Alla memoria di Massimo Bernardi (senza di lui il tour italiano di Jimi Hendrix non ci sarebbe stato) e a Gaetano Sorrentino (grande hendrixiano).
‘68 Enzo Gentile Roberto Crema Introduzione
Carlo Verdone
The Italian Experience
Nuove date per gli Experience â... Dopo un giorno di riposo, The Jimi Hendrix Experience parte di nuovo per iniziare il tour europeo di primavera, si comincia al Piper Club di Milano (23 maggio), seguito dal Teatro Brancaccio di Roma (24â25 maggio), dal Palasport di Bologna (26 maggio) ...â
Contratto fra la Bryan Morrison Agency e Massimo Bernardi per il tour italiano della Jimi Hendrix Experience.
Indice IL MIO CONCERTO, di Carlo Verdone 1968, JIMI IN ITALY Lâinvasione degli ultracorpi Sciamanesimo a sei corde Formidabile quellâanno Si leggeva sui quotidiani... Venti pezzi facili (per ricordare cosa si cantava nel â68) La canzone politica
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JIMI HENDRIX, MAGGIO 1968
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MILANO, 23 MAGGIO 1968 Jimi Hendrix arriva in Italia Il Piper, nel pomeriggio Il Piper, il concerto Dai giornali
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ROMA, 24 MAGGIO 1968 99 Lâarrivo 103 Teatro Brancaccio, il primo concerto 106 Teatro Brancaccio, il secondo concerto 115 Dopo il concerto 143 Il Titan Club, la jam session 149
ROMA, 25 MAGGIO 1968 Intervista con Edith Wieland Teatro Brancaccio, il concerto pomeridiano Una registrazione La cena da âAlfredoâ Teatro Brancaccio, il concerto serale Una registrazione Dopo il concerto Dai giornali
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BOLOGNA, 26 MAGGIO 1968 Da Roma a Bologna Il Palasport, il concerto Una registrazione Dopo il concerto
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27 MAGGIO 1968 The Jimi Hendrix Experience lascia lâItalia
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HO VISTO UN RE
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HENDRIX SULLA STAMPA ITALIANA 243 JIMI HENDRIX (1942â1970)
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Fonti 267 Ringraziamenti 269
IL MIO CONCERTO Quella volta di Jimi Hendrix al Brancaccio fa parte delle esperienze indelebili, una di quelle serate indimenticabili trascorse insieme alla musica di un artista che allâepoca scandiva le ore delle nostre giornate di ragazzi amanti del rock e assetati di novitĂ . Stare davanti al giradischi con i compagni di scuola e trascorrere i pomeriggi insieme per ascoltare i suoi album era il migliore nutrimento per la nostra fantasia. I primi due lp di Hendrix, quelli che preferisco di gran lunga per le composizioni e per gli accompagnatori, Noel Redding e Mitch Mitchell, li ho letteralmente consumati: non passava giorno senza che ci si confrontasse con quel patrimonio di creativitĂ ed eleganza, di aggressivitĂ e di potenza, di ricerca dirompente che poi avremmo trovato anche nellâesibizione live. Ricordo bene le sensazioni di quellâappuntamento con la storia, dellâimpazienza del pubblico: nessuno di noi aveva voglia di sentire altro e purtroppo questo andò a scapito dei gruppi chiamati a scaldare lâambiente, che peraltro era giĂ infuocato a sufficienza, con i boati da stadio appena si coglieva un movimento sul palco o dietro le quinte. Si aveva lâimpressione di essere al cospetto di un vero evento, e Roma si era mobilitata. Erano presenti anche diversi personaggi dello spettacolo arrivati per curiositĂ o perchĂŠ semplicemente quello era il posto in cui essere, unâoccasione da non lasciarsi sfuggire, che attirava anche oltre il circuito degli appassionati di musica. Quando partirono le prime note, lâimpatto fu straordinario, nonostante unâacustica del teatro e un tipo di amplificazione forse non allâaltezza: Jimi avrebbe meritato di piĂš, ma intanto con la sua chitarra aveva scatenato lâinferno, devastante, con una precisione e una sicurezza assolute, senza guardare lo strumento, tranquillo e con un portamento esemplare. La band risultava perfetta, con il suono tipico del rock inglese dellâepoca che si integrava a meraviglia con il blues e la psichedelia del primo Hendrix: avevano una carica e una spinta eccezionali, credo che come gli Experience non abbia suonato piĂš nessuno. Jimi resterĂ nella storia a lungo, cosĂŹ come nella mia memoria quel concerto romano, che contribuĂŹ a fortificare e a radicare il mio sentimento per un certo tipo di musica, a partire da Hendrix, determinante per la cultura giovanile, per quella corrente di innovazione del suono che era passata giĂ dai Beatles, dai Rolling Stones, e poi dai Who, Yardbirds, Animals, ma che lui portò ai vertici massimi. Are You Experienced? e Axis: Bold as Love hanno cambiato il senso e la percezione della musica moderna. Il mondo del rock e della chitarra, dopo, non sarebbero piĂš stati gli stessi.
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Hendrix ha ridisegnato il modo di suonare, partendo dallâinsegnamento dei maestri blues e lasciando poi tutti attoniti, fin dai primi contatti: comprai il suo primo album un sabato pomeriggio e non me ne staccai piĂš. A furia di ricominciare dallâinizio ad ascoltare si capiva meglio, si riusciva a entrare nello spirito dellâartista, ma certe sonoritĂ erano estremamente avanzate, avveniristiche, e alcuni pezzi ancora oggi appaiono dâavanguardia. Da allora il mio amore per Hendrix è cresciuto, si è approfondito, anche se credo sarebbe stato meglio mantenere la sua discografia fissa ai lavori che aveva controllato e prodotto sotto la sua diretta tutela, mentre sono andati in giro troppi prodotti di scarto, che lui non avrebbe mai approvato. Nel corso del tempo ho avuto la fortuna e la possibilitĂ di acquistare un suo raro, breve filmato a Randall Island, e anche un autografo: li conservo come cimeli preziosi, anche da un punto di vista affettivo. Quando vennero in Italia il padre Al e la sorellastra Janie, ebbi modo di conoscerli grazie a unâintervista che mi aveva affidato la rivista â7â. Fu un bellâincontro, anche perchĂŠ ero reduce dal film che tuttora preferisco nella mia storia, Maledetto il giorno che tâho incontrato: rappresenta un grande omaggio dallâItalia a Hendrix. Raccontai a Janie, che da poco aveva preso le redini dellâereditĂ e della fondazione e che gestisce la memoria del fratello, di quel film e della colonna sonora, che conteneva due canzoni, The Wind Cries Mary e Foxy Lady, pagate unâinezia rispetto a quelli che sarebbero oggi i prezzi, e poi il filmato di Monterey, dove, durante lâesecuzione di Wild Thing, Hendrix incendia la chitarra, costato quindici milioni di lire: cifre impensabili allo stato attuale, ma allora câera stato un vuoto di potere sui diritti e io li ottenni davvero con poco! Lei rimase sorpresa, magari anche un poâ scocciata, e in me aumentò la soddisfazione per aver mandato in porto un film centrato su Hendrix, i cui dischi consiglio di riprendere in cuffia, ad alto volume, magari anche in mono. Unâesperienza ancora esaltante.
1968, JIMI IN ITALY
Carlo Verdone Roma, febbraio 2018
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IL MIO CONCERTO
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Lâinvasione degli ultracorpi ÂŤLâopera del maestro non deve consistere nel riempire un sacco ma nellâaccendere una fiamma.Âť Plutarco Prometeo rubò il fuoco agli dei per regalarlo agli uomini, divenendo cosĂŹ simbolo di ribellione e libertĂ . Qualche tempo dopo, il mito di Prometeo si rinnova: Jimi Hendrix dalla sua chitarra, con la sua musica extraterrestre, trasferirĂ quelle stesse fiamme ai comuni mortali del Ventesimo secolo, e da lĂŹ alle stagioni a venire. Non si dimenticano di questa tempesta perfetta costituita dal suo avvento coloro che in Italia vennero a contatto con il suono al calor bianco sprigionato cinquantâanni fa nel corso del breve tour consumato tra Milano, Roma e Bologna. With God on Our Side diceva una canzone dellâepoca e Jimi indicò la via tra le galassie, un viaggio senza respiro nella mente e nello spirito, tra i gironi infernali del Suono. Eureka! Era il maggio â68, una data indimenticabile e non casuale, che solleva a tuttâoggi suggestioni e tumulti della memoria, correndo tra gli scontri al Quartiere Latino di Parigi, le assemblee sulla Rive Gauche o le occupazioni nelle universitĂ italiane, per una ideale colonna sonora che gli Experience rivelarono anche sui palcoscenici di casa nostra. Le cronache di quei giorni si intrecciano a Foxy Lady e Purple Haze, con gli studenti francesi e gli scioperi che paralizzano la Francia: procedono congiunte, sono realtĂ parallele, eventi che non torneranno, lasciando unâimpronta profonda, indelebile nella storia e per le generazioni future. Il Piper di Milano, il Palazzo dello sport di Bologna, il Teatro Brancaccio di Roma sono gli scenari di quella visita di marziani che scendono diritti tra le nostre case e avvampano con le loro musiche, sconvolgendo i templi altrimenti battuti e presidiati dai soliti noti. Era lâItalia dei musicarelli, del Festival di Sanremo e di Canzonissima, del Disco per lâestate e del Cantagiro, della hit parade, guidata, in quello scorcio di tarda primavera, da Antoine (La tramontana), Patty Pravo (La bambola), Franco iv e Franco i (Ho scritto tâamo sulla sabbia). Lâeterna provincia di casa che il rock di Hendrix, nero, psichedelico, ulceroso, tra lâinferno e il paradiso, avrebbe voluto spazzare via. Quelli non erano ancora anni di preminenza discografica, di storie ritagliate nel vinile, gli lp ce li portava qualche parente in trasferta di lavoro allâestero, i piccoli lussi dei piĂš fortunati erano dati dai jukeâbox o da qualche mangiadischi amico, dove poter ascoltare (anche) Hey Joe e Crosstown Traffic. (Ovvero, per onestĂ autobiografica, tra i primi 45 giri acquistati e tuttora conservati gelosamente.) Nel nostro piccolo di adolescenti ignoranti e curiosi, un primo timido passo di Experience, sonica e non solo, verso lâemancipazione collettiva: cosĂŹ per vedere lâeffetto che fa.
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Sciamanesimo a sei corde ÂŤQualcosa sta accadendo. Qualcosa di strano, di incerto, di allarmante, di vivo. Qualcosa che minaccia molte sacre tradizioni di questo Paese e reclama il diritto di dare alla nazione la sua ultima possibilitĂ di salvezza.Âť Iniziava cosĂŹ un libello del 1968, appunto, opera di Jerry Hopkins, The Hippie Papers, una ricognizione su quella che qualcuno definĂŹ ÂŤyouthquakeÂť, un terremoto giovanile. Ce nâest quâun dĂŠbut, continuons le combat. Underground, sottoterra: molto si muove lĂ dove non arriva lo sguardo, anche nel â68 hendrixiano. La stagione delle Black Panthers incrocia la musica di Jimi, dove possiamo intravedere motivi, sentimenti confluenti: non saranno mai espliciti, ma qualche punto di contatto pare evidente, anche se nessuna forma di adesione venne mai ufficializzata o dichiarata sfacciatamente. Certo lâestablishment qualche preoccupazione lâavrebbe denunciata: come altri artisti, anche Hendrix venne attenzionato, seguito, indagato, affinchĂŠ la sua miscela incendiaria non nuocesse troppo al potere, non facesse proseliti, pescando, seminando con la sua chitarra veleni contro il sistema. Una materia, la sua, che non era solo attuale e avveniristica insieme, ma si alimentava del passato gioiosamente: non era nĂŠ apolitica, nĂŠ neutrale; il demone dellâintelletto non lo è mai. La musica di Jimi, anche quella andata a scheggiare le coscienze dei fortunati che lo videro a Milano, Roma e Bologna, tirava e guardava in piĂš direzioni: dentro di essa, amplificata dalla fedele Stratocaster, câerano le Pantere Nere e Timothy Leary, il profeta della âriforma psichedelicaâ, la guerra in Vietnam e gli happening della Summer of love, i rintocchi della Swinginâ London e la memoria della brumosa periferia di Seattle. Come si conviene al primo degli immortali, Jimi celebrava ogni giorno, ogni sera, il suo rito di purificazione e di ubriacatura total body. Ă lui la cesura che separa il mondo moderno â della musica, ma non solo â dal passato. Una frattura che si sostanzia in dischi, composizioni, esibizioni e gioca di sponda con le sostanze psicoattive tanto frequenti e utilizzate allâepoca. La musica di Jimi è magia e lussuria, virtĂš e stregoneria, eccitante e curativa, una pratica sospesa tra lo sciamanesimo e il divino. Una fusione dei quattro elementi, aria, terra, acqua e fuoco, capace di indurre a euforia e sedazione; dipende dallo stato in cui la si assume, sulla soglia dellâinferno o del paradiso: e comunque pronti a entrare. Un fiume carsico che arriva da lontano e procederĂ verso lâinfinito. Come unâilluminazione. Hendrix, per come lo abbiamo ricevuto dalle rappresentazioni âsacreâ del cinema o nelle foto dellâimmaginario comune (la chitarra incendiata a Monterey, morsicata negli speciali tv o accarezzata, amata, sfigurata con lâinno americano dal palco di Woodstock...), resta tutto sommato un idolo statico e ripetitivo rispetto a chi ebbe modo di imbattersi nel tormento e nellâestasi delle sue performance dal vivo. Dove si respirava unâaltra idea di felicitĂ , ad anticipare e incalzare lo stesso principio di avanguardia rock, passato e futuro si coniugavano al presente sulla Fender. La dimensione sensoriale di un concerto hendrixiano è stata testimoniata da piĂš parti, a ogni latitudine, e certifica la discesa di un marziano tra le cose e i suoni dei giorni nostri:
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dâaltronde, Jimi si conferma da piĂš fronti e punti di vista un alieno, appassionato del cosmo, dei viaggi interspaziali, dei pianeti (tra i brani piĂš espliciti Third Stone from the Sun, Astro Man, Exp sovrappopolato da dischi volanti) e il suo passaggio italiano sarĂ , una volta di piĂš, unâautentica forma di ascensione. Il contrasto tra i fremiti di una societĂ in subbuglio, con i moti parigini che echeggiavano anche qui da noi, e le frastagliate architetture hendrixiane, tra Flower power, blues, rock e celestiali visioni chitarristiche, risulta oggi ancora piĂš stridente, con un mondo di mezzo â gli adulti, i massâmedia, lo stesso blob dello spettacolo â sostanzialmente impermeabile: estraneo e pure un poâ infastidito dalle rivoluzioni in atto. I giornali, per non dire la radiotelevisione italiana, come sprofondati in un incubo di sabbie mobili destinato a trasformarsi in rigetto, in cronache cariche di sospettosa acribia, quasi che lo show non dovesse continuare, e magari neppure cominciare. E invece molti erano soltanto allâinizio del viaggio, una startup onirica da cui partire, dispiegando le ali in tutta la loro formidabile, irresistibile bellezza. Una specie di iniziazione, frastagliata e proiettata verso un punto di non ritorno. Per chi lo vide e lo ascoltò in concerto, per quanti lo frequentarono, per coloro che da quella polvere di stelle furono soltanto investiti: qualcosa piĂš di una semplice esibizione da un palco, piuttosto un marchio da tramandare ai posteri, anche perchĂŠ di quel transito, del maggio 1968, non restano tracce filmate, nĂŠ audio, ma solo un pugno di fotografie, spesso amatoriali, e le testimonianze di tante persone entrate in contatto con Jimi per ragioni piĂš o meno professionali. Qui ne abbiamo rintracciate e raccolte una buona dose, la parte piĂš esplicita e concreta, una selezione ragionata per fare da contrappeso alle sensazioni piĂš visionarie, conservate nellâintimo da chi ha goduto in qualche modo degli impatti frontali: sono ricordi che, sia pure sfumati e lontani nel tempo, abbiamo verificato e incrociato per valutarne la credibilitĂ e la precisione dei dettagli. Abbiamo cosĂŹ accertato che una torma di italiani fu della partita, a vari livelli di contatto e di contagio. E dato che alcune circostanze non si dimenticano, nĂŠ si rimuovono, ecco che questa invasione degli ultracorpi si rileva di speciale affollamento, per qualitĂ e quantitĂ ben relazionate allâevento, di cui abbiamo ricostruito i particolari minimi relativi a Jimi, Mitch e Noel: negli archivi non sono entrati documenti ufficiali. Questo è il contributo, partecipato nelle fibre piĂš intime e profonde, di due miracolati sulla via delle galassie hendrixiane, che credono fortemente nel pensiero espresso da Gustav Mahler, il quale, interrogato sul valore e il significato della musica e dellâarte delle radici, disse semplicemente: ÂŤLa tradizione è salvaguardia del fuoco, non adorazione della cenereÂť. Ecco Jimi in Italia: un interruttore, un modo per aprire molte porte, toglierci dallâaffanno di musiche alla rinfusa, di orrori e mediocritĂ imperanti. Il rapporto con la chitarra era il suo sogno piĂš profondo, anzi era il suo unico sogno. Lâiridescenza di un rock pronto a sentirsi un giovane corpo scalpitante. Il saluto allâalieno sbarcato tra noi nel maggio 1968 è proprio il sublime insegnamento di quello che siamo stati e di quanto certi incontri ravvicinati ci possano lasciare. E ora alziamo il volume! ÂŤLe idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia.Âť Erasmo da Rotterdam
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Formidabile quellâanno Per (cercare di) comprendere cosa significa il passaggio dalle nostre parti di Jimi Hendrix, bisogna provare a calarsi nella realtĂ italiana del 1968. Sbagliato dire che fosse una societĂ retrograda o antiquata: forse, piuttosto, come Dante aveva definito Caronte nella sua Commedia, quello era semplicemente un tempo ÂŤvecchio, bianco per antico peloÂť. Il tempo che ci spettava, recapitatoci e avuto in ereditĂ dai nostri genitori, con tutte le rigiditĂ , i freni, la polvere del caso. Un numero assai ristretto di accessi radioâtelevisivi (la Rai ammetteva solo due canali per la televisione, rigorosamente in bianco e nero), al punto che per qualche spiraglio bisognava contare su opportune trasmissioni radiofoniche â Bandiera Gialla â o sulla remota eventualitĂ di riuscire a sintonizzarsi su Radio Luxembourg, che di notte aveva una programmazione molto golosa, vincente; o ancora, soprattutto dâestate, su Radio Montecarlo e Radio Capodistria, che a favore di turisti âapparecchiavanoâ trasmissioni e scalette immensamente piĂš avanzate e ârockâ di quelle nostrane. ÂŤLa postazione che ci eravamo ritagliati con Bandiera Gialla â ricordavano Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, i benemeriti conduttori di quel rivoluzionario programma, insieme al successivo Alto gradimento, dove la musica fluiva tra buonissime vibrazioni â era assolutamente privilegiata. Ci facevano fare quello che piaceva a noi, dipendeva dai dischi che riuscivamo a trovare, ma tra rock, beat, rhythm and blues, la libertĂ era massima. Il divertimento stava proprio nello scoprire e nel lanciare nomi nuovi: lâindustria discografica praticamente ancora non esisteva, muoveva professionalmente i primi passi e la nostra passione, competenza, facevano la differenza.Âť La discografia, appunto. La ragione del degrado e dello stato di arretratezza che il mercato avrebbe progressivamente conosciuto in etĂ adulta â diciamo dagli anni Novanta, con il ricorso alla nefandezza delle playlist, percorso obbligato per tutta lâemittenza fm, da un certo punto in poi â in quel 1968 aveva unâincidenza minima, molto relativa. Gli sforzi e le pressioni potevano concentrarsi su qualche manifestazioneâvetrina, buona effettivamente per il business, come il Festival di Sanremo, Disco per lâestate, Cantagiro, Festivalbar. Giochi di potere per guadagnarsi qualche posizione nella hit parade di Lelio Luttazzi e poco piĂš. (Onore alla cronaca: nel 1968 al Disco per lâestate vince Riccardo Del Turco con Luglio, al Cantagiro Caterina Caselli con Il volto della vita e gli Showmen con Unâora sola ti vorrei, al Festivalbar Adamo con Affida una lacrima al vento, mentre a Sanremo si erano imposti Sergio Endrigo e Roberto Carlos con Canzone per te.) I negozi, per chi se li ricorda anche solo perchĂŠ ci passava davanti, erano spesso una somma di materiali disparati: i dischi si vendevano insieme a materiale elettrico o per la casa, o si trovavano nei grandi magazzini, collocati in un angolo apposito, dove i commessi, se gli facevi una domanda, parevano piovuti da un altro pianeta.
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In compenso era consentito ascoltare il 45 giri in vinile e cosĂŹ, se ti piaceva, te lo portavi a casa, buono per il mangiadischi o la fonovaligia, perchĂŠ lâimpianto stereo era un lusso riservato a pochissimi. (Io non ne conoscevo e al massimo, nei mesi delle vacanze, negli stabilimenti al mare ci si approvvigionava dal jukeâbox: una macchina di perdizione di massa, dilagante per tutti gli anni Sessanta, con una diffusione molto sbilanciata, se si pensa che nel 1962 ne erano stati censiti 4.500 in Lombardia e solo 11 in Basilicata.) Ciò detto, non guasti unâocchiata alle posizioni di testa della hit parade nazionale dei 45 giri, che da gennaio a dicembre vede avvicendarsi queste canzoniâregina (cosĂŹ erano definite le prime in classifica): Scott McKenzieâSan Francisco, Stevie WonderâIl sole è di tutti, Don BackyâPoesia, I CamaleontiâLâora dellâamore, ancora Scott McKenzie, Don BackyâCanzone, AntoineâLa tramontana, ancora Don BackyâCanzone (per un mese), e ad alternarsi Antoine e Don Backy, Georgie FameâThe Ballad of Bonnie and Clyde, Brenton WoodâGimme Little Sign, Patty PravoâLa bambola (per oltre un mese), AdamoâAffida una lacrima al vento, Franco iv e Franco iâHo scritto tâamo sulla sabbia, Riccardo Del TurcoâLuglio, Tom JonesâDelilah, ancora Del Turco, ancora Tom Jones, e quindi Franco iv e Franco i. Da settembre per oltre un mese Adriano CelentanoâAzzurro, Gianni MorandiâIl giocattolo, Aphroditeâs ChildâRain and Tears, I CamaleontiâApplausi, Gianni MorandiâTu che mâhai preso il cuor. Le quote di mercato degli album sono assai ridotte e dunque meno rilevanti: comunque in vetta troviamo Gianni 4 di Morandi, Sanremo 1968, x Zecchino dâOro, Enzo Jannacci (Vengo anchâio. No, tu no), Dalida, Patty Pravo, Mina alla Bussola dal vivo. Queste considerazioni permettono un passo indietro, con un esempio di dieci anni prima sulla circolazione della musica e dei dischi, quando una certa benefica febbre nei confronti dellâoggetto comincia a propagarsi. Lâincremento nella produzione di dischi dal 1957 al 1958 (data fatidica, anche per lâaffermarsi di Domenico Modugno a Sanremo con Nel blu dipinto di blu) è di quasi il 50%, con lâinteressante fenomeno degli allegati in omaggio a diverse riviste, âil Musichiereâ, âJukeâBoxâ, âLa Settimana Incomâ, âSettimana Enigmistica Tascabileâ (che regala Passion Flower di Baby Gate, la futura Mina), il settimanale âSorrisi e Canzoniâ che fornisce agli edicolanti una fonovaligia da tenere in esposizione per le dimostrazioni al pubblico. Assistiamo, insomma, a una autentica vampata. Nel 1962 â riferirĂ un articolo del âCorriere della Seraâ â la spesa degli italiani per i dischi supera un ammontare di venti miliardi di lire, cifra di dieci volte superiore a quella degli incassi dei teatri di prosa o di lirica su tutto il territorio nazionale, con percentuali di invenduto, rimasto nei magazzini, praticamente insignificante. Ă la fase in cui il disco cessa di essere un bene di consumo saltuario, per divenire un riferimento di molti, nonostante i prezzi: un 45 giri nel 1960 costa anche 1.000 lire (circa il triplo che negli Usa), a fronte di un reddito mensile medio sotto le 50.000 lire. Il che non arresterĂ unâespansione impetuosa, con impianti, della Lesa ad esempio, che nel 1958, a seconda dei modelli, costano dalle 29.000 a 58.000 lire, mentre lâanno dopo una apparecchiatura stereo della Garis (la famosa fonovaligia) da listino viene 68.000 lire, una fortuna. E deve fare gola a molti se è vero che, giĂ nel 1961, si calcolano circa 14.000 novitĂ allâanno della cosiddetta musica leggera per gli ancora gracili consumatori italiani:
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uno sproposito. Non è improprio parlare di un boom che culla gli appassionati nel nostro Paese: dove nel 1967 si acquistano 39 milioni di dischi, di cui 30 sono 45 giri di musica leggera, nel â68 siamo a 43 milioni. Una stima alla fine dei Sessanta parla di 4.500 case discografiche, di 5.000 negozi di dischi, mentre il settore, tra artisti, autori, distributori e gestori di sale da ballo, impiega almeno 70.000 persone. Il genere della canzone italiana può candidarsi anche a rientrare nei beni di esportazione. Almeno nel caso di Claudio Villa, chiamato a un tour di quaranta date in Unione Sovietica nel 1960, con conseguente album Canta Claudio Villa, che venderĂ la bellezza di 13 milioni di copie, mentre qui da noi si segnala qualche crescente fiammella di interesse per il rockânâroll e per lâofferta oltreoceano. Lo testimonia un dato squillante, Only You dei Platters, che in Italia nel 1959 vende 380.000 copie, un record. (La situazione appare davvero ancora confusa se persino Nilla Pizzi, come ricorderĂ lei stessa, per un certo periodo sarĂ censurata dalla programmazione radiofonica a causa della sua voce troppo moderna e âamericanaâ.) Nel frattempo si sono impennati i numeri relativi a chi ha deciso di abbonarsi alla radio e alla televisione: nel 1962 sono rispettivamente 8.880.000 e 3.270.000, per una curva destinata inesorabilmente a salire. Per la cronaca, nel 2015 gli italiani che pagano il canone sono stati 16.560.000. LâItalia del â68 viene fuori da un decennio di velocissima modernizzazione, coglie i frutti e le contraddizioni degli anni del boom, con gli squilibri del caso. Per via delle migrazioni verso le fabbriche dove trovare lavoro, Torino viene definita una ÂŤgrande cittĂ del sudÂť. I consumi sono una spia eloquente: nel â57 in Italia si producono 370.000 frigoriferi, dieci anni dopo sono 3.200.000; le famiglie con un televisore in casa passano dal 20% nel â61, allâ82% nel â71; i frigoriferi dal 17% allâ86%; le lavatrici passano nello stesso periodo addirittura dal 5% al 63%. E mentre cambiano i modi per spostarsi, lâautostrada A1, la prima linea della metropolitana milanese (inaugurata nel 1964), le automobili crescono nel decennio da 40 a 250 ogni mille abitanti. Ancora dati significativi: nel 1956 gli italiani che andavano a messa la domenica erano il 69%, numeri che crollano nel â68 rispettivamente allâ11% e al 26% per maschi e femmine. Nellâanno scolastico â67ââ68 gli universitari sono 500.000, mentre erano 268.000 nel â60ââ61; raddoppiano le ragazze. Il tasso di analfabetismo è dellâ8,7%, che sale fino al 21% in alcune regioni. Ad aiutare gli italiani nellâistruzione di base, una trasmissione televisiva, Non è mai troppo tardi, a cura del maestro Alberto Manzi: verrĂ chiusa proprio nel 1968, dopo cinque anni di grandi ascolti. Il âCorriere della Seraâ costa 60 lire, il biglietto di un film in prima visione dalle 500 alle 1600 lire, a seconda delle sale. Per molti versi il 1968 è cruciale. Ad esempio, per la televisione, passi timidi ma significativi. Su interessamento dellâallora presidente del Consiglio Mariano Rumor, che sollecita il plenipotenziario Rai Ettore Bernabei, la finale del Festivalbar arriva sul Secondo Programma a mezza sera: registrata a fine luglio, va in onda il 9 settembre. Il dado è tratto. Ma per i dischi è unâaltra cosa. I piĂš determinati e motivati nella ricerca della
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conoscenza sapevano peraltro che nelle rivendite delle grandi cittĂ , ad esempio alle Messaggerie Musicali, da Ricordi o in qualche store â come lo chiameremmo oggi â particolarmente fornito e avveduto, esistevano specifiche postazioni, sorta di cabine con un giradischi dove chiudersi, magari con un amico, per macinare lâintero lp che, dopo averne debitamente succhiato il nettare, potevi restituire, e avanti un altro. Ragione e sentimento. In molti, una prima cultura di base se la procurarono tramite questi curiosi meccanismi di approvvigionamento: so che sembra fantascienza allâincontrario, come calarsi in un episodio del cartoon Gli antenati, ma funzionava â anche discretamente â proprio cosĂŹ. I piĂš fortunati e privilegiati, osservati con cupidigia dal drappello di amici musicofili, potevano contare eventualmente su genitori destinati a recarsi per motivi professionali allâestero o sui fratelli maggiori che per studio passavano magari lâestate in Inghilterra, destinazione giĂ molto gettonata. Facile che da lĂŹ se ne tornassero con qualche disco sottobraccio. Ma in fondo poteva bastare che papĂ dovesse viaggiare in Svizzera: giĂ appena dopo il confine, a Chiasso o a Lugano, esistevano negozi (un poâ piĂš) specializzati. Meta forse meno romantica, ma le prime copie di Are You Experienced? o di Axis: Bold as Love arrivarono cosĂŹ qui da noi, come portate dalla cicogna. Quando i telefonini, i computer, cd, dvd, ma persino la tv a colori e i canali tematici erano conquiste di mondi lontanissimi, persi allâorizzonte della civiltĂ , la rivoluzione si manifestava anche attraverso piccoli frammenti di novitĂ . Termini come Photoshop, social network, password, eâcommerce, online, internet, podcast erano ignoti, mentre iperconnesso, digitale e socializzazione potevano essere scambiati per âbrutte paroleâ e la navigazione era mansione contemplata solo per mare o lungo i corsi dâacqua. Una cartina di tornasole è sempre stato il Festival di Sanremo: lâedizione del â68 seguiva quella, tragica, della morte di Luigi Tenco. Sarebbe cambiato qualcosa o avremmo trovato i ritornelli e le facce di sempre? Entrambe le cose. Dipende dai punti di osservazione. A scorrere lâelenco delle canzoni e dei partecipanti, si direbbe di una pedissequa fedeltĂ al passato, ma la discontinuitĂ sta forse proprio nel risultato finale, che vede svettare un raffinato cantautore gentiluomo come Sergio Endrigo, artista di princĂŹpi e valori sicuramente lontani dalla poltiglia festivaliera. In proposito, commentando la classifica e la vittoria di Canzone per te, in coppia con un valente rappresentante della canzone brasiliana come Roberto Carlos, cosĂŹ autorevolmente scrive la rivista di settore âMusica e Dischiâ: ÂŤSanremo è una tappa importante per il tormentato cammino della canzone italiana, ed è un fatto estremamente positivo che questa volta il giudizio popolare non si sia lasciato accecare dal divetto commerciale o dal cantante alla moda (che in ogni caso potranno rifarsi sul piano delle vendite, beninteso), ma abbia mobilitato la sua scelta con una serietĂ che nessuno, forse, si era attesa. La lezione di Tenco non è stata inutile, dopotutto: e sembra, questa, la conquista piĂš autentica che traspare dai risultati della rassegnaÂť. Si imparerĂ , in quella stagione, a considerare, ad apprezzare il conflitto, con gli attriti che si sviluppano un poâ dappertutto, anche nel vocabolario, dove il suffisso
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âantiâ diventa assai praticato: antiautoritarismo, antiimperialismo, antimilitarismo, antipsichiatria, anticonsumismo. Il concetto di lotta e opposizione sarĂ pane quotidiano, servito con volantini, manifesti, assemblee e il ciclostile come alter ego per molti. Lâaltra faccia della medaglia sta tutta nel pari grado semantico âautoâ: proprio a determinare scelte di libero arbitrio particolarmente in voga saranno autocoscienza, autogestione, autoriduzione e tutto quel che ne consegue. Ma era la comunicazione, a vari livelli, che aveva tuttâaltre regole. E la censura lavorava a tutto spiano: la rivoluzione culturale fa paura. Pare difficile immergersi allâindietro nelle abitudini di quel 1968, quando si usavano i gettoni del telefono e le prime musicassette avevano un sapore di libertĂ totale, perchĂŠ ognuno poteva registrarsi le canzoni preferite, in un anticipo di playlist personale. Non avevamo i videogiochi, ma il flipper e il calciobalilla in qualche bar; invece di cercare fortuna con le lotterie istantanee o le slot machine mangiasoldi, si sperava nel totocalcio, nei numeri del lotto, nella lotteria di capodanno. Gli oratori erano discretamente affollati, anche da chi subiva un poâ la messa e il catechismo, quella di giocare a pallone e vedere il film alla domenica era la massima condivisione possibile. Il gap generazionale era chiaro e netto, molto piĂš di oggi, quando nonni e nipoti hanno usi e costumi assai simili, tatuaggi e orecchini in comune, e comunicano tramite gli stessi social media. Un panorama relativamente recente, mutato in maniera drastica, un modus vivendi popolato di amici e di âmi piaceâ su Facebook o su Instagram: chissĂ quanti ne avrebbe avuti The Star Spangled Banner nella versione battezzata a Woodstock? E come si sarebbe commentato il concerto di Jimi a Milano, a Bologna, a Roma senza fare ricorso a un diluvio di emoji, stelline e cuoricini pulsanti? ÂŤNon fidarsi di quei pensieri che non sono nati allâaria aperta e in movimento, che non sono una festa anche per i muscoli.Âť Friedrich Nietzsche
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Si leggeva sui quotidiani... 23 maggio Siamo reduci dalle elezioni politiche: si è votato la domenica precedente e i dati sono ormai ufficiali, con il centrosinistra che ha confermato la maggioranza in parlamento. Dc 39,1%, Pci 26,9%, Psi 14,5%, Pli 5,8%, Msi 4,5%, Psiup 4,4%. Si contano anche 1.724.000 schede nulle, 1.082.000 bianche. Tra gli eletti, nelle file del Psi, a Milano, anche Eugenio Scalfari. Sono 226 i nuovi deputati, 136 i nuovi senatori: tra i neoâeletti, per il Psiup, anche Fausto Amodei, cantautore di protesta, noto soprattutto per un brano, Per i morti di Reggio Emilia. Sulle prime pagine dei quotidiani le dichiarazioni del segretario della Dc Mariano Rumor e la situazione francese in pieno fermento, con gli scioperi e le proteste che paralizzano Parigi e non solo. Azioni di protesta e scontri si registrano anche allâUniversitĂ Statale di Milano. Tra i film in programmazione Banditi a Milano, Helga, Indovina chi viene a cena?, Quella sporca dozzina, I dieci comandamenti, Grazie zia, Little Rita nel West con Rita Pavone e Terence Hill. In testa alla graduatoria del Disco per lâestate ci sono gli Scooters, con Se fossi re: alle loro spalle Maurizio dei New Dada con Cinque minuti e poi, scritta da Herbert Pagani. A Rotterdam va in scena la finale di Coppa delle Coppe, tra Milan e Amburgo (2â0 con doppietta di Hamrin). Fanno scalpore le notizie di trapianto cardiaco del celebre chirurgo sudafricano Christiaan Barnard. 24 maggio Barricate degli studenti a Parigi. Gli incendi divampano sui boulevard. Scontri e contestazioni mettono alle corde il generale de Gaulle. âLa Stampaâ titola il suo editoriale La dittatura mostra le rughe â Ă iniziato il tramonto. Spicca nelle cronache italiane la nuova legge del 20 marzo che impone lâobbligo di vaccinare i bambini contro il tetano. Nei cieli di Los Angeles esplode un elicottero diretto a Disneyland, morti i 23 passeggeri. In televisione, sul Primo canale, la Tribuna elettorale con i commenti dei risultati, mentre sul Secondo va in onda Unâora con Yves Montand. Al Giro dâItalia, dopo la terza tappa, sul traguardo di Alba, la maglia rosa va a Michele Dancelli. Sulla spinta del successo che con La bambola lâha portata in testa alla hit parade, Patty Pravo esce con un 33 giri e dodici canzoni tra cui uno standard come Old Man River. Allarme al casinò di Sanremo per un americano di trentadue anni, il âProfessoreâ, che vince 30 milioni in tre sere: si sospetta lâuso di un computer per elaborare i dati delle roulette. Il consumo di benzina nel primo trimestre è cresciuto del 9% rispetto allo stesso periodo del 1967. A Dallas viene rubata la lapide di Bonnie Parker, la cui vita, con Clyde Barrow, era stata al centro del film Gangster Story ed entra anche in una canzone di successo, di Georgie Fame, prima in Gran
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Bretagna, a gennaio. A St. Louis, in Missouri, viene inaugurato il Gateway Arch, imponente opera dellâarchitetto Eero Saarinen: 192 metri di altezza e altrettanti di larghezza della base, sarĂ il simbolo della cittĂ . 25 maggio A Parigi divampano i tumulti e de Gaulle dichiara in un breve discorso alla tv che la Francia è minacciata dalla guerra civile. Le manifestazioni studentesche interessano anche gli atenei di Milano e Londra. Per il terzo anno consecutivo, tra proteste e mugugni, scatta lâora legale. La folla in piazza Venezia a Roma saluta lâomaggio del presidente Saragat alla tomba del Milite ignoto. Sul ring montato allo stadio di San Siro, a Milano, Sandro Mazzinghi sfida il pugile coreano KiâSoo Kim per il titolo mondiale dei pesi medi. Se lo aggiudicherĂ lâatleta italiano, con un giorno di ritardo, causa rinvio per pioggia. Si segnala il rialzo dellâoro e il ribasso della sterlina: al cambio ufficiale il dollaro vale 622 lire. Al Lotto esce il ritardatario 14 sulla ruota di Firenze e le vendite sono ingenti, per circa un miliardo. 26 maggio Il centro della capitale francese è devastato: auto e camion bruciati, negozi e cinema distrutti, la Borsa è gravemente danneggiata. Tra le conseguenze delle tensioni che attraversano la Francia anche la sospensione delle pubblicazioni del quotidiano lââĂquipeâ e lâimpossibilitĂ per Juliette GrĂŠco di raggiungere Sanremo dove era annunciato un suo recital. Ultimi studi sulla cromoterapia: anche il colore delle pareti di casa ha importanza per la nostra salute. Clima capriccioso: nellâItalia del nord sembra autunno. Rivelate le caratteristiche delle nuove monete da 20 lire: saranno in bronzital al nichel e avranno il contorno liscio. I Rolling Stones pubblicano Jumpinâ Jack Flash. Nel frattempo, in California, si decide di cancellare la seconda edizione del Monterey Pop Festival per le pressioni della cittadinanza e degli organi di governi locali: si scopre un pesante buco economico nel bilancio della manifestazione di un anno prima. 27 maggio In Francia scarseggiano i beni di prima necessitĂ , olio, farina, benzina (costa 600 lire al litro). Inizia in Germania il processo del talidomide: il farmaco è accusato di aver fatto nascere migliaia di bambini deformi. Intanto calcoli autorevoli dicono che la campagna elettorale è costata 20 miliardi. Nel frattempo i Viet Cong attaccano Saigon con razzi che fanno decine di vittime. Si combatte nella periferia della capitale. Graham Hill vince su Lotus il Gran Premio di Formula 1 di Monaco; velocitĂ 125 km orari: quarto lâitaliano Ludovico Scarfiotti. Fonti bene informate parlano di una crisi coniugale tra Gianni Morandi e Laura Efrikian.
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Venti pezzi facili (per ricordare cosa si cantava nel â68) Affida una lacrima al vento. Salvatore Adamo, ragusano di nascita, figlio di emigranti in Belgio, ha almeno un piccolo capolavoro alle spalle, La notte (1965). Arriva al primo posto della classifica dei 45 giri, trionfa al Festivalbar, incurante del ciclone e del nuovo che sta per arrivare. ÂŤAffida una lacrima al vento / e fa che la porti da me, / il vento mi ha detto stai attento / la tua bella non pensa piĂš a te...Âť
Ho scritto tâamo sulla sabbia. Meteora di provenienza napoletana, con tirocinio in ambito beat poi sfociata in un solo, prepotente hit: Franco iv e Franco i esistono nelle cronache della canzonetta italiana, Ho scritto tâamo sulla sabbia e alzi la mano chi rammenta unâaltra loro incisione. ÂŤHo scritto tâamo / sulla sabbia / e il vento / a poco a poco / se lâè portato via / con sĂŠ. / Lâho scritto poi / nel mio cuor / ed è restato lĂŹ / per tanto tempo...Âť
Avevo un cuore (che ti amava tanto). Calabrese di Fiumara, Mino Reitano ha grande esperienza e un curriculum alle spalle (ad Amburgo nel 1961 batte gli stessi palcoscenici degli emergenti Beatles, nel 1966 è a Sanremo con un brano di MogolâBattisti, Non prego per me, versione doppiata dagli Hollies di Graham Nash): interprete generoso e volitivo, dimostra qui anche le sue qualitĂ di autore. ÂŤAvevo un cuore / che ti amava tanto / che si è perduto / per volerti bene. / Io chiedo a te / di tendermi una mano / e di salvarmi / se lo vuoi.Âť
Il ballo di Simone. Nel novero delle migliori cover âMade in Italyâ, questa che si afferma come il manifesto della bubble gum music, ritmi ballabili, da masticare senza problemi. CosĂŹ la Simon Says degli americani 1910 Fruitgum Company giustifica nella gradevole versione italiana lâesistenza di Giuliano (Cederle) e i Notturni, la cui impronta resta destinata solo ai piĂš accaniti collezionisti. ÂŤBatti in aria le mani / e poi falle vibrar / se fai come Simone / non puoi certo sbagliarâŚÂť
Azzurro. Un vertice assoluto della canzone italiana, con i meriti condivisi tra chi lâha scritta, Paolo Conte, e chi lâha portata al successo, Adriano Celentano, nella memoria incancellabile e trasversale del pubblico. ÂŤCerco lâestate tutto lâanno / e allâimprovviso eccola qua / lei è partita per le spiagge / e sono solo quaggiĂš in cittĂ / sento fischiare sopra i tetti / un aeroplano che se ne vaÂť. Storie di quotidianitĂ tracciate con mirabile incisivitĂ , ÂŤquelle domeniche da solo / in un cortile a passeggiar / ora mi annoio piĂš di allora / neanche un prete per chiacchierar...Âť Casa bianca. Ancora Sanremo 1968, dalle interpretazioni di Ornella Vanoni e Marisa Sannia, tenera voce dalla Sardegna che si rivelerĂ per lâoccasione. Brano al centro di unâannosa diatriba legale sullâassegnazione dei diritti (con lâautore Don Backy protagonista di cause a ripetizione), oggi potrebbe piacere al suo legittimo occupante, Donald Trump: ÂŤTutti i bimbi come me / hanno qualche cosa che / di terror li fa tremare / e non sanno che cosâè. / Quella casa bianca che / non vorrebbero lasciare / è la loro gioventĂš / che mai piĂš ritornerĂ ...Âť Cin cin con gli occhiali. Ode alla leggerezza, opera di Herbert Pagani, artista sfaccettato dalle molte qualitĂ in diversi ambiti espressivi: questo è il suo volto piĂš sbarazzino e sorridente, un tono fresco e garbato, il merito è anche del coautore, un giovane Edoardo Bennato. ÂŤCin cin dai / noi siamo speciali / portiamo gli occhiali / dai vieni con noi... Ragazzina lo sai / dietro i vetri che hai / câè uno sguardo che mette le ali / se un sorriso mi fai / e un bacio mi dai / noi faremo cin cin con gli occhiali.Âť Cinque minuti e poi. Maurizio Arcieri, voce e volto di quei New Dada punta del beat
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nostrano, chiamati ad aprire i concerti italiani dei Beatles e dei Rolling Stones (!), sente stretti i panni della band e presto sceglie la via solista, cinema compreso: non tutto funzionerĂ a dovere, ma intanto raggiunge le vette della hit parade con una ballata drammaticoâpetulante. ÂŤCinque minuti e un jet partirĂ , portandoti via da me. / Cinque minuti per noi / poi anche tu partirai⌠/ Chiamano un nome, sei tu, vaâ, non voltarti mai piĂš / quanto cielo fra noi, è la fine, anche se / mi hai giurato che ritornerai da me.Âť
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Il paradiso. Al culmine di un triennio semplicemente favoloso, dopo Ragazzo triste, La bambola, Tripoli 1969, Patty Pravo piazza unâaltra carta vincente con un pezzo uscito dalla factory MogolâBattisti. La bionda Nicoletta gode di una popolaritĂ per cui potrebbe cantare anche lâelenco telefonico, ma questa è molto meglio: ÂŤIl paradiso tu vivrai / se tu scopri quel che hai / non ti accorgi che / io amo giĂ te.Âť Esportazione: lo rifanno in Gran Bretagna gli Amen Corner, con gran successo. La farfalla impazzita. Il nostro crooner per eccellenza, Johnny Dorelli, si misura con un pezzo esile e lieve come una piuma: al Festival di Sanremo lo presenta in coppia con Paul Anka, ma lâunione non fa la forza e anzi La farfalla impazzita, scritta da MogolâBattisti, viene ingloriosamente eliminata e presto dimenticata. ÂŤOh vola la farfalla impazzita ah ah / sfiora sorridendo la vita ah ah / io lo so ritornerĂ / perchĂŠ lei cerca sempre il sole...Âť Luglio. Fiorentino, senza physique du rĂ´le, non proprio un sex symbol, Riccardo Del Turco dalla sua ha simpatia e comunicativa, doti ribadite in un motivo tra i tanti usciti dalla penna dellâinfallibile Giancarlo Bigazzi. Un sempreverde che privilegia orecchiabilitĂ e rime baciate che conquistano al primo ascolto. ÂŤLuglio col bene che ti voglio vedrai non finirĂ / Luglio mâha fatto una promessa lâamore porterĂ / ... Vieni, da me câè tanto sole, ma ho tanto freddo al cuore / se tu non sei con me.Âť Piccola Katy. Gli eterni Pooh, dei predestinati, fin dai loro primi passi. Dopo un apprendistato tra beat e psichedelia, scocca lâora del riconoscimento di massa ed è subito bagno di folla. Un classicone che fino al loro ultimo concerto è rimasto (giustamente) nel repertorio live: un âmustâ! ÂŤPiccola Katy / stanotte hai bruciato / tutti i ricordi del tuo passato / tutte le bambole con cui
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dormivi / e il tuo diario che sempre riempivi / solo con ciò che faceva piacere / a chi di notte lâandava a vedere.Âť
la gente pensa allâamore / Senti lâestate che torna / senti con tutti suoi sogni / senti lâestate che torna.Âť
Quando mâinnamoro. Dalle zone alte della graduatoria finale del Festival di Sanremo, a cantare è Anna Identici, associata agli innocui americani Sandpipers: motivetto che sembra scivolare via senza lasciare il segno, ma è di prestigio e autorevolezza per la canzone italiana. Fioccano cosĂŹ versioni in spagnolo, francese, giapponese, e numerose cover, da Ray Conniff a Julio Iglesias, fino a Gigliola Cinquetti, Al Bano, Andrea Bocelli. ÂŤQuando mâinnamoro / io do tutto il bene / a chi è innamorato di me / e non câè nessuno che mi può cambiare / che mi può staccare da lui.Âť
Sono tremendo. Uno che lâAmerica la trovò qui in Italia: beneficiato da Arbore e Boncompagni (sua la sigla di Bandiera Gialla, T Bird) e poi dal clamoroso tripudio spettato a Stasera mi butto, Rocky Roberts giostrava con abilitĂ tra rhythm and blues, pop e canzonetta leggera, con savoirâfaire e sorriso a trentadue denti. Tra le sue imprese professionali è da premiare Sono tremendo, bellâesempio di ballabile divertente e senza pretese: ÂŤCon tutte le ragazze sono tremendo / le lascio quando voglio e poi le riprendo / nessuna mi resiste ma mi arrendo / con una come te.Âť
Quarantaquattro gatti. Nella sterminata storia dello Zecchino dâOro, nellâepopea del Mago ZurlĂŹ, sarĂ il frutto piĂš noto, evocato come un mantra, buono anche per imparare le tabelline. Vince la decima straordinaria edizione (in gara anche le indimenticate Valzer del moscerino di una precoce Cristina DâAvena e il Torero Camomillo) una bambina goriziana di quattro anni, Barbara Ferigo, segnata per sempre da quellâapparizione. ÂŤNella cantina di un palazzone / tutti i gattini senza padrone / organizzarono una riunione / per precisare la situazione./ Quarantaquattro gatti / in fila per sei col resto di due / si unirono compatti / in fila per sei col resto di due / coi baffi allineati / in fila per sei col resto di due...Âť Il tormentone dellâinfanzia per eccellenza.
Torpedo blu. Il massimo risultato commerciale della carriera di Giorgio Gaber, a una decina di anni dallâinizio e poco prima di intraprendere la splendida avventura teatrale. Un tocco di fine umorismo, una vena arguta, sottile, da pregiato osservatore del mondo che gira intorno. Scritta con Leo Chiosso, partner privilegiato di Fred Buscaglione: ÂŤVengo a prenderti stasera / con la mia Torpedo blu / è una vera fuoriserie / come senzâaltro sei tu.Âť
Rose rosse. Ă solo un adolescente di belle speranze Massimo Ranieri quando incide nel 1968 Rose rosse, del solito Bigazzi. Subito non succede nulla, ci vorrĂ qualche mese di incubazione per esplodere a dovere, grazie al Cantagiro e a Canzonissima del 1969. A quel punto, si può dirlo, è nata una stella. ÂŤForse in amore le rose non si usano piĂš / ma questi fiori sapranno parlarti di me. / Rose rosse per te / ho comprato stasera / e il tuo cuore lo sa / cosa voglio da te.Âť Scende la pioggia. Sono gli anni di Gianni Morandi, ogni cosa che tocca diventa oro. Televisione, cinema e naturalmente dischi, non conosce confini. Con Scende la pioggia, traduzione da Eleonore degli americani Turtles, vince per la seconda volta Canzonissima, dove sbaraglia il campo con estrema sicurezza. ÂŤScende la pioggia, ma che fa / crolla il mondo addosso a me / per amore sto morendo / amo la vita piĂš che mai / appartiene solo a me / voglio viverla per questo.Âť La tipica filosofia, una specie di carta moschicida, del Gianni nazionale, che nel 1968 piazza pure Chimera, virato anche in un film dal re dei musicarelli Ettore Maria Fizzarotti: ÂŤScrivo giĂ poesie su di te / senza di te, senza me. / Passerò le mie sere cosĂŹ / senza piangere. / Un fiume quando è in piena / travolge il bene e il male / ma torna nel suo letto / e tu con me. / Ma se il mio cuore spera / non sarĂ solo una chimera.Âť Senti lâestate che torna. La via veneziana al progressive, al beat florealeâpsichedelico, conduce allâabbraccio di un gruppo che ha attraversato molte vite e diede il meglio proprio agli esordi. Le Orme puntano sul riff uncinante di un 45 giri fortunato e originale (sul retro Mita Mita, dedicato a una delle protagoniste del Piper romano, lâattrice Mita Medici). ÂŤStasera ti vedo diversa / i tuoi occhi hanno un altro colore / in strada câè aria di festa / ora
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Un angelo blu. Forse la migliore band espressa dal girone della musica italiana negli anni Sessanta: è lâEquipe 84, da Modena, guidati dalla vocalitĂ impareggiabile di Maurizio Vandelli. Bravi nel riprendere, tradotte, le hit angloâamericane, ma anche nel piazzare, dalla via Emilia, pezzi autoctoni. Questo è dellâonnipresente Mogol, anche se i meriti vanno allâatmosfera e arrangiamenti singolari quanto seduttivi. ÂŤUn angelo blu vola in cielo. / Un angelo blu che se fischio torna giĂš. / Un angelo blu e lei lo sa / è tutto ciò che io ho e in gabbia la terrò.Âť Zum zum zum. Ecco un cult della frangia piĂš scanzonata del nostro brodello musicale: disponibile in varie letture, ma la preferita è quella di Sylvie Vartan, bionda interprete, moglie di Johnny Hallyday (uno dei meriti maggiori del rocker francese). Una delle tante intuizioni di Amurri e Canfora, marcetta buona per tutte le etĂ , non a caso perfetta anche per lâesigente platea dei piĂš piccini. ÂŤSarĂ capitato anche a voi / di avere una musica in testa / sentire una specie di orchestra / suonare suonare suonare suonare / zum zum zum zum...Âť. Non mancherĂ il film omonimo, di Bruno Corbucci, protagonista Little Tony. Ps. E se non bastasse, nella colonna sonora del â68 piĂš scanzonato troviamo anche (a prova di YouTube): Angeli Negri (Fausto Leali), Un aquilone (Ricky Gianco), Balla Linda (Lucio Battisti), Canzone (Don Backy), Canzone per te (Sergio Endrigo), Canzone per unâamica (Nomadi), La canzone di Marinella (Fabrizio De AndrĂŠ), Una chitarra cento illusioni (Mino Reitano), Come un ragazzo (Sylvie Vartan), Deborah (Fausto Leali), La gallina (Cochi e Renato), Goganga (Giorgio Gaber), Una granita di limone (Bobby Solo), Ho difeso il mio amore (I Profeti), Io per lei (I Camaleonti), Io vivrò senza te (Lucio Battisti), Lascia lâultimo ballo per me (The Rokes), Mi va di cantare (Louis Armstrong), Il mondo è grigio il mondo è blu (Nicola Di Bari), Nel ristorante di Alice (Equipe 84), Gli occhi miei (Dino), Unâora sola ti vorrei (Showmen), Il ragazzo che sorride (Al Bano), Se perdo te (Gianni Morandi), Siesta (Bobby Solo), Signore io sono Irish (New Trolls), Spaghetti a Detroit (Fred Bongusto), Al telefono (Nino Ferrer), La vita (Shirley Bassey), La voce del silenzio (Dionne Warwick), Il volo del calabrone (Nini Rosso), Il volto della vita (Caterina Caselli). Ascoltare per credere. 27
La canzone politica A spulciare negli archivi, per il comparto della musica a trazione ideologica, quella piĂš schierata e comunemente intesa come âcanzone politicaâ, si trovano pochi titoli rilevanti, con atto di nascita proprio nel 1968. In quel periodo, forse, le energie e la destinazione degli impulsi collettivi andavano non tanto in una direzione discografica, ma piuttosto verso la creazione di una rete, di un circuito omogeneo, di sedi e luoghi comuni, alla ricerca di un clima dove respirare unâaria solidale e riconoscibile. Ecco allora che le realtĂ del Cantacronache, del Nuovo Canzoniere Italiano, dei primi collettivi studenteschi serviranno a stabilire un perimetro, a indicare una semina dove la produzione artistica piĂš schierata potrĂ germinare negli anni a venire. Cantori di lotta e di solida appartenenza come Ivan Della Mea, Fausto Amodei, Giovanna Marini, Paolo Pietrangeli e altri compagni di cordata attivi nella linea dei Dischi del Sole avevano giĂ iniziato ad agire da una sponda di attivismo e di militanza, ma sarĂ poi negli anni Settanta che, tra feste dellââUnitĂ â, manifestazioni, cortei e occupazioni, il loro ruolo prenderĂ quota, definendo per un periodo unâeffettiva alternativa alla dimensione commerciale, una costola impegnata della canzone dâautore nel frattempo emersa con decisione anche sul piano del mercato. A sbirciare nelle classifiche non si direbbe proprio che nella vetrina musicale del 1968 sia filtrato un minimo sintomo delle contestazioni in arrivo: nessun principio barricadiero ad affermarsi, e semmai qualche rivolo del Flower power a riscattare la Summer of love della San Francisco di un anno prima. ÂŤMettete dei fiori nei vostri cannoniÂť, ricordate i carissimi Giganti di Proposta?! Con unâindustria rampante, intenta a scalare i fatturati, si badava a una certa prudenza, per non perdere contatto con il gusto medio nazionale e nessuna rottura poteva essere auspicata per seguire le lusinghe della contestazione. Due articoli assai lucidi di Umberto Eco sullââEspressoâ aiuteranno a inquadrare la temperatura di stagione: Mille chitarre senza protesta (5 febbraio 1967), Nessuno tira piĂš pietre (4 febbraio 1968). Del â68 si occuperĂ , ad esempio, Fabrizio De AndrĂŠ, concentrando le sue attenzioni in un album uscito un lustro piĂš tardi, Storie di un impiegato, ma in genere lâosmosi tra i movimenti e la cultura stretta delle canzoni non avrĂ effetti meccanici. Brani sicuramente entrati nella memoria comune e intonati in scioperi e assemblee, come Contessa e O cara moglie, rispettivamente un inno di Paolo Pietrangeli e di Ivan Della Mea, sono del 1966 e del 1962; Per i morti di Reggio Emilia, di Fausto Amodei, è addirittura del 1960, mentre Alfredo Bandelli e Pino Masi proveranno
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a fare da megafono dalla loro barricata pisana con slogan inequivocabili come quelli contenuti in La violenza (La caccia alle streghe) o La ballata della Fiat. Ă lâimprimatur dato dalla nuova generazione degli chansonnier, dove va annoverata ovviamente anche Giovanna Marini. E mentre gruppi giovani partiti dal rock come i milanesi Stormy Six preparano una carriera votata di lĂŹ a poco al genere politico toutâcourt, le canzoni di certo piĂš significative del â68 italiano sono di Paolo Pietrangeli (Valle Giulia) e di Gualtiero Bertelli (Primo agosto Mestre Sessantotto). Trattasi di vere e proprie instantâsong, dove le strofe e gli accordi si sostituiscono a slogan e volantini di controinformazione, che accompagneranno lâautunno caldo, nellâavvitamento tra tumulti studenteschi, protesta, rivendicazioni sindacali ad attraversare il Paese. Câè lâesigenza di ripensare alla rivoluzione, transitando dallâurgenza di canzoni che accolgono lâaffanno e il desiderio, la ricerca di comunitĂ , per evitare di sentirsi naufraghi nelle mani del Potere. ÂŤ... Hanno impugnato i manganelli / ed han picchiato come fanno sempre loro / e allâimprovviso è poi successo / un fatto nuovo, un fatto nuovo, un fatto nuovo / non siam scappati piĂš, non siam scappati piĂš. / Il primo marzo sĂŹ me lo rammento / saremo stati millecinquecento / e caricava giĂš la polizia / ma gli studenti la cacciavan via / âNo alla scuola dei padroni! / Via il governo, dimissioni!âÂť Sono alcuni versi di Valle Giulia, dove Paolo Pietrangeli, figlio dâarte, poi regista per il cinema e la televisione (Porci con le ali, il Maurizio Costanzo Show), affronta un episodio di cronaca in una canzoneâtazebao. Sono invettive, che fanno da contraltare alla magnifica allegoria di Ho visto un re (Enzo Jannacci + Dario Fo!), documenti di vita vissuta, transfer emotivi dal feedback collettivo possente, che nessun calcolo di copyright potrĂ fotografare correttamente: quella di certi autori diventa una lingua partecipata e condivisa, una tensione forgiata e amplificata a largo raggio, identitĂ e fisionomia di una generazione. Tempo qualche decina di anni e quelle canzoni verranno dismesse, fissate nel ripostiglio del modernariato culturale, ma non del tutto dimenticate o rimosse: aiutano a capire chi e cosa (sp)eravamo, quanto e dove batteva il cuore, come si potesse guardare al futuro. Utopia di nervi, muscoli e sangue, canti, voci ribelli che furono patrimonio di molti. ÂŤNon ti dispiacere perchĂŠ è finita, ma sorridi perchĂŠ è successo.Âť Gabriel GarcĂa MĂĄrquez
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JIMI HENDRIX, MAGGIO 1968 Dopo lâestenuante tour statunitense, 47 cittĂ in 57 giorni, a circa metĂ aprile 1968 gli Experience si riuniscono in sala dâincisione, al Record Plant di New York, per mettere mano al piĂš ambizioso progetto hendrixiano, il doppio album capolavoro Electric Ladyland: è proprio nei primi giorni del mese di maggio che vengono composti e registrati alcuni dei suoi brani piĂš famosi, Voodoo Child (Slight Return), House Burning Down e Long Hot Summer Night e altri meno noti come Cherokee Mist. Fu un periodo di grande creativitĂ ma anche di tensioni, poichĂŠ proprio in quei giorni iniziano i dissapori con Chas Chandler e Noel Redding. Il primo era stanco della testardaggine di Hendrix, che voleva rifare allâinfinito gli stessi brani, anche quelli che giĂ funzionavano bene nella prima versione. Jimi non accettava consigli piĂš da nessuno, quindi, sentendosi impotente, Chas decise di abbandonare il ruolo di produttore dellâalbum. Noel Redding, invece, era stanco di passare lunghe ore nello studio di registrazione seduto ad aspettare che un assolo di chitarra venisse rimixato per lâennesima volta. Sia Chas che Noel erano entrambi infastiditi dalla presenza di altri musicisti e groupies che bivaccavano negli studi di registrazione e disturbavano. In piĂš, i costi delle registrazioni erano lievitati a causa delle interminabili ore in studio e bisognava far affluire nelle casse denaro fresco con cui sopperire alle spese: da qui la decisione di aggiungere al precedente tour alcune date americane e altre europee che sarebbero iniziate proprio dallâItalia. Prima di volare in Europa, gli Experience suonarono due mitici concerti al Fillmore East di New York il 10 maggio e parteciparono, come attrazione principale, allo sfortunato Miami Pop Festival, che si tenne il 18â19 maggio allâautodromo Gulfstream di Hallandale. Il festival era organizzato dal ventiduenne newyorkese Michael Lang, che successivamente divenne celebre per essere lâorganizzatore del Festival di Woodstock. Le violentissime piogge mandarono tutto allâaria, nessuno volle piĂš suonare e i concerti furono annullati. Lâorganizzazione posticipò i pagamenti agli artisti. I musicisti presenti, Frank Zappa, John Lee Hooker, Arthur Brown, in attesa degli eventi, e comunque sotto contratto fino al 20, passarono il tempo facendo unâintensa jam session con Jimi, Noel e Mitch nel club Wreck Bar che stava nel seminterrato del Castaways, lâalbergo di Miami che li ospitava. I mancati incassi dovuti allâannullamento dei concerti provocarono allâorganizzazione grossi problemi di liquiditĂ , per cui non fu pagato lâalbergo in cui alloggiavano i musicisti e questi dovettero andarsene di nascosto per evitare di vedersi addebitare i costi di soggiorno. Noel e Mitch si imbucarono di soppiatto su una limousine diretta allâaeroporto e
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tornarono a Londra, da dove poi sarebbero volati su Milano Linate la mattina di giovedĂŹ 23 maggio. Jimi fu piĂš sfortunato perchĂŠ insieme a Trixie Sullivan, assistente personale di Mike Jeffery (manager di Jimi), rimase âsequestratoâ in camera dal direttore dellâalbergo che intendeva utilizzarlo come ostaggio in attesa di essere saldato: ma i due in qualche modo riuscirono a scappare da una finestra e a raggiungere lâaeroporto. Nonostante le peripezie, forse per il clima creativo della jam session o forse per il cielo grigio e la pioggia torrenziale, a Jimi venne lâispirazione e, mentre lo stavano accompagnando a prendere lâaereo per venire in Italia, cominciò a comporre il testo di Rainy Day, Dream Away.
Rainy Day, Dream Away
Rainy Day, Dream Away
In un giorno di pioggia, sogna ad occhi aperti
Hey man, take a look out the window ânâ see whatâs happeninâ Hey man, itâs raininâ Itâs raininâ outside man Aw, donât worry âbout that Everythingâs gonna be everything Weâll get into somethinâ real nice you know Sit back and groove on a rainy day Yeah Yeah I see what you mean brother, lay back and groove
Ehi amico, dai unâocchiata fuori dalla finestra e guarda che succede. Ehi, amico, sta piovendo Sta piovendo lĂŹ fuori amico. Ah, non ti preoccupare di questo. Tutto può prendere unâaltra piega. Sta per succederci qualcosa di interessante, capisci? Siedi qui e goditela in un giorno di pioggia SĂŹ, mmh SĂŹ, capisco che intendi, fratello, rilassati e goditela.
Rainy day, dream away Ah let the sun take a holiday Flowers bathe anâ ah see the children play Lay back and groove on a rainy day Well I can see a bunch of wet creatures, look at them on the run The carnival traffic noise it sings the tune splashing up ânâ Even the ducks can groove rain bathinâ in the park side pool And Iâm leaninâ out my window sill digginâ everything And ah and you too
Sogna ad occhi aperti in un giorno di pioggia Ah, lascia che il sole si prenda una vacanza I fiori si bagnano e guardano i bambini giocare Rilassati e goditela in un giorno di pioggia Beh, riesco a vedere un bel mucchio di creature bagnate, guardale mentre scappano Il frastuono del traffico di carnevale, canta, piovono le lacrime E anche le anatre possono spassarsela La pioggia scroscia nella piscina accanto al parco E io mi sporgo dal davanzale della mia finestra osservando tutto Anche te
Rainy day, rain all day Ainât no use in gettinâ uptight Just let it groove its own way Let it drain your worries away yeah Lay back and groove on a rainy day hey Lay back and dream on a rainy day
Giorno piovoso, ah, piove tutto il giorno Non è il caso di innervosirsi Lascia che si diverta a modo suo Lascia che ti porti via le tue preoccupazioni, sÏ Rilassati e goditela in un giorno di pioggia Ehi. Rilassati e sogna in un giorno di pioggia
JIMI HENDRIX, MAGGIO 1968
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In realtĂ , Hendrix nasce nel 1942 a Seattle nello stato di Washington. âĂ in arrivo Jimi Hendrix, il negro che suona la chitarra con i dentiâ
Chiedetemi tutto, ma non di gettarmi con il paracadute! âGiovaniâ, 23 maggio 1968.
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JIMI HENDRIX, MAGGIO 1968
âMancano pochi giorni alla partenza e Jimi Hendrix si sta davvero entusiasmando. Mentre gli parlo, i suoi occhi magnifici si accendono di fuoco. ÂŤVoglio davvero superare me stesso quando canterò per i ragazzi italiani. Io e i miei Experience faremo scintille!Âť... Jimi Hendrix è un tipo favoloso. Ve ne accorgerete tra poco. Quando canta il suo Hey Joe non câè nessuno che riesca a star fermo con i piedi. Andate a sentirlo e vedrete!â George Russell
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Il tour italiano della Jimi Hendrix Experience del maggio 1968 fu organizzato da Massimo Bernardi e Oscar Porri, ai tempi tra i piĂš importanti promoter nazionali. La loro è stata una mossa dettata piĂš dalla passione per la musica di Hendrix che da vere esigenze di business, anche perchĂŠ, in quel periodo, Hendrix era relativamente conosciuto, la maggioranza dei giovani adorava i gruppi beat e impazziva per il rhythm and blues. Il tour venne annunciato giĂ un paio di mesi prima dalle poche testate specializzate dellâepoca, che erroneamente segnalarono date anche a Napoli e Torino. La stampa italiana era impreparata e descrisse Hendrix come un selvaggio, un eccentrico, una devianza della cultura beat, senza molto curarsi della sua musica. Partendo per lâItalia, Noel incontrò Eric Barrett, roadie dei Nice, e gli offrĂŹ la possibilitĂ di sostituire Neville Chesters, con gli Experience dai tempi del tour con i Monkees, che aveva abbandonato a metĂ aprile alla fine dei concerti americani. I concerti italiani furono quindi lâinizio del lungo sodalizio tra Eric e Jimi. Quando il 23 maggio del 1968 giunse nel nostro Paese, Jimi Hendrix era praticamente allâapice della sua breve carriera. Jimi atterrò allâaeroporto di Milano Malpensa intorno alle 10 di mattina del 23 maggio 1968 con un volo twa, in ritardo di oltre due ore, proveniente da Miami via New York. Ad attenderlo, oltre a un paio di fotografi professionisti mandati dalla casa discografica e a una giovanissima giornalista allora sedicenne (Daniela Cohen), câera un gruppetto di curiosi che si erano attardati convinti che stesse arrivando Cassius Clay. Hendrix era stanchissimo e chiese di essere subito accompagnato in albergo, lâHotel Windsor in via Galileo Galilei 2 a Milano, dove, giunto verso mezzogiorno, venne a sapere che tutta la strumentazione era stata bloccata per âcontrolliâ e quindi il concerto pomeridiano probabilmente sarebbe saltato: cosĂŹ, dopo essersi registrato allâhotel, decise di andare a dormire. Gli altri membri degli Experience, Noel Redding e Mitch Mitchell, insieme ad accompagnatori e tecnici, erano invece sbarcati a Linate, provenienti da Londra. Al viaggio in Italia partecipò anche la sorella di Noel Redding, Vicky. Intorno alle 16, Leo Wächter, fondatore del Piper, si presentò in albergo pretendendo che Hendrix si facesse almeno vedere al locale, poichĂŠ, a suo dire, i ragazzi del concerto pomeridiano minacciavano di sfasciare il locale. Hendrix, che stava riposando, si irritò moltissimo per essere stato svegliato dopo poche ore di sonno: non riusciva a capire il motivo per cui dovesse dirigersi al Piper dato che non
Ciao Big, maggio 1968
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poteva suonare, ma alla fine Daniela Cohen e Massimo Bernardi lo convinsero e, visto che Jimi non aveva ancora mangiato, dopo un breve pranzo insieme a Noel Redding si diresse al locale. Qui trovò una scena apocalittica: i possessori dei biglietti del primo spettacolo (cancellato a causa dei ritardi nelle procedure di sdoganamento delle attrezzature), che dovevano uscire per far entrare quelli del secondo concerto, non sentivano ragioni, neppure lâidea di essere rimborsati li smuoveva. Non câerano alternative: dentro tutti! CosĂŹ la capienza del locale (circa 400 persone) venne quasi raddoppiata. Nonostante ciò, molti furono costretti a rimanere fuori: anche per questo si creò un caos incredibile. Jimi parlò brevemente al pubblico, firmò molti autografi, si mescolò tra la gente parlando amabilmente con i fan e naturalmente posò per fotografie con molte persone, inclusi diversi dipendenti del locale. Verso le 19, Jimi e Noel tra la confusione generale sgattaiolarono fuori dal Piper e tornarono allâHotel Windsor, dove erano convocati per alcune session fotografiche: un veloce cambio dâabito e poi intorno alle 21 di nuovo al Piper per il concerto. Il primo set della Jimi Hendrix Experience, fissato per le 16.30, era stato annullato poichĂŠ lâattrezzatura era bloccata alla dogana di Linate: quindi, dopo i supporter Wess & The Airedales e la Bo Boâs Band, iniziò una lunga attesa, e poco prima delle 22.30 la jhe salĂŹ finalmente sul palco. Il club era pieno allâinverosimile, allâinterno si stava pigiati come sardine e qualche centinaia di persone furono costrette a restare allâesterno, con o senza biglietto. In base alle varie testimonianze, possiamo ricostruire la scaletta: la jhe suonò Killing Floor, Stone Free, Fire, Hey Joe, I Donât Live Today, Foxy Lady, Red House, Manic Depression, Purple Haze e finĂŹ il concerto con Wild Thing: purtroppo non esistono registrazioni della performance. Dopo il concerto ci fu il solito via vai di giornalisti, fan, amici e curiosi assortiti: Jimi ritrovò una vecchia amica newyorkese, Yvonne o Luna, che ai tempi faceva la modella a Milano ed era anche fidanzata di Victor Sogliani, bassista dellâEquipe 84. Ă lei che gli presentò Ines Curatolo. Ines propose a Jimi di andare a Villa Bodoni, residenzaâcomune dellâEquipe 84, rifugio di musicisti e poeti, dove insieme passarono buona parte della notte.
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All’Hotel Windsor: Jimi Hendrix e Noel Redding con Daniela Cohen.
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Jimi Hendrix arriva in Italia RENZO ARBORE Devo ricordare che fui io a battezzare Jimi Hendrix in Italia, con Hey Joe, trasmettendolo nel mio programma radio Per voi giovani: ero abbonato alla rivista âBillboardâ e mi arrivavano i dischi della classifica americana Hot 100. CosĂŹ, indipendentemente dalle case discografiche italiane, io trasmettevo queste canzoni. Io ero un appassionato di soul â James Brown, Arthur Conley, Joe Tex, Rufus Thomas, Four Tops, Diana Ross e tutti gli altri â e quando ascoltai Jimi Hendrix non capii subito il suo ruolo di rivoluzionario che aveva modificato il rock; la sua musica era un poâ piĂš âoscuraâ per me. Ma Hendrix era un autentico innovatore, solo successivamente lo compresi e lo apprezzai moltissimo. Sono molto contento di averlo lanciato in Italia, di averlo conosciuto e visto allâopera a Roma e sono rimasto profondamente turbato dalla sua prematura dipartita: chissĂ oggi cosa farebbe con la sua straordinaria chitarra se fosse ancora qui. MASSIMO BERNARDI In quegli anni mi arrivavano da Londra una ventina di dischi alla settimana in esclusiva per lâItalia e quando sentii Hey Joe, brano di un nuovo artista, un certo Jimi Hendrix, fui molto colpito. Volevo saperne di piĂš su questo musicista e appena ho potuto sono andato a Londra per incontrarlo: una persona simpaticissima, molto divertente. Risalii al suo impresario e gli dissi: ÂŤVoglio Jimi Hendrix in ItaliaÂť. Firmammo il contratto e lâunica cosa di cui mi rammarico è non aver inserito i diritti televisivi. Non mi sarebbero costati e oggi avremmo un filmato della sua visita in Italia. Ă cosĂŹ che nacque tutto: non fu facile trovare locali idonei dove far suonare la jhe. Quasi nessuno li conosceva e a Milano trovammo solo il Piper, un locale molto piccolo. OSCAR PORRI Sebbene Hendrix fosse un artista poco noto in Italia, a me e al mio socio Massimo Bernardi interessava molto. CosĂŹ ci recammo in un locale di Londra per sentirlo suonare e ne rimanemmo entusiasti, con lâintenzione di portarlo nel nostro Paese. Lâagenzia era la William Morris. Ci ricevettero freddamente, ma poi trattammo un poâ sulle cifre e alla fine ci accordammo. Mille sterline per ogni giorno di permanenza di Jimi nel nostro Paese (nel suo libro, Noel Redding parla di un compenso di 3.747 sterline per i soli quattro concerti romani, NdA), fissando subito anche le date: i giorni compresi tra il 23 e il 27 maggio 1968. Hendrix era una persona molto gentile. Tornati in Italia per organizzare il tour, la cosa si rivelò tuttâaltro che semplice: ai tempi non esisteva un circuito di teatri o spazi per il live, se volevi sentire un cantante o un musicista dovevi andare al night e fu un poâ un esperimento farlo suonare in un teatro, al Brancaccio.
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Un concerto di Jimi Hendrix sarebbe stato uno scoop per la stampa, almeno cosĂŹ pensavamo: non fu proprio cosĂŹ, però sapevamo quanto potesse valere. Noi speravamo in un grande battage pubblicitario, tramite il nostro ufficio stampa diretto da Franca Borasio di âNovella 2000â. E quando alla Polydor, che era la sua casa discografica, chiedemmo un aiuto, ci diedero solo qualche centinaio di manifesti: dal punto di vista economico fu una grossa scommessa, perchĂŠ tutto era sulle nostre spalle, praticamente senza nessun appoggio. ERIC BARRETT Tornai a casa sbronzo alle 4 di mattina, ero stato tutta la sera al Blaises, dove incontrai Noel Redding e Gerry Stickells che mi proposero di andare con loro in Italia come roadie di Jimi Hendrix. Gli dissi che ci avrei pensato. Invece, dopo poco che ero rientrato, ricevetti una chiamata da Gerry, il quale mi diceva di muovere le chiappe se volevo andare con loro a Milano. Con un terribile mal di testa mi recai in ufficio a Londra e di corsa allâaeroporto per il volo per lâItalia. FABIO TREVES Lâamore per Jimi, per quanto mi riguarda, è datato giugno 1967: da circa un mese era uscito Are You Experienced? e io mi trovavo a Londra, in un alberghetto di Crystal Palace. Ai primi di luglio mi capitò finalmente di sentire un suo concerto, controllavo i giornali e le locandine e lâappuntamento era al Marquee Club, il tempio della musica rock, in Wardour Street. Lâimpressione fu immediatamente straordinaria. Io mi ero allenato giĂ con lâalbum e anche sintonizzandomi sulle radio inglesi, che bombardavano soprattutto due pezzi, The Wind Cries Mary e Purple Haze, usciti solo come 45 giri. In quellâoccasione, tra lâaltro, trovai Noel Redding che avevo giĂ visto alla guida di un proprio gruppo, come supporter di Georgie Fame in un piccolo locale, da Toftâs: scoprii che Noel era nativo di Folkestone, la cittadina dove ero solito passare le vacanzeâscuola estive. Ma davanti a Hendrix tutti erano destinati a scomparire. Nel disco le note erano scarse e quindi si partiva con una fortissima curiositĂ : chitarristi bravi ne giravano, da Eric Clapton a Peter Green, ma uno che garantisse quella mole di effetti nessuno se lo poteva immaginare. Anche perchĂŠ insieme a suoni inattesi circolava una musica molto potente sul palco del Marquee. La passione per Hendrix si alimentò in seguito e io stesso contribuii a diffondere il mito in Italia, portando le prime copie di quel disco e riuscendo a procurarmi gli altri appena venivano pubblicati sul mercato inglese. Non si può dire che ci fosse fermento giĂ in quei primissimi mesi di attivitĂ , intorno a Hendrix: eppure dalla struttura dei pezzi, dalla forza, dalla messa a fuoco del materiale, sia su disco, sia dal vivo, i piĂš capivano che Jimi non sarebbe stata una meteora. Non poteva essere un bluff: suonare in trio è complesso e in mancanza della tecnologia, con i soli volumi dellâamplificazione, il wah wah e i riverberi, quello che combinava Hendrix aveva dellâincredibile. La formula era classica, amplificatori Marshall e chitarra bianca Stratocaster, e molti di noi, musicisti in erba, si innamorarono subito di quei marchi. Da parte mia tentai di seguirlo anche dal vivo, ma non si avevano notizie precise, le informazioni sul rock erano scarse o nulle: si sapeva di alcuni concerti in Olanda e in nord Europa, ma mai niente di chiaro che consentisse
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di mettersi in viaggio. Poi, un bel giorno, allâimprovviso, la notizia che sarebbe comparso in Italia. Da noi non era affatto una superstar: qui il rock arrivava di striscio, mentre imperavano sempre Gianni Morandi, Caterina Caselli, il Festival di Sanremo e per i gruppi lo spazio risultava limitato. Per salutare la venuta di Jimi, sui muri di Milano furono affissi dei manifesti a cura della Polydor, con il testone ricciuto di Hendrix, abbastanza clamoroso per unâepoca in cui non si usava quel tipo di promozione e io, insieme ad altri, mi ritrovai di sera a staccare con il taglierino quei poster preziosi: il segno che non ero solo. Hendrix era stato annunciato al Piper di viale Alemagna, un luogo ideale, perchĂŠ lâacustica soddisfacente e la possibilitĂ di vedere il proprio beniamino da vicino avrebbero permesso di gustarsi lo spettacolo. Come si usava a quei tempi, le repliche dovevano essere due, alle 16 e alle 21, ma nel pomeriggio di quella giornata di metĂ maggio Hendrix non suonò. GIUSEPPE GROTTI A quei tempi lavoravo a Malpensa e quella mattina fui incuriosito da una piccola folla tra cui spiccavano alcuni fotografi carichi della loro strumentazione: stavano aspettando un personaggio importante e qualcuno mi rispose che forse stava arrivando Cassius Clay, cosĂŹ rimasi in attesa anchâio. Dopo un poâ invece sbucò questo tizio, alto, magro, capelli lunghi con due mèches bionde, che mi rimase impresso per la maniera stravagante in cui era vestito e per un grosso apparecchio radio. Per me fu una delusione, non era Cassius Clay, ma un musicista americano. DANIELA COHEN Conobbi la musica di Jimi lâanno prima (1967) da alcuni parenti a Parigi e mi innamorai subito di lui. Ero una liceale e scrivevo degli articoli per âCiao 2001â: appena seppi che Jimi Hendrix sarebbe venuto a Milano, pensai di approfittare del mio status di giornalista e di andare a prenderlo allâaeroporto per fargli unâintervista e delle foto. Mi recai alla Malpensa ad attendere Jimi Hendrix con due amici, Marilena ed Eugenio. Eravamo lĂ alle 8 della mattina ma lâaereo della twa aveva un ritardo di almeno due ore. Oltre a noi tre, câerano anche due fotografi ufficiali e un dirigente della Polydor. Alle 10.30 circa Jimi arrivò da solo, indossava un cappello nero, giacca di velluto blu, camicia viola con frange, jeans azzurri e due medaglioni al collo, era bellissimo. Un grande caos: nessuno di quelli della Polydor che erano venuti ad accoglierlo sapeva una parola dâinglese e, in piĂš, alcuni passanti si erano avvicinati, incuriositi dai fotografi, e si chiedevano chi fosse quel negro che stava arrivando. Visto che lĂŹ ero lâunica in grado di comunicare con Jimi, mi offrii allora di fargli da interprete e fui invitata a salire con i miei amici sulla limousine (sei porte, con tanto di autista) che doveva accompagnare Hendrix allâhotel. Jimi era stravolto dal viaggio e desiderava solo riposarsi. Durante il tragitto dalla Malpensa a Milano diceva: ÂŤBello, bello, sembra il New JerseyÂť. Mi disse di non conoscere quasi niente dellâItalia e mentre si guardava attorno un poâ spaesato gli scattai delle foto. Della cittĂ di Milano Jimi praticamente non ha visto niente perchĂŠ siamo andati di filato allâhotel, aveva bisogno di rinfrescarsi, si sentiva a disagio dopo oltre dodici ore di viaggio. Dopo poco, provenienti da Londra, arrivarono anche Mitch e Noel. Avendo saputo che gli strumenti e lâamplificazione erano fermi in dogana e che probabilmente il concerto delle 16.30 non ci sarebbe stato, Jimi andò in camera sua per dormire un poâ.
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Il Piper, giovedĂŹ pomeriggio DANIELE BISAZZA A quel tempo qualunque appassionato di Jimi si sarebbe entusiasmato nel sapere che Jimi sarebbe venuto in Italia a suonare! A diciassette anni avevo ormai consumato i suoi dischi. Non fu facile convincere mio padre a lasciarmi andare a Milano, ma eravamo in tre e mi fu permesso di partire con il treno delle 6.35 da Vicenza per Milano. Ovviamente alle 11 del mattino al Piper era tutto chiuso, ma suonammo alla porta nella speranza che qualcuno ci aprisse. Fummo fortunati, câera una bella signora anziana a cui chiedemmo di acquistare i biglietti per il concerto pomeridiano. Non li aveva e non poteva aiutarci, ma poi, intenerita dalla giovane etĂ e dai visi imploranti, ci trattò come una madre premurosa: pagammo a lei il prezzo dâingresso e ci scrisse a mano tre lasciapassare per lâentrata al concerto. PiĂš tardi, quando si aprirono le porte, câerano due casse e presentai quel mio foglietto dicendo che me lo aveva rilasciato la ÂŤsignoraÂť. Il cassiere allora si consultò con il suo collega vicino: ÂŤcambia, cambiaÂť e mi diede il biglietto. Davanti al palco câera giĂ gente che si era presa una sedia e stava seduta comodamente. Le ore passavano e Jimi non arrivava.
Piantina firmata da Jimi Hendrix. In alto a destra, al numero 13, il Piper, il locale del Palazzo dellâArte, sede della Triennale, sito sulla destra rispetto allâentrata principale del Palazzo stesso.
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ALEX SCHIAVI La prima volta che udii il nome di Jimi Hendrix fu a casa di un piccolo promoter musicale milanese (si chiamava Freddy Torta e abitava in viale Monza). Ci parlò di questo musicista di colore e, prima di ascoltare il disco (Hey Joe), tutti noi pensammo: ÂŤCazzo, un altro gruppo di rhythm and blues, coi fiatiÂť. Invece Freddy ci corresse: ÂŤNo, è una cosa tutta nuova, uno che suona la chitarra in trioÂť. Ebbene, io rimasi letteralmente fulminato. Avevo finalmente scoperto come e in che modo avrei voluto suonare la chitarra. Tutti i giorni andavo alle Messaggerie Musicali di corso Europa, e finalmente, nel settembre 1967, arrivò lâlp Are You Experienced?, che immediatamente comperai. Quindi, non potevo di certo perdermi il suo concerto a Milano, per niente al mondo. Nel 1968 portavo i capelli lunghi e frequentavo abitualmente il Piper di Milano. Mi ricordo che quel giorno câera un bel sole caldo, fui uno dei primi ad entrare: sebbene il primo concerto fosse previsto per le quattro e mezza del pomeriggio, io, alle due, appena aprirono la biglietteria, ero giĂ lĂ . Allâinterno del locale câerano due palchi, quello su cui doveva suonare Jimi dava
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sul giardino: alla sinistra, un corridoio che portava alle cucine e serviva anche da backstage per gli artisti. Appena dentro, con disappunto, notai che il palco era vuoto, non câerano batteria, amplificatori o strumenti di alcun genere. Il tempo passava e il pubblico aumentava, ma delle attrezzature nemmeno lâombra, a circa unâora dallâinizio del concerto; una cosa molto strana. Sullâaltro palco aveva iniziato a suonare il gruppo del locale, Wess and The Airedales, ma nessuno di noi ci fece caso e a tutti venne lâatroce dubbio di essere stati presi in giro. GIORGIO LANZANI Ă lâuna di pomeriggio, fa caldo, io esco di casa e corro verso il metrò: vado a vedere Jimi! Al parco Sempione, sono emozionatissimo: giĂ alle due câè molta gente, ragazzi e ragazze con minigonne vertiginose. Entro e aspetto in piedi a una decina di metri dal palco. Poco dopo un annuncio: ci sarĂ un ritardo perchĂŠ gli strumenti di Jimi sono fermi da qualche parte. Passa il tempo, suona Wess con gli Airedales, poi un giovane chitarrista bianco emulo di Jeff Beck con chitarra slide. Jimi non câè, manca lâaria. DANIELE BISAZZA Le ore passavano e Jimi non arrivava. Ricordo una canzone, Black Cat, che diceva ÂŤportate via quel gatto, gatto neroÂť; è stata suonata talmente tante volte che mi è rimasta in testa come unâossessione.
Allâesterno del Piper, giovedĂŹ pomeriggio.
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ITALO GNANI Conobbi la musica di Jimi Hendrix attraverso un collega di lavoro, il cui fratello era batterista del gruppo di Ricky Belloni, che allâepoca aveva in repertorio alcuni pezzi di Jimi. Andai al concerto con mio fratello, non avremmo mai potuto mancare: pur essendo fan dei Rolling Stones, per noi lâidolo era lui, Jimi Hendrix. Eravamo al Piper alle 12, câera giĂ parecchia gente e molta altra ne arrivò. Aprirono alle 14: ricordo di un ragazzo che esibiva a braccia tese la copertina dellâalbum Axis: Bold as Love come un manifesto. Nella sala câera un gruppo che suonava su uno dei due palchi, ma su quello destinato agli Experience non câerano neanche gli strumenti e questo ci insospettĂŹ. SANDRO GAMBA Ero un giovane studente e avevo appena conosciuto la musica del grande Jimi, pur essendo fan di Yardbirds, Ten Years After, e di tutta la musica anni Sessanta che si poteva ascoltare per radio attraverso Per voi giovani o leggendo âCiao amiciâ. Con alcuni amici andammo il pomeriggio al mitico Piper per ascoltare Hendrix, ma dopo lunga attesa venne annunciato che il concerto non si poteva fare perchĂŠ gli strumenti erano bloccati alla dogana dellâaeroporto per sospetta droga. Sconforto massimo, eravamo accompagnati dal genitore di un nostro amico e non potevamo aspettare fino a sera per il prossimo concerto. Nel pubblico anche Maurizio Arcieri allora in auge con Cinque minuti e poi. Tornammo a casa delusi. EZIO GIONCO Come spesso succedeva in quegli anni, la dogana pensò di controllare gli strumenti per andare a âcacciaâ di droga. Alcuni sostengono che Jimi non voleva suonare nel pomeriggio, per cui accampò quella scusa, ma molti anni dopo incontrai Leo Wächter e mi confermò che il rinvio del concerto pomeridiano era stato effettivamente causato da problemi sollevati dai finanzieri. Per cui aspettammo tutto il pomeriggio lâarrivo della strumentazione. Lâunica cosa che mi ricordo con precisione era lâattesa snervante che succedesse qualcosa: arrivò la comunicazione ufficiale che lo show del pomeriggio era definitivamente saltato e chi voleva poteva, con lo stesso biglietto, assistere a quello serale. A quel punto telefonai a casa per ottenere il permesso da mia madre di restare: ricordo ancora, come fosse oggi, lâeccitazione che mi pervase quando si ebbe la certezza che Jimi avrebbe suonato. ROBERTO MARESCA A quei tempi andavo al liceo. Ho ascoltato Hendrix per la prima volta su un nastro magnetico, a casa di Eugenio Finardi, che era appena tornato dagli Usa: il brano era Rock Me Baby di B.B. King (ma io non conoscevo lâoriginale) e mi turbò irrimediabilmente! Impossibile pensare di non andare al concerto, dopo aver ascoltato qualche centinaio di volte Are You Experienced?! Ci sono stato con gli amici di Baggio. Dato che il concerto pomeridiano era saltato, abbiamo deciso (io, Ricky Belloni e altri amici) di âoccupareâ il Piper, invece di accettare la resa del prezzo del biglietto (anche perchĂŠ al pomeriggio costava 1.500 lire, mentre alla
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sera 3.000!). Ero un habituĂŠ del Piper e devo dire che il pubblico era da discoteca, ma preparato, anche perchĂŠ gli artisti che normalmente accompagnavano i balli erano di notevole valore. Tra questi Thane Russal (che sembrava Brian Jones e si muoveva come Mick Jagger), Bad Boys (robusto gruppo uk, di cui ricordo il batterista scozzese Bernie Martin), Dave Anthonyâs Moods (altro ottimo ensemble britannico con sezione fiati e abbigliamento rigorosamente vittoriano). LILLO GIOVARA Insieme alla fotografia, la musica da sempre è stata la mia grande passione, tantâè che giĂ nel 1965 avevo fondato un Beatles Fans Club che presto era diventato un punto di ritrovo per i musicisti beat della provincia. Il club era in un piccolo locale a Gallarate e alla domenica organizzavamo concertini e festicciole: ben presto diventai anche il fotografo ufficiale dei gruppi beat che frequentavano il club. Il giorno del concerto faceva caldo e volevo essere tra i primi a entrare per prendere un buon posto per scattare delle foto, cosĂŹ, insieme a un amico, intorno a mezzogiorno presi il treno per Milano. Arrivati, il locale era ancora vuoto, cosĂŹ mi accaparrai un posto tra il colonnato alla sinistra del palco dove Hendrix avrebbe suonato. Lâattesa per il concerto fu snervante. Il tempo passava e tra il pubblico qualcuno era anche molto incazzato, quando dal palco si sentĂŹ annunciare: ÂŤGuardate che Jimi Hendrix è quaÂť; poi Leo Wächter cominciò a spiegare che per problemi doganali il concerto pomeridiano non si sarebbe potuto tenere e da parte dei gestori del locale câera la volontĂ di rifondere il prezzo dei biglietti. DANIELE BISAZZA La storia per noi tre avrebbe potuto avere una triste fine. Il rimborso del biglietto pomeridiano non ci permetteva di acquistare quello della sera, perchĂŠ il costo era maggiore e non avevamo soldi. Ma ecco la grande idea di cercare di nuovo la signora, che, vedendoci affranti, ci aiutò di nuovo. Invece di uscire con il resto del pubblico, diede ordine di restare tutti e tre in giardino. Avremmo cosĂŹ potuto restare al concerto della sera senza uscire e pagare un nuovo biglietto. Un vero angelo. Fantastico! CosĂŹ, attraverso i vetri, potemmo vedere il montaggio degli strumenti. ROBERTO FERRARI Quel giorno la Milano musicale era in fermento, una mattina di telefonate agli amici per andare al concerto insieme! Al pomeriggio eravamo tutti lĂŹ al Piper, si incrociavano gli sguardi. Dentro era talmente affollato che non potevamo neanche muoverci, interminabile lâattesa. Nessuno protestò per il rinvio alla sera, avevamo capito perfettamente quale fosse stato il problema. Con un amico, come al solito curiosi, andammo nel retro dove era parcheggiato il camion con gli strumenti. A un certo punto uno ci grida: ÂŤHey man! Help us to bring the tools, weâre lateÂť. Non lo lasciammo neanche finire di parlare che giĂ avevamo in mano due testate Marshall di Jimi: le portammo sul palco e restammo lĂŹ a vedere il backstage.
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FABIO TREVES Intanto il palco veniva allestito davanti ai nostri occhi, batteria Ludwig per Mitch Mitchell e una parete di otto amplificatori. RENZO CHIESA Ero giovanissimo, avevo appena diciassette anni, quando quel caldo pomeriggio del maggio del â68 andai al Piper di viale Alemagna per vedere Jimi Hendrix, piĂš per curiositĂ che altro, dato che fino ad allora conoscevo Jimi in maniera un poâ superficiale. Lo avevo giĂ sentito per radio, raramente, oppure nei jukeâbox e, quando venivo invitato alla festa di qualche amico che aveva i suoi dischi, chiedevo sempre di ascoltarli. Io ero squattrinato e non potevo permettermi di comprare i long playing. Nonostante questo, però, Hendrix mi incuriosiva. Ero attratto da quel suo alone di mistero, quel fascino esotico. Era nero, suonava la chitarra in modo rivoluzionario come nessuno prima di lui, viveva in maniera poco ortodossa, era stato un paracadutista. PAOLO CARĂ Leo Wächter era incazzatissimo con noi del pubblico pomeridiano e usò parole molto forti e pesanti per cercare di convincerci a tornare la sera. CARLO ACQUISTAPACE Jimi lâho conosciuto, musicalmente parlando, alle Messaggerie Musicali di Milano, dove andavo spesso per sentire in anteprima i nuovi 45 giri di quei musicisti che a me interessavano, ma che purtroppo erano irreperibili nei jukeâbox, forse perchĂŠ troppo poco commerciali: un giorno vidi esposta, dietro il bancone dei dischi, una copertina che attirò subito la mia attenzione. Si trattava del suo secondo 45, Purple Haze. Appena messo sul giradischi, capii che quella sarebbe stata la mia musica, quella che avrebbe accompagnato la mia vita, addio caro beat! Al Piper Club in viale Alemagna di Milano ho passato, soldini permettendo, la maggior parte delle mie domeniche, dallâapertura del locale, allâinizio del 1966, fino circa alla fine del â68. Ad ogni modo, era giĂ da piĂš di un anno che seguivo le notizie su Jimi sulle riviste musicali, per vedere se caso mai avrebbe fatto una visita nel nostro Paese con la sua band: un bel giorno appresi che ci sarebbe stato un tour in Italia, passando anche da Milano. Programmai la presenza al concerto per le ore pomeridiane, mi sentivo come intorpidito, in stato di trance. A un certo punto si sparge la voce che Jimi non avrebbe potuto suonare per via di problemi con la dogana, dove erano bloccati tutti gli strumenti: rifiutammo il rimborso del biglietto per la mancata esibizione, ero cosĂŹ eccitato dallâidea di vedere Jimi che anche se mâavessero preso a pedate nel sedere non mi sarei mosso da lĂŹ. CosĂŹ fu, fino a quando finalmente non annunciarono che Jimi Hendrix sarebbe salito sul palco dopo pochi minuti. DANIELA COHEN Verso le 17 arrivò Leo Wächter, il responsabile del Piper. Era isterico e urlava. Diceva che nel suo locale stava succedendo una rivoluzione e che tremila ragazzi minacciavano di devastare il club se non avessero visto Jimi Hendrix. Il manager, invece, diceva che Jimi non sarebbe venuto a suonare senza i suoi strumenti e Leo
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Wächter di rimando: ÂŤDeve venire, deve almeno farsi vedere, sennò mi sfasciano il localeÂť. CosĂŹ andarono a svegliare Jimi che si incazzò tantissimo. Non riusciva a capire perchĂŠ tutto quel casino, per lui non aveva senso andare al Piper se poi non poteva suonare, chiese allora qualcosa per tirarsi su: non sapevo cosa fare, allora un mio amico si offrĂŹ di procurargli della simpamina. Jimi intanto si era cambiato dâabito e si era sistemato i capelli e alla fine scese nella hall: siccome non aveva ancora mangiato, chiese di poter pranzare. Il Windsor aprĂŹ le sue cucine per Jimi e il suo entourage. Restavo lâunica a parlare inglese e per questo sono sempre rimasta con lui, in macchina, in albergo e anche al ristorante, perchĂŠ in hotel non câera nessuno che lo capisse: si mangiò un bel piatto di cannelloni, poi, sebbene ci fosse anche del pollo e della carne, disse che era sazio. Mentre Jimi era al ristorante, cominciai a scattare delle foto, ma mi disse per favore di non procedere per un fatto di privacy, chiedendomi di non pubblicare quei pochi scatti privati: e fu per questo che ci accordammo per una session fotografica, piĂš tardi, nel giardinetto dellâhotel. Quindi verso le 18, insieme a Noel Redding, salimmo in macchina per dirigerci al Piper. Lungo il tragitto Jimi era ancora intontito per il viaggio e tutto il trambusto in hotel. Era anche seccato del fatto che lâorganizzazione fosse molto carente e non aveva con chi lamentarsi, perchĂŠ tanto nessuno lo capiva. In compenso era molto contento delle pastiglie che gli aveva procurato il mio amico. Quando arrivammo al Piper, la folla ci saltò subito addosso. Io avevo troppa paura di uscire dalla macchina: non câera un servizio dâordine, nemmeno un poliziotto. La polizia è arrivata alla sera, quando la tensione era salita ancora. LILLO GIOVARA Jimi fece una fugace apparizione sul palco, poi se ne andò via. Rimasi colpito dalla sua persona, innanzitutto mi sembrava diverso da come lâavevo visto in foto, aveva i capelli piĂš corti e poi quelle mèches bionde. Fui spiazzato dalla sua âtimidezzaâ, sembrava si stesse scusando per il mancato concerto; me lo immaginavo un duro. DANIELE BISAZZA Quando Jimi finalmente arrivò, fu grande gioia per tutti e per me un forte batticuore vederlo finalmente in carne e ossa. Ricordo anche bene che uno dei ragazzi del pubblico si era portato la copertina di Axis: Bold as Love e si fece fare lâautografo. Che fortuna! Aveva avuto un ricordo tangibile di Jimi! FABIO TREVES Alla fine passarono davanti a noi i musicisti, lâattesa era stata premiata: il clima era molto disteso, alcuni di noi si fecero intorno a Hendrix e agli altri. Qualcuno ebbe lâautografo, un altro ricevette consigli per la sua chitarra, uno un plettro, un altro ancora si mise in posa con Jimi per una fotoâricordo. Non esisteva, insomma, il distacco divistico delle rockstar e questo ci mise nelle condizioni migliori per gustare la serata. La sorpresa piĂš impressionante fu vederlo accanto a noi: nel mio delirio di fan estremo credevo che Jimi fosse un colosso, un macigno grande e grosso con una forza straordinaria. Tutta immaginazione, perchĂŠ non câerano video, nĂŠ film a disposizione. Invece, era un ragazzo normale e anche la capigliatura classica, che ricordavo da Londra, si era molto ridimensionata senza quella cotonatura che gli
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aveva gonfiato la chioma nelle foto ufficiali. Ricordo che mi avvicinai a lui e la prima cosa che mi venne in mente di dirgli fu: ÂŤLo sai che anchâio sono nato il 27 novembre come te?Âť; e lui, invece che scrollare le spalle o, peggio, mandarmi a quel paese, mi abbracciò: una cosa impensabile. RICCARDO RADAELLI Insieme a due amici suonavamo in un complessino rock e ci esibivamo nei locali intorno a Lugano. Il mio cavallo di battaglia era Hey Joe e, appena ebbi notizia che Jimi Hendrix si sarebbe esibito a Milano, decisi di andare a vederlo. Purtroppo non ero autonomo e per venire in Italia, a Milano, câerano dei problemi. Convinsi cosĂŹ mia madre ad accompagnarci con la sua auto; arrivammo al Piper nel primissimo pomeriggio. Eravamo in attesa del primo concerto, faceva caldo e il tempo non passava mai. La confusione e la tensione aumentavano, quando improvvisamente si creò un parapiglia: al momento non capii, poi realizzai che era arrivato Jimi Hendrix. Câerano giornalisti che gli facevano domande, fan che volevano toccarlo, gente che chiedeva autografi. Fortunatamente, da casa portai la mia macchina fotografica ed ebbi la prontezza di spirito di fare 13 scatti ravvicinati a Jimi. Ricordo, tra la gente attorno a Hendrix, Maurizio Arcieri dei New Dada. Il concerto al pomeriggio era saltato e verso le 19 mia madre tornò per riportarci a casa, non potevamo fare nulla per rimanere. Mi consolava solo di aver visto Jimi da vicino e avere un buon bottino racchiuso nella macchina fotografica. Sono foto di cui sono fiero e al contempo ne sono gelosissimo. In tutti questi anni solo pochi le hanno viste. Uno dei ragazzi che era con me, un poâ piĂš intraprendente, un paio dâanni dopo, nella primavera del 1970, si interessò per organizzare un concerto di Jimi a Lugano. Scrisse al manager di Jimi e gli fu proposta una data nel settembre dello stesso anno, in coda al tour europeo. Però, data la nostra inesperienza e lâelevata cifra richiesta, 30.000 franchi svizzeri, non se ne fece nulla. Mai avremmo immaginato che Jimi sarebbe mancato cosĂŹ presto. GIANNI CIUFFINI A quei tempi facevo lâoperaio in unâazienda tipografica e spesso ero al Piper perchĂŠ suonavano i Dik Dik, i Camaleonti e i Pooh. Vidi Jimi Hendrix sia la mattina che la sera, ma non mi entusiasmò molto perchĂŠ io andavo lĂŹ per ballare e quando ha suonato lui non si poteva ballare! ROBERTO MARESCA Fugace apparizione di Jimi al pomeriggio: garbato, quasi timido! Lo immaginavo piĂš alto, ero affascinato dallâabbigliamento e da quelle ciocche bionde. RENZO CHIESA Dopo una lunga attesa venne sul palco anche Hendrix a spiegare che non avrebbe suonato senza la sua strumentazione. Intanto rimasi sconcertato per le mèches color giallo oro che aveva tra i capelli, che in qualche modo incrinavano lâimmagine un poâ ieratica che mi ero fatto di Jimi. Comunque, sperando di sentirlo suonare dal vivo, decisi di rimanere per il concerto serale. Avevo portato con me la mia piccola e preziosa macchina fotografica, volevo essere vicino al palco per riprendere Jimi.
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BAMBI FOSSATI Partimmo da Genova per vedere Jimi Hendrix, per niente al mondo me lo sarei perso. Anche se avevo solo diciassette anni, guidai il maggiolone del mio amico per andare a Milano. Non avvisammo nessuno, tanto che mio padre ci denunciò ai carabinieri. Prima del concerto riuscii a vederlo e, non sapendo cosa dire, gli chiesi una sigaretta: lui mi diede una Philip Morris che ho conservato gelosamente. ITALO GNANI Dopo una lunga attesa, a un certo punto, dopo le 17, Jimi arrivò per spiegare che vi erano stati dei problemi ma che il concerto ci sarebbe stato alla sera; cosĂŹ Jimi salutò e sparĂŹ. Molti si fecero dare indietro i soldi, noi preferimmo tornare alla sera. RICKY MAIOCCHI Ero al Piper per il concerto pomeridiano. Hendrix arrivò nei camerini e mi spiegò i motivi per cui non poteva suonare. Lui non sapeva neanche che da noi esistessero dei complessi, di italiano conosceva solo Mario Del Monaco, ma di gruppi non aveva proprio idea. Abbiamo bevuto qualcosa, gli ho fatto conoscere due mie amiche (con una delle quali, fra lâaltro, ha avuto una storia) e la sera, dopo il concerto, ci siamo trovati per andare a casa di una di loro, dove abbiamo fatto una festicciola, una cosa molto tranquilla. Mi regalò un battipenna e tre pickâup, che poi credo siano finiti ad Alberto Radius della Formula 3. Non mi ricordo di aver visto molti musicisti, solo Maurizio Arcieri e Milena CantĂš. IVANO TONINI Ai tempi non conoscevo Hendrix, sebbene fossi un musicista, e suonavo con la Boboâs Band. Da tre mesi eravamo fissi al Piper. Jimi entrò nel camerino insieme a Yvonne, la fidanzata di Victor della Equipe 84, e subito adocchiò la mia Fender Telecaster, la provò e mi disse che anche lui aveva fatto per molto tempo il turnista e non sempre era andata liscia, anzi fu molto dura. GABRIELE POLETTI Mi innamorai subito della musica di Jimi Hendrix. Appena sentii Hey Joe, corsi immediatamente a comperare il 45 giri. Sin dalle prime note si capiva che era diverso dagli altri chitarristi, anni luce di distanza dagli altri musicisti dellâepoca. Avevo diciotto anni e suonavo la chitarra in un complessino beat. Tra le varie canzoni in scaletta ce nâerano anche un paio di Jimi, tratte da Are You Experienced?. Come seppi che Jimi Hendrix avrebbe suonato a Milano, mi organizzai per andare al Piper per assistere al concerto serale. Convinsi cosĂŹ Luigi, il nostro bassista, ad accompagnarmi: sulla mia 124 CoupĂŠ, ci avviammo alla volta di Milano e trovai da parcheggiare a due passi dal Piper. Quando aprirono, mi ricordo, feci una gran corsa per entrare e prendere un buon posto. Una volta allâinterno, però, vidi che câerano giĂ un centinaio di persone rimaste dal pomeriggio. I tecnici stavano sistemando i Marshall e qualcuno mi disse che gli amplificatori erano appena arrivati. Per un poâ ci fu lâandirivieni sul piccolo palco del Piper, che quasi scompariva con quella montagna di amplificatori, poi uno dei tecnici prese la chitarra di Jimi, la collegò, fece due accordi e se ne andò. Poi piĂš niente. Passò unâora, forse piĂš, lâambiente era buio e sempre piĂš affollato, caldo, fumoso. Non ne potevamo piĂš.
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DANIELA COHEN Dopo il bagno di folla pomeridiano, verso le 19 siamo tornati in albergo e solo allora Jimi si è rilassato. Fuori, in giardino, abbiamo scattato alcune foto, câerano anche dei giornalisti che lo intervistarono. VICKY REDDING Jimi e mio fratello Noel, una volta in albergo, uscirono per delle session fotografiche nei giardini dellâhotel con Daniela e un altro giornalista, mentre io li aspettavo al bar. LĂŹ câera una donna, credo texana, e scambiammo qualche parola. Poi arrivò il marito che disse: ÂŤSai, ci sono dei finocchi sul prato qua fuori che si fanno fotografareÂť; io molto arrabbiata risposi: ÂŤGuardi, mi scusi, ma una di quelle persone è mio fratello e non è affatto una checcaÂť.
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Il Piper, il concerto DANIELA COHEN Per la sera lo hanno chiamato verso le 21; nel frattempo ero rimasta sempre lĂŹ, poi sono di nuovo andata con lui al Piper. Non ha mangiato in albergo: lo hanno proprio trascinato fuori... Erano tutti isterici â gli organizzatori, quelli della casa discografica â non si capiva piĂš niente. Tutti se ne volevano lavare le mani. Wächter era completamente fuori di testa, terrorizzato da quello che gli stava capitando. Un disastro, tutti con la voglia di distruggere il locale, se non avessero potuto entrare a vedere Jimi Hendrix. Cosa, dâaltronde, fisicamente impossibile; câera gente praticamente attaccata alle lampade, ai muri, fuori nel giardino, da tutte le parti. Hendrix disse che se si doveva suonare cosĂŹ poteva anche farne a meno. Era il caos totale. Non riuscĂŹ nemmeno a fare il soundâcheck: scaricati gli strumenti, li hanno montati subito. I suoni facevano schifo. Non si sentiva niente da nessuna parte. Che fosse impossibile suonare in quelle condizioni me lo aveva giĂ detto Jimi dopo aver visto quel che stavano combinavano... Prima di cominciare a suonare, continuò a far dentro e fuori dalla cucina, praticamente il suo camerino. EZIO GIONCO Leo Wächter, che mi conosceva, mi vide e disse: ÂŤHey, lazzarone, vuoi conoscere Jimi Hendrix?Âť e mi portò nelle cucine: câera Jimi che prima del concerto stava mangiando un bel panino con la mortadella. Nel mio scarno inglese riuscii solo a chiedergli se gli piacesse e lui rispose che era molto buono. GABRIELE POLETTI Finalmente una luce illuminò il palco, lâannunciatore disse: ÂŤEccovi la Jimi Hendrix ExperienceÂť. Jimi stava collegando la chitarra e armeggiando con gli amplificatori, poi si avvicinò al microfono e disse qualcosa del tipo: ÂŤIs it too loud?Âť (Ă troppo rumoroso?). Le parole non si sentivano assolutamente, lâimpianto audio era pessimo. La voce era coperta dal volume dei Marshall. Sicuramente suonò Foxy Lady, Hey Joe, Fire, Stone Free, Red House e Can You See Me, canzoni che conoscevo giĂ allora molto bene. Lâambiente era sovraffollato, câera gente dappertutto, persino nei corridoi dei bagni, poveracci, chissĂ che potevano sentire. Lâacustica era terribile, difficilmente si riusciva a cogliere la voce di Jimi quando cantava.
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VICTOR TOGLIANI Avevo il biglietto per il concerto pomeridiano, saltato per i noti problemi. Insieme ad alcune decine di ragazzi, io e Daniele decidemmo di resistere e di non muoverci fino allâinizio dello spettacolo serale. Grazie a Mario, il padre di una mia amica, ci infilammo in un lungo corridoio nascosto che portava a una porticina, con accesso ai camerini. Una folata di luce e vediamo Mitch Mitchell e Noel Redding seduti davanti agli specchi, con al fianco due ragazze ciascuno per cotonare i capelli. Seduto su una cassa di legno, in un angolo, Jimi stava accordando la sua Fender Stratocaster bianca. Mario, avvicinandosi a lui, me lo presenta e Jimi mi porge la mano: io quasi soffoco dallâemozione. Rimasi in catalessi per settimane, basito anche per la tecnica sulla chitarra, che vidi mentre suonava sul palco. Ci volle del tempo per riprendermi... DANIELE BISAZZA Alla fine Jimi entrò, aveva la Stratocaster bianca e una sigaretta accesa in bocca. Qualcuno del pubblico gli tese la mano e lui gliela diede. Ero talmente vicino a Jimi che se mi allungavo un poâ sarei riuscito a toccare le sue scarpe. Un concerto immenso, strepitoso. LILLO GIOVARA Alla sera era una vera bolgia e per posizionarmi meglio presi una sedia, la misi sul tavolino. Da lĂŹ sopra avevo una buona visuale per le mie foto. Quando Jimi giunse verso le dieci di sera, ci fu una brevissima presentazione e iniziò subito il concerto: durante la sua esibizione masticava un chewing gum e con noncuranza faceva uscire dei suoni incredibili dal suo strumento. PiĂš che aver suonato con i denti o tra le gambe, mi impressionò la scioltezza e lâaffiatamento con gli altri membri della band: bastava infatti uno sguardo e il gruppo lo seguiva. RENZO CHIESA Io ero nella prima fila in piedi, a circa cinque metri da Hendrix, nel pubblico ricordo Ricky Maiocchi e i Camaleonti. Qualcuno salĂŹ sul palco, collegò la strumentazione e, dopo un tempo che a me parve unâeternitĂ , gli Experience arrivarono sul palco per iniziare a suonare. Durante le prime canzoni, i tecnici erano indaffarati a sistemare volumi, cavi e spinotti. Hendrix dirigeva gli altri due musicisti del gruppo con cenni e sguardi. Rimasi colpito dalla sua maestria, dalla sicurezza e dalla scioltezza che aveva nel maneggiare il suo strumento: lasciava impressionati, indipendentemente dal fatto che la sua musica piacesse o meno. PIERO CERRI A Milano la cultura underground era molto viva, e io ero uno di quei ragazzi che aveva deciso di liberarsi di tutte le convenzioni borghesi per andare a vivere in una comune in corso Magenta: era un via vai di gente e tutti insieme con una colletta
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acquistammo un giradischi, ovviamente tra i vari dischi che gli amici portavano câera anche Jimi Hendrix e lo si ascoltava spesso, perchĂŠ la sua musica ti faceva veramente viaggiare. Seppi che la jhe avrebbe suonato a Milano grazie al passaparola tra amici, ma sebbene apprezzassi la sua musica non ero molto convinto di andare al concerto, perchĂŠ, erroneamente, pensavo che il concerto sarebbe stato inferiore ai dischi. In pratica, non pensavo che dal vivo potesse riprodurre quei suoni pazzeschi. Poi, invece, decisi di seguire i miei amici. Ammetto che mi dovetti ricredere, Jimi era dieci volte meglio del disco, unâesplosione, una cosa davvero grandiosa. ROBERTO MARESCA Una cosa la ricordo molto bene: con un semplice distorsore e un pedale wah wah, ha fatto cose che non sento fare oggi con i multiâeffetti piĂš sofisticati! La cosa che letteralmente mi ha colpito di piĂš è stato il volume, a cui neanche lui sembrava abituato, con la faccia che si contorceva in una serie di tic: il suo modo di interagire con il pubblico era potente, ti guardava negli occhi e sembrava tirarti a sĂŠ; ogni tanto (anzi spesso) fissava una ragazza, con atteggiamento inequivocabile, estroflessione e movimento ritmico della lingua! Non ho cercato di avvicinare Jimi dopo il concerto, ero troppo timido per farmi avanti. ITALO GNANI Alla sera la sala era straripante e quando, dopo le 22, il gruppo arrivò, Jimi dominava la scena con la sua presenza. ChissĂ per quale ragione lo vedevo altissimo di statura, il suono era parecchio alto e ogni tanto armeggiava con gli amplificatori per trovare il giusto equilibrio. Di Jimi mi colpĂŹ il suo sguardo semplice e buono, la velocitĂ delle lunghe dita sulla sua chitarra: ho anche apprezzato Noel Redding al basso e la bravura scatenata di Mitch Mitchell alla batteria. CARLO ACQUISTAPACE Mi ricordo benissimo che ero posizionato in unâangolazione che mi permetteva di vedere Jimi sul suo lato sinistro. Noel e Mitch li ho solo âsfioratiâ con lo sguardo, il fulcro era lui, Jimi e quello che usciva dalla sua Fender bianca. Anche se dalla mia posizione lâascolto non era proprio ottimale, il sound che usciva dalla casse lâho percepito proprio come lo avevo sentito sui dischi. Lâunica distrazione durante il concerto è stata quando ho intravisto qualcuno (Eric Barrett o Gerry Stickells) che cercava di tenere in bilico un Amp che per motivi di ressa cominciò a ondeggiare verso la sponda del palco. ROLANDO GIAMBELLI Tanti anni fa suonavo la chitarra, come âsolistaâ, nei Some Souls, un gruppo pop di cinque amici amanti del blues e del rock. La mia carriera di solista finĂŹ la sera che scoprimmo Are You Experienced?. Avevo capito che suonare cosĂŹ mi sarebbe stato impossibile, ma divenni un appassionato
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estimatore di Jimi Hendrix al punto da cercare tutto ciò che registrava e andare a sentirlo in concerto âliveâ pochi mesi dopo, a Milano, il 23 maggio 1968, durante quella breve, ma indimenticabile, tournĂŠe. Dopo oltre trentâanni avevo anche scoperto con piacere di essere stato fotografato casualmente sul palco di Jimi Hendrix, accanto a un suo amplificatore Marshall durante il movimentato concerto milanese al Piper in Parco Sempione. Nellâoccasione, aiutai Noel Redding ad allacciare la cinghia del basso che si era sganciata durante lâesecuzione di una scatenata Stone Free. RENZO CHIESA Suonò dietro la testa, con i denti, tra le gambe, la strapazzò veramente quella povera chitarra. Quando il concertò finĂŹ, avevo le orecchie che mi fischiavano, però ero soddisfatto, non avevo mai sentito o visto una roba simile. DANIELE BISAZZA Quasi alla fine del concerto, tutti noi seduti ci alzammo in piedi e questo gesto fece indietreggiare Jimi sul palco, fino a tirarsi dietro anche il pedale wah wah. RICKY GIANCO La cosa che mi ricordo meglio del concerto di Hendrix, a parte le canzoni piĂš famose da lui suonate, fu che a un certo punto qualcuno cercò di salire sul palco. Erano tutti accalcati vicino al palco, e un tipo che cercava di toccare Jimi: lui, probabilmente infastidito, gli ha dato un colpo sul muso con la paletta della chitarra e quello è caduto. Però devo dire che nessuno si è scomposto piĂš di tanto e Jimi ha continuato a suonare imperterrito. GABRIELE POLETTI Il piccolo palco era assediato dal pubblico, mi ricordo che câera un esagitato durante il concerto che cercava di toccare i piedi, le gambe, i distorsori di Jimi. Se avesse potuto si sarebbe aggrappato a una sua gamba. Hendrix, a un certo punto, si vede che si era stufato, ha mimato di tirargli un calcio. Questo tizio non si è piĂš azzardato ad avvicinarlo... Jimi stava suonando da oltre unâora e il volume era assordante. Cercai di restare fino alla fine per poi avviarmi verso lâuscita. Ai cancelli, gli Experience stavano salutando il pubblico annunciando lâultima canzone Wild Thing. EZIO GIONCO Non ho parole per descrivere il concerto: fu un crescendo di emozioni. Ricordo che il concerto finĂŹ con Wild Thing dei Troggs che era in origine una canzoncina. Incredibile, rimasi a bocca aperta, la versione di Jimi fu invece cosĂŹ estrema, selvaggia e ne conservo ancora una memoria indelebile. PIERO CERRI Alla fine del concerto Jimi è sceso dal palco e lĂŹ lâho visto molto bene, lâho guardato e lui aveva questa faccia terribile, brutta, tirata. Era sfatto, sudato. La cosa mi ha
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ferito al cuore perchĂŠ è caduto un mito; parafrasando Guccini in una nota canzone, ÂŤgli eroi sono tutti giovani e belliÂť. Invece vedevo la tensione e la stanchezza di un uomo che aveva dato tutta la sua energia per quel concerto. IVANO TONINI Fu davvero un concerto incredibile, peccato che i suoni fossero discutibili: dâaltronde câera un impianto base su cui tutti dovevano lavorare, lo stesso Jimi Hendrix fu obbligato a utilizzare un Semprini. Ebbi lâidea, dâaccordo con il tecnico audio, di piazzare un cavetto al mixer e registrare il concerto. Ne feci anche qualche copia a degli amici, però il nastro originale mi fu rubato insieme alla mia 500 qualche mese piĂš tardi, dopo una sera al Santa Tecla. DANIELA COHEN Durante il concerto ho fatto proprio fatica a rimanere lĂŹ. Sono stata nelle cucine a fare qualche foto da lontano. Ho molta paura della folla, sin da piccola non mi è mai piaciuto quando câè veramente troppo casino. Poi avevo paura per la macchina fotografica, che cadesse in tutto quel trambusto. A un certo punto, erano le 23, vidi comparire mio padre, che mi obbligò ad andare via a concerto non ancora finito. Però, devo dire la veritĂ , non si sentiva niente. Una pessima acustica. Jimi era furibondo. ERIC BARRETT Il concerto di Milano fu il mio primo giorno di lavoro per la jhe. Lâequipaggiamento tecnico era in pessimo stato perchĂŠ Jimi aveva appena finito un tour americano; i coni delle casse erano mezzi fusi, le valvole degli amplificatori erano andate e la scarsa potenza dellâalimentazione non faceva funzionare bene le testate Marshall e Sound City. Hendrix era arrabbiatissimo e, nel corso di ogni brano, mi urlava di tutto: ÂŤChe stai facendo? PerchĂŠ non funziona niente?Âť. Io ero costretto a rispondergli: ÂŤNon lo so, non lo soÂť. Non sapevo che pesci pigliare. La frustrazione era tanta e a un certo punto ho persino pensato di lasciar perdere e di andarmene. Ă stato Gerry Stickells a calmarmi e a dirmi di non mollare. Probabilmente attribuendo al solo sistema di amplificazione tutti i problemi tecnici, ho esagerato cosĂŹ come ha fatto Jimi nel dare esclusivamente la colpa a me. Ad ogni modo, Hendrix, a fine concerto, si è scusato: mi ha detto che non aveva capito che io non câentravo e che comunque non urlava a causa mia. Sono bastati i cinque giorni del tour in Italia per conoscerlo meglio, per andarci dâaccordo, cominciare a volergli bene e capire quello che stava cercando di fare. NOEL REDDING Lâalimentazione andava e veniva su e giĂš come uno yoâyo e Jimi urlava di continuo. PoichĂŠ suonavamo con il volume a 10 e gli alti e bassi completamente aperti, gli amplificatori duravano allâincirca per un concerto. I miei Sunn erano meravigliosi, anche se Jimi era partito con 75 watt, adesso aveva sei casse Marshall con 4 altoparlanti da 12 pollici ognuna, ne provai una anchâio, ma non potevo sopportare il
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volume. Aveva inoltre 4 amplificatori Marshall da 100 watt e gadget vari: distorsori, wah wah, univibe e octavia. ALVARO FELLA Anchâio fui tra quelli che avevano scelto il concerto pomeridiano, costretto poi ad attendere la sera nei giardini dietro il locale. Appunto perchĂŠ ero stato tra i primi ad arrivare, riuscii a mettermi proprio sotto il palco, in una posizione perfetta per assistere alla performance, e anche per entrare in alcune foto che ritraggono il pubblico assiepato. In quel periodo militavo come cantante in un gruppo, gli Stato dâanimo, dove suonavano anche il futuro batterista dei Jumbo e il futuro chitarrista dei Maxophone. Nel nostro repertorio câerano i pezzi degli Experience, da Fire a Foxy Lady, e tra i tanti motivi di curiositĂ avevamo anche quello di sentire gli originali. Lâesibizione fu stratosferica, Jimi aveva volumi altissimi, faceva di tutto con la chitarra, sfregandola sullâasta del microfono a simulare lâatto sessuale e ricavando suoni incredibili con lâutilizzo del solo wah wah. Il pubblico non credeva ai suoi occhi, anche perchĂŠ allâepoca tutti erano abituati ai complessi beat, molto piĂš composti e ordinati. Oltre alla musica, era la modalitĂ degli Experience nello stare sul palco a colpire. E poi Jimi, per andarsene, lanciò in aria la chitarra, che, ricadendo, produsse distorsioni e rumore: qualcosa di veramente straordinario.
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âPIERINOâ Quando Hendrix scese dal palco, insieme a Ines Curatolo e al mio amico Lorenzo lo seguimmo entrando nei camerini, saremmo stati una decina di persone non di piĂš. Io non ebbi il coraggio di rivolgergli la parola un poâ perchĂŠ non conoscevo bene lâinglese e un poâ perchĂŠ mi sentivo in soggezione. Jimi era sudatissimo e dopo un poâ tolse la camicia fradicia e la appoggiò su una sedia. Era una camicia viola con i volant e io, che ai tempi ero un ragazzino, pensai che sarebbe stata una figata averla. CosĂŹ con disinvoltura mi avvicinai e la presi. Ovviamente uscii subito insieme al mio amico e âcompagno di crimineâ Lorenzo. Una volta fuori, era sera e buio, la nascosi per evitare che qualcuno cercandola me la trovasse addosso. Dopo poco sentiamo delle imprecazioni ad alta voce: ÂŤFuck bastards... fuck motherfuckersÂť. E il mio amico mi dice: ÂŤĂ Jimi Hendrix incazzato per la camiciaÂť. Era proprio lui, fuori di sĂŠ, non capivo letteralmente quello che diceva ma sicuramente un sacco di parolacce e ad alta voce. Ă andato avanti cosĂŹ fin quando è arrivato un taxi e lui e Ines Curatolo sono saliti. Allora io e il mio amico ci siamo detti: ÂŤMa quante storie, Jimi, per una camicia, con tutte quelle che avraiÂť. La storia ebbe un seguito, Ines immaginò che fossi stato io e non mi rivolse piĂš la parola.
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INES CURATOLO Ho conosciuto Hendrix a Milano dopo il suo concerto tramite unâamica di colore che allâepoca era qui in Italia: Luna era una famosa modella newyorkese e lo conosceva. Mi propose di andare a vederlo, io avevo solo sentito qualche sua canzone. Non ero una sua fan, ma lo sono diventata dopo il concerto. Alla fine dello spettacolo siamo andate nel camerino a salutarlo. Essendo amiche di Leo Wächter, avevamo libera circolazione nel suo locale. Ci siamo presentati, poi siamo finiti a casa e lĂŹ è rimasto tutta la notte. Il giorno dopo partĂŹ per Roma, dove non potevo esserci, perchĂŠ a quei tempi facevo la deejay in un locale a Milano. Lo rividi la domenica a Bologna.
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MAURIZIO VANDELLI In via Bodoni câera la villa che noi dellâEquipe 84 avevamo preso in affitto vicino a piazzale Accursio, ed era una villa straordinaria in stile liberty, un punto di riferimento per molti artisti piĂš o meno famosi. Da lĂŹ sono passati tra gli altri Andy Warhol, Georgie Fame, Allen Ginsberg e anche Jimi Hendrix. Però devo chiarire che Hendrix non venne per trovare me, ma venne con unâamica, Ines Curatolo. Per me non era cosĂŹ importante e conosciuto in quel periodo da dargli tanta attenzione: poi non parlavo molto bene lâinglese e facevo fatica a capirlo. Si fumò un paio di canne lunghe cosĂŹ e parlammo di come si suonava la chitarra: mi raccontò del black power che lui temeva; loro lo odiavano perchĂŠ suonava con musicisti bianchi e per questo gli piaceva Londra. Domande non gliene rivolsi molte, era lui che parlava a ruota libera: non conosceva la musica italiana e voleva saperne di piĂš, cosĂŹ andai a prendere un disco dellâEquipe 84, dove io sul finale avevo copiato spudoratamente, e anche in malo modo, un suo assolo. Gli faccio sentire e lui alla fine riconosce la copiatura schifosissima dellâassolo, si alza in piedi, mi abbraccia e mi dice: ÂŤThank you very muchÂť. Il ricordo che ho di Jimi è molto tenero, lui non era un violento, non era rock, era un bravo ragazzo, delicato e gentile.
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Dai giornali
Nello stesso giorno, il âCorriere della Seraâ annuncia la presenza di Hendrix a Milano in due rubriche: âLe luci della ribaltaâ e âGli spettacoliâ. â... è attualmente uno dei cantanti di piĂš sconvolgente novitĂ .â âĂ a Milano oggi la ÂŤJimi Hendrix experienceÂť vale a dire un complesso musicale che da un anno a questa parte ha bruciato le tappe del mondo della canzone angloâamericana e ne rappresenta una delle tendenze piĂš originali... Difficile è spiegare lo stile personalissimo che ha fatto la fortuna di Hendrix e i suoi, dopo il primo disco uscito alla fine dello scorso anno. Hey Joe: è stato detto che si tratta di una tristezza aggressiva, di qualcosa di violento, di melanconico, di ipnotico.â
Hendrix a Milano âCorriere della Seraâ, 23 maggio 1968. 92
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â... Cessato lâultimo urlo di isterico entusiasmo, nella sala è ripreso il consueto baccano attraverso il quale, con molta buona volontĂ , era possibile cogliere gli ÂŤsfilacciÂť di un pezzo suonato da unâanonima orchestra. Quanto a Jimi Hendrix, proveniente da Nuova York e ai suoi partners Noel Redding e John Mitch Mitchell, hanno approfittato del disorientamento per filarsela in una Plymouth con tanto di autista in divisa e cappello, per un riposino di unâora nellâalbergo che li ospita.â Jimi Hendrix a Milano âCorriere della Seraâ, 23 maggio 1968.
Quasi una rivoluzione per il cantante americano âIl Giornoâ, 24 maggio 1968. 93
Il 24 maggio, il âCorriere della Seraâ interviene di nuovo su Hendrix, nelle due rubriche âGli spettacoliâ e âLe luci della ribaltaâ, per recensire il concerto del Piper.
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âJuliette GrĂŠco, domani sera, inaugura la stagione sanremese con il ÂŤgala delle roseÂť. Radaelli, intanto ha annunciato che in luglio e agosto, ci saranno a Sanremo spettacoli bisettimanali con la partecipazione di famose ÂŤvedettesÂť della canzone.â
â... Alcuni, che erano arrivati nel primo pomeriggio, hanno atteso cosĂŹ undici o dodici ore per sentire finalmente Hendrix e i suoi, verso mezzanotte. Ă stato uno spettacolo di estrema violenza. Pubblico nuovo e vecchio ha manifestato entusiasmi al calor bianco, come quelli che si sono avuti per le visite dei Beatles o dei Rolling Stones, mentre venivano eseguiti Hey Joe,The Wind Cries Mary, Burning of the Midnight Lamp, Are you experienced? e altri pezzi del repertorio di Handrix.â V. B.
â... In realtĂ , la musica di Hendrix trae i suoi effetti dagli impulsi elettrici, dalle manipolazioni, e lui stesso la definisce ÂŤelettronicaÂť. Con piĂš proprietĂ , Time ha scritto che la musica di Jimi Hendrix è un vortice sonoro nel quale, tumultuosamente, confluiscono il blues e i suoni psichedelici. Certo, è un ritmo che prende, che trascina; vi si avverte sotto unâeco jazzistica, e soprattutto ha una vitalitĂ eccezionale. ... Hendrix ha soltanto due compagni (i suoi successi si intitolano Hey Joe, Are you Experienced, eccetera) e il trio ha una dignitĂ sconosciuta a molti, troppi altri complessi. Con lui la musica pop si nobilita.â A. F.
Entusiasmo per Jimi Hendrix âCorriere della Seraâ, 24 maggio 1968.
Un vortice di suoni âCorriere della Seraâ, 24 maggio 1968.
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â... Se si pensa che questo è il negro al quale la televisione italiana vuole impedire di muoversi, perchĂŠ considera osceni i suoi movimenti, viene da sorridere: perchĂŠ anche attraverso la musica e le canzoni di Jimi passa la strada della libertĂ . PerchĂŠ so che ascoltando lui i giovani capiscono certe cose e nutrono certi obbiettivi di giustizia e di libertĂ . ... Il significato sotterraneo della musica di Jimi, questo negro di 22 anni (ndr. ne aveva 27) che ha conquistato mezzo mondo, ha un significato ben piĂš profondo, autentico, ed umano.â Gigi Movilia Il diavolo (nero) in corpo âMenâ, 7 giugno 1968.
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24 MAGGIO 1968 Dopo aver trascorso una notte dâamore a Milano con Ines Curatolo, Jimi, insieme agli Experience, puntuale va allâaeroporto per prendere il volo diretto per Roma, dove atterra circa a mezzogiorno accolto da un nutrito gruppo di fan e da un cineoperatore che realizza un breve filmato per la âSettimana Incomâ. Jimi, Noel e Mitch vanno a registrarsi in albergo (Hotel Metropole, via Principe Amedeo 3) e poi subito al Teatro Brancaccio (via Merulana 244) per il primo concerto romano: a fare da spalla ci sono Doctor Kâs Blues Band, Pierfranco Colonna con i Boa Boa, i Triad e il balletto di Franco Estill (tra i ballerini un giovanissimo Renato Zero, Marina Marfoglia e Loredana Bertè), presenta Eddie Ponti. Entrambi gli spettacoli, quello pomeridiano e quello serale, fecero segnare quasi il tutto esaurito, con circa 1.300 spettatori. Prezzo del biglietto per gli spettacoli del 24 e del 25: pomeridiani: 800, 1.000, 1.500 lire; serali: 1.000, 1.500, 2.000 lire. In base ai ricordi incrociati dei vari testimoni, i brani suonati dalla Jimi Hendrix Experience per il primo concerto sono: Sunshine of Your Love, Fire, Stone Free, Hey Joe, Red House, Foxy Lady, Manic Depression, Purple Haze, Wild Thing. Per il secondo: Sgt. Pepperâs Lonely Hearts Club Band, Fire, Hey Joe, Red House, Stone Free, I Donât Live Today, Up from the Skies, Foxy Lady, Can You See Me, Purple Haze, Wild Thing. Tra una performance e lâaltra, Jimi e Noel fanno una scappata in taxi, allâinsaputa degli organizzatori, al Colosseo come turisti, poi di nuovo al Brancaccio per il secondo concerto, a cui assistono numerosi personaggi famosi (Florinda Bolkan, Renzo Arbore, Gianni Boncompagni, Pierre ClĂŠmenti, che girerĂ un breve filmato in 16mm del concerto). Ventiquattro secondi circa di questo filmato sono inseriti nel film sperimentale dello stesso ClĂŠmenti: Visa de Censure N° x, realizzato nel 1973. Dopo il concerto, la serata prosegue al Titan Club, dove Jimi si esibisce in una storica jam session con i Fholks e Albertino Marozzi. Alla chiusura del locale, gli Experience e un gruppo di accompagnatori fanno un breve giro nella Roma by night sulla Fiat 500 dello stesso Marozzi, fermandosi anche al CafĂŠ Cowboy a bere qualcosa. Infine, sempre sulla 500 di Marozzi, Hendrix torna in albergo accompagnato da una ragazza bionda, Bruna Urbani.
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Sestino del 3° Titan Top Show con il programma della tappa romana.
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âNellâintento di continuare la serie di spettacoli che abbiano per vedettes i grandi nomi della musica moderna, notissimi allâestero e tuttavia mai presentati sulle scene italiane, il Titan Club ha organizzato il 3° Titan Top Show con unâartista dâeccezione: Jimi Hendrix.â
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Lâarrivo MASSIMO BERNARDI Con Jimi e gli Experience volammo da Milano a Roma, mentre la strumentazione viaggiò tramite un corriere. Avevo chiesto che allâaeroporto ci fosse ad attenderci una Limousine, poi per qualche imprevisto dovemmo aspettare quasi mezzâora e la cosa sorprendente fu che Jimi non si incazzò per niente, anzi, si intrattenne con i fan lĂŹ radunati per salutarlo, firmando autografi e rispondendo alle loro curiositĂ . BIZZIO Il giorno prima del concerto ero al Titan, quando si avvicina un ragazzo che ci chiede se ci avrebbe fatto piacere, lâindomani, fare da comparse nel ruolo di ammiratori allâarrivo di Hendrix con la sua band a Fiumicino. Proposta subito accettata. Il giorno dopo siamo partiti dal locale con le auto che Bernardi aveva noleggiato per lâoccasione. Eravamo circa quaranta e come scesero iniziammo a urlare e gioire con tutta la nostra forza: sinceramente, altro che figuranti!!! FABRIZIO CAPITOLI Da alcuni amici venni a sapere che Jimi Hendrix sarebbe venuto a suonare a Roma e che Massimo Bernardi aveva invitato dei ragazzi ad accoglierlo allâaeroporto per fare da âclaqueâ. Eravamo tutti curiosi di conoscere un personaggio che per noi era quasi sconosciuto e che ci colpĂŹ molto per la sua semplicitĂ . Hendrix restò in mezzo a noi finchĂŠ non venne unâauto dellâagenzia a prendere lui e quelli della band per portarli in albergo e poi al Brancaccio. VICKY REDDING Nella hall dellâalbergo Jimi si mise a chiacchierare con una donna americana e il marito andò a lamentarsi con i gestori dellâalbergo dicendo: ÂŤQua câè un negro che sta parlando con mia moglie.Âť FABRIZIO CAPITOLI Dopo lâaeroporto, andammo tutti, una sessantina di persone, davanti al Brancaccio ad attendere lâarrivo di Hendrix e la sua band. Al loro arrivo câera chi gli faceva domande, chi chiedeva autografi, restando tutti stupiti dal fatto che non si dava arie da star, non era circondato da guardie del corpo, anzi sorrideva e parlava con tutti. Io avevo visto un fazzoletto annodato alla cintura e gli chiesi di regalarmelo, ma disse di no, che gli sarebbe servito in caso di raffreddore e cosĂŹ lo salutai dandogli la mano, colpito da quanto era liscia, affusolata, con le dita lunghissime. I suoi compagni, Noel e Mitch, a un certo punto vennero da me e mi chiesero dove si potesse andare a bere qualcosa e, nel mio inglese arruffato, risposi: ÂŤCome with meÂť, accompagnandoli in un baretto vicino, dove si fecero servire un paio di whisky. Programma firmato per Alberto Marozzi dopo la jam session del 25 sera.
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PIERFRANCO COLONNA Quando Jimi è arrivato, siamo diventati subito amici; è stata unâesperienza molto
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bella: è stato uno degli artisti che mi ha dato piĂš emozioni tra i tanti con cui ho lavorato. Fuori dal palco era timidissimo. La prima volta che lo incontrai, nei camerini, era stanco e spaesato, gli chiesi se potevo far qualcosa e lui mi fece intendere che per colpa delle dogane aveva paura e non si era portato niente da fumare⌠Al che io gli regalai due tubetti di amfetamina e un poâ di hashish. Lui è impazzito di gioia e cosĂŹ abbiamo legato subito. Siamo rimasti un poâ in camerino a fumare, poi uscimmo a fare lo spettacolo. EDDIE PONTI A onor del vero, prima di conoscerlo Jimi Hendrix mi stava antipatico, anche se la sua musica mi piaceva: colpa di qualcuno che me lo aveva descritto come uno sbruffone, un venditore di fumo, uno che si approfittava delle ragazzine, insomma un tipaccio. In piĂš, la sua foto sui poster per i concerti italiani non era certo adatta per farmi cambiare idea, con quellâesasperata negritudine: capelli a cupola, espressione strafottente e faccia da brutto ceffo. Mi dava lâidea di uno che si atteggiava, che si faceva trainare dal carrozzone del black power: immaginarsi come restai quando mi dissero che avrei dovuto presentare quattro suoi concerti. La seconda sorpresa, poi, la ebbi trovandomelo di fronte nei camerini del Brancaccio⌠Per cominciare non era come me lo avevano descritto. Era almeno un palmo piĂš alto di me, e i capelli li portava sĂŹ lunghi, ma ben acconciati con una larga mèche bionda sul lato destro. Lâespressione non era affatto truce. Dopo i primi convenevoli mi versò un whisky dalle bottiglie di Pierfranco Colonna e, passandomi una mano sulla spalla, mi disse: ÂŤSenti, fammi solo questa cortesia, quando ci presenti ricordati di dire Jimi Hendrix Experience. Per favore non fare lâerrore che fanno molti, anche in Inghilterra, di dire Jimi Hendrix and the Experience o his Experience, perchĂŠ questo è un gruppo, una nuova esperienza musicale e non presenti me, bensĂŹ la nostra musicaÂť. Si arrotolò un joint e continuò: ÂŤVorrei chiederti un altro favore se ti è possibile, visto che questo è il nostro primo tour in Italia, non è per paura, ma capiscimi abbiamo bisogno di avere una certa concentrazione quando suoniamo, quindi non vorrei nessuno sul palco, oltre a noi e ai tecniciÂť. Solo io fui ammesso, insieme ai tecnici e al pompiere che lavorava per il teatro: nessun estraneo, compresi organizzatori e amici. ALBERTO MAROZZI Ho conosciuto Hendrix nel pomeriggio, appena arrivato a Roma, nei camerini del Brancaccio. Me lo presentò Massimo Bernardi, perchĂŠ io ero uno dei pochi a parlare inglese: il camerino era pieno di gente e di giornalisti, câerano anche Mitch e Noel. Una grande confusione, non si è capito perchĂŠ dovessero intervistare un musicista prima del concerto, nel momento in cui ha bisogno di piĂš concentrazione. Comunque, a un certo punto è arrivato un suo roadie che, con maniere spicce, ha cacciato via tutti. Stavo uscendo insieme a tutti gli altri, quando Jimi mi ha richiamato dicendomi: ÂŤNo, Alberto, you stay!Âť. CosĂŹ mi sono ritrovato da solo nel camerino con Jimi, in fondo lâavevo appena conosciuto e mi sentivo un poâ intimorito. Per me era giĂ un mito, mi sentivo imbarazzato, che poteva volere da me? Appoggiò lâorecchio al manico della chitarra e si mise ad accordarla. Restai lĂŹ con lui fino a poco prima che iniziasse il concerto, parlando, poco, del piĂš e del meno. EDDIE PONTI Fuori dal palcoscenico si beveva e si fumava. Fortunatamente câera un secchio per la sabbia, tutti fumavamo anche se era proibito dietro il palco, si rischiava la multa.
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Teatro Brancaccio, il primo concerto GIOVANNI BARBARESCHI Nel 1968 avevo ventiquattro anni. Lavoravo giĂ per âMusicarteâ e fui il tecnico del suono ai concerti del 24 maggio. Lâaltro socio, che ha lavorato al concerto del 25 maggio con me, invece si chiama Pio Medori, abbiamo curato il service per amicizia nei confronti del proprietario del Titan, non fummo pagati. Alla mattina, io e Medori montammo gli altoparlanti nel teatro. Gli amplificatori arrivarono piĂš tardi con i furgoni, non ero presente... Quando tornai, gli amplificatori erano giĂ sul palco..Saranno stati 80 watt ogni amplificatore e per ogni amplificatore (4) câerano due casse: in totale 8 casse + 2 in galleria superiore, + 4 al piano teatro (40 watt a cassa, 4 coni da 12, quelle strette e lunghe).
GIOVANNI BARBARESCHI Câera ancora il vecchio impianto Semprini, il mixer si attaccava con lo spinotto Geloso. Per tutto il concerto rimasi al mixer intento a regolare le voci e un poâ la batteria; non câerano speaker separati per la voce; il fatto che le luci fossero spente per la mancanza di corrente è solo una leggenda. Le luci erano quelle del teatro, non câerano luci colorate o altro. I microfoni erano anche quelli della Semprini. Jimi arrivò allâultimo minuto prima del concerto, sembrava sballato (fumato) e non andò nemmeno nei camerini prima dello spettacolo. Jimi aveva solo un fuzz face e un wah wah vox. Ricordo che Jimi cambiò la chitarra per suonare lâultimo brano e usò quella chitarra meno buona per sfregarla contro gli amplificatori. Gli amplificatori erano nuovi, a parte un angolo dove câerano i segni delle sei corde della chitarra⌠pare che Jimi sfregasse la chitarra solo in quel punto. Finito il concerto, Jimi se nâè andato subito e non ci fu nemmeno il tempo di prendere accordi per i concerti successivi.
GIORGIO BIANCHI Ero molto giovane quando conobbi la musica di Jimi Hendrix tramite un mio cugino che suonava la chitarra in un gruppo semiprofessionale. Mi ricordo come fosse ieri un pomeriggio in cui mi parlò di un nero americano, un grande chitarrista che suonava in maniera incredibile, aveva amplificatori enormi, dei capelli che quando suonava si muovevano tutti come una medusa e metteva paura ai ragazzini. Ne rimasi folgorato, cosĂŹ quando seppi che veniva a Roma mi sono precipitato. Andai da solo al concerto di venerdĂŹ, il 24 maggio, era un pomeriggio caldo e assolato e non câera molta gente, al massimo 200/300 persone. Ho acquistato il biglietto sul posto, 1.500 lire, che aveva il formato tipico dei cinema e dei tram; fui tra i primi ad arrivare, appoggiato a una grande vetrata interna che per le pressioni si ruppe frantumandosi in mille pezzi. Inizialmente non mi accorsi di nulla, ma qualcuno mi fece notare che ero ferito alla mano e avevo sangue sulla maglietta. Andai in bagno e vidi tagli sulla mano sinistra e sulla pancia. Ancora oggi porto su di me quelle cicatrici. Poi iniziò il concerto: un flusso di musica mai sentita prima, che stravolgeva tutto il passato. Qualcuno ha parlato di problemi allâamplificazione, ma io ero troppo attento a quello che faceva e ai suoni che riusciva a trasmetterci per accorgermi se câera qualcosa che non andava. Era tutto troppo per me, affascinato dalla sua magnifica abilitĂ nel domare lo strumento. Mi colpĂŹ tutto di quel concerto, dallâabbigliamento sgargiante di Jimi alla montagna di amplificatori. Di Mitch Mitchell ricordo la bravura e lâagilitĂ , mentre di Noel Redding lâeleganza e la compostezza. Fu unâesperienza veramente incredibile, molto superiore alle mie aspettative.
EDDIE PONTI Era una confusione, fuori e dentro. Era pieno, tutto esaurito, tanta gente anche fuori e i ragazzi si accalcavano nel timore di non poter entrare. Renzo Arbore aveva una gran paura.
DANILO STOLZI Allâepoca ero uno studente. La nuova musica che incalzava, Beatles e Rolling Stones, Animals, Yardbirds, Cream, Hendrix, era lanciata per noi carbonari del rock dalla trasmissione Count down, in onda ogni domenica dalle 14.00 alle 14.30:
MAURO FERRACCI Insieme ai ragazzi del mio gruppo, I PerchĂŠ, aiutammo i tecnici di Jimi a scaricare e a montare lâamplificazione, riuscendo a ottenere di entrare gratuitamente al concerto. Che ricordi!
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ENZO AISLER Ho conosciuto la musica di Hendrix grazie a un militare della nato, che suonava la chitarra elettrica facendo cover di Jimi. Quando seppi che sarebbe venuto a Roma, io e il mio batterista partimmo da Napoli in autostop. Fummo fortunati perchĂŠ ci caricarono due ragazzi che andavano allo stesso concerto. Eravamo in quattro su questa piccola 500, tutti eccitati per lâevento, io conoscevo solo la sua musica e non sapevo niente di lui, nemmeno che fosse nero. Arrivati a Roma abbiamo faticato un poâ a trovare il Brancaccio, ma alla fine ci siamo arrivati: riuscimmo a entrare e fare i biglietti mentre fuori la folla aumentava e premeva, finchĂŠ, con un boato, una vetrata del cinema si infranse travolgendo alcuni ragazzi. Anche in sala un gran caos, tutti che strillavano. Quando apparve Hendrix, tutti a fare un baccano incredibile. Lui era semplicemente fantastico, un vero animale da palco con le sue movenze, mentre strisciava la chitarra contro lâasta del microfono, la suonava dietro la schiena, tra le gambe, con i denti. Non avevo mai immaginato una cosa simile, ma neppure che tre persone potessero suonare una musica cosĂŹ piena e dirompente, una vera esplosione.
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aveva aperto i nostri orizzonti musicali e costringeva ad affannate ricerche nellâunico negozio import di Roma, Consorti, in viale Giulio Cesare. Allâepoca del concerto, il 24 pomeriggio, avevo giĂ i primi due lp usurati dallâascolto continuo. La rivista âCiao Bigâ aveva inserito in occasione dei concerti italiani di Jimi un coupon per richiedere il manifesto che veniva spedito a casa, e che io conservo come un cimelio... Lâimpatto visivo è come un marchio a fuoco, non avevo mai provato unâattrazione cosĂŹ fatale verso un artista: nemmeno Mick Jagger o John Lennon (allâAdriano) mi avevano catturato cosĂŹ. Noel Redding e Mitch Mitchell erano come trasparenti ai nostri sguardi: sul palco câera Jimi e tanto ci bastava... anche fermo e in silenzio non avremmo mosso un dito... Alla fine del concerto eravamo in estasi; io e il mio amico abbiamo cercato di vederlo, almeno per un autografo, ma lâinutile attesa allâuscita camerini del teatro non fu premiata... però il manifesto del concerto lo conservo gelosamente. PAOLO CIONETTI Hendrix lâho conosciuto attraverso i dischi che ci faceva sentire Franco Falsini, chitarrista molto bravo a Firenze in quegli anni. Gli altri del gruppo ne parlavano e discutevano. Un giorno viene deciso che il gruppo andava a vedere Hendrix a Roma, al Brancaccio; si parte da Firenze con il furgone della ditta e via. Siamo quasi davanti al palco, quando da dietro le tende viene fuori il suono di Sunshine of Your Love dei Cream, uguale nel timbro, nella dinamica, nellâarmonia: si aprono le tende e comincia il concerto. Certo, il concerto mi piacque. Non ricordo problemi allâamplificazione oppure non ci ho fatto caso. LUCIANO REGOLI Prima del concerto pomeridiano câera una tensione che si tagliava a fette e, a un certo punto, da dietro le pesanti tende del palcoscenico spuntarono le punte giallo canarino degli stivali di Jimi. Un accenno di Sunshine of Your Love e, dopo pochi secondi, una travolgente Fire aprĂŹ le danze, con i magnifici tre scatenatissimi e coloratissimi. Il teatro era pieno di casse Semprini per lâamplificazione della voce e degli strumenti, sia in platea che in galleria. Il volume era mostruoso e le strutture della galleria ondeggiavano sotto i nostri piedi. Nessuno credeva ai propri occhi, un suono mai sentito, che ci travolgeva. Hendrix, durante il solo di Foxy Lady, si lanciò contro il suo amplificatore e con il manico della chitarra tentò piĂš volte di sfondarlo, come per attaccarlo frontalmente; ricordo Mitch che suonava come un forsennato. Tutto era sopra le righe. STEFANO PIETRUCCI Io avevo solo quattordici anni e a quei tempi battevo sui tamburi. Mi appassionai di musica grazie a mio padre cinquantenne, un padre straordinariamente allâavanguardia, molto classico nellâaspetto ma modernissimo per i gusti musicali. Lavorava al âMessaggeroâ come impiegato, era appassionato di musica dâorchestra e di jazz, Duke Ellington, Tommy Dorsey e altri.
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Mi portò i dischi dei primissimi Who, Beatles, Rolling Stones, Yardbirds e tanti altri; aveva un amico delle Messaggerie Musicali che gli passava tutte le novitĂ del momento e un giorno gli disse: ÂŤFai in modo di procurarti dei biglietti per il Brancaccio, perchĂŠ viene un marziano americano che suona la chitarra elettrica con i dentiÂť. Sandro Perrone, il proprietario del quotidiano, disse a mio padre: ÂŤRomolo, se vai al Brancaccio mi scrivi qualcosa dello spettacolo dellâamericano perchĂŠ non interessa a nessun giornalistaÂť. In realtĂ mio padre non fece lâarticolo, ma fu cosĂŹ che venni a conoscenza del concerto di Jimi Hendrix: fu lui a portarmi, sapendo che manifestavo interesse per la musica. Entrammo al Brancaccio dicendo: ÂŤMi manda Sandro PerroneÂť. Una volta bastava questo. Nessuna coreografia, una cosa ridicola se non inesistente. Solo una montagna impressionante di amplificatori Marshall, incredibile per quei tempi. Dopo che Eddie Ponti ebbe presentato il gruppo, Jimi, inserito il jack, fece uno scatto con la testa come per dire: ÂŤChe cavolo succede?Âť. Al Brancaccio avevano sempre avuto problemi con la corrente e anche in quel caso non ci fu eccezione. La prima cosa che notai di Jimi era lâenorme anello che portava al mignolo e la camicia molto sgargiante. Jimi era mobile, incredibilmente veloce si piegava su se stesso, volgare ed elegante allo stesso tempo, percuoteva la sua Strato con cattiveria e riusciva a tirar fuori di tutto da quel pezzo di legno. Rimasi impietrito e frastornato da tanta potenza, tanti watt. Jimi era indiavolato, il volume era insostenibile. Finito il concerto, io e mio padre ci guardammo cianotici: lui mi disse: ÂŤAllora?Âť. E io risposi: ÂŤMa che è successo?Âť. Rimasi in trance per un bel poâ. Tornati a casa non si parlò dâaltro. DOMENICO CHIANURA Avevo ventun anni ed eravamo un gruppo di ragazzi, tutti amici che abitavamo nello stesso quartiere e condividevamo lâinteresse per la musica, ascoltavamo Bandiera Gialla, andavamo al Piper, facevamo le feste, avevamo il giradischi e quasi tutti avevamo visto i Beatles a Roma e i Rolling Stones. Era anche il periodo dei miei primi viaggi allâestero. Io mi ero giĂ fatto un paio di giri a Londra in autostop, acquistando lĂ molti dischi nel 1966: saputo che Jimi avrebbe suonato a Roma, ovviamente non potevamo mancare. Il giorno 24 maggio, insieme agli amici di allora, andammo per assistere al concerto pomeridiano, io mi ero munito di una macchina fotografica Pentax per immortalare lâevento. Quando iniziò il concerto, io ero in galleria e scesi fin sotto al palco per scattare delle fotografie. Mi ricordo che Jimi a un certo punto, infastidito dal flash, smise di suonare e mi mandò a quel paese con la mano, anchâio smisi subito e scappai via tornando al mio posto per paura di perdere anche le poche foto che avevo fatto. Forse erano le mie prime foto, ma ora dico che non erano un granchĂŠ come foto: ne ho fatte di migliori, negli anni seguenti. Nel settembre 1970, tornando da un viaggio a Copenaghen, mi fermai a Rotterdam, avevo infatti visto i manifesti di un concerto di Jimi Hendrix. Arrivai di notte,
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stanchissimo, e dormii per terra fuori dello stadio. Non avevo i soldi per entrare ma non avrei comunque visto Jimi, in quanto la partecipazione al festival fu annullata. Appena in Italia, giunse la triste notizia della sua morte. ANTONIO PROZZO Decisi di andare al concerto perchĂŠ sapevamo che era un personaggio fuori dalle righe, ad esempio contro la guerra in Vietnam, e questo ci avvicinava comunque. Al concerto ci andai con alcuni amici dellâepoca piĂš grandi di me. Mi ci trovai per caso perchĂŠ comunque suonavo la chitarra e la curiositĂ di vedere un solista dal vivo era troppo forte! Io ero fan di Nico Di Palo dei New Trolls. Jimi era vestito con una camicia sgargiante, pantaloni a zampa dâelefante e cinturone molto vistoso, non aveva il cappello. La chitarra era una Fender bianca con il manico di legno, corde finissime e accordatura un tono sotto al normale. Mentre suonava, era concentratissimo e i flash dei fotografi gli davano molto fastidio. Mi sembra che abbia anche alzato il dito medio, voleva il massimo di silenzio e concentrazione. Qualche problema con lâamplificazione del suono si avvertiva: mai visti tanti amplificatori tutti insieme per un ambiente piccolo come il Brancaccio. Jimi era molto affabile con il pubblico. TONI DI MAURO Quando cominciò Red House, il pubblico in un eccesso di entusiasmo cominciò a battere le mani a tempo, allora Jimi pregò gentilmente di smetterla. GIUSEPPE NISII Una mattina ero sullâautobus per andare a scuola e câera una fermata proprio davanti al Brancaccio. Un poâ assonnato diedi unâocchiata alle locandine e vidi, con mio stupore, dei manifesti enormi con la faccia di un nero dalla capigliatura mai vista prima. Non sapevo chi fosse, ma era nero e di sicuro suonava rhythm and blues. Mi dissi che dovevo andare a sentirlo e andai al concerto pomeridiano. Davanti al teatro câera una folla variopinta: capelli lunghi, giacche con le frange, stivaletti con tacchi alti, pantaloni di velluto scampanati... Quando il sipario si riaprĂŹ, dopo le performance di vari gruppi, vidi che in fondo al palco câera il famoso muro di Marshall, la batteria e due chitarre adagiate per terra. Poi, quando gli Experience iniziarono a suonare, fui investito da un uragano di suoni e distorsioni inaspettato. Mi sembrava impossibile che si potessero produrre fuori tutti quei suoni, câera un marziano sul palco o che cosa? Ero cosĂŹ frastornato e incredulo, cosĂŹ assorbito che non feci piĂš caso a nessuno. A un certo punto dal pubblico qualcuno gridò: ÂŤ ...a mostroooÂť, e Jimi alzò il medio rispondendo: ÂŤFuck youÂť a brutto muso!!! Subito dopo aver visto Jimi al Brancaccio comprai Are You Experienced?. Ore e ore ad ascoltarlo, cercando di capire âche cosaâ stavamo sentendo.
spettacolo è giĂ iniziatoÂť, disse la cassiera. Io terrorizzato dissi: ÂŤCome giĂ iniziato?Âť. E la cassiera rispose: ÂŤTranquillo, il prossimo inizia alle 20.30Âť. CosĂŹ mi rilassai, quando improvvisamente si aprĂŹ la tenda dellâatrio che dava sulla sala, era uno degli ultimi brani. Vidi Hendrix da lontano che suonava Manic Depression. Rimasi di stucco, il suono era come quello del disco. Il concerto poi finĂŹ tra boati ed esplosioni, e un gruppo di giovani uscĂŹ di corsa dalla sala travolgendoci, urlando e staccando per ricordo tutti i manifesti dove câera la faccia di Jimi; poi si accanirono con quelli attaccati al muro dellâedificio. Erano talmente eccitati che avrebbero anche staccato il muro. NOEL REDDING Arrivati a Roma, io e Jimi ci siamo ripromessi di andare a visitare il Colosseo. In genere, quando eravamo in tour, non eravamo interessati a fare i turisti e spesso non ne avevamo nemmeno il tempo, però Roma senza almeno vedere il Colosseo non è una cosa buona. Inoltre Jimi era affascinato dalla storia, cosĂŹ chiedemmo allâorganizzazione se dopo il concerto ci potessero accompagnare al Colosseo, ma la risposta fu negativa: ÂŤNo way!Âť, perchĂŠ a loro dire era pericoloso, un posto malfrequentato, pieno di omosessuali e drogati. Non ci scoraggiammo e tra uno show e lâaltro prendemmo un taxi e andammo. LĂŹ ci sedemmo tranquilli facendoci uno spinello gigantesco: ci godemmo lâatmosfera, vicino câerano degli hippie con la chitarra e Jimi chiese se poteva provarla, la strimpellò un poâ e alla fine ce ne andammo. La cosa curiosa è che nessuno ci riconobbe. Tornammo appena in tempo per il secondo spettacolo, salvando Gerry Stickells da un attacco alle coronarie.
MAURIZIO BONINI Arrivai al teatro di pomeriggio, insieme a una ragazzina americana mia amica. Comprai i biglietti mentre dallâinterno sentivo arrivare un rumore indefinito. ÂŤLo
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Teatro Brancaccio, il secondo concerto PIERFRANCO COLONNA Per il concerto Jimi e Noel si presentarono appena in tempo. Qualcuno giĂ diceva: ÂŤVedi un poâ che succede a mandĂ i soldi prima...Âť. Hendrix, tranquillo, ha chiesto del suo camerino e si è chiuso dentro per cambiarsi e accordare la chitarra, nessuno ha fiatato. EDDIE PONTI Hendrix arrivò giusto giusto prima dello spettacolo, puntualissimo, devo dire che per tutti i concerti fu cosĂŹ, molto professionale. Prima di uscire per presentarlo al concerto serale, Jimi si avvicinò per raccomandarsi, come prima del concerto pomeridiano: ÂŤRicordati di dire Jimi Hendrix Experience, solo quello...Âť Perciò gli chiesi se per caso la presentazione precedente non fosse andata bene e lui rispose: ÂŤNo, no benissimo, intendevo solo ricordartelo perchĂŠ ci tengoÂť. BRUNA URBANI A quei tempi lavoravo nel mondo della moda e giĂ in passato avevo sfilato per diverse firme al Titan Club, per cui conoscevo bene il proprietario Massimo Bernardi. Ero una habituĂŠ del locale e lo preferivo al piĂš rinomato Piper. Era un ambiente piĂš raccolto e lo frequentavo quasi tutte le sere, avendo parecchie amicizie nel mondo della musica dellâepoca (Mal, i Rokes, fra gli altri). Al Titan erano spesso presenti anche Renatino (Renato Zero), che conoscevo benissimo in quanto le rispettive nostre madri erano amiche, e Loredana (Bertè), che era amica della sorella di Massimo (Bernardi). Io ero sempre in compagnia della mia carissima Thea (Flemming), una ragazza olandese allâepoca abbastanza famosa grazie a parti nei fotoromanzi e in qualche film. CosĂŹ, quando Jimi venne a Roma per i suoi concerti, Massimo mi invitò al concerto serale del 24. Assieme a Thea andammo allo spettacolo, Jimi lo conoscevo giĂ come musicista. Prima dello show di Jimi, si esibiva un balletto nel quale erano presenti sia Loredana che Renatino. Avevamo un posto nella prima fila della platea. La cosa che piĂš mi colpĂŹ, e che poi ebbi modo di apprezzare da vicino quando ci incontrammo al Titan Club, fu la sua straordinaria bellezza. Non era come appariva nelle foto che giravano, innanzitutto la sua pelle era di colore olivastro.
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MARCO âMITCHâ CATONE Al Teatro Brancaccio câerano unâinfinitĂ di capelloni e fricchettoni, parecchi avevano il cravattino, parei, giacchettoni e pantaloni a cavallo basso, a zampa dâelefante. Il pubblico era numeroso, rumoroso e impaziente. Jimi aveva una camicetta rosata. Mitch sembrava un bambino rispetto a Jimi e Noel aveva una maglietta, occhiali scuri e cappellaccio. MAURIZIO BONINI Avendo acquistato il biglietto per assistere al concerto serale, unâora dopo la fine di quello pomeridiano eravamo seduti in una delle prime file a sinistra ad ascoltare i gruppi di supporto, che non ci impressionarono molto. Intanto, la sala andava riempiendosi. Il pubblico era formato da giovani in giacca e cravatta, della Romaâbene, con un concentrato della popolazione âbeatâ della cittĂ , i cosiddetti âcapelloniâ. A proposito di capelli, credo sia interessante ricordare che allâepoca portare anche i capelli leggermente lunghi era problematico e a volte pericoloso. Giornali come âIl Tempoâ e âIl Messaggeroâ invitavano quotidianamente la polizia a ripulire i luoghi come piazza di Spagna, dove qualche decina di giovani beat stazionavano da tempo. Lâinvito era stato raccolto non solo dalle forze dellâordine, che in varie retate avevano schedato e poi rilasciato quei giovani, ma anche dai neofascisti romani, che in ripetute spedizioni punitive avevano provveduto a ripulire la piazza da questa insopportabile vergogna. Il clima nel nostro Paese era ostile, quando non apertamente violento, verso qualsiasi forma di diversitĂ , anche solo estetica. Nelle pagine di cronaca degli stessi giornali si scoprivano ogni giorno fumerie di droga in mano a pericolosissimi maoisti o filocinesi, come venivano bollati allora tutti quelli che avevano barbe e capelli lunghi. Lascio quindi immaginare il clima dei giorni in cui Hendrix si ritrovò a suonare qui in Italia. Tornando al concerto, dopo unâinterminabile sequenza di cantanti, balletti e gruppi nostrani, presentati impeccabilmente dal povero Eddie Ponti in giacca rossa, venne il momento tanto atteso. Eddie uscĂŹ e annunciò: ÂŤEcco a voi la Jimi Hendrix ExperienceÂť, dietro di lui dallâimpenetrabile sipario scarlatto partĂŹ una serie di note di chitarra. Applausi del pubblico. Si vedeva Jimi accordare la chitarra bianca e ridere; aveva un grosso joint sulla paletta della chitarra. Mitch, in primo piano, a carponi, con il sedere rivolto verso il pubblico, fa finta di accordare le pelli della cassa, invece Noel è serio, attento e concentrato. Anni dopo, quando rincontrai Noel, mi disse che il farsi trovare cosĂŹ impreparati era un numero che i tre facevano spesso in quei tempi per divertirsi e rompere il ghiaccio. Poi, improvvisamente le note di Sgt. Pepperâs aprono lo spettacolo, quindi Fire e Stone Free. Sbaglia un accordo in The Wind Cries Mary, ride e scuote la testa. Ogni tanto interrompe i brani, si scusa dicendo di non ricordare le parole, poi attacca Red House a basso volume. La tensione scende, il pubblico rumoreggia, non si capisce se è una protesta, forse è il bisogno di commentare ad alta voce ciò a cui si sta
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assistendo. LâincredulitĂ e il disorientamento pervade tutti. Noel prende in mano la situazione, va al microfono e urla: ÂŤShut up!Âť. Lo spettacolo riprende e si interrompe di nuovo, Jimi lascia la chitarra e parla al microfono, qualcuno si incarica di tradurre: ÂŤFinchĂŠ non ci sarĂ silenzio completo Jimi non suonerĂ !Âť. Alla fine Jimi riesce a completare il blues, poi ancora Purple Haze, Foxy Lady, I Donât Live Today e una rara esecuzione di Up from the Skies. Jimi lo esegue senza toccare le corde col plettro, ma picchiando delicatamente il corpo della chitarra in ogni sua parte guidando il suono con il wah wah. Dalla batteria, che non sembra amplificata, Mitch guarda il pubblico con una smorfia da teppista londinese. Jimi non comprende il chiacchiericcio che si era alzato prima dalla sala, ma alla fine non si spazientisce piĂš di tanto e porta a termine lo spettacolo in un crescendo mozzafiato. Il finale, una Wild Thing con assolo tra le note di Strangers in the Night di Frank Sinatra: mentre lo esegue con una sola mano, con lâaltro braccio copre il volto teso in una smorfia, poi continua a suonare mettendo la chitarra sotto una gamba alzata, la suona con i denti, si rotola a terra e alla fine si lancia contro gli amplificatori, mentre i tecnici da dietro cercano di reggerli. Il tutto finisce con una valanga di suoni che nessuno di noi aveva mai sentito uscire da nessuno strumento, poi Jimi lancia in alto la chitarra, che cade al suolo miracolosamente senza fracassarsi, e abbandona la scena tra le ovazioni. La mia amica americana era senza parole, sembrava addirittura terrorizzata e si stringeva ai braccioli della poltrona. Tornai a casa sotto shock con un mio amico, anche lui chitarrista. Non parlammo dâaltro tutta la notte. Per un anno quasi non presi piĂš in mano la chitarra, poi, col tempo, ho cercato di assimilare il suo stile e ho continuato a fare il musicista.
I Boa Boa, prima del concerto degli Experience.
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Fotogramma del filmato di Pierre ClÄĹ menti.
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Pierre ClÄĹ menti mentre riprende il concerto.
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LUCIANO REGOLI Nellâintervallo tra i due concerti mi nascosi nei bagni per non pagare un altro biglietto. E il secondo concerto fu piĂš bello del primo. Ricordo che Hendrix virò a un certo punto sul blues Red House e il volume calò talmente che si potevano sentire i sospiri degli spettatori. Hendrix suonava quasi a zero di volume. Dalla galleria, in quel momento teso, qualcuno in romanesco gridò a voce alta: ÂŤA zingaro!Âť... Per tutta risposta Hendrix alzò la chitarra al massimo e fece un gran casino. Un ÂŤsoloÂť che durò piĂš di dieci minuti. Fantastico! PAOLO RENFERME Mi rimase impresso un blues molto lento fatto con il wah wah, sentivamo questo suono ma senza capire da dove venisse, sembrava una cornetta con la sordina, ma non câera nessun trombettista, era Jimi. Quel wah wah ti entrava dentro... MARCO PERSICHETTI Mi ricordo che un romano da unâalta balconata del teatro, con il braccio attorno a una colonnina, verso la fine del concerto urlò: ÂŤAhaa Ggiacomoo me pari IddioÂť. Lo ricorderò tutta la mia vita, perchĂŠ ero dâaccordo: lui era ed è il dio della chitarra. NOEL REDDING Il pubblico romano non poteva credere a quello che stava vedendo. In quel periodo lâItalia era fuori dal circuito principale del rock. Tutti chiacchieravano come matti con i loro amici per capire cosa stavano ascoltando. Ci avevano sovrastati, Jimi si arrabbiò moltissimo, disse: ÂŤSe non la smettete di parlare, io smetto di suonareÂť. Infatti smise di suonare e uscĂŹ persino di scena per alcuni minuti. CosĂŹ andai al microfono e in inglese molto semplicemente urlai: ÂŤShut up!Âť. GUGLIELMO BILANCIONI Ricordo la totemica presenza di Jimi che agiva con il distacco concentrato di un pittore che opera su tela, con unâeleganza leggera e precisa, nel centro fermo nella tempesta perfetta da lui provocata, la potenza distorta del suono che usciva dai Marshall e lâodiosa, violenta arroganza di Noel Redding che gridava: ÂŤShut up!Âť a un pubblico sciamante e confuso che non aveva mai visto e mai rivedrĂ una cosa simile. EDDIE PONTI Io stavo lĂŹ angosciato perchĂŠ Jimi Hendrix si era interrotto tre volte: sono sempre dovuto uscire io, che avevo la voce stentorea per dire: ÂŤUn momento, state calmi e lui riprenderĂ a suonareÂť. GIORGIO DE BIASI GiĂ allora, quando potevo, andavo ai concerti. Ricordo che lâ8 maggio 1968 ero a Roma al Piper per vedere Brenton Wood e fu in quellâoccasione che venni a sapere da un amico musicista che Hendrix avrebbe suonato al Teatro Brancaccio il 24. Nel 1968, qui in Italia, Jimi Hendrix non era cosĂŹ famoso ma decisi di andare, partendo
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da Viareggio in compagnia di unâamica. Ricordo che per i due biglietti spesi 4.000 lire, non cosa di poco conto per quei tempi: inoltre, secondo me, lâambiente del Brancaccio non era certo adatto per quel genere di concerti. Prima di sentirlo dal vivo, avevo visto Jimi solo in alcune foto dove aveva i capelli molto lunghi, ma quella sera mi sembravano diversi, forse li aveva tagliati da poco. Hendrix indossava una camicia vistosa, di un colore rosa forte. La chitarra che Jimi usò prevalentemente durante il concerto fu la sua fedele âStratoâ bianca. Lâamplificazione faceva schifo, lâimpianto voci, probabilmente noleggiato, era della Semprini. Jimi suonava con tre Marshall, ma, a meno che non si fosse rotta la spia, ne aveva accesi solo due. Dal punto di vista musicale Hendrix fu formidabile: non avevo mai visto suonare cosĂŹ la chitarra, usava il pollice che copriva tutte le corde, le sue mani mi fecero veramente impressione e poi tirava fuori dei suoni incredibili usando pochissimi effetti. FILIPPO DE ORCHI Io lo conoscevo per aver acquistato il 45 Hey Joe. Di lĂŹ a poco un mio amico mi disse che Hendrix veniva a suonare al Teatro Brancaccio di Roma e cosĂŹ decidemmo di comprare i due biglietti, uno per lo spettacolo del pomeriggio del 24 in galleria e lâaltro per la sera del 25 in platea in terza fila centrale. Il mio amico lo vide anche la sera prima. Lo spettacolo del pomeriggio non ricordo se fosse pienissimo, mentre la sera dopo era tutto esaurito. Il concerto era preceduto dal gruppo di Pierfranco Colonna e da un balletto. Jimi aveva pantaloni di velluto rossastri e una camicia rosa, notai anche gli stivaletti verdi di Mitch. Non ricordo un Jimi molto comunicativo, anzi era un poâ scontroso, forse per i problemi di amplificazione. Il mio fermoâimmagine rimanda a un assolo suonato con i denti, venne giĂš il teatro per gli applausi e le grida di tutto il pubblico: dopo il concerto aspettammo fuori per cercare di vederlo uscire, ma inutilmente. GIANCARLO FIORENTINI Io stavo in galleria, il pubblico era partecipe ed entusiasta. SalĂŹ sul palco Eddie Ponti che presentò il gruppo con enfasi dicendo: ÂŤThe Jimi Hendrix ExperienceÂť. Straordinaria la visione del palco, con i grandi amplificatori Marshall, una montagna di strumenti mai visti a Roma. Cominciò il concerto e il suono che uscĂŹ dalla chitarra di Jimi fu devastante: ebbi la sensazione che il teatro non riuscisse a contenere la potenza, il suono gigantesco che usciva dalla chitarra di Hendrix. Lui si muoveva come se fosse un rituale voodoo, un colpo dâocchio eccezionale. Nel secondo tempo, riuscimmo a scendere in platea, lĂŹ si formò un folto gruppo di fan tutti in piedi nel corridoio centrale del Brancaccio, sperando di poter arrivare al palco. Finito il concerto, purtroppo non ebbi modo di vedere Jimi, ma quando uscii dal
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teatro ero completamente sballato di musica e suoni da unâincredibile dimensione psichedelica, conscio di aver assistito a un evento eccezionale.
per lei. Al che, con uno sguardo fra lo stupito e lâironico, mi rispose: ÂŤMa cosa stai dicendo, non vedi che sta guardando solo te, non te ne sei ancora accorta?!Âť.
MARIO VALENTINI Venimmo a conoscenza, tramite i giornali musicali, che Jimi avrebbe fatto una serie di concerti in Italia e decidemmo di andare al concerto serale della seconda giornata. Arrivammo al teatro carichi di entusiasmo per vedere il nuovo fenomeno della chitarra e câera giĂ molta gente che aspettava di entrare con il biglietto in mano. Lâambiente era variegato: musicisti romani del genere, appassionati di musica, gente di varia estrazione sociale. Eddie Ponti si avvicinò al microfono e semplicemente, ma con molta enfasi, disse: ÂŤThe Jimi Hendrix ExperienceÂť. Jimi salĂŹ sul palco vestito con una camicia rosa/fucsia e un paio di pantaloni di broccato scuri. Medaglione al collo e la sua fedele Fender Stratocaster bianca con manico nero. Cose mai viste: amplificatori strapazzati, chitarre sbattute sulle aste dei microfoni, fischi ed effetti sonori mai sentiti, chitarra suonata con i denti. Ma a sconvolgermi erano le movenze sul palco, come se Jimi trasmettesse al pubblico la sensazione di un amplesso con la chitarra.
GIOVANNI BARBARESCHI Ricordo che Jimi cambiò la chitarra per suonare lâultimo brano e usò quella meno buona (Stratocaster sunburst) per sfregarla contro gli amplificatori.
FILIPPO LA PORTA Andando in Vespa con il mio amico Marco al Teatro Brancaccio, ancora non sapevo che stavo per vedere la cosa in assoluto piĂš sovversiva di quellâanno fatidico. Avevo quindici anni e in quel periodo partecipavo a cortei e occupazioni, cominciavo a leggere Marcuse e Rudi Dutschke (di cui capivo pochissimo), il Manifesto del Partito Comunista di Marx (avvincente), vivevo in una specie di perenne eccitazione ideologica. Eppure la vera rivoluzione non stava lĂŹ, nelle manifestazioni e nelle roventi dispute dottrinarie... Si trovava invece nella musica di Hendrix. Quando vidi Hendrix con la camicia rosa e sentii lâattacco di Foxy Lady, allora una delle sigle di Per voi giovani, la popolarissima trasmissione radiofonica di Arbore e Boncompagni, ebbi come una rivelazione. Percepivo unâenergia tellurica, selvaggia, anche un poâ spaventosa, e poi un modo nuovo e meravigliosamente barbarico di esprimere lâaffettivitĂ , la rivolta, la gioia, la rabbia, il corpo. Non dico mica che Hendrix fosse una figura esemplare, con la sua furia autodistruttiva e il viso dolorante che mostrerĂ nel celebre assolo di Woodstock. Soltanto in quel pomeriggio di un maggio romano tiepido e odoroso, la sua musica mi ha rivelato un mondo intero che pure mi apparteneva e di cui fino a quel momento avevo solo un vago presentimento.
ALBERTO DENTICE A quei tempi suonavo in una band studentesca, gli Shocks: avevo diciannove anni, ero il frontman, voce e chitarra. Nel nostro repertorio câera molto rockâblues, compreso qualcosa dei Cream e naturalmente di Jimi Hendrix, pezzi della prima ora come Foxy Lady e Fire. Nelle settimane precedenti la sua venuta a Roma eravamo stati contestati, durante lâoccupazione alla facoltĂ di Architettura, per aver eseguito musica definita imperialista e capitalista, il rock di derivazione americana, appunto. I gruppi extraparlamentari, i marxistiâleninisti ci interruppero con letture dal libretto rosso di Mao Tseâtung! Un episodio surreale. Quando fu il giorno del concerto degli Experience al Brancaccio, câeravamo anche noi. Andammo giĂ la prima sera, insieme a unâamica, Dana, molto ben inserita nel giro degli stranieri di stanza a Roma, visto che il padre gestiva un locale in auge allâepoca, il Cowboy. Lei era pratica e disinvolta, girava tra la gente di spettacolo insieme ad alcune ragazze, si diceva che gradissero molto la compagnia degli artisti e magari li aiutassero a procurarsi qualcosa da fumare... Al termine dello show si dimostrò molto disponibile e ci condusse fino ai camerini per salutare la band in un incontro ravvicinato: strinsi la mano a Jimi, che aveva appena finito di suonare, fu una bella sensazione.
BRUNA URBANI Seguii il concerto rapita dalla sua immagine senza prestare molta attenzione a quello che suonava: poi a un certo momento, vedendo che insistentemente aveva lo sguardo rivolto verso di noi, dissi a Thea che probabilmente Jimi aveva un interesse
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Dopo il concerto MARIO VALENTINI Dopo il concerto avemmo la fortuna di riuscire a vedere Jimi e di avvicinarlo, insieme a tanta altra gente desiderosa di conoscerlo. Ottenni anche un autografo sia da lui che da tutti i componenti del gruppo. A un ragazzo, restituendogli il foglietto Jimi disse: ÂŤThank youÂť. Fui sorpreso, dimostrava la grande umiltĂ e umanitĂ di un artista che fuori dal palco era una persona sensibile e molto gentile, mentre, quando saliva sulla scena, si trasformava nel piĂš grande di tutti, un mostro dello strumento. Quella giornata mi lasciò un grande senso di benessere, perchĂŠ Jimi dal palco mi aveva trasmesso tutto quello che un artista può dare con la sua musica. NOEL REDDING Avevamo dei bravi autisti a Roma, il nostro si chiamava Tony (Ruggero): ci portavano al Titan Club e in giro dopo gli spettacoli, con uno facemmo una jam. RENZO ARBORE Ebbi la fortuna di conoscere personalmente Jimi Hendrix, quando lo vidi seduto, un poâ stretto poverino, dentro la mitica Fiat 500 di Albertino Marozzi.
Al Titan Club.
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ALBERTO MAROZZI Dopo lo spettacolo era prevista una festa in onore di Jimi al Titan club, si trattava di accompagnare lui, la band e alcune ragazze al locale, cosĂŹ andai a prendere la mia Fiat 500 bianca. In auto con me câera Jimi seduto a fianco e dietro un paio di ragazze, su unâaltra auto Noel e Mitch.
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Il Titan Club, la jam session BRUNA URBANI Finito il concerto, Massimo Bernardi ci raggiunse in platea chiedendoci se potevamo andare al Titan, dove poi Jimi sarebbe passato, per fargli un poâ di compagnia visto che Thea poteva sostenere la conversazione. Io accettai con entusiasmo, Thea acconsentĂŹ e cosĂŹ, dopo lo show, salimmo sulla Mustang color argento di Thea per recarci al Titan. Una volta giunte al locale, prendemmo posto in un tavolino nei pressi del palco, dove si stava esibendo un gruppo. Dopo una breve attesa ci raggiunse Jimi, mentre Noel e Mitch arrivarono piĂš tardi. Aiutata da Thea, iniziai a chiacchierare con Jimi che, fra il rumore nel locale e il fatto che non ero in grado di capire ciò mi diceva, volle andare in un posto piĂš tranquillo. Rimanemmo al Titan circa unâora e mezza; io e Thea eravamo in unâaltra sala del locale, un privĂŠ dove avevano accesso solo persone selezionate. PIERO AMMANITI Dopo il concerto con gli amici ci ritrovammo da Musicarte, luogo di ritrovo dei musicisti romani allâepoca, e insieme ad alcuni amici decidemmo di andare al Titan Club. Quando fummo lĂ , a un certo punto comparve Jimi accompagnato dalla sua band: se ne stettero tranquillamente tra il pubblico, sembravano normali clienti. PiĂš tardi salĂŹ sul palco con i membri del suo gruppo e alcuni musicisti italiani, Jimi prese un basso, mi impressionò perchĂŠ era mancino e, preso il basso, senza riaccordarlo cominciò a suonare un giro di blues. GIORGIO DE BIASI Dopo il concerto decidemmo di andare al Titan, anche perchĂŠ si era sparsa la voce che Jimi sarebbe passato di lĂŹ. PiĂš tardi infatti arrivarono e fecero anche una jam session con il gruppo che suonava al Titan, i Fholks. Gli Experience parteciparono, invertendo però i ruoli: Jimi imbracciò il basso, mentre Redding era alla chitarra. Solo Mitchell restò al suo posto. Suonarono diversi pezzi di blues e rhythm and blues.
Piantina del Titan Club e jam session.
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I FHOLKS (CLAUDIO BALDASSARRI) Noi dei Fholks eravamo fan di Jimi Hendrix e tutti insieme andammo a sentirlo il pomeriggio del 24 maggio: suonavamo al Titan Club e, sapendo che dopo il concerto serale Hendrix sarebbe venuto, chiedemmo al direttore artistico del locale di suonare mentre era presente Hendrix⌠Quella sera facevamo da spalla a un gruppo di R&B e, finito il loro concerto, sebbene avessimo già suonato, tornammo sul palco. Jimi era seduto proprio di fronte a noi nel tavolino dei vip insieme a delle ragazze e notai che mentre suonavamo ci guardava e
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batteva il tempo con la mano. Armando Gallo ricorda che Jimi disse: ÂŤSilenzio tutti, voglio sentire questi ragazzi suonare!Âť. Abbiamo suonato per una mezzâoretta e, tornati nei camerini, arrivò Alberto Marozzi dicendo che Jimi Hendrix voleva che suonassimo ancora e cosĂŹ facemmo un altro paio di pezzi. Ma ancora Alberto venne da noi ed eccitato ci disse: ÂŤA ragĂ , Jimi vole fĂ na jam sessionÂť. Rientrati sul palco, Ruggero Stefani andò alla batteria, mentre Noel Redding prese la mia Gibson 335 e Jimi andò al basso di Piero (Pierfranco Pavone). Jimi suonò il basso semplicemente girandolo senza riaccordarlo, nonostante fosse mancino. Improvvisammo alcuni blues, poi durante una pausa Marozzi si spostò alla batteria, alternandosi con Mitch Mitchell. Dopo la jam session Jimi ci invitò al suo tavolo: Alberto faceva da interprete e Hendrix ci chiese di aprire i concerti al Brancaccio il giorno successivo. Massimo Bernardi non era molto dâaccordo perchĂŠ noi Folhks dovevano giĂ suonare al Titan, ma su insistenza di Jimi Massimo accettò a patto che subito dopo tornassimo al Titan. I FHOLKS (RUGGERO STEFANI) Il Titan era in via della Meloria, vicino al Bar Cristallo. Si riunivano molti personaggi del rock romano. La direzione artistica del Titan promosse il tour italiano di Jimi Hendrix. Gli organizzatori, Massimo Bernardi e Oscar Porri, essendo anche proprietario e direttore artistico del Titan, pensarono di invitare Jimi e la band a passare il dopoâspettacolo al Titan, dove, tanto per cambiare, ci esibivamo noi. In una grande sala rettangolare, appena rialzato, câera il palco su uno dei lati corti del locale. Di fronte al palco la pista da ballo, rotonda. Ai due lati della pista, vicinissimi al palco, due salottini vip, con divani a semicerchio intorno a un tavolo rotondo: di solito erano riservati agli ospiti importanti del locale, mentre i clienti comuni si sedevano nelle altre poltrone e nei tavoli dislocati tutto intorno alle pareti: quella sera Jimi e la band furono fatti sedere in una di queste due postazioni. Noi stavamo suonando, quando lui entrò nel locale: ci tremavano le gambe, ma continuammo a suonare con la nostra solita verve. Oggi si definirebbe âgrooveâ, per noi era âgrintaâ. Con Jimi, oltre a Mitch Mitchell e Noel Redding, câerano Bernardi, Porri e Albertino Marozzi, che si rivelò un personaggio chiave della situazione. Quella sera era lĂŹ perchĂŠ conosceva un poâ di inglese, quindi era riuscito a intrufolarsi come accompagnatoreâ interprete del gruppo. Rientrammo nel camerino camminando su una nuvola. Mentre ci asciugavamo il sudore e cercavamo di toglierci i sorrisi ebeti dal volto, entrò di corsa Albertino Marozzi dicendo: ÂŤA regĂ , ha detto Jimi Hendrix se risonate perchĂŠ je sete piaciuti un saccoÂť, queste furono le parole esatte. Beh, questo apprezzamento ci riempĂŹ di stupore e orgoglio, in un crescendo di enorme soddisfazione. Al termine di questa, che era la nostra terza esibizione della serata, ancora Albertino venne da noi e ci disse: ÂŤA regĂ , Jimi Hendrix ha chiesto de sonĂ qualche pezzo con voi. Ha detto che je fate venĂŹ voja de sonĂ Âť. Si può immaginare la sensazione nel vedere un mostro sacro del rock avvicinarsi e salire sul palco con te, prendere la chitarra, imbracciarla e cominciare a suonare? Comunque,
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in uno stato di estasi, partimmo con unâimprovvisazione. Non durò molto, ma lâimportanza era nellâevento, seguito con grande soddisfazione del pubblico per lâeccezionale fuori programma. Di nuovo in camerino, dove ancora Albertino ci raggiunse, per un invito: ÂŤJimi Hendrix ve vole al tavolo con lui. Ve vole conosceÂť. Quindi ricevemmo ancora un sacco di complimenti, che Albertino si sforzava di tradurci. Ricordo che Mitch Mitchell mi disse che ero molto bravo. Io gli chiesi se stava scherzando e volle sapere da quanto tempo suonavo la batteria. Jimi a un certo punto smise di rivolgersi a noi e cominciò a parlare fittamente con gli organizzatori della tournĂŠe. Mi sfuggĂŹ ciò che si dissero, distratto comâero da Mitch Mitchell, ma alla fine ci venne annunciato che il giorno dopo (sabato) avremmo aperto lo spettacolo del Brancaccio, dato che a Jimi gli mettevamo addosso una gran voglia di suonare. ALBERTO MAROZZI Suonammo un blues, alcuni classici del R&B e un pezzo che assomigliava a Foxy Lady, ma Jimi non cantava. Hendrix era alla mia destra, lo guardavo fisso mentre prendevo in mano le bacchette. Si voltò e battĂŠ il piede sul pavimento per darmi il tempo. In quel momento credevo di morire, avevo un terrore cieco di sbagliare, credevo di trovarmi di fronte al solito chitarrista esaltato che se sbagli ti sfascia lo strumento in testa. Invece niente di tutto questo. Era impossibile sbagliare con lui, sembrava avesse almeno cinque chitarre, non una. Dopo un poâ che eravamo al Titan, mi disse che voleva mangiare qualcosa visto che era tardi e il locale stava chiudendo. Lo caricai sulla mia 500 con due amiche che non parlavano inglese, diretti verso via Veneto, mi pare al Cowboy. Mentre mangiavamo, in fondo alla sala câera un pianista di una certa etĂ , nemmeno tanto bravo. Una volta finito di suonare, Jimi si alza e va verso di lui, tira fuori dalle tasche 10.000 lire e le passa al musicista. Era una bella cifra, allora. Rimasi sorpreso, lui gli strinse la mano, dicendo: ÂŤBe groovy out of site, manÂť. Poi mi spiegò che voleva incoraggiare tutti quelli che fanno musica, piĂš o meno capaci ma con la passione a guidarli. Poi ho condotto lui e una ragazza bionda a fare un giro di Roma by night, prima di riportarli in albergo. BRUNA URBANI Bernardi disse che aveva chiamato un suo amico che gestiva un american bar e se volevamo ci avrebbe ospitato: Jimi annuĂŹ e cosĂŹ lasciammo il Titan, raggiungendo il locale. Conversammo per alcune ore fin verso le 3, poi, data lâintesa che câera fra me e Thea, lei capĂŹ che era giunto il momento che le cose prendessero il loro corso e ci lasciò. CosĂŹ andai allâalbergo in cui Jimi era ospite, vicino alla stazione Termini. Trascorsi il resto della notte con lui e il mattino seguente, verso le 11, venne a prendermi Thea per portarmi a casa, visto che non avevo abiti di ricambio per la giornata. Di quei momenti ricordo una persona estremamente gentile, dolce e sensibile: mi disse di raggiungerlo negli Usa una volta ritornato e che era sua intenzione prendere una casa a Roma e incontrarmi quando era possibile. E comunque ci lasciammo con lâintenzione di rivederci la sera dopo il concerto, di nuovo al Titan.
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25 MAGGIO 1968 Nel primo pomeriggio Hendrix concede varie interviste e un servizio fotografico in hotel per il diffusissimo giornale svizzero âBlickâ. Siccome la Jimi Hendrix Experience era stata ingaggiata per due concerti a Zurigo (30â31 maggio), prima assoluta per la Svizzera, âBlickâ aveva inviato allâHotel Metropole la giornalista Edith Wieland per unâintervista e un servizio fotografico. Intorno alle 16, gli Experience si recano al Teatro Brancaccio per il concerto pomeridiano. I gruppi di supporto sono: Doctor Kâs Blues Band, Pierfranco Colonna, il balletto di Franco Estill. I brani suonati dalla jhe sono: I Donât Live Today, Hey Joe, Stone Free, Manic Depression, Foxy Lady, Red House, Wild Thing. Lâintero concerto è stato registrato. Tra i due concerti Jimi viene invitato a cena al noto ristorante Alfredo alla Scrofa, in via della Scrofa 104, da una manager della casa discografica Polygram. Per il concerto serale, oltre i soliti gruppi di supporto, lo show, su insistenza di Jimi, fu aperto dai Fholks, aggiunti in cartellone dopo che Jimi li sentĂŹ suonare la sera prima al Titan Club. Massimo Bernardi non era molto dâaccordo, perchĂŠ i Fholks dovevano giĂ esibirsi al Titan ma, dopo le insistenze di Jimi, Massimo accettò, a patto che subito dopo tornassero a suonare al Titan. I Fholks suonavano lĂŹ tutte le sere tranne la domenica, giornata di chiusura. Anche Pierfranco Colonna (nome dâarte di Franco Castellani) non era troppo entusiasta dellâulteriore aggiunta di un gruppo di supporto, perchĂŠ questo probabilmente avrebbe accorciato il tempo a sua disposizione. Una troupe della âSettimana Incomâ tentò di filmare il concerto, ma dopo pochi minuti di ripresa furono cacciati dallâentourage di Hendrix. Tra i brani suonati dalla jhe sono: Fire, Stone Free, Red House. Solo i primi due brani e parte del terzo sono stati registrati. Dopo il secondo concerto, gli Experience tornano al Titan Club dove suonano una seconda jam session. Alla chiusura del locale, Noel, sua sorella Vicky, Jimi e alcuni accompagnatori fanno tappa al Cowboy di via Veneto e poi vanno al Colosseo e, ancora su due auto (la 500 di Marozzi e quella di Tony Ruggero), verso il parco di Villa Borghese, dove ciascuno si apparta con il proprio partner di quella sera. Allâalba tentano di portare le ragazze in albergo, ma il portiere di notte non le lascia entrare, quindi attendono il cambio del portiere per riuscire a far intrufolare le ragazze in camera.
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Intervista con Edith Wieland (pubblicata il 30 maggio sulla rivista âBlickâ) Jimi Hendrix esce dallâascensore con la sua tipica postura a testa abbassata e arriva nella hall dellâalbergo. Si muove con una grazia naturale, che accomuna molte persone di colore. Mi saluta e si siede accanto a me sul divano. Supera un primo momento di timidezza ordinando un succo di frutta. Edith: Non bevi alcool? Jimi: SĂŹ, mi succede, ma non durante il giorno. Inoltre il succo di frutta mi tiene in piedi. Siamo quasi sempre in giro e mi manca il tempo per mangiare. Vede, anche la mia pelle ne risente. (Mostra una crosta sul polso, mettendo in evidenza le mani enormi, espressive. Ă veramente pallido, nonostante per natura abbia una pelle scura.) Edith: PerchĂŠ ti descrivono sempre come un selvaggio? Jimi: Onestamente, nemmeno io so perchĂŠ mi si vuole sempre vedere come un uomo orribile. A loro piacerebbe se io avessi le sembianze di un cannibale. (Fa una boccaccia, digrigna i denti e ruota gli occhi, poi scoppia a ridere. Ă facile notare come il materiale pubblicitario che lo dipinge come un selvaggio lo ferisca. Jimi non è una gran bellezza, ma ha un tale fascino, humour e intelligenza che ci si dimentica del suo aspetto appena inizi a parlarci insieme.) Edith: Ieri Marcello Fratoni, un critico musicale italiano, ha detto che sei il Paganini della chitarra. Jimi: Paganini? Chi è? Ah, sĂŹ, il piĂš grande violinista di tutti i tempi. Questo mi fa molto piacere. (E sorride contento.) Edith Wieland intervista Jimi Hendrix in albergo.
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Edith: La tua musica è stata definita psichedelica, invece tu in che categoria ti classificheresti? Jimi: A questa domanda è molto difficile rispondere. Ă un mix di rock, blues e jazz: è una musica ancora in piena evoluzione, qualcosa che sta per arrivare, una musica del futuro. Sicuramente non la definirei psichedelica, piuttosto Bach o Beethoven (e sorride). Non fraintendermi, amo molto sia Bach che Beethoven e ho tanti dischi loro e pure di Gustav Mahler. Edith: âŚE che mi dici del tuo successo con le donne? Jimi: Donne? (Riflette un attimo.) Sai, io vivo solo per la musica. Per me prima viene la chitarra, poi la musica, solo molto dopo vengono le donne, però mi rimane pochissimo tempo per loro. Ma il successo non è una buona cosa perchĂŠ rovina il lavoro. Edith: Lavori sempre con questo ritmo? Jimi: Non piĂš per molto, domani finiamo il nostro tour in Italia, dopodichĂŠ andrò per un giorno a New York a firmare un contratto e, in seguito, tra quattro giorni, come giĂ sai, saremo in Svizzera. Edith: âŚE dopo la Svizzera? Jimi: Un piccolo tour in Spagna e finalmente le vacanze. Ne abbiamo davvero bisogno, siamo stanchissimi! Poi voglio tornare a Roma, amo questa cittĂ ! (Qualcuno interrompe lâintervista, è ora di andare a teatro.) Siamo di nuovo in ritardo e Mitch è ancora nella sua stanza, non si è fatto vedere. In un anno e mezzo che lo conosco non è stato puntuale neanche una volta. Il ritardo per lui è una malattia cronica!
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Teatro Brancaccio, il concerto pomeridiano CARLO CICIANI Quando seppi che la Jimi Hendrix Experience avrebbe suonato a Roma ero incredulo, Jimi dal vivo! Il concerto non fu molto pubblicizzato, pochi manifesti e qualche notizia sui quotidiani, alla fine fu piĂš un passaparola tra amici. Nemmeno in sogno si poteva sperare tanto, era impossibile non partecipare nonostante il costo del biglietto (1.500 lire) che per me studente era tutto sommato una discreta somma a quei tempi. Ad ogni modo con degli amici di quartiere andammo al concerto del sabato pomeriggio. Tra il pubblico câerano parecchi ragazzi stranieri, probabilmente turisti che non potevano perdersi lâoccasione di vedere Hendrix dal vivo cosĂŹ facilmente e a poco prezzo: allâestero era giĂ famoso mentre in Italia era ancora pressochĂŠ sconosciuto. THOMAS HARRISON Per metĂ americana e per metĂ italiana, la mia famiglia si era trasferita a Roma dalla Turchia un anno prima. Appassionati di musica, i miei amici ed io conoscevamo i Beatles, gli Yardbirds e gli Animals e, naturalmente ci affascinava la psichedelia e le minigonne della scena britannica. Ma un tizio di colore che si fosse impadronito di tutti quei suoni e di quei vestiti?! Diffondeva un senso di orgoglio, sia esistenziale che culturale. Noi espatriati amavamo la musica soul della Motown, anche se le sue radici e le tensioni razziali ci erano per lo piĂš estranee. Allâaltro estremo câera la scena rock bianca e transcontinentale. Improvvisamente, o cosĂŹ ci pareva, piovve dal cielo la Jimi Hendrix Experience, la cui immagine audace e trasgressiva ci offriva un messaggio sintetico e trionfante. In lui confluivano Inghilterra, Europa, Stati Uniti, rock, blues e soul, bianco e nero, maschile e femminile, forza e amore, istinto e artificiositĂ . Ovviamente non si poteva mancare al suo concerto romano, sebbene avessi dodici anni decisi di andare con mia sorella maggiore, mio fratello e un paio di amici. Comprammo i nostri biglietti direttamente al Brancaccio, che, per quanto mi ricordi, aveva come politica ÂŤprima arrivi, meglio ti siediÂť, per cui io e mio fratello, allo show pomeridiano, finimmo per sederci a poca distanza dal palco, a sinistra del corridoio centrale. Lâatmosfera era prossima alla venerazione, credo che pochi notarono i gruppi di supporto.
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SERGIO 1952 Il tema âChi vorresti essere dei personaggi viventi o dei grandi del passatoâ andò malissimo. Non era tanto la forma con cui esponevo le mie idee ad aver causato lâinsufficienza â non câerano errori di grammatica, la sintassi era corretta â e forse nemmeno le argomentazioni erano cosĂŹ male, in sintonia comunque con i miei quindici anni e mezzo. In fondo avevo solo parlato della mia grande passione per uno strumento musicale, del sogno di farne un giorno una professione e, visto che mi si chiedeva di impersonare qualcuno, dissi di voler essere il piĂš grande chitarrista vivente, Jimi Hendrix. Il motivo del brutto voto e dello sdegno con cui lâanziana professoressa mi restituĂŹ il compito era quindi dovuto al soggetto che avevo scelto. Lâavrei spuntata con Segovia o con Django Reinhardt e forse avrei avuto una possibilitĂ con Robert Johnson ma con Jimi Hendrix no, impossibile. Lei non sapeva chi fosse Hendrix, figuriamoci, ma il solo fatto di apprendere che del misterioso personaggio, âun negroâ poi, ammiravo la musica âelettricaâ, la massa di capelli neri, le giacche variopinte tappezzate di alamari, le chitarre incendiate ecc., era davvero troppo. In realtĂ di Hendrix non sapevo nulla, avevo visto un paio di foto del gruppo e avevo da poco ascoltato Are You Experienced? su un giradischi dalla puntina consumata. Lâammirazione per il personaggio mi veniva piĂš che altro dai racconti di alcuni amici molto piĂš bravi di me con la chitarra e anche loro, poi, non è che ne sapessero molto. A distanza di anni trovo sorprendente la sproporzione tra lâeccitazione con cui attesi quel pomeriggio e lâassoluta ignoranza della musica di Hendrix. Ero un aspirante chitarrista beat (allora il rock era solo quello defunto di Elvis) e mi recai al Brancaccio, che dista meno di cento metri dalla casa in cui abito ancora. Di quel giorno ricordo lâorgoglio di esserci. La ressa allâingresso col biglietto in mano, pigiato fino a perdere il fiato nel tentativo di raggiungere i primi posti; la corsa verso il palco nascosto da un pesante sipario di stoffa; lâesibizione di un certo Pierfranco Colonna che a detta dellâamico seduto accanto a me era un professionista vero. Di quei momenti non ricordo la musica, ma il frastuono in sala, lâenergia sprigionata da un cinema enorme gremito di ragazzi eccitati che, probabilmente come me, in gran parte erano lĂŹ non per i musicisti ma per condividere un rito tribale. ANTONIO VARONE Del 1968 ricordo che era unâepoca bellissima. Fin da allora ero patito per la musica, la musica la ascoltavamo dalle radio o dai dischi di amici, fu cosĂŹ che conobbi Jimi Hendrix. A quei tempi mi cimentavo in un gruppo, i Demoni, tra le varie canzoni suonavamo anche qualche pezzo di Jimi. Andavo a quasi tutti i concerti, non potevo certo saltare quello del grande Jimi. CosĂŹ con la mia 600 e cinque amici, il sabato pomeriggio, andammo al concerto. Ricordo che non arrivammo al teatro tra i primi e la calca mi schiacciò tra un gruppo di svedesi... il Brancaccio era pieno, anche in galleria dove ci trovavamo.
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PAT L.A. WISS La foto sulla copertina di Are You Experienced? era un programma di per sĂŠ... un ceffo scuro dai capelli cotonati affiancato, sotto il suo manto, da due pallidi giovani musicisti. Come seppi che avrebbe suonato mi attivai per assicurarmi di non perdere il suo concerto e andai con un mio compagno di classe e dâavventure. Il Brancaccio era pieno di adulatori, (pseudo) chitarristi e non, con lâadrenalina diffusa e la bava alla bocca! Non volava una mosca, tutti eravamo in attesa di vedere questo mostro della chitarra.
Fronte e retro di copertina della prima edizione di Are you experienced? Maggio, 1967.
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ADRIANO ASSANTI Nel 1968 avevo diciassette anni, suonavo la batteria, ero un amante della musica. A Napoli, dove vivevo, la situazione musicale era disastrosa, noi eravamo tra i pochi ad ascoltare e suonare musica angloâamericana. Non câera possibilitĂ di trovare riviste musicali e i dischi dâimportazione erano difficili da reperire. La nostra principale fonte dâinformazione musicale era il programma radiofonico Bandiera Gialla, oppure ci si sintonizzava sulle onde medie di Radio Luxembourg, però solo di notte. Il mio amico Geppino Esposito un giorno si presentò con un disco di Hendrix, non capivamo che diceva ma la musica era veramente diversa da tutto, sembrava un marziano. Un giorno lo stesso amico viene e mi dice che Jimi suonerĂ a Roma. Eravamo molto giovani e arrivare a Roma era un problema, câera ancora un mesetto davanti, cosĂŹ chiedemmo a diverse persone se ci accompagnavano in auto. Finalmente si trovò una combinazione. Arrivati a Roma acquistammo i biglietti, quel pomeriggio il Brancaccio non era pieno. A quei tempi, potendo, portavo ai concerti il mio Philips a cassette, registravo tutto per poi riascoltare i musicisti e scoprire le loro dritte e trucchetti. In genere nessuno ci faceva caso e anche al Brancaccio io sono tranquillamente entrato con il registratore. Dei gruppi supporter che si esibirono prima di Hendrix ho solo il vago ricordo di un balletto, ero concentrato e interessato solo a Jimi. PAOLO RENFERME Andai al concerto senza conoscerlo per accompagnare mio fratello e due suoi amici che erano curiosi di vederlo dopo aver letto un articolo in cui si diceva che spaccasse le chitarre. Andammo al concerto del pomeriggio, non eravamo tanti, sentivo âelettricitĂ â da tutte le parti e in me cresceva un grande desiderio di sentire Jimi finalmente suonare. EDDIE PONTI Jimi arrivò, restò un poâ nel camerino con il gruppo, senza estranei intorno. Erano sempre puntualissimi, molto professionali. Forse suonarono meno di quaranta minuti perchĂŠ si perse molto tempo a sistemare quegli enormi amplificatori. CARLO CICIANI Non ricordo una particolare introduzione al concerto, nessun presentatore che intrattenesse il pubblico: disse solo ÂŤEcco la Jimi Hendrix ExperienceÂť, non avevamo alcuna idea di cosa sarebbe potuto accadere. Jimi apparve sul palco col suo abito di scena. Come cominciò rimasi senza parole, quando lo vidi suonare con i denti, contorcersi, e cavare tutti quei suoni dallo strumento, mi resi conto che tra noi e lui câerano anni luce di differenza. Era piĂš avanti, incredibile. ANTONIO VARONE Iniziò il concerto e sulle prime rimasi deluso, i suoni erano frastornanti, ma poi è
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cambiato tutto per il meglio Eravamo tutti presi dalla sua musica, era fortissimo, con la chitarra faceva quel che gli pareva. Anche il bassista e il batterista erano potenti, lo accompagnavano alla grande. PIERO AMMANITI Hendrix suonò tutti i suoi cavalli di battaglia, da Hey Joe in poi. Durante il concerto ci furono problemi con i suoni, la batteria in alcuni momenti sovrastava tutto il resto, il basso era cupo e la voce si sentiva poco: Jimi era molto infastidito dallâacustica, non riusciva a dare il meglio. Nonostante tutto fu un bel concerto, tra suoni fantascientifici ottenuti con solo due pedali, un fuzz face e un wah wah. Ricordo che la batteria di Mitch aveva una cassa color oro, mentre Noel Redding mi impressionò perchĂŠ era secco secco con i capelli cotonati. THOMAS HARRISON Al concerto portai con me la mia Kodak Instamatic e scattai alcune foto. Avevo dodici anni. Ciò che le immagini non riescono a mostrare è lâeffetto bruciante della performance. Purtroppo le stesse immagini riescono solo a catturare aspetti momentanei di un avvenimento non statico, ritagliando frammenti di un evento dionisiaco. Al Brancaccio Jimi apparve pacato rispetto ad altre occasioni, come lo si era visto a Monterey ad esempio. Sicuramente lâestraneitĂ dellâambiente romano influĂŹ in questo senso. Mi è difficile immaginare un altro performer in grado di convogliare un tale senso di potenza dinamica, e di fondere assieme una tale miscela di erotismo, carisma, malizia e virtuosismo musicale: con la chitarra a fare da insolito propellente. Un concentrato di passione, anni di privazioni umane, di inspiegabile brama e urgenza creativa. SERGIO 1952 Suoni assordanti, ritmo martellante, pubblico da stadio, Mitch Mitchell che faceva volare le bacchette sulle pelli, rullando fluido e potente, Hendrix sembrava piccolo, magrissimo, rispetto allâimmagine gigantesca delle nostre proiezioni adolescenziali, la materializzazione della copertina del primo disco, unâicona vivente. Ero affascinato dai ruoli, dai gesti, dai colori, dalla potenza del suono. Se devo scremare i ricordi del concerto mi rimane poco: schiacciato tra la folla allâingresso, corsa tra i sedili di legno, frastuono, Mitch che rulla e lancia bacchette, Jimi simbolo esotico, indifferente, minuto e gigantesco, Wild Thing, chitarra, amplificatori aggrediti. BRUNO DâANGELO Ero seduto nella platea del teatro, allora anche cinema, e avevo pagato i biglietti una discreta cifra per essere proprio sotto il palco. Il gruppo mostrò subito di cosa era capace e ne fui estasiato; Mitchell pestava sui rullanti come un ossesso, spezzando molte bacchette, una mi cadde proprio addosso. Tutto avvenne nel piĂš
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totale delirio musicale, con corpi che saltavano, urlavano, si dimenavano al fuoco sonoro di Jimi. Bei ricordi di adolescenza piena di passione; tempi in cui credevo che il mondo sarebbe cambiato anche grazie alla musica. Se avessi ancora quella bacchetta, la sventolerei per gridare: ÂŤEravamo belli e avevamo un sogno, e questo ci faceva sentire ricchi... provate voi a sognare oraÂť. CARLO CICIANI Tra una canzone e lâaltra Jimi parlava ovviamente in inglese e io purtroppo non lo capivo, sul palco non câera una scenografia, solo lui che con la sua musica riempiva tutto. Nonostante lâamplificazione non allâaltezza che causò vari problemi, Hendrix, Mitch e Noel diedero il massimo. Fu una cosa memorabile, abbiamo assistito a qualcosa di inimmaginabile come se fossimo stati proiettati nel futuro... ricordo che accennò lâinno americano mescolato con i suoni delle bombe, chiara allusione alla guerra in Vietnam. ADRIANO ASSANTI Durante il concerto temevo che si scaricassero le pile mentre Jimi suonava, quindi il primo concerto non lâho seguito molto, preoccupato dalla lancetta del registratore e continuavo a cambiare posizione per ottenere una ripresa ottimale.
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Una registrazione
Noel: Thank you very much⌠but I want you to sit down⌠(Grazie mille⌠ma voglio che vi sediateâŚ) La quinta canzone suonata dagli Experience è Foxy Lady (durata 3:40), una versione veramente ispirata, che ha mandato in visibilio il pubblico. Noel: Thank you very much, thank you, gracias. (Grazie mille, grazie, gracias.)
Il nastro inizia con la presentazione di Eddie Ponti che semplicemente dice: ÂŤAl Titan Top Show la Jimi Hendrix ExperienceÂť e subito attaccano I Donât Live Today (durata 3:30), una versione molto vicina allâoriginale con un assolo verso la fine. Al termine Noel ringrazia. Noel: Thank you very much... from us. (Grazie mille⌠da parte nostra.) Jimi: [accordando] Thank you very much for coming. Weâd like to continue on with a song called Hey Joe⌠(Grazie per essere venuti. Ci piacerebbe continuare con una canzone intitolata Hey JoeâŚ) Dopo una breve introduzione di Jimi, tra il vociare del pubblico, la seconda canzone è Hey Joe (durata 4:15). Ă una versione particolare; anche questa allâinizio è simile allâoriginale, poi però Jimi suona dei licks diversi e dopo 3:30 fa un secondo assolo. Alla fine della canzone Noel ringrazia. Noel: Thank you very much, the ladies... (Grazie mille, signore eâŚ) Il terzo brano suonato dagli Experience è Stone Free (durata 3:42), una versione simile allâoriginale ma con un micidiale assolo dopo circa 2:00 minuti. Al termine del brano, Jimi si lamenta degli amplificatori, probabilmente non poteva usarli come avrebbe desiderato. Jimi: English amps donât go with theâeh⌠the electricity⌠(Gli amplificatori inglesi non vanno con lâee... lâelettricitĂ ...) Prima del quarto brano Jimi accorda la chitarra, quindi suona Manic Depression (durata 5:48), unâottima versione. Nonostante durante lâassolo Jimi sbagli una nota, lâinvolontario errore stravolge la canzone e il âsoloâ si trasforma in qualcosa di incredibile, psichedelico. Mitch Mitchell fa un magistrale assolo di batteria, poi Jimi ripete il tema della canzone e chiude il brano. Noel riprende il pubblico che si accalca davanti al palco.
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Jimi: Weâd like to continue on with the slow blues that we did on Are You Experienced? IâIâm sorry about the amplifiers, but thereâs nothing we can do about this show. The next show itâll be all right, okay. (Ci piacerebbe continuare con il blues lento che abbiamo fatto in Are You Experienced? Ma mi... mi spiace per gli amplificatori, non câè niente che possiamo fare per questo show. Ma il prossimo show sarĂ a posto, okay.) Noel: One⌠(UnoâŚ) Mentre introduce Red House (durata 10:10), Jimi cambia la chitarra e per il brano successivo usa una Gibson Les Paul. Questa versione è in assoluto una delle migliori esecuzioni di Hendrix, lentissima, con un lunghissimo assolo. Alla fine del brano, Noel ringrazia, mentre Jimi si lamenta ancora per gli amplificatori e introduce la canzone finale. Noel: Thank you very much. (Grazie mille.) Jimi: Ah, again I have to say weâre very sorry that my amplifier has gone. This, itâs completely gone now. Itâs British right? Amplifier British, we ainât messinâ with you heh. Anyway⌠[prova con forza un accordo, mentre accorda la chitarra] âŚso we have one more numâuh, song weâve, number to do. Anâuh, weâd like to say thank you very much for today. It is the song dedicated to, International anthem. Dedicated to all the soldiers that are fightinâ in Chicago, Philadelphiaâah, Washington D.C. (Ah, ancora devo dirvi che ci dispiace tantissimo, ma il mio amplificatore è andato. Questo, è completamente andato adesso. Ă inglese, vero? Amplificatore inglese, non ci mettiamo piĂš con te, ehi. Comunque... [prova con forza un accordo, mentre accorda la chitarra] ...cosĂŹ abbiamo ancora un num..., una canzone, un numero da fare. Ah, inoltre vi vorrei dire molte grazie per oggi. Ă una canzone dedicata a un inno internazionale dedicato a tutti i soldati che stanno combattendo a Chicago, Philadelphia..., Washington D.C.) Pubblico: [applausi]
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Jimi: âŚParis, France. Oh, yes, and Vietnam [accordando]. If everybody stand up anâ put your right hand across your leftâah, whatever you can find to put it across. Then we canâhaâha begin [accordando]. Weâd like to say thank you very much for ourselves, huh? Buonasera, goodbye [accordando]⌠(Parigi, Francia. Oh, sĂŹ, e il Vietnam [accordando]. Se ognuno si alzasse in piedi e mettesse la sua mano destra incrociata con la sinistra, o comunque vogliate incrociarle. Allora possiamo... cominciare [accordando]. Vorremmo dirvi grazie mille da parte nostra, huh? Buonasera, arrivederci [accordando]âŚ) Alla fine Jimi saluta il pubblico romano e in un italiano un poâ stentato dice: ÂŤBuonaseraÂť, dedicando poi lâultima canzone Wild Thing (durata 6:30) ai soldati che combattono in Vietnam. Anche questa è una versione atipica, molto piĂš lenta di quella usuale. Nel mezzo accenna a Strangers in the Night, e verso la fine usa alcuni riff che ricordano The StarâSpangled Banner. Il concerto finisce. Il pubblico è in delirio.
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La cena da âAlfredoâ
VICKY REDDING Dopo il concerto andammo a cena in un ristorante, uno di quelli dove portano tutte le star, Frank Sinatra, Dean Martin e cosĂŹ via. E câerano tutte le loro foto appese al muro. Ci scattarono delle foto, sono sicura che adesso sono lĂ appese. MARIO MOZZETTI Jimi Hendrix arrivò cosĂŹ una sera senza essere annunciato, nessuno ci preavvisò. Era accompagnato da una bellissima signora, manager della Polygram, un autista e altre quattro o cinque persone. Ci dissero che era il piĂš grande chitarrista del mondo e che veniva dallâAmerica, cosĂŹ lo facemmo accomodare in una saletta riservata e apparecchiammo il loro tavolo con le posate dâoro, quelle riservate alle celebritĂ . Ricordo che gli servimmo la nostra specialitĂ , le âFettuccine da Alfredoâ, e lui ne rimase veramente estasiato. Quella sera al locale avevamo un trio musicale, chitarra, mandolino e violino, che girava tra i tavoli. Visto che lui era un grande chitarrista, quando il trio si avvicinò al suo tavolo, chiesi alla manager se poteva far suonare un pezzo a Jimi con la chitarra. Lei ci fece da tramite perchĂŠ il mio inglese era troppo elementare ai tempi. Jimi accettò di buon grado e disse: ÂŤStasera vi farò vedere una cosa speciale che non faccio molto spessoÂť e prese la chitarra e si mise a suonarla dietro le spalle. Non avevo mai visto fare una cosa del genere, tutti i camerieri e i clienti seduti ai tavoli applaudivano. Fu incredibile. Poi di secondo mi pare assaggiò il filetto di tacchino alla cardinale con pisellini freschi e come dolce prese delle fragole con gelato. Il caffè no, quello non lo volle. Bevve ancora del vino, poi lasciò una bella mancia e soddisfatto promise di ritornare. PAOLO VALENTE Un piatto di spaghetti, uno di fettuccine, cui hanno fatto seguito un filetto alto qualche centimetro e un fiasco di vino. Doveva essere una fame che risaliva ai tempi in cui non era ancora un cantante famoso.
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Il cibo era eccezionale! in altre parole, Veramente Fico, voglio dire, troppo, sai cosa intendo – fantastico – Grazie 1,000,000! I have been EXPERIENCED!
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Teatro Brancaccio, il concerto serale CLAUDIO BALDASSARRI Dovevamo aprire il concerto di Jimi Hendrix giĂ nel pomeriggio, ma siccome eravamo arrivati tardi per il traffico lo facemmo solo per quello della sera. Noi dei Fholks prima delle 21 eravamo giĂ al Teatro Brancaccio: Ponti ci presentò come i pupilli di Hendrix e aprimmo il suo concerto. RUGGERO STEFANI Ci esibimmo prima di Hendrix come lui aveva richiesto e, finito di suonare, senza il tempo per riprendere fiato, di corsa al Titan con il basso e la chitarra per fare la nostra esibizione. GIUSEPPE GAETANO In quei tempi avevo finito il servizio militare. Avevo ventun anni; in quel periodo i gruppi musicali italiani e stranieri andavano per la maggiore e, anche per questo, molti ragazzi in modo dilettantesco formavano gruppi musicali che suonavano nei locali di tutta Roma. Decisi di andare al Brancaccio con un amico, Fabio Fasan, che suonava e cantava nei Naufraghi, che seguivo sempre quando si esibivano in qualche locale. Il batterista del gruppo era Stefano DâOrazio, entrato poi nei Pooh. Ricordo che Fabio mi propose di andare a sentire Hendrix, dato che un suo amico, Ruggero (Stefani), faceva parte del gruppo supporter di Jimi, i Fholks. Lâambiente era infuocato. Hendrix sul palco era una presenza immediatamente in grado di calamitare lâattenzione di tutti e, quando iniziò a suonare il primo pezzo, eravamo tutti esterrefatti, quasi ipnotizzati. Nellâeccitazione generale giĂ girava qualche spinello... Gli altri membri degli Experience, in quel momento, mi sembravano figure di secondo piano: quando uscimmo dal Brancaccio, ero totalmente stordito e per molti giorni con Fabio e gli altri non si parlò dâaltro. CARLO VERDONE Di quella serata conservo la sensazione di un pubblico impaziente che non lasciava ascoltare nulla dei gruppi dâapertura. Mi ricordo di un gruppo che suonava, erano pure bravi, non saprei però dire il nome, si sentiva e non si sentiva a causa del vociare. Poi chiusero il sipario per montare la batteria e gli amplificatori di Hendrix. A quel punto pareva di stare in uno stadio, a tutto volume, tanto che non potevo nemmeno parlare con chi mi stava vicino. A un certo momento, dalla tenda,
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fece capolino la paletta del basso di Noel, come per dire: ÂŤStiamo arrivandoÂť. Ci fu un boato tra il pubblico. A stento riuscimmo a sentire Eddie Ponti che annunciava la Jimi Hendrix Experience. La prima canzone fu Fire. THOMAS HARRISON Siamo tornati per il concerto serale e il clima era molto diverso rispetto al pomeriggio. Câera piĂš gente, tantâè che riuscimmo a malapena a trovare dei biglietti per la galleria. Il pubblico era piĂš scatenato direi, molto rumoroso, câera un caos tremendo, tutta la gente parlava, addirittura a volte non si riusciva a sentirlo. Credo che Jimi si arrabbiò moltissimo quella sera, per il pubblico. A parte questo, la performance serale aveva unâaria piĂš remota e astratta. Ho bene in mente come Jimi amoreggiava con gli amplificatori e la sua scelta di unâattraente e imbarazzata fanciulla in prima fila cui dedicare Foxy Lady. MARCO PERSICHETTI Mi ricordo che un romano da unâalta balconata del Teatro Brancaccio, con il braccio attorno a una colonnina, a un certo punto del concerto urlò: ÂŤ...ah Giacomo me pari Iddio!!!Âť. Non lo scorderò per tutta la vita perchĂŠ ero dâaccordo: lui era ed è un Dio della chitarra. ROBERTO CIOTTI Ai tempi frequentavo la prima liceo: insieme al mio amico e compagno di banco Gianni Marcucci, una volta ascoltammo per radio Hey Joe, in un programma di Arbore e Boncompagni. Questa canzone mi sconvolse, fino ad allora la musica non mi interessava molto. A casa mia andavano Celentano, Rita Pavone, Sanremo. Io tutto sommato odiavo la musica. Andare al Brancaccio fu una conseguenza naturale. Sentire Jimi suonare mi lasciò esterrefatto, una cosa incredibile che mi cambiò la vita. Da quel momento abbandonai tutto, trascurai la scuola mentre prima ero studiosissimo, mollai anche il calcio, sebbene fossi stato un grande amante del pallone, mi misi a suonare la chitarra e in un anno imparai a suonarla a orecchio, tanto che quelli del palazzo mi chiamavano per rifare le canzoncine dellâepoca. SARO CORDI Alcuni accordi e note improvvisate per scaldarsi le dita mandavano in delirio tutti!!! Suonavano in tre ma sembravano sei. Ricordo di aver battuto i piedi a ogni vibrazione di chitarra. In pochi allora conoscevano la lingua inglese, ma quando Jimi pronunciò ÂŤHey JoeÂť ci fu unâesplosione di urla e di gioia: il Brancaccio iniziò a tremare, per alcuni minuti. SERGIO GIANNONI Lâultima immagine che ho di Hendrix al termine dellâultima canzone: si sfilò la Fender come una maglietta e la gettò allâindietro verso il muro di Marshall mandando in risonanza il tutto, quasi come lâultimo botto dei fuochi dâartificio!
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THOMAS HARRISON Uscendo dal teatro dopo il secondo show, fummo invitati (o ci fu permesso) a prendere una locandina del concerto da una pila ammonticchiata su un tavolino. Ed è quella che teniamo in mano nella foto scattata sul marciapiede appena fuori dal Brancaccio.
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Una registrazione Purtroppo la registrazione del secondo concerto è molto breve e inizia con gli applausi del pubblico fremente: si riesce a sentire la presentazione di Eddie Ponti. Il primo brano è Fire (durata 2:50), molto simile allâoriginale, ma Hendrix lo chiude in maniera quasi brusca dopo un brevissimo assolo. Il clima è piĂš rumoroso rispetto al pomeriggio e subito Jimi inizia con Stone Free (durata 3:40). Noel Redding fa il controcanto a Jimi, che verso la fine della canzone suona un assolo micidiale e atipico. Prima del terzo brano, Hendrix si scusa con il pubblico per i problemi di elettricitĂ e introduce Red House, ma sfortunatamente, poco dopo la prima strofa, il nastro finisce⌠anche questa doveva essere una versione eccezionale. Purtroppo nessun altro nastro è stato trovato. Dalle testimonianze risulta che Jimi suonò anche: Hey Joe, I Donât Live Today, Foxy Lady e terminò con Purple Haze.
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Dopo il concerto
EDDIE PONTI Jimi aveva diverse chitarre, per quasi tutto il concerto usò la Fender bianca, quella buona: alla fine invece, prima di suonare lâultimo pezzo, il cambio. Un piccolo giochetto, perchĂŠ poi la spaccava. Alla fine del concerto fissavo quella chitarra sacrificata sul palco. Jimi mi vide e disse: ÂŤLa vuoi? Tanto non sarĂ in grado di suonare, te la regalo!Âť. Decisi di tenerla come ricordo, lo ringraziai e lui me la firmò con un pennarello. Non era distrutta completamente, aveva sferrato una pedata sopra, câera un buco nella plastica. MAURIZIO MORETTI Lo vidi scappar via dalla sala, riuscii a bloccarlo mentre stava squagliandosela poco dopo la fine del suo trionfale concerto. Lo dovevo intervistare e gli domandai dove stesse andando cosĂŹ di fretta. Mi disse che aveva delle ragazze che lo stavano aspettando. Allora gli chiesi la sua impressione sullâItalia e mi disse che ne era affascinato e sperava forse a giugno di tornare per qualche giorno di vacanza. ALBERTO MAROZZI Anche il sabato sera era previsto che accompagnassi Jimi al Titan. LĂŹ, oltre al solito rinfresco, stavolta era stata programmata in anticipo una jam session e Hendrix si portò dietro la sua Fender. BRUNA URBANI Non potei assistere al concerto, ma mi recai al Titan, dove Jimi ci raggiunse: non rimase molto tempo, alcune persone lo invitarono da qualche parte per âfumareâ: io non accettai lâinvito e quella fu lâultima volta che vidi Jimi. ALBERTO MAROZZI Quando fu il momento della jam session, Jimi chiamò Noel e Mitch sul palco con lui, ma questi fecero finta di suonare e ben presto cedettero il posto ai musicisti locali. Forse erano un poâ ubriachi o forse erano piĂš interessati alle ragazze. Fui onorato di prendere il posto di Mitch alla batteria e, se Jimi fosse stato un divo prefabbricato, non si sarebbe abbassato a suonare in mia compagnia. Ero un batterista proprio scarso allâepoca. Cominciammo la jam con un blues, insieme a me e Jimi a suonare câera il bassista dei Fholks, Piero Pavone, tesissimo come me. Suonammo una ventina di minuti.
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Finita la jam, ci sedemmo nuovamente al tavolo e lĂŹ câera la brochure, il programma di Jimi al Titan. Hendrix lo prese, lo aprĂŹ sulla pagina centrale e mi scrisse una dedica: ÂŤBe groovy, outtaside, thanks drummer, Jimi HendrixÂť. Lo fece firmare da Noel e Mitch e me lo diede dicendo: ÂŤThank you, AlbertoÂť. CLAUDIO BALDASSARRI Dopo la jam session Jimi ci diede appuntamento, a noi dei Fholks, allâindomani al suo hotel, prima di partire per Bologna. Disse che voleva parlarci in tranquillitĂ , senza lâassedio di un sacco di ragazze. PIERFRANCO COLONNA Con me quella sera al Titan câera una ragazza austriaca, Claudia, che evidentemente a Jimi piaceva parecchio, ma non osava dirmelo. Me ne sono accorto io, cosĂŹ gli dissi che se gli piaceva poteva portarla con sĂŠ. Eravamo a questo livello di confidenza. CLAUDIA Ai tempi avevo una certa simpatia per Pierfranco Colonna e fu grazie a lui che incontrai Jimi Hendrix. Vidi il concerto di Hendrix anche il giorno prima, ma lo conobbi di persona solo dopo lo show, al cafĂŠ Cowboy. Jimi Hendrix fu carino con me anche se era in compagnia di unâaltra ragazza, ma al momento non mi fece alcuna impressione. Io e la mia amica Dana siamo state al concerto anche la sera successiva e a cena, tra un concerto e lâaltro, Noel, non so perchĂŠ, raccontò a Jimi che lui mi piaceva. CosĂŹ al Titan fu un continuo scambio di sguardi, alcune ragazze provarono a portarlo via, ma lui preferĂŹ restare con me. Poi salimmo su una 500, eravamo lĂŹ stipati. Mi ricordo che percorrevamo via Veneto per dirigerci al Colosseo e io stavo seduta sulle ginocchia di Jimi sul sedile davanti. ALBERTO MAROZZI Mentre guidavo lungo via Veneto con Jimi e le ragazze, avevo il finestrino abbassato e la testa fuori per via del fumo che câera in auto: io non fumavo, ma giravano certi cannoni⌠Facemmo un lungo giro notturno per Roma, gli mostrai Villa Medici, la visitammo, visto che avevo il permesso per entrare. Jimi era veramente innamorato della cittĂ e mi chiese di trovargli un posto dove abitare per un poâ. Dopo facemmo un altro giro e arrivammo al Colosseo, che ai tempi era aperto anche di notte e lĂŹ Jimi è impazzito di gioia. Mi disse di averlo visto il giorno prima ma dallâesterno: non immaginava che dentro fosse cosĂŹ, per lui era una scoperta meravigliosa.
CLAUDIA Arrivati al Colosseo, appena possibile Jimi mi trasse in disparte e mi disse che gli piacevo e mi baciò. Era molto gentile e dolce, pieno di attenzioni, mi piaceva molto ed ero felice. PiĂš tardi ci dirigemmo tutti al parco di Villa Medici dalle parti del Galoppatoio, lĂŹ io e Jimi ci appartammo per fare lâamore tutta la notte. Per tutto il tempo mi sussurrò: ÂŤNon voglio farti male, piccolaÂť e ÂŤHai degli occhi cosĂŹ belliÂť. Non ero mai stata cosĂŹ felice, fu magico. Dopo quella notte lo rividi a Bologna e poi a Vienna quasi un anno dopo, in quellâoccasione mi regalò una sciarpa che ho ancora. Nessuno sapeva amare come lui. NOEL REDDING Cercammo di portare delle ragazze nel nostro hotel, ma niente da fare. CosĂŹ andammo in un parco vicino, che ci avevano detto di evitare perchĂŠ rischioso. LĂŹ ci sbronzammo fino alle 6 del mattino, facendo poi ritorno allâhotel, al momento del cambio dei portieri. CosĂŹ riuscimmo a sgattaiolare dentro con le ragazze. VICKY REDDING Tony, lâautista, ci portò a vedere i sette colli allâalba. DANA FAITH BENJAMIN Dopo il concerto siamo rimasti poco tempo alla festa. Poi, insieme a due mie amiche, io, Jimi, Mitch e Noel siamo scesi in macchina e siamo andati a fare un giro fino a Villa Borghese. Parcheggiata la macchina, Jimi e Claudia sono andati nel parco, Noel è andato con la mia amica Micky e, mentre io e Mitch siamo rimasti seduti in macchina a parlare... abbiamo sentito unâauto che si fermava ed era la polizia... stavano perlustrando con i loro fari e allâimprovviso Jimi spunta con la sua testa da dietro i cespugli e ha letteralmente spaventato gli agenti, tanto che abbiamo sentito poi gridare: ÂŤIl diavoloÂť... Erano terrorizzati, i suoi capelli erano in piedi e aveva una camicia molto vistosa che era illuminata dai fari, abbiamo riso tutti e siamo tornati alle auto; li ho portati di nuovo in hotel e quella è stata una notte molto divertente... MITCH MITCHELL Roma fu davvero piacevole. Ricordo che per poco Jimi non venne arrestato, quando la polizia ci fermò allâalba con un sacco di ragazze: ÂŤChe state facendo?Âť; ÂŤSecondo lei cosa stiamo facendo?Âť. Ma grazie ai nostri autisti non successe nulla.
PAOLO VALENTE Poi arrivato al Pincio, meta obbligata di ogni turista in visita nella capitale, Jimi âil mostroâ, Jimi âil conquistatoreâ si è commosso fino alle lacrime per lo spettacolo. Ha confessato di non aver mai visto niente di tanto bello.
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ALBERTO MAROZZI Jimi era innamorato di Roma. Mentre stavo guidando, pensavo alle sue mani, che mi ricordavo, avendolo visto suonare: aveva le dita che coprivano quasi metĂ tastiera, cosĂŹ per la curiositĂ presi la mano di Jimi che stava di fianco a me sulla 500: la paragonai alla mia. Rimasi impressionato. La sua era ben piĂš grande con dita lunghissime, affusolate, cosa che sicuramente lo agevolava con la chitarra. Arrivati allâalbergo, salutai lui e la ragazza, e una volta entrati mi diressi a casa. Ero quasi arrivato, quando dallo specchietto vedo la chitarra di Jimi, che si era portato appresso e aveva dimenticato. Tornai di corsa indietro e diedi la chitarra al portiere dellâhotel pregandolo di consegnarla a Jimi allâindomani. A volte mi ha sfiorato lâidea che avrei potuto far finta di niente e tenermi la chitarra: o forse Jimi me lâaveva lasciata come regalo, ma non fa niente... Era davvero una bella persona, molto gentile e buona, con un grande cuore.
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Reazione distonica, rispetto al resto della critica. Qui prevalgono toni razzisti e una sostanziale stroncatura del sound di Hendrix di cui non si comprende il âcampo dâazioneâ.
â... Apprezzatissimo dagli appassionati della musica di oggi, Jimi Hendrix è però uno degli artisti di cui il grosso pubblico conosce meno la produzione, soprattutto perchĂŠ della ÂŤJimi Hendrix ExperienceÂť esistono in commercio molti ÂŤlongplayingÂť, ma pochissimi 45 giri. ... Jimi Henrix è chiamato nei paesi anglosassoni ÂŤThe HorrorÂť, ma è adorato dai ÂŤfansÂť. Brutto comâè, spettinato, orribile (e bravo), provoca entusiasmi paragonabili soltanto a quelli suscitati dal ÂŤbellissimoÂť Mick Jagger dei Rolling Stones.â
â... Ă bravo dunque? Prima di poter rispondere a questa domanda, bisognerebbe precisare il campo dâazione del giovane Jimi. Ă un cantante, un solista, un personaggio da scena? Non esattamente. Ma è, comunque, tutte queste cose assieme. Ă soprattutto un diabolico brutalizzatore della chitarra. Aiutato dallâimpianto di amplificazione, deliberatamente impostato sul fracasso che tutto confonde e tutto, quindi, nasconde, Hendrix ha tratto frenetiche, assordanti vibrazioni dal suo strumento, urlacchiando ogni tanto frasi decisamente incomprensibili. E va detto che lo scarso pubblico giovanile non si è agitato molto davanti al rumoroso ÂŤrhythm and bluesÂť di Hendrix e degli altri complessi e cantanti che, prima del negro, avevano proposto, soltanto con maggior vigore, quello che giĂ era stato firmato negli anni â50 da Little Richard, Bill Haley, Les Brown.â V. C.
â... Con la chitarra, una sottile chitarra bianca che Jimi suona da mancino ÂŤThe HorrorÂť (cosĂŹ lo chiamano in Inghilterra) è capace di fare cose folli. Ă capace di trarre fuori i suoni piĂš assurdi, dal cavallo imbizzarrito allâarpa, dal violino strapazzato al lamento di un bue e poi (non si potrĂ piĂš dire ÂŤquello che suona coi piediÂť, perchĂŠ siamo sicuri che Hendrix ne sarebbe capace e anche bene, capovolgendo il modo di dire) arriva addirittura a suonare con i denti. Quello che non si capisce è come riesca a tirar fuori una certa atmosfera, una linea musicale, anche se psichedelica, da una valanga di suoni, toni dolci, delicati eppure agghiaccianti, a seconda degli effetti desiderati: fino al punto di imitare la voce umana. Il pubblico era letteralmente paralizzato, mentre i ÂŤgregariÂť, anchâessi bravissimi, mandavano in aria i loro capelli alla ÂŤPresbiteroÂť (ndr. la famosa pubblicitĂ delle matite, dritte sulla testa). Ha lasciato la gente stordita, quasi legata alle poltrone, paralizzando tutti, anche i vari hippies di borgata venuti con lâintento di fare soltanto ÂŤcaciaraÂť.â C. V.
Il Titan Top Show. âHorrorâ a Roma con Jimi Hendrix, 24 maggio 1968.
Il recital di Hendrix. âOrroreâ al Brancaccio 25 maggio 1968.
Jimi â The Horrorâ e la sua chitarra impazzita, âLa Lunaâ, 26 maggio 1968.
l sound di Jimi Hendrix entusiasma i fans romani. âMomentoâseraâ, 25 maggio 1968.
Articolo che annuncia i quattro concerti romani del â3° Titan Top Showâ.
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BOLOGNA BOLOGNA BOLOGNA
26 MAGGIO 1968
Il 26 maggio, prima di lasciare Roma, Jimi Hendrix incontra i ragazzi dei Fholks, ai quali propone di accompagnarlo nella prossima tournĂŠe americana. Per lâetĂ e lâinesperienza, rifiuteranno lâinvito. Nel primissimo pomeriggio gli Experience raggiungono Bologna per i due concerti organizzati al Palasport di piazza Azzarita. Jimi non vuole alloggiare nello stesso albergo dellâorganizzazione e preferisce lâHotel Alexander in viale Pietro Pietramellara 47, perchĂŠ ha giĂ appuntamento con alcune ragazze. Ă una domenica calda e umida, molta gente forse ha preferito il mare e al Palasport di Bologna non câè la grande affluenza di pubblico che ci si aspettava. Quindi, dei due concerti previsti, in realtĂ solo quello pomeridiano va regolarmente in scena: la scarsa prevendita di biglietti costringe gli organizzatori a cancellare quello serale. Ma anche il primo spettacolo non fila via liscio, Jimi è stanco e forse anche un poâ ubriaco. Al momento di andare in scena, non è nei camerini. Al concerto si presenterĂ con oltre 90 minuti di ritardo, gettando nel panico organizzatori e collaboratori. Mitch Mitchell nel suo libro The Hendrix Experience insinua che Jimi tardò al concerto perchĂŠ era indeciso su che abiti mettere: forse una vendetta postuma, visto che Hendrix ha sempre accusato Mitch di essere un ritardatario, o forse la memoria di Mitchell, dopo tanti anni, denuncia qualche vuoto. Ad esempio, sempre riguardo a Bologna, ricorda disordini avvenuti al Palasport a causa del pubblico esasperato, ma fortunatamente i molti gruppi di supporto, allungando il loro set, riuscirono a riempire i tempi di attesa. Si trattava dei The Cliffters, Ivan & the Meteors, Keith Anderson Band, Gospelâs Group, Noi e Fred. Al contrario delle esibizioni romane e milanesi, per quella di Bologna sono venute alla luce ben tre registrazioni audio amatoriali. Grazie a quei nastri è possibile sentire Jimi scusarsi della scarsa potenza dellâimpianto e del fatto che debba suonare con amplificatori non a pieno regime. E infatti Fire, Stone Free e Hey Joe non risultano vivaci con gli assolo senza distorsore, anche se Jimi, con affascinante fluiditĂ , cerca di colmare queste lacune. Red House è suonata nel silenzio piĂš completo, cosicchĂŠ Hendrix riesce a renderla soffice ed eterea, regalando al pubblico del Palasport una delle piĂš belle versioni esistenti. Preoccupato dalla scarsa resa dei suoi cavalli di battaglia, Jimi decide allora di proporre una versione di dodici minuti di Tax Free che ammalia la platea, specie
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le prime file, interamente occupate da musicisti bolognesi. A questo punto, per esaudire le incessanti richieste dei fan, esegue Foxy Lady, il cui singolo era appena uscito in Italia. Anche se, prima dellâesecuzione, Jimi anticipa che, non essendoci potenza elettrica sufficiente, quella versione sicuramente non sarebbe stata adeguata. Foxy Lady e Purple Haze concludono lâesibizione bolognese. Quindi la scaletta del concerto fu: Fire, Hey Joe, Stone Free, Red House, Tax Free, Purple Haze, Foxy Lady. Dopo il concerto del Palasport, Hendrix si reca allo Stork Club (via Santa Margherita, angolo via Val DâAposa), dove cena e suona una jam con artisti locali, imbracciando anche il basso (un 8mm amatoriale avallerebbe lâevento). Da Milano, Hendrix fu raggiunto da Ines Curatolo e dalla sua amica newyorkese, Luna, con cui passò la notte.
Brochure dei concerti al Palasport di Bologna. La grafica riprende quella del sestino romano in quanto fu il Titan Club a promuovere la tappa bolognese della tournĂŠe.
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âIl Resto del Carlinoâ, 26 maggio 1968.
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Da Roma a Bologna CLAUDIO BALDASSARRI Quella mattina fummo convocati allâHotel Metropole dove gli Experience alloggiavano, proprio mentre Hendrix era in partenza per Bologna. LĂŹ bevemmo una CocaâCola mentre Jimi ci chiedeva se fossimo disponibili a seguirlo in America per accompagnarlo nella sua tournĂŠe estiva. Eravamo increduli, ma purtroppo non avevamo il passaporto, eravamo troppo giovani e il bassista doveva prestare il servizio militare, cosĂŹ non se ne fece niente: unâoccasione irripetibile. VICKI REDDING Facemmo un viaggio di 4 o 5 ore da Roma a Bologna, viaggiando su due auto. MASSIMO BERNARDI Anche da Roma a Bologna portammo lâattrezzatura della Jimi Hendrix Experience con i camion di un corriere. Dopo la tappa di Milano non ci fidavamo piĂš degli aeroporti e delle loro dogane. DANIELE GUIDAZZI A quei tempi suonavo la chitarra con Ivan & the Meteors. Il frontman del gruppo era il cantante Ivo Faccioli, un simpatico ragazzo di origini fiorentine ma trapiantato a Bologna. Anche Dodi Battaglia suonava con noi, ed è proprio quando entrò nel gruppo che decidemmo di introdurre brani piĂš rock nel repertorio, tra cui Stone Free, una cover di Hey Joe e Foxy Lady. Nella primavera del 1968 venimmo a sapere che Jimi Hendrix avrebbe suonato a Bologna a un festival al Palasport, cosĂŹ provammo in tutti i modi a fare da spalla a Jimi anche noi. Quel pomeriggio ero giĂ lĂŹ al Palasport di Bologna quando arrivarono dei furgoni targati Napoli che trasportavano la strumentazione e lâamplificazione di Jimi Hendrix. Da musicista, la cosa piĂš impressionante fu lâarrivo di questa montagna di amplificatori, una cosa mostruosa per lâepoca. OSCAR PORRI Giunti a Bologna, andammo diretti al Palasport per vedere se la strumentazione era arrivata. Visto che era giĂ lĂŹ, i ragazzi accordarono gli strumenti per lo spettacolo.
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ENZO RIGHETTI Allora con il mio socio eravamo i concessionari di Semprini: era una ditta di impianti di amplificazione, ai tempi sicuramente la piĂš conosciuta, tra le poche allâaltezza di amplificare un palazzo dello sport. Dalla sede di Milano ci chiamarono per dirci che câera questa amplificazione per un certo Jimi Hendrix. Confesso che non sapevamo assolutamente chi fosse, per me era uno dei tanti lavori... CosĂŹ partii con metĂ impianto perchĂŠ il mio socio era alla Bussola di Viareggio, la sera prima, con Mina. Mi raggiunse in tarda mattinata a Bologna con lâaltra metĂ e montammo il tutto. Ho messo tre aste con altrettanti microfoni, Hendrix me ne ha fatti togliere due perchĂŠ ha detto che non servivano, tanto cantava solo lui. Me li ha fatti smontare, li ho tolti, poi è venuto di fianco al palco dove câera la centralina e avevo messo il Revox. Mi ha chiesto che cosa fosse quello, gli ho detto che era lâeco, perchĂŠ magari non mi dicesse che non dovevo registrare. Va bene, io lo tengo spento e ho fatto cosĂŹ... poi, quando hanno cominciato, ho fatto partire il registratore, perchĂŠ era una mania per me. Dovunque andassi registravo tutto. DANIELE GUIDAZZI PiĂš tardi, mentre ero giĂš nei camerini lo vidi; giacca e pantaloni verdi, mèche bionda, camicia multicolore, mi piaceva un sacco comâera vestito. Si aggirava lĂŹ un poâ spaesato. Mi chiese dovâera il bagno e glielo indicai, dopo un poâ lo rividi ed era ingrugnito nero, pare gli mancasse della roba... chissĂ . Mi chiese dove poteva bere qualcosa. Non câera il bar al Palasport e cosĂŹ lo accompagnai dallâaddetto che vendeva le bibite e i gelati. Mentre stavo accordando la mia chitarra, a un certo momento, Jimi è salito sul palcoscenico per mettere a punto la sua. Era piuttosto incazzato, aveva avuto dei problemi con un suo Marshall: lui e un suo tecnico continuavano ad attaccare e staccare cavetti, in piĂš pare non trovassero piĂš un effetto, un distorsore che forse gli avevano fregato. Era davvero cupo. Poi si mise a fare qualche accordo con la chitarra e involontariamente abbiamo reso il sound check una jam di qualche minuto, dopodichĂŠ Jimi sparĂŹ nei camerini. ANDREA MINGARDI A quei tempi, per molti Hendrix era ancora un mistero, mentre per altri era il Galileo Galilei della chitarra. I chitarristi bolognesi a quei tempi suonavano in maniera pulita, diciamo politically correct, al massimo usavano gli echi Binson ribattuti e facevano Guitar Boogie copiando Arthur Smith. Quindi il fatto che arrivasse Jimi Hendrix a Bologna, questo rivoluzionario di chitarre e suoni, di temi e musica, incuriosĂŹ parecchio tutti i musicisti, perchĂŠ anche lâultimo batterista di unâorchestra da ballo, lâultimo chitarrista che faceva fatica a strimpellare due note diceva: ÂŤJimi Hendrix? Devo andare assolutamente a vederlo!Âť. Quindi i musicisti si aspettavano qualcosa di clamoroso anche se molti di loro erano scettici. Forse speravano che lui fallisse. ÂŤCosa vuole raccontarci questo qui?
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Câerano Wes Montgomery, Django Reinhardt, grandi jazzisti. Cosa vuole venire a dirci questo qua allâimprovviso? Ha per caso inventato la chitarra?Âť. GUIDO GONZALES Sentii Jimi Hendrix per la prima volta nel 1967, a casa di un mio amico. Lâalbum era Axis: Bold as Love. Al concerto andai assieme ai miei amici della band, non tutti, perchĂŠ la sera eravamo a suonare in un locale qui in cittĂ . Nel Palasport câera un poâ di tutto, non era pieno, molti erano ragazzini e ragazzine, ma mi ricordo anche alcuni orchestrali dellâepoca. BRUNO BRINI A casa ascoltavo Jimi Hendrix di notte, di nascosto. Avevo registrato sul âGelosoâ i pochi dischi arrivati e lo mettevo sotto le coperte per non farmi sentire dai miei genitori. Appena saputo che Jimi avrebbe suonato a Bologna, non stavo piĂš nella pelle. Hendrix suonò al Palasport, su un palchetto che adesso non si userebbe neanche in una festa di paese. Lâambiente allâinterno del Palasport era molto spoglio, faceva caldo e arrivava un sacco di luce dalle vetrate in alto. I riflessi disturbavano il pubblico. Poco prima dellâinizio, qualcuno andò in cima e chiuse le grandi tende, fra gli applausi. Il pubblico non era particolarmente numeroso, câera anche della gente un poâ per caso, secondo me neanche la metĂ di loro sapeva chi fosse veramente Jimi Hendrix. MAURO FILIPPINI Quello del â68 a Bologna poteva essere un maggio come tanti altri ma non per me, io ero sempre piĂš inquieto, capivo che qualcosa stava cambiando. Appassionato di musica, vivevo i momenti piĂš significativi ed esaltanti quando mi ritrovavo con gli amici âmusicistiâ nella cantina dellâuno o dellâaltro, finchĂŠ il volume sempre troppo alto dei nostri amplificatori Montarbo e Davoli suscitava le proteste degli inquilini, che ci intimavano di andare a suonare altrove. Eravamo uno dei tanti gruppetti rock, ci facevamo chiamare The Feeling, e in quegli anni cercavamo di imitare i grandi gruppi inglesi o americani. LâetĂ media non superava i diciassette anni: solo Ermanno, il tastierista, aveva la patente. Tiziano e Daniele, rispettivamente il bassista e il batterista, durante le lezioni al liceo sceglievano le canzoni o i brani da proporre agli altri e pensavano agli accordi. Tra noi era una consuetudine scambiarci i dischi, per imparare i pezzi e prendere le parole. Fu durante uno di questi incontri che ascoltammo il 45 giri di Hendrix appena uscito: Foxy Lady. Tiziano, conoscitore della musica piĂš allâavanguardia e meno commerciale, ci parlò di questo trio formato da un bassista e un batterista inglesi e da un chitarrista di colore americano, attorno al quale câera come un alone di mistero, data la scarsitĂ di notizie e di informazioni. Le riviste specializzate italiane non parlavano ancora molto
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di lui. Il suo modo di suonare ci affascinava. Poco tempo dopo venimmo a sapere che ci sarebbe stata una loro tournĂŠe in Italia, che magnifica coincidenza! Ricordo ancora sui muri di Bologna i grandi manifesti che ne annunciavano il concerto al Palasport. Impossibile mancare! LUCIANO LAMBERTINI Al Palasport andai con mio cugino Mauro, e lĂŹ ad attendere Jimi câera un discreto pubblico che non saprei quantificare, ma sicuramente piĂš numeroso e partecipe di quello che câera quando suonarono gli Animals, bravissimi, ma costretti a esibirsi davanti a sole 40 persone. UGO RAPEZZI Seppi della musica di Jimi Hendrix da amici. Era uno dei nostri miti. Quando vidi i manifesti in cittĂ che annunciavano il suo arrivo al Palasport, decisi subito di andarci, avevo visto tutti i concerti del periodo e non volevo perdermene uno, men che meno quello. Era una domenica calda e quel giorno ero vestito con una camicia con la bandiera inglese e pantaloni a fiori. Non câera molta gente ad assistere al concerto di Hendrix, peccato, avrebbe meritato di piĂš. BEPPE BRILLI Era pomeriggio e faceva molto caldo, e Jimi Hendrix tardava ad arrivare. Cominciavamo a innervosirci. OSCAR PORRI Per chissĂ quale motivo Hendrix non volle alloggiare nel nostro hotel, accennò a delle ragazze. Tanto insistette che cosĂŹ gli venne riservato un albergo vicino alla stazione. Fu lâunico capriccio durante il tour, altrimenti fu sempre mite e affrontò di buon grado anche qualche difficoltĂ tipica di queste circostanze. Fu sempre preciso. Lo accompagnai nellâalbergo dove voleva stare, rimanendo dâaccordo che poi qualcuno sarebbe passato a prenderlo per il concerto. Tornai al Palazzetto dello sport dove si teneva la manifestazione; câerano altri gruppi che suonavano prima di lui. Quando fu il momento, mandai lâincaricato per andare a recuperarlo. Questi, dopo un poâ, tornò dicendo che Hendrix in albergo non câera. Oddio, fui preso dal panico e mandai tre o quattro ragazzi a cercarlo. In fondo, Bologna non è cosĂŹ grande come Roma.
CHECCO ANNONI Eravamo molto eccitati allâidea di vedere questo Jimi Hendrix, ci chiedevamo se veramente riuscisse a produrre quei suoni spaziali, se era quel personaggio che descrivevano: sul treno per Bologna incontrammo altri due capelloni che andavano al concerto e parlammo di Jimi per tutto il tragitto, anche se in realtĂ sapevamo poco di lui, eravamo su di giri, pieni di aspettative. Arrivati a Bologna ci affrettammo, perchĂŠ eravamo un poâ in ritardo, con la paura di perdere il concerto. Fatto qualche centinaio di metri, su una via con dei giardinetti ai lati, vediamo un tipo con una giacca di velluto verde, la pelle scura, i capelli alla Jimi Hendrix. Per qualche attimo lo osservammo, poi uno di noi disse: ÂŤ...Ma è Jimi Hendrix!Âť. Ci avvicinammo titubanti, con il nostro scarso inglese, ci presentammo per chiedergli se fosse Jimi Hendrix, eravamo increduli: aveva due mèches bionde, era gentile, che ci faceva lĂ ? Era proprio lui, sorrise e, quando capĂŹ che venivamo dalla Toscana, disse: ÂŤBeautiful, beautifulÂť. Uno dei ragazzi, seduto su una panchina, arrotolò un joint e Jimi ne fu molto contento. Alla domanda perchĂŠ fosse lĂŹ, rispose che era uscito per fare due passi, respirare un poâ dâaria e sgranchirsi le gambe prima del concerto. Poi aggiunse che aveva perso un poâ lâorientamento e probabilmente cominciava a farsi tardi per il suo concerto. Stava cercando di spiegarsi, quando arrivarono un paio di tizi trafelati che lo cercavano.
CIARLY ROKETTO Vedo che câè del movimento dietro al palco, câè Beppe Brilli che dice a Fred (di Noi e Fred) di continuare a suonare perchĂŠ di Jimi nemmeno lâombra, e di andare avanti. La gente del pubblico è pronta per Jimi e qualcuno lo chiama con tutta la voce che ha in corpo, molte sono ragazze. Vedo Pino e gli chiedo: ÂŤSenti ho visto un movimento strano vicino alla scaletta del palco, ne sai qualcosa?Âť. Mi risponde: ÂŤIo giĂš nei camerini ho sentito dire che non trovano Jimi, non è arrivato e non sanno dovâè. Ci hanno detto di suonare di piĂš se tarda ancoraÂť.
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CHECCO ANNONI Staccai delle rose da un cespuglio lĂŹ vicino e gliele diedi prima che quei due lo portassero via. Sorridendo le prese e mi ringraziò. Non ci fu neppure il tempo di avere un autografo, che quei due lo trascinarono via verso unâauto. Poi, durante il concerto, vidi che aveva messo le rose sulla chitarra e questo mi fece particolarmente felice e orgoglioso! Ă stato un incontro incredibile!
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Il Palasport, il concerto OSCAR PORRI Finalmente riportarono Jimi, a me sembrava un poâ assonnato, forse ubriaco, gli chiesi se non fosse il caso di chiamare un medico per capire se fosse in condizione di suonare. Lui si arrabbiò e disse che era perfettamente in grado di fare un concerto e di lasciarlo solo un attimo per concentrarsi. MAURIZIO SOLIERI Nel maggio 1968 avevo quindici anni ed ero un bravo studente di liceo classico. Come molti ragazzi della mia etĂ appassionati di chitarra, la musica di Jimi ci faceva impazzire, non potevo di certo mancare a quellâevento. Mi feci accompagnare dai miei genitori al Palasport dove avrei anche incontrato una mia fidanzatina dellâepoca: avevo il vestito della domenica, completino blu, camicia bianca, cravattino... Prima del concerto câera una marea di gruppi locali che si esibivano. ANDREA MINGARDI Una delle cose piĂš divertenti in assoluto è che câerano Ivan e i Meteors, uno dei gruppi di supporto in cui militava anche Donato âDodiâ Battaglia: suonarono qualcosa di Jimi Hendrix, una cosa pazzesca fare i suoi pezzi prima del suo concerto! DODI BATTAGLIA Noi spudoratamente suonammo Stone Free e Foxy Lady; avevamo in repertorio anche Hey Joe. Avemmo lâardore di suonarle prima del suo concerto forse perchĂŠ eravamo giovani, incoscienti totali. Veramente abbiano avuto la faccia come... Però quando hai sedici anni e sei votato a fare questo mestiere, non vedi ostacoli. DANIELE GUIDAZZI Sorrido ancora al pensiero di quella nostra esibizione, io salii sul palco a suonare con calzoncini corti, cappellino e scarpe da tennis, un poâ come il look degli ac/dc parecchi anni dopo. Visto che eravamo uno dei gruppi che facevano da spalla a Jimi e in repertorio avevamo Stone Free e Foxy Lady, decidemmo di suonarle quel pomeriggio. Sebbene la suonassimo in maniera abbastanza simile allâoriginale, per il cantato, beh, non conoscevamo lâinglese e quindi Ivo (Faccioli) la faceva in maniera âonomatopeicaâ, cercando di imitare la pronuncia inglese. Mi chiedo se Jimi avesse sentito la nostra versione: in tal caso, si sarĂ piegato in due dal ridere.
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NOEL REDDING A Bologna câerano dei gruppi che suonavano le nostre canzoni e le cantavano in italiano. MAURO FILIPPINI Al concerto del pomeriggio avevamo i biglietti per le gradinate, ma riuscimmo a eludere la sorveglianza e a scendere in platea, per stare il piĂš possibile vicino al palco. Si susseguirono alcuni gruppi musicali di supporto, di cui ho un vago ricordo. La mia attenzione era catturata dalle sofisticate strumentazioni che, fino a quel momento, avevo ammirato solo sulle riviste specializzate. Mentre il presentatore ci invitava alla calma e al silenzio, per creare lâatmosfera adatta, ecco sul palco due tipi, capelli lunghi, batteria, basso e amplificatori Marshall. Iniziarono a sistemare gli strumenti: erano Mitch Mitchell e Noel Redding. Ero al colmo dellâeccitazione, seduto dove non dovevo... A un tratto, con un misto di curiositĂ e stupore, il mio sguardo fu attirato da un ragazzo di colore vestito con un completo di velluto verde, capelli stirati con le mèches, custodia della chitarra elettrica in mano e due splendide ragazze a fianco. Era comparso a una delle entrate della platea, a pochi passi da me. Volgeva intorno gli occhi miti e lo sguardo sereno, per niente turbato da quelle persone che gli stavano precipitando addosso. Quel ragazzo era... Jimi Hendrix. Subito, due carabinieri, che a Jimi non avevano dato nessuna importanza, gli fecero da scudo allontanando le persone e sparirono verso lo spogliatoio del Palasport. Hendrix riapparve piĂš tardi ai piedi del palco, accompagnato dalle due ragazze, molto acclamate dal pubblico maschile, e salĂŹ la scaletta salutando, tra gli applausi frenetici. CIARLY ROKETTO Lâultimo gruppo di supporto ha finito lâesibizione, il pubblico rumoreggia, una decina di poliziotti si mette sotto il palco e comincia a far sedere la gente, che nel frattempo si era alzata quasi tutta. Beppe Brilli dal palco annuncia: ÂŤJimi Hendrix è qui e farĂ tutto quello che voleteÂť. Per incanto, dietro un Marshall intravedo Jimi. Viene fuori, tra urla e incitazioni varie. Mentre mette il volume al massimo, dice poche parole, poi partono gli effetti Larsen che sembrano astronavi. Fa due accordi e attacca con Fire. Sulla paletta, infilate tra le corde ci sono delle rose rosse. Ă un momento travolgente. Sono a tre metri di distanza da lui. Immerso in quel suono, batto le mani sulle ginocchia come se volessi suonare con lui. GUIDO GONZALES Il pubblico partecipò dopo una prima fase iniziale di sconcerto! BRUNO BRINI Appena vidi Jimi sul palco, fu indescrivibile lâimpressione che mi fece: rimasi lĂŹ a bocca aperta.
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Sicuramente quando Jimi iniziò il concerto sembrava arrabbiato, ma noi non eravamo in grado di capire che problemi ci fossero, forse non gli avevano portato il pedale del distorsore. Per noi era il massimo, e basta. Jimi era serissimo. Non ricordo un suo sorriso. Anche quando si mise a suonare la chitarra con i denti, lo fece come se fosse un dovere, senza scomporsi troppo: batteva continuamente gli occhi con espressioni del viso quasi estatiche. Un poâ sapevo suonare e strimpellavo giĂ Foxy Lady, ma le sue mani erano un mistero. Come faceva a cavare quei suoni, a legare quelle note? Meraviglioso. Arrivati a metĂ concerto, erano tutti giĂš di testa, comprese le ragazzine che urlavano come se quello sul palco fosse il loro idolo. In effetti per molti di loro Jimi Hendrix lo diventò da quel pomeriggio. CIARLY ROKETTO Dopo il brano iniziale Jimi attacca subito con Hey Joe. Il pubblico urla, câè unâintensitĂ emotiva che colpisce tutti. Non guarda la tastiera, sembra che il braccio e le mani siano un corpo unico con la Fender. Ă unâimmagine metafisica. La chitarra è come se fosse un oggetto da giocoliere. La fa girare dietro la schiena, la suona sopra le spalle, ci va sopra come andasse a cavallo con una naturalezza che fa impallidire. Quando svisa e al posto del plettro adopera i denti, è come se baciasse la chitarra. Un amplesso erotico! Unâorgia di suoni. Jimi suda, si gira verso i Marshall e ne tocca le manopole. Mi alzo un attimo e un agente mi intima di sedermi. Jimi comincia un lentissimo e lunghissimo blues: la gente lo ascolta strabiliata. Guardo il palco, sotto, vicino allâasta del microfono, mi accorgo che câè solo un wah wah. Finiscono con un break perfetto, naturalmente tutti si alzano urlando, mentre lui si toglie la giacca verde rimanendo con una camicia psichedelica. Lâeco del palazzo avvolge tutti. Rivedo i fiori rossi nella paletta della chitarra e mi pare di sentirne ancora il profumo. BRUNO BRINI Mi ricordo delle ragazzine sulle gradinate che ballavano perse, il pubblico davanti impazziva, era stravolto perchĂŠ sentiva qualcosa di diverso. SANDRO BECCARI Al Palasport câerano i migliori chitarristi della zona, molto interessati alla sua tecnica. La cosa che mi impressionò maggiormente fu la semplicitĂ che aveva nel fare anche le cose piĂš difficili e le sue mani grandi ma rapide. Ha avuto sicuramente problemi di amplificazione. Sono uscito dal concerto frastornato, non avevo mai sentito una musica cosĂŹ. Io, che ero abituato ad ascoltare gli Shadows con sonoritĂ piĂš dolci, ne rimasi veramente colpito. DANIELE GUIDAZZI Jimi suonò Stone Free e Foxy Lady, ma lo fece in una maniera inusuale. Fu un
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concerto incredibile nonostante i problemi tecnici. Quel pomeriggio ho imparato cosĂŹ tante cose nuove che poi ci ho impiegato degli anni per impararne altrettante. GUIDO GONZALES Anche se lâacustica non aiutò la band, fu proprio lâamplificatore di Jimi ad avere dei problemi: confabulò parecchio sul palco con i tecnici. Ma nonostante tutto, ebbi lâimpressione di trovarmi di fronte a un altro mondo! A parte la tecnica mostruosa, tutto lâinsieme non faceva parte del nostro mondo. Ci vollero diversi giorni prima di realizzare che cosa effettivamente avevamo sentito e visto! CLAUDIO LUCCHI Ero in posizione frontale rispetto al palco ma un poâ distante, câera fumo a volontĂ . Jimi lo vidi poco. La cosa che mi colpĂŹ di piĂš del concerto è stato il batterista Mitch Mitchell, autore di un formidabile assolo di batteria. Con lâamplificazione era un disastro. ENZO RIGHETTI Câerano degli alti e bassi, sbalzi di corrente. Io, i pezzi Foxy Lady e Hey Joe li conoscevo, però non mi figuravo questo tipo di personaggio. E sono rimasto entusiasta quando suonava con i denti, non mi sarei mai aspettato di vedere tutto ciò. Sembrava che se la mangiasse, la mordeva... ed io ero lĂŹ sotto di lui. DODI BATTAGLIA Molti musicisti bolognesi dovettero ricredersi e uscirono da quel concerto con le orecchie molto basse. ANDREA MINGARDI Dopo lo spettacolo molti chitarristi bolognesi cercarono di imitare con scarso successo quel suono incredibile che era solo suo. Le altre erano solo vaghe imitazioni. Sta di fatto che Jimi influenzò per molto tempo tutti i musicisti presenti a quel concerto, e non solo loro.
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LUCIANO LAMBERTINI Hendrix suonò, oltre i suoi pezzi piĂš famosi, delle suite piuttosto lunghe: durante un assolo delicato ci fu un inizio di applauso da parte del pubblico, ma fu stroncato e zittito subito dal batterista col lancio di una bacchetta verso chi stava applaudendo... Jimi voleva silenzio... Hendrix era cosĂŹ preso da quello che stava suonando che si mise a piangere silenziosamente e le lacrime gli scendevano lungo le guance. Non avevo mai visto nessuno vivere cosĂŹ intensamente la musica, ed è quellâimmagine che mi torna sempre alla mente quando penso al concerto. Mi ricordo che verso la fine di una canzone, mentre suonava con la bocca, si tagliò la lingua con una corda: fu una cosa notata solo dai pochi che erano vicinissimi come me. Quello fu uno dei pochi concerti dove la musica era valorizzata dal vivo rispetto al disco.
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Una registrazione ÂŤGagliardi ragazzi, il momento che tutti stavate aspettando è finalmente arrivato! Allora ragazzi, un secondo solo, quello che vi sto dicendo non è una cosa che mi sia inventata. E, ovvio, voi dovete essere alla grande, calorosi e gagliardi. Jimi Hendrix farĂ tutto quello che vorrete. Ecco a voi lo strepitoso, il formidabile, il fantastico Jimi Hendrix Experience... The Jimi Hendrix Experience... The Jimi Hendrix Experience... Jimi Hendrix.Âť CosĂŹ, un entusiasta Beppe Brilli annuncia al pubblico del Palasport il concerto degli Experience. Jimi saluta il pubblico che applaude e subito si scusa perchĂŠ non può usare al meglio la sua strumentazione, a causa di problemi con lâalimentazione elettrica... JIMI: Weâre gonna have difficulty with the amp because the uh power isnât the same as in England and so it wonât be as, you know, itâll be very, very, yeah⌠[accordando]⌠Stiamo avendo alcune difficoltĂ con gli amplificatori, la tensione non è la stessa dellâInghilterra e cosĂŹ non sarĂ come, sapete, sarĂ molto, molto, yeah [accordando]⌠Il concerto quindi inizia con Fire, una versione abbastanza simile alla versione in studio, ma lâassolo qui viene eseguito senza il distorsore. In questa versione, Noel risponde ancora al coro. Jimi ringrazia, segue Hey Joe, una versione molto pulita. Anche questa unâottima esecuzione con poche variazioni rispetto allâoriginale, a parte un assolo molto cristallino. Dopo i ringraziamenti al pubblico, Stone Free è il terzo brano proposto. Anche qui il suono di Jimi è meno saturo che dâabitudine e lâassolo viene eseguito senza il distorsore, ma non si avverte assolutamente la mancanza. Poi, probabilmente distratto da problemi tecnici, pasticcia un poâ con la tonalitĂ e conduce la canzone verso il finale. Alla fine del brano Noel ringrazia. Red House è il quarto brano. Una splendida versione di una decina di minuti che inizia con fraseggi blues molto puliti. Jimi abbandona presto le parole per un interludio in cui suggerisce il ritmo percuotendo le corde della chitarra come nella versione alla Royal Albert Hall, poi un morbido assolo con il wah wah introduce la strofa finale.
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Alla fine del brano Jimi dice: Thank you very much⌠Iâd like to say that, what weâre tryinâ to do is likeâuh, you know, people used to ask us, all over, what weâre tryinâ to do, weâre tryinâ to do electric music, for instance and if we donât have electricity here so we canât do our songs, right, soâuh weâre very, very sorry, itâs no fault to us, you know, itâs no fault to you and no fault to anybody else, itâs all just screwed up thatâs all, Iâd like to do it on the suicide, no we canât do Foxy Lady, Iâm sorry, we donât have enough power to do Foxy Lady... so, since we donât have enough power or electricty to do our own songs, weâd like to do a jam number of a song, an instrumental⌠Grazie mille... vorrei dire che quello che stiamo provando a fare è come..., sapete, la gente ci chiedeva, dappertutto, cosa stiamo cercando di fare: stiamo provando a fare musica elettrica, e se per esempio non abbiamo elettricitĂ qui non possiamo fare le nostre canzoni, giusto, perciò... siamo molto, molto dispiaciuti, non è colpa nostra, sapete, non è colpa vostra e non è colpa di nessun altro, è tutto solo incasinato, questo è tutto, mi piacerebbe buttarla sul suicidio, no non possiamo fare Foxy Lady, mi dispiace, non abbiamo abbastanza tensione per fare Foxy Lady... quindi, dato che non abbiamo abbastanza potenza o elettricitĂ per fare le nostre canzoni, ci piacerebbe fare una jam di una canzone, con gli strumenti...
Nonostante poco prima avesse detto che non avrebbe suonato Foxy Lady, per assecondare le continue richieste del pubblico, Jimi con questa canzone chiude la tournĂŠe in Italia. Ă una versione strana, molto pulita. Il feedback iniziale è quasi inesistente, peccato che nella registrazione lâassolo sia tagliato. Jimi stravolge la strofa finale cantando:
Now you know youâre experienced Here I come baby, cominâ to get with you all Foxy Lady Goodbye thank you, Iâm sorryâŚ
Quindi il brano successivo è la quarta versione live conosciuta di Tax Free. Anche questa è una splendida esecuzione di piĂš di dieci minuti, con un breve assolo di basso e di batteria. Qui Jimi sembra piĂš rilassato e si lascia andare a sua volta a un lungo âsoloâ, in cui cita varie canzoni tra le quali Mary Had a Little Lamb e Come On. Da qui in poi, la registrazione è meno buona e la versione di Purple Haze che segue non è aggressiva come al solito, forse perchĂŠ Jimi usa solo il wah wah e la distorsione naturale degli amplificatori con il volume al massimo, senza il fuzz face. Alla fine del brano Hendrix si scusa ancora con il pubblico per i problemi con la strumentazione. JIMI: Weâre very, very sorry, weâll sayâuh, thank you very much for cominâ anyway, weâre sorry that youâre only hearinâ about one tenth ofâuh normal power that weâre playinâ through and soâuh, we only play lead here Iâm sorry hehâheh, you probably didnât recognise me then. We have one more last song to do, weâd l ike to say thank you very much for coming⌠well for the last song weâd like to try to do Foxy Lady, but itâs not gonna work [evviva e applausi]⌠Siamo molto, molto dispiaciuti, diremo..., grazie mille per esserci comunque, siamo dispiaciuti che voi stiate ascoltando solo un decimo della... normale potenza con cui siamo abituati a suonare e quindi..., suoniamo solo lâessenziale qui, mi dispiace ehi..., perciò probabilmente non mi riconoscete. Abbiamo ancora unâultima canzone da fare, vorremmo dire grazie mille per essere venuti... beh, per lâultima canzone vorremmo provare a fare Foxy Lady, ma non funzionerĂ [evviva e applausi] ...
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Dopo il concerto ENZO RIGHETTI Io mi ricordo che quando è finito, loro sono scappati nel camerino, poi siamo andati a salutarli: Mitch con le bacchette picchiava su una sedia, si vede che non aveva ancora scaricato tutta la tensione. Poi li abbiamo salutati, abbiamo smontato e siamo venuti via. SERSE MAI Subito finito il concerto, eludendo quel poâ di sorveglianza che câera, deciso a farmi fare un autografo da Jimi, mi diressi nei camerini. I camerini sono sotto il parterre. Ă come entrare in un altro ambiente: ci sono palestre, spogliatoi, depositi, sale stampa. Câè da perdersi. Mi feci indicare, con gran faccia tosta, il camerino di Hendrix. Vidi che la porta era socchiusa, diedi un colpetto per annunciarmi ed entrai. Jimi era abbracciato alla modella nera che lo accompagnava e che era sempre rimasta sotto il palco durante il concerto. Visto che câero, gli porsi il mio pennarello verde e un foglietto per farmelo autografare. Senza scomporsi me lo firmò, poi mi fece cenno di andarmene, perchĂŠ probabilmente aveva cose piĂš importanti da fare. CLAUDIA Dopo la notte dâamore al parco decisi di andare a Bologna per seguire Jimi, ma, quando arrivai, lui aveva giĂ delle altre ragazze e mi sentii molto delusa. Lo rividi a Vienna lâanno successivo. GILIANO PANARI Allora avevo diciassette anni e con un mio amico andammo a Bologna per vedere il nostro idolo. Noi a quel tempo avevamo giĂ un trio rock: io, bassista e chitarrista. Vedemmo il concerto, e al rientro a piedi verso la stazione di Bologna ci è capitata una fortuna incredibile. Lungo il percorso verso la stazione a un certo punto, in un porticato poco piĂš avanti di noi, abbiamo visto fermarsi unâauto e dallâauto scendere Jimi, Mitch e Noel. Si infilarono in un piccolo hotel e io e Giuliano, increduli, ci buttammo subito dentro la lobby. Jimi era in piedi appoggiato al banco della reception, mentre Noel e Mitch erano seduti su due poltrone. Câeravamo solo noi! A quel punto dicemmo a Jimi che eravamo stati al concerto. Jimi si mise a ridere, poi chiedemmo se era possibile avere un autografo, e lui, senza problemi, prese un piccolo fogliettino rettangolare dalla reception. Quindi ci spostammo verso Noel e Mitch: pure loro, anche se erano in completo relax, ci fecero gli autografi. Infine arrivarono altri componenti dello staff e ci siamo salutati con una stretta di mano a tutti e tre. Veramente unâesperienza indimenticabile...
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ANDREA MINGARDI Mentre con i jazzisti si mangiava al Continental che era aperto 23 ore su 24, con personaggi di quel tipo non si sapeva dove andare a finire. Avevamo cercato di capirlo, seguirlo, provammo nei camerini ma non ci fecero entrare. Allora ci chiedevamo: dove andrĂ a cenare? Ci sarĂ una festa? E si parlava di un party psichedelico, dove câerano anche belle ragazze, visto che Jimi, a detta di molti, non disdegnava lâarticolo. Ma purtroppo ci depistarono. E il giorno dopo si favoleggiava di un aftershow mitico, durato tutta la notte, in cui nessuno si era fatto mancare niente. MICHELE BOVI A quei tempi avevo diciassette anni e suonavo il sassofono con la band di Pierfranco Colonna: avevo tutta unâaltra cultura musicale e quel genere chitarristico addirittura mi irritava. Eravamo fissi a suonare a Bologna ed eravamo stati chiamati appositamente a Roma per fare da spalla a Hendrix. Quel giorno eravamo tornati a Bologna allo Stork Club per il nostro spettacolo. Avevamo appena finito di suonare ed eravamo stanchi. Stavamo uscendo dal locale quando si presentò Massimo Bernardi, che era il nostro impresario e padreâpadrone, un tiranno. Ci disse: ÂŤRagazzi, no, no fermi tutti, qui câè Jimi, dobbiamo cenare insieme e poi fare jam sessionÂť. Ero stanco morto, immaginarsi che entusiasmo potevo avere. PIERFRANCO COLONNA La sera del concerto bolognese, finito il concerto, Jimi e gli altri sono venuti al locale dove ci esibivamo, lo Stork Club, e tutti insieme abbiamo organizzato una cena. Alla cena io ero seduto vicino a Jimi e allo staff organizzatore del concerto, mentre Noel e Mitch erano allâaltro capo della tavola insieme ai miei orchestrali. Per dire quanto Jimi fosse timido, durante la cena gli è venuta la necessitĂ di andare in bagno, ma non osava chiedere. A un certo punto, quando non ce lâha fatta piĂš, mi ha preso in disparte e finalmente in modo discreto è riuscito a dirmelo. Alla fine qualcuno mi disse di organizzare una jam session e cosĂŹ chiesi a Jimi se volesse suonare con noi. Lui rispose: ÂŤSe a loro non importa quello che faccio, niente del mio repertorio, solo jam session, allora va beneÂť. Ă andato sul palco, ha preso il basso, lâha girato al contrario e si è messo a suonare. PIERO PANTĂ Quella sera allo Stork facemmo una festa, dopo mangiato suonammo una jam session. Allâinizio Hendrix prese il basso, poi ci scambiammo gli strumenti. Quando i musicisti si trovano per suonare, devono sintonizzarsi su un linguaggio comune, per esempio se sei un jazzista suoni My Funny Valentine; insomma, tornando a Hendrix, mi ricordo che ci accordammo per Georgia on My Mind e ricordo che lui faceva delle improvvisazioni incredibili con la chitarra. Fu davvero magico. Peccato, fu girato un filmato di quella jam, ma la pellicola è andata persa. VICKI REDDING Finito il party, Jimi sparĂŹ per tutta la notte. Disse che doveva andare con una ragazza.
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27 MAGGIO 1968 The Jimi Hendrix Experience lascia lâItalia In taxi gli Experience lasciano gli alberghi diretti allâaeroporto Guglielmo Marconi di Bologna, da dove, con un volo privato, raggiungeranno Milano Linate. LĂŹ, a salutare Jimi câè Daniela Cohen. Da Linate gli Experience fanno scalo a Ginevra e infine volano a Londra. Arrivati allâaeroporto di Heathrow, gli Experience si dividono: subito dopo la dogana un roadie recupera Jimi e lo porta a prendere un volo per New York. VICKI REDDING Mitch Mitchell aveva comprato dei calici da vino da regalare ai suoi. Arrivati allâaeroporto, uscendo dal taxi, inavvertitamente li feci cadere e Mitch andò su tutte le furie. Poi, da Bologna raggiungemmo Milano Linate su un piccolo aereo. DANIELA COHEN Mi ero tenuta in continuo contatto con quelli della Polydor Italia e avevo saputo lâora in cui Jimi sarebbe partito da Linate. Andai allâaeroporto con le foto che avevo giĂ sviluppato in bianco e nero nello studio di un mio amico. Hendrix si ricordava perfettamente di me e rimase sorpreso che gli avessi giĂ portato le foto fatte solo pochi giorni prima. Scambiammo qualche parola e notai la sua frustrazione per le continue pressioni a cui era sottoposto, specialmente per gli impegni del tour: era un tipo tranquillo, taciturno, mi confidò che gli piacevano il verde, i prati, i boschi. Amava anche stare tranquillo, ma non ci riusciva mai. Diceva: ÂŤDâaltronde ho scelto io di fare questo mestiereÂť. Non che si lamentasse, ma era chiaramente infastidito dal clamore che provocava la sua presenza ovunque e dal fatto di non poter condurre una vita normale. Mi parlò con molta enfasi del nuovo lp a cui stava lavorando, Electric Ladyland, costruito su un nuovo sound, una via sperimentale, e ispirata (mi confidò) anche da lsd di buona qualitĂ . Mi diede il suo indirizzo di New York su un fogliettino per spedire le foto a colori che gli avevo scattato; lui, in cambio, mi avrebbe mandato una copia del suo disco. Avevo un anello al dito e a Jimi piaceva molto, cosĂŹ me lo chiese; ovviamente glielo diedi, ma lui volle assolutamente darmi dei soldi. Io rifiutai, ma lui insistette dicendomi: ÂŤCi paghi il taxiÂť.
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Va beh, mi diede 5.000 lire e mi fece una dedica con autografo su un fogliettino, quindi ci salutammo. VICKI REDDING Il volo da Milano partĂŹ in ritardo e cosĂŹ perdemmo la coincidenza da Ginevra a Londra, perciò, dovendo attendere il volo successivo per Londra, decidemmo di mangiare qualcosa. Una volta finito di pranzare, Jimi mi diede dei soldi per pagare il conto e il resto disse di lasciarlo di mancia. Arrivati a Heathrow, appena usciti dalla dogana, uno dei roadie venne da Jimi e lo portò immediatamente allâimbarco per New York. BARRY REISS Dovevo portare Jimi a New York per discutere il caso della ppx, lĂ câerano giĂ Chas Chandler, Mo Ostin e Henry Steingarten. NOEL REDDING Quello italiano fu un bel tour, ci divertimmo un sacco: anche se câè molto caos laggiĂš. La gente, ovunque, è simpatica e amichevole. Il 30 maggio Jimi da New York arriva a Zurigo per due concerti insieme a Eric Burdon, John Mayall, i The Move, i Traffic e gli Small Faces. Si svolsero allâHallenstadion il 30 e il 31. Il 1° giugno la Jimi Hendrix Experience torna a Londra, dove il 5 dello stesso mese appare in tv, alla bbc, come ospite dello show di Dusty Springfield, dal titolo It Must Be Dusty. Poi trascorre gran parte del mese di giugno 1968 nei Record Plant Studios di New York per ultimare Electric Ladyland. Jimi dovette attendere la metĂ di luglio per concedersi quattro giorni di vacanza in Spagna, a Maiorca. Il 1° agosto la Jimi Hendrix Experience inizierĂ un nuovo massacrante tour americano.
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HO VISTO UN RE La stagione della grande stampa, della fioritura di iniziative e linguaggi, si portò dietro, in dote, anche la nascita e la diffusione delle riviste per giovani, principalmente a trazione musicale: un modo ancora acerbo e spontaneo per raccontare i primi germi di una rivoluzione culturale e di costume, che sarebbe passata anche dalla pagina scritta. Lâeditoria di genere ancora non esisteva, i libri e i materiali di quel segmento merceologico, cosĂŹ come i film e i documentari rock, sarebbero arrivati negli anni Settanta; la scelta, al momento, era ancora assai contenuta e riservata a un bacino di utenti ben definito, seppure in crescita e promettente, come dimostreranno i dati e lâimpennata dei consumi che vedremo da lĂŹ a poco. Anche gli stessi quotidiani, o la stampa generalista, di spazio allâinformazione musicale ne riservavano ben poco: le cronache degli spettacoli erano centrate su cinema, televisione, teatro e musica sinfonica, mentre i concerti, rari e ancora di nicchia, di rado entravano nel mirino delle varie testate, che al massimo se ne occupavano nelle pagine locali. La figura del critico musicale, lâesercizio della recensione, il flusso informativo che oggi ci pare una chiave interpretativa acquisita, erano ingredienti di lĂ da venire. Il ruolo del critico musicale sarebbe stato âsdoganatoâ molto piĂš tardi, gradualmente, con lâaccettazione, subita e talvolta sospetta, della categoria da parte di direttori e caporedattori con evidente deficit di permeabilitĂ . Dunque, considerando che anche in radio e in televisione gli spazi erano briciole sparse e poco piĂš che casuali, lâinformazione sullâattivitĂ musicale â discografica, novitĂ , iniziative â praticamente non esisteva. Si concentrava solo su qualche testata che timidamente aveva provato a fare capolino. Il tono che la caratterizza è decisamente leggero: attenzione massima viene rivolta alle foto e ai personaggi piĂš popolari, un gossip, che tiene conto ovviamente della vita privata, gli amori di questo e quella, il servizio militare, le vacanze, le esperienze piĂš esposte alla curiositĂ generale. Copertine colorate, con grafica densa e sparata al fine di catturare lâacquirente, linguaggi piani e senza fronzoli e, per accattivarsi le simpatie del pubblico e macinare copie, non saranno infrequenti lâinserimento di cartoline, adesivi, poster da mettere nelle camerette dei giovani lettori. Trattasi di facili specchietti per le allodole, che ottengono i risultati voluti e che premieranno la diffusione: i giovani vengono immediatamente individuati come un obiettivo di business. Si sta creando unâindustria che va seguita, sollecitata, coordinata per andare incontro alle richieste e alle esigenze di massa. La societĂ nel suo complesso guarda al pianetaâgiovani con sempre maggiore puntualitĂ . Sulle pagine delle riviste si affrontano (anche) temi tuttâaltro che frivoli: una delle battaglie preminenti riguarda il diritto di voto a diciotto anni, anzichĂŠ a ventuno. Di politica, esplicitamente, non ci si occupava, ma qualche accenno affiorava dalle pagine, ad esempio, di âBigâ â sottotitolo âsettimanale giovaneâ â, che nel maggio 1967, parlando della guerra in Vietnam, metteva in guardia da quegli ÂŤautori di canzonette che ne traggono rime dai facili guadagniÂť. Vediamo allora una mappa delle opportunitĂ per la carta stampata a disposizione dei teenager e degli appassionati intorno alla metĂ dei Sessanta.
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Capostipite di una certa tipologia di stampa è da considerarsi âCiao amiciâ, apparso in edicola nel dicembre 1963: orientato sui ragazzi delle scuole medie, si ispira direttamente allâesperienza del fratello maggiore francese âSalut les copainsâ (forte di una larghissima penetrazione sul mercato, tanto da raggiungere un milione di copie vendute). Primo esperimento editoriale generazionale rivolto ai giovani, di periodicitĂ variabile â nato come mensile, diventerĂ quindicinale, per attestarsi come settimanale fino alla fine dei suoi giorni â, viene realizzato a Milano. Nellâestate 1967 assume temporaneamente la denominazione âCiao amici Fabâ. Si contano in totale centoventotto numeri. âBigâ esordisce lâ11 giugno 1965 e prospetta un maggiore impegno nella scelta dei temi affrontati, anche sotto il profilo squisitamente musicale: le pubblicazioni cesseranno lâ11 novembre 1967 per lasciare campo a una fusione che determinerĂ lâavvento di âCiao Bigâ, le cui uscite proseguiranno fino al 17 gennaio 1969. Fondato a Roma, con una vita inquieta per via di passaggi di proprietĂ e di editori, esce con cadenza settimanale: in archivio figurano centonovantanove numeri. âBigâ raggiunge una tiratura di oltre il mezzo milione di copie e non disdegna il terreno sociale della realtĂ giovanile, tanto da avvertire i suoi lettori/elettori, per le amministrative del 1966, di evitare con cura quei partiti che non tengono nella giusta considerazione la libertĂ e le istanze dei giovani. Lâattivismo della testata si manifesterĂ anche con la creazione di una serie di comitati e fan club a ragione territoriale, che porterĂ addirittura a un Congresso Nazionale di âBigâ, indetto a Roma per eleggere novantadue segretari provinciali, diciannove regionali e un consiglio nazionale a cui demandare la creazione di una rete di supporter, centri studio e di ascolto e produzione. âBigâ fu capace anche di organizzare e gestire appuntamenti di musica dal vivo con i maggiori artisti del momento: un tentativo che servĂŹ da collante e propellente per espandere la cultura beat in Italia.
Supplemento al n. 9 di âCiao Bigâ.
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Nel puzzle di incastri, nascite e declino della stampa musicale, affiora, al culmine di questi fermenti, âCiao 2001â, che festeggia il lancio del suo primo numero il 26 gennaio 1969. Il traffico, a questo punto, è piuttosto chiaro e la messa a fuoco precisa, e consente di creare progressivamente un pubblico di appassionati che su âCiao 2001â si formeranno e cresceranno. La sua storia rappresenta un successo editoriale brillantissimo, con circa milleduecento numeri settimanali pubblicati lungo venticinque anni, fino alla chiusura alla metĂ degli anni Novanta. âCiao 2001â, molto puntuale nel registrare le novitĂ e nel seguire i movimenti, le uscite, i primi festival, provvede anche alla costituzione di una categoria di nuove figure professionali, di giornalismo musicale, con reportage, servizi, interviste, il racconto dellâemergente realtĂ della musica dal vivo, che anche in Italia sarĂ tanto vitale, agitata e controversa nel decennio successivo. In parallelo, è da segnalare anche unâaltra rivista, che troviamo in edicola dal 26 febbraio 1966 fino al 1° marzo 1970: âGiovaniâ. Con un profilo decisamente ambizioso, spunta da una costola di âMarie Claireâ e sarĂ rimpiazzata dal 5 marzo da âQui Giovaniâ, che resiste a sua volta fino al maggio 1974.
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Interessante, per verificare i gusti del pubblico e lâorientamento della rivista, è riprendere i dati del referendum indetto tra i lettori nel 1966: tra i gruppi è schiacciante lâaffermazione dellâEquipe 84 (con 104.000 voti), seguita da Ribelli (77.000) e Rokes (43.000), mentre tra i cantanti si impone Gianni Morandi (124.000), davanti a Rita Pavone (102.000), Mina (100.000) e Celentano (49.000).
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Tra i progenitori di queste riviste vanno anche inseriti âIl Musichiereâ, nato intorno alla figura e allâomonimo storico programma televisivo di Mario Riva, pubblicato dallâ8 gennaio 1959 al 13 maggio 1965 e âTuttamusicaâ, in circolazione dal novembre 1962 allâagosto 1965. Prima ancora, è il 1945, a Milano da Arrigo Polillo e Gian Carlo Testoni viene lanciata âMusica Jazzâ: ha un target preciso, ben identificato dalla testata, ma avrĂ modo di seguire e documentare anche quella fase di rottura che alla fine degli anni Cinquanta vive la canzone (e il mercato) italiana, con il cambio di passo e lâavvento di artisti nuovi e innovativi, oltre il solco della tradizione. In questo scenario, mette le sue radici quella che dagli anni Settanta in poi sarĂ la stampa (e la critica) musicale: quel tipo di approccio al rock, al pop, alla canzone che oggi è vocabolario diffuso e ha trovato cittadinanza e rappresentanza ampia, addirittura troppo, su ogni tipo di media, fino alla moltiplicazione di blog e siti, dove ormai si discute, si discorre, si straparla di tutto e di tutti. Sono i pro e i contro di una realtĂ che quei pionieri, che avvicinarono e approfondirono lâonda imperiosa della musica tramite la parola scritta, non avrebbero mai neppure potuto sognare. Ps. Ho visto un re: una delle canzoni piĂš significative, e misconosciute, del â68. Il singolo di Enzo Jannacci (testo firmato da Dario Fo), che su retro riportava la spassosa Bobo merenda: invettiva sferzante, tesa a colpire e sbeffeggiare i potenti, con unâironia amara e tutta politica. Fu una delle classiche creature di cui la stampa non si occupò: una geniale provocazione di cui, anzi, forse proprio non se ne accorse o non se ne volle accorgere. Nel tempo diventerĂ uno dei manifesti della filosofia di JannacciâFo, una fotografia delle iniquitĂ e della stupiditĂ del potere: uscita nel momento giusto, il fatidico â68, e poi fiorita, profetica come un sempreverde, negli anni a venire. La sorte dei maestri... ÂŤHo visto un re⌠Un re che piangeva seduto sulla sella / piangeva tante lacrime, ma tante che / bagnava anche il cavallo /... E sempre allegri bisogna stare / che il nostro piangere fa male al re / fa male al ricco e al cardinale / diventan tristi se noi piangiam...Âť âÂŤSolo pochi anni fa non sapevo decidermi tra la musica e il teatro drammaticoÂť, dice Jimi. ÂŤOra, però, ho deciso definitivamente, perchĂŠ credo di aver trovato la mia stradaÂť. Gliene diamo ampio credito, perchĂŠ anche noi puntiamo su di lui.â Jimi Hendrix, unâesperienza da non dimenticare âCiao amiciâ, 21 giugno 1967.
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âIn questi giorni a Londra tutti fischiettano le canzoni dellâultimo disco di Jimi Are You Experienced, un 33 giri favoloso. ... I negozianti dicono che Jimi è un successo: alcuni di loro affermano che può essere la sorpresa dellâestate 1967. Tutti i giornali specializzati hanno pagine e pagine su Jimi: è il tipo del momento.â
âJimi, con il suo trio, The Experience, ha ottenuto un grande successo. Il disco che ascolteremo, Hey Joe, è un blues lento ed eccitante che però dĂ solo una mezza idea della qualitĂ del cantante, che deve parte del suo successo a sconvolgenti e drammatiche interpretazioni visive.â
Ă il tipo del momento âGiovaniâ, dicembre 1967
Lo âsconvolgenteâ Jimi Hendrix âRadiocorriere TVâ, 1967.
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Pazze per il mostro âCiao Bigâ, 29 dicembre 1967
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âVoglio parlare dellâesperienza di qualche sera fa al ÂŤRam Jam ClubÂť, un locale particolare non elegante, ma funzionale nella maniera giusta, dove la musica può essere sentita nella maniera giusta. E Jimi Hendrix, la belva, la forza della natura, il capo dellâesperienza sul piccolo palco della sala con il suo gruppo. Non so se riuscirò a rendere con parole lâeffetto che questo tipo può provocare a chi non è abituato a simili spettacoli: in particolare il sottoscritto che non ha mai avuto la fortuna, malgrado tutti i Piper e Kilt e Woom Woom, di vedere e sentire nulla di simile.â Gigi Movilia
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âLâultimo, uscito in Italia solo pochi giorni fa è intitolato Burning of the Midnight Lamp, promette di inserirsi sulla stessa scia dei primi: Jimi continua, imperterrito, a entusiasmare tutti.â Hendrix tutto ritmo âGiovaniâ, gennaio 1968
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Burning of the Midnight Lamp, di Hendrix, 45 giri (Polydor, L. 750) âGiovaniâ, gennaio 1968.
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âA Londra si è gridato allo scandalo. Vedrai, dicevano in molti, che gli succederĂ come a Sansone. Si taglierĂ i capelli e non sarĂ piĂš nessuno. Proprio adesso, che il suo 33 intitolato Axis: Bold as Love sta mettendo sotto i piedi Beatles e Rolling Stones. Dicono i tecnici: è un travolgente vortice di musica. Dicono i fans: qualche cosa che non si era mai sentito nĂŠ provato.â
âI dischi del trio pop elettronico ÂŤJimi Hendrix ExperienceÂť sono arrivati anche in Italia dopo il trionfo ottenuto negli Stati Uniti e in Inghilterra. ÂŤPer il momento si vendono solo nei negozi piĂš centrali di Roma e di MilanoÂť, dice Roberto Furcht dellâomonima ditta di rivendita di articoli musicali, ÂŤma abbiamo buon speranze per il futuroÂť. ... la loro musica è di tipo ÂŤaccidentaleÂť, ma non ricalca le orme dei ritmi del compositore John Cage, lâidolo dei fans dellâelettronica. Ă piuttosto come sei i 3 musicisti cadessero involontariamente da una scala continuando a suonare.â
Quando Jimi si fa bello âCiao Bigâ, 21 giugno 1967.
Lo spaccatutto del pop elettronico âPanoramaâ, 7 marzo 1968.
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Mentre Hendrix è a Roma, Gianni Morandi si esibisce a Milano. Il âCorriere della Seraâ recensice il concerto, mettendo in relazione la musica e il tipo di pubblico dei due artisti. âMorandi non è cambiato, il suo pubblico nemmeno, vede in lui quello che in sostanza è: il ragazzo di campagna che non si lascia sofisticare, che esprime spontaneamente un genere di musica in cui contano ancora i sentimenti, la melodia, pur accettando rivestimenti moderni, piĂš tesi e vibranti. Insomma le ragazzine che non impazziscono per i Beatles o per Jimi Hendrix, â lâultimo raffinatissimo, complicato prodotto della canzone angloamericana, che abbiamo sentito qualche sera fa, â continuano a impazzire per Morandi, le cose non sono cambiate, ci pare. Sono due mondi che coesistono senza molto incontrarsi.â V. B. Lo ÂŤshowÂť di Morandi âCorriere della Seraâ, 26 maggio 1968.
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Nella rubrica âLe canzoni dei giovaniâ, Jimi Hendrix è presente giĂ nel luglio 1968 accanto ai âclassiciâ. âJimi Hendrix: basta il suo nome per elettrizzare migliaia di fans. E non a torto. Hendrix sa imporsi anche con brani anticommerciali. Ne è la prova questa novitĂ 45 giri Polydor con Up from the Skies e One Rainy Wish. Pregevoli, anche se abbondanti, gli effetti sonori. Ai meno sensibili alle raffinatezze interpreative consigliamo il precedente best seller di Hendrix: Foxy Lady.â U. S. Le canzoni dei giovani âLa Stampaâ, 19 luglio 1968.
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â... Quando Jimi accompaganto dalla sua chitarra si scatena, dai movimenti e dalla voce sprizza una sorta di magnetismo animale, dal potere quasi ipnotico. SĂŹ, basta sentire la sua voce per restare conquistati, affascinati, anche se è un fascino simile a quello che prova un coniglio di fronte a un serpente boa.â Paolo Valente Le ragazze impazziscono per il brutto con la permanente âSognoâ, giugno 1968
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â... Hendrix che si è esibito pochi giorni fa in Italia in una serie di spettacoli organizzati dal Titan Club di Roma, nonostante sia americano è il musicista di punta dellâavanguardia pop inglese. La sua musica è un insieme di note, rumori, suoni allucinati, boati e di effetti elettronici. Non per nulla il suo complesso si chiama ÂŤThe ExperienceÂť, lâesperimento. Un esperimento riuscito piĂš che bene, a giudicare dalla reazione del pubblico e dalla quantitĂ di dischi venduti. Hendrix suona la chitarra e canta, accompagnato dal bassista Noel Redding e dal batterista John Mitchell. In tre persone riescono a produrre un volume di suono impressionante, con una carica musicale, che trascina gli spettatori inesorabilmente.â Renzo Arbore Un mostro che piace âRadiocorriere tvâ, 2â8 giugno 1968
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Con dieci milioni Jimi Hendrix torna a casa âLâEuropeoâ, 6 giugno 1968
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â... Jimi Hendrix è dunque entusiasta dellâItalia, ma è doveroso aggiungere che i ragazzi italiani sono entusiasti di lui. Il favoloso interprete di Hey Joe, il negro indiano che suona la chitarra con i denti, ha ottenuto nel corso della sua tournĂŠe un successo stile âtempi dâoroâ.â Maurizio Moretti Il favoloso amuleto di Jimi Hendrix âGiovaniâ, 13 giugno 1968.
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Jimi Hendrix il tempestoso âGrand Hotelâ, 20 luglio 1968
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âStavo uscendo dai Three Nuns, il locale dove suonavo a Los Angeles con la mia orchestra quando ho sentito i tre colpi... Jimi è un giovanottone timido e tranquillo: soltanto quando è in scena si trasforma e si scatena. E siccome la sua musica è simbolo della rivolta negra, è logico che in USA ci sia chi voglia farlo fuori. La corrente di sangue che è iniziata con lâassassinio di Malcom X e di John Kennedy ed è proseguita con lâuccisione di Martin Luther King e di Bob Kennedy, avrebbe potuto avere, poche sere fa a Los Angeles, una ennesima tragica replica.â Otis Pencill Notte di terrore per Jimi Hendrix âCiao Bigâ, 7 agosto 1968.
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JIMI HENDRIX (1942â1970) Il 27 novembre 1942 nasce a Seattle Johnny Allen Hendrix, quattro anni piĂš tardi ribattezzato James Marshall. Nel 1951, dopo la separazione dei genitori (la madre Lucille, di origini Cherokee, morirĂ alcolizzata nel 1958), cresce con il padre Al e il fratello minore Leon. Un altro fratello, Joseph, e due sorelle, Pamela e Kathie, andranno in affido. Adolescenza povera e disagiata, nel 1959, dopo aver acquistato la sua prima chitarra su cui sviluppare i rudimenti del blues, esordisce nel gruppo dei Velvetones, per poi passare ai Rocking Kings, che ottengono riconoscimenti in concorsi giovanili e rassegne locali. Nel 1961, dopo qualche noia con la giustizia per furto dâauto, si arruola nel corpo dei paracadutisti, da cui verrĂ congedato lâanno successivo, a seguito di un incidente; intanto si esibisce con il trio dei King Casuals, inizio di una serie di collaborazioni, con al suo fianco anche il bassista Billy Cox. Nel 1961 nasce Janie, che verrĂ adottata da Al Hendrix. Alla sua morte, sarĂ Janie a diventare lâerede del patrimonio editoriale che controlla lâimmagine e la musica di Jimi. Nel 1963 si infittiscono gli impegni e lo troviamo sul palco, nelle band che via via accompagnano Little Richard, Lonnie Youngblood, Hank Ballard, The Supremes, Tommy Tucker, e soprattutto The Isley Brothers, Sam Cooke (sodalizio interrotto per la sua morte) e Curtis Knight. Sono numerose anche le registrazioni discografiche in studio, nel 1964, spesso non accreditate ufficialmente, ma che gli consentono una preziosa esperienza, in special modo nel campo della black music. Nel 1965 le prime, significative apparizioni discografiche (con Little Richard, Arthur Lee, Jayne Mansfield), mentre continuano gli impegni live, tra gli altri con Albert Collins e Ike & Tina Turner. Firma un contratto con il produttore Ed Chalpin, che sarĂ fonte di lunghe diatribe giudiziarie. Nel 1966 suona anche nei gruppi di Wilson Pickett e di Percy Sledge; e mentre le session e gli incontri musicali si moltiplicano, in estate fonda la sua prima formazione, Jimmy James and the Blue Flames, e viene notato da un talent scout dâeccezione, Chas Chandler, bassista degli Animals, che lo sente al Cafe Wha? di New York e lo inviterĂ a seguirlo nella Swinginâ London. Dopo un rapido casting a Londra si costituisce The Jimi Hendrix Experience, con Noel Redding al basso e Mitch Mitchell alla batteria; saranno da supporter per Johnny Hallyday allâOlympia di Parigi, macinando nei club londinesi performance incendiarie e show anche improvvisati. La sua presenza nella capitale inglese non passa inosservata, destando una viva
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curiositĂ e un caldo apprezzamento anche nella comunitĂ dei musicisti: a metĂ dicembre esce il singolo Hey Joe/Stone Free, che subito entra nelle zone alte della classifica britannica. Fin dalle prime settimane del 1967 lâattivitĂ si fa frenetica, con un tour nazionale e apparizioni alla bbc; dopo un secondo 45 giri, Purple Haze/51st Anniversary, arriva a maggio il rivoluzionario album di debutto, il capolavoro Are You Experienced? La fama si estende e The Jimi Hendrix Experience sono tra i protagonisti del californiano Monterey Pop Festival, a giugno. Gli impegni assumono una cadenza di straordinaria intensitĂ e a dicembre esce giĂ il secondo 33 giri, Axis: Bold as Love. Il successo è clamoroso, la risposta del pubblico e della critica è trionfale, con eccellenti riscontri anche nelle vendite. Nellâaprile 1968 viene pubblicata lâantologia Smash Hits, a maggio Jimi arriva in Italia e a giugno va in studio a New York, per realizzare lâambizioso doppio Electric Ladyland, nei negozi a ottobre, con la controversa e scandalosa copertina ânudeâ censurata in diversi Paesi. Nei primi mesi del 1969 si affaccia una crisi personale e creativa che sfocia nello scioglimento degli Experience, e lâavvio di una nuova lineâup piĂš ampia, che verrĂ sperimentata al festival di Woodstock, in agosto, Gypsy Sun and Rainbows, che non avrĂ una vita effettiva, presto abbandonata a favore della Band of Gypsys, dove Jimi ritrova i vecchi amici, Billy Cox al basso e Buddy Miles alla batteria: insieme a loro festeggia la fine dellâanno con una serie di esibizioni al Fillmore East di New York, da cui sortirĂ un album live, lâultimo licenziato con Hendrix ancora in vita, Band of Gypsys, in distribuzione ad aprile 1970. Nello stesso periodo si segnalano alcune session in studio, dove saranno ricavati anche i materiali per il primo postumo The Cry of Love. Lâestate è tempo di festival, ad Atlanta e a Maui nelle Hawaii (da dove provengono anche le immagini poi utilizzate per il film Rainbow Bridge), lâisola di Wight, cui seguiranno altre date in nord Europa, fino allâultimo impegno allâisola di Fehmarn, in Germania, headliner al Love and Peace Festival. Dopo ci sarĂ modo solo per una jam session in un club, il 16 settembre, al Ronnie Scottâs Jazz Club di Londra, cittĂ in cui Jimi muore nel sonno il 18 settembre. I primi soccorsi, vani, verranno sollecitati dalla fidanzata Monika Danneman, che non si è accorta di nulla. Al di lĂ delle prime frettolose ricostruzioni che indicano il decesso per overdose, i rilievi autoptici certificano che Hendrix è morto soffocato dal vomito per un mix di alcol e barbiturici. Il 1° ottobre, dopo che la salma è stata traslata a Seattle, si celebra il funerale, cui partecipano anche molti colleghi; a seguire la sepoltura nel cimitero di Renton, a poche miglia dalla cittĂ .
Fonti Oltre alle interviste, alle testimonianze e alla stampa dellâepoca, le principali fonti bibliografiche consultate sono: Johnny Black, Jimi Hendrix. The Ultimate Experience, Thunderâs Mouth Press, New York 1999 Roberto Bonanzi e Maurizio Comandini, Jimi Hendrix. 5 giorni a maggio, Mondadori, Milano 1998 Charles R. Cross, La stanza degli specchi, Kowalski, Milano 2006 Enzo Gentile, Legata a un granello di sabbia, Melampo, Milano 2005 Enzo Gentile, Jimi santo subito!, Shake, Milano 2010 Caesar Glebbeek, Jimi Hendrix. Una foschia rosso porpora, Arcana Editrice, Milano 1992 Caesar Glebbeek e Roberto Crema, Jimi Hendrix in Italia 1968, UniVibes Press, Popiglio (Pt) 2010 Jimi Hendrix, Zero. La mia storia, Einaudi, Torino 2014 Mitch Mitchell and John Platt, The Hendrix Experience, Pyramid Books, London 1990 Romy Padovano, Hit Parade, Arnoldo Mondadori, Milano 1997 Irene Piazzoni, La musica leggera in Italia, lâOrnitorinco, Milano 2011 Noel Redding and Carol Appleby, Are you experienced? The inside story of the jhe, Fourth Estate Limited, London 1990 Ciarly Roketto, Jimi nel cerchio del Musico, Comune di Bologna, Bologna 1999 Charles Shaar Murray, Jimi Hendrix. Una chitarra per il secolo, Feltrinelli, Milano 1992 David Stubbs, Jimi Hendrix, the stories behind every song, Carlton Books Limited, London 2003 Ben Valkhoff, Eyewitness. The Illustrated jhe Concerts 1968, Up from the Skies Unlimited, Nijmeen 2000 http://jimihendrixitalia.blogspot.it
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JIMI HENDRIX (1942â1970)
Enzo Gentile davanti a un murale milanese degli anni Settanta.
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Ringraziamenti Lo hanno visto e ne hanno parlato: lo ricordano cosÏ⌠Carlo Acquistapace Enzo Aisler Piero Ammaniti Checco Annoni Renzo Arbore Adriano Assanti Claudio Baldassarri Giovanni Barbareschi Eric Barrett Dodi Battaglia Sandro Beccari Dana Faith Benjamin Massimo Bernardi Giorgio Bianchi Guglielmo Bilancioni Daniele Bisazza Bizzio Maurizio Bonini Michele Bovi Beppe Brilli Bruno Brini Fabrizio Capitoli Paolo CarĂš Marco âMitchâ Catone Piero Cerri Domenico Chianura Renzo Chiesa Carlo Ciciani Paolo Cionetti Roberto Ciotti Gianni Ciuffini Claudia Daniela Cohen Pierfranco Colonna Saro Cordi
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Ines Curatolo Bruno DâAngelo Giorgio De Biasi Alberto Dentice Toni Di Mauro Filippo De Orchi Alvaro Fella Mauro Ferracci Roberto Ferrari Mauro Filippini Giancarlo Fiorentini Bambi Fossati Giuseppe Gaetano Sandro Gamba Rolando Giambelli Ricky Gianco Sergio Giannoni Ezio Gionco Lillo Giovara Guido Gonzales Italo Gnani Giuseppe Grotti Daniele Guidazzi Thomas Harrison Luciano Lambertini Giorgio Lanzani Filippo La Porta Claudio Lucchi Serse Mai Roberto Maresca Alberto Marozzi Ricky Maiocchi Andrea Mingardi Maurizio Moretti Mario Mozzetti
Giuseppe Nisii Giliano Panari Piero Pantò Marco Persichetti Pierino Stefano Pietrucci Gabriele Poletti Eddie Ponti Oscar Porri Antonio Prozzo Riccardo Radaelli Ugo Rapezzi Noel Redding Vicky Redding Luciano Regoli Paolo Renferme Enzo Righetti Ciarly Roketto Alex Schiavi Sergio 1952 Maurizio Solieri Ruggero Stefani Danilo Stolzi Victor Togliani Ivano Tonini Fabio Treves Bruna Urbani Paolo Valente Mario Valentini Maurizio Vandelli Antonio Varone Carlo Verdone Pat L.A. Wiss
Un ringraziamento anche a: Roberto Bonanzi Umberto Buttafava Fulvio Feliciano Rudy Kronfuss Aldo Lastella Ivan Lezzoli Claudia Notargiacomo Irene Piazzoni E a tutti i membri del gruppo Jimihendrixitalia.
Roberto Crema con Noel Redding al santuario di Santa Caterina al Sasso, Leggiuno (Varese).
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Š 2018 Editoriale Jaca Book SpA, Milano Prima edizione aprile 2018 Tutti i diritti sono riservati. à vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente volume, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque mezzo di diffusione, senza previa autorizzazione scritta Progetto editoriale Vera Minazzi Concept design Paola Forini/Jaca Book Redazione Elisabetta Gioanola/Jaca Book
Fotolito e selezione colore Target Color, Milano Stampa e legatura Stamperia s.c.r.l., Parma aprile 2018 ISBN 978â88â16â60560â2
Editoriale Jaca Book via Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48561520 libreria@jacabook.it; www.jacabook.it Seguici su
Saracinesca del Teatro Brancaccio.
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Dove non altrimenti specificato, le immagini provengono dallâarchivio di Roberto Crema. Fra di esse: Courtesy of: Sandro Beccari, p. 208209, 210, 214, 215 Roberto Bonanzi, p. 64, 65, 114, 118-119, 120, 124, 125, 126-127, 128, 129, 130, 136, 137, 142, 145, 146, 147; Mauro Casadio Farolfi, p. 222 a sinistra e a destra in basso, 223; Mimmo Chianura, p. 111, 112, 113; Renzo Chiesa, p. 53, 54, 55, 85 a sinistra e in centro; Daniela Cohen, p.39 a
destra in alto, p. 41, 42, 43, 44; Ezio Gionco/Giorgio Lanzani, p. 76, 77, 78-79, 82-83; Lillo Giovara, p. 80, 81 a sinistra e a destra seconda, terza, quarta, quinta e ultima, p. 84, 86-87; Thomas Harrison, p. 158, 165, 166167, 168, 169, 170-171, 183; Rudy Kronfuss, p. 190, 194; Ivan Lezzoli, p. 62, 63; Riccardo Radaelli, p.66 a destra prima e seconda in alto e ultime due in basso; Fabio Treves, p.66 a sinistra, p. 195. Crediti: Agenzia Contrasto, p. 138, 139.
Courtesy of Enzo Gentile, p. 267, 270. Archivio Jaca Book, p. 92, 95, 161, 254, 255.
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