integrali che ora provocano l’avvio di cantieri costosissimi e impegnativi, destinati a durare sem pre più a lungo, sono l’indice più chiaro della mi sura in cui il nuovo modello stilistico e strutturale si è identificato con l’idea stessa della chiesa cat tedrale, al punto da proporsi come irrinunciabile. Nella ulteriore progressione delle dimensioni, so prattutto di altezza, l’architetto di Amiens eliminò ogni residuo di mur épais; unica galleria in spessore resta il triforio, mentre muri ed elementi portanti tendono alla massima sottigliezza. Un atteggiamen
17. Cattedrale di Reims. L’alzato della navata centrale mette in evidenza le pareti rese traslucide dalle grandi finestre e dall’uso del traforo. Nelle pagine seguenti: 18. Cattedrale di Amiens, alzato della navata centrale: muri ed elementi portanti tendono alla massima sottigliezza.
19. Il coro della cattedrale di Beauvais riceve slancio dall’imponenza delle vetrate, nonostante l’inserimento del triforio.
to nuovo e carico di futuro si fa strada soprattutto nella ridefinizione formale dei singoli elementi, pri vati in gran parte della loro individualità e inseriti in un involucro spaziale unitario e fluido. Esso si esprime paradigmaticamente nel triforio, che rom pe la continuità della serie di arcatelle presentan do in ogni campata coppie di polifore coordinate alle partizioni dei trafori delle finestre. Thomas de Cormont, successore di Robert de Luzarches, adottò nel coro la novità del triforio vetrato, che ne accentua la saldatura alle finestre alte. Ultima delle grandi costruzioni dell’età classica nell’Île-deFrance, il coro della cattedrale di Beauvais su una pianta pressochè identica a quella di Amiens inse risce, come già a Bourges, un triforio e una zona di finestre anche nel deambulatorio. Ma, nonostante lo slancio che ne ricevono le arcate, l’incredibi le altezza di quasi 48 metri in chiave della navata centrale fa sì che risulti predominante la zona delle
finestre. La costruzione avviata nel 1225, punteg giata da sospensioni e crolli, non arrivò mai oltre il transetto, malgrado tentativi di completamento succedutisi fino al xvi secolo. Nel 1284, in parti colare, crollarono le volte. Per conferire maggiore solidità alla ricostruzione, gli intercolumni furono dimezzati inserendo coppie di pilastri leggermen te più sottili nelle campate rettilinee che forniro no l’appoggio al costolone intermedio delle nuove volte esapartite. Nel rifacimento, il triforio vetrato e le finestre si saldarono in un’unica griglia lumino sa, ricamata da trafori nel gusto ormai consolidato della fase di architettura gotica francese che si de nomima rayonnant.
Ad Amiens la ricostruzione gotica cominciò, contrariamente alla prassi più consueta, dal tratto occidentale, sicchè la facciata, tolte le torri cui si la vorò sino alla fine del xiv secolo, è contemporanea alle navate e legata ad esse da identità di progetto. Da Notre-Dame a Parigi ha ripreso la rigorosa im paginazione entro il quadrato a tre piani sovrappo sti, tripartito anche in senso verticale, che ingloba organicamente l’imposta delle torri; si riallaccia invece a un modulo maturato attraverso Laon e i transetti di Chartres la sistemazione della zona dei portali in avancorpi conclusi a salienti triangolari che, con lo sporgere dei contrafforti e il largo uso di archeggiature, trafori ciechi e pinnacoli, deter mina il superamento della pagina parietale in mo vimento di piani e masse svuotate al loro interno e portate alla sottigliezza di materia architettonica che caratterizza l’interno della cattedrale.
La cattedrale di Amiens e il coro di Beauvais, rimasto gigantesco torso incombente sulle navate di Notre-Dame-de-la Basse-Oeuvre, risalenti al x secolo, chiudono la serie decretandone realmente la fine per l’esaurimento delle possibilità statiche del sistema, ma soprattutto perché inducono in es so i germi della traformazione in un linguaggio che non riguarda più solo la cattedrale in quanto ta le, ma investe ogni tipologia di architettura sacra, duttile e ricomponibile secondo formule spaziali e sistemi statici diversi.
Questo scheletro costruttivo è dunque anche schema espositivo per due sistemi distinti di im magini, realizzati l’uno dalla scultura l’altro dalla vetrata e funzionali alle due stazioni base nella