CIVILIZATIONS OF THE GULF

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ARCHEOLOGIA DEL VERACRUZ. DAGLI OLMECHI AL EL TAJÍN.

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ARCHEOLOGIA DEL VERACRUZ. DAGLI OLMECHI AL EL TAJÍN. A CURA DI SARA LADRÓN DE GUEVARA

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INDICE

PRESENTAZIONE Sara Ladrón de Guevara 1 - CARATTERISTICHE REGIONALI. IL CENTRO DEL VERACRUZ, UNA CULTURA UNICA IN MESOAMERICA Annick Daneels 2 - GLI OLMECHI: PREDECESSORI ED EREDI Roberto Lunagómez Reyes 3 - I TUXTLAS, IL TLALOCAN TERRENO Lourdes Budar 4 - LA MIXTEQUILLA, UOMINI DI PIETRA, DONNE DI FANGO Sara Ladrón de Guevara 5 - IL CENTRO SUD DEL VERACRUZ, LA ZONA SEMIARIDA E LA CULTURA REMOJADAS Annick Daneels 6 - MALTRATA, UNA VALLE INTRAMONTANA NELLE TERRE ALTE DEL CENTRO DEL VERACRUZ Yamile Lira López 7 - EL TAJÍN, TRADIZIONE E INNOVAZIONE Sara Ladrón de Guevara 8 - RICERCHE ARCHEOLOGICHE Lourdes Budar, Annick Daneels, Sara Ladrón de Guevara, Yamilie Lira e Roberto Lunagómez

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PRESENTAZIONE Sara Ladrón de Guevara

Gli studi sulla storia precolombiana della Mesoamerica in genere iniziano generalmente spiegando, definendo e descrivendo la cultura olmeca. Gli Olmechi, che occupavano il sud dell’attuale Stato del Veracruz e parte del Tabasco, inaugurarono una serie di fattori materiali e ideologici che avrebbero dato vita a quella che oggi chiamiamo Mesoamerica. Di fatto si tratta di una delle culle della civiltà del mondo antico. Tuttavia, gli studi che si occupano delle epoche successive alla decadenza di questa civiltà sono soliti dedicarsi alle culture dell’Altopiano centrale e alla loro espansione nel resto del territorio mesoamericano escludendo gli sviluppi delle altre aree mesoamericane. Di sicuro è possibile riconoscere influenze o similitudini tra Teotihuacan, Tula o Tenochtitlan e le restanti culture mesoamericane. Poiché queste erano le grandi città dominanti, si può spiegare senza difficoltà la loro ingerenza nelle altre culture o addirittura l’imposizione di correnti e tradizioni culturali parallelamente al loro dominio economico e politico; è altrettanto certo però che esistono sviluppi culturali regionali che, lungi dal limitarsi a ricevere influenze foranee, generarono essi stessi nuove idee e tradizioni. È questo il caso del territorio che occupa la parte centrale dello stato oggi chiamato Veracruz, in genere trascurato negli studi che vanno dall’epoca olmeca all’arrivo degli Spagnoli sulle sue coste, un evento accaduto tremila anni dopo la fioritura olmeca. In effetti, dopo il cosiddetto periodo Preclassico, si è soliti tralasciare questa regione, forse perché non vi sorsero grandi città. La popolazione di questo fertile territorio dalle altitudini variabili – dalla costa alle alte montagne – era distribuita in centri di piccole e medie dimensioni. Sebbene ci siano stati importanti progressi negli studi archeologici che la riguardano, le informazioni sono comunque presentate in modo frammentario: si descrivono i singoli siti ma non si analizzano la complessità e la diversità della regione, il cui sviluppo fu al tempo stesso autonomo e soggetto a una dinamica macroregionale per cui essa riceveva influenze sia dalle culture dell’Altopiano centrale che dall’area maya. Di fatto, il territorio del Golfo costituisce uno spazio di comunicazione tra queste due importanti regioni, un passaggio obbligato che proprio per questo riceveva e diffondeva idee e prodotti. Questo volume vuole dare il giusto riconoscimento a un’area culturale della Mesoamerica che sviluppò caratteristiche proprie: architettura, urbanesimo, scultura, gioco della palla, statuine in ceramica, divinità e tradizioni, soprattutto durante il periodo Classico. Questa serie di elementi culturali comuni a quel territorio ci permette di iden-

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tificare, dopo il tramonto degli Olmechi, un’unità culturale caratterizzata da una diversità stilistica che sicuramente corrispondeva a una diversità etnica e linguistica, così come a una diversità ecologica e del paesaggio. È per questo che nella presente trattazione abbiamo diviso l’area in diverse regioni. Il volume inizia con l’enumerazione degli elementi materiali e ideologici che caratterizzano l’area e che si diffusero nel resto del territorio mesoamericano. S’insiste quindi sull’importanza rituale e simbolica del gioco della palla e sul corredo degli oggetti che ne accompagnavano la pratica (giochi, asce e palme), così come sul successivo sacrificio per decapitazione associato a quel rito. Non furono solo le pratiche olmeche a trascendere il tempo e lo spazio, ma anche il loro simbolismo. Dopo questa prima caratterizzazione, vengono analizzate nel corso del volume le regioni che, come un mosaico, formarono una ricchezza culturale che aveva un parallelo nella diversità ecologica. Per esempio, in alcuni siti sono presenti elementi che servivano a risolvere tramite campi artificialmente elevati il problema delle terre soggette a inondazioni; sorprendentemente questi stessi elementi si ritrovano anche in altri siti caratterizzati al contrario da aridità e siccità. Similmente, una tradizione ceramica come quella dei cosiddetti “volti sorridenti” appare sia in alcuni siti della verde regione della Mixtequilla che in altri siti nelle vicinanze che presentano però un ambiente secco, quello della zona semiarida centrale. Oppure vediamo come l’architettura di El Tajín, che di solito associamo al verde della selva circostante, apparve con stili e modi di costruzione simili nelle terre alte di Yohualichan. Forse l’espansione in una zona ecologicamente diversa era intenzionale perché permetteva lo scambio e l’approviggionamento di prodotti tra ecosistemi diversi. Nel raccontare della ricchezza culturale di quest’area procederemo da sud a nord, iniziando dall’area nucleare olmeca che, dopo aver vissuto la fioritura di questa culla della civiltà, diede luogo a insediamenti urbani, monumenti di pietra, complessi simbolici e tradizioni che sarebbero stati ereditati dai vicini abitanti dei monti Tuxtlas. Passeremo poi alla zona semiarida centrale, alla Mixtequilla, alle terre alte e infine allo sviluppo urbano e politico della grande città di El Tajín. Vedremo i signori della Mixtequilla ritratti in bassorilievi sulle pareti dei vasi di terracotta mentre ricevono insegne simili, seppur con qualche differenza, a quelle offerte a Tredici Coniglio, signore di El Tajín, rappresentato sopra monumentali colonne di pietra mentre legittima il proprio potere e la propria gerarchia. Testimonieremo della grande frequenza dei campi per il gioco della palla che presentano tutti le stesse strutture basiche e gli stessi modelli costruttivi, oltre che gli stessi simboli iconografici e gli stessi parafernalia rituali. Sono queste vestigia comuni che ci permettono di riconoscere l’unità dentro la diversità. Gli autori di questo libro sono attori protagonisti dell’archeologia veracruzana: dirigono progetti di ricerca nelle aree delle quali scrivono; hanno partecipato a progetti che in passato hanno cambiato il panorama dell’archeologia veracruzana a fianco di veri e propri pilastri della nostra disciplina; partecipano tutt’oggi alla formazione di giovani archeologi in seno a prestigiose università messicane, quali l’Universidad Veracruzana, l’Universidad Nacional Autónoma de México e la Escuela Nacional de Antropología e Historia. Dopotutto, in Veracruz si è sviluppata una vera tradizione archeologica, come si legge nel capitolo sulla storia delle ricerche. Speriamo che questo volume risvegli l’interesse per un’area che, insieme alle altre che fanno parte della Mesoamerica, spiega lo sviluppo culturale di quest’ultima a partire da una civiltà originaria, quella olmeca, per arrivare fino a città magnifiche e sofisticate della grandezza di El Tajín. 8

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CAPITOLO PRIMO CARATTERISTICHE REGIONALI. IL CENTRO DEL VERACRUZ, UNA CULTURA UNICA IN MESOAMERICA Annick Daneels

Il Centro del Veracruz è la regione dell’abbondanza per via dei suoli ricchi di sedimenti vulcanici della Sierra Transversal, irrigati da precipitazioni copiose e regolari, con un clima tropicale umido che varia da molto caldo sulla costa a temperato nella sierra. È una regione sorprendentemente libera dai pericoli che insidiano frequentemente la Mesoamerica. I fiumi perenni che la solcano hanno corsi di media portata senza la violenza dei grandi fiumi del sud (il Papaloapan, il Coatzacoalcos e il Grijalva); è lontana dai vulcani che durante il Classico colpirono insediamenti come Xitle nella Valle del Messico o San Martín nella Sierra de los Tuxtlas; infine non è nella traiettoria degli uragani e solo eccezionalmente si verificano terremoti. È una terra dove si vive bene. Non è sorprendente allora che gli esseri umani ne abbiano occupato il suolo fin dai tempi antichi: gruppi di cacciatori e raccoglitori specializzati nella caccia piccoli animali (uccelli, pesci, rettili e piccoli mammiferi) e nella raccolta di piante e semi in ambienti acquatici selvaggi sono presenti sulla Costa del Golfo dal Tabasco alla Huasteca già dall’VIII-VI millennio avanti Cristo in accampamenti virtualmente sedentari1. Tra il V e il III millennio si avviano all’agricoltura, tagliando e bruciando la selva per seminare mais, fagioli, zucca, peperoncino, cacao e cotone2. Chi fossero queste popolazioni e che lingua parlassero è ancora oggetto di ipotesi. Il fatto che si siano trovate così tante testimonianze di un’occupazione arcaica, malgrado sia rimasto così poco sul terreno superficiale ricoperto da strati e strati di depositi sedimentari più recenti, indica una densità di popolazione abbastanza alta per i parametri preistorici. È quindi probabile che quelle popolazioni fossero ancora presenti nel II millennio, quando iniziarono a fabbricare le prime ceramiche. Nel Centro-nord, questi primi vasi hanno un carattere proprio e affinità con le tradizioni dell’Altopiano, mentre nel Centro-sud si allineano fin da subito con le tradizioni dell’Istmo e del Sud del Veracruz, seguendo le mode olmeche per quanto riguarda le ceramiche, le figurine e la scultura in pietra di piccole dimensioni fino al tramonto di San Lorenzo e La Venta. In questo periodo i siti sono di modeste dimensioni, niente di paragonabile con le grandi capitali olmeche. Sembrano villaggi di agricoltori, cacciatori e raccoglitori che, stabilitisi in terre di prima qualità, nei pressi di fonti d’acqua perenni, non sembrano aver bisogno di altro. La dinamica cambia dopo il tramonto degli Olmechi. Cresce notevolmente il numero dei siti e iniziano ad apparire i primi edifici con architettura formale. Avvengono con11

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tatti e interazioni con l’Istmo, anche con il sito monumentale di Izapa; tuttavia i modelli ceramici e scultorei iniziano a distanziarsi dalla tradizione che continua invece nella regione epi-olmeca di Tres Zapotes (ai piedi dei monti Tuxtlas). Il fattore determinante sembra essere l’introduzione del rituale della decapitazione associato al gioco della palla che avrà molta importanza nella cultura del Centro del Veracruz durante il Classico: un rituale di fertilità terrestre, associato alla decapitazione del giocatore vittorioso, nel corso del quale venivano usati raffinati oggetti in pietra fine levigata conosciuti come “gioghi” e “asce”, il cui stile decorativo era caratterizzato da volute intrecciate a doppia linea. Il reperto più antico di questo tipo è stato rinvenuto nel Centro-sud del Veracruz e risale al Protoclassico (100 a.C.-100 d.C.). A Cerro de las Mesas, un sito di grandi dimensioni sulle rive del fiume Blanco, nella Mixtequilla, fu infatti trovata sotto una bassa piattaforma addossata alla piramide orientale del sito una sepoltura dedicatoria formata da tre corpi decapitati. Il corredo del personaggio centrale era molto ricco essendo formato da una collana di perle di conchiglia, orecchini di giada, numerosi vasi decorati, un giogo senza decorazioni e varie figurine di ceramica. La testa, tagliata, fu depositata con la faccia rivolta verso l’interno di una conchiglia piena di cinabro, con una perla e una figurina in giada raffigurante una scimmia sul fondo. Era accompagnata da nove sonagli di ceramica collocati dentro il carapace intagliato di una tartaruga che mostra il 12

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8. Nel disegno di Sacha Gepner un Homo habilis sembra mostrare il suo manufatto e ad un tempo sembra ammirarlo. Ammira il manufatto divenuto «forma» come doveva ammirare gli astri e la natura. «L’uomo si è preoccupato di rendere la sua vita di tutti i giorni, e ben presto anche quella che andava oltre la quotidianità, conforme all’immagine intellettuale, spirituale e simbolica che ne aveva; si è preoccupato di abbellirla. Lo studioso di preistoria se ne rende conto constatando con quanta cura i primissimi uomini fabbricassero e scegliessero gli oggetti di cui si servivano, anche i più futili e i più deperibili» (Yves Coppens).

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profilo della testa di un uomo vivo, con l’occhio bene aperto, e incorniciato da un cerchio formato da due serpenti con decorazioni di volute3. È la prima testimonianza di un contesto primario in cui sia stato ritrovato il complesso gioco/decapitazione/voluta. Un altro ritrovamento risalente allo stesso periodo è quello di Carrizal dove una sepoltura secondaria era accompagnata da due gioghi intenzionalmente rotti. I mutamenti che accompagnano l’apparizione di questo rituale sono importanti: l’architettura diventa monumentale, organizzata attorno grandi piazze che sembrano sproporzionatamente grandi in confronto alla densità della popolazione ancora relativamente bassa, come suggerisce lo studio del modello di insediamento. Possiamo supporre che funzionassero come sedi di grandi eventi ai quali accorrevano gli abitanti dei centri vicini e lontani. Amatlán, con la sua grande piazza coperta di lastre, sul fiume Blanco; Martín Barradas, sul fiume Cotaxtla; Campo Viejo, sul fiume Antigua e Chalahuite, sul fiume Actopan, sono alcuni dei siti che presentano in questa epoca grandi complessi architettonici. Sono formati da piramidi basse e tozze o da ampie piattaforme monumentali. La ceramica cambia enormemente: invece di ciotole scure dal profilo complesso che presentano disegni geometrici incisi in maniera così fine da essere quasi impercettibili a distanza, ora dominano vasi dalle linee molto pure; vasi cilindrici a fondo piatto, a volte con un bordo alla base; superfici monocrome di colore intenso: caffè, amarena, crema o nero; levigature a lucido, lisce o con decorazioni a scalanature che creano effetti di luce. Cambiano anche le reti di scambio: si iniziano a importare i nuclei poliedrici di ossidiana scura e di buona qualità estratta dai giacimenti controllati dal potente sito di Cantona. Da questi nuclei gli intagliatori specializzati potevano ottenere le lame prismatiche con tallone levigato che saranno gli strumenti di taglio più usati nel periodo Classico (anche se per l’industria secondaria e più economica si continuano a produrre le piccole schegge a percussione in ossidiana di bassa qualità trovate nei depositi superficiali del Pico de Orizaba e destinate a un uso multiplo) . Un’altra novità significativa è rappresentata dalla Stele de la Mojarra proveniente dalla frontiera meridionale del territorio. La stele, datata a metà del II secolo d.C., è il prototipo della stele che raffigura il governante riccamente vestito, di profilo, accompagnato da un testo glifico e da date calendariche del Conto Lungo.

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Tutti questi cambiamenti avvennero al tramonto della cultura olmeca, come se la morte della sua progenitrice avesse dato libertà alla figlia di cercare negli sviluppi epiolmechi il proprio cammino, il quale girerà intorno al gioco della palla. Si tratta del gioco della palla antico, in cui si usavano le anche per colpire una palla di caucciù e i campi non avevano gli anelli di meta. La sua presenza è testimoniata nelle terre basse tropicali fin dal 1600 a.C. dalle figurine di El Opeño a Michoacán, dal campo da gioco a Paso de la Amada in Chiapas e dalle palle di caucciù a Manatí in Veracruz. Tuttavia qui l’importanza del gioco assume una nuova sfumatura. Per via del rituale a cui è associato, diventa una religione di stato: i campi da gioco si trovano nei centri gerarchicamente più importanti, l’iconografia del rito della decapitazione o del gioco si restringe agli ambiti elitari (pitture murali dentro i templi, rilievi sull’architettura monumentale delle città capitali, vasi modellati o scolpiti), i gioghi e le asce sono prodotti con pietra importata e tagliata da degli specialisti. Altri cambiamenti vanno nella stessa direzione: emergono governanti che organizzano la popolazione per costruire grandi spazi architettonici, mettono in opera reti di commercio a lunga distanza e ordinano la costruzione di stele. Sembra probabile che la base del loro potere fosse il millenario potere di attrazione del gioco della palla: essi si ergevano a patrocinatori della costruzione dei terreni di gioco, organizzatori del gioco

e officianti del rituale – che per le sue implicazioni con la fertilità era il modo per assicurare il benessere della comunità. Il sacrificio umano, in molte religioni del mondo, è servito come rituale di purificazione e redenzione e come rinforzo del tessuto sociale. Il rituale del gioco della palla ebbe inizio nel Protoclassico. Durante il Classico inglobò tutto il Centro del Veracruz in un’unica unità culturale, raggruppando sia il Centrosud che aveva un sostrato culturale olmeco che il Centro-nord che aveva un sostrato culturale di tipo settentrionale. Più o meno nello stesso momento vi fu un altro fenomeno di integrazione ideologica: nell’Altopiano sorse Teotihuacan, che diventerà la più grande città del mondo allora conosciuto e il luogo verso cui convergevano le popolazioni che si muovevano al seguito di un’idea. Si può osservare come anche nel Centro del Veracruz vi fosse un’ideologia in grado di integrare un gran numero di persone con tradizioni originariamente distinte. Tuttavia in questo caso le popolazioni rimanevano nei propri luoghi di origine e adottavano coscientemente un nuovo sistema di valori che avrebbe modificato le loro esistenze. Nei siti maggiori di entrambe le regioni si nota la presenza di campi da gioco negli spazi principali associati alle piramidi più alte; gioghi e asce in fine pietra levigata e intagliata come corredo; decorazioni a volute intrecciate; iconografia con scene di decapitazione dove il sacrificato è tenuto nella stessa considerazione del sacrificatore (e non come il vinto e umiliato delle scene di guerra4). La posizione dei campi all’interno dei siti varia di regione in regione, però solo nel Centro del Veracruz sono sistematicamente associati agli spazi principali (a differenza di altre aree della Mesoamerica). Inoltre i campi sono molto numerosi: dovunque esistano studi sui modelli di insediamento abbastanza approfonditi da poter fare un’analisi, è possibile vedere che nessuno viveva a più di 6 km da un campo da gioco, ovvero a meno di un’ora di cammino, e la maggior parte viveva a mezz’ora o meno. Era quindi un evento molto popolare e ricorrente nella vita delle popolazioni. Quest’aspetto obbliga a fare una stima sulla frequenza del sacrificio umano. Vedendo la quantità di campi da gioco, se ne deduce che non tutte le partite finivano con un sacrificio… altrimenti si sarebbe rimasti ben presto senza giocatori! Inoltre, l’interesse nel partecipare a una partita sarebbe diminuito notevolmente. È probabile che il sacrificio avesse luogo solo in casi eccezionali, in circostanze di crisi, quando situazioni interne o esterne minacciavano la stabilità o la sopravvivenza della comunità. È possibile che in questo modo morire sacrificato dopo aver vinto una partita cruciale, potesse apparire accettabile a un giocatore, se con ciò avrebbe garantito la sopravvivenza della sua comunità e avrebbe guadagnato l’immortalità. Bisogna tenere conto del concetto mesoamericano della vita dopo la morte: si può in questo modo concepire l’idea che i 18

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giocatori partecipassero di buon grado alle partite anche contemplando la possibilità della propria morte. Nel pensiero mesoamericano, colui che moriva di morte naturale, per vecchiaia o per la maggior parte delle malattie, sarebbe andato in un aldilà umido e oscuro, un luogo di sofferenza. Sfuggivano a questo triste destino i morti sotto il segno dell’acqua (gli affogati, gli idropici, i suicidi e coloro che venivano sacrificati alla pioggia), i quali andavano nel paradiso di Tlaloc fatto di erbe, fiori, gioco e cibo in abbondanza, e coloro che acquisivano il privilegio di accompagnare il sole nella sua corsa quotidiana nel cielo: le donne morte di parto e gli uomini morti in battaglia o sacrificati. Accompagnando le divinità nei loro domini, il sacrificato acquisiva uno status semidivino. Almeno per quanto riguarda il Centro del Veracruz questo sembra confermato dai rilievi a El Tajín dove si vede un giocatore che chiede agli dei il liquido vitale da loro conservato. La sua vittoria implica l’obbligo dell’autodacrificio per lo stesso dio che si passerà una spina attraverso il pene affinchè il suo sangue torni ad alimentare la riserva di liquido vitale. Un dio non sarebbe disposto a un tale sacrificio in onore di un perdente! Per questo sembra probabile che il sacrificato fosse colui che vinceva e non colui che perdeva come sarebbe logico pensare secondo una prospettiva occidentale. Che questo rituale sia stato un fattore di coesione nella società del Centro del Veracruz è assodato, però la sua fortuna era grande in tutto il mondo mesoamericano. Lo si può constatare nella distribuzione degli artefatti e degli stili che lo caratterizzano nelle civiltà del Classico: a Teotihuacan sono presenti gioghi e volute intrecciate e probabilmente un campo da gioco nelle sue tappe più antiche5. In seguito, nel Classico Medio e soprattutto nel Classico Tardo dopo il tramonto di Teotihuacan, i gioghi, le asce e a quel tempo anche le palme, le volute e l’iconografia della decapitazione sono presenti nei siti principali, dalla zona a nord di Città del Messico (San Luis Potosí) fino alla zona maya (Palenque, Copán, Chichen Itzá) e al Centroamerica (Escuintla in Guatemala, Quelapa in El Salvador). Una distribuzione e un prestigio così elevato possono essere comparati solo con la diffusione degli elementi teotihuacani durante il Classico Medio. In queste società, il rituale non raggiunse mai l’importanza che aveva nel Centro del Veracruz. I campi da gioco potevano essere edificati in luoghi pubblici o ristretti, però raramente erano associati ai principali luoghi sacri. Sembra piuttosto che le élites delle altre culture mesoamericane avessero assimilato il rituale come una strategia per riaffermare e legittimare il proprio status in un periodo di rielaborazione ideologica. Fu sempre in quel periodo che emerse con chiarezza la distribuzione del culto a Quetzalcoatl, un culto che riprendeva certi elementi di prestigio a Teotihuacan e li reinterpretava associandoli a un rituale che comprendeva la giada e l’uso di incensieri. Un culto condiviso da molte élites mesoamericane, tra cui quelle di El Tajín6. Forse fu sotto l’influenza di questo culto a Quetzalcoatl che il gioco della palla nel Centro del Veracruz iniziò a mutare assumendo aspetti astrali che si andarono ad aggiungere ai significati di fertilità terrestre già presenti, come successe a El Tajín. Però la pratica del gioco si mantenne uguale. L’introduzione dell’anello di meta, che appare nel Classico Tardo a Chichén Itzá e a Xochicalco e che cambia le regole del gioco (da una sorta di pallavolo si trasforma in una sorta di pallacanestro), è estranea alla tradizione del Centro del Veracruz fino al Postclassico, quando sarà associata ai gruppi Totonachi (Vega de la Peña, Zempoala). Però com’è possibile che una società che creò un rituale in grado di unire tutta un’area culturale e che ebbe un così forte impatto in tutta la Mesoamerica, non abbia prodotto siti delle dimensioni di Teotihuacan, Monte Albán o Tikal? I siti più grandi, come El Tajín o Cerro de las Mesas, sono minuscoli se comparati ai grandi siti del Classico, quanto meno per quanto riguarda la superficie e il volume delle costruzioni. Gli stati 20

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dominanti avevano territori piccolissimi che contavano decine o al massimo qualche centinaio di chilometri quadrati, senza mai raggiungere il migliaio. Eppure erano veri e propri stati, con una gerarchia insediamentale con vari livelli di ranghi, città capitali con un’alta densità di popolazione, un’agricoltura intensiva praticata nei cosiddetti “campi rialzati”, un ingegnoso sistema per sfruttare le aree inondate e il controllo su estese monocolture di cotone. Ci sono centri secondari il cui assetto urbano e le funzioni amministrative e cerimoniali replicano quelle della capitale, però in scala minore, senza la densità di popolazione equivalente su un territorio di uguali dimensioni. A un livello inferiore ci sono centri di terzo rango che possono essere organizzati secondo il principio della assemblea, dominati da un modesto complesso di strutture intorno a una piazza (ma senza campo da gioco), o secondo il principio della dominazione, con una grande piattaforma che funge da residenza di un governante minore (senza piazza né campo). Inoltre i territori più antichi che emersero a partire dal Preclassico lungo le terrazze alluvionali avevano un’organizzazione basata su un sistema centralizzato, con una capitale molto grande e pochi centri secondari. D’altra parte, le entità di creazione più recente si trovarono a colonizzare terreni con un potenziale agricolo minore formando in questo modo territori più ampi con una capitale al centro ma anche con un gran numero di centri secondari che a loro volta controllavano vari centri minori. In queste entità i centri secondari sono potenziali rivali della capitale, poiché l’organizzazione è simile a quella dei cosiddetti stati segmentari. Però entrambi i sistemi hanno lo stesso assetto architettonico, gli stessi simboli del rituale del gioco della palla, gli stessi livelli di gerarchia. Sono sistemi molto strutturati che hanno tutte le caratteristiche formali e funzionali di uno stato, ma non la dimensione7. Per capire il perché delle dimensioni così modeste di questi stati bisogna analizzare l’ambiente in cui nasce il rituale stesso legato al gioco della palla. Terra fertile, abbondante, dove la popolazione vive dispersa su degli appezzamenti che bastano al suo sostentamento: modelli insediativi caratteristici delle zone umide tropicali che continuavano dal Preclassico per tutto il Classico. In un ambiente di quel genere, la popolazione ha la necessità di un governo che la organizzi, coordini i suoi sforzi per la semina e l’immagazzinaggio in caso di crisi. Il gioco della palla, con il suo potere di attrazione, è un meccanismo utile per attrarre un seguito, però solo fino a un certo punto: ecco il perché di territori dalle dimensioni ridotte. La riluttanza della popolazione a sottomettersi a un dominio politico si riflette nel fatto che, in maniera parallela, il gioco della palla funziona come una religione di stato controllato dall’élite, e che ha una forte aderenza con i culti popolari, come testimoniato dalla grande varietà delle figurine di ceramica (una caratteristica del Centro del Veracruz conosciuta da tempo). Le figure sorridenti, le cihuateteo, le divinità dal lungo naso, appaiono in tutte le collezioni che presentano pezzi provenienti da questa regione. Tuttavia si è riflettuto poco sul perché di tanta produzione e varietà. Tanto per cominciare, il registro iconografico delle figurine ceramiche è diverso da quello della scultura in pietra o della pittura murale, e questo dimostra che si riferiva a un discorso simbolico diverso. Inoltre le statuine sono state ritrovate in ogni ambito, dalla casa del contadino fino alla capitale, travalicando dunque gli strati della società. Se a questo si aggiunge il fatto che la materia prima di cui erano fatte era molto accessibile e si considera la loro ampia diffusione sul territorio, risulta evidente la loro appartenenza a un ambiente popolare, che contrastava con la religione di stato. Tipicamente le figurine s’incontrano nelle offerte: sia come consacrazione di una costruzione sia come parte di un corredo funerario. Tuttavia, e in questo ancora una volta il Centro del Veracruz si 24

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distingue dalle altre civiltà mesoamericane del Classico, le figurine si trovano non solo in ambito domestico (sia modesto che di lusso), ma anche come parte delle grandi offerte di consacrazione di edifici pubblici o cerimoniali. Da Teotihuacan alla zona maya, le grandi offerte di consacrazione contengono oggetti in pietra, in legno, in conchiglia, vasi, resti di sacrifici umani e animali, ma mancano le figurine in ceramica. Nel Centro del Veracruz le stesse figure che si trovano nella casa del contadino appaiono anche nelle grandi offerte: a El Zapotal le cihuateteo e le figure sorridenti sono state trovate nella grande offerta di terminazione che sigillò l’uso dell’adoratorio di Mictlantecuhtli, associate a sepolture di donne probabilmente sacrificate, gioghi, sonagli e conchiglie. Alcune figure monumentali, divinità dal lungo naso e centinaia di figurine-fischietto femminili decorate di rosso su una base color crema, a quanto pare sono parte dell’offerta dedicatoria della piramide principale a El Faisán. A La Joya, le divinità dal lungo naso fanno parte delle offerte dedicatorie di costruzione in tutte le tappe di uno dei palazzi e della piramide principale. A Cuajilotes e a El Tajín, furono sepolte centinaia di figurine del tipo San Josè Acateno in offerte di consacrazione di altari o giochi della palla. Quindi nel Centro del Veracruz il culto popolare, rappresentato dalle figurine di ceramica, trascende l’ambito domestico per prendere parte agli atti solenni di consacrazione di edifici pubblici, un modello estraneo al resto della Mesoamerica. Questo riflette una partecipazione di tutta la popolazione alle decisioni politiche a dei livelli assolutamente inusuali per il Classico. Crediamo che l’autonomia della popolazione avesse a che vedere con la sua dispersione in un ambiente particolarmente abbondante e a basso rischio. Non c’è possibilità di coercizione diretta: il seguito va attirato (con il gioco della palla) o negoziato (cooptando il culto popolare). Questo equilibrio tra la popolazione dispersa e gli sforzi delle élites di concentrare il potere nelle loro mani attraverso il gioco della palla dà alla cultura del Centro del Veracruz un’impronta particolare. Una moltitudine di piccoli stati condividono una religione statale che permette di identificarli come un’area culturale uniforme in quanto ad architettura, scultura, iconografia del gioco della palla, stili delle volute. D’altro canto esiste una costellazione di diversi stili di figurine che riflettono l’importanza del culto popolare, o forse le priorità della popolazione locale. Le figure sorridenti ne sono un esempio. La rappresentazione del riso è un fenomeno eccezionale nella storia dell’arte dell’umanità. In Europa ci sono sorrisi lievi: le prime statue greche – i cosiddetti kouroi e korè –, la Monna Lisa di Leonardo…, in Asia ci sono i buddha sorridenti. Però il riso franco rappresentato nelle figure del Veracruz non ha un parallelo in nessuna parte nel mondo e poteva esistere solo in una società integrata e dalle forme tanto particolari come quella del Centro del Veracruz nel periodo Classico: una società dove l’espressione dei valori della popolazione tramite un materiale tanto comune come la terracotta tenesse un posto tanto importante. Tornando all’idea con cui abbiamo aperto il capitolo, bisogna pensare al Centro del Veracruz come a una terra dell’abbondanza. Questa abbondanza fu ciò che attrasse i primi abitanti e che permise fin dai tempi antichi uno stile di vita sedentario e la pratica dell’agricoltura dal V millennio avanti Cristo. Questa stessa abbondanza potrebbe essere il motivo per cui quei popoli accettarono le innovazioni della ceramica e l’ideologia olmeca nel Preclassico, ma rifiutarono la sovrastruttura della capitale e dei governanti come invece avvenne più a sud, in un ambiente ad alto rischio a causa delle alluvioni annuali e delle eruzioni vulcaniche che infatti più volte colpirono gli insediamenti. Fu sempre quest’abbondanza a permettere lo sviluppo di un particolare equilibrio tra una popolazione dispersa e autosufficiente che difendeva la propria identità regionale e una classe di nobili legittimati dal gioco della palla che organizzava e integrava l’ampia regione del Centro del Veracruz attraverso una rete ideologica, artistica, politica ed economica. Questo tipo di società funzionò per circa 1000 anni – dagli inizi della nostra era o poco prima, fino al 900 o 1000 dopo Cristo: è quindi stata una delle culture più longeve del Classico che ebbe un impatto sul resto della Mesoamerica comparabile solo a quello di Teotihuacan. Tuttavia, quest’equilibrio si ruppe alla fine del Classico. L’arricchimento economico delle aree che si trovavano sulla rotta di scambio rappresentata dal fiume Blanco e che 26

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univa l’area maya del Classico Terminale con i siti dell’Epiclassico dell’Altipiano (Cacaxtla, Cholula, Xochicalo, e in seguito anche Tula) fece allontanare queste popolazioni dalle loro tradizioni per aprirle a nuove influenze. Così, nella Mixtequilla e nelle Valli di Córdoba e Maltrata apparvero grandi quantità di ceramica di pasta fine importata, figurine mayoidi, una simbologia associata a Quetzalcoatl, incensieri a manico. Allo stesso 28

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tempo El Tajín crebbe nel Centro-nord inserendo nuovi elementi prima nell’iconografia del gioco della palla, con la presenza di Quetzalcoatl, e poi nelle colonne del Palazzo di 13 Coniglio: comparvero scene di soggezione, soldati, governanti intronizzati, riflesso di un crescente militarismo e di un’espansione coercitiva il cui successo avrà però vita breve. 29

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CAPITOLO SECONDO GLI OLMECHI: PREDECESSORI ED EREDI Roberto Lunagómez Reyes

Il territorio che corrisponde agli attuali stati del Veracruz e del Tabasco fu la regione dove si insediarono i primi colonizzatori preispanici, seguiti poi dagli Olmechi – considerati come la “prima civiltà mesoamericana” (Bernal, 1968; Coe, 1968) – e dai loro successori in epoche successive della storia antica del Messico. Il territorio olmeco è stato fin dall’antichità molto mutevole dal punto di vista fisiografico. In linea generale le dinamiche ambientali sono dovute a fattori geologici, ad esempio i movimenti tettonici e l’attività vulcanica della Sierra de los Tuxtlas le cui cime più alte sono San Martín Yuxtla, Santa Martha, El Vigía e San Martín Pajapan, e l’attività geomorfologica prodotta dai grandi fiumi a delta come i sistemi Coatzacoalcos, Uxpanapa, Grijalva e Mezcalapa che nascono nelle propaggini della Sierra Atravesada negli stati di Chiapas e di Oaxaca. Questi fiumi deltizi formano grandi bacini caratterizzati da estese pianure alluvionali o pianure di inondazione di tipo paludoso dove si trovano grandi depositi di zolfo e petrolio il cui sfruttamento intensivo ha generato la contaminazione di aree ecologiche e urbane, così come la distruzione di una grande quantità di siti archeologici. Nel suo complesso, tanto la Sierra de los Tuxtlas come le estese pianure alluvionali dei grandi fiumi formano una falda continentale denominata istmo veracruzano che rappresenta una rotta terrestre obbligata e di carattere strategico per il movimento di popolazioni verso altre regioni del Messico e del Centroamerica dai tempi antichi fino a oggi (Lunagómez, 2008a). Breve profilo degli Olmechi Il territorio del Veracruz meridionale e del Tabasco settentrionale è stato denominato nella letteratura archeologica come “regione olmeca” (Gómez Rueda, 1996), “area nucleare o zona metropolitana” (Bernal, 1968), “Olmec heartland” (Coe, 1965) e “Ollman” (Diehl e Coe, 1995). In questo luogo sorse e si sviluppò la cultura olmeca, la quale si distinse dalle altre culture antiche mesoamericane per le sue conquiste nel campo della scultura monumentale in pietra vulcanica (andesite e basalto); per la sua architettura capace di modificare il paesaggio mediante la costruzione di rampe e terrazze; per 31

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la fruttuosa strategia di sussistenza basata sullo sfruttamento delle risorse acquatiche e integrata dalla coltivazione di mais e tuberi; un modello insediativo dalla complessa gerarchizzazione; l’iconografia precocemente usata come discorso politico-religioso; la cosmologia totemica associata a felini selvaggi quali il giaguaro, a uccelli rapaci, a rettili, ecc.; il controllo e lo scambio di beni e prodotti su grande scala e per lunghe distanze: prodotti come l’ossidiana, la magnetite e l’ilmenite, pietre metamorfiche quali lo scisto, la giada e le pietre verde, la ceramica decorata, ecc. (Lunagómez, 2010). Tutte queste manifestazioni evidenziano una complessità sui generis che secondo alcuni studiosi potrebbe aver raggiunto la categoria di civiltà e/o stato (Caso, 1942; Covarrubias, 1961; Coe, 1968; Coe e Diehl, 1980; Drucker, 1981; Cyphers, 1997; Diehl, 2004). Per tutti questi motivi, il fenomeno olmeco è riconosciuto nel registro archeologico come un sistema di rappresentazione formale o stilistico con ampia distribuzione spaziale dallo stato di Colima nell’Occidente del Messico fino al Costa Rica nel Centroamerica durante il periodo Preclassico o Formativo mesoamericano, tra gli anni 2000 a.C. e 100 d.C. (Paradis, 1990: 33). Il lasso temporale corrispondente allo sviluppo della cultura olmeca è denominato periodo Preclassico o Formativo mesoamericano e si divide in: Inferiore, Medio, Tardo e Terminale o Epi-olmeco. Il Preclassico Inferiore si colloca tra il 2000 e il 900 a.C. ed è associato al periodo di auge di San Lorenzo Tenochtitlán e di Laguna de los Cerros, in 32

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Veracruz (1200-900 a.C.); seguì il Preclassico Medio, tra il 900 e il 400 a.C, corrispondente allo sviluppo di La Venta, in Tabasco. Seguono infine il Preclassico Tardo e il Preclassico Terminale che corrispondono al periodo 400 a.C.-200 d.C. e durante i quali si distinsero i siti di El Marquesillo, Tres Zapotes e Cerro de las Mesas, in Veracruz. Sì è soliti classificare lo stile scultoreo tipicamente olmeco grosso modo in tre fasi o orizzonti. Il primo è il cosiddetto Orizzonte Antico, caratterizzato da siti come San Lorenzo Tenochtitlán e Laguna de los Cerros e dalla loro scultura a tutto tondo o tridimensionale tipica delle teste colossali, dei troni anteriormente chiamati altari (Grove, 1973) e delle molteplici sculture di figure antropomorfe e fantastiche. L’Orizzonte Medio è caratterizzato dalla scultura in basso e alto rilievo, come le stele le sculture architettoniche a spiga trovate a La Venta e a Tres Zapotes. Infine, l’Orizzonte Tardo o Epi-olmeco è rappresentato da una scultura il cui stile, appartenente alla cosiddetta Tradizione Istmica, assomiglia a quello di Izapa della costa del Chiapas e consiste nell’intaglio di greche e volute su stele, sculture architettoniche e casse-sarcofagi; nella stessa epoca si diffuse l’impiego della numerazione in siti come Tres Zapotes, El Mesón, La Mojarra e Cerro de la Mesas sui monti Tuxtlas e il bacino del fiume Papaloapan. Dal punto di vista della classificazione socio-politica, i centri abitativi olmechi di San Lorenzo Tenochtitlán e La Venta, prima chiamati “centri cerimoniali” (Bernal, 1968; Drucker, 1961 e 1981; Drucker e Contreras, 1953; Drucker e Heizer, 1960; Drucker et al., 1959), sono stati considerati delle vere e proprie capitali o città (Coe e Diehl, 1980; González, 1994; Gómez, 1996; Cyphers, 1997; Symonds et al., 2001). Similmente, alla cultura olmeca è stata data la denominazione di Civiltà (Bernal, 1968; Coe, 1968), Impero (Caso, 1965), Chiefdom (Sanders e Price, 1968; Flannery e Marcus, 2000) e/o Stato (Clark, 1994 e 2007; Coe e Diehl, 1980; Drucker, 1981; Cyphers, 1997; Symonds et al., 2002). In passato si era sostenuto che gli Olmechi fossero la “Cultura Madre” delle società mesoamericane successive, poiché alcuni tratti stilistici dell’iconografia olmeca erano riconoscibili manifestazione artistiche di culture mesoamericane più tarde come quella teotihuacana, mexica o maya (Coe, 1965; Covarrubias, 1961; Joralemon, 1990). Altri ricercatori hanno tuttavia messo in discussione la supremazia degli Olmechi sulle altre culture del Preclassico o Formativo, proponendo varie ipotesi sulla loro origine e sul loro sviluppo. Sono state ad esempio ipotizzate invasioni o migrazioni nella regione olmeca da altre regioni, oppure l’esistenza di culture arcaiche che avrebbero dato origine a quella olmeca: la cultura Mokaya (Clark, 1994); il Complesso X (Grove, 1989); un complesso reticolo di interazione culturale (Marcus, 1989); i molteplici centri di innovazione culturale (Demarest, 1989); l’Orizzonte Antico o fenomeno panmesoamericano (Flannery e Marcus, 1994); e infine l’esistenza di culture-sorelle (Hammond, 1988). Risulta innegabile dai dati forniti dalle ultime ricerche che gli Olmechi mostrano un avanzato grado di evoluzione culturale rispetto ad altre culture preclassiche o formative in Mesoamerica, e questo è evidente in svariati aspetti del loro sviluppo tecnologico, come nelle loro diverse manifestazioni culturali. Per questa ragione alcuni autori ritengono che questa cultura archeologica non abbi avuto pari nell’ambito mesoamericano durante il Preclassico Inferiore e Medio (Clark, 1994; Diehl e Coe, 1995; Lowe, 1998b). In retrospettiva si può dire che gli Olmechi crearono le basi per la vita complessa e urbana nel periodo Formativo o Preclassico mesoamericano, tanto negli aspetti di carattere simbolico come nella cosmologia totemica, nell’iconografia come forma di comunicazione a uso dei governanti e più tardi nella prima scrittura glifica (Justeson e 36

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Kaufman, 1992). Fecero importanti conquiste tecnologiche visibili nella scultura megalitica, nell’architettura del paesaggio, nello scambio di beni e risorse. Il loro successo si basò su un adeguato adattamento all’ambiente fisiografico circostante, sullo sfruttamento delle risorse naturali effettuato prima tramite la raccolta, la pesca e la caccia, e in seguito con l’agricoltura tramite la coltivazione del mais e altro. Questo lascito, base della civiltà mesoamericana, fu ereditato dalle culture archeologiche delle Costa del Golfo che succedettero agli Olmechi. Gli Olmechi e i loro predecessori Le prime occupazioni umane registrate nel sud della Costa del Golfo risalgono a circa 4000 anni fa, anche se in alcune regioni si presentano con modalità differenti, per esempio nel bacino del fiume Coatzacoalcos e dello Uxpanapa in Veracruz (Symonds et al., 2002; Ortiz et al., 1997), o nelle paludi del delta del fiume Grijalva in Tabasco (González, 2001; Pope, 2001; Raab, 2001; Rust e Sharer, 1988; Von Nagy, 1997). Esistono prove di un popolamento antico anche sul versante occidentale della Sierra de los Tuxtlas (Arnold, 2000; Van Derwarker, 2006). Queste occupazioni preispaniche, chiamate pre-olmeche, sono caratterizzate dall’apparizione di abitazioni o accampamenti di carattere semipermanente nelle vicinanze delle paludi e dei fiumi, e dallo sfruttamento delle risorse della foresta e delle zone acquatiche, quali le lagune e gli estuari. Erano praticate la raccolta dei frutti silvestri, la caccia agli animali selvatici, la pesca e la cattura a rete di tartarughe, frutti di mare e

Legenda 1 San Lorenzo 2 Tenochtitlan 3 Rio Chiquito 4 Rio Coatzocoalcos

5 Rio Tatagapa 6 Loma del Zapote 8 Las Carnelias 9 El Remolino

Antiguos couces fluviales

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crostacei a scopo alimentare (Lunagómez, 2008b). Tempo dopo, verso il 1200 a.C., gli Olmechi ebbero un’importante e precoce crescita demografica nel bacino del Coatzacoalcos, nel complesso denominato San Lorenzo Tenochtitlán che include i centri secondari di Loma del Zapote (conosciuto anche come El Azuzul), Tenochtitlán, El Bajío-El Remolino e il vicino Estero Rabón-San Isidro, così come decine di siti dalla gerarchia minore costituiti da villaggi, fattorie e insediamenti su isolotti. Questa tipologia insediativa fiorì probabilmente su modello del precedente sistema di sussistenza basato sulla raccolta, la pesca e la caccia, a cui si aggiunse la coltivazione e l’uso intensivo del mais e di tuberi quali la manioca (Stirling, 1955; Lunagómez, 1995; Cyphers, 1997; Borstein, 2001; Symonds et al., 2002; Wendt, 2005 e 2010). (Figura: Scena di Azuzul: due gemelli, due giaguari), (Figura: i monumenti di Estero Rabón-San Isidro) La complessità sociopolitica olmeca era a quel tempo concentrata nel sito più grande e specializzato di tutta la Mesoamerica dell’epoca: il centro regionale di San Lorenzo, un esteso altipiano che copriva un’area di quasi 7 km2 modificata artificialmente e circondata da canali fluviali, una condizione che conferiva al sito una posizione strategica all’interno del modello insediativo caratteristico di quella regione o hinterland (Cyphers, 1997; Cyphers et al., 2010; Lunagómez, 1995; Symonds, 2000; Symonds et al., 2002). In particolare, San Lorenzo presentava grandi opere di infrastruttura idraulica come i sistemi di acquedotti (Coe e Diehl, 1980; Krotser, 1973); un’architettura di modificazione del paesaggio che serviva a creare ampie terrazze abitative, argini utilizzati come sentieri e strutture portuali usate per il trasporto acquatico (Cyphers, 1994 e 1997a; Cyphers et al., 2010; Lunagómez, 1995); unità abitative comuni o case e costruzioni destinate alle élites come il “Palazzo rosso” (Cyphers, 1994, 1997a e 1997b); aree di lavorazione per il riutilizzo dei monumenti di pietra e l’immagazzinaggio degli utensili fabbricati in ilmenite (Coe e Diehl, 1980; Cyphers, 1997b, 2004a e 2004b; Cyphers e Di Castro, 1996); e i cortili semisotterranei associati al complesso scultoreo della Testa Colossale 8 e del trono maggiore di San Lorenzo o Monumento 14, indicatori di un’area amministrativa o di governo (Cyphers et al., 2006). Un altro esempio della complessità di San Lorenzo è fornito dalla tipologia dei siti presenti nella sua regione o hinterland, notevolmente eterogenei e spesso dotati di funzioni agricole ridondanti. Questi siti, unici nel loro genere e con funzioni specifiche, caratterizzarono l’espansione del sistema di San Lorenzo che grazie alla favorevole ubicazione strategica sfruttava le caratteristiche dell’ambiente circostante, dimostrando così una grande abilità nel gestire l’esteso hinterland a disposizione. Era una sorta di porto che univa le regioni tra loro e manipolava a proprio favore l’ideologia attraverso l’arte monumentale e l’iconografia a livello regionale, per esempio nella replica dei monumenti olmechi su scala più piccola (troni e monumenti di personaggi antropomorfi e fantastici) nei siti alle dipendenze di San Lorenzo quali Laguna de los Cerros, Llano del Jícaro, Estero Rabón-San Isidro, Cruz del Milagro, Antonio Plaza-San María Uxpanapa tra gli altri (Cyphers, 1997, 2004a e 2004b; Gillespie, 2000; Symonds, 2000; Symonds et al., 2002). La posizione strategica di San Lorenzo all’interno dell’ambiente rivierasco e deltizio permise alle élites il controllo dei sistemi di trasporto e scambi con tutta la regione. Arrivò quindi a essere il centro maggiore e più popolato della regione, esercitando un controllo sulle risorse agricole e sulle risorse e i beni importati da regioni come los Tuxtlas, l’Altopiano centrale, la Sierra del Chiapas e la valle di Oaxaca. Fu così che il sito di San Lorenzo si trasformò nel principale snodo della regione, utilizzando l’ideologia per 38

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promuovere i propri interessi economico-politici di controllo nel bacino del fiume Coatzacoalcos e possibilmente in altre regioni vicine a sud della Costa del Golfo (Cyphers, 1997; Symonds et al., 2002). Un’altra sfaccettatura della complessità culturale di San Lorenzo è manifestata dalla qualità e quantità della scultura monumentale realizzata in rocce vulcaniche: solo in questo sito sono state trovate 10 teste colossali (4 a La Venta e 3 a Tres Zapotes-la Cobata) e più di un centinaio di monumenti minori come troni, lapidi, colonne scolpite e figure a tutto tondo. L’antica iconografia incarnava un discorso politico-religioso di legittimazione del potere dei governanti olmechi (Stirling, 1955; Coe e Diehl, 1980; Cyphers 2004a e 2004b; Joralemon, 1990). Una menzione speciale meritano i siti di El Manatí, El Macayal e La Merced dove fin da epoche precedenti a San Lorenzo (Fasi Ojochi e Bajío di Coe e Diehl, 1980) furono depositate offerte massive composte da busti di legno con forme umane, palle di caucciù e centinaia di asce e oggetti in giada o pietra verde che erano probabilmente associati a riti in cui venivano praticati sacrifici umani (Ortiz et al., 1997; Rodriguez et al., 2000). Quando il centro regionale olmeco di San Lorenzo e i siti del suo hinterland immediato iniziarono a perdere importanza, intorno al 900 a.C., La Venta (nello stato del Tabasco), che si trovava sopra un’isola circondata da paludi, crebbe di dimensioni e incorporò nella sua sfera di potere altri siti vicini e lontani come Arroyo Pesquero, Los Soldados e Arroyo Sonso nel Veracruz; La Encrucijada in Tabasco; San Isidro-Malpaso in Chiapas (Drucker e Contreras, 1953; Gómez e Courtes, 1988; Lowe 1998a; Wendt e Lunagómez, in stampa). Anche il nuovo centro regionale olmeco di La Venta, che presentava decine di monumenti in pietra come quattro teste colossali e vari troni e stele, si trasformò in un sito urbano come mostrano il suo tracciato architettonico con un asse nord-sud orientati 8 gradi a ovest rispetto al nord magnetico e la costruzione in terra battuta di un edificio troncoconico di altezza superiore ai 30 metri conosciuto come C1 e considerato una delle strutture architettoniche più antiche della Mesoamerica (Drucker et al., 1959; González, 1994; Rust e Sharer, 1988). Anche a La Venta, offerte massive di oggetti di giada o pietra verde furono depositate in contesti funerari come un sarcofago di roccia arenaria con un volto felino, dentro una tomba fatta con prismi di basalto, nel Complesso A, nell’acropoli Stirling di tipo pubblico-cerimoniale e sui versanti del monticolo più grande del sito o edificio C1 (Porter, 1992; Stirling, 1943 e 1947). Per ciò che riguarda la paleosussistenza nell’hinterland o zona di sostentamento di La Venta, sono state avanzate due ipotesi: la prima sostenuta da Drucker e Heizer (1960), secondo i quali le terre rialzate a ovest del fiume Tonalá erano perfette per la coltivazione del mais; la seconda, proposta da Acosta (2005), riprendeva l’ipotesi di Coe e Diehl (1980) secondo cui le terre che si trovavano sulla riva dei fiumi, essendo soggette a inondazioni, erano altamente produttive per l’agricoltura non irrigua, ma molto sensibili ai cambiamenti dei fiumi e delle lagune nella zona orientale del fiume Tonalá. Pertanto è verosimile che la capacità di carico per il sostentamento della popolazione di La Venta (inteso come centro urbano più il suo hinterland) fosse basata sulla coltivazione del mais nelle zone basse umide e paludose, molto fertili a causa delle inondazioni fluviali, ma con un alto rischio di perdita delle coltivazioni. Insomma, a differenza di San Lorenzo che nelle fasi olmeche più antiche basava la propria sussistenza sullo sfruttamento delle risorse acquatiche, a La Venta la coltivazione del mais e di altri alimenti fu determinante per la crescita demografica del sito. Come nota Taube (1996), c’è una diffusa presenza di rappresentazioni del mais nell’iconografia dei monumenti del Preclassico Medio di La Venta e altri siti vicini e lontani che gravitavano sotto la sua influenza, quali: Las Limas nell’istmo di Tehuantepec (Medellín, 1965; Gómez, 1996); Arroyo Pesquero e La Merced a sud del Veracruz (Wendt e Lunagómez, in stampa; Rodriguez et al., 2000); La Yerbabuena nella Sierra centrale veracruzana (Castro e Cobean, 1996), El Viejón nella costa centro-settentrionale del Veracruz (Medellín, 1971); Los Mangos e San Martín Pajapan a los Tuxtlas (Bernal, 1968). 42

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Gli Olmechi esportavano e forse controllavano il movimento di alcuni beni, prodotti e concetti della loro cosmologia totemica verso altre regioni mesoamericane come Zohapilco-Tlapacoya e Tlatilco nella valle del Messico; Chalcatzingo nella valle di Morelos; Izúcar de Matamoros e Las Bocas a Puebla; Juxtlahuaca, Oxtotitlán e Teopantecuanitlán in Guerrero; Tierra Largas e San José Mogote nella valle di Oaxaca; Cantón Corralito e Pas de La Amada in Soconusco; Chalchuapa a El Salvador e Río Tinto in Honduras per quanto riguarda altre zone del Centroamerica (Clark, 1994; Diehl, 2004; Lowe, 1998b; Pool, 2006). Tanto gli Olmechi di San Lorenzo Tenochtitlán quanto quelli di La Venta importavano ed esportavano beni e prodotti come la giada mesoamericana, o pietra verde, dalle valli del fiume Motagua in Guatemala (Jaime, 2003); l’ossidiana dall’Altopiano centrale e da El Chayal, in Guatemala (Cobean et al., 1991; De León, 2008); l’ilmenite-magnetite dalla Sierra de Chiapas (Agrinier, 1989; Cyphers e Di Castro, 1996); il bitume dalla Costa del Golfo (Wendt e Cyphers, 2008; Wendt e Lu, 2006); la ceramica decorata a motivi come la croce di S. Andrea o a bande incrociate, la decorazione Calzadas o scavata, la “U” rovesciata, disegni correlati con esseri fantastici come il dragone olmeca, ecc. (Blomster et al., 2005; Flannery et al., 2005; Flannery e Marcus, 1994; Di Castro e Cyphers, 2006). Un’altra conquista importante degli Olmechi nel Preclassico Medio fu senza dubbio il passaggio dall’iconografia antica ai primi esempi di scrittura come testimoniato dal ritrovamento fortuito nei pressi di La Venta di una pintadera in terracotta sulla quale appare l’immagine di un uccello con la virgola della parola (Pohl et al., 2002), nonché dal ritrovamento del controverso blocco di El Cascajal nel bacino del fiume Coatzacoalcos (Rodríguez et al., 2006). Prima del 400 a.C. il sistema di rappresentazione olmeco smise di essere dominante nel sud della Costa del Golfo del Messico. Diversi autori sostengono che i fattori potrebbero essere stati diversi: delle invasioni (fase Nacaste di Coe e Diehl, 1980), drastici cambiamenti climatici (Cyphers, 1997; Symonds et al., 2002), e/o molteplici fattori come l’esaurimento delle risorse, la modificazione delle rotte di scambio, ecc. (Acosta, 2005; Borstein, 2001; Coe e Diehl, 1980; Cyphers, 1997; Symonds et al., 2002). Alcuni secoli dopo l’inizio dell’era cristiana, emerse nel sud del Veracruz e nell’istmo di Tehuantepec, apparentemente poco per volta, un nuovo stile scultoreo denominato epi-olmeco, anche detto Tradizione Istmica (Justeson e Kaufman, 1992), probabilmente condiviso con i siti della costa del Chiapas come Izapa o Takalik Abaj in Guatemala. Questo stile consiste nell’intaglio a bassorilievo di greche e volute, e soprattutto nell’apparizione della scrittura glifica e del conto numerico o Conto Lungo (in cui la barra corrisponde a 5 unità e il punto a 1 unità) principalmente su stele e figure come la famosa statuina dei Tuxtlas (Blom e La Farge, 1926-27) o le stele di Cerro de las Mesas nel centro-sud del Veracruz (Stirling, 1943; Stark, 1991), di El Mesón sulle propaggini dei monti Tuxtlas (Loughlin, 2004) e di La Mojarra nella valle del fiume Papaloapan (Winfield, 1991). Menzione a parte merita il sito di Tres Zapotes, abbarbicato sul versante nord-occidentale dei monti Tuxtlas, che benché avesse avuto un’importante occupazione durante il Preclassico Inferiore e Medio, non raggiunse mai in quelle fasi lo status di centro regionale e le dimensioni di San Lorenzo e La Venta: durante il Preclassico Tardo, invece, assunse il ruolo di centro dominante, con una superficie di 500 ettari nel momento di auge massima (Pool, 2000). Tres Zapotes presenta alcune caratteristiche scultoree riscontrabili anche in siti come San Lorenzo, Laguna de los Cerros e El Marquesillo. Nella scultura monolitica produsse tre teste colossali (più una ritrovata nelle vicinanze del rancho La Cobata) e varie stele tra cui l’enorme Stele A, considerata una delle più grandi della cultura olmeca (Stirling, 1943). Un’altra opera scultorea di rilevanza storica è la Stele C che riporta una data del Conto Lungo corrispondente al 31 a.C. e che al momento del suo ritrovamento fu considerata la più antica della Mesoamerica (Stirling, 1968). Sfortunatamente la Stele C di Tres Zapotes è fratturata e divisa in due parti, una si trova al museo del sito e l’altra al Museo Nacional de Antropologia, ragion per cui l’iscrizione completa non è oggi 46

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purtroppo visibile (Beverido, 1971; Stirling, 1943; Pool, 2000). Nel periodo epi-olmeco – tra gli anni 400 a.C. e 200 d.C. –, non esisteva già più un grande territorio integrato come all’epoca delle grandi capitali di San Lorenzo Tenochtitán e di La Venta, durante il Preclassico Inferiore e Medio. Avvenne piuttosto un processo di regionalizzazione per cui i siti maggiori, come Cerro de las Mesas e Tres Zapotes, dominarono l’area immediatamente circostante in qualità di siti dominanti o “zone capitali” (Stark, 1999). Senza ombra di dubbio il territorio del sud della Costa del Golfo fu testimone di una crescita demografica preispanica, dalle occupazioni preolmeche e olmeche fino al periodo epi-olmeco, durante la quale si originarono e consolidarono le basi della complessità socio-politica che servirono da preambolo alle società mesoamericane più tarde del Classico e del Postclassico. I successori degli Olmechi: il periodo Classico In termini generali, il sud del Veracruz e il nordovest del Tabasco sono caratterizzati nel Preclassico o Formativo dal fenomeno olmeco. Vi è poi una tappa che è intermedia tra il Preclassico e il Classico (circa 400 a.C.-22 d.C.), denominata Protoclassica o Epi-olmeca. Il Classico è un periodo che viene associato all’egemonia culturale di Teotihuacan nell’area mesoamericana che tra il 300 e il 600 d.C. dette vita “sistema mondo” (Sanders et al., 1979; Sanders e Price, 1968). In letteratura archeologica si parla di Epiclassico riferendosi a un periodo intermedio tra il Classico e il Postclassico (Jiménez, 1959). Infine, il Postclassico corrisponde all’ultima tappa dello sviluppo preispanico ed è compreso tra il 900 e il 1519-1521 d.C., quando la presenza spagnola si manifestò per la prima volta in Messico. È bene sottolineare che esistono diverse cronologie relative al sud del Veracruz in quell’orizzonte di transizione compreso tra il Classico tardo e il Postclassico Antico, comprovate soprattutto dalle tipologie ceramiche e occasionalmente da datazioni assolute. Queste cronologie sono state proposte per vari siti e regioni, come Tres Zapotes, Matacapan, El Picayo, El Salado e San Lorenzo Tenochtitlán (Drucker, 1943; Coe, 1965; Ortiz e Santley, s/d; Ortiz, 1975; Santley et al., 1988; Coe e Diehl, 1980; Symonds et al., 2002). In particolare, la fase Villa Alta di San Lorenzo Tenochtitlán è stata considerata come una rioccupazione tarda di tutto il sud del Veracruz, caratterizzata dall’assenza quasi totale di monumenti intagliati nella roccia e dalla forte presenza di ceramiche a pasta fine color crema, arancione e grigio, così come dalla costruzione di monticoli usati come strutture architettoniche che delimitavano recinti denominati piazze (Borstein, 2001; Coe e Diehl, 1980; Gómez, 1996; Lunagómez, 1995 e 2002; Pool, 1995; Symonds et al., 2002). Durante la fase Villa Alta – tra gli anni 600 e 1100 d.C. – cessò quasi del tutto l’interesse per la scultura monumentale in pietra praticata durante l’epoca olmeca. Alcune famose eccezioni sono il “Mascherone di Medias Aguas” che sembra raffigurare un volto scarnificato associato a pratiche funerarie (Lunagómez et al., 2005) e alcune sculture architettoniche a spiga presenti nelle piazze dei siti di Guayabal e Dagamal Santa Rosa vicino ai monti Tuxtlas (Urcid e Killion, 2008). La ceramica caratteristica della fase Villa Alta, che ebbe una distribuzione spaziale compresa tra i Tuxtlas e la Chontalpa in Tabasco, è caratterizzata dall’apparizione di forme quali vasi a profilo complesso, sigilli, incensieri, ecc.; così come da paste fini color crema, arancio e grigio di manifattura locale, ma con possibili somiglianze con i tipi ceramici del Centro del Veracruz, l’Istmo di Tehuantepec e perfino l’area maya (Borstein, 2001; Coe e Diehl, 1980; Lunagómez, 2002; Pool, 1995; Symonds et al., 2002). Una caratteristica molto importante della fase Villa Alta nel sud del Veracruz è la costruzione di monticoli in terra battuta con un modello comune di distribuzione o assetto architettonico caratterizzato da complessi che formano piazze. Questi complessi architettonici sono composti da vari edifici, due dei quali sono di norma monticoli 50

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allungati e paralleli. Le piazze formate da questi complessi generalmente terminano con uno o due monticoli, uno più grande dell’altro, dal profilo conico e con pianta circolare od oblunga, che si trovano alle estremità dell’asse longitudinale del complesso architettonico. La funzione di questi complessi può essere relazionata con l’esercizio del potere religioso e secolare, sociopolitico e/o economico-amministrativo. Il modello dei complessi architettonici è stato chiamato in vari modi: “VAQA-Villa Alta Quadripartite Arrangement o Arreglo Cuatripartito Villa Alta” (Borstein, 2001: 37); “Conjunto Plaza” (Domínguez, 2001: 104); “Plaza” (Lunagómez, 2002: 60); “TZPGTres Zapotes Plaza Group o Grupo Plaza Tres Zapotes” (Pool, 2008: 128); “Plano Estandar” per il Centro-sud del Veracruz (Daneels, 2002). Si è ritrovato questo modello di architettura monumentale in centinaia di “centri dominanti” o “capitali regionali” del Sud del Veracruz, come Laguna de los Cerros nell’area pedemontana, El Picayo e Piedra Labrada nei Tuxtlas, El Garro nel bacino del fiume La Lana-Ilama; in siti di ordine secondario come Quiamolapan nell’area pedemontana, El Marquesillo nel bacino del fiume San Juan Evangelista, Tenochtitlán e Las Galeras nella regione di San Lorenzo, La Merced nella valle del fiume Coatzacoalcos, Medias Aguas e Las Limas nell’istmo di Tehuantepec; fino a siti di minor gerarchia regionale e minori dimensioni, tanto nella Sierra dei Tuxtlas come nelle pianure alluvionali dei fiumi San Juan Evangelista, Coatzacoalcos e Uxpanapa (Arnold e Pool, 2008; Borstein, 2001; Gómez, 1996; Lunagómez, 2008a; Symonds et al., 2002; Urcid e Killion, 2008). In generale si può parlare di due forme per quanto riguarda la pianta delle piazze che formano questi complessi architettonici: quella rettangolare definita da una proporzione tra la larghezza e la lunghezza maggiore di 1:2 e quella quadrangolare con una proporzione minore di 1:2. È importante riconoscere che la forma della pianta delle piazze è determinata dall’assetto del complesso architettonico. Queste due varianti si possono incontrare distribuite in un’ampia zona che si estende dall’area nordoccidentale dello

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stato del Tabasco (Drucker e Contreras, 1953) fino all’area centrale dello stato del Veracruz (Daneels, 2002). Per quanto riguarda la presenza di due strutture allungate parallele addossate ai complessi architettonici che formano le piazze è stato suggerito che la loro funzione fosse quella di due campi per il gioco della palla (Coe e Diehl, 1980; Cobean, 1996; Domínguez, 2001; Gómez, 1996; Lunagómez, 2002; Symonds et al., 2002). Tuttavia, nel Sud del Veracruz non esistono marcatori litici associati a campi di quel tipo come nel Centro del Veracruz, né un’evidenza iconografica di questo rituale come a El Tajín nel Nord del Veracruz (Ladrón de Guevara, 1999). Vale la pena sottolineare le enormi dimensioni dell’architettura di Laguna de los Cerros, El Garro, Ahuatepec e El Picayo che presentano monticoli talmente grandi che a volte si confondono con le montagne e piazze lunghe come due campi da calcio uniti. Sebbene la maggior parte dei siti del Sud del Veracruz siano stati occupati fin dall’epoca olmeca e rioccupati durante i periodi Classico Tardo e Terminale, la loro architettura di superficie è tarda. Di conseguenza i complessi architettonici su scala monumentale si datano all’occupazione della fase Villa Alta (Lunagómez, 2002 e 2008a). Data l’esistenza di un prolungato hiatus o spopolamento intercorso tra le occupazioni del Preclassico e quelle del Classico Tardo-Terminale o fase Villa Alta (Coe e Dieh, 1980; Gómez, 1996; Symonds et al., 2002), la tradizione posteriore non può affondare le sue radici direttamente nell’occupazione olmeca, ipotesi che ha ricevuto conferma da alcuni scavi stratigrafici realizzati in vari siti come Tenochtitlán, San Lorenzo, Paso de los Ortices e Las Galeras nel bacino del fiume Coatzacoalcos (Coe e Diehl, 1980; Cyphers, 1997b; Symonds et al., 2002; O’Rourke, 2002). La colonizzazione del Sud del Veracruz durante la fase Villa Alta può essere stata determinata da migrazioni provenienti dalle regioni vicine come La Chontalpa in Tabasco, l’Istmo di Tehuantepc o il Centro del Veracruz; ragion per cui risulta molto difficile stabilire la filiazione etnica e/o linguistica di questa colonizzazione (Lunagómez, 2002; Symonds et al., 2002). L’occupazione della fase Villa Alta, nei periodi Classico Tardo e Terminale tra gli anni 600-1100 d.C., fu caratterizzata da un’organizzazione socio-politica segmentata in “piccole signorie” rivali o alleate a seconda delle circostanze che, a differenza dell’epoca olmeca, avevano carattere statale egemonico. È stato suggerito che le ragioni dell’abbandono risiedono nei problemi interni alla struttura stessa della società, ovvero la debolezza insita in un sistema retto probabilmente da famiglie imparentate tra loro e incapaci di sostenere e mantenere la coesione sociopolitica nelle popolazioni del Sud del Veracruz prima della fine del mondo mesoamericano.

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CAPITOLO TERZO I TUXTLAS, IL TLALOCAN TERRENO Lourdes Budar Plutone: Qualcuno ti ha mai pensato dalla selva?

I Tuxtlas sono una piccola regione che si trova esattamente a metà tra il Centro e il Sud del Veracruz. Per le caratteristiche che presenta da un punto di vista storico, biologico e archeologico è stata considerata una regione che merita una trattazione a parte in termini di sviluppo sociale, culturale ed ecologico. Delimitare i Tuxtlas geograficamente e culturalmente ha rappresentato un problema più grande di quanto ci si aspettasse a una prima occhiata, poiché la nozione di Tuxtlas come spazio geografico-culturale si è via via modificata a causa delle concordanze e delle discordanze che presenta non solo con la Costa del Golfo ma anche con tutta la Mesoamerica. La conformazione della regione dei Tuxtlas risale all’era Cenozoica, essendo formata da coni vulcanici attivi che risalgono al Terziario1. Essa presenta una biodiversità estremamente alta, essendo ricca di ecosistemi tropicali, fauna mammifera e diversità delle specie, oltre a essere una delle ultime riserve di germoplasma del Messico. La necessità di entrare nei dettagli degli aspetti economici e sociali specifici dei Tuxtlas ne ha generato una divisione in due subregioni: quella di San Martín Tuxtla, che comprende i comuni di Santiago Tuxtla, San Andrés Tuxtla e Catemaco, e quella di Santa Marta che comprende Soteapan, Mecayapan, Tatahuicapan de Juaréz e Pajapan. Ogni subregione presenta dinamiche proprie da un punto di vista etnico, sociale, economico e politico2. È possibile apprezzare in ognuna di esse diversi processi di approvvigionamento, utilizzo e gestione delle risorse naturali3. La conformazione ecologica, topografica, idrografica e biologica della regione dei Tuxtlas ha dato luogo a tre spazi microregionali che sono alla base della suddivisione in zone proposta per la gestione e la conservazione della riserva “Biosfera de los Tuxtlas”4. In poche parole, oggi i Tuxtlas non costituiscono un’unità politico-amministrativa, e tantomeno lo erano in epoca preispanica. Tuttavia rappresentano un’unità geograficoculturale che, dal nostro punto di vista, riguarda una tradizione di pensiero condivisa dalle diverse società che abitarono la regione fin da tempi remoti: il culto e lo sfruttamento del paesaggio. Se pensiamo ai Tuxtlas in maniera frammentata, incontreremo nelle diverse aree che ne fanno parte credenze e tradizioni isolate a seconda del gruppo etnico. Ci saranno leggende e racconti che parlano di serpenti giganti guardiani dell’acqua conservata in depositi sulle montagne, sirene che piangono in una laguna, chaneques che vivono nelle 55

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grotte, la vergine che apparve in un lago, uomini che parlano con i serpenti e ne sanno curare i morsi, donne che guariscono con pietre antiche, l’importanza di ricordare i sogni, rituali per chiedere il permesso di entrare nella selva, offerte di fiori e ceri ai piedi degli alberi, persone che bruciano l’incenso nei campi, anziane che macinano i bambini dai capelli dorati per trasformarli in cibo, i nomi autentici e il Signore della Montagna. Tuttavia se pensiamo ai Tuxtlas come a un luogo in cui, al di là delle etnie e degli idiomi differenti, esiste un pensiero condiviso, ci troveremo di fronte a una regione in cui i diversi sistemi religiosi, magici e medicinali del mondo mesoamericano sono sopravvissuti grazie a dei meccanismi per cui la tradizione, frammentandosi, si è mescolata e adattata alle idee e alle usanze delle diverse epoche. I risultanti sistemi sincretici contemporanei sono per la maggior parte ancora legati al modo in cui l’uomo vive nella natura. Se esistesse un paradiso terrestre, indubbiamente si troverebbe nei Tuxtlas, e non solo per la loro rigogliosità ma anche per l’abbondanza dell’acqua e della vegetazione. Le precipitazioni hanno una media di 4.500 mm all’anno5 e si possono distinguere 9 tipi di vegetazione nella regione: 1. Selva alta sempreverde, 2. Selva media decidua, 3. Bosco mesofilo di montagna; 4. Bosco di querce, 5. Bosco di pini, 6. Savana, 7. Selva bassa allagata, 8. Mangrovie, 9. Dune costiere6. Tlalocan è il vocabolo utilizzato dai Nahua per descrivere a Bernardino de Sahagún il luogo da cui provenivano gli Olmechi, un luogo paradisiaco ubicato a est di Tenochtitlan, dove c’era una grande abbondanza di alimenti, animali e altri prodotti tra cui il caucciù: […] E sono molto ricchi perché la loro terra è molto ricca, fertile e rigogliosa, e produce ogni genere di alimenti in abbondanza; lì si produce molto cacao e il fiore o specie

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aromatica chiamata teonacaztli e un altro genere di cacao che chiamano quapatlachtli; si produce anche l’ulli, che è una gomma nera prodotta da un albero che si chiama ulli e il fiore che chiamano yoloxóchitl, e tutti gli altri fiori che sono molto simili. Da lì viene la madre degli uccelli dalle piume bellissime, e pappagalli grandi e piccoli, e l’uccello che chiamano quetzalpapalotl. Sempre da lì sono importate le bellissime pietre chalchihuites e i turchesi; si trova anche molto oro e argento; è una terra di certo fertilissima, motivo per cui gli antichi la chiamarono Tlalocan, che significa terra di ricchezze e paradiso terrestre7. […] Non mancano mai le pannocchie di mais verde e le zucche e i ramoscelli di amaranto, e il peperoncino verde e i pomodori, i fagioli verdi nei baccelli e i fiori; lì vivono degli dei che si chiamano Tlaloque, che somigliano ai sacerdoti degli idoli che portano lunghi capelli. […] E così dicevano che nel paradiso terrestre che si chiamava Tlalocan c’era sempre vegetazione verdeggiante ed era sempre estate8.

Anche se in realtà la regione dei Tuxtlas non possiede miniere di oro, argento e turchese, è però vero che, data la sua posizione geografica, essa costituisce il corridoio di passaggio dall’Altopiano centrale alle terre basse mesoamericane, dove invece questi prodotti esistono. Bisogna pensare a questa regione come a un punto strategico per il controllo delle risorse e dell’economia dei popoli del Centro e del Sud della Mesoamerica. Senza dubbio si deve pensare alla zona costiera della regione come a una rotta alternativa per il trasferimento dei prodotti, giacché si trova naturalmente asserragliata tra la Sierra de Santa Marta e l’Oceano Atlantico, cosa che facilita il controllo dei trasporti. Gli studi sulla navigazione in Mesoamerica sono ancora agli inizi; si è tuttavia dimostra57

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to che era un’attività praticata. Vista la grandezza degli insediamenti della zona costiera e la quantità di estuari presenti nella zona, non è difficile pensare che si praticasse la navigazione per trasportare prodotti verso altri porti già conosciuti della Costa del Golfo del Messico, fino alla penisola dello Yucatan. Nel 1960 il paesaggio della zona costiera della Sierra de Santa Marta non era ancora così tanto modificato come oggi, non esistevano sentieri e i profondi calanchi radiali impedivano l’accesso alle automobili. Pertanto quando si dovettero asportare dalle falde del vulcano di Santa Marta la Stele 1 di Piedra Labrada e un trono a forma di giaguaro, si procedette prima per via fluviale, fino alla spiaggia di Tecuanapa, e poi in mare aperto, fino al porto di Coatzacoalcos, grazie a una imbarcazione di legno a motore. L’episodio conferma la possibilità che in epoca preispanica esistessero porti e che i prodotti venissero trasportati in questo modo. Per cercare di capire le dinamiche culturali di questa regione, è necessario parlare del lussureggiante paesaggio che la caratterizza e che favorì la formazione di un’unità culturale dominata dal culto a tre elementi della natura tra loro associati: la montagna, la selva e l’acqua. Il culto alle montagne, all’acqua e agli spiriti del bosco o della selva non è un culto esclusivamente mesoamericano: sono elementi venerati da molte società in tutto il mondo. Tuttavia, è indubbiamente un culto fortemente radicato ed esteso in tutta la Mesoa58

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merica. Studi archeologici hanno dimostrato la presenza nei Tuxtlas di offerte rituali in questi contesti fin da tempi lontani. Gli elementi che formano il paesaggio rituale dei Tuxtlas coincidono con i luoghi di approvvigionamento dei centri rettori che fiorirono come regolatori delle abbondantissime risorse materiali e immateriale. Ecco i principali: il Catemaco (un lago di grandi dimensioni); cinque laghi vulcanici: il Majahual, Chalchoapan, Los Manantiales, El Verde, El Mogo; undici lagune: La Escondida, Sontecomapan, La Delicia, La Joya, El Pizatal, La Colorada, Nixtamalapan, Asmolapan, La Palma, La Pompal, El Ostión; più di 60 fiumi che attraversano la regione, l’Oceano Atlantico a est e sette vulcani che vanno da 640 a 1680 metri di altezza, il Cerro Blanco, il Vigía, il San Martín Pajapan, il Mono Blanco, il Campanario, il San Martín Tuxtla e il San Marta. La maggior parte dei dati archeologici oggi disponibili proviene da ricerche realizzate nella parte centro-occidentale dei Tuxtlas, nei comuni di Santiago, San Andrés e Catemaco. Le ricerche portate avanti per trent’anni in questa zona da Robert Santley e la sua équipe, oltre a quelle realizzate a partire dal 1922 dai suoi predecessori, formano un complesso di dati che si rafforzano a vicenda e sono serviti a comprendere la dinamica della regione. Tuttavia, è necessario segnalare che a causa della mancanza di ricerche nelle zone-nucleo II e III e nelle relative aree di ammortizzazione, le risposte alle domande sulla storia archeologica dei Tuxtlas sono ancora parziali. Per molto tempo 59

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si è pensato infatti che queste due zone avessero poca importanza e quindi dal punto di vista archeologico non venivano comprese nella regione. Ricerche recenti nella zona costiera del nucleo II, la Sierra de Santa Marta, dimostrano il contrario. Secondo alcuni studi archeologici, nei Tuxtlas vi fu un’intensa attività a partire dai periodi formativi fino all’attualità. Grazie ai risultati dei test su campioni di polline della Laguna Popal analizzati da Goman, si sa che le datazioni più antiche relative ai Tuxtlas risalgono al 2300 a.C.9. Tuttavia non esistono siti archeologici che risalgano a quella data e si ritiene che l’impatto di un’organizzazione sociale con presenza ceramica nella selva sia databile solo a partire dal 1500 a.C.,attribuendo quindi la data del 2300 a.C. solo alla presenza di gruppi preceramici che praticavano la raccolta, la caccia e la pesca nei dintorni della laguna. L’insediamento più antico rispetto al quale si hanno dati certi nella zona centro-occidentale è La Joya (1200-900 a.C.): grazie alle analisi chimiche realizzate da VanDerwarker10, si sa che questi gruppi sfruttavano l’ambiente circostante con poco impatto ambientale. Ceramiche, statuette e manufatti ritrovati a La Joya denotano una relazione con le società del Centro e del Sud della Costa del Golfo, possibilmente olmeche. Tuttavia, nonostante le similitudini, nella zona centrale della regione non esiste una produzione di scultura monumentale come nei principali centri olmechi. Come si è già visto in un altro capitolo, gli abitanti di San Lorenzo Tenochtitlan e di La Venta a sud della Costa del Golfo e quelli di Tres Zapotes a nordovest dei Tuxtlas, scolpivano grandi monoliti basaltici durante il Preclassico Medio (800-600 a.C.) che presentano caratteristiche specifiche utili per definire la tradizione scultorea e iconografica conosciuta come olmeca. Si pensa che, vista la conformazione geologica della regione, i blocchi di roccia basaltica utilizzati dagli Olmechi per scolpire le proprie idee in maniera colossale e per produrre gli utensili domestici da macinatura, fossero estratti dal vulcano di San Martín Tuxtla per poi essere trasportati e lavorati a chilometri di distanza11. Tuttavia, se si cammina nella zona costiera del vulcano Santa Marta, è facie incontrare grandi rocce basaltiche, alcune delle quali scolpite in forme preparatorie o decorate da manifestazioni grafiche rupestri, motivo per cui è facile pensare che San Martín Tuxtla non fosse l’unico giacimento di basalto nella regione. In generale, per la regione dei Tuxtlas, i dati indicano che durante il Preclassico Medio (900-500 a.C.) sorsero diversi piccoli insediamenti nelle valli vicine ai fiumi principali. In questo periodo le società iniziarono a diventare più complesse e a intessere relazioni sociali ed economiche con altri luoghi della Mesoamerica, intensificando il commercio dei prodotti (il caso dell’ossidiana è solo il più noto). La Joya era uno dei principali centri economici a partire dai quali si creava un’organizzazione complessa e stratificata di insediamenti più piccoli12. In questo modo si diede luogo a cambiamenti significativi nell’organizzazione sociale dei Tuxtlas. Nonostante la scarsità delle ricerche nelle zone nucleo II e III della Riserva della Biosfera, esistono tracce di una presenza olmeca, probabilmente risalente al Preclassico Tardo (400 a.C.-200 d.C.). È questo il caso di 3 monumenti basaltici che presentano tratti attribuibili senza difficoltà alla tradizione scultorea olmeca. Il primo di questi fu ritrovato negli anni ’60 in cima al vulcano San Martín Pajapan: si tratta di una scultura antropomorfa sedente. La posizione del Monumento 1 di Pajapan fa pensare che fosse un’offerta al vulcano affinché restasse inattivo. Durante gli scavi realizzati dagli archeologi Torres, Pelayo, Sánchez e Navarrete nel 1966 furono recuperati circa ottomila frammenti ceramici e 6 asce di giada che servirono da offerta al monumento. Nello stesso anno, il “Signore di San Martín o Monumento 1 di Pajapan”, di 1.200 chilogrammi di peso, fu trasportato dalla cima del vulcano fino alla città di Xalapa. Per l’occasione fu improvvisata una teleferica costituita da cavi di acciaio che serviva ad aggirare i profondi burroni del vulcano13. Agli inizi del XXI secolo, una replica del personaggio fu collocata sul vulcano. Gli abitanti delle falde del San Martín Pajapan organizzarono un rituale nel quale danzarono intorno al monumento con abiti che alludevano al giaguaro e gli offrirono alimenti e bevande. Il monumento è stato associato dagli abitanti del posto con il Signore del Monte, una divinità che abita, controlla e si cura della selva, e in quanto tale venerato, soprattutto dagli anziani. Non è 60

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raro vedere ceri fusi, fiori appassiti, cibo dentro a delle zucche e alcol di canna in bottiglie trasparenti di plastica quando si visita la replica del Signore di San Martín. Il secondo monumento si trova nelle terre basse a nordest del vulcano Santa Marta, nella comunità di Los Laureles. Alla fine degli anni ’80, durante dei lavori di miglioria di un sentiero di campagna, una macchina scavatrice trovò un blocco di basalto che rappresentava un essere antropozoomorfo. Nella parte frontale si distinguono la testa e il torso di un personaggio, mentre di lato si vede che il corpo del personaggio è quello di un animale, probabilmente un felino dato che la forma dei muscoli, delle zampe e della coda che si piega verso destra lasciano intuire che sia in posizione seduta14. Attualmente il monumento si trova all’entrata della casa del padrone del terreno dove fu trovato. Tuttavia, mancano studi sistematici in situ che possano fornirci una temporalità specifica. 64

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Un’altra traccia della presenza olmeca in queste zone è il Monumento 6 di Piedra Labrada, denominato “la Gorilla” dagli abitanti del luogo. La Gorilla fu ritrovata nel sito 1 di Piedra Labrada che si trova in un elevato altopiano naturale i cui margini sono incisi dai fiumi Piedra Labrada e Sochapa. Poiché il monumento è stato ritrovato in superficie, non può essere considerato un indicatore certo di un’occupazione antica. Date le sue dimensioni può essere stato trasportato lì da un altro luogo, come avvenne per la Stele 1 di Piedra Labrada ritrovata in questo stesso sito e che presenta iscrizioni attribuibili al Classico Medio (400-700 d.C.). Tuttavia è evidente che il modello architettonico cambia completamente negli spazi in cui sono presenti i monumenti15. La piazza dove fu ritrovata la stele presenta un allineamento generale lungo un asse orientato a 23° NE. Le strutture presenti sono coniche e allungate, di grandi dimen65

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sioni. Gli antichi abitanti costruirono tre livelli terrazzati separati da lunghe scalinate, mentre la piazza dove si trova “la Gorilla” non presenta un modello architettonico molto definito essendo formata soprattutto da monticoli con sagoma conica che raggiungono un’altezza massima di 16 m (dalla base alla sommità). Il risultato degli scavi induce a dividere il sito 1 di Piedra Labrada in due sezioni. Nella prima, quella Sud, il materiale culturale riflette un’evoluzione graduale che va da contesti preclassici fino a contesti classici, mentre nella seconda sezione, quella Nord, sono stati trovati unicamente materiali del periodo Classico, motivo che giustificherebbe la presenza di entrambi i monumenti16. Questo fatto potrebbe servire anche come appoggio alla tesi di Sara Ladrón de Guevara la quale propone che: […] la stele di Piedra Labrada durante il Preclassico avrebbe potuto essere liscia oppure presentare iscrizioni che furono cancellate nel rilavorare una delle sue facce con tecniche e modi molto diversi. Nel Preclassico Tardo queste consistevano nell’intaglio in bassorilievo sopra una superficie assolutamente piatta […] Così, le facce posteriori del monumento mostrano una levigatura molto diversa dall’intaglio che serve da supporto per l’iscrizione: mentre la prima è morbida e arrotondata, la seconda ricerca una forma planimetrica17.

Tra il 100 e il 300 d.C. un fenomeno naturale obbligò gli abitanti dei Tuxtlas a una forte mobilità all’interno della regione, favorendo in questo modo alcuni cambiamenti nell’organizzazione socio-politica ed economica. L’eruzione del vulcano di San Martín Tuxtla generò una spessa cappa di ceneri che coprirono la parte occidentale dei Tuxtlas18. Forse fu proprio questo il momento in cui avvenne una redistribuzione della popolazione nella zona di Santa Marta e di San Martín dando luogo alla formazione di nuovi centri politici in questa parte della regione, dato che in generale i modelli di insediamento, così come i materiali archeologici, mostrano che lo sviluppo principale delle popolazioni che abitarono la regione dei Tuxtlas avvenne nel Classico, con l’economia e la politica come fattori principali che motivarono i rapporti con altre aree della Mesoamerica, specialmente con l’Altopiano centrale e in particolare con Teotihuacan. La conformazione ecologica e la ricchezza dei Tuxtlas potrebbe essere stata la mela della discordia tra diversi gruppi sociali mesoamericani, essendo il luogo più adatto per il controllo dei prodotti locali e foranei che si muovevano in Mesoamerica. Durante lo spopolamento successivo alla catastrofe vulcanica, gruppi teotihuacani consolidarono la loro presenza nella regione. Matacapan fu uno dei centri politici che acquistò maggior importanza dopo l’eruzione del vulcano, convertendosi nel principale centro della zona ovest. […] gran parte di questa crescita regionale fu la conseguenza di un’immigrazione ulteriore. Il fiume Catemaco divenne un’importante rotta per il trasporto nella parte occidentale dei Tuxtlas che venne usata per importare materiali nella regione ed esportare beni prodotti nei Tuxtlas. Le importazioni includevano ossidiana proveniente da vari luoghi compresa la preziosa ossidiana verde dello stato di Hidalgo (Pachuca). Le esportazioni includevano ceramica prodotta nel centro di produzione intensiva e locale di Comoapan, mentre il cotone, la resina di liquidambar e le piume di uccelli tropicali venivano probabilmente esportate ben oltre zona dei Tuxtlas19.

Santley e Arnold20 ipotizzano la possibilità che, dopo i sommovimenti e l’instabilità 66

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sociale vissuta da Teotihuacan verso il 300 d.C., un gruppo migrò verso la regione dei Tuxtlas. Prendono a riprova la profanazione del Tempio di Quetzalcoatl attuata tramite un tunnel per il saccheggio e l’incendio di un tempio presente sulla sommità della piramide, due eventi datati da Sugiyama intorno al 300 d.C., un periodo che potrebbe corrispondere al ripopolamento dell’occidente dei Tuxtlas. In termini generali la profanazione di un tempio implica un cambiamento sociale durante il quale le strutture politico-religiose s’indeboliscono fortemente per motivazioni economiche, sociali o ideologiche, arrivando in alcuni casi all’esecuzione dei governanti, la distruzione degli edifici e addirittura la mutilazione delle sculture21. We suggest that it is not a simple coincidence that the fourth century AD also marked the initial Teotihuacan presence at Matacapan. It seems odd that Teotihuacan would have experienced a potentially significant upheaval in political organization while at the same time establishing a distant enclave and maintaining control over a far flung politico-economic system. It’s not unreasonable, however, that a small group of former Teotihuacan residents, possibly fleeing the instability in the highland Mexico, found their way to the Gulf Coast. […] The establishment of Matacapan was not a simple case of Teotihuacan colonization. It did, however, involve individuals who directly identified with the highland metropolis. Interestingly, feathered-serpent images soon made their first appearance on Red-on-Fine orange pottery at Matacapan. Although Quetzalcoatl may have been persona non grata at Teotihuacan, he was apparently well received in the Tuxtlas22.

L’incursione di questi nuovi gruppi nei Tuxtlas ebbe come conseguenza l’introduzione di nuove soluzioni tecnologiche come ad esempio gli elementi architettonici caratteristici dell’altopiano quali il talud-tablero e le unità abitative a più locali. L’uso di paste fine di colore arancione, grigio e crema si manifesta insieme a nuove forme nella produzione ceramica, tra le quali cui spiccano vasi tripodi cilindrici con supporti rettangolari in pasta fine, candelieri, bracieri con supporti antropomorfi, incensieri, effigi, sigilli rettangolari, metates o macine con supporti a talud-tablero, sculture di Tlaloc e Huehueteotl. Apparvero anche nuove forme di seppellire i morti e stili iconografici differenti. Santley osserva che nel registro archeologico di Matacapan si apprezza un cambiamento delle materie prime commerciate proprio nel momento in cui compaiono nella regione l’ossidiana verde e alcuni caratteri stilistici costruttivi che evidenziano una presenza chiaramente teotihuacana. È quindi molto probabile che l’ossidiana che circolava in quel periodo nella regione provenisse non dal Cerro de las Navajas ma da Zaragoza, un altro giacimento controllato da Teotihuacan o da un sito in stretto collegamento con Teotihuacan, probabilmente El Tajín o Cantona23. Quest’idea era già stata avanzata verso gli anni ’30 da Valenzuela24 dopo che aveva osservato i sistemi costruttivi delle strutture preispaniche di Matacapan notando la presenza del talud-tabero a livello architettonico e del glifo Occhio di Rettile raffigurato su alcuni vasi. Eduard Seler attribuì a questo glifo il valore di acqua o di pioggia; Alfonso Caso25 lo associò allo stile teotihuacano e affermò che era un glifo calendarico associato a ehecatl, il vento, riconoscendo lo stesso simbolo a Xochicalco raffigurato di fianco al numero 9, tanto che per un certo periodo fu interpretato come la data di nascita di EhecatlQuetzalcoatl. Florescano26 si disse d’accordo con la proposta di Virginia Smith secondo cui Occhio di Rettile sarebbe l’emblema di un governante dato che nella Stele 1 di Xo67

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chicalco sono raffigurate le imprese di un personaggio chiamato “7 Occhio di Rettile”. Tuttavia questa rappresentazione iconografica la si può vedere più chiaramente nella zona di Santa Marta. Nel 1925, a Piedra Labrada, Franz Blom e Oliver La Farge registrarono la presenza di una stele alta 2 metri con alcune iscrizioni tra le quali compare il glifo Occhio di Rettile associato al numero 7. Medellín, Melgarejo e Coe attribuirono a queste stele una filiazione olmeca. Tuttavia, nel 1973, l’archeologo Carlos Navarrete iniziò a lavorare nel sito di Cerro de Bernal e nel municipio di Tonalá, nella zona costiera del Chiapas, e localizzò una stele che presentava alcune similitudini con i glifi di Piedra Labrada. Si trattava di un blocco alto 4,73 metri a forma di spiga e lavorato su quattro lati. Ciò che richiama di più l’attenzione in questa stele, oltre alla ripetizione costante del simbolo della trama – che si trova anche a Piedra Labrada –, è l’indubbia associazione con Tlaloc e la possibile rappresentazione dell’acqua o della divinizzazione di essa. Nello stesso anno furono realizzati degli scavi intorno alla base della Stele 1 di Piedra Labrada al fine di ottenere maggiori informazioni. L’archeologo Marco Antonio Reyes localizzò di fronte alla base un’offerta che constava di elementi scolpiti in pietra e di un complesso di ciotole e oggetti ceramici. Tuttavia non furono effettuate analisi sul materiale.

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Navarrete rifiutò le proposte di Medellín, Melgarejo e Coe presentando dei dati sulla temporalità e la filiazione etnica della Stele di Piedra Labrada che ubicavano la Stele de Los Horcones nel Classico Medio. I dati erano stati ottenuti grazie al confronto con le tipologie ceramiche e i modelli insediativi osservati mediante la realizzazione di una mappa topografica del sito. In conclusione ubicava entrambe le stele nello stile teotihuacano. Sono attualmente in corso le analisi dei reperti realizzate da Reyes nel 1976 per contestualizzare la Stele 1 di Piedra Labrada. Al momente, pare che si tratti di tipi ceramici del Classico Medio. Si pensa che il glifo Occhio di Rettile sia un glifo nettamente teotihuacano. Tuttavia gli studi archeologici hanno dimostrato ormai da tempo che Teotihuacan fu una città plurietnica e per questo motivo è difficile asserire se i simboli che vi convergevano fossero locali o il frutto dell’influenza di altre regioni mesoamericane. Questo simbolo potrebbe essere l’astrazione di una divinità transitoria dal Preclassico al Classico oppure la sintesi di un concetto originato nel sud della Costa del Golfo. I dati che manifestano un’influenza di Teotihuacan nell’area possono essere divisi in due categorie. Da un lato ci sono elementi importati (ceramica arancione sottile, ossidiana verde) o che imitano chiaramente un prototipo teotihuacano (i candelieri e i supporti rettangolari traforati) e che si differenziano dai complessi regionali. Questi elementi sono scarsi e dispersi, però riflettono indubbiamente un’influenza teotihuacana. Dall’altro lato esiste un parallelismo con certi aspetti della ceramica a livello tecnologico e tipologico (sia nei vasi che nelle statuine) che suggerisce l’assimilazione da parte di Teotihuacan di forme veracruzane (vaso cilindrico tripode che fu modificato inserendo supporti rettangolari) mentre nel Centro del Veracruz iniziano a essere molto diffuse forme teotihuacane (ciotole concave divergenti e coppe con base circolare). Inoltre, entrambe le regioni condividono metodi di manifattura e decorazione senza che sia possibile determinare dove furono originati. È molto più difficile valutare la natura dell’influenza teotihuacana in questo tipo di reperti dato che si tratta di elementi che sono parte integrante del complesso culturale locale. Però è anche questo tipo di reperti a suggerire una compenetrazione più profonda tra le regioni che risulta ancora più difficile da definire e interpretare27. La caduta di Matacapan non ebbe nulla a che vedere con Teotihuacan: la nascita di nuovi centri provocò una competizione sul mercato e Matacapan iniziò a perdere forza poiché Ranchoapan era il principale importatore di ossidiana da Zarazoga-Oyameles e fu proprio questa ossidiana quella maggiormente utilizzata durante il Classico quando Matacapan ne era un distributore. In un dato momento, le relazioni politiche tra Matacapan e Ranchoapan si fecero tese e Ranchoapan riuscì a limitare l’approvvigionamento di questo prodotto da parte di Matacapan provocandone la graduale decadenza e frammentazione in piccoli centri. La domanda da porsi è: quali sono i motivi che favorirono la tensione politica che portò alla frammentazione di Matacapan? A nordovest del lago di Catemaco si trova il sito di El Picayo che durante il Classico vide una crescita importante tanto da far pensare che sia il sito più grande dei Tuxtlas. El Picayo, a differenza di Matacapan, non mostra un’influenza importante da parte di Teotihuacan. Se paragonato a Matacapan, il recinto cerimoniale di El Picayo rivela un capovolgimento nell’architettura e nella modificazione del terreno, giacché questi edifici vennero disposti secondo criteri maggiormente legati alle gerarchia suggerendo dunque che l’accesso al centro cerimoniale fosse strettamente limitato. Inoltre, apparentemente l’élite di El Picayo basava il proprio potere soprattutto sull’ideologia del gioco della palla delle terre basse del Golfo, di modo da rafforzare il proprio status: in effetti El Picayo comprende almeno 4 campi per il gioco della palla, mentre a Matacapan ce n’è solo uno28. Verso la fine del Classico, nonostante la sua importanza politica, il sito iniziò a frammentarsi in piccoli centri autonomi, proprio come successe a Matacapan. Nella zona di Santa Marta successe un fenomeno interessante. In un’area di 14 km2, denominata Piedra Labrada, sono presenti 14 siti monumentali uniti tra loro da terraz70

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ze abitative che contano in totale 257 monticoli, alcuni dei quali raggiungono i 25 m di altezza. Tra questi, quello che spicca per monumentalità è la cosiddetta Struttura 2 o “palazzo” che misura circa 140 m di larghezza, 170 m di lunghezza e 20 m di altezza. Tuttavia, la peculiarità del sito non sta nella sua monumentalità ma nella quantità di campi per il gioco della palla presenti. Nell’area di studio esistono finora 15 giochi della palla registrati, alcuni a non più di 100 m di distanza l’uno dall’altro e la maggior parte dei campi sono lunghi 6 m. Gli orientamenti variano: i campi più lontani presentano un’asse nord-sud, mentre quelli che si trovano all’interno dei nuclei dell’insediamento presentano un’asse sudovest-nordovest che corrisponde alla topografia naturale del terreno. Gli studi sulla zona sono ancora agli inizi e non ci sono precedenti di ricerche archeologiche. È quindi difficile avanzare un’interpretazione. Tuttavia le domande sono molte: che ruolo giocò Piedra Labrada e in generale gli insediamenti della zona di Santa Marta nella dinamica culturale della zona centro-occidentale dei Tuxtlas? Partecipò ai conflitti per il controllo delle risorse o rimase relativamente isolata utilizzando le proprie? I campi per il gioco della palla servivano da meccanismi regolatori di conflitti interni ed evitarono la disgregazione del gruppo come invece successe a Matacapan ed El Picayo? Durante le tappe di occupazione corrispondenti al Classico Tardo e Terminale (6001000 d.C.) s’incontrano materiali associati alla fase definita “Villa Alta” da Coe e Diehl per San Lorenzo. Questa fase presenta ceramiche di pasta fine color arancione, crema, nero e grigio bianco grezzo. Nei siti di questa fase spicca il complesso architettonico denominato da Borstein29 “complesso quadripartito Villa Alta” e da Domínguez30 “complesso piazza”. Nei siti con architettura monumentale del Sud del Veracruz esiste un elemento in comune nella distribuzione, un complesso architettonico in cui le strutture formano delle piazze. Questi complessi architettonici sono composti da vari edifici, due dei quali sono in genere monticoli allungati paralleli. Le piazze che formano questi complessi terminano in genere con uno o due monticoli dal profilo conico con pianta circolare od oblunga in cui uno dei due è più grande dell’altro verso le estremità dell’asse longitudinale del complesso architettonico31. Nella porzione occidentale dei Tuxtlas, questo complesso è osservabile a Teotepec, Matacapan ed El Picayo32, mentre nella zona di Santa Marta è un modello diffuso. Sembra essere il frutto di una forte influenza dei gruppi delle zone basse del Sud del Veracruz e segna la fine del periodo Classico.

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Fino a oggi il grande interrogativo sui Tuxtlas continua a essere il Postclassico. Mancano reperti archeologici che forniscano i dati sufficienti a stabilire una sequenza cronologica che arrivi a questo periodo. Gli unici due siti che presentano un’inequivocabile occupazione postclassica sono Agaltepec e Totogal. La ceramica ritrovata relativa a questo periodo è quella azteca imperiale: incensieri a stampo tipo Texcoco, ceramica Tres Picos II in stile tazza. Si trovano anche resti di ossidiana verde di Hidalgo con piattaforma levigata. Le prove di un’occupazione postclassica della regione sono poche. Tuttavia, nelle fonti etnostoriche si trova il riferimento a tributi di caucciù, cacao, piume preziose, giada e turchese da parte della signoria di Toztlan durante il regno di Moctezuma I. Inoltre, nel 1521, Cortés tenne quella regione per sé incorporandola al suo marchesato proprio per le ricchezze che presentava e fondò la prima piantagione di canna da zucchero della 74

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Nuova Spagna. Le encomiendas e il corregimiento iniziarono a sfruttare molto il territorio tanto che verso la fine del XIX secolo quasi tutta la regione, attraverso la creazione di latifondi, era di proprietà privata. Solo Pajapan rimase un possedimento indigeno. El Bastonal, Cuautotolapan, Temoloapan, Corral Nuevo erano solo alcune delle enormi haciendas della regione dove iniziò l’estrazione di materiali preziosi e la conseguente deforestazione oggi così estesa. I Tuxtlas continuano a essere un centro di produzione e distribuzione dei prodotti locali e foranei, e continuano a controllare industrie importanti a livello regionale e nazionale come la produzione di zucchero, tabacco e legno. Mantengono inoltre un posto importante nella concezione magico-religiosa. Sono una delle regioni con le maggiori innovazioni nel campo dell’ecologia e possiedono molti giacimenti minerali usati a scopi costruttivi. 75

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CAPITOLO QUARTO LA MIXTEQUILLA, UOMINI DI PIETRA, DONNE DI FANGO Sara Ladrón de Guevara

Le pianure del Veracruz meridionale che si trovano tra i bacini del fiume Blanco e del Papaloapan vengono considerate una subarea culturale (Torres, 1970: 13) già da vari decenni. Quest’ambiente fatto di terre inondabili, fertili, adatte all’agricoltura, era un luogo propizio per l’insediamento di gruppi umani che abitarono per vari secoli durante l’epoca precolombiana. Si tratta di terre basse e piane, foreste fertili e aree paludose. Questa caratteristica spiega perché alla base delle abitazioni e dei templi vennero costruiti dei monticoli di terra e si sia sviluppato un modello urbano costituito da ì monticoli disposti attorno a piazze, con piattaforme abitative elevate che permettevano la costruzione di residenze che rimanevano sopra il livello dell’acqua durante la stagione delle piogge. Possiamo supporre che durante le inondazioni gli abitanti si muovessero tramite imbarcazioni. Le caratteristiche della regione permettono una produzione agricola eccellente. Vari tributari del Papaloapan formano acquitrini e lagune che crescono durante la stagione delle piogge e lasciando poi terre fertili per la semina. Già le prime esplorazioni archeologiche dell’area (Torres, 1979: 19) avevano sottolineato la continuità di monticoli presenti ovunque che a volte rendono difficile individuare quali sono i confini di un sito. La cronologia porta facilmente all’identificazione di due tradizioni consecutive. La più antica è caratterizzata da un eloquente complesso di stele, erette come monumenti commemorativi, molte delle quali riportano date del Conto Lungo, a volte nella loro versione abbreviata. Vennero erette, durante il periodo denominato Epiolmeco, proprio a causa el mantenimento di elementi olmechi, come per l’appunto l’erezione di sculture monolitiche monumentali, in un periodo considerato però successivo alla cronologia olmeca, attorno agli inizi della nostra era. La seconda tradizione sviluppò con tale maestria l’arte della scultura ceramica da aver offuscato lo studio delle altre manifestazioni, tanto che solo recentemente si è riconosciuta l’importanza dell’architettura in terra, dei modelli urbani e della pittura murale. È possibile fare una distinzione stilistica nell’iconografia delle sculture di pietra su stele e in seguito delle sculture ceramiche, anche se si nota al tempo stesso un continuum nell’utilizzo delle insegne che si riferiscono all’ambito del sacro e del potere politico (indubbiamente associati da un punto di vista simbolico e fattuale). 77

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Cerro de las Mesas e la tradizione delle stele del bacino del Papaloapan Cerro de las Mesas si trova nel delta del fiume Blanco, riuscendo quindi a sfruttare le terre rese fertili dalle cicliche esondazioni delle acque. Nella regione della Mixtequilla non si trovano giacimenti di pietra, che doveva quindi arrivare da molto lontano. Le pietre, scolpite ed erette per farne delle stele erano, secondo la tradizione olmeca, vere e proprie sculture monumentali usate come marcatori spaziali e temporali nel paesaggio urbano dei centri più importanti. Tuttavia, mentre gli Olmechi ritraevano i propri governanti in teste colossali e ritratti monumentali, Cerro de las Mesas vide culminare una tradizione che, iniziata dagli Olmechi, si era poi evoluta nella regione del bacino del Papaloapan. Gli Olmechi usavano soprattutto colonne basaltiche e la scultura a tutto tondo, invece qui si sono trovate soprattutto stele a parallelepipedo con bassorilievi ottenuti su superficie piana. Le incisioni rappresentavano in genere governanti accompagnati da un’iscrizione che dava 78

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un’ubicazione temporale all’evento da commemorare, generalmente l’ascesa al potere del signore raffigurato. Il sito di Cerro de las Mesas è conosciuto a partire dai lavori di Stirling e Drucker che diedero particolare risalto proprio alle stele presenti. Cerro de las Mesas si distingue nella regione anche per essere il sito territorialmente più esteso. Stark riporta la presenza di 160 monticoli (2008: 90) tra i quali include sia quelli cerimoniali che quelli abitativi. L’elevato numero di monticoli doveva essere la conseguenza dell’innalzamento del livello freatico di cui si parlava sopra. Ogni costruzione, ogni abitazione, per umile che fosse, doveva essere sopraelevata per non essere sommersa dalle inondazioni delle terre basse. Si trattava senza dubbio di un centro rettore di siti sussidiari minori. La sua architettura complessa era composta da costruzioni di terra che funzionavano come piattaforme per sostenere templi, edifici amministrativi e palazzi costruiti con materiali deperibili. Queste strutture formavano delle piazze, secondo uno schema riconosciuto come standard nel sud del Veracruz e che consisteva nell’allineamento di un monticolo conico 79

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alto, fiancheggiato da due monticoli lunghi e un gioco della palla formato anch’esso da monticoli lunghi paralleli nell’estremo opposto al monticolo conico. Dai risultati dei lavori realizzati da Barbara Stark nel sito, risulta anche l’esistenza di un sistema di stagni artificiali in corrispondenza dei monticoli che equilibrava le masse costruttive con i corpi d’acqua che si formavano nelle pozze quando si riempivano i manti freatici subito sotto la superficie del terreno. In questo modo si equilibrava concettualmente la conformazione del paesaggio nel contrastare le alture dei monticoli con le depressioni degli stagni. Le stele che ritraggono i governanti insieme alle date del Conto Lungo mostrano tutte un solo personaggio vestito con complicati addobbi. Ci sono tali ricorrenze nell’abbigliamento da far pensare che fossero le insegne dei governanti: un cinturone con fibbia a forma di fiore dal quale pende una striscia che termina con una figura a forma lanceolata come una foglia, una lunga coda che cade alle spalle del personaggio e una maschera boccale che gli nasconde parzialmente il viso. Di solito al suo fianco è registrata una data che sicuramente celebrava il giorno della sua ascesa al potere, come nelle successive iscrizioni maya. Le date incise sulle stele 6, 5 e 8 di Cerro de las Mesas corrispondono rispettivamente al 468, al 528 e al 533 della nostra era. Si pensa che la sua fioritura sia stata nel Protoclassico. Questo formato non è esclusivo di Cerro de las Mesas: anche se con varianti stilistiche, in altri siti dello stesso bacino del Papaloapan sono state trovate stele con date anche più antiche, come la stele de La Mojarra che riporta iscrizioni con le date del 143 e del 156 d.C., o scene più complesse come la cosiddetta Stele del Papaloapan scolpita su quattro lati. La stele di La Mojarra Mentre nel sito di Cerro de las Mesas sono state trovate una serie di stele, a La Mojarra, nonostante l’esplorazione sistematica e magnetometrica iniziata da Richard Diehl nel 1995, finora ne è venuta alla luce solo una. Il modo in cui è stato scolpito il personaggio su uno dei lati mostra uno stile molto particolare. Il copricapo e il mantello sono estremamente complessi e ricordano la complessità dei vestiti dei governanti maya. Però senza dubbio la cosa più saliente della stele è la serie di glifi incisi sulla superficie per un totale di 611. La scrittura è congruente con quella apparsa precedentemente su altri due manufatti: un frammento di ceramica incisa proveniente dal Chiapas e la famosa statuina dei Tuxtlas. John S. Justeson e Terence Kaufman (2008a: 55) proposero una decifrazione della scrittura, che corrisponderebbe a una lingua protomixe o protozoque. In ogni caso, siamo di fronte a un registro grafico complesso che precede la scrittura maya e ne condivide il preciso sistema di registrazione del tempo. La stele di Papaloapan Questa stele, a differenze delle precedenti, è scolpita su quattro lati. Il disegno che si sviluppa nel bassorilievo mostra una scena complessa alla quale partecipano cinque personaggi umani. Il principale, di dimensioni maggiori rispetto agli altri, porta le stes83

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se insegne dei governanti rappresentati sulle stele di Cerro de las Mesas (cinturone e coda) e ha appena decapitato un personaggio rappresentato come acefalo in una delle facce laterali. Nella mano destra tiene per i capelli la testa decapitata e nella sinistra il coltello sacrificale. Un altro personaggio alle sue spalle occupa l’altra faccia laterale e mostra la virgola della parola. Nella faccia posteriore vi sono due personaggi di fronte. Uno è anziano, l’altro è giovane e dalla sua bocca escono virgole che rappresentano le sue parole. Tra i due uomini ci sono due bande, oggi lise, su cui forse erano incise delle date del Conto Lungo, tipiche di queste stele. Sotto i piedi dei personaggi appaiono due mostri tellurici dal corpo di rettile e volto polimorfo. Potrebbe essere la prima rappresentazione di un rituale che più tardi ritroveremo in alcuni documenti grafici ritrovati lungo la Costa del Golfo: il sacrificio per decapitazione. Che fosse su palme o asce, su stele come quella di Aparicio, su murales come quello di Las Higueras, su tableros come quelli a El Tajín o su pettorali di conchiglia della Huasteca, si scelse di commemorare il momento della decapitazione, un evento di grande impatto, con la rappresentazione del sangue che spilla da un collo già tagliato da un sacrificatore. Tornando alla tradizione delle stele, i complessi parafernalia dei signori in esse rappresentati sembrano parlarci di un’economia fiorente e danno indizi sulla produzione di vestiti di cotone e sugli ornamenti di piume e gioielli. In queste fertili terre la produzione del cotone era sicuramente un fattore importantissimo per lo sviluppo economico della regione. Il valore dato alle pietre verde era un’eredità degli Olmechi e testimonia una continuità nel loro commercio: i signori rappresentati nelle stele se ne rifornivano nella Valle del Motagua in Guatemala, facendole arrivare attraverso l’Istmo di Tehuntepac. Gli scavi di Stirling e Drucker portarono alla luce una magnifica offerta di oggetti di giada, dimostrando ancora una volta che queste popolazioni continuavano ad apprezzare questi materiali, come facevano gli Olmechi. El Zapotal e la tradizione delle sculture ceramiche Barbara Stark, che ha lavorato nella Mixtequilla in maniera sistematica, ha proposto che durante il Classico esistesse una pluralità di organizzazioni politiche fondate sulla crescente produzione locale di cotone e tessuti e che questo avrebbe favorito gli scambi con altre regioni. Allo stesso modo, la produzione di altri prodotti finiti avrebbe rafforzato le attività commerciali e favorito l’organizzazione di piccoli stati. Le sue ricerche dimostrano anche la continuità durante il Classico tanto dei modelli urbanistici quanto nei resti ceramici. In ogni caso ciò che possiamo sicuramente riconoscere è l’inizio di una tradizione che si allaccia a quella precedente e sviluppa con maestria la produzione di figurine e sculture ceramiche. Sicuramente questo deriva da modificazioni nel discorso religioso e nelle pratiche rituali associate al sacro e al potere, le quali si fanno evidenti nel caso della grande offerta sepolcrale dedicata al Signore della Morte nel sito di El Zapotal. El Zapotal Questo sito fu scavato negli anni ’70 da una squadra di ricercatori dell’Universidad Veracruzana diretta da Manuel Torres e sorprese per la sua monumentale offerta dedicata 86

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al Dio della Morte, Mictlantecuhtli, composta da innumerevoli sculture ceramiche, così come da sepolture e offerte. La figura principale dell’adoratorio è costituita dal dio Mictlantecuhtli, scolpito in argilla cruda e dipinta. Tanto la scultura, come l’adoratorio, furono scolpiti in un’accumulazione naturale di argilla. Le pareti e la divinità furono quindi scolpite modellando la terra in situ, motivo per cui la terra non fu cotta, a differenza delle sculture vuote che compongono l’offerta. Oltre alle sorprendenti sculture ceramiche, sono notevoli gli affreschi sui muri interni ed esterni che si trovano intorno alla figura centrale del Mictlantecuhtli. La forte erosione sofferta dagli stessi ne rende difficile la lettura. Questo, unito all’apparente minore qualità del disegno che contrasta con la squisitezza e la maestria della scultura ceramica, ha condannato a lungo gli affreschi a un forte oblio. Sui muri esterni sia a est che a ovest del recinto è rappresentato il sole. Anche se 87

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l’allusione all’inframondo è molto chiara ricordiamo che ogni sera il sole scende nell’inframondo per rinascere il giorno dopo a oriente. Sui muri interni, nello spazio che corrisponde al punto in cui furono rappresentati i soli, si trovano dei personaggi seduti, uno per lato: sono esseri scarnificati che alludono alla morte sia a est che ovest. Lo stesso avviene nei bassorilievi del Gioco della Palla Sud di El Tajín dove negli angoli dei lati est e ovest è rappresentata la stessa divinità della morte. Tranne un personaggio nella parte posteriore del recinto, le restanti figure sono rappresentate in piedi mentre si dirigono in processione verso il Mictlantecuhtli. Solo gli esseri seduti e scarnificati guardano nella direzione opposta, la stessa verso cui guarda Mictlantecuhtli: il nord. Il personaggio in piedi alla destra del Signore della Morte che si dirige verso ovest sembra essere una donna incinta. Per questo motivo possiamo tentare l’identificazione del personaggio dal lato opposto con un guerriero. Così, non solo l’architettura e l’offerta di questo sito, ma anche gli affreschi evocano la disposizione mitica del regno dei morti. In effetti, oltre ai tre luoghi mitici dove andavano i morti (il Mictlan, destinazione generale; il Tlalocan dove andavano coloro che morivano per affogamento o per malattie associate all’acqua; e il Cincalco dove andavano i bambini), c’era la destinazione principale costituita dal tragitto del sole. Lì andavano i guerrieri morti in battaglia e le donne morte di parto. Sia i guerrieri che le partorienti erano divinizzati e ai primi veniva assegnato l’onore di accompagnare il sole ogni giorno da oriente fino allo zenit mentre alle seconde dallo zenit fino al tramonto. A El Zapotal dunque era rappresentato il regno dei morti, il sole notturno nella corsa nell’inframondo insieme a numerosi personaggi notturni. I reperti archeologici della Mixtequilla suggeriscono che in altri siti della regione potrebbero essere state messe in scena altre offerte di simile importanza e devozione. Questo spiega il ritrovamento della magnifica Cihuateteo di El Cocuite o i manufatti rinvenuti a Dicha Tuerta. Tornando all’architettura del recinto costruito intorno al Mictlantecuhtli di El Zapotal, osserviamo che i muri che lo circondano e circoscrivono piazze presentano angoli retti che dividono i muri in pannelli. Non si tratta quindi di un muro continuo poiché ci sono angoli retti che tagliano in dislivelli i distinti pannelli. In questo modo si rappresenta un solo personaggio in ogni quadro. I personaggi sono vestiti con complicati addobbi che includono enormi copricapi. La fascia inferiore è costituita dal pavimento dove poggiano i piedi le figure, rappresentate sempre di profilo e con un piede davanti all’altro. La paletta dei colori non è molto ampia: rosso il fondo della parete, crema i personaggi. Salta subito agli occhi che la rosa dei personaggi è in stretta correlazione con le figure rappresentate nei bassorilievi delle stele della Mixtequilla, la regione in cui si trova anche El Zapotal. Di fatto, il sito di Cerro de las Mesas, da cui provengono le magnifiche stele con personaggi e date del Conto Lungo, si trova a pochi chilometri da El Zapotal. Ci sono altri elementi comuni alle due manifestazioni, come le loro posture corporali, le proporzioni e gli enormi copricapi. Tanto i personaggi in piedi, come quelli seduti, ci ricordano il quadro e la postura delle stele menzionate. Inoltre, in varie occasioni si è fatto notare che la fibbia a forma di fiore che porta il Mictlantecuhtli di El Zapotal è identica a quella di alcuni signori rappresentati sulle stele di Cerro de las Mesas. Vediamo quindi come questo tipo di 88

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Le sculture delle Cihuateteo Queste sorprendenti figure da sempre attirano l’attenzione: tredici pezzi in fila uno dietro l’altro, posizionati sul lato ovest. Il viaggio delle Cihuateteo come accompagnanti del sole iniziava miticamente ogni pomeriggio, quando accoglievano il sole allo zenit dai

addobbi, che distinguono i dignitari, rimangano un elemento di lunga durata, nonostante i cambiamenti evidenti subiti da ogni sito, con le sue particolarità stilistiche, da un periodo all’altro. Pensiamo dunque che la tradizione estetica, simbolica e mitica di El Zapotal durante il Classico corrisponda in tutta chiarezza a quella che si sviluppò nella regione della Mixtequilla in periodi più antichi e in particolare durante il periodo epiolmeco, come si può vedere nelle incisioni sulle stele di Cerro de las Mesas. Così, anche se le stele sono anteriori allo sviluppo del sito di El Zapotal, collocandosi secondo le date del Conto Lungo iscritte in esse al 468, 528 e 533 d.C., possiamo riconoscere l’eredità del suo stile nella pittura murale di El Zapotal che si colloca invece nel Classico Tardo. Dopotutto, questi monumenti rimasero eretti e visibili per molti secoli, fino alle esplorazioni di Stirling. Si continuò semplicemente a usare formati che si conformavano a una vera e propria tradizione. Di fronte al Signore dei Morti e al suo adoratorio, furono trovate 235 sepolture umane (Torrez Guzmän, 2004: 203), delle quali 187 erano primarie, 39 secondarie e 9 non determinate (op. cit.: 211). La maggior parte delle sepolture erano di adulti, perlopiù sepolti in posizione sedente e con lo sguardo rivolto a sud (ovvero verso la scultura di Mictlantecuhtli che invece guarda a nord). Poche sepolture contenevano offerte, formavano piuttosto parte di un assetto in cui le offerte costituivano pezzi di un insieme che riproduceva uno spazio mitico corrispondente al luogo dove andavano i morti. Spicca poi la processione delle figure in ceramica chiamate Cihuateteo, ovvero delle donne che, essendo morte di parto, come già detto erano considerate divinità allo stesso modo dei guerrieri morti in battaglia. Mentre questi ultimi accompagnavano la corsa del sole da oriente allo zenit, le prime lo accompagnavano dallo zenit fino al tramonto. Dunque a El Zapotal si è voluto riprodurre, di fronte al Signore dei Morti, il suo regno. Ci sono altri tipi di offerte costituite da complessi ceramici e litici carichi di significato. Vediamone alcuni. 92

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guerrieri morti in battaglia, e continuava fino al tramonto e poi oltre la linea dell’orizzonte quando queste accompagnavano il sole attraverso l’oscuro dominio del Signore dei Morti, durante la notte. Le statue in questione sono figure a grandezza quasi naturale per quanto riguarda l’altezza ma di proporzioni esagerate poiché il volto è significativamente più grande rispetto al resto del corpo – e sempre adornato da complicati copricapi. Le donne vennero identificate con le Cihuateteo che accompagnano il sole calante fin dal loro ritrovamento (Torres, 1975): il volto mostra la fissità dei morti, gli occhi sono chiusi, la bocca socchiusa, sul viso una smorfia di dolore. Il corpo è più largo nella parte bassa e coperto da una gonna dalla vita fino al suolo, lasciando però scoperte le dita dei piedi scalzi. Il petto, sempre nudo, adornato solo da una collana con grandi grani, è di solito piccolo rispetto alla parte coperta dalla gonna. Il ventre della partoriente è ingrossato, anche se mai in modo esagerato, e cinto da una cintura che ricorda quelle usate secondo la tradizione mesoamericana dalle donne incinte e dalle partorienti. Su queste sono presenti due teste di serpente che si appoggiano sulla gonna e alludono al simbolismo di questo rettile che per alcuni aspetti si lega alla fertilità dato che rappresenta l’energia creatrice, per altri è associato alla morte come forza cieca, irrazionale e caotica (Garcia, 1984: 140). I petti non sono gonfi come quelli delle donne che hanno appena partorito; sono molto più piccoli, in alcuni casi sembrano quasi quelli di un’adolescente. Gli enormi e complicati copricapi costituiscono una fonte iconografica importante. È stata avanzata l’ipotesi che alcuni rappresentino gli animali corrispondenti alle date nelle quali, secondo le cronache, le Cihuateteo apparivano ai vivi. Le donne sono in posizione eretta, e sembrano portare qualcosa nella mano destra, forse un’asta, o una freccia, visto che venivano equiparate ai guerrieri. Nella mano sinistra hanno un oggetto che abbiamo proposto essere il cadavere del loro bambino morto anche lui durante il parto. In alcuni casi, la figura del corpo avvolto del bebè sotto la testa è anatomicamente esplicita, in altri è meno chiara e la testa, invece di essere umana, è di un animale o di un essere fantastico. In ogni caso, questi oggetti sono sempre portati dalle figure nella mano sinistra come fossero degli amuleti, in accordo con le superstizioni precolombiane riportate dai Cronisti. È anche vero però che la mano sinistra era quella in cui i guerrieri portavano gli scudi, mentre nella destra tenevano l’arma da combattimento. Ecco come Sahagún descrive le donne morte di parto, equiparandole a delle guerriere: alla partoriente uscita dalla trance si diceva che “(…) quest’impresa è come un tributo di morte datoci da nostra madre Cihuacóatl Quilaztli” (Sahagún, 1982: 388). Inoltre si diceva che le partorienti avevano combattuto “virilmente con lo scudo e con la spada” (op. cit.: 395) vincendo la battaglia mortale rappresentata dal parto. Anche in un altro sito della Mixtequilla, Dicha Tuerta, ci sono alcune sculture di Cihuateteo, minori per dimensioni e qualità rispetto a El Zapotal, che portano nella mano sinistra uno scudo da guerra. Questo dimostra la possibile sostituzione di un oggetto cerimoniale, per esempio lo scudo, con un altro: il bambino morto o il suo nahual sono rappresentati come metafora dello scudo. In questo modo la donna raffigura se stessa come una guerriera, come i morti in battaglia che accompagnano il sole la mattina, mentre loro lo accompagneranno al tramonto, armate talvolta dello scudo rappresentato dal proprio figlio.

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I volti sorridenti Di sicuro il complesso ceramico che ha maggiormente richiamato l’attenzione in quanto caratteristico del territorio veracruzano è quello dei volti sorridenti. La rappresentazione del riso nella storia dell’arte universale è un fenomeno raro e la Mesoamerica non fa eccezione. Le statuette sorridenti ebbero una diffusione limitata a uno spazio e un periodo specifico, sebbene ce ne siano così tante che perfino alcuni specialisti esagerano nel definirne la portata. Erano statuine realizzate con degli stampi. I disegni sui loro vestiti mostrano greche 96

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e simboli associati a delle divinità. È stata avanzata l’ipotesi che fossero dedicate alle divinità della danza, a Macuilxóchitl e a Xochipilli, e in generale ai piaceri delle élites. È però significativo che in genere siano state ritrovate in contesti funerari. Per esempio nelle sepolture di El Zapotal le ritroviamo alternate con le ossa lunghe e di fianco a statuette di altro tipo, come quelle in stile Nopiloa o di tipo giocattolo rappresentano animali quadrupedi con delle ruote al posto delle zampe. In qualche modo, a El Zapotal i corredi che accompagnano i morti sono affiancati a immagini di figure sorridenti, forse per alleggerire il tetro passaggio all’aldilà. 97

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Le figure Nopiloa Anch’esse ottenute con uno stampo, queste statuette di pasta chiara e molto fine, mostrano un’importante deformazione cranica e complicati vestiti ornati con greche. Altre sculture ceramiche a El Zapotal Oltre alla statuette a stampo, nell’offerta di El Zapotal furono ritrovate centinaia di figurine modellate che rappresentavano personaggi umani. Molte di queste sono di piccolo formato e hanno anche la funzione di strumento musicale: fungevano da sonagli grazie alle palline di terracotta poste al loro interno e al tempo stesso da fischietti grazie all’imboccatura nella parte posteriore. Si tratta dunque di oggetti con una funzione che non è puramente decorativa. 98

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I personaggi maschili dell’offerta di El Zapotal hanno dimensioni minori rispetto alle Cihuateteo, approssimativamente in scala 1:2, ma maggiori rispetto alle figure a fischietto che misurano circa trenta centimetri di altezza. C’è un solo personaggio maschile che fa eccezione essendo più alto delle Cihuateteo: è la figura principale di un’offerta che contiene una grande quantità di statuette. Ogni personaggio è unico, come se si trattasse di ritratti. Sono figure modellate una a una, che rappresentano esseri importanti, alcuni seduti sul pavimento, altri su una panca, alcuni con dei bracieri in mano. Un paio, che sembrano gemelli, portano insieme una cassa. Uno è vestito con gli “occhiali” tipici del dio della Pioggia, un altro ancora porta un giaguaro. I piccoli personaggi che funzionavano anche come strumenti musicali sono fischietti con l’imboccatura nella parte posteriore di modo che per suonarli è necessario coprirsi il volto con la statua, quasi come si trattasse di una maschera. Questo ci fa pensare che fossero usati in rituali di grande impatto che comprendevano processioni di musicanti. 99

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Ceramica Río Blanco-Papaloapan Risaltano per la loro qualità alcuni vasi modellati a stampo e lavorati con bassorilievi. Erano vasi levigati e modificati dopo la cottura. Sono tutti di pasta fine, si presentano in vari colori e alcuni sono ricoperti da ingobbio. Per quanto riguarda le forme sono sempre ciotole ma con pareti più o meno convergenti o divergenti e a volte dei supporti tripodi . Senza dubbio il lavoro più accurato su questi vasi è quello di Hasso Von Winning e Nelly Gutiérrez Solana (1996) che definirono la ceramica dei vasi decorati in rilievo complesso “Río Blanco”. Più tardi, El Tajin erediterà questa tradizione e produrrà del vasellame con bassorilievi che celebravano i suoi governanti. A El Zapotal fu trovato un piccolo vaso appartenente a questa tradizione come offerta in una sepoltura doppia che includeva un adulto femmina e un adulto maschio. L’offerta comprendeva un giogo, un’ascia e tre vasi. L’individuo sepolto si presentava collassato a partire da una posizione sedente, di fatto simile a quella descritta da Torres, Reyes e Ortega (1975) come modello di posizione funeraria ricorrente. Le ossa mostravano resti di cinabro. Il giogo era decorato con tre impronte di piede umano poco profonde e dipinte di rosso. Le braccia del morto erano rivolte verso il basso. Il vaso è una ciotola tripode. L’immagine è divisa in tre quadranti o lastre. Al centro è rappresentato l’incontro faccia a faccia tra due personaggi in piedi visti di profilo che portano copricapi complessi, collane, bracciale e gonnellino. Tra i due c’è un elemento verticale con una punta, come una freccia rivolta verso il basso, ed elementi sovrapposti a forma di U, che ricordano un oggetto identificato in altre fonti come uno strumento musicale a percussione. Su ognuno dei due elementi laterali è riportato un personaggio. Se osserviamo solo il tipo di gonnellino, è possibile che riproducano gli stessi perso-

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naggi centrali, dato che quella a sinistra è formata da tre quadranti separati e quella di destra presenta una fascia circolare a sua volta suddivisa in tre sezioni, anche se qui sono unite. In sostanza, nel pannello centrale sono rappresentati insieme gli stessi due personaggi riprodotti separatamente nei pannelli laterali. Si vede anche come il personaggio con il gonnellino presente nei tre quadranti appaia in due occasioni con la bocca aperta mentre l’altro personaggio è rappresentato due volte con la bocca chiusa. Ognuno dei personaggi rappresentati nei singoli pannelli si trova di fronte al disegno stilizzato di un’aquila di profilo. In quello a sinistra, l’aquila è ascendente, in quello a destra è discendente. Sappiamo che in Mesoamerica l’aquila era associata simbolicamente al sole e quindi crediamo che in questo caso si alluda al sole ascendente e discendente. L’unione dei personaggi al centro potrebbe celebrare l’incontro allo zenit degli accompagnanti del sole. Se così fosse, è possibile che si tratti di un guerriero e una partoriente, entrambi 102

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morti e per questo aventi diritto ad accompagnare il sole nel suo tragitto quotidiano. È lo stesso messaggio espresso dall’enorme santuario di El Zapotal: la celebrazione del viaggio del sole attraverso l’inframondo ogni notte. È così che viene espresso dalla monumentale offerta scultorea in ceramica e poi confermato dalla rappresentazione pittorica del sole sui muri che circondano Mictlantecuhtli, in particolare quelli che sono a est e ovest del tempio. Di fatto, mostrare il giogo posizionato come una U invertita e con delle impronte di piedi sopra probabilmente è una rappresentazione metaforica del cammino descritto ogni giorno dal sole nella volta celeste. Inoltre il fatto di mettere questo vaso dentro alla sepoltura di un uomo e una donna è un’ulteriore conferma del messaggio che si vuole dare: il riequilibrio delle opposizioni tra elementi maschili e femminili, est e ovest, giorno e notte. Questa dualità, che sintetizza i concetti base della cosmologia mesoamericana, fu incarnato con eccezionale dramamticità nell’architettura, nella scultura e nella ceramica di questo sito. 103

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CAPITOLO QUINTO IL CENTRO-SUD DEL VERACRUZ, LA ZONA SEMIARIDA E LA CULTURA REMOJADAS Annick Daneels

I termini che compongono il titolo del presente capitolo appaiono occasionalmente nella letteratura archeologica e, con le dovute differenze, si riferiscono tutti alla stessa espressione culturale sviluppatasi, a grandi linee, nella regione di Sotavento, ovvero quella parte del Centro del Veracruz a sud della Sierra de Chiconquiaco. Ultimamente sta acquistando credito il primo termine, Centro-sud, un vocabolo coniato nel 1972 da Wilkerson per evidenziare le differenze di contenuto e traiettoria culturale presenti nel Centro del Veracruz, precisando fin da allora che la frontiera tra il Centro-nord e il Centro-sud era oscillata nel tempo tra i due lati della Sierra, ovvero tra la valle del Colipa e la valle di Antigua1. Zona semiarida è una definizione che fa riferimento al sottosuolo calcareo dell’area, nell’ombra pluviometrica della Sierra di Chiconquiaco, caratterizzata da un ambiente arido e una vegetazione di sterpaglie durante la stagione secca che contrasta con il verde delle terre del Golfo, presente sia nelle pianure costiere che sui versanti delle catene montuose. È in quest’area che si trova Remojadas, il sito scavato da Alfonso Medellín Zenil nel 1950 e che fu alla base del concetto di Cultura Remojadas (1952)m poi ampliato sino a divenire Cultura del Centro del Veracruz, nel 1957, e Totonacapan, nel 1960. Queste vicende hanno tuttavia creato una certa confusione. Innanzitutto, a Remojadas, Medellín Zenil definì come stratigraficamente consecutivi due complessi che non presentavano la stessa distribuzione spaziale. Il più antico, chiamato Remojadas Inferior e ora attribuito alla fase Protoclassica, ha una distribuzione che va dalle pendici delle montagne a nord della Sierra di Chiconquiaco, nel Viejón, fino a Macuiltépetl e Yerbabuena sui versanti della Sierra, e addirittura fino ad Amatlán e Cerro de las Mesas nella valle del fiume Blanco a sud: un’area quindi più estesa ed ecologicamente diversa dalla zona semiarida2. Il problema era già stato notato da Medellín Zenil che però aveva aggirato l’ostacolo dicendo che nella misura in cui la zona semiarida ne costituiva il centro (e ne era implicitamente la zona di origine), era legittimo considerare Remojadas Inferior come l’espressione di un complesso sviluppato in quella particolare zona ecologica. In appoggio a questa tesi aveva aggiunto un argomento interessante: sosteneva che le condizioni semiaride della zona erano particolarmente vantaggiose per i primi agricoltori, che disponevano solo di utensili in pietra e utilizzavano la tecnica del “taglia e brucia”, poiché in maggio tutto era così secco che poteva essere bruciato senza problemi, lasciando l’area pulita, fertilizzata dalle ceneri e pronta per la semina nella stagione delle 105

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piogge. Si nota in queste affermazioni l’influenza di Pedro Armillas e di Jorge A. Vivó Escoto, maestri sia di Alfonso Medellín che di William Sanders alla Escuela Nacional de Antropología e Historia (Sanders, che nel 1952 attraversò il bacino medio e basso del Cotaxtla, arrivò a formulare, proprio partendo da quelle esplorazioni, il suo famoso assioma del determinismo ecologico: non esistono sviluppi verso forme statali che partano da un’agricoltura di “taglia e brucia” – si vedano i capitoli precedenti). Tuttavia, i dati provenienti dalle sistematiche esplorazioni realizzate a partire dagli anni ’80 non appoggiano questa tesi: in primo luogo, le testimonianze arcaiche dimostrano chiaramente che i primi agricoltori del quinto millennio a.C. utilizzavano senza problemi il “taglia e brucia” anche nelle aree costiere ad alto tasso di umidità; in secondo luogo, i reperti ceramici più antichi (preolmechi e olmechi, del II millennio a.C.) sono stati ritrovati generalmente nelle terrazze alluvionali e nelle zone umide, non nelle zone semiaride. Nella zona semiarida, i reperti più antichi sembrano corrispondere a materiali del Preclassico Medio (800-400 a.C.) e si trovano nella regione del Carrizal. Tuttavia, la quantità dei reperti è molto scarsa rispetto a quella delle fasi più tarde o alla densità della stessa fase per reperti trovati in aree di maggior umidità, come il bacino medio e basso del Cotaxtla e del Blanco3. Il secondo complesso, definito da Medellín Zenil come Remojadas Superior, si colloca nel periodo Classico e può essere diviso in Superiore I o Classico Antico (100 a.C.400 d.C.) e Superiore II o Classico Tardo (400-900 d.C.). Nella seconda fase, momento del suo massimo apogeo, abbraccia un territorio che va dal Cazones al Papaloapan. Tuttavia, gli elementi diagnostici da lui individuati presentano una distribuzione spaziale incoerente: o non si trovano in tutto il territorio o si trovano anche al di fuori dei suoi confini. Per esempio, le figure sorridenti sono sconosciute nel Centro-nord ma si trovano dal Centro-sud fino alla Sierra de los Tuxtlas. I gioghi e le asce sono tipici di tutta l’area ma non è così per le palme, che si trovano solo nel Centro-nord e nel Classi106

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co Tardo. Le figurine degli “dei dal lungo naso” o le Xipe-Tlazolteotl sono tipiche solo di un’area limitata della pianura costiera nei bacini bassi del San Juan e del Cotaxtla. Le sepolture secondarie in recipienti ceramici hanno una distribuzione molto più ampia del Centro del Veracruz. Così, dopo il pionieristico lavoro di Medellín Zenil che ha rappresentato l’inizio dell’archeologia moderna in questa regione, si è sentita la necessità di studiare i reperti materiali non solo a partire da una lista di tratti caratteristici, ma anche dal loro inserimento all’interno di un contesto spaziale, temporale e concettuale, per poter capire le società che li produssero. In questo testo useremo il termine “Centro-sud del Veracruz” ormai largamente accettato nella letteratura archeologica. Questa zona si differenzia dal Centro-nord per la presenza di un substrato culturale olmeco durante il Preclassico (Daneels, 2010). Dal punto di vista geografico, la regione abbraccia un territorio compreso tra il versante meridionale della Sierra de Chiconquiaco, le pendici della Sierra Madre Oriental e il bacino del fiume Blanco. Il terreno è molto variabile poiché presenta una forte gradiente altitudinale: si va dai 0 m sulla costa ai 5610 m del Pico de Orizaba – la montagna più alta del Messico – in soli 120 km. A parte la zona semiarida, le piogge sono regolari e abbondanti (tra 1500 e 4500 mm annuali) e i suoli profondi, per cui le terre sono generalmente molto fertili e adatte alla coltivazione di alimenti quali il mais, i fagioli, la zucca, il peperoncino. In epoca preispanica però i prodotti di particolare valore commerciale, come il cacao (Theobroma cacao), il cotone (Gossypium hirsutum) e il caucciù (Castilla elástica) erano tipici solo delle terre basse, quelle a meno di 800 m di altitudine. È bene ricordare che i primi due fungevano da moneta di scambio nei mercati del Postclassico mesoamericano, il che significa che per gli abitanti della costa il denaro cresceva letteralmente sugli alberi. Va da sé che il caucciù fosse cruciale in una società organizzata intorno al gioco della palla, acquisendo quindi particolare valore come materiale esportato verso i siti che si trovavano al di sopra degli 800 m s.l.m. e che ospitavano un campo da gioco. 107

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Altri materiali erano invece di uso quotidiano nelle abitazioni: la pietra per macinare (mais e peperoncino) e l’ossidiana, molto più raramente la selce (per il taglio e la perforazione). Ci sono anche implicazioni economiche. Il basalto e l’andesite si trovano abbondantemente alle pendici delle catene vulcaniche, ma devono essere trasportati fino alle pianure costiere che invece mancano di questo materiale. L’ossidiana è molto scarsa: durante il Preclassico e il Classico si poté approfittare dei depositi superficiali delle colate del Pico de Orizaba e del margine della colata di ignimbrite di Zarazoga-Oyameles che arrivava fino ad Altotonga. Tuttavia era ossidiana di bassa qualità che serviva solo per la produzione di schegge a percussione e produceva utensili multiuso di facile manifattura4. È possibile che la sua distribuzione seguisse le rotte della pietra per macinare e che il suo acquisto fosse quindi negoziato tra membri della stessa cultura. La situazione è diversa per le lame prismatiche, poiché necessitano di ossidiana di alta qualità che a partire dal Protoclassico era ottenuta dai giacimenti di ossidiana riolitica nera o a bande scure di Zaragoza-Oyameles, nello stato di Puebla, controllati dall’importante sito di Cantona, capitale di un esteso territorio a est di Puebla. Questo implicava non solo avere artigiani specializzati nella scheggiatura delle lame prismatiche ma anche la necessità di un’eccedenza da scambiare con i nuclei preformati che Cantona commerciava nella maggior parte della Costa del Golfo, dal Centro del Veracruz fino al Tabasco. Fu solo alla fine del Classico, con l’introduzione della tecnica per l’estrazione dei minerali importata dall’Altopiano, che si iniziarono a sfruttare i profondi giacimenti del Pico de Orizaba per ottenerne lame prismatiche. Queste ultime si distinguono facilmente dalle altre per il colore grigio venato quasi trasparente e per la presenza di talloni levigati. Invece le pietre usate per costruire i parafernalia del gioco della palla sembrano provenire da un altro circuito. Alcuni oggetti sono di basalto a grana finissima, che è diverso dalla pietra per macinare, anche se a volte proveniva anch’esso dall’asse neovulcanico. Gli oggetti in pietra verde dovevano arrivare da più lontano, dato che molti sembrano essere in serpentinite della Valle di Cuicatlán, regione che a quel tempo faceva parte della sfera zapoteca controllata dalle grande capitale Monte Albán. Però il taglio doveva essere opera di abili scultori del Centro del Veracruz: la standardizzazione delle forme e delle dimensioni, e certi disegni come il mostro della terra, li caratterizzano nettamente come un prodotto locale. È bene tenere a mente questi dati perché mostrano come, dalle pratiche quotidiane culinarie fino a quelle rituali, i siti del Centro-sud fossero legati tra loro e interagissero abitualmente con altri gruppi, con un viavai continuo di prodotti economicamente e ideologicamente significativi per quelle società. Architettura e organizzazione politica Come si è detto, la società del Centro del Veracruz era imperniata sul gioco della palla. Il campo era sempre associato allo spazio principale: la piazza, un luogo primordiale nella concezione dello spazio costruito mesoamericano la cui origine risale quanto meno agli Olmechi (La Venta). Gli assetti architettonici più antichi, in cui il gioco della palla ancora non è presente, sono formati da una Piazza Monumentale di più di un ettaro di superficie, circondata da grandi edifici a forma di piramide o di piattaforma. Questa piazza è aperta, gli spazi tra gli edifici sono ampi e non ci sono dislivelli di altezza che restringano l’accesso o il transito. Non è chiaro quale tra gli edifici sia il più importante dato che hanno altezze o volumi simili. Lungo i fiumi c’erano complessi formali di questo tipo ogni 5-6 km: la popolazione in questo momento del Protoclassico era insediata preferibilmente nelle terrazze alluvionali. Se ne deduce che i territori dominati da questi complessi architettonici fossero molto ridotti, da 15 a 20 km2 ciascuno, e che la densità di popolazione si aggirasse intorno alle 150/200 persone per km2, con una popolazione totale quindi di meno di quattromila persone. Alle luce di tutto ciò stupisce la grande dimensione delle piazze antiche, che con i loro 10.000 m2 sarebbero state più che sufficienti a ospitare la totalità della popolazione del territorio. Avevano forse bisogno di spazio per realizzare danze e processioni a cui invitare anche persone provenienti dai territori vicini? 108

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Chi organizzava questa società? Gli scavi a La Joya indicano che nel Preclassico Superiore e nel Protoclassico lo spazio era già di carattere palaziale. Sia l’accesso principale che i singoli edifici presentavano offerte di consacrazione, molte delle quali con sacrifici umani: erano dunque spazi sacralizzati. Tuttavia non si trattava di un grande basamento come nelle acropoli, ma di una piattaforma perimetrale simile ai coatepantli più tardi (come se ne trovano intorno alla piramide del Sole e alla piramide del Serpente Piumato a Teotihuacan o intorno al Templo Mayor a Tenochtitlán). Dentro vi erano basamenti con funzione residenziale e rituale, il cui accesso e uso era nettamente ristretto, a differenza della piazza aperta: dalla piazza era impossibile vedere cosa succedeva dentro. Durante il Classico cambiano l’architettura e la società: le piazze diventano più piccole (spesso di 50 m di lato o anche meno), ed è la piramide l’elemento dominante e l’edificio di maggiori dimensioni. Il gioco della palla è associato alla piazza principale, trovandosi in molti siti del Centro-sud del Veracruz dalla parte opposta alla piazza, con l’asse del campo da gioco che punta verso la piramide. Quest’assetto è così comune da venire definito “piano standard”. In alcune regioni addirittura un quarto dei siti con architettura formale presenta questo piano. È un assetto caratteristico de siti gerarchicamente più importanti: capitali di stati e centri secondari distribuiti in territori di ampie dimensioni, di grandezza variabile tra 1 e 100 km2. Anche la popolazione aumentò sensibilmente, fino a una media di 400 persone per km2, con concentrazioni in eccesso, anche di 1000 persone per km2, in alcune capitali. Di solito il piano standard fa parte di un complesso più grande che comprende una piazza secondaria di minori dimensioni, circondata da edifici più bassi e varie cisterne a delimitarla, e una piattaforma monumentale a una certa distanza (un centinaio di metri). È quindi un complesso multifunzionale di natura urbana: la piazza con la piramide e il campo da gioco ha evidenti implicazioni rituali, come dimostra la presenza del tempio e delle attività legate al gioco; la piazza secondaria può aver avuto funzioni amministrative, commerciali e pubbliche; la piattaforma sembra infine corrispondere

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alla residenza di palazzo. Le cisterne, oltre a servire come sponda materiale per il livellamento o la modificazione del terreno, servivano da ulteriori delimitatori di uno spazio già nettamente ristretto e forse anche come specchio d’acqua in cui si rifletteva il centro principale, in allusione al concetto del centro dell’universo come un mondo che galleggia nell’oceano primordiale. Mentre l’assetto del piano standard è caratteristico di tutta l’area, il suo orientamento presenta varianti regionali. Nel bacino basso del Jamapa-Cotaxtla, che occupa più di 1200 km2, l’orientamento prevalente è da nord a sud, con la piramide a nord e il campo da gioco a sud. Tuttavia, tutto intorno alla regione costiera, l’orientamento prevalente è quello estovest, con la piramide preferibilmente a ovest: è così a nord, nel bacino dei fiumi Antigua e San Juan, a est, nella zona semiarida e nel bacino medio e alto del Jamapa-Cotaxtla e del Blanco, e a sud, nella Mixtequilla. Non è chiaro il motivo di questo spostamento di 90° dell’assetto architettonico principale. È possibile che sia cambiato nel tempo, e che l’orientamento nord-sud sia più antico di quello est-ovest (come è stato proposto per Cerro de las Mesas e Cantona), però nelle zone sulle quali esiste documentazione sono presenti contemporaneamente entrambi gli orientamenti durante il Classico Tardo5. I siti del Centro-nord del Veracruz presentano maggiore variabilità sia nell’orientamento astronomico che nella posizione del campo rispetto alla piazza principale, anche se esistono comunque modelli prevalenti. Siti come Xiutetelco e Cuajilotes nel bacino medio e alto del Nautla hanno piazze allungate e il campo si trova alla fine della piazza o di lato a essa. Nel resto della regione le piazze presentano proporzioni quadrate e i campi sono collocati a un lato della piazza o direttamente vicino alla piramide principale. In quest’ultimo caso la piramide chiude uno dei lati o la testa del campo (Pital, Morgadal, Cerro Grande, El Tajín). Tuttavia, in alcuni casi eccezionali, i siti presentano un piano standard uguale a quello del Centro-sud del Veracruz, come nel caso del Gran Xicalcoliuhqui situato al centro della piazza monumentale di El Tajín: un recinto dall’accesso

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ristrettissimo e dalle dimensioni megalitiche, l’edificio che richieste il maggior sforzo lavorativo di tutto il sito. Pertanto, anche se il campo di questo complesso è probabilmente uno dei più piccoli dei 17 campi di El Tajín, è in una posizione particolarmente privilegiata e allude in qualche modo alla relazione che il sito ebbe con il Centro-sud del Veracruz. Al momento ci sono pochi edifici nel Centro-sud aperti al pubblico, a differenza del Centro-nord dove si possono visitare Cuajilotes, Higueras ed El Tajín. I siti del periodo Classico sono stati scavati per la maggior parte nell’ambito di interventi di salvataggio o progetti accademici a cui non sono seguiti progetti di apertura al pubblico, per cui le strutture studiate sono state poi nuovamente ricoperte di terra per garantirne la preservazione. Generalmente si possono quindi vedere solo monticoli coperti di terra e vegetazione. Fanno eccezione Macuiltepetl (nella città di Xalapa), Toxpan (nella città di Córdoba) e Zapotal (nel villaggio Número Uno). Questo è dovuto in parte al fatto che i siti ubicati sui fianchi della sierra, anche se di piccole dimensioni, sono costruiti in pietra mentre quelli della costa, che pur equiparano per dimensioni i siti in pietra del Centro-nord, sono costruiti in terra. Si pensava dunque pregiudizialmente che questi ultimi non potessero essere rappresentativi di un’architettura sofisticata, vista la loro breve durabilità in ambienti umidi e tropicali. Al momento l’unico edificio interamente conservato ed esposto al pubblico è il piccolo adoratorio del Mictlantecuhtli, che faceva parte di un complesso architettonico più grande e si è conservato perché era stato intenzionalmente sotterrato in antichità durante un rituale di terminazione. Lo sforzo fatto per preservarlo, più che all’adoratorio in sé, si deve alla grande scultura in argilla cruda policroma del Dio della Morte e alle pitture murali ad esso associate. I primi indizi di architettura formale in terra risalgono agli anni ’40 e ’50. Già Drucker e Stirling per gli scavi di nel Cerro de las Mesas e Medellín Zenil per Nopiloa avevano parlato di scalinate su basamenti e costruzioni in adobe. Poi, negli anni ’90, alcuni scavi di salvataggio portarono alla luce i resti di ampie residenze costruite in adobe. Ma nulla di tutto ciò è ancora visibile: alcuni edifici furono nuovamente ricoperti di terra, e altri vennero cancellati da lavori infrastrutturali. Un recente progetto in un sito della costa, La Joya, ha permesso di avere informazioni più approfondite sulla sequenza di una serie di edifici. Il sito è stato gravemente danneggiato in epoca moderna dall’estrazione di terra per la produzione di mattoni (un problema comune a questo tipo di siti del Golfo), cosicché è rimasto appena il 5% del complesso architettonico centrale. Tuttavia, proprio la distruzione per mano dei fabbricanti di mattoni che con i loro tagli hanno attraversato gli edifici da parte a parte, ha permesso di vedere la sequenza costruttiva e di analizzare i particolarissimi sistemi costruttivi dell’architettura in terra, rivelando che essa presenta una qualità e una monumentalità assolutamente conforme ai canoni stilistici del Classico mesoamericano. È stato quindi possibile risalire all’uso e alla funzione dei diversi edifici, confermare l’ipotesi che fossero templi e palazzi. Il sito prende il nome dalla piramide conosciuta fin dal XIX secolo come La Joya di San Martín Garabato. Un disegno dell’INAH del 1937 la registra come una struttura di 50 x 50 m di base e tra i 22 e i 25 m di altezza (questo 1000 anni dopo il suo abbandono). Tanto per fare un paragone, è più grande della Piramide delle Nicchie di El Tajín – senza dubbio la più famosa del Centro del Veracruz per il periodo Classico – che misura 35 x 35 m di base e 19 m di altezza, ed è praticamente uguale al Castillo di Chichén Itzá, che misura 55 x 55 m di base e 24 m di altezza. Della grande piramide di La Joya risalente al Classico Tardo oggi non resta nulla. Tuttavia è stato possibile rintracciare le basi dei muri e una piccola parte della facciata ovest di una sub-struttura del Classico 112

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Antico (circa 200 d.C.). Si sa dunque che la piramide misurava 45 x 45 m di base e aveva quattro scalinate, come quelle di altri siti maya, per esempio Uaxactún o Chichén Itzá, e altri luoghi nell’Altopiano (per es. gli altari a Teotihuacan). Le sue scalinate sono asimmetriche: la scalinata principale si trova a est, dà sulla piazza maggiore, è la più grande e arriva a prolungarsi fin oltre la facciata, il che suggerisce la presenza di piattaforme intermedie. A nord e a sud ci sono scalinate di dimensioni più ridotte e uguali tra loro che affacciano su spazi architettonici secondari, mentre a ovest c’è un’angusta scalinata con alfardas o balaustre laterali di fronte a una cisterna che funge da limite del complesso. Probabilmente questa lunga scala continua serviva a dare un’apparenza di maggiore elevazione alla facciata che risultava visibile dall’altro lato della cisterna. A questo va aggiunto il fatto che ogni corpo era di dimensioni inferiori rispetto a quello sottostante, creando un effetto trompe l’oeil per cui la struttura sembrava più grande di quanto fosse nella realtà. Gli architetti del tempo dominavano quindi con evidente perizia le regole della prospettiva. La ricostruzione in 3D dell’edificio è stata possibile poiché si conoscevano i contorni della base, nonché l’angolo e la proporzione relativa dei sei corpi, le due balaustre e i 19 scaloni della facciata ovest. Si è quindi potuta ricostruire una struttura a 12 corpi dell’altezza totale di 14.30 m. Questa piramide funzionò in un primo momento insieme alla Piattaforma nord, mentre a partire dal 300 d.C. formava una grande piazza monumentale insieme alla Piattaforma Nordest ed Est, diventando il nucleo urbano del sito. Sebbene la Piattaforma Nordest sia stata distrutta, gli scavi delle rovine della Piattaforma Nord e della Piattaforma Est hanno indicato che si trattava di residenze signorili, entrambe con 5 o 6 fasi

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costruttive durante il Classico e poi abbandonate verso il 1000 d.C. Questo ha portato a chiedersi perché ci fossero due palazzi intorno alla piazza principale di una capitale statale: erano residenze di lignaggi rivali o la prova di un governo duale? La presenza di offerte dedicatorie con figurine rappresentanti “divinità dal lungo naso” solo nella Piattaforma Est e in ogni sua fase, e non in quella Nord, ha fatto pensare che si trattasse del palazzo di un sommo sacerdote incaricato del culto popolare e rappresentato in quelle figure, mentre la Piattaforma Nord sarebbe stata il palazzo del capo politico. Se così fosse, avremmo la prova dell’esistenza sin dall’antichità di sistemi politici simili a quelli dei quali si ha notizia da fonti del Postclassico, per esempio il tlatoani/cihuacoatl a Tenochtitlán o il batab/ahkin in area maya. Verso il 300-300 d.C., con un progetto di grandi modificazioni, la piazza principale venne soprelevata di quasi due metri, restringendo lo spazio di accesso e trasformando il complesso centrale in un grande basamento, “tipo acropoli”. La Piattaforma Nord venne trasformata in una piattaforma monumentale che conservava lo stesso edificio di accesso della fase precedente ma a cui vennero aggiunti il tempio e l’area residenziale, una sala del consiglio e una piccola camera di servizio: una combinazione di locali a uso amministrativo, residenziale e cerimoniale che rinsaldò in un primo momento l’ipotesi che l’edificio avesse funzione di palazzo. 114

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La sala dell’udienza ha un’importanza particolare. Eretta sopra un basamento di quasi un metro di altezza, accessibile da una scalinata a gradini asimmetrici, ha uno spazio interno rettangolare delimitato da un muro perimetrale in adobe. Questo spazio è diviso a metà in senso longitudinale, in un’area con un patio aperto circondato da panchecon paramento inclinato o talud, che fanno da anticamera a una serie di tre camere coperte da un tetto e sopraelevate. La sala principale è di maggiori dimensioni, accessibile da una scalinata a due gradoni, ed è il fuoco visuale dell’edificio. Ai piedi degli scaloni di accesso sono state trovate due aree con terreno bruciato che abbiamo interpretato come punti in cui ardevano dei bracieri, un elemento che sottolinea l’importanza del recinto. Nelle panche che si trovano sul patio si possono sedere comodamente fino a 12 o 18 persone, a seconda della loro stazza. Questi numeri fanno pensare che solo un piccolo gruppo, probabilmente i membri di un consiglio o persone dal rango sufficientemente alto, fosse ammesso nel recinto della Piattaforma Nord. Tuttavia, poiché rispetto alla camera principale erano seduti a un livello più basso e oltretutto a diretto contatto con la terra, si può supporre che avessero un rango minore rispetto agli o all’occupante di essa. Da qui il nome dato a questo recinto, “sala dell’udienza”, che rispetto a “sala del consiglio”, rende maggior giustizia alla disuguaglianza architettonica. Tuttavia, il patio sembra aver avuto una funzione differente durante la notte. Nell’angolo nordest fu ri115

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trovata una depressione circolare di 50 cm di diametro e 10 cm di profondità impressa nel terreno. Comparando queste informazioni con dati etnografici, si può pensare che si trattasse di uno specchio d’acqua. In questo caso potrebbe essere stato un punto di osservazione astronomica: trovandosi ai piedi della panca, avrebbe permesso a una persona seduta di osservare le stelle riflesse nell’acqua, con l’angolo del muro perimetrale a incorniciare un settore particolare del cielo. Quest’ipotesi può essere messa in relazione con un altro ritrovamento fatto dall’altro lato del patio: un braciere infossato nel terreno con tracce d’uso (cenere all’interno e terreno bruciato intorno). Il braciere avrebbe prodotto il fumo necessario a proteggersi dagli insetti notturni e la sua lieve illuminazione non avrebbe disturbato la visione notturna. Un altro edificio studiato è un’area residenziale della Piattaforma Est. Anch’esso sopraelevato da un basso basamento è uno spazio rettangolare due ambienri stretti e paralleli, un portico d’entrata colonnato che dà accesso perpendicolarmente alla camera principale e a delle camere annesse per l’immagazzinamento e rivolte verso nord. La camera a nordovest, la più fresca della casa, fu usata per immagazzinare centinaia di pannocchie. A sud, accessibile da un’entrata indipendente, si trova quella che sembra essere stata la cucina: il suo orientamento verso la parte soleggiata deve averla resa molto calda. La mancanza di comunicazione diretta con le altre camere faceva sì che gli odori della cucina o il calore del mezzogiorno non si propagassero nell’abitazione. Questa disposizione interna, con lo stesso orientamento, si ripete in un’altra residenza sulla stessa Piattaforma Est a La Joya, e anche in altri due siti vicini, dimostrando così che si tratta di uno schema ricorrente per le residenze. È chiaro che l’architettura in terra del Centro-sud del Veracruz è un’espressione pienamente mesoamericana della più alta qualità, perfettamente capace di realizzare piramidi e palazzi raffinati in accordo con i canoni del Classico. Il tipo di simmetria longitudinale delle costruzioni ricorda più i modelli maya con due ambienti stretti e paralleli che gli spazi quadrati intorno a un patio centrale tipici dell’Altopiano (Teotihuacan, Xochicalco). Al tempo stesso le piramidi a 4 scalinate sono più comuni nell’area maya che nell’Altopiano e, come la loro controparte maya, gli edifici della Piattaforma Nord presentano nella seconda fase costruttiva residui di pittura rossa, abituale negli edifici amministrativi. D’altra parte sono presenti anche stili più affini all’Altopiano centrale: resti di costruzioni a talud e tablero a La Joya e Atoyaquillo in associazione con elementi ceramici teotihuacani dimostrano come queste società fossero pienamente integrate alla dinamica culturale del momento6.

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Un’altra componente tipicamente mesoamericana dell’architettura è l’uso a scopo rituale di offerte di fondazione e terminazione, collocate a ogni nuova fase costruttiva lungo gli assi (inclusi le scalinate e il centro) e negli angoli degli edifici. A La Joya sono state trovate offerte in posizione assiale nella Piramide e nelle due Piattaforme, ma nella Piattaforma Nord erano più ricorrenti quelle negli angoli, indicando come in uno stesso sito possano coesistere comportamenti diversi. Alcune offerte erano molto essenziali (un recipiente, con o senza statuette, un cranio umano), altre erano depositi massivi consistenti in sepolture multiple di uomini o animali (complete – probabilmente vittime di sacrifici –, parziali o secondarie), recipienti, figurine, strumenti musicali di ceramica e oggetti di conchiglia e pietra, compresi alcuni gioghi. Queste offerte massive sono state trovate dentro alle piramidi (Remojadas, Faisán, La Campana, La Joya, Cerro de las Mesas, Conchal Norte), nelle piattaforme monumentali e nei palazzi (La Joya, Las Puertas, Nopiloa), o negli adoratori (Zapotal), che sono tutti centri di alto livello nella gerarchia regionale. Anche nelle unità abitative esterne ai complessi architettonici maggiori possono essere presenti offerte di fondazione, però generalmente sono più modeste: di solito una ciotola e delle statuette (per es. Plaza de Toros, Ixcoalco, Conchal Norte)7. Ciò che sembra totalmente indipendente dalle altre tradizioni mesoamericane è il fatto di costruire edifici di quel genere usando solo sedimenti locali. Nel caso di La Joya – il sito più studiato al momento – si tratta di sabbie di paleodune, fango dei depositi alluvionali e argille espansive di tipo gley. Queste materie prime non sono le migliori per l’architettura di terra. Altre culture del mondo avevano a disposizione materiali più malleabili, con sedimenti ricchi di calcio – che è un consolidante naturale (Mesopotamia) –, o estesi depositi di argilla non espansiva (Cina) che servivano come base per lo sviluppo di una tradizione architettonica monumentale in terra. Sono quindi ancora più notevoli le conquiste tecniche degli architetti del Centro del Veracruz. Una delle strategie sviluppate per riuscire a costruire basamenti elevati tenendo sotto controllo la pressione interna fu quella di fare dei riempimenti a scacchiera con dei blocchi di un metro di altezza e vari metri di lunghezza (4-6 m), alternando argilla e fango sabbioso. L’argilla è solida ed evita che la sabbia scivoli via; a sua volta la sabbia evita che l’argilla si dilati troppo quando piove: in questo modo il riempimento si mantiene stabile. Così, metro dopo metro, si può alzare la struttura senza che il riempimento crolli. Inoltre, i blocchi sabbiosi permettono la circolazione dell’acqua senza perdere stabilità: l’umidità capillare sale ed evapora in superficie mentre le gocce di pioggia scendono giù senza

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incontrare ostacoli. L’ultimo strato dell’edificio è una copertura di limo, con la quale si modellava letteralmente l’aspetto finale dei corpi architettonici e delle scalinate, e permetteva la costruzione di taludes molto poco inclinati. I recinti erano grandi e costruiti in adobe (circa 80 cm di lunghezza per 30-40 cm di larghezza e 10 cm di altezza), disposti a intreccio. Ci sono muri conservati che superano 1,20 m di altezza e secondo le evidenze archeologiche dovevano superare 1,68 m. I tetti erano piatti, fatti con una miscela di fango argilloso e abbondante degrassante vegetale per alleggerirla, collocata sopra uno strato di canne appoggiate su travi. Non ci sono tracce di tetti fatti con le foglie delle palme, che probabilmente furono quelli più usati nell’architettura domestica. Il deflusso della pioggia dai tetti e dalle piazze era controllato tramite dislivelli nella superficie che portavano l’acqua verso degli scarichi di terracotta che a loro volta la canalizzavano verso le cisterne. Gli scarichi erano fatti con moduli assemblati di tubi conici di ceramica, collocati in un angolo del riempimento sotto i basamenti. Il rivestimento dei muri, dei pavimenti e dei taludes era fatto con un intonaco di argilla limosa mischiata a un degrassante vegetale tritato. Molti edifici presentano più strati di intonaco, suggerendo quindi manutenzione degli stessi. I colori variano dall’ocra al caffè al grigio chiaro, senza tracce di calce (anche se in altri siti, come a Cerro de las Mesas, sono state trovate tracce di coperture in stucco su terra). Sulla base delle associazioni ceramiche e delle datazioni al Carbonio 14, si può stimare che la durata di queste coperture si aggirasse attorno ai 50 anni. Scavando sono stati trovati strati superficiali che erano impeccabili: senza crepe, scolature o dislivelli. Vista la qualità relativamente cattiva della materia prima locale e la violenza climatica dovuta alle precipitazioni superiori a 1500 mm in estate e ai venti degli uragani in inverno, crediamo che il segreto della buona resistenza delle coperture fosse probabilmente un agglutinante organico che faceva da consolidante e al tempo stesso da repellente per l’acqua. Nella microstratigrafia degli intonaci ci sono indizi che suggeriscono l’utilizzo di un liquido sulle superfici. Le analisi di laboratorio, ancora in corso, indicano la presenza di un materiale organico, però ancora non si è riusciti a determinare di quale prodotto, vegetale o animale, si tratti. Il sistema costruttivo è molto ripetitivo, sia nelle piattaforme che nella piramide: i ripieni a blocchi alterni, i muri in adobe, gli intonaci, i tetti piatti e gli scarichi sono elementi presenti fin dalla prima fase costruttiva che continuano fino all’abbandono del sito 1000 anni più tardi, dimostrando che era una tecnologia pienamente sviluppata già al momento della sua fondazione. È probabile che quando avremo informazioni più dettagliate su sistemi costruttivi più antichi, scopriremo che quella tradizione derivava dagli Olmechi, che nel Preclassico formarono il sostrato culturale che sarà ereditato dagli abitanti del Centro-sud del Veracruz. A quel tempo, infatti, gli architetti olmechi erigevano già piramidi, recinti, palazzi e patii interrati di terra battuta8.

seguendo la tradizione del Preclassico; molte altre sono fatte con una tecnica mista, tipica del Classico, per cui la testa era realizzata con uno stampo e il resto veniva modellato; ci sono le figure monumentali vuote (più di 50 cm di altezza) che sono meno frequenti probabilmente perché la loro cottura rappresentava una vera impresa tecnica; e infine, a partire dal Classico Tardo, appaiono le figurine modellate con stampo aperto doppio, che permetteva la produzione in serie. Queste differenze nella manifattura raggruppano solo fino a un certo punto le statuine in “famiglie” morfologiche, dato che molti pezzi sono semplicemente unici. Ciò che complica ancora di più le cose è il fatto che molte statuine siano anche degli strumenti musicali (flauti e ocarine), ma nemmeno questo può dare luogo a una classificazione funzionale, perché esistono serie iconicamente identiche in cui alcuni pezzi sono strumenti mentre altri no. In tutti i gruppi, in ogni caso, predomina la figura umana sulla rappresentazione di esseri soprannaturali o animali. Anche se mancano statistiche precise al riguardo, ciò che salta agli occhi è l’approssimativa equivalenza di numero tra donne e uomini, un cambiamento notevole rispetto al Preclassico – dove predominavano le figure femminili – e rispetto alle altre società del Classico dove sono gli uomini che tendono a predominare (a eccezione del sito di Xochitécatl). L’abbigliamento, gli attributi e le posizioni di queste figure sono molto diversi: si va dalla rappresentazione dei servi (figure in perizoma che portano carichi) o della gente comune fino alla rappresentazione di personaggi dell’élite riccamente vestiti, governanti seduti in trono con lo scettro in mano ed esseri rivestiti con attributi divini. Come già sottolineato da Spratling in Más humano que divino, è difficile sapere se in quest’ultimo caso l’intenzione fosse quella di rappresentare l’immagine di un dio (come è evidente in molte statuette nahua o maya del Postclassico) o il suo impersonatore: un umano vestito con attributi divini. Tuttavia è interessante vedere come, nonostante la grande varietà di rappresentazioni fornita dalle statuine di terracotta, nessuna di queste sembra alludere all’iconografia legata al gioco della palla, che emerge – e si mantiene – proprio in questo periodo come rituale e religione di stato associata al potere, in tutto il Centro del Veracruz. Uomini decapitati con serpenti che spuntano dal collo, personaggi vestiti con elementi associati al giogo, l’ascia e la palma, decorazioni a voluta: sono tutti temi estranei ai registri ico-

Statuette e ideologia Da sempre ciò che colpisce è la grande quantità e varietà delle statuette prodotte nel Centro-sud del Veracruz durante il Protoclassico e il Classico e che abbelliscono i cataloghi di arte preispanica relativi a quell’area. La loro diversità ha resistito finora a molti tentativi di inserirle in classificazioni tipologiche, ma si possono comunque distinguere quattro gruppi tecnologici ben differenziabili: alcune sono modellate a mano e vuote, 118

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nografici delle figurine di ceramica, tranne alcune note eccezioni. Sono registri simbolici che appartengono ad altri ambiti. Le figurine non si trovano solo nei centri gerarchicamente più importanti, ma a tutti i livelli della società, dal casale più povero alla capitale, dalla casa del contadino alla piramide, all’adoratorio, al campo da gioco della palla o al palazzo. Le materie prime con cui sono fatte sono tra le più comuni, le stesse usate nella fabbricazione della ceramica a uso domestico e destinata all’immagazzinamento o al servizio, ma non mancano pietre semipreziose importate o pigmenti speciali come per la pittura murale. Solo per le figure monumentali e la fabbricazione degli stampi doppi potevano servire artigiani specializzati, per il resto degli oggetti la manifattura è alla portata di tutti. Vengono per questo considerate l’espressione di un’ideologia popolare, nel senso etnografico della parola, in opposizione all’ideologia istituzionalizzata, politicamente controllata, rappresentata dal rituale del gioco della palla. Nonostante la grande diversità delle statuette, si osserva l’esistenza di tipologie ricorrenti che possono essere divise sulla base di attributi, dimensioni e finiture superficiali. Inoltre, è possibile dimostrare che queste particolari tipologie avevano un’area di distribuzione ben definita che non coincideva necessariamente con le tradizioni stilistiche ceramiche regionali, poiché poteva essere maggiore o minore. Per esempio le statuette più famose del Centro-sud del Veracruz, le cosiddette figure sorridenti, erano molto diffuse tra il fiume Blanco e il Papaloapan – se ne trovano a migliaia tra la Mixtequilla e il municipio di Joachín – dove sono di buona qualità. Sono conosciute per i grandiosi pezzi trovati nei siti di Zapotal, Los Cerros, e Dicha Tuerta: grandi statue vuote, di circa 50 cm di altezza, che rappresentano uomini e donne con una marcata deformazione craniale, il cui abbigliamento, benché scarso, è riccamente decorato. La loro diffusione, al di fuori di quell’area, arriva fino al bacino dell’Actopan, del Jamapa (Remojadas) e del Cotaxtla (a Plaza de Toros, Cotaxtla, Atoyaquillo) e al sud fino a Los Tuxtlas (Tres Zapotes), però si tratta di piccoli pezzi di scarsa qualità realizzati con una tecnica mista o a stampo di cui ne esistono pochi esemplari. C’è una 122

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chiara rappresentazione del riso che non ha un equivalente nella scultura in pietra. Sui copricapi appaiono decorazioni in forma di garza, virgola o spirale – un’abbreviazione iconica che allude alla coda della scimmia. Sia la garza che la scimmia sono animali molto rappresentati nelle statuette di terracotta e sui vasi dipinti o incisi. Tuttavia, i pezzi prodotti durante il Classico Tardo nel bacino del fiume Blanco presentano decorazioni sui copricapi e sul maxtlatl (perizoma) che trovano un preciso parallelo con la scultura di pietra e con i simboli della Grande Tradizione o rituale istituzionalizzato. Sono rappresentati l’ollín (il movimento), figure umane dipinte nello stile dei vasi del fiume Blanco, forme stilizzate di teste di serpente associate a Quetzalcoatl. Questa situazione eccezionale in cui i simboli dell’ideologia politica corrispondono a quelli di figure la cui forma, posizione, frontalità ed espressione appartengono a una tradizione estranea, potrebbe essere messo in relazione con i cambiamenti e i sincretismi menzionati nel capitolo “Caratteristiche regionali. Il Centro del Veracruz, una cultura unica in Mesoamerica” che verso la fine del Classico iniziarono a modificare una tradizione secolare sotto l’influenza, nel caso del Centro-sud, dell’intensa interazione commerciale tra la zona maya del Tabasco e l’Altopiano centrale. In questo senso può essere significativo che le cosiddette figurine mayoidi a doppio stampo siano molto frequenti lungo la via di comunicazione del fiume Blanco/Papaloapan, la stessa area delle figure sorridenti, e che anche queste presentino decorazioni con simboli come l’ollín, le greche e i serpenti stilizzati9. Un secondo tipo di statuette con distribuzione significativa sono le cosiddette “divinità dal lungo naso”. Di fatto si tratta di un complesso di tre tipi di figurine che appaiono nello stesso momento. Il tipo principale è un personaggio maschile seduto e di grandi dimensioni (senza mai superare i 50 cm), caratterizzato da un copricapo con tre sporgeze che si pensano essere la rappresentazione schematica di un uccello in picchiata. Ci sono poi altri due tipi, entrambi costituiti da figure erette (tripodi) e di minori dimensioni: uno è maschile, con copricapo a doppia sporgenza, l’altro è femminile, con 123

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copricapo a banda e gonna. Alcuni esemplari hanno il corpo a fischietto e un supporto posteriore che funge da bocchino. Le figure possono essere o modellate o realizzate con tecnica mista in cui la forma della testa è ottenuta con uno stampo e il resto per modellazione. La loro distribuzione è ristretta al bacino basso del Cotaxtla e al bacino medio e basso del Jamapa, San Juan e Antigua, fino alla costa. A differenze delle figure sorridenti, non se ne incontrano al di fuori di quell’area. La forma e la posizione del tipo principale sembrano trovare origine nei pezzi protoclassici modellati e decorati con bitume. Si sono trovate migliaia di figurine in quell’area, in contesti abbastanza particolari, per esempio dentro a una ciotola, con un tipo I generalmente nel lato nord o nordest, e tipi II e a volte III posizionati in modo da formare una croce. Presentano molta coerenza nell’associazione degli attributi (copricapo/posizione), sia nei pezzi meglio rifiniti che in quelli più grezzi e realizzati affrettatamente: questo dimostra che avevano un valore simbolico molto preciso, più forte nel tipo I, ma riconfermato grazie agli altri due tipi subordinati. Medellín Zenil ha proposto che il copricapo con rappresentazione dell’uccello in picchiata alluda alla mitologia nahua della divinità solare. La posizione orientata verso i punti cardinali potrebbe indicare una relazione con dei cicli astrali, ma sembra più vicina ai principi cosmologici mesoamericani espressi dalla rappresentazione a quinconce. Anche la presenza di una figura dominante sopra altre due subordinate è il riflesso di una particolare concezione dell’organizzazione del mondo. Poiché queste statuine fanno sistematicamente parte di offerte di costruzione, pensiamo che la loro interpretazione come cosmogrammi sia più plausibile nel contesto di un deposito propiziatorio all’interno uno spazio nuovo10. Altri tipi di statuine hanno una sfera di distribuzione ancora più ristretta, trovandosi

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a volte addirittura in un solo sito, come quelle che rappresentano Xipe Tlazoltetol nei dintorni di Remojadas, Loma de los Carmona, Buzón e Tenenepan, i coyote a Buenavista, le signore dipinte di rosso su crema a El Faisán. Esistono meno informazioni su questi tipi ma appartengono anch’essi a tipologie ben definite e presenti in grande quantità in regioni specifiche. Le cosiddette Xipe-Tlazoltetol (attribuzione di Medellín Zenil) sono figure femminili con gonna, quexquémitl, un copricapo che ricorda un bicorno ottocentesco e maschera boccale. Sono rappresentate in posizione eretta e sopra una sorta di palchetto che sembra un trono. L’interpretazione di queste figure come la combinazione di due divinità postclassiche (Xipe per la maschera di pelle scarnificata e Tlazoltetol come divinità femminile principale) appare alquanto forzata. È però innegabile che, data la ricorrenza e gli attributi così particolari della maschera e del trono, non si tratti della rappresentazione di una donna comune. La relazione dei coyote ritrovati a Buenavista con Xolotl, gemello divino di Quetzalcoatl, è già più plausibile, però Xolotl è un cane, non un coyote dal dorso nero. Infine, le figure incontrate a centinaia a El Faisán che rappresentano figure femminili con gonna e quexquémitl, presentano uno stile molto particolare con pittura rossa su sfondo crema. Qualche esemplare è stato trovato occasionalmente anche in altri luoghi, per esempio in alcuni siti del bacino del Cotaxtla e del Blanco. Rappresentano donne sole o con un figlio in braccio. Alcune portano un 128

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complesso copricapo che in qualche caso include la rappresentazione molto realista di un uccello in picchiata. Molte, ma non tutte, sono strumenti musicali. I motivi che le decorano sembrano variare in modo coerente, motivo per cui sembra convincente la proposta secondo cui si tratta di donne in diverse fasi della vita, e dunque non di divinità. Non si spiega però perché a volte presentino copricapi che in altre serie di statuette (le divinità dal lungo naso) sono stati interpretati come attributi di divinità11. Questa discussione solleva la questione della funzione delle statuette: a cosa servivano? L’interpretazione come rappresentazione di alcune divinità può essere ammessa in qualche caso (come le divinità dal lungo naso), però è meno probabile in altri, come le signore di El Faisán, e perlomeno ambigua negli altri due esempi menzionati (e manteniamo qualche riserva sulla validità dell’estrapolazione delle divinità dal panteon nahua postclassico). Tuttavia, il fatto che appaiano ricorrentemente nel contesto di offerte di fondazione appoggia l’ipotesi che fossero oggetti di culto o di protezione divina (funziona apotropaica). Il fatto che in questi contesti le figurine fossero a fianco di sepolture primarie – molte volte in posizione sedente – o secondarie, portò a ritenere che facessero sempre parte del corredo funerario, ma si tratta una deduzione sbagliata. Molte offerte di fondazione sono costituite da vasi e statuette e non ci sono tracce di sepolture (sacrificali) associate, viceversa in molti contesti di sepolture comuni non ci sono figurine nel corredo funerario. Alcune aree del Centro-sud del Veracruz presentano una scarsa varietà di figurine. Per esempio nella Valle di Córdoba se ne incontrano pochissime, quanto meno in confronto ai siti della pianura costiera. In compenso si trovano molti incensieri di vario tipo (sia da mano che con piedistallo). Poiché gli incensieri erano usati nei rituali domestici, è possibile che in questo caso il culto popolare avesse trovato questo tramite espressivo invece delle statuine. Le figure monumentali, che misurano dai 50 cm fino a grandezza naturale, sono tipiche del Centro-sud: la loro manifattura e cottura rappresentò una conquista tecnologica che ebbe pochi paralleli nel periodo Classico. Ci sono esempi di statue monumentali del Classico Tardo a Xochicalco, Monte Albán e nella zona maya, tuttavia non si può comunque escludere che la tecnologia si sia diffusa a partire dal Centro del Veracruz insieme agli elementi del rituale del gioco della palla, dato che in Veracruz appaiono già agli inizi del Classico. Le più conosciute sono quelle di El Zapotal e Nopiloa che provengono da grandi offerte di fondazione, ma se ne trovano in tutti i siti con architettura monumentale del Centro-sud del Veracruz. Sono quindi caratteristiche di tutta la regione. La maggior parte sono però frammenti sconnessi trovati dentro a riempimenti costruttivi. Pertanto è molto difficile interpretare l’identità dei personaggi e lo scopo della raffigurazione, anche perché molti sono pezzi unici che presentano attributi estremamente diversi l’uno dall’altro. Le figurine ritrovate in contesti chiusi, come nel caso eccezionale di El Zapotal, sembrano rispondere a comportamenti diversi: nella “Grande Offerta” che servì da deposito di consacrazione per l’adoratorio dedicato a Mictlantecuhtli, il dio della morte, furono ammassati uno sopra l’altro vasi, figurine, incensieri, strumenti musicali e figure monumentali molto diverse l’una dall’altra; invece nell’offerta di terminazione dello stesso adoratorio predomina la minuziosa collocazione su due file erette di una serie iconograficamente coerente che rappresenta donne di varie età che vestono gonne con cinture di serpenti, copricapi elaborati e una borsa (vedi Ladrón de Guevara, in questo volume). Perché c’è diversità nelle figure monumentali dell’offerta di consacrazione e c’è invece coerenza iconografica in quelle dell’offerta di terminazione dello stesso adoratorio? Perché la serie delle donne può essere messa in 130

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relazione con un tema di morte (giacché sono state interpretate come donne morte di parto), mentre gli altri personaggi no? Prima di essere collocate nelle offerte di fondazione, erano state esposte negli edifici? Fecero parte di grandi scene? I significati associati alla collocazione di figure monumentali non sono al momento chiari. Questa varietà di statuette nel Centro-sud del Veracruz contrasta notevolmente con la scarsità di figurine del Centro-nord dove sono stati ritrovati alcuni pezzi in stile teotihuacano, come nel Centro-sud, ma di base esiste un unico tipo di figurine chiamato San José Acateno che in alcune versioni riporta attributi fallici (un altro caso eccezionale per la Mesoamerica). Se le figurine del Centro-nord scarseggiano in diversità, tuttavia il contesto d’uso è lo stesso: si trovano nelle case più modeste come nelle offerte di consacrazione di edifici di grandi capitali. A Cuajilotes ne sono state trovate più di 1500 in un solo adoratorio che si trova nella piazza principale del sito, mentre a El Tajín ne sono state trovate centinaia nelle offerte di consacrazione agli angoli di un campo da gioco della palla12. La funzione delle figurine è dunque la stessa in tutto il Centro del Veracruz: la loro importanza è riflessa dal fatto che pezzi derivanti dall’ambito popolare siano stati trovati nel contesto di eventi cerimoniali più formali. Il Centro-sud e la Mesoamerica Anche se il tema è stato affrontato in termini generali nei capitoli precedenti, è interessante approfondire il modo particolare con cui il Centro-sud s’integrò con il resto del mondo mesoamericano. Come abbiamo visto, l’area presenta un sostrato olmeco: questo potrebbe spiegare perché dopo il tramonto degli Olmechi a La Venta, il Centro-sud si ritrovò proiettato verso quel grande asse di interazione, e culla delle manifestazioni culturali più antiche della Mesoamerica, che dal Golfo attraversa l’Istmo per arrivare ad abbracciare la costa pacifica del Chiapas e del Guatemala. Ci sono molti altri elementi che da Izapa fino a Cerro de las Mesas (le due grandi capitali dell’epoca insieme a Tres Zapotes) caratterizzano una parte del mondo Preclassico Tardo. Questi elementi sono: la scrittura glifica istmica, il calendario basato sul Conto Lungo, le stele e gli altari, le volute, la rappresentazione di decapitazioni, le figure scheletriche, i governanti, le divinità dai lunghi nasi, le scene narrative a tema storico o mitologico incorniciate da bande di cielo e terra, i vasi neri con bordo bianco ottenuti con cottura differenziale, e infine l’architettura monumentale che si sviluppa intorno a piazze quadrate (e non allungate)13. La grande invenzione del Centro-sud è il rituale di decapitazione associato al gioco della palla. Così, durante il Protoclassico, il Centro del Veracruz si dota di caratteristiche proprie che più avanti saranno assunte dal Centro-nord. Non deve allora sorprendere se Teotihuacan nella sua fase di formazione – tra Tzacualli e Tlamililolpa Antico – adottò alcuni elementi propri di questo rituale, come i gioghi, le volute intrecciate, la decapitazione e probabilmente anche i campi da gioco (oltre ai vasi cilindrici tripodi per il consumo di cacao come bevanda sacra) e li inserì nei suoi spazi architettonici principali, come la Piramide del Sole, la Piramide della Luna e l’area che sarebbe poi stata occupata dalla Cittadella. La futura metropoli si legava simbolicamente con la terra originaria dell’abbondanza e della civilizzazione. L’influenza del Centro del Veracruz (e a quest’epoca soprattutto del Centro-sud) nella formazione di Teotihuacan era già stata ipotizzata dai pionieri dell’archeologia del Veracruz come Seler, García Payón e Medellín Zenil. Gli studi recenti sembrano confermare la loro ipotesi14. Durante il suo apogeo, Teotihuacan consolidò la propria immagine in tutta la Meso132

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america. I contatti con il Centro-sud del Veracruz non si interruppero, probabilmente perché Teotihucan era interessata al cotone della costa (il cotone era una pianta originaria degli ambienti umidi tropicali delle pianure costiere e fino all’Epiclassico non si riuscì a farla acclimatare all’Altopiano). Si trovano elementi teotihuacani in tutti i centri principali. La maggior parte sembrano imitazioni di ceramiche usate nell’ambito di rituali domestici: vasi cilindrici con supporti rettangolari traforati, incensieri con decorazioni modellate, “candelieri” con una o due perforazioni e figurine-ritratto. Inoltre sono state ritrovate imitazioni di ceramiche e maschere teotihuacane nelle grandi offerte di costruzione alla base degli edifici principali o nelle offerte all’acqua, ma rappresentano solo una componente minoritaria all’interno del deposito rituale costituito perlopiù da materiali di tradizione locale. Ci sono anche piccole quantità di ceramica del tipo “Arancione Sottile” e coltelli ed eccentrici in ossidiana verde, probabilmente importati dall’insediamento teotihuacano della Valle di Maltrata. Ci sono poi due casi in cui compare una facciata a talud-tablero, ma nessuna delle due si trova in un edificio principale dei complessi architettonici15. In conclusione, i contesti in cui appaiono elementi teotihuacani nel Centro-sud danno prova di contatti a livello delle élites, che tuttavia non sembrano modificare la struttura fondamentale della società che rimane fedele al rituale del gioco della palla, ai culti regionali e alle reti commerciali di sempre. A questo proposito è importante sottolineare che lungo tutta la traiettoria Protoclassica e Classica il Centro-sud del Veracruz si servì dei nuclei prismatici provenientei dai giacimenti di Zaragoza-Oyameles controllati da Cantona, una relazione commerciale che durò dall’inizio al tramonto di quella città. Più interessante è la somiglianza tra gli schemi architettonici con campi per il gioco della palla di Cantona e quelli del Centro del Veracruz: molti assomigliano ai “piani standard”, con il campo in asse con la Piramide, tipici del Centro-sud, ma ci sono anche disposizioni in cui la piramide costituisce un lato del campo, come nel Centro-nord16. Tuttavia, nonostante la passione di Cantona per il gioco della palla (è il sito con il maggior numero di campi della Mesoamerica: 24) e le somiglianze nella disposizione dei campi all’interno delle città, non ci sono tracce del rituale di decapitazione, né volute, gioghi, asce o palme. Quest’ultimo fattore colloca Cantona in un ambito decisamente estraneo alla cultura del Centro del Veracruz. D’altro canto non ci sono dubbi sul fatto che tra i prodotti scambiati con l’ossidiana vi fossero le palle di caucciù. Nel Classico Tardo il Centro-sud del Veracruz vide una polarizzazione che probabilmente va messa in relazione con la forza acquisita dal Golfo meridionale. Da una parte c’era la zona maya chontal di Tabasco e Campeche, dall’altra il Sud del Veracruz con le sue centinaia di siti monumentali Villa Alta che fiorirono in tutta la regione dopo un lungo periodo di quasi abbandono successivo al tramonto olmeco (quanto meno nelle pianure costiere). In queste zone si trovavano i centri di produzione delle ceramiche fatte con argilla caolinitica, conosciute come “Arancione Fine” e “Grigio Fine”, che a quel tempo erano uno dei prodotti di esportazione più ambiti, dal Belize e dall’Honduras fino all’Altopiano Centrale. La rotta di distribuzione di queste ceramiche durante il Classico Tardo seguiva il corso del basso Papaloapan e del Blanco: nella Mixtequilla e nella Valle di Cordoba le ceramiche di importazione “Arancione Fine” e “Grigio Fine” raggiungevano il 10% del complesso ceramico totale, una percentuale molto considerevole. Non è così nel resto del Centro-sud, dove queste ceramiche sono presenti solo nell’1% o meno dei casi, anche se sono stati trovati in maggiore quantità pezzi che imitano le paste fini17. Nella Mixtequilla e nella Valle di Cordoba sono presenti anche le figurine di tipo mayoide (di tipo maya chontal) che sono però assenti dal resto del Centro del Veracruz. Stesso 133

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discorso per l’iconografia relativa a Quetzalcoatl, che nel Classico Tardo si diffonde come “religione mondiale”18. All’inverso, si osserva la presenza di figure sorridenti fino alla regione dei Tuxtlas e del Coatzacoalcos, dove a quest’epoca si trovano anche gioghi e asce. È dunque possibile osservare come nel Classico Tardo, mentre il complesso del

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Centro-sud seguiva il modello tradizionale per tutto il periodo senza aprirsi a novità, la stretta frangia meridionale lungo il fiume Blanco subiva un reorientamento per cui il dinamico asse di interazione commerciale e ideologica caratteristica del grande apogeo del mondo maya s’integrava con le nuove capitali epiclassiche dell’Altopiano.

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CAPITOLO SESTO MALTRATA, UNA VALLE INTRAMONTANA NELLE TERRE ALTE DEL CENTRO DEL VERACRUZ

Introduzione Maltrata doveva essere una città di frontiera che divideva le civiltà della costa dell’altopiano centrale […] e dove le molte peregrinazioni che andavano in entrambe le direzioni dovevano necessariamente passare coi loro carichi. La grande importanza di questa città in epoca antica è dimostrata dai reperti archeologici che si possono ammirare tra le odierne cascine. Eduardo Noguera L’attuale stato del Veracruz fu occupato in epoca preispanica da diversi gruppi umani che gli studiosi hanno diviso in regioni geografico-culturali sulla base delle loro caratteristiche culturali e concentrando la loro attenzione sulle pianure costiere e i grandi siti. Tuttavia quella regione del Centro del Veracruz formata dalle terre alte che confina con gli stati di Puebla e Oaxaca è stata solo sommariamente studiata alla fine del XIX secolo e agli inizi del XX da Segura, Arroniz, Batres, Betancourt, Arroyo, Noguera e Medellín. Questi studiosi si accorsero della sua importanza come tappa lungo una delle rotte di comunicazione del Messico antico. Recentemente hanno preso avvio dei lavori nella zona montuosa e in particolare nei siti archeologici di Tehuipango, Tlaquilpa, Orizaba e Fortín, tuttavia ancora non se ne conoscono i risultati. Nonostante il territorio impervio, gli antichi abitanti di questa parte della Sierra Madre Orientale si adattarono all’orografia naturale e fondarono diversi villaggi, occupando le creste delle montagne, i pendii e le valli intramontane. Esempio ne sono gli insediamenti ritrovati nelle valli di Orizaba, Acultzingo e Maltrata. In questo articolo tratteremo della valle di Maltrata dove da qualche anno è avviato un progetto di ricerca, frutto della collaborazione tra l’Instituto de Investigaciones Antropológicas dell’Universidad Nacional Autónoma de México e l’Instituto de Antropología dell’Universidad Veracruzana. Lo studio delle popolazioni della valle ha fatto progressi grazie all’individuazione e allo scavo di alcuni siti che hanno permesso di comprendere in maniera continuativa lo sviluppo degli insediamenti preispanici dall’800 a.C. fino a oggi. È stata identificata una 137

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cultura locale denominata “Cultura Maltrata” che, grazie alla sua posizione geografica strategica – è un punto intermedio di facile accesso per attraversare la Sierra dal Centrosud del Veracruz verso l’Altopiano Centrale –, si innestò sulle dinamiche economiche e culturali delle popolazioni presenti fungendo da luogo di passaggio in un’importante rotta di comunicazione e commercio che aveva permesso l’interazione di diverse culture del Messico antico fin dagli inizi del Preclassico Medio. Per questo, all’interno della “Cultura Maltrata” c’erano popoli anche molto diversi tra loro, di epoche e regioni differenti, che hanno lasciato traccia della propria esistenza: Olmechi, Zapotechi, Teotihuacani, Aztechi, Mixteco-poblani (area Puebla-Tlaxcala) e Ispanici. Questo in parte deriva dal fatto che la valle permetteva la sussistenza di una popolazione locale in grado di ricevere innumerevoli viaggiatori, molti dei quali mantenevano la propria cultura materiale e le proprie usanze. Alcuni stabilirono delle enclaves – intese come territorio o gruppo etnico all’interno di un altro – con caratteristiche politiche e sociali differenti per incidere sul controllo di determinate mercanzie che transitavano verso altre regioni della Mesoamerica. Altri cercarono di conquistare il luogo per estendere il proprio dominio. In epoca coloniale, erano gli Spagnoli a controllare la valle dando vita a un meticciaggio che rivelava molto della cultura indigena, nonostante la lingua nahuatl non fosse più parlata. Questa funzione della valle, unita alla ricchezza dell’ambiente, permise il commercio e lo scambio costante tra la Costa del Golfo e le valli di Puebla-Tlaxcala, il Bacino del Messico e la regione di Oaxaca, a differenza dei grandi centri cerimoniali e delle grandi città il cui splendore durò poco tempo. Nel corso degli scavi si sono individuate le caratteristiche particolari di ogni insediamento a seconda del periodo: i modelli insediativi, l’architettura, i vasi e le statuine di

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ceramica, le pratiche funerarie, gli utensili di ossidiana, basalto e osso. Questi oggetti ci parlano dell’economia, dell’organizzazione sociale, religiosa e politica di questi siti, dei rapporti con altre aree e della vita quotidiana degli abitanti, rendendo ancora più affascinante lo studio della valle di Maltrata di cui adesso possiamo in parte ricostruire la storia preispanica e contestualizzarla all’interno della Mesoamerica. Ubicazione e contesto geografico La valle di Maltrata, che si trova a 1650 m slm, è l’ultima di una serie di valli nella Sierra che si restringono sempre di più man mano che dalla pianura costiera si sale verso l’Altopiano. Si trova a oriente del Veracruz, vicino al confine con Puebla, a 27 km da Orizaba sulla superstrada n. 150 che va da Città del Messico a Puebla. Le sue coordinate sono 18° 48’ 40 nord di latitudine e 97° 16’ 30 ovest di longitudine. Fino a pochi anni fa ci si arrivava anche in treno come rimane testimoniato dalla vecchia stazione ferroviaria ora in disuso e dal monumentale edificio abbandonato della sottostazione elettrica costruito in stile inglese. Sulle pendici dei monti è ancora presente qualche tratto delle vie ferroviarie, oggetto di molti saccheggi negli ultimi anni. Il capoluogo di Maltrata si trova al centro, mentre a est c’è la colonia Heriberto Jara Corona, costruita sopra un manto basaltico. A ovest della valle s’incontra il piccolo comune di Aquila, nel punto in cui la vallata si restringe fino a formare una sorta imbuto e dove iniziano le pendici pronunciate e i monti in leggera pendenza da ovest a est che portano lo stesso nome del villaggio. Ci sono molti sentieri che portano al Pico de Orizaba dal lato nord, mentre a sud la cosiddetta Sierra de Xochio è costeggiata da sen-

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tieri che portano alla vicina valle di Acultzingo. Nell’estrema parte orientale, il bacino basso del fiume Maltrata ha formato nel tempo una sorta di corridoio pianeggiante che si collega a quello di Orizaba dove si trova la zona inurbata che porta lo stesso nome e include vari comuni (INEGI, 2000 I: 78-79). Dal punto di vista geologico, la valle si trova nella depressione Acultzingo-Córdoba e risale al Cretacico Superiore e Inferiore, presenta manifestazioni del Terziario Continentale dell’Era Cenozoica. Sono infatti presenti colate di lava che hanno originato affioramenti di roccia composta da breccia ignea vulcanica e tufo visibili nei monti che sono stati tagliati per aprire dei sentieri. Alcune di queste rocce risalgono all’Era Cenozoica del Periodo Terziario Superiore e sono il prodotto dell’attività vulcanica del Pico de Orizaba. Attualmente sappiamo dell’esistenza di varie crepe nel terreno che attraversano la valle: una zona ad alto rischio che ha visto molti movimenti sismici. La valle copre un’area intorno ai 14 km2, e un paio di chilometri si estendono nella sua parte più larga, da nord a sud. Dal punto di vista climatico è un’area di transizione che va dai climi caldi della pianura a quello temperato della montagna, appartiene al gruppo C nella classificazione Köppen (W1) (W). Si può quindi godere di un clima temperato subumido e di temperature tra i 18 e i 25° C, con presenza di piogge in estate, ovvero nei mesi più caldi (maggio-settembre), mentre tra novembre e febbraio le temperature minime scendono fino a 0° C e le massime si aggirano intorno ai 15° con improvvisi sbalzi di temperatura a causa delle piogge d’inizio anno chiamate “suradas” e “nortes”. Queste condizioni climatiche incidono parecchio sul paesaggio poiché le piogge estive causano un’improvvisa intensificazione nel verde della vegetazione che contrasta con il dorato degli arativi e della sterpaglia secca, mentre nel paesaggio spiccano i monticoli preispanici coperti da pascoli e vegetazione bassa. La valle è attraversata da est a ovest da un fiume stagionale, il Maltrata, formato dalla confluenza delle correnti d’acqua che scendono giù per i burroni e dalle sorgenti nate tra le pieghe dei monti. I canali durante la stagione delle piogge aumentano fino a straripare. Tra i corsi d’acqua più importanti abbiamo il Barranca de Tecoac a nordovest, quelli che nascono a Boca del Monte e nelle Cime di Maltrata e Aquila, oltre a quelli originatisi tra i calanchi di Tlatzala, Aquiosto, Zacatonal e Zacatipan e le sorgenti di Achotongo, Apiasco, Chicanopa e Atzompan (Gándara, 1899). Quando le sorgenti fluviali arrivano nella città di Maltrata formano un unico torrente che scorre nella parte sud della città e continua verso est dove si unisce alla sorgente di Apiaxco, o Infiernillo, fino a sfociare nel fiume Blanco. In alcuni punti, il fiume ha scavato un canale profondo otto metri che rimane secco la maggior parte dell’anno. Quasi tutta la valle è coperta da un suolo argilloso e fertile favorevole all’agricoltura, a differenza del suolo calcareo delle zone pedemontane e nelle zone più alte dei boschi di conifere tipici dei climi temperati, umidi e freddi dove crescono pini e abeti. In alcune aree si possono vedere i blocchi calcarei rossastri del terreno lasciati allo scoperto dopo l’estrazione del fango che si trova in superficie e che viene usato per la fabbricazione di mattoni. In quei punti la vegetazione non cresce e il terreno non è utilizzabile per l’agricoltura o la pastorizia. Questi fattori hanno fatto sì che l’economia degli attuali abitanti del luogo si basi sull’agricoltura stagionale o d’irrigazione e in minor scala sulla pastorizia e la produzione di mattoni. Gli insediamenti Durante le prime esplorazioni abbiamo registrato 14 insediamenti preispanici che comprendono 292 strutture e altri quattro siti coloniali, distribuiti in un’area di 14 km2, coerenti dal punto di vista spaziale e temporale in quanto a caratteristiche geografiche, distribuzione delle strutture, presenza o assenza delle stesse, densità e stili dei resti ceramici, ossei e litici quali ossidiana, basalto e selce. Gli insediamenti si svilupparono in un paesaggio collinare, pedemontano e pianeggiante. L’orografia, diversa a seconda dell’altezza, fece sì che gli abitanti dedicassero aree diverse ad attività differenti, modificando e adattandosi alla topografia del luogo. 140

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Nell’utilizzo dello spazio si può già vedere un’organizzazione sociale complessa: si riconosce la presenza di una gerarchia permanente dalla disposizione delle strutture. Le residenze dei signori o dei governanti si collocavano nei luoghi più elevati, così come i luoghi sacri ad accesso ristretto dove si svolgevano le attività rituali. Più in alto erano gli edifici, più era ristretto l’accesso agli stessi che dal basso apparivano come strutture poste sopra una piramide altissima. Gli stessi spazi venivano usati anche come luoghi di avvistamento. In un caso, unico per la regione, è presente anche un campo da gioco della palla, ancora una volta uno spazio di tipo rituale. Le piattaforme e gli edifici piramidali che circondano le piazze, presenti anche nella parte bassa, erano la sede delle attività civiche: le piazze ospitavano le cerimonie o il mercato, mentre le pendici dei monti erano occupate dalle aree abitative e venivano usate per la coltivazione. I monti, 141

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così vicini alla valle, completavano il frastagliato paesaggio costituito dagli edifici piramidali. Il numero degli insediamenti non aumentò né diminuì a seconda delle epoche, poiché erano sempre presenti quattro insediamenti concentrati in un determinato spazio per ogni periodo. La popolazione non si disperse da un’epoca all’altra, né crebbe considerevolmente. Fu piuttosto operata una riorganizzazione spaziale in cui alcuni luoghi venivano lasciati per occuparne degli altri, probabilmente nel rispetto degli antichi luoghi costruiti dagli antenati, dato che si poteva disporre di tutta la valle per seminare, raccogliere e cacciare, come si fa oggi. Intorno alla valle incontriamo siti nei passi di montagna, sia preispanici che coloniali, che servivano per il controllo dei flussi di viaggiatori (Trujillo, 2004; Lira, 2004a: 164). Gli insediamenti sorsero vicino alle fonti d’acqua come il fiume Maltrata, alle sorgenti sotterranee, di cui alcune ancora esistenti, e in un caso in un ambiente lacustre, oggi quasi scomparso, dove la popolazione poteva contare su un elemento permanente e stabile, ricco di fauna e di vegetali acquatici (che erano simili a quelli presenti nelle regioni del Bacino del Messico, della Valle di Puebla-Tlaxcala e delle terre basse del Veracruz). Le correnti fluviali dei calanchi trascinarono i sedimenti che generarono una pianura alluvionale con suoli fertili adatti all’agricoltura intensiva, tuttora praticata. I boschi di montagna media e alta che circondano la valle provvedevano al rifornimento di animali, legno e specie vegetali. Inoltre, i giacimenti naturali di ossidiana del Pico de Orizaba e quelli di selce e di basalto fornirono la materia prima per i manufatti (Lira, 2004a: 165). Le strutture piramidali erano costruite con la pietra calcarea del luogo senza bisogno di usare una malta, ricoprendo semplicemente i muri di stucco. La diversità dei vasi e delle figurine (modellate e a stampo) ci ha permesso di differenziare i complessi e gli stili e stabilire delle affinità culturali. Sono quindi la base di qualsiasi ricerca archeologica, soprattutto perché venivano utilizzati in tutti gli ambiti della vita quotidiana e rituale che non era limitata allo scambio di materie prime e di prodotti, ma anche alla condivisione di idee e modi di vivere. Grazie alla comparazione con altri resti della cultura materiale possiamo differenziare sei periodi – di cui parleremo in seguito sottolineando gli aspetti particolari di ognuno – che si rifanno alla nomenclatura tradizionale presente in letteratura archeologica: Preistoria, Preclassico, Classico, Epiclassico, Postclassico e Colonia. Le prime tracce di vita nella valle Sono stati ritrovati pochi resti in situ di epoca preistorica nello Stato del Veracruz. Quando l’archeologo Jeffrey K. Wilkerson affermò che non vi era stata attività umana a causa dei ghiacciai del Pico de Orizaba (1988), si perse l’interesse nella ricerca di resti umani per quel periodo. Proprio per questo motivo, i resti di megafauna (un mammut, l’osso di un bradipo e quello di una capra) che abbiamo trovato in situ, a 4,50 m di profondità, nella Barranca Apiaxco – che funziona come un’entrata naturale alla valle dal lato est –, insieme ad altre scoperte fortuite effettuate negli ultimi dieci anni nella regione di Córdoba-Orizaba, rendono ancora più interessante lo studio della presenza di vita nella valle. Questi resti di megafauna sono stati datati a 10.000 anni fa e questo ci porta a riflettere sulla possibilità che occasionalmente la valle fosse visitata o abitata da gruppi umani anche a quell’epoca (Serrano e Lira, 2005). Attualmente si pensa che le condizioni climatiche non impedissero la vita animale, è quindi altamente probabile che 142

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vi transitassero microbande e che queste abbiano lasciato tracce della loro occupazione nelle grotte e nei ripari rocciosi della valle di Maltrata e nella regione circostante. Le scoperte di resti di mammut e di fauna pleistocenica sono molto importanti per l’archeologia perché è molto probabile che insieme a questi resti fossilizzati si possano trovare tracce della presenza umana. I primi villaggi e centri cerimoniali Lo sviluppo culturale nell’attuale territorio messicano è antico, dato che già dal Preclassico (1500 a.C.-200 d.C.) era presente nel sud del Veracruz e in parte del Tabasco la prima civiltà mesoamericana, quella olmeca. È fuori di dubbio che da questo epicentro 143

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la civiltà si estese a numerose parti del Messico e che questo avvenne tramite delle rotte lungo le quali rimasero tracce degli Olmechi nei diversi stili dei vasi di ceramica, nelle statuette e nella scultura. Fu un periodo di grande dinamismo culturale in Mesoamerica durante il quale la cultura olmeca stabilì dei modelli culturali che rimasero a lungo ed ebbero larga diffusione. Allo stesso tempo, i gruppi insediatisi nel Centro del Messico in tempi antichi usarono queste rotte alla ricerca di risorse naturali presenti nella Costa del Golfo. La valle di Maltrata non rimase esclusa da questi movimenti, anzi fu di appoggio a questa forte mobilità di popoli e cultura. Per questo i materiali archeologici che abbiamo trovato e datato a questo periodo presentano una grande varietà di tratti culturali: olmechi, zapotechi e dell’Altopiano Centrale. Le prime popolazioni presenti a Maltrata si concentrarono in villaggi costruiti negli spazi pianeggianti all’estremo ovest della valle, vicino alle fonti d’acqua, e seminavano e cacciavano nelle restanti zone della valle che non erano inondate grazie a degli strati di ghiaia e di sabbia (ritrovati a diversi livelli durante gli scavi). Erano insediamenti formati da gruppi sedentari che basavano la propria sussistenza su un’economia agricola integrata da attività di caccia e raccolta. Nelle comunità erano presenti dei centri cerimoniali che erano tutti concentrati in uno spazio; l’organizzazione sociale era stratificata e probabilmente si praticava un culto alla fertilità. I siti presentano sia un’architettura monumentale in pietra squadrata, sia costruzioni in adobe con pavimenti di fango e stucco, che mostrano perlomeno tre tappe costruttive o rimodellamenti. Il nucleo di alcune strutture è di terra o di pietra, con un rivestimento in pietra lavorata e stucco per dare all’edificio la sua forma definitiva. I morti venivano sepolti in vari modi nelle case e vicino ai focolari (concentrazioni di pietre bruciate e ceneri), dando luogo ai cosiddetti pozzi o formazioni troncoconiche, delle quali alcune furono usate come discariche nelle vicinanze delle abitazioni. Questi popoli elaborarono utensili e strumenti per la vita quotidiana come vasi di terracotta in varie forme e decorazioni, utilizzarono il basalto per macinare e preparare alimenti, lavorarono l’ossidiana, la selce e altre pietre così come ossi di animali e umani come utensili e strumenti musicali o come elementi decorativi. Importavano dalla costa le conchiglie che in alcune occasioni accompagnavano gli individui nelle sepolture (Lira, 2004a). La loro alimentazione era basata sulla coltivazione del mais, come attestato da alcuni frammenti ritrovati negli scavi, e dunque caratterizzata dall’alto consumo di carboidrati come testimonia anche la forte incidenza di malattie della bocca (carie) riscontrata nei resti dentari. Sono stati ritrovati molte macine e i relativi utensili da macinazione (metates e manos de metates).

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Sono queste in sostanza le basi della “Cultura Maltrata” che nel giro di 2500 anni in alcuni si sono conservate più o meno bene, a volte con leggere modificazioni, in altri casi sono scomparse per dare spazio a nuovi tratti culturali che si sono incorporati alla vita quotidiana grazie al commercio. Passiamo ora all’analisi di alcune particolarità delle popolazioni presenti a Maltrata nel Preclassico. Gli insediamenti principali erano quattro: Tetel de Rancho Verde, Teteles de la Ermita, Barriales de las Besanas e Rincón de Aquila (quest’ultimo ha inizio nel Preclassico e continua fino al Classico quando ha il suo periodo di massimo apogeo). I primi due mostrano strutture in superficie, mentre del sito Barriales de las Besanas non si può definire un’estensione precisa poiché le strutture preispaniche sono coperte da uno strato di fango di 1 o 2 m e sono state trovate solo in conseguenza dell’estrazione di fango per la produzione di mattoni da parte degli abitanti del luogo. L’area di Tetel de Rancho Verde copre una superficie di 1.100 m da est a ovest e di 450-500 m da nord a sud, dove sono presenti 36 piccoli monticoli compreso il Tetel de Rancho Verde, una piattaforma che spicca nel paesaggio per le sue dimensioni: 120 m di lunghezza, 70 m di larghezza e 15 m di altezza. Il monticolo era in posizione centrale nel sito: doveva essere il punto focale dei rituali pubblici poiché supera come dimensioni le piattaforme di altri siti dello stato del Veracruz di questo stesso periodo. A est si trova il sito Teteles de la Ermita che copre una superficie di circa 700 m da ovest a est e 600 m a nord a sud. È formato da sette strutture tra cui una piattaforma (70 m x 50 m x 9 m, 15° NW) e tre edifici piramidali che delimitano un’ampia piazza rettangolare di 140 m x 70 m (Lira, 2004a). Come molti siti del Preclassico, si trovava in un punto di facile accesso all’acqua, nella zona subito a ovest della Barranca Tecoac che porta l’acqua delle montagne verso nord fino a confluire nel fiume Maltrata. Durante gli scavi abbiamo scoperto che alcune case-abitazioni a uso domestico furono costruite con muri di adobe e pavimenti di fango (a 20 cm dalla superficie), altre case presentano semplici fondamenta formate da pietre calcaree allineate, muri verticali, muri angolari con cenere all’interno, spazi con riempimento culturale, discariche, sepolture tra i muri e sotto i pavimenti di fango. Altre costruzioni potrebbero corrispondere a spazi civili come le tre grandi strutture che abbiamo chiamato A, B e C e che consistono in muri a talud con rivestimento di stucco che formano un angolo e le cui facciate danno verso ovest e verso sud. La struttura A è formata da un angolo con muro a talud coperto di stucco e vi è addossato un muro (Muro 1) senza rivestimento e rivolto a sud. Alla struttura B, formata da

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un angolo con muro a talud stuccato, furono addossati due muri (Muri 2 e 3) senza rivestimento e con facciata rivolta a sud. La struttura C, formata da un muro verticale stuccato, è addossata alla struttura A. Parallelamente alla struttura C corrono altri due muri con facciata rivolta a ovest. A sud dei muri addossati alla struttura B si trovano due muri a forma di talud, uno di fronte all’altro delimitati a nord da un muro verticale. Questi taludes furono coperti da un’altra struttura a forma di talud e rivolta a sud. La costante presenza di addossamenti indica che i costruttori ampliarono e rinnovarono la struttura. Proponiamo tre tappe costruttive alle quali furono addossati altrettanti muri tra i quali furono trovati tre individui disposti a diverse profondità sullo strato naturale di argilla e che presentano poco corredo di offerta (Lira, 2005 e 2010). Il sistema costruttivo e materiale utilizzato è notoriamente differente tra le due abitazioni a seconda della funzione che ebbero. Inoltre, l’abbondante presenza di artefatti nella casa-abitazione di carattere domestico – quali frammenti di vasi, schegge e coltelli di ossidiana nera, grigia, grigia con venature, verde, frammenti di metates, manos de metate, frammenti di statuine, punte di osso, cocci bruciati, grumi di carbone (Lira, 2010) e frammenti di fango fuso (che potevano far parte del rivestimento di una qualche parete o pavimento) – contrasta con la riduzione di questa a semplice struttura civile. Il sito Barriales de las Besanas copre un’area di circa 550.000 m2. Si tratta di ampi terreni pianeggianti che gli abitanti del luogo chiamano “las Besanas”, mentre “barriales” deriva da “barro”, fango, materiale presente a banchi fino a 3 m di profondità e usato per la fabbricazione di mattoni. In alcune sezioni si può distinguere uno strato di pietra di fiume che rivela la presenza di canali precedenti all’attuale torrente. Per quanto riguarda l’architettura, vi sono tracce di pavimenti di terra battuta, muri e pavimenti ricoperti di stucco come nel sito precedente, con presenza frequente di focolari e sepolture con offerta di ceramica e statuine associate. Figurine e pratiche funerarie Nel Preclassico mesoamericano ebbero particolare rilevanza le rappresentazioni femminili elaborate in argilla e con pochi vestiti. A Maltrata erano molto frequenti e ciò che

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colpisce è la varietà di tratti relazionati alle tradizioni culturali dell’Altopiano messicano e della Costa del Golfo (Martínez e Lira, 2009), così come i luoghi in cui sono state ritrovate. Furono infatti utilizzate nelle offerte funerarie, ma sono state ritrovate anche nelle discariche delle aree abitative, nei riempimenti degli edifici e in superficie. Hanno una distribuzione uniforme che copre tutto il periodo di occupazione, indipendentemente dalla fase tipologica delle statuine. Una gran parte di queste raffigurano diversi stadi della gravidanza, contribuendo a rafforzare l’ipotesi che le collega a un culto della fecondità femminile o della fertilità agricola in cui è evidente il risalto maggiormente dato alla donna dato che le statuine di genere femminile nel Preclassico superano quelle di genere maschile (Lira, 2009). È nota la frequenza di figurine con tratti culturali tipici dell’Altopiano sia a Maltrata che in molti siti della valle di Tehuacán e del Centro del Veracruz, in contrasto con le poche statuine del tipo baby face della Costa del Golfo. La quantità e la diversità delle figurine e dei vasi di ceramica associati a delle sepolture, così come la variabilità di queste (sepolture multiple-secondarie e di individui in posizione fleassa, con o senza offerte), mostrano quanto furono importanti per la società preclassica, e come furono relazionate con l’organizzazione sociale e la posizione sociale dell’individuo, che poteva appartenere a diversi strati sociali (Lira, 2007). Il contesto e la disposizione dei materiali archeologici di una delle aree scavate a Barriales de las Besanas indicano che si tratta di un’area residenziale in cui un pavimento di fango, carbone e cocci è interrotto dalla presenza di fuochi e di una sepoltura in una formazione troncoconica scavata fino a 4,60 m di profondità. Si tratta di una sepoltura primaria diretta di un individuo in posizione di decubito ventrale piegata, un bambino tra i 5 e i 7 anni di età, probabilmente di sesso femminile, deposto tra i 3,32 e i 3,56 m di profondità. Sotto la sepoltura erano stati adagiati 11 vasi: un vaso grigio di pasta grigia fine decorata con incisioni e fratturato in due parti (“ucciso”), una ciotola grigia fine con incisioni, un vaso con ingobbio nero, tre ciotole con ingobbio bianco e doppia linea incisa sul bordo, un vaso con decorazione rosso su bianco, tre vasi globulari bruciati e un vaso globulare con ingobbio rosso. Inoltre erano presenti un numero considerevole di frammenti di vasi fabbricati grossolanamente in terracotta nera, caffè, rossa e arancione, altri ricoperti di ingobbi neri, marroni, rossi, arancioni, bianchi e crema con incisioni sul bordo, con decorazioni rosso su bianco o crema e infine ceramica grigia fine e ingobbio nero o caffè di pasta fine compatta con forme e decorazioni simili alle precedenti (Lira, 2010). Insieme a questi vasi c’erano 10 frammenti di statuine (torso ed estremità), di cui una di donna completa (spezzata in due parti) con in braccio un bambino, e tre torsi slanciati simili alle figurine trovate nell’Altopiano (C10 di Reyna Robles, 1971), due frammenti di gamba con il “piede inarcato”, un altro torso, una faccia baby face e due punte di osso di cervo. La variabilità dei questi tipi ceramici e di queste statuine, oltre a dimostrare la presenza di scambi fin da epoche antiche, indicano anche l’esistenza di una società gerarchica con ranghi sociali elevati raggiungibili solo per via ereditaria, poiché raffigurano bambini che mostrano già tratti di differenziazione sociale. Per la società preclassica di Barriales de las Besanas si è ipotizzata la presenza di una società gerarchica paragonabile alla fase San José della Valle di Oaxaca. Alcuni indizi infatti suggeriscono che le differenze di posizione sociale fossero ereditarie poiché esse sono riscontrabili nelle sepolture di bambini, dunque troppo giovani per aver raggiunto da soli un’elevata posizione sociale (cfr. Marcus e Flannery, 2001: 113). Nel caso delle sepolture della fase San José e dei materiali a esse associati, ci sono indizi di differenze nello status sociale, ma non abbastanza da capire se queste erano state ereditate o piuttosto acquisite. Nel caso di Barriales de las Besanas a Maltrata non sono state trovate eleganti tombe né sepolture sotto i pavimenti del palazzo, ma sotto una casa-abitazione, dove fu trovato l’individuo sopra descritto accompagnato da una grande offerta. Quest’individuo, possibilmente una “bambina”, è collocato sopra uno strato di ceramica e figurine, come se fossero le sue accompagnatrici. La presenza di ceramica grigia fine, che era una ceramica di lusso e di importazione, parrebbe indicare l’appartenenza della bambina a un rango elevato. Inoltre, gli oggetti di terracotta che presentano stili foranei indicano che 147

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doveva appartenere a un gruppo familiare con alte possibilità di accumulare articoli grazie al commercio a lungo distanza. Questo implica chi la seppellì, riconosceva la sua appartenenza a un’élite (cfr. Marcus e Flannery, 2001: 121). Oltre a questi due elementi – la disposizione del corpo e l’accumulazione di beni importati –anche le figurine indicano la presenza di una gerarchia. La posizione di autorità è definita alla posizione del corpo che a volte può essere in “postura di obbedienza”. Le ricerche nelle valli centrali di Oaxaca mostrano che nelle sepolture gli individui con “postura di obbedienza” sono numericamente superiori e si trovano a profondità maggiore, poiché le loro teste restano a un livello inferiore a quello degli individui con postura di autorità. In sostanza, i membri delle élite venivano collocati inginocchiati, o forse originariamente seduti, sopra i loro subordinati. A Barriales de las Besanas si ritrova lo stesso concetto, dato che la “bambina” si trova all’entrata di una formazione troncoconica dentro cui sono state trovate varie figurine. Riprendendo l’ipotesi formulata per Oaxaca secondo queste statuine rappresentavano “piccole scene rituali” (Marcus e Flannery, 2001: 117), è accettabile pensare che le figurine della formazione troncoconica rappresentassero i subordinati della bambina. Il fatto che al posto di esseri umani siano state sepolte delle figurine potrebbe essere una conseguenza della giovane età dell’individuo che quindi non poteva possedere veri e propri subordinati al suo servizio, ed è proprio questo che rende il ritrovamento interessante. In uno scavo vicino alla piattaforma principale del sito Tetel de Rancho Verde abbiamo trovato dentro una formazione troncoconica una sepoltura multipla secondaria associata a una struttura. La sepoltura potrebbe essere stata un’offerta per l’edificazione della struttura destinata a persone di alto livello sociale. La disposizione della sepoltura è alquanto complessa se comparata con le altre, merita pertanto particolare attenzione (Lira, 2004a e 2007). Era formata da 18 individui di cui uno con deformazione tabulare eretta fronto-occipitale (caratteristica del Preclassico), 10 individui adulti (35-65 anni), cinque maschi e cinque femmine (Mendoza, 2004) e 22 vasi in offerta. La tomba era stata sigillata con delle lastre di pietra calcarea. I resti ossei erano collocati tra i 2,95 m e i 3,24 m, la maggior parte erano disarticolati e dispersi e non presentavano più la posizione anatomica originale a causa di qualche trattamento mortuario subito prima dell’inumazione finale. In associazione con le ossa vi era il frammento di un coltello in ossidiana grigia (in mezzo ad alcune costole); una punta di ossidiana grigia con delle venature; alcune vertebre dentro una mandibola e vicino a queste una perlina o un disco di pietra verdastra con un buco al centro. I vasi erano composti da piatti con decorazioni rosso su crema, ciotole dal profilo complesso con decorazione in negativo, piatti di ceramica grigia fine, un vaso con ingobbio rosso inciso, piatti e ciotole in pasta grezza rossiccia. C’era poi un coltello intero di ossidiana grigia, un mortaio con la sua pietra per macinare e una statuina. Sotto questo strato di ossa e vasi (1,60 m di diametro) erano stati collocati altri recipienti in terracotta spezzati sopra la base di una pietra piatta. Sotto questa c’era un sottile strato di terra nera con resti di carbone e poca ceramica sulla terra naturale (Lira 2004b). Sono state trovate anche sepolture semplici che sono molto diverse da quelle appena descritte. A Teteles de la Ermita sono state trovate sepolture di individui primari diretti: uno era sotto un pavimento di terra battuta e altri tre sotto e vicino a una struttura (Lira, 2005). Il primo individuo si trovava in posizione di decubito laterale sinistro, con le gambe piegate verso ovest e orientato sull’asse sudest-nordovest. È un individuo di sesso femminile, adulto, intorno ai 50 anni di età o più (comunicazione personale di Carlos Serrano e Eira Mendoza Rosas). Il secondo doveva trovarsi nella sua seconda infanzia quando è stato sepolto in posizione di decubito laterale sinistro con le gambe piegate verso ovest e le braccia incrociate. Sembra esistere un modello di sepoltura, dato che i due individui si trovavano nella stessa posizione, così come altri individui ritrovati in diverse parti della valle. Il terzo individuo era in posizione di decubito ventrale con le gambe piegate e le braccia incrociate, ovvero con la testa rivolta verso il basso, e un orientamento nordest-sudovest. Si tratta di un individuo adulto di 35-40 anni di età, di sesso maschile. Il quarto individuo è stato ritrovato sotto un pavimento di terra battuta ed è un bambino con una conchiglia come ornamento, il cui cranio si trovava a 60 cm di profondità. 148

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Gli utensili L’uso di utensili di ossidiana nella vita quotidiana (lame, punte, punteruoli, raschiatori) era molto diffuso e apprezzato in Mesoamerica. Per quanto riguarda la valle di Maltrata, grazie alla presenza di artefatti di ossidiana provenienti da diversi giacimenti, siamo riusciti a individuare parte delle rotte dell’ossidiana che erano usate già dal Preclassico da Zaragoza-Oyameles (ossidiana grigio-nera) e dalla Sierra de las Navajas (ossidiana verde) per distribuire artefatti nei siti ubicati a sud e sudest del Veracruz (Puga e Rivera, 2004). I materiali di ossidiana che presentano una colorazione grigia, grigio-nera, grigia con venature di grigio trasparente e alcune fasce più scure provengono, secondo le analisi petrografiche realizzate da Pastrana (1986: 143; 1989: 148), dal giacimento di Pico de Orizaba, mentre quelli in ossidiana nera lucida grigio-chiara e opaca provengono dal giacimento di Zaragoza-Oyameles. Poiché sono state trovate schegge di decorticazione che si producono quando viene usata la tecnica della percussione diretta con percussore duro, una tecnica che tramite il distacco parziale serve a liberare il nucleo dalle impurità, si può dedurre che i blocchi di ossidiana arrivavano semipreparati e poi venivano lavorati in loco. Si può vedere il successivo processo di scheggiatura nelle schegge di preparazione (irregolari, prodotto dei primi distacchi) e di riduzione che hanno un filo vivo, prodotto della scheggiatura. Ci sono anche schegge di percussione ottenute da ciotoli per le attività quotidiane, lame con tallone levigato e filo vivo e lame consunte e ritoccate con la tecnica della pressione per poterle riutilizzare. Inoltre sono state tro-

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vate microlame, perforatori, coltelli, raschiatoi e punte ricavati a partire da un nucleo prismatico che arrivarono nella valle come nuclei semi-preparati e furono lavorati in loco: la maggior parte furono elaborati a partire da schegge e lame riutilizzando dei manufatti. Non sarebbe strano se la popolazione che si era stabilita nella valle durante il Preclassico si fosse rifornita di questa materia prima nelle colate del Pico de Orizaba (Puga e Rivera, 2004: 269). L’assenza di centri di lavorazione e scarti dell’ossidiana verde contrasta con la presenza di lame di questo materiale. Probabilmente la sua funzione principale fu quella di essere una merce di scambio all’interno di un’ampia rete di produzione, distribuzione e consumo per molti anni. A partire da queste prove pensiamo che i siti ubicati a ovest della valle di Maltrata producessero manufatti da usare all’interno del gruppo a cui appartenevano, senza distribuirli fuori dall’area di appartenenza. Si tratta di una società in cui tutti i membri della famiglia partecipavano al processo di lavorazione per ottenere un certo tipo di manufatto: questo implicava mandare un gruppo di persone a realizzare l’estrazione, trasportare il materiale dal luogo di origine e lavorarlo tutti insieme. Tra gli utensili per il trattamento degli alimenti si contano i metates concavi apodi a pianta ovale e subrettangolare e i manos de metates come pietra per macinare, che indicano una minore specializzazione nella manifattura. Questi materiali presentano superfici levigate originate da un uso regolare e prolungato, alcuni sono di colore bruno a causa dell’estrema usura e altri mostrano segni di riutilizzo (Galind, 2005). Tra gli oggetti della vita quotidiana ritrovati ci sono anche corni in quantità, ossa di cervo e ossa

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di canidi modificate per farne levigatori, punteruoli e aghi. Unendo tutti i dati, si può supporre che l’insediamento preclassico sia iniziato nel sito di Tetel de Rancho Verde, nel quale sono stati trovati materiali del Preclassico Inferiore, come le figurine dai tratti molto grezzi di un gruppo preolmeco. Il numero di abitanti sembra essere aumentato intorno al Preclassico Medio e Superiore nei siti di Aquila, Rincón de Aquila, Teteles de la Ermita e Barriales de las Besanas. Sicuramente c’era un centro cerimoniale con una o più comunità di tipo agricolo con case disperse intorno. Gli elementi ceramici che abbiamo identificato corrispondono al Preclassico Medio (900-400 a.C.) e appartengono alla sfera di distribuzione della tradizione olmeca della 152

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Costa del Golfo e del Bacino del Messico. Ci sono poi le ceramiche tipiche della regione di Oaxaca come le decorazioni incise, i motivi a sgraffio a forma di triangolo, la cottura differenziale, i vasi con ingobbio bianco e linee incise parallele al bordo, ceramica grigia fine. Tra le figurine risaltano quelle chiamate Tres Zapotes, baby face, Tlatilco e Tlapacoya. La presenza della ceramica con ingobbio bianco e decorazione incisa è importante poiché è caratteristica del Formativo Medio nel bacino di Tehuacán, Oaxaca Centrale e Morelos (Chalcatzingo). Ebbe un ampio raggio di distribuzione poiché la si trova nella fase Conchas nella Costa del Pacifico in Guatemala, Chiapa de Corzo II nel bacino del Grijalva in Chiapas, Guadalupe in Oaxaca, Aguilar nella regione di Pánuco 153

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(Progreso bianco), Trapich II nel Centro del Veracruz, nei siti di La Venta in Tabasco e Tlatilco, El Arbolillo e livelli medi di Puerto Marqués in Guerrero (MacNeish et al., 1970: 59). La ceramica grigio-fina è relazionata principalmente con la tipologia Monte Albán I, che è un ottimo marcatore temporale per il Preclassico Tardo (400 a.C.-200 d.C.) nella Valle di Tehuacán poiché mostra somiglianze e affinità con quella grigia della Valle di Oaxaca (MacNeish et al., 1970: 120, 133), Chiapa de Corzo III-VI, Monte Albán I e II e Tres Zapotes Medio. È quindi legata alla Valle di Oaxaca, Chiapas e Centro-sud del Veracruz. Per Marcus e Flannery la ceramica grigia della Valle di Oaxaca era una ceramica di lusso che veniva commerciata con San Lorenzo, con Aquiles Serdán nella costa chiapaneca del Pacifico e con Tlapacoya nel Bacino del Messico. Tanto Tehuacán quanto Oaxaca possedevano una grande quantità di beni importati tra cui hanno un posto particolare le ciotole in pasta grigia fina. Con questi elementi possiamo affermare che fin dal Preclassico Medio gli abitanti delle valli di Tehuacán e Maltrata usavano la ceramica grigia tipica di Monte Albán, la cui presenza diminuì verso il Preclassico Tardo essendosi allentati in qualche modo le comunicazioni e i rapporti tra queste regioni e Monte Albán (Drennan, 1997: 53-54). Nel contesto regionale questi elementi sono la riprova che la valle era un luogo di passaggio importante tra l’Altopiano e la Costa dato che la rotta dirigeva verso il bacino basso del Cotaxtla (Miranda e Daneels, 1998). Prolungando la rotta, “la valle di Tlaxcala si posiziona in un corridoio naturale che mette in comunicazione le pianure del Golfo del Messico con l’area della bassa Mixteca, un passaggio obbligato tra il Bacino del Messico e le Valli Centrali di Oaxaca, verso le terre calde di Morelos e Guerrero” (Serra e Palavicini, 1996: 44, 56). Inoltre, certi elementi culturali come le figurine del Preclassico Superiore denominate da Vaillant E, E2 e G – alcune delle quali definite giocatori del gioco della palla – evidenziano la relazione con il Bacino del Messico (Vaillant, 1930). Si può concludere che all’epoca ci fosse un’ampia rete di scambi tra la Costa del 154

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Golfo, le valli di Oaxaca, l’Altopiano Centrale e gli odierni stati di Morelos e Guerrero, zone che condividevano caratteristiche comuni e facevano circolare idee, beni e materie prime. Anche gli abitanti della Valle di Maltrata partecipavano a questa rete. La Valle di Maltrata nella rotta teotihuacana Durante il Classico (150/200-900 d.C.), Maltrata presenta una dinamica molto diversa se paragonata con siti dello stesso periodo della Costa del Golfo. Decisive furono la sua posizione e funzione nelle rotte commerciali controllate da Teotihuacan: veniva infatti utilizzata come luogo di transito per il commercio a lunga distanza. La sfera culturale di Teotihuacan si estese dunque fino alle terre alte del Centro del Veracruz che servivano da testa di ponte per il sud-est e influenzò la cultura locale. Anche se Maltrata conservò le tradizioni culturali del periodo precedente – i sistemi costruttivi, alcune ceramiche, il modo di lavorare gli strumenti litici e nei metodi di sepoltura –, è nota l’influenza che ebbe la cultura teotihuacana nella vita quotidiana della regione. Tuttavia, i prodotti per il commercio a lunga distanza, distribuiti come legittimatori di prestigio, erano solo una parte: venivano prodotti anche vasi che imitavano le forme teotihuacane ma che usavano argilla locale. Sono i vasi, ritrovati in grande numero, che in letteratura vengono indicati come “Arancione sottile”; vi erano poi figurine dai tratti teotihuacani (anche se in minor proporzione), piatti con fondo piano e pareti divergenti con levigatura effettuata con bastoncini e supporti “a bottone”, recipienti con pareti cilindriche, levigatura con bastoncini e pittura color caffè, altri con fasce rosse, infine figurine modellate con tratti teotihuacani. Tutti questi elementi sono stati presi come la prova di una “influenza” o controllo teotihuacano, “di filiazione teotihuacana” o di un “carattere fortemente teotihuacano” (Plunket e Blanco, 1989: 126, 125). Inoltre è noto il riutilizzo dell’ossidiana verde proveniente dalla Sierra de las Navajas (Hidalgo) e di quella proveniente da Zarazoga-Oyameles per la fabbricazione di manufatti (lame, punte, coltelli ed eccentrici) da commerciare a lunga distanza. Queste ma155

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terie prime sono principalmente collegate alle reti di scambio stabilite da Teotihuacan e forse da Cantona e relative aree di espansione: c’era un’organizzazione sociale ben definita che riusciva a stabilire contatti con altre popolazioni ubicate sulla Costa del Golfo. Non si trattava solo di distribuire l’ossidiana del posto, ma anche di utilizzarla come un “prodotto” da distribuire su corte e lunghe distanze (Puga e Rivera, 2004: 271). Nel frattempo si continuava a utilizzare anche l’ossidiana del giacimento del Pico de Orizaba. La rotta commerciale teotihuacana che passava da Maltrata, continuava poi lungo il fiume Blanco e probabilmente El Atoyac fino a raggiungere Matacapan nei Tuxtlas che si pensa fosse un’enclave teotihuacana di appoggio per il traffico commerciale che si dirigeva verso le terre maya (Ortiz, 1995: 115). Per questo la valle funzionò, durante le fasi Tlamimilolpa e Xolalpan, come una piccola enclave teotihuacana integrata con la popolazione locale e legata all’organizzazione e al mantenimento di una delle grandi rotte commerciali di Teotihuacan. Era dunque un luogo di scambio, un insediamento coloniale e un porto commerciale verso la Costa del Golfo, forse a somiglianza di Atlixco, a sud di Cholula, ed ebbe forse una funzione commerciale-amministrativa o forse era una “sosta” lungo un corridoio teotihuacano come suggerito da Vega Sosa per il sito Teteles de Ocotitla, Tlaxcala (Plunket e Blanco, 1989; Vega Sosta, 1981 e Lira, 2004c). D’altro canto, gli abitanti di Maltrata assimilarono ben poco dalle pianure costiere del Golfo del Messico, vista la scarsa presenza di reperti con tratti tipici della cultura classica del Centro del Veracruz rappresentata da volti sorridenti, divinità dal lungo naso, ceramiche rosso su bianco, rosso su arancione, rosso e arancione su lacca inciso e raschiato, oltre a gioghi, asce e palme caratteristici della cultura Remojadas (Medellín, 1960). Per quanto riguarda lo sviluppo interno vediamo che i siti di Maltrata presentano la stessa dinamica di molti siti preclassici in Mesoamerica, ovvero smettono di popolarsi o sono abbandonati alla fine di questo periodo, con il conseguente abbandono delle tradizioni ceramiche olmeche e della produzione di figurine con tratti dell’Altopiano e della Costa del Golfo. Tuttavia il sito di Rincón de Aquila, che fu fondato in epoca antica, continuò nel Classico ad avere la stessa tradizione architettonica, ceramica e litica del Preclassico, e acquisì la funzione di grande centro cerimoniale. Presenta per questo periodo un’architettura monumentale, l’uso di muri inclinati (a talud) di pietra squadrata coperti con stucco e di pavimenti stuccati in varie tappe costruttive o rimodellazioni. È possibile che gli abitanti degli altri siti preclassici della valle si siano concentrati in questo luogo che quindi aumentò di popolazione. Il sito accoglieva anche i commercianti che provenivano da Teotihuacan; dovette quindi modificare il proprio modello insediativo, iniziando a utilizzare le pendici dei monti per distribuirvi gli edifici secondo una gerarchia. Gli estremi della valle erano occupati dai due insediamenti principali che funzionavano a guisa di enclaves, e forse avevano assunto anche caratteri di “dogana”. A ovest c’era Rincón de Aquila, distribuito tra il territorio pianeggiante e pedemontano della valle, mentre a est c’era Tepeyacatitla, ubicato sulle alte colline. I due siti distavano 6 chilometri l’uno dall’altro in linea retta: la loro posizione all’entrata e all’uscita della valle gli permetteva di controllare la mercanzia che veniva distribuita verso la Costa del Golfo, come è il caso dell’ossidiana verde di Pachuca e la ceramica Arancione sottile. Il sito di Rincón de Aquila si trova tra i 1.685 e i 1.800 m sul livello del mare, a sudovest della città di Maltrata e a nord del monte Zacatipan. La concentrazione delle strutture abbraccia un’area di 600 m da nord a sud e 750 m da est a ovest, ovvero una superficie di 450.000 m2 (45 ettari). Qui incontriamo diversi complessi architettonici distribuiti su terrazze, dal territorio della valle fino alle pendici del monte Sono stati identificati 42 monticoli distribuiti in otto complessi definiti in base alla disposizione concentrata e ordinata degli edifici in differenti livelli topografici o terrazze, tanto naturali come artificiali: tre complessi sono formati da tre o quattro strutture piramidali che delimitano una piazza o un patio quadrato, un altro è formato dall’unico gioco della palla presente nella regione e quattro complessi di edifici mostrano una disposizione più ampia e dispersa tra loro. Inoltre, abbiamo identificato due aree abitative sulle terrazze. Una si ubica a sud delle strutture maggiori, su una pendice pronunciata 156

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del terreno, dove sono stati riconosciuti dieci monticoli su nove terrazze. La seconda si trova a sud del Complesso VIII, dove si ubicano quattro monticoli e 11 terrazze. Questa disposizione mostra una complessa organizzazione sociale poiché nella parte più alta, dove si ubica il Complesso I e da dove si domina visualmente tutta la valle, di sicuro risiedeva il governante, similmente alla posizione del palazzo del Governatore o Edificio delle Colonne di El Tajín. Per costruire il Complesso I furono utilizzate le pendici del monte, con un basamento di 110 m di larghezza, adattando la scalinata di accesso alla parte superiore che fu livellata per fare spazio a quattro monticoli che delimitavano una piazza. Sulle pendici terrazzate e nelle parti piatte e basse, i complessi costituivano lo spazio civico dedicato agli scambi e alle assemblee generali. Invece il gioco della palla, allineato lungo un’asse est-ovest, era destinato al culto pubblico e alle feste popolari mentre, tutt’intorno, le aree abitative ospitavano il resto della popolazione. A ovest dell’insediamento, tra i campi coltivati di proprietà della comunità di Aquila, ci sono 42 strutture disperse, dove si riescono a distinguere 22 piccoli monticoli, 17 terrazze abitative, due monticoli nelle cui corti si distinguono pavimenti di stucco e un monticolo con i resti di un talud ricoperto di stucco, dove incontriamo una sepoltura composta da tre individui associati a un focolare di una casa abitazione e materiale di epoca coloniale (maiolica) intorno alla chiesa di Santa María Aquila. A est della concentrazione di complessi del sito Rincón de Aquila furono identificati 14 bassi monticoli dispersi su una superficie di 1.050 m da ovest e est e 200-250 m da nord a sud. Probabilmente avevano dimensioni maggiori, ma le coltivazioni li stanno livellando. È nota l’abbondanza di manufatti di basalto come metates, manos de metate e ciotole che indicano un’area domestica. 157

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Il gioco della palla a Maltrata non occupa una posizione centrale nell’insediamento: è ben delimitato da due piattaforme parallele di 42 m di lunghezza, orientate su un’asse est-ovest, che si innalzano su una lunga terrazza, e all’estremo est finiscono con un angolo retto a forma di “L” che chiude parzialmente l’area del campo. Durante gli scavi realizzati nel terreno abbiamo scoperto un pavimento stuccato di 15 cm di spessore a un metro di profondità. È notevole lo spessore del pavimento, poiché implica la produzione di grandi quantità di una miscela composta da calce, sabbia e acqua. A lato di questo è stato ritrovato materiale culturale fino a tre metri di profondità che sembra corrispondere al riempimento del pavimento. Sotto a questo abbiamo identificato alcuni tipi ceramici rappresentativi del Preclassico (menzionati sopra), schegge e lame di ossidiana grigia, nera e verde, manos de metate e ossi. Sopra il pavimento, oltre a questi stessi materiali, vi erano frammenti di ceramica Arancione Sottile, Cholulteca e Fondo Stampato di pasta crema dei periodi Classico e Postclassico (Lira, 2010). I reperti lasciano pensare che sotto il pavimento di stucco esista una prima occupazione relazionata con il Preclassico poi coperta dal pavimento e da un muro che facevano parte del campo del gioco della palla oppure da un’ampia piazza stuccata in una seconda occupazione con materiali del Classico e anche del Postclassico. Questa fu chiusa e occupata dal paesaggio preispanico attualmente osservabile: due piattaforme che forse funzionarono da gioco della palla insieme ad altre strutture che spuntano dalla superficie e costituiscono una terza fase occupazionale. Questi dati portano alle seguenti domande a cui al momento non si può rispondere del tutto: era veramente un gioco della palla con un terreno ricoperto di stucco a un metro di profondità dalla superficie attuale? O vi fu un pavimento di terra battuta poi distrutto dagli aratri e il pavimento di stucco corrisponde allora a un insediamento in cui non c’era ancora il gioco della palla? In uno spazio compreso tra le strutture che compongono il gioco della palla e il Complesso I (l’area che corrisponde al patio sud del gioco della palla) è stato scavato un pozzo stratigrafico. Tracce di presenza umana sono state trovate dalla superficie fino a 4.40 m di profondità. C’erano strutture più antiche di quelle attualmente visibili in superficie, che possono essere suddivise in sei tappe costruttive o rimodellazioni: la più antica corrisponde a un focolare, sopra c’è una struttura con muro a talud e facciata a sudest ricoperta da un pavimento di stucco; questi elementi furono chiusi da un pavimento di stucco grezzo che sembra unirsi a un altro talud e un’altra struttura. Tutto è poi stato ricoperto dal passare del tempo o forse dagli abitanti degli edifici che occupano il paesaggio attuale (Lira, 2010). Gli scavi effettuati in una delle unità abitative ha mostrato che vi si svolgevano diverse attività umane facendo diversi usi dello spazio. Ci sono svariate tappe costruttive o ampliamenti: due piattaforme, delle quali è stato ritrovato l’angolo di una (struttura nord) e una parete dell’altra (struttura sud); un focolare, che a quanto si trovava al di fuori della struttura nord; una sepoltura in posizione di decubito laterale piegato trovata quasi in superficie a nord delle strutture; una sepoltura che potrebbe essere anteriore alla struttura sud poiché è stata trovata sotto il muro di questa; un deposito rifiuti ubicato a ovest dell’angolo della struttura nord; un pavimento di stucco di qualità grezza che corrisponderebbe allo spazio esterno della struttura nord; un cerchio di terra ubicato a sudest dell’angolo della struttura nord che si trova allo stesso livello del pavimento di stucco. Sono state trovate poche sepolture e con pochissime offerte, se comparate con la varietà delle sepolture del Preclassico. All’estremo est della valle c’è il sito di Tepeyacatitla, comparabile a questo grande insediamento per i resti ceramici anche se molto diverso nella disposizione spaziale. Durante il periodo coloniale il posto era abitato dagli indios e veniva chiamato Tepeacatitlan1. Probabilmente faceva parte degli ejidos (campi comuni del villaggio n.d.r.) di San Pedro Maltrata fin dalla sua fondazione nel 1544 (Ruiz Medrado, 1991) fino al 1990 quando fu fondata la colonia Heriberto Jara Corona2. Tepeyacatitla (dal nahuatl tépetl, “monte”; yácatl, “narice o punta di qualcosa”; titla, “abbondanza di”) che significa “dove abbondano i monti a punta” venne menzionato da Manuel Gándara nel 1899 come una delle alture principali3 che circondano il villaggio. 158

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Il sito si trova in una formazione di basalto vulcanico procedente dal Pico de Orizaba che copre la formazione del Miocenico chiamata Maltrata, composta da calcare, che fa parte della Depressione Acultzingo-Córdoba (Soto Romero, 1973). L’area è costituita da terreni molto sinuosi, alcuni nella loro forma naturale, altri modificati dall’uomo attraverso l’estrazione della terra per la fabbricazione di mattoni. Il sito è formato da quattro moticoli osservabili dalla strada che comunica con l’autostrada. A prima vista è difficile capire che i monticoli formano una piazza perché il terreno è molto irregolare e ci sono molte collinette e affossamenti causati dall’estrazione della terra e della pietra. (Lira, 2004c). Dal monticolo più alto del colle si possono osservare perfettamente il sito di Rincón de Aquila, a una distanza approssimativa di 6 chilometri, e il resto della valle, cosa che lascia supporre che la comunicazione tra gli insediamenti fosse agevole. I luoghi di culto L’Epiclassico, che secondo gli specialisti abbraccia un periodo compreso tra il 650-800 d.C. e il 900-1000 d.C., è stato definito come un periodo di transizione delle antiche culture messicane dal Classico al Postclassico. Alla caduta di Teotihuacan, avvenuta intorno al 650 d.C., che per quattro secoli aveva mantenuto la supremazia politica ed economica, seguì l’abbandono di grandi centri del Classico come Monte Albán, Palenque, Tikal, Kaminaliuyú, Matacapan. Si verificò allora una grande mobilità sociale in cui emersero siti regionali quali El Tajín, Xochicalco, Tula e Cacaxtla che presero il controllo delle rotte. A questa mobilità seguì una riorganizzazione degli insediamenti, cambiamenti nella sfera dell’interazione culturale, instabilità politica, ondate migratorie di gruppi nomadi e seminomadi settentrionali che si spostavano principalmente 159

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tra l’Altopiano Centrale, la Costa del Golfo e la penisola dello Yucatán (López Luján, 1995: 17). L’espressione delle dottrine religiose avviene soprattutto negli spazi sacri, nei centri di culto che vengono costruiti appositamente per la celebrazione di cerimonie e rituali ai confini delle città. Secondo Ladrón de Guevara: “il culto sembra giustificare e legittimare anche il potere dei signori e gli enormi sforzi richiesti dalle grandi costruzioni” (Ladrón de Guevara, 2010: 34). Anche Maltrata si trovava nella stessa situazione. La sua funzione di rotta di comunicazione e commercio probabilmente evitò la dispersione della popolazione e la tenne 160

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fuori dai conflitti bellici endemici in molte città. La distribuzione delle strutture ci parla più di spazi dedicati al culto che di luoghi costruiti in base a strategie difensive. D’altro canto gli studi delle fonti scritte e pittografiche mostrano che durante l’Epiclassico e il Postclassico (900-1521 d.C.) vari gruppi arrivarono nella valle. L’origine, l’ordine cronologico, la durata e l’intensità della loro presenza sono variabili e si riflettono nella quantità di materiale archeologico prodotto da ciascun gruppo. Durante l’Epiclassico, gli Olmechi-Xicalanca mantennero una rete di contatti tra la zona maya e la regione di Puebla-Tlaxcala, principalmente nello scambio di idee com’è riscontrabile nel Monolite I della valle e nella Stele di Tepatlaxco (García Márquez, 2004: 119). Alcune influenze tolteche potrebbero essere arrivate nella valle in maniera indiretta, attraverso Cholula, durante le invasioni dei Cicimechi che probabilmente introdussero la ceramica di tradizione mixteco-pueblana. I Cicimechi sembrano aver colonizzato la valle e buona parte del Centro del Veracruz – in seguito riceveranno le invasioni dei Pinome e degli Aztechi. I Pinome mantennero una politica di alleanze molto complessa. Originari di Coaixtlahuaca, erano il risultato di un meticciaggio tra Chocho (stretti parenti dei Mixteca), Popoluca e Nahua. Si stabilirono a sudest di Puebla fondando Tepeyacac, Tecamachalco e Quecholac, e altri centri. Il loro contatto con la valle del Messico avveniva tramite i Tlatelolca, quando questi erano sottomessi ai Tepanechi, per continuare come alleanza con gli Aztechi, mantenutasi fino alla conquista spagnola. È quindi un popolo meticcio, con vasta esperienza di scambio interculturale. I materiali archeologici ritrovati sono paragonabili a quelli di Coaixtlahuaca, Tecamachalco, Oztotipac, Quecholac e del Bacino del Messico durante il periodo di egemonia tepaneca (Azteca II), senza dimenticare che furono vicini anche ai gruppi Cicimechi di Puebla (e le loro ceramiche di tradizione mixteco-pueblane), e agli Aztechi (ceramiche azteche III e IV) (Lira, 2004a; García Márquez, 2004: 119, 120). Di questo periodo esistono nella valle di Maltrata due siti principali: La Mesita, ubicato nella parte alta di un monte a nord della valle, e Rincón Brujo, un insediamento formato da una serie di strutture a lato di La Mesita nell’area pedemontana della valle e dei monti settentrionali, che ancora esisteva all’arrivo degli Spagnoli. Fu la natura stessa a stabilire il modello base dell’organizzazione spaziale nel paesaggio di questi siti: alcuni monti e alcune sorgenti erano infatti parte di un paesaggio che acquisirà un significato sacro. I due insediamenti erano delle città-stato che, come le metropoli maya o come El Tajín, basavano il proprio potere su un discorso religioso. Qui, così come a Maltrata, l’organizzazione spaziale seguiva la conformazione del luogo il quale presentava diverse altezze orografiche: lo spazio dedicato alle pratiche religiose, dove si esercitava il potere politico e simbolico, sorgeva sulla cima del monte. “Man mano che aumentava l’altitudine, si restringeva l’accesso fisico agli edifici, controllando in questo modo e in piena sicurezza l’accesso alle conoscenze magiche legate al sacro” (Ladrón de Guevara, 2010: 35). Il sito La Mesita è chiamato anche “La Ciudadela”. Si trova nella parte settentrionale della valle di Maltrata, sul monte chiamato “Tenantzin”, a circa 200-300 metri sul livello della valle e tra i 1900 e i 2000 m sul livello del mare. È formato da cinque edifici di pietra che furono costruiti adattandoli alle condizioni naturali del terreno, come altri spazi che vennero anche rafforzati grazie a muri di contenimento, terrazze e corti su roccia (Olivera, 2003). La caratteristica principale dell’insediamento è la disposizione degli edifici sul monte: dato che furono costruiti in uno spazio molto ristretto, l’accesso è molto stretto, scosceso e difficile (Lira, 2004a: 69), e non può ospitare molte persone. 161

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Vari elementi inducono a pensare che fosse un luogo di culto, uno spazio sacro, relazionato con il culto alla montagna, al monte, all’acqua delle sorgenti e a Tlaloc, assolvendo al tempo stesso funzione di vigilanza dato che dalla cima si vede tutta la valle di Maltrata (Olivera, 2003; Lira, 2004a; Lira e Alarcón, 2008). Nella parte bassa del monte vi sono offerte, incensieri e ceramica Cholulteca, un volto umano in terracotta con le fattezze di Tlaloc, un altro con quelle di un guerriero-giaguaro e il Monolite di Maltrata. Quest’ultimo ha risvegliato l’attenzione verso Maltrata degli archeologi e degli storici dell’arte tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX, poiché non si conosceva scultura monumentale per i periodi precedenti. Trasportato al Museo di Xalapa da Alfonso Medellín Zenil nel 1961, è l’unico monumento di dimensioni considerevoli incontrato fino a oggi a Maltrata che presenti delle incisioni a rilievo. Si tratta di un’enorme roccia di 2,15 m di altezza, 1,68 di larghezza e 16 tonnellate di peso, sulla quale è rappresentato un serpente piumato con il simbolo del pianeta Venere e una coppia che compie una cerimonia. Forse il serpente piumato era un’eredità di Teotihuacan: dopo la caduta di quella grandiosa città, il simbolo rafforzò il proprio potere mitico e sacro e si espanse ancora di più. Lo ritroviamo infatti in siti come Xochicalco, Cacaxtla, Tula, Cholula, El Tajín: si può quindi pensare a un movimento religioso che raggiunse la valle di Maltrata e relazionava quella divinità con Venere. Alcuni segni sul Monolite sembrano essere delle date. Tuttavia, la distruzione di alcuni tratti non permette di capire del tutto la scena. Coloro che hanno studiato le incisioni sono d’accordo nel metterle in relazione con altre simili che si trovano nella zona maya, Xochicalco, El Tajín, Cacaxtla, durante l’Epiclassico (Arroniz, 1959; Baird, 1989; Batres 1905; García, 1995; Medellín, 1962; Rodríguez Beltrán, 1930; Segura, 1854). 162

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L’altépetl di Matlatan Tra la fine del Classico e gli inizi del Postclassico, i gruppi Popoluca persero importanza a causa dell’arrivo di gruppi nahua che si organizzarono in signorie militariste d’influenza tolteca. La Historia Tolteca-Chichimeca narra la migrazione dei Nonoalca fino alla regione meridionale dell’attuale stato di Puebla e le zone confinanti del Veracruz e Oaxaca (Kirchoff, 1940), anche se a quanto pare non entrarono a Maltrata. Dunque le popolazioni del Centro del Veracruz durante il Postclassico (900-1521 d.C.) videro arrivare vari gruppi provenienti dall’Altopiano Centrale che fondarono numerosi insediamenti o si stabilirono in altri già esistenti. In questo modo, i Nahua della Valle del Messico (Tenocha, Tlatelolchi, Tetzcocani), della regione Puebla-Tlaxcala (Olmechi-Xicalanca, Tlaxcaltechi, Huexotzinca), e altri gruppi (Pinome, Popoluca), convissero in regioni pluriculturali tra la pianura costiera e le alte montagne (García Márquez, 2005). Potrebbe essere stato questo il motivo per cui tra i resti architettonici a Maltrata è stato localizzato del materiale ceramico proveniente da altre zone, oltre all’intenso commercio che deve aver mosso grandi volumi di mercanzie attraverso la valle. Analizzando nel dettaglio la situazione della popolazione nella valle in questo periodo, si vede come questa si concentri nella parte media della valle e su terrazze costruite sulle pendici della montagna: le strutture seguono quindi la stessa distribuzione spaziale del sito di Rincón Brujo nel periodo Classico. In seguito, il sito postclassico fu occupato 163

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da ispanici, indigeni e meticci durante la Colonia, fino ad arrivare a oggi. Il sito chiamato Rincón Brjo o Rincón Tlayictic fu fondato molto probabilmente nell’Epiclassico, ma ebbe il suo momento di massimo splendore nel Postclassico. Era esteso su una superficie di 6 km2. Gli edifici più salienti sono sei grandi monticoli che corrispondono all’ultima fase di occupazione: tre delimitano una piazza quadrata (41 m est-ovest e 46 m nord-sud), usata per le attività civili, e tre sono dispersi. C’erano poi 10 piccoli monticoli in mezzo a delle terrazze, 11 muri verticali di contenimento ricoperti da uno strato di stucco e 52 terrazze che formavano la zona abitativa (Lira, 2004a). Si è potuto constatare, tramite scavi, che le pendici dei monti furono livellate a forma di terrazza per essere utilizzate come zone abitative, che avevano dispense con pavimenti in stucco (a 1,30 m e 1,70 m di profondità) e muri di pietra, ricoperti in epoche posteriori all’occupazione dalle frane della montagna. Alcuni spazi furono utilizzati come piazze o patii centrali coperti di stucco, delimitati da tre monticoli durante l’ultima fase dell’occupazione. Questo riutilizzo significa che sotto il pavimento esiste una costruzione di considerevoli dimensioni formata da una scalinata orientata 20° a nordovest delimitata da alfardas (balaustre), che fu chiusa con grandi pietre. Sul lato sinistro della scalinata incontriamo un elemento architettonico interessante che funge da balaustra: è un muro a talud che finisce con un altro muro verticale, entrambi sopra un pavimento di stucco, che sembra un corridoio. Queste prove indicano l’esistenza di una struttura coperta dall’occupazione posteriore della piazza. Come offerta, nel chiudere la struttura, fu depositata su una base di lastre (a 1,80 m di profondità), una sepoltura multipla secondaria formata da 6 individui tra i 5 e i 6 anni di età, accompagnati da conchiglie, recipienti e una faccia in basalto dentro una cista. Inoltre, sopra uno scalone, è stata trovata una sepoltura infantile sotto un recipiente. Questi ultimi potrebbero essere un’offerta dedicata a Tlaloc: i sacrifici infantili furono una pratica ampiamente diffusa in Mesoamerica come parte dei rituali per propiziarsi la benevolenza di Tlaloc, il dio 164

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della pioggia, in uno spazio sacro. I dati mostrano due occupazioni: nelle aree abitative la prima corrisponde a quella del pavimento di stucco e l’ultima alla superficie attuale. Nella piazza, la prima è la struttura coperta dal pavimento di stucco e l’ultima è la piazza stessa e gli edifici che la delimitano. La piazza probabilmente fu usata come mercato durante l’ultima fase dell’occupazione. Il sistema costruttivo usato è lo stesso del Classico: muri verticali e a talud di pietra squadrata stuccati. La ceramica di uso domestico è del tipo “Cultura Maltrata”. Sono stati trovati anche recipienti ricollegabili al complesso mixteco-pueblano come i tipi Cholulteca, Fondo Stampato, nero su crema, nonché ceramiche azteche, presenti in diversi siti della Costa del Golfo come Cempoala e Cuauhtochco, che mettono in evidenza relazioni con l’Altopiano, la Valle di Puebla-Tlaxcala, la Valle di Tehuacan e il Bacino del Messico. Da notare la scarsa presenza di ceramiche fini della Costa del Golfo come la ceramica denominata Tres Picos, Quiahuiztlan e Isla de Sacrificios. Tra gli utensili predominano le lame in ossidiana grigia con venature del Pico de Orizaba, mentre diminuisce l’ossidiana nera di Zaragoza-Oyameles e l’ossidiana verde di Pachuca. Tra le pietre per macinare, i metates tripodi superano in numero quelli apodi: a quanto pare le tecniche di fabbricazione e le tradizioni iconografiche si preservarono a lungo nel tempo. Si continuarono a produrre utensili e strumenti musicali in corno e osso di cervo (levigatori, aghi, punteruoli) secondo le tecniche del Preclassico. Fanno la loro comparsa i malacates, manufatti per filare, probabilmente il cotone, e i sigilli. Per quanto riguarda l’organizzazione sociale e politica, pensiamo che l’altepetl di Matlatlan fosse ubicato nell’area di Rincón Brujo perché la presenza di materiale ceramico mixteco-pueblano e azteco indica relazioni con i Cicimechi e gli Aztechi, gruppi che abitavano la regione in epoca Tarda. Inoltre, poiché la valle era un luogo di passaggio obbligato per i viaggiatori che transitavano dai villaggi dello stato di Oaxaca, della Costa del Golfo e dell’Altopiano di Puebla, questo accentuò il pluriculturalismo come 165

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conseguenza dell’intenso commercio e dei movimenti di popolazione che caratterizzarono il Postclassico. Sarà quindi utile esaminare il modo in cui l’altepetl di Matlatlan s’inserì nel contesto mesoamericano. Secondo le informazioni forniteci dai documenti del primo periodo coloniale, l’atlépetl era organizzato in forma “cellulare” o “modulare”, con un’unità gerarchicamente superiore dove risiedeva il governante di tutto l’altépetl e che controllava il tempio principale, il palazzo e il mercato. Le unità minori avevano a loro volta terre, templi e palazzi propri e anche se avevano un’organizzazione politica comune, potevano avere origini geografiche, antecedenti storici e tradizioni culturali diversi. La relazione fondamentale tra l’unità principale e le secondarie era la commissione di beni e servizi che venivano assegnati a rotazione (Lockhart, 1999). Poiché le unità principali ottenevano mano d’opera da tutto l’altépetl mentre le altre contavano unicamente sulle proprie risorse, si può supporre che le prime fossero in grado di costruire templi e palazzi di dimensioni molto maggiori. Questa supposizione ci permette di identificare da un punto di vista archeologico qual era l’area principale dell’altépetl e quali erano le restanti unità che avevano templi e palazzi di dimensioni minori. Quanto detto finora ci permette di identificare l’unità gerarchicamente superiore del sito di Rincón Brujo o Rincón Tlayictic (a nord) e le quattro unità minori chiamate Tetel (a ovest della zona urbana), Teteles nei rioni (a sud), Tetel de la Barranca Apiazco (a sudest) e Tetel del Calvario (al centro). Durante gli scavi sono stati trovati altri elementi architettonici che possono essere messi in relazione con unità minori. I centri internazionali maggiormente in relazione con la Valle di Maltrata dovevano essere le valli centrali dello stato di Oaxaca, Cholula e la Valle del Messico. Ognuno di questi aveva circuiti di scambio di cui sembra facesse parte anche Matlatlan, sebbene le fonti d’informazione e la relativa abbondanza di tipi ceramici cholultechi sembrerebbero includerlo nell’area stilistica mixteco-pueblana (cfr. Berdan e Smith, 2004). Dunque le successive ondate migratorie di gruppi umani, lo scambio a lunga distanza e la privilegiata posizione geografica che convertì la valle in un luogo di passaggio obbligato per numerosi circuiti commerciali, furono le condizioni ideali per il mantenimento di una popolazione multiculturale nel Postclassico. È molto possibile che sia Cicimechi che Aztechi chiamassero quel luogo Matlatlan (dal náhuatl matlatl=rete, tlan=luogo) – oggi modificato in Maltrata – la cui traduzione corrisponde a “luogo delle reti”, e che nella Mapa de Cuauhtinchan viene rappresentato con una montagna e una rete. La tradizione orale invece traduce Matlatlan con “villaggio bruciato” perché sui rilievi del Monolite di Maltrata appaiono un guerriero con una specie di torcia, una donna inginocchiata e un tempio, e si pensa che lo si debba interpretare come la rappresentazione del villaggio incendiato dagli Aztechi perché si era rifiutato di pagare un tributo. La presenza ispanica Quando gli Spagnoli arrivarono sul suolo messicano agli inizi del XVI secolo e iniziarono a spostarsi verso il Centro del Messico, verso la grande Tenochtitlan, non poterono servirsi della rotta Veracruz-Città del Messico tracciata in passato dalle popolazioni del Postclassico attraverso l’attuale regione di Orizaba-Maltrata-Acultzingo-Altopiano, perché gli Aztechi ne impedivano l’accesso. Dovettero quindi aprirsi un varco attraverso la regione di Xalapa da cui ricevettero appoggio. Tuttavia arrivarono a Maltrata 166

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dove si stabilirono sopra e tra gli edifici costruiti dagli abitanti del Postclassico dopo che Gonzalo de Sandoval fu mandato a sottomettere i villaggi ribelli della regione di Orizaba nell’ottobre del 1521, poco tempo dopo la caduta di Tenochtitlan. Anche se la valle mantenne la sua funzione di rotta di comunicazione, com’è testimoniato dall’abbondante presenza di maiolica che si trova sui sentieri acciottolati lungo il percorso, l’apertura della strada per Jalapa da parte degli Spagnoli rappresentò una forte concorrenza per la rotta preispanica che passava da Maltrata. Tuttavia, gli Spagnoli occuparono la valle stabilendosi nei luoghi chiamati Los Reyes Aquila, Palos Descascarados, Parroquia de San Pedro e il Vecindario de Españoles. Nel 1544 il vicerè Antonio de Mendoza ordinò la fondazione della Repubblida dei Naturali di San Pedro Maltrata (García, 2004: 160, 161). Considerazioni finali In conclusione, si può dire che lo studio della preistoria di questa parte del Veracruz è cambiato dopo i primi ritrovamenti, essendo molto probabile che se ne faranno altri. Dal punto di vista geopolitico la valle di Maltrata giocò un ruolo importante nello sviluppo delle società preispaniche e coloniali. La sua ubicazione geografica e la varietà delle sue risorse naturali favorirono infatti, fin da tempi remoti, la nascita e lo sviluppo di insediamenti lungo quell’importante rotta di comunicazione e scambi che, perlomeno dal Preclassico Medio, interessava la Costa del Golfo del Messico, l’Altopiano Centrale e la regione di Oaxaca, permettendo l’interazione di gruppo olmechi, zapotechi, teotihuacani, aztechi e mixteco-pueblani. Questa dinamica continuò senza significative differenze in epoca coloniale, quando le persone usavano i sentieri acciottolati e le viuzze costruite lungo le vie di comunicazione preispaniche, e si è protratta fino a oggi, con l’uso prima della ferrovia nel XIX e XX secolo e più tardi dell’autostrada. Si può dire dunque che la maggior parte di questi gruppi conviveva all’interno di una base di popolazione chiamata “Cultura Maltrata”. Tipica di questa cultura era un tipo di ceramica (vasi, piatti, ciotole) che quando veniva cotta diventava arancione o rossastra e ha continuato a essere usata nel tempo. Oltre a questa c’erano le ceramiche dei diversi gruppi umani che utilizzarono la valle solo in alcuni periodi e poi sparirono, e più tardi il vasellame portato dagli Spagnoli e chiamato maiolica. L’ossidiana utilizzata proveniva dai giacimenti del Pico de Orizaba, di Zarazoga-Oyameles e della Sierra de las Navajas (grigia, grigia con venature, nera e verde) e variava unicamente nella quantità e distribuzione a seconda del luogo e del periodo. La persistenza della “Cultura Maltrata” nel tempo è testimoniata anche dall’architettura e le tecniche di costruzione che continuavano a usare muri verticali e taludes ricoperti di stucco, e pavimenti di stucco

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o in terra battuta. Esisteva una gerarchia nella disposizione e nella dimensione delle strutture, essendo alcuni luoghi e alcuni monticoli più importanti di altri: nel Preclassico l’edificio principale era costituito da alte piattaforme (edifici allungati), mentre nel Classico e nel Postclassico si costruiscono edifici quadrangolari che delimitavano piazze o erano dispersi. Questo significa che cambiarono le forme architettoniche, i modelli di insediamento regionale e quelli all’interno del sito. Gli studi di antropologia fisica hanno confermato la grande importanza che ebbe la rotta nella vita quotidiana degli abitanti della valle di tutte le epoche, poiché molti individui mostravano deformazioni nelle vertebre in conseguenza dell’attività di portatori e lesioni agli arti inferiori a causa delle lunghe camminate. È possibile che la popolazione si fosse specializzata nel trasporto di prodotti, sicuramente per tutta l’area del loro territorio (dalla valle di Orizaba fino all’inizio dell’Altopiano pueblano) e forse anche a distanze maggiori. D’altro lato osserviamo delle differenze nelle pratiche osteoculturali, poiché mentre nel Preclassico si praticava la deformazione tabulare eretta fronto-occipitale (frequente in Mesoamerica in questo periodo), nel Postclassico si era soliti praticare la deformazione tabulare eretta nella variante piano-lambdica tipica dei Tlatelolca e dei Mexica. Tuttavia la popolazione non subì cambi nella sua composizione biologica (Mendoza 2004, 2007). L’occupazione umana post-coloniale mostra chiaramente come la valle abbia continuato a essere usata come rotta di comunicazione, commerci e scambi, poiché nel 1864 venne costruita la ferrovia e relativa stazione che poco a poco smise di funzionare dopo la realizzazione dell’autostrada avvenuta tra il 1964 e il 1994. Essendo stata costruita di fianco alla valle, la lasciò isolata, interrompendo irreversibilmente la sua storia di via di comunicazione, anche se questo non ha impedito alla popolazione di continuare a vivere nella valle, come succede tuttora, anche se con minore prestigio rispetto alle epoche precedenti. Al giorno d’oggi l’insediamento cerca di sopravvivere con l’agricoltura irrigua e non irrigua, con la pastorizia, con la produzione di mattoni e in molti casi emigrando negli Stati Uniti, pur mantenendo alcune tradizioni o pratiche religiose particolari. In conclusione vediamo come la valle sia fondamentale per capire lo sviluppo culturale della regione, e proprio per la sua funzione di rotta di comunicazione che è perdurata fino a oggi, può aiutare nelle ricerche archeologiche che riguardano la regione di Orizaba, la Sierra de Zongolica, la regione della Alte Montagne, la Mixtequilla, la cultura Tajín, il Totonacapan meridionale e la Costa Cetrale del Veracruz, così come Cantona, Cacaxtla, la Valle di Tehuacan e la Valle di Puebla-Tlaxcala. Queste considerazioni provengono dai dati del lavoro di campo e in parte dalle analisi di laboratorio, ma sicuramente altri studi sul materiale culturale porteranno altre sorprese e aumenteranno le nostre conoscenze sulle culture del Messico antico.

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CAPITOLO SETTIMO EL TAJIN, TRADIZIONE E INNOVAZIONE Sara Ladrón de Guevara

Il sito di El Tajín si trova a nord dell’attuale Stato del Veracruz. Fu costruito in un ambiente umido, immerso in un paesaggio collinare dalla vegetazione esuberante e costeggiato da due fiumi. Non lontano dalla sierra né dalla costa, la città disponeva di prodotti provenienti da altitudini differenti. La terra era fertile, l’acqua abbondante, il mare e i fiumi erano vicini e i torrenti portavano acqua dolce. Anche le terre fredde della sierra non erano lontane, pertanto El Tajín poteva procurarsi prodotti sia della costa che della montagna. L’orografia del terreno, che si estendeva su diverse altitudini, determinò quali attività destinare alle diverse aree del centro urbano. La parte bassa fu utilizzata per i riti e le cerimonie. Furono quindi costruiti edifici solidi e piramidali come basamenti di templi che chiudevano piazze e delimitavano campi per il gioco della palla. L’altitudine che degrada naturalmente in direzione nord-sud passando dai 200 ai 140 m s.l.m. venne utilizzata in funzione simbolica, per segnare le differenze gerarchiche. Più alte erano le costruzioni, più ristretto era il loro accesso: sicuramente le residenze poste più in alto appartenevano a coloro che detenevano le più alte cariche politiche e religiose. In questo modo, l’elevazione delle residenze legittimava simbolicamente lo status di chi le abitava. Il clima della regione è caldo umido, con precipitazioni più intense tra giugno e ottobre. L’umidità favorisce la crescita dell’esuberante vegetazione tropicale che circonda il sito con il suo verde intenso. In origine la vegetazione era formata da selva tropicale piovosa mediana subperennifolia. La città fu quindi costruita in mezzo al verde, con bianche pietre di arenaria sovente dipinte di rosso e azzurro, che come elementi artificiali contrastavano con lo sfondo naturale. Le coltivazioni che rappresentavano la base dell’alimentazione all’apogeo della città erano il mais, i fagioli, il peperoncino e la zucca. A queste sono da aggiungere le specie animali, prodotto della caccia, della pesca o della domesticazione come i canidi. Alcuni tra questi animali, oltre all’importanza nutritiva ed economica, avevano un valore simbolico come è testimoniato dalle rappresentazioni in pietra che li ritraggono nell’ambito di scene mitiche o rituali. Le intense piogge della regione innalzano il livello freatico mentre pochi giorni di siccità bastano ad abbassarlo in maniera importante. Di sicuro le inondazioni erano un 171

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temibile evento. In epoche più recenti della storia mesoamericana circolavano ancora racconti mitici di diluvi e disastri che avevano distrutto l’umanità intera. Certamente questi traevano origine dall’osservazione di questo genere di fenomeni meteorologici vissuti in prima persona. Per fornire un’ubicazione cronologica sommaria, ricordiamo che El Tajín si sviluppò tra l’800 e il 1200 d.C. Con queste date ci riferiamo al periodo di costruzione e occupazione del centro urbano. Questo lasso di tempo non segna solo un periodo che va dalla fine del Classico agli inizi del Postclassico, ma caratterizza anche un momento di transizione: l’Epiclassico. In effetti, dopo la caduta di Teotihuacan, i centri urbani di molte regioni, essendosi emancipati dal dominio diretto o indiretto teotihuacano, stabilirono nuove forme di organizzazione politica, militare e religiosa, assumendo le forme che saranno caratteristiche del Postclassico. È in questo momento di ebollizione culturale regionale che si colloca lo sviluppo di El Tajín. Era anche il momento dell’espansione di un mito unificatore che ruotava intorno a un ente capace di coniugare elementi simbolicamente opposti, come un’allegoria del chiaroscuro: Quetzalcoatl, un essere fantastico e divino frutto dell’unione di un animale appartenente ai livelli celesti del cosmo – il prezioso uccello quetzal – e un animale strisciante tipico dei livelli sotterranei – il serpente. A quel tempo i concetti e gli stili teotihuacani venivano ereditati in quanto segni di prestigio e poi rielaborati per creare stili diversi. Contemporaneamente, nel vasto territorio mesoamericano, stavano nascendo grandi città come Xochicalco, Tula, Cacaxtla, Cantona, Chichen Itzá e Uxmal. In tutti questi siti sono state trovate tracce del movimento religioso basato sul culto a Quetzalcoatl che includeva pratiche come il gioco della palla e poneva enfasi sulle conoscenze

astronomiche del ciclo di Venere, un pianeta identificato con Quetzalcoatl. Ognuna di queste città presenta stili differenti. In quel periodo si erano verificati dei conflitti che avevano causato un’instabilità sociopolitica tra i centri urbani di recente formazione, in un processo che sembra essere parallelo alla secolarizzazione politica. Dopotutto, quando cade un potere centrale, i centri urbani nascenti lottano per la supremazia politica ed economica. El Tajín ereditò anche le tradizioni di altri gruppi che, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, occuparono le terre corrispondenti all’attuale Stato del Veracruz. Se estendiamo a El Tajín le fasi proposte per questo breve periodo, possiamo parlare di una fase pre-urbana e di una posteriore all’occupazione del sito. Nello stabilire una datazione generale possiamo riconoscere le seguenti fasi: Fase pre-urbana (600-800 d.C.). In questa fase si sviluppano i centri vicini come Morgadal e Cerro Grande. S’inizia la costruzione della Plaza del Arroyo. Si seguono i modelli tradizionali che orientano piazze e viali secondo allineamenti nord-sud, est-ovest. Le sculture sono altorilievi su stele che ritraggono governanti in posizione frontale con le insegne e senza notazioni calendariche come avviene nelle tradizioni più antiche del sud (come nella regione del Papaloapan). 172

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Cronología Tradicional

Cronología de Teotihuacán

Cronología del Tajín

Cronología de la Región (Santa Luisa)

1500 d.C. 1400

Postclásico Tardío

Cabezas

Postclásico Temprano

El Cristo

Epiclásico

Isla B

Fase Pos Tajín

1300 1200 1100 1000 900

Clásico Tardío

500

300 d.C.

Isla A Fase Pre Urbana

Metepec

600

400

Fase de Expansión Urbana Fase de Consolidación

800 700

Fase de Destrucción

TAJÍN

Fase di consolidamento (800-900 d.C.). La vicina popolazione rurale diventa tributaria della città. Si costruiscono edifici a nord della prima piazza. Lo stile si definisce con più chiarezza nell’utilizzo di nicchie per decorare i tableros e le cornici sporgenti in cima a questi. Nei campi per il gioco della palla compaiono sculture che raffigurano un volto umano o fantastico in ognuno dei 6 blocchi adossati alle pareti (4 agli angoli e 2 al centro) che corrispondono a dei marcatori usati nel gioco. Da allora, la tradizione scultorea di El Tajín costituisce un elemento architettonico. Fase di espansione urbana (900-1100 d.C.). Corrisponde alla fioritura massima della città. Si manifesta un potere centrale e assolutista. Si controllano centri sussidiari come Yohualichan e Coatzintla. Il piano urbanistico non segue i modelli di allineamento comuni in Mesoamerica. Si opta per costruzioni che obbligano il visitatore a camminare tra strette stradine per spostarsi da un punto all’altro della città. Le sculture a bassorilievo si fanno più complicate e aggiungono molti personaggi alle scene mitiche e rituali. L’architettura raggiunge la maestria visibile negli edifici della Piramide delle Nicchie o nella Grande Xicalcoliuhqui, dove le lastre sono tagliate e collocate a secco. Fase di distruzione (1100-1200 d.C.). La popolazione si frammenta e la città viene abbandonata, un fenomeno comune in Mesoamerica durante il Classico e che è stato spiegato in diversi modi, nessuno del tutto convincente. Tra le altre cose si è proposto che vi fossero problemi di ordine politico, ovvero rivolte interne o intromissioni esterne, o di ordine economico ed ecologico nel senso che l’ambiente era stato sfruttato troppo e in maniera irrazionale a causa della smisurata crescita della città. Fase post-El Tajín (1200-1500 d.C.). Anche se la città era stata abbandonata, gli abitanti delle città vicine continuavano a compiere pellegrinaggi, cerimonie e riti funebri nell’area cerimoniale del sito. Sebbene indichiamo come termine ultimo le date corrispondenti alla conquista spagnola, poiché in genere si indica con questo evento la fine del mondo preispanico, bisogna ricordare che anche durante il periodo coloniale e moderno, nonché tutt’ora, i siti archeologici restarono dei rispettati luoghi di culto, di venerazione, di pellegrinaggio, teatro dei miti raccontati dalla vicina popolazione indigena. I Totonachi che oggi vivono a El Tajín visitano il sito con rispetto prendendo precauzioni rituali per non arrecare o subire gravi danni; celebrano le tradizioni dei loro antenati e raccontano di esseri ancestrali, divinità e altri esseri non umani che abitano le piramidi a scaloni. Tuttavia, sebbene attualmente la regione sia abitata dai Totonachi, i linguisti sono in disaccordo sul momento dell’arrivo sulla costa della lingua totonaca, originaria della Sierra di Puebla. Questo ha sollevato dei dubbi sull’identità etnica degli antichi abitanti di El Tajín. Fu Medellín Zenil a definire nel 1960 i confini del Totonacapan nellla sua ormai classica opera Cerámicas del Totonacapan (1960a): “a nord il fiume Cazones, a sud il fiume Papaloapan, escluso Cosamaloapan, a ovest si era esteso fino a Acatlan de Pérez Figueroa, in Oaxaca, la parte orientale dello Stato di Puebla, dai dintorni di Tehuacan passando per Chalchicomula, allargandosi a tutta la Sierra fino a Zacatlan e probabilmente fino ai dintorni di Metaloyuca, confinando così con la Huasteca meridionale.” (Medellín 1960a: 3). Ancora oggi si è soliti riconoscere a questo territorio un’omogeneità che rafforza una falsa idea di uniformità culturale e temporale, mentre si è vista in questo libro la grande diversità etnica e culturale che caratterizzava la Costa del Golfo in epoca precolombiana. Vista questa diversità, possiamo confutare i deboli argomenti a sostegno di una cor-

Clásico Temprano

Xolalpan Tardío Xolalpan Temprano Tlamimilolpa Tardío

Cacahuatal

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rispondenza etnica tra i Totonachi ed El Tajín. I Complessi archeologici ceramici, architettonici, scultorei e pittorici dei Totonachi preispanici non corrispondono assolutamente a quelli trovati a El Tajín. In effetti gli Spagnoli al loro arrivo sulla costa veracruzana conobbero e interagirono con i Totonachi. Fecero descrizioni delle città, per esempio di Quiahiuztlan e Zempoala, due siti successivamente esplorati. Ma anche tenendo conto dello sfasamento cronologico dei centri del Postclassico Tardo (1200-1500), non c’è corrispondenza di stile né nell’architettura, né nella scultura, pittura o ceramica, (quest’ultimo elemento è quello più utilizzato dagli archeologi per individuare tradizioni, innovazioni, influenze e differenze). L’attuale occupazione da parte dell’etnia totonaca. I linguisti hanno stabilito l’arrivo della lingua totonaca sulla costa intorno all’850 d.C. (Manrique, 2008), quando avrebbe interrotto un corridoio linguistico maya che si estendeva dalla Huasteca, nel nord della Mesoamerica, sino alla penisola dello Yucatan. Quindi, quando i Totonachi arrivarono sulla Costa del Golfo, El Tajín era già stata costruita e si trovava in piena fase di consolidamento. Il mito di Juan Atzkin. Nel 1948, Robert Williams raccolse un mito a El Tajín mentre realizzava un lavoro di campo sotto la direzione di Isabel Kelly. I risultati della ricerca furono pubblicati nel libro The Tajin Totonac, in cui si affrontavano gli aspetti storici, etnografici, economici e tecnologici del sito e si annunciava un secondo volume con il contributo di Williams e Ángel Palerm che avrebbe parlato di alcuni aspetti della cultura non materiale (Kelly e Palerm, 1950: XIV) ma che non fu mai pubblicato. Il mito fu però lo stesso raccontato da Williams in varie occasioni. Quando García Payón ricompose i blocchi che formavano i tableros del Gioco della Palla Sud, vide che nel tablero centrale nord era raffigurato un personaggio legato sopra un disegno che rappresentava dell’acqua dentro a una struttura architettonica. Il mito raccolto da Williams parla di un essere che era stato castigato, legato e immerso nell’acqua dai signori che abitavano nella Piramide delle Nicchie. Ecco perché Williams identificò questo personaggio con il Juan del mito. Quest’associazione fu utilizzata come argomento a sostegno dell’identità etnica di El Tajín ma a noi sembra un argomento debole perché se anche effettivamente il personaggio corrispondesse a Juan Atzkin, si sa che i miti sono comuni a più etnie e non sono distintivi di un gruppo in particolare. Ovvero, un mito non è indicatore di un’identità etnica. La sua diffusione spaziale in genere è indice di antichità: a maggiore antichità corrisponde maggiore espansione. Tuttavia non dà certezze riguardo all’etnicità. Circa mille anni fa, El Tajín divenne quindi il centro urbano più importante della regione, ma la sua nascita non fu un fenomeno isolato o indipendente. Al contrario, la città ereditò alcuni elementi dai suoi predecessori, condivise materiali e idee con i suoi contemporanei e generò innovazioni che si propagarono nel tempo e nello spazio in Mesoamerica. Di seguito faremo una revisione di quelle influenze che accompagnarono la nascita del sito. L’eredità teotihuacana Teotihuacan, la più grande città del periodo Classico, generò idee, miti e rituali. Impose stili e mode che divennero indicatori di prestigio in tutto il territorio mesoamericano. Non è quindi strano incontrare a El Tajín elementi e modalità che provengano o mostrino segni di un’influenza teotihuacana. (edificio di El Tajín) Soprattutto nella pittura si trovano combinazioni di colori, come il rosso su rosa, di moda a Teotihuacan e replicati a El Tajín. La descrizione fornita da Diana Magaloni (1996) sulla maniera di elaborare un affresco a Teotihuacan è valida in ogni suo punto per gli affreschi di El Tajín Chico, dalla preparazione della base fino all’applicazione del colore. Anche la tematica a volte sembra simile, anche se si nota lo sviluppo di uno stile distinto e caratteristico. Per quanto riguarda la ceramica, ci sono forme che imitano Teotihuacan, come il vaso 176

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on bassorilievi che alludono a 13 Coniglio trovato nell’Edificio delle Colonne. Tuttavia non sono state trovate tipologie che indichino uno scambio diretto tra i due siti. Esisteva quindi un certo apprezzamento per manufatti che fungevan indicatori di prestigio, ma che si esprimeva sostanzialmente nella produzione locale di imitazioni. Anche se queste influenze sono evidenti, El Tajín sviluppò caratteristiche originali in diversi ambiti. Per esempio nell’architettura dove è vero che si utilizza la successione di tableros e taludes tipicamente teotihuacana, ma si apportano al tempo stesso innovazioni nei profili degli stessi, di modo che la forma degli edifici di El Tajín risulta essere completamente diversa. Se a Teotihuacan la massa e il tremendo peso degli edifici fanno parte della sua grandezza, al El Tajín si sceglie di alleggerire le facciate con un gioco di chiaroscuri che permette di decorare i tableros a partire dagli spazi vuoti delle nicchie. La cornice sporgente, invenzione di El Tajín, modifica in maniera sostanziale la percezione delle forme. Ancora più importante di queste differenze è sicuramente quella, fondamentale, nel piano urbanistico delle due città. È evidente che a Teotihuacan tutto è costruito a partire da un asse nord-sud che segue la direzione tracciata dal Viale dei Morti, mentre a El Tajín il tracciato urbano è apparentemente disordinato negli allineamenti e nelle strade, come già Brüggemann (1991b: 101) aveva fatto notare. Tuttavia, come diremo più avanti parlando della cosmologia, il piano della città, la disposizione degli edifici e delle piazze rispondevano a concetti e ideali diversi che avevano dato luogo a un’innovazione urbanistica. Un’altra differenza rispetto a Teotihucan era il culto della personalità dei governanti. A El Tajín si raffiguravano le loro gesta, la loro gloria e se ne registravano i nomi mentre a Teotihuacan non sono state ritrovate rappresentazioni dei signori. El Tajín, come la 190

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maggior parte delle culture mesoamericane, esalta il potere, il lignaggio e le prodezze di chi sta al potere. Ciò che sembra essere comune a molte città dell’Epiclassico, tra cui El Tajín, e Teotihuacan è l’edificazione di spazi sacri che diventano luogo di visita obbligata per i fedeli. Si tratta di centri nati in funzione del culto che nascono come luoghi di pellegrinaggio e dove pian piano vengono costruite infrastrutture adatte alla celebrazione di cerimonie e rituali a cui poco a poco affluiscono sempre più fedeli insediatisi ormai stabilmente nei dintorni della città. I centri crescono allora di dimensione e popolazione e aumenta la loro richiesta di prodotti e servizi. L’influenza maya El Tajín conserva d’altro canto notevoli similitudini con i siti maya del Classico, cosa che ci permette di riconoscere una certa coerenza non solo nella cosmologia ma anche nell’organizzazione politica. In termini di organizzazione spaziale, El Tajín, come molte città maya, scelse di differenziare i propri spazi adattandosi all’orografia del luogo in modo da costruire sulla cima del sito una vera e propria acropoli da cui si esercitare il potere simbolico e politico, reale. Qualcuno ha proposto che la lingua parlata a El Tajín fosse una lingua maya. Sono stati infatti ritrovati alcuni segni della scrittura maya, ma questi non formavano un testo, bensì erano usati come elementi decorativi nell’iconografia degli affreschi. Per esempio nell’affresco dell’Edificio 11, all’interno della greca a scaloni, compaiono i glifi kin (che significa “giorno” o “sole”) e muluc che (significa “giada” o “pioggia”), ma non si tratta di segni scritti in successione, bensì integrati nei disegni. Nell’affresco sul muro esterno dell’Edificio I c’è un personaggio dipinto blu scuro su blu maya che abbiamo identificato come una divinità del vento. Il dio, che presenta lo stile delle divinità maya rappresentate nei codici, porta sul petto e sulle braccia il glifo ik (che è il segno di un giorno e significa “vento”). Su un frammento di colonna c’è il disegno a rilievo di due gemelli intorno a una palla 192

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con il glifo ollin che viene inghiottita dalle fauci del mostro della terra. Di lato, un altro personaggio affronta con una palla un essere scarnificato. Gemelli, gioco della palla, Mictlan evocano immediatamente il mito del Popol Vuh, che poteva certamente essere conosciuto a El Tajín. Tuttavia le prime tracce di un culto ai gemelli risalgono ai tempi olmechi e sono state ritrovate nelle sculture di Azuzul o nel trono di Potrero Nuevo, cosicché queste leggende potrebbero avere un’origine comune. Vicini confinanti Vari ritrovamenti a El Tajín rivelano i contatti che la vicinanza geografica con i Huastechi, i vicini del nord, dovette permettergli di stabilire. Resti ceramici, scultorei, litici e metallurgici, anche se scarsi, mostrano l’importanza di oggetti che sicuramente accompagnarono lo scambio di idee e conoscenze. D’altro canto, vicino a El Tajín sono presenti alcuni siti che sembrano essere nati appena prima e aver gettato le basi di alcuni elementi, come la scultura a bassorilievo, che si ritroveranno a El Tajín in forma più sviluppata e utilizzati con una maggior destrezza. Artuto Pascual Soto (2006: 32) sostiene che gli antecedenti della città siano da ricercarsi nella montagna a ovest del sito, dove ha localizzato ceramica del Classico Antico (350-600 d.C.). Nello stesso periodo sarebbero fioriti gli insediamenti vicini di Morgadal Grande e Cerro Grande che verso il Classico Tardo sarebbero stati poi sottomettessi al dominio di El Tajín. Altri due siti che possono essere considerati sussidiari di El Tajín per l’evidente similitudine architettonica sono Yohualichan e Coaztintla (Ruiz Gordillo, 1997: 39). Sono contemporanei alla fioritura di El Tajín e condividono una disposizione simile dello spazio urbano nonché elementi architettonici caratteristici quali le nicchie o le greche scalonate. L’area occupata da questi siti fu sicuramente parte dello spazio controllato dal sito all’epoca del suo apogeo. Più a sud, alcuni siti importanti, come Las Higueras o El Pital, dovettero avere relazioni di scambio commerciale e politico con El Tajín. Questa regione meriterebbe un 193

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capitolo in questo volume sull’archeologia veracruzana, data l’importanza dei suoi siti, ma è una regione poco studiata. Cercheremo quindi di riportare sommariamente le informazioni conosciute. Certamente la manifestazione artistica più nota di Las Higueras è costituita dalla pittura murale. Essa è costituita da figure delineate con forme piatte, senza ombreggiatura, a mano libera, che in generale presentano una tecnica meno raffinata di quella usata a El Tajín, ma che condividono con questa i temi iconografici. In particolare, i motivi delle pitture di Las Higueras replicano i bassorilievi di El Tajín. Si può quindi affermare che i pittori di Las Higueras furono molto influenzati dalla tematica, le forme, le cornici e i motivi di El Tajín. I personaggi presentano gli stessi vestiti e parafernalia e si replicano miti, riti e simboli conosciuti a El Tajín. Come abbiamo menzionato, curiosamente questa replica non prende a modello la pittura murale bensì la scultura a bassorilievo, anch’essa bidimensionale e che sembra condividere con la pittura numerose convenzioni. In entrambi i siti si ritrova la rappresentazione di una scena di sacrificio associata al gioco della palla, serpenti bicefali stilizzati con le sopracciglia a volute, un personaggio legato e immerso in un ambiente acquatico, un personaggio con il corpo coperto da un sole, ecc. Tutte queste corrispondenze tra le immagini significano una condivisione di elementi della mitologia e del rituale. Las Higueras, pur condividendo così a fondo il codice grafico-raffigurativo dei miti e dei rituali, ha un centro cerimoniale che, a differenza di El Tajín, segue un modello urbano fatto di complessi di monticoli e piazze allineati secondo la direzione nord-sud. Ebbe un’occupazione intermittente con uno iato nella transizione dal Classico Tardo al Postclassico Antico. Forse la ragione è da ricercare in quelle stesse inondazioni che Wilkerson propone essere alla base degli abbandoni successivi di El Pital. 194

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El Pital, dal canto suo, costituisce un centro urbano importante la cui fioritura precede quella di El Tajín. Il sito, contemporaneo a Teotihuacan (Wilkerson, 2010), avrebbe stabilito a meno di cento chilometri di distanza a sud di El Tajín le basi di una urbanizzazione complessa, con siti sussidiari, relazioni commerciali e una produzione agricola che sicuramente ebbero una qualche influenza sulla successiva costruzione di El Tajín. È situato sulle rive del fiume Nautla. La sua estensione rivela che si trattò di un importante centro urbano formato da circa 150 edifici costruiti in base a un piano ortogonale. Il sito è circondato da una rete di canali che funzionavano come vie di comunicazione (ibid.). Ci sono altre tradizioni, ancora più a sud, che condividono alcuni elementi con El Tajín, e questo ci permette di vedere questa grande città come l’erede non solo di quelle tradizioni che arrivavano dal centro della Mesoamerica, ma anche e soprattutto di quelle del sud del Verazcruz. Furono ereditati forme ceramiche e modelli urbanistici, ma soprattutto si riconoscono nelle sculture elementi che replicano i parafernalia tipici dei governanti nel sud del Veracruz, come quelli rappresentati sui vasi a bassorilievo in stile Rio Blanco-Papaloapan. È evidente anche la presenza di rituali praticati in precedenza come il gioco della palla. La tipologia ceramica a bassorilievo di cui sono stati ritrovati molti frammenti nell’edificio delle Colonne a El Tajín reitera forme teotihuacane, ma imita al tempo stesso – e in alcuni aspetti – la ceramica a bassorilievo della regione del fiume BlancoPapaloapan nel sud del Veracruz. Mentre questa è modellata a mano e utilizza tutta la superficie del vaso per rappresentare una sola scena, quella prodotta a El Tajín utilizzava uno stampo cilindrico che ripeteva sempre lo stesso disegno. È suggestiva l’idea che le tradizioni teotihuacane, più che procedere dalla stessa Teotihuacan, siano arrivate a 195

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El Tajín attraverso il sud del Veracruz, che avrebbe raccolto le influenze teotihuacane nei siti coevi alla città. In effetti, nella regione dei Tuxtlas, il sito di Matacapan funzionò come enclave teotihuacana e in generale nella regione del fiume Blanco-Papaloapan si è ritrovata una chiara influenza sulle forme ceramiche. Possiamo immaginare che i commercianti e i viaggiatori di Teotihuacan entrassero dall’Istmo di Tehuantepec per recarsi verso le terre più lontane della penisola dello Yucatan, che rappresentava la meta principale. Allo stesso modo, l’iconografia che fa parte del complesso gioghi-asce-palme che proliferò nelle terre del sud (la Mixtequilla, la zona semi-arida centrale) mostra personaggi, insegne e uno stile decorativo a volute molto vicini allo stile di El Tajín. La proliferazione dei campi per il gioco della palla non è esclusiva di El Tajín. Al contrario, i siti a sud, che sono quelli più antichi, mostrano già nella loro pianificazione urbana l’importanza dei campi. È sorprendente la quantità di campi per il gioco della palla registrati da Lourdes Budar nel sito di Piedra Labrada, nei Tuxtlas, dove l’iconografia ha mostrato una chiara corrispondenza con Teotihuacan. Considerate queste premesse, possiamo concludere che El Tajín si alimentava di tradizioni provenienti dalla costa meridionale che a loro volta avevano ereditato elementi di prestigio durante l’apogeo di Teotihuacan. Il tramonto El Tajín venne abbandonata verso il 1200 d.C. come successe a molti siti della Mesoamerica, particolarmente nell’area maya. Questo fenomeno è stato oggetto di diverse spiegazioni. Sappiamo che nei dintorni si mantenne una presenza, seppur scarsa, di popolazione. Sono state trovate ceramiche diagnostiche totonache di epoca più tarda e sepolture che, sebbene ancora preispaniche, sono databili a un periodo successivo all’occupazione del sito. In effetti le sepolture trovate nella Plaza del Arroyo spesso erano realizzate rompendo la pavimentazione originale, alterando in questo modo la stratigrafia dalla piazza. Il fatto che la Piramide delle Nicchie al momento del suo ritrovamento fosse ancora visibile, pur trovandosi in un ambiente in cui la vegetazione si riproduce con grande rapidità e rigogliosità, dimostra che l’edificio continuò a essere pulito e manutenuto. Ancora oggi, gli abitanti del luogo fanno offerte alla Piramide. L’architettura Le espressioni artistiche di El Tajín sono di notevole qualità. Il sito inaugura uno stile particolare, impressionante sia nelle sue manifestazioni scultoree e pittoriche sia, soprattutto, nell’architettura. Questa è stata oggetto di innumerevoli studi: sono stati riconosciuti elementi derivanti dallo stile teotihuacano, ma che apportano innovazioni di grande maestria. Di fatto la caratteristica più conosciuta di El Tajín è proprio la sua architettura, per i suoi tratti inequivocabilmente riconoscibili. Non esiste nel resto della Mesoamerica l’utlilizzo di nicchie e cornici (a eccezione del sito di Yohualichan, sussidiario di El Tajín). Mentre nel resto del Veracruz (nel sud) si sviluppò un’architettura in terra, forse inizialmente come risorsa per sopravvivere alle cicliche inondazioni, a El Tajín si utiliz198

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zava la pietra arenaria tagliata, le coperture di malta e le coperture colate che creavano forme spigolose e corpi alleggeriti grazie all’uso delle nicchie nei muri. Le variazioni sui temi date dalla combinazione di elementi architettonici, nicchie, greche, croci, rombi che si ripetono a ritmi costanti, è una sorta di reiterazione, come se si trattasse di litanie di orazioni. Non c’è dubbio che la sofisticatezza della società di El Tajín durante la sua massima fioritura si rifletta particolarmente nella complessità e nella qualità della sua arte. Lo stile sviluppatosi a El Tajín è tanto particolare che porta il suo nome. Definito da Tatiana Proskouriakoff, inizialmente fu denominato Arte Classica del Centro del Veracruz (1971). I tratti comuni sono le volute intrecciate, i glifi-emblema codificati e le figure umane rappresentate in maniera naturalista. Questi tratti vengono reiterati e dominano tanto nella pittura quanto nella scultura e decorano le pareti dei vasi di terracotta o dei manufatti di pietra come gioghi, asce e palme che si sarebbero in seguito propagati in tutta la Mesoamericana come segni di prestigio e che erano legati al gioco della palla e al sacrificio per decapitazione associato allo stesso. C’è una profusione di elementi che non lascia spazi vuoti tanto negli ornamenti architettonici come negli affreschi policromi o nelle scene scolpite in bassorilievo dove si vedono rappresentati personaggi che evocano miti, cerimonie ed eventi memorabili. Se a Teotihuacan gli edifici replicavano in successione talud e tablero sovrapposti, a El Tajín questa forma architettonica era integrata da una cornice che si oppone simmetricamente all’angolo descritto dal talud. Quest’innovazione dà ritmo all’architettura, poi199

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ché compone forme tra angoli opposti, linee in contrapposizione, cornici che rompono la successione della forma obliqua delle piramidi. Ai tableros furono addossate le nicchie. Si tratta di ornamenti ottenuti con spazi vuoti ricavati nei muri, che giocano con la ripetizione di ombre, simmetriche, ritmiche. Queste, oltre a dare ritmo e un’apparenza di leggerezza, creano magnifici giochi di luce e ombra sulle facciate. Il chiaroscuro allude al principio di dualità che permeava tutto il pensiero mesoamericano. La divinità principale del sito, Quetzalcoatl, il serpente piumato, integrava in sé due principi apparentemente contrari e incapaci di unirsi: un uccello e un rettile. Il prezioso quetzal dalle lunghe piume e il serpente con la pelle a squame. Un essere appartenente alle sfere superiori, uno dei livelli inferiori. L’unione dei contrari potenziava la capacità del nume. Forse la reiterazione del chiaroscuro a cui gli abitanti di El Tajín ricorsero ripetutamente nelle facciate dei propri edifici mediante i giochi di luce e ombra prodotti dalle nicchie e dalle greche nei tableros sovrapposti cercava di riprodurre questa unione dei contrari, immediatamente visibili non appena ci si trova di fronte a un edificio. Alla classica forma teotihuacana del talud-tablero furono aggiunti degli elementi che riempiono di bellezza ed eleganza la città: venne ispessita la cornice sopra i tableros, che equilibra in questo modo l’angolo disegnato dal talud. Quest’angolo alleggeriva, almeno in apparenza, le pesanti masse degli edifici che in Mesoamerica vengono tradizionalmente realizzati a partire da monticoli e piramidi, simili alle montagne. Le nicchie erano realizzate tagliando le pietre con precisione, armandole poi a secco. Anche se per molto tempo si è pensato che le nicchie fossero ricettacoli per idoli o sculture, le prove archeologiche mostrano che questi spazi vuoti non erano contenitori ma ornamenti che creavano un contrasto di luci e ombre sulle facciate. Un’altra innovazione a El Tajín sono i tetti colati. Mentre nei templi della zona cerimoniale di sicuro i tetti erano di materiale deperibile, nelle costruzioni di El Tajín Chico ci sono tracce di coperture realizzate con malta mischiata a materiali vegetali (che hanno lasciato un’impronta nella malta e nella pietra pomice) e costruite mediante una colata al di sopra delle camere. Si osserva anche l’applicazione di intonaco, in colate successive, a formare strati sovrapposti, forse nel tentativo di riparare deflussi o perdite. Il peso dei grossi strati finì per far crollare i tetti. García Payón descrisse gli enormi blocchi crollati dell’Edificio delle Colonne con l’interno convesso e brunito, arrivando a supporre che lo spazio nel portico sorretto dalle colonne lavorate fosse un tetto arcuato (1964-65: 23). È sicuramente l’architettura il tratto distintivo di El Tajín in Mesoamerica. Abbiamo menzionato la presenza di un sito contemporaneo a El Tajín con un’architettura simile, ma di qualità inferiore: Yohualichan, che si trova a circa sessanta chilometri di distanza in linea retta, sulla Sierra di Puebla, e che sicuramente fu un sito sussidiario di El Tajín. Tra tutti gli aspetti di El Tajín, l’architettura è di sicuro quello del quale si è scritto di più. Gli edifici hanno uno stile coerente, ma ognuno varia in quanto a proporzioni, decorazioni, ritmo e numero delle nicchie. Alcuni elementi come la nicchia, la greca a scaloni, la croce o le bande incrociate, si convertono in letimotiv da sviluppare in infinite variazioni sulle facciate e i corpi degli edifici. La scultura La scultura a El Tajín è, in termini generali, un elemento architettonico. Anche se ci 200

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sono esempi di scultura a tutto tondo e in altorilievo, la maggior parte delle sculture sono bassorilievi integrati nella forma architettonica a cui si ritrovano addossati. A seconda dell’elemento che decorano, i rilievi possono essere classificati in tableros, fregi e colonne. I tableros erano incassati nei muri. Quelli della Piramide delle Nicchie furono realizzati sopra un blocco monolitico, mentre quelli del Gioco della Palla Sud e Nord, così come le colonne, furono realizzati su blocchi differenti costruiti nel muro corrispondente. Questo significa che le sculture erano fatte solo una volta armati i blocchi, in situ, e dipendevano dalla costruzione stessa, poiché questa avrebbe definito le sue dimensioni, il contesto, la funzione e il messaggio. Il lavoro scultoreo può essere classificato, in termini generali, in sculture tridimensionali e sculture a rilievo. Queste ultime possono essere ulteriormente suddivise in altorilievi e bassorilievi a seconda della profondità dell’oggetto scolpito. Si possono considerare sculture a tre dimensioni quelle che mantengono la forma base della pietra che viene lavorata su tutti i lati. Includeremo quindi tra queste quelle che decorano gli angoli dei giochi della palla vicini alla Plaza del Arroyo, ovvero quelle che si trovano nella parte sud del sito e che corrispondono alle prime tappe della costruzione della città. Si tratta di blocchi che rappresentano teste di serpente stilizzate con due zanne per lato e dei crani disegnati dentro le fauci di un mostro. Si tratta sicuramente di un’allusione al significato del gioco. La testa decapitata è ingoiata da un essere formato da due serpenti uno di fronte all’altro, come la palla al centro del movimento creato dall’andirivieni dei contrari. Tra le sculture tridimensionali possiamo includere anche una particolarissima opera, realizzata sopra un prisma triangolare di arenaria, tradizionalmente conosciuta come il Dio Tajín, anche se sarebbe più opportuno collocarla tra le sculture a bassorilievo, dato che si tratta di una colonna prismatica triangolare lavorata a bassorilievo in tutte le sue facce – e questo dà l’impressione che si tratti di una scultura a tre dimensioni. Rappresenta un personaggio con il volto scarnificato che, come il Dio della Morte dei rilievi del Gioco della Palla Sud, ha il cranio scarnificato ma le mani intere. Porta sulla fronte un simbolo che sembra evocare la germinazione di una pianta e sostiene con le mani una forma sinuosa che è stata interpretata come un fulmine. È questa la ragione per cui gli abitanti del posto lo identificano con il “Dio Tajín”, visto che in totonaco “tajín” significa “fulmine”. Infine, nel rilievo sono rappresentati solo una gamba con il suo piede. Per questa ragione alcuni studiosi l’hanno paragonato a Huracán, divinità dell’area caraibica rappresentata con un solo arto inferiore. È anche vero però che la difficoltà di disegnare sopra un prisma avrebbe reso alquanto complicata la rappresentazione di entrambi gli arti. Noi dunque non concordiamo con l’identificazione, come spiegheremo parlando delle divinità. Sappiamo anche che a El Tajín si sviluppò una formidabile tecnica di modellazione della malta, come testimoniato da alcuni ritrovamenti a El Tajín Chico. Marquina (1951: 445) pubblicò una fotografia del patio centrale dell’Edificio delle Colonne dove era ancora visibile la gamba di uno dei quattro personaggi a grandezza naturale. I piedi attinenti apparvero anni dopo, durante l’esplorazione del patio. Nell’Edificio Y di El Tajín Chico fu trovata una testa modellata con la stessa tecnica scultorea in malta policroma che doveva decorare gli edifici. Risaltano le forme realiste della rappresentazione; il viso sembra quasi un ritratto, con lineamenti ben delineati. È evidente il restauro preispanico di cui fu oggetto, poiché si vede un delicato strato di intonaco dipinto sulla pittura originale del viso. Sappiamo dunque che in un dato momento, in epoca preispanica, la scultura venne rimodellata. È anche evidente che la 202

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testa era stata decapitata da una scultura più ampia che probabilmente rappresentava una figura umana intera. Forse non sapremo mai se il volto corrispondeva a qualcuno dei piedi trovati nell’Edificio delle Colonne. A El Tajín ci sono anche sculture lavorate ad altorilievo che provengono dalla Piramide delle Nicchie e dalla Plaza del Arroyo. Ognuna di queste raffigura un personaggio importante e ricorda il modo in cui erano rappresentati i governanti maya sulle stele, anche se non compaiono mai iscrizioni che registrino nomi o date della loro intronizzazione. Le stele sembrano seguire una tradizione sviluppatasi previamente in siti vicini, come Morgadal (Pascual Soto, 2006: 166). Come abbiamo accennato, a El Tajín i bassorilievi sono inglobati nelle costruzioni architettoniche e costituiscono la maggioranza delle sculture del sito. I formati dipendono dalle dimensioni e la posizione dei muri. Le tematiche rivelano la funzione dell’edificio a cui sono addossate. Così possiamo dividere i bassorilievi di El Tajín, sulla base della loro forma e funzione, in tableros, fregi e colonne. I tableros possono essere separati in più serie: quelli della Piramide delle Nicchie, quelli del Gioco della Palla Sud e Nord. Ognuna di queste serie mantiene caratteristiche sue proprie che le distinguono dalle altre: la divisione spaziale, il disegno della cornice e del riquadro rendono evidente l’appartenenza di una serie a un complesso architettonico determinato. Ogni tablero della Piramide delle Nicchie fu realizzato a partire da un unico blocco di arenaria. Le dimensioni sono costanti, anche se con piccole variazioni: ogni lato misura circa 1.20 m. La cornice è formata da una sorta di catena e da riquadri con circoli al centro. In ognuno è raffigurato un personaggio, che può essere solo o affiancato da esseri zoomorfi o mitici che appaiono come secondari.

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Questi tableros decoravano i muri del tempio. Ci sono almeno undici tableros identificati di questo genere. Le figure sembrano alludere a un discorso mitico: infatti anche se i personaggi presentano elementi chiaramente antropomorfi, sono però potenziati da caratteristiche non umane. Se si trattasse di personaggi reali, dignitari per esempio, queste caratteristiche potrebbero aver lo scopo di legittimare il loro potere grazie a una vicinanza con le divinità o potrebbero fare parte degli stessi miti. I tableros che ornavano i muri del Gioco della Palla Sud furono realizzati su vari blocchi infissi alle pareti. Senza dubbio prima furono armati i muri e poi si procedette con le sculture. Il complesso fu pensato come un’unità coerente, ubicando in ciascuno dei quattro angoli il Dio della Morte, incorniciando in una stessa scena il rituale stesso del Gioco della Palla e il sacrificio che ne seguiva. Al centro ci sono scene mitiche incorniciate da volute e simboli di divinità su vari livelli sovrastate dalla magnifica rappresentazione di una divinità che ha il corpo doppio e un unico volto formato dall’unione di due profili. Negli angoli ci sono rappresentazioni del rituale del gioco della palla in un riquadro indipendente dalla scena principale ma a questa unito. C’è un personaggio dal viso, il torso e le braccia scarnificate, mentre le mani sono normali. La parte inferiore del corpo è nascosta dentro un vaso immerso nell’acqua. Si tratta sicuramente dell’immagine del Signore dei Morti o della Morte stessa che allude alla fine della vita una volta terminato il gioco, alla fine di ogni muro del campo e all’ambiente acquatico, che dimora sottoterra e inonda i campi durante la stagione delle piogge, poiché nell’area cerimoniale del sito il livello freatico è vicinissimo alla superficie del suolo. I due tableros centrali del Gioco della Palla Sud sono coronati dall’immagine di una

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divinità con due corpi all’ingiù e un volto visto di fronte formato da due profili. Al posto della bocca è disegnato un becco. Entrambi i tableros sono circondati da bande in cui sono disegnati volute e simboli codificati che molto probabilmente alludono a delle divinità. Ci sono quattro bande per lato e una nella parte inferiore. La scena centrale dei due muri presenta varie similitudini: in entrambe si osserva una struttura architettonica di taglio, costituita da blocchi che contengono acqua. Sul tetto di ognuna ci sono quattro merlature: nella parte ovest del campo c’è un edificio con merlature simili a quelle della rappresentazione e che non sono state trovate in nessun’altra costruzione. Tornando ai bassorilievi, notiamo che in entrambi sono rappresentate delle piante di agave sovrapposte come se raffigurassero un campo coltivato in prospettiva con alcune piante alla base dell’immagine e altre sopra: una convenzione grafica poco abituale in Mesoamerica. Ci sono quattro personaggi in entrambe le scene, ma sembrano alludere a racconti diversi. Nel tablero centrale c’è un personaggio con un copricapo a forma di pesce immerso fino a metà corpo nell’acqua che riceve un liquido che esce dal membro di un personaggio che pratica l’autosacrificio accovacciato fuori dalla struttura architettonica. Sopra le merlature dell’edificio c’è un personaggio umano seduto che porta sul corpo un disegno solare. Sopra di lui si osserva una banda che in cui sono disegnate delle mezze stelle, associate a Venere. Di fronte alla banda c’è un essere dal corpo umano e la testa di coniglio che porta sul corpo le insegne dell’occhio con volute che è stato associato alle divinità del sito. Il rilievo allude quindi da un lato ai liquidi vitali: l’acqua (immagazzinata nella struttura architettonica); i fluidi corporali provocati dall’autosacrificio (sangue) praticato

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sul membro virile (seme) che l’altro personaggio riceve sulle labbra (saliva); e il pulque, bevanda ubriacante di uso rituale a cui allude la rappresentazione dell’agave che produce l’aguamiel dalla cui fermentazione nasce il pulque. Dall’altro lato si rappresentano esseri in qualche modo legati a dei corpi celesti: il sole (sulle merlature), la luna (associata miticamente a un coniglio) e Venere (rappresentata nella banda celeste). Sia il personaggio solare che quello lunare portano in mano un disegno sinuoso che è stato interpretato come il fulmine, il significato totonaco di El Tajín. Nel tablero centrale nord c’è un personaggio legato e con le spalle reclinate. Porta un anello al naso e un ornamento al sopracciglio. Si trova parzialmente dentro la struttura architettonica, sopra il disegno dell’acqua. Di fronte a lui, ma fuori dalla struttura, un personaggio in piedi gli punta l’indice. Tra i due c’è il disegno di una virgola. Questo personaggio porta nell’altro braccio un vaso simile a quello da cui, nei tableros agli angoli dello stesso campo, esce un personaggio scheletrico. Sembra rivolgersi a due personaggi seduti sulle merlature del tetto della struttura. Il primo porta una maschera e ha in una mano un bastone e nell’altra il disegno sinuoso del fulmine. Il secondo, dietro di lui, porta sul petto il disegno di un occhio con volute. È stato proposto un ordine di lettura dei tableros agli angoli che è il seguente: sudest, nordovest, sudovest, nordest. Ovvero si propone di leggere le bande incrociate come se riproducessero graficamente il segno ollin. Quest’ordine indicherebbe anche lo schema da seguire nella celebrazione del rituale. Le scene rappresentano i giocatori della palla e il sacrificio associato al gioco. I fregi decoravano la parte superiore delle pareti dei campi da gioco e a volte anche gli edifici, perlomeno per quanto riguarda il tempio sulla Piramide delle Nicchie. Le fasce sono piene di volute che s’intrecciano con divinità rappresentate per intero o semplicemente tramite un glifo o un volto che alluda alla loro onnipresenza. La ripetizione dei motivi dà ritmo alla decorazione, come in tutto El Tajín. La caratteristica dominante delle fasce scolpite è la ripetizione dei disegni che dà un ritmo alla decorazione, come per le nicchie sulle piramidi. I bassorilievi delle colonne dell’edificio a cui danno nome furono scolpiti una volta armati i cilindri. Grazie ad alcune prove fatte durante l’esplorazione dell’edificio, sappiamo che tre colonne sostenevano il portico. I cilindri di circa un metro di diametro e di altezze variabili furono collocati a secco senza perni o incassi e collassarono irrimediabilmente sotto il peso dei tetti e degli strati di malta e pietra pomice. La tematica rappresentata su queste colonne è molto particolare. Non si tratta, come nei tableros di cui sopra, di apoteosi di divinità, ma di governanti. Chiunque si fosse avvicinato al recinto chiuso e controllato dell’edificio delle colonne, si sarebbe trovato di fronte come prima cosa alla grandezza dei signori che lo abitavano. Di fatto, queste immagini, che accoglievano i visitatori del palazzo, sembrano essere state una forma di propaganda per esaltare i governanti e il loro potere. Il personaggio più citato nelle colonne è 13 Coniglio: bisogna infatti specificare che in alcuni casi veniva registrato il nome calendarico dei personaggi che, secondo la tradizione mesoamericana, corrispondeva al giorno della loro nascita. Sulle colonne sono raccontati eventi storici come l’intronizzazione di 13 Coniglio che riceve le stesse insegne consegnate durante questo genere di cerimonia in altri siti della Costa del Golfo, come si vede rappresentato sui vasi di ceramica lavorati a bassorilievo della tradizione Rio Blanco-Papaloapan di cui si è parlato nel capitolo sulla Mixtequilla, consistenti in un mazzo di piume e una stringa di perle di giada preziosa. Il signore poggia i piedi sulla testa di un decapitato il cui corpo schizza sangue di lato. Ci sono anche scene di cattura di prigionieri in battaglia, rappresentazioni di partite con la palla e di canne legate fra loro che vengono incendiate: eventi legati alle cerimonie che celebravano la fine di un ciclo di 52 anni. Ci sono anche scene di sacrifici per decapitazione e forse anche di sacrifici di bambini. Sono rappresentate anche (poche) donne e l’apparizione di divinità o personaggi vestiti come tali che partecipano insieme agli uomini agli eventi raccontati.

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La pittura La pittura murale si sviluppò magistralmente a El Tajín. Fu influenzata dalle tecniche e dagli stili teotihuacani, ma anche in questo caso li innovarono con uno stile locale. Così, il rosso su rosa venne ereditato dalla grande città, ma le forme sono quelle tipiche di El Tajín: le greche scalonate, le croci, le volute estese su tutta la superficie, il ritratto di personaggi che combinano tratti umani con quelli di esseri fantastici e riprendono le tematiche rappresentate nella scultura. Pian piano si delinea dunque la coerenza di un discorso complesso impresso nei muri della città per celebrarne la grandezza. Gli esempi meglio conservati del sito provengono dagli Edifici 11 e 11bis dell’area cerimoniale e dall’Edificio I di El Tajín Chico. Tuttavia in quest’area sono presenti anche frammenti raccolti in altri edifici come quello A o quello delle Colonne, ovvero si trovano nella parte superiore di edifici dedicati al gioco della palla e nelle costruzioni nell’area residenziale. L’uso distinto che si faceva delle varie aree ha favorito il fatto che gli affreschi abbiano caratteristiche differenti. Così, gli affreschi degli Edifici 11 e 11bis che insieme formano un gioco della palla adiacente alla Piramide delle Nicchie, sono disegni grandi, fatti per essere visti da grande distanza. Al contrario, gli affreschi che furono realizzati sulle pareti dell’Edificio I presentano un tratto molto fine e figure di piccole dimensioni, cosa che conferma la nostra idea secondo cui questi edifici non erano accessibili alle masse: solo coloro che li abitavano avrebbero potuto apprezzarli, avendo la possibilità di guardarli da distanza ravvicinata. Nell’Edificio delle Colonne sono presenti frammenti di 209

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affreschi dove si possono apprezzare dei personaggi disegnati in piccolo formato. Non è possibile stabilire al momento la tematica trattata, essendo stati trovati solo frammenti di affreschi, tuttavia potrebbero verosimilmente aver raccontato delle gesta dei potenti e dei governanti, come nei rilievi che adornano le colonne, per dare più potenza alle loro cerimonie. La ceramica I materiali ceramici del sito possono essere suddivisi in cinque grandi gruppi che a loro volta includono varie tipologie ceramiche: I. Ceramica domestica II. Ceramica con superficie levigata o lucidata III. Ceramica diagnostica IV. Ceramica utilitaria V. Ceramica a pasta fine I primi quattro gruppi sono di ceramica utilitaria, mentre nell’ultimo sono da inserire i vasi utilizzati per i rituali. Nei gruppi I e II sono da inserire piatti, ciotole e scodelle distinguendo la ceramica domestica a pasta grossa da quella con superficie levigata. Il gruppo IV comprende i comales, anch’essi di uso domestico ma con una specifica funzione nei processi culinari. Il gruppo III riunisce la ceramica distintiva del sito di El Tajín. Anche se è stata stabilita una classificazione in sei tipologie, si può dire che le ceramiche hanno una caratteristica distintiva che le rende simili e questa è la decorazione chiamata a “bande ruvide” e quella a “rastrellato” o “spazzolato”. Il gruppo V raggruppa le ceramiche a pasta fine. Ulteriori suddivisioni si basano su colori che includono l’arancione, il rosso, il nero su rosso, il rosso su bianco e l’avorio. Queste ceramiche sono proporzionalmente meno numerose di quelle dalla superficie non levigata. Da notare alcuni esemplari a pasta fine nei colori crema o beige che corrispondono a una tradizione costiera del Postclassico Antico e Tardo estesasi nel nord e nel centro del Veracruz. In termini generali, possiamo dire che le tipologie ceramiche diagnostiche di El Tajín presentano impasto e superficie grezzi. Una di queste è chiamata a “bande ruvide” per la caratteristica della sua superficie, mentre un’altra tipologia è costituita da grandi vasi noti come apaxtles e presenta pittura interna rossa (Yamile Lira, comunicazione personale). Vediamo quindi come nei quattro secoli di splendore della città, le tipologie ceramiche rimasero più o meno immutate. Furono sviluppate tipologie caratteristiche del sito che si mantennero lungo tutta la sua occupazione, nello stesso modo in cui si mantiene una tradizione. È un fenomeno di lunga durata, valido anche per le altre forme artistiche, in cui di generazione in generazione si trasmettono tecniche e modi di fare. C’è una congruenza stilistica tanto nell’architettura quanto nella scultura e nella pittura, e con esse delle manifestazioni grafiche ed estetiche, che è indipendente dallo sviluppo della città. Il mantenimento delle tradizioni porta con sé anche il miglioramento delle tecniche e il raggiungimento di una maestria che consolida l’identità di uno stile. Per questo parliamo di uno “stile Tajín”, che avrà un’importante influenza sulle arti sviluppatesi nel resto della Mesoamerica.

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Religione GLI DEI Le divinità rappresentate a El Tajín condividono alcuni tratti con altri dei mesoamericani che ci permettono di identificarle. Utilizzeremo in questa sede i nomi conosciuti per le divinità del centro del Messico. Di sicuro non erano i nomi con cui venivano invocate a El Tajín, ma ci permettono di individuarne immediatamente le caratteristiche comuni. A El Tajín sono state identificate alcune divinità che sembrano fondere elementi di divinità diverse appartenenti a differenti periodi preispanici. Vedremo quindi una divinità con attributi del dio della pioggia e di quello del vento, o una divinità solare e lunare portatrice del tuono, o infine una divinità dal corpo doppio che assume su di sé elementi attribuibili al dio del Vento. QUETZALCOATL Quetzalcoatl ricevette un esteso e intenso culto durante l’Epiclassico, periodo in cui fiorì El Tajín. Anche se veniva chiamato in altro modo, invocato in maniera differente, rappresentato in molteplici forme, si possono riconoscere a El Tajín molti elementi che rivelano la sua importanza: La pratica del gioco della palla è legata al culto a Quetzalcoatl e Xolotl. L’impressionante numero di campi (17) ritrovati nel sito è quindi un indice del culto di cui era oggetto. La reiterata immagine della xicalcoliuhqui nelle decorazioni architettoniche, così come in un muro la cui pianta rivela una forma di greca a scaloni, è in realtà una geometrizzazione dell’insegna che abitualmente Quetzalcoatl porta sul petto: una conchiglia tagliata che mostra la sua forma interna a spirale. È indicativa l’importanza di Venere espressa nel disegno spesso ripetuto del quinconce e nei serpenti piumati. Questi ultimi alludono chiaramente al significato del nome di Quetzalcoatl, ma come elemento aggiuntivo si attorcigliano a formare il glifo del movimento intorno al disegno dell’astro solare. Nell’edificio I di El Tajín Chico sono rappresentati dei personaggi umani che portano una maschera in cui è disegnata una conchiglia tagliata. Sono rappresentati dentro una croce di cui toccano i bordi con le mani. Anche la croce, come il quinconce, è associata a Quetzalcoatl. Nei tableros della Piramide delle Nicchie appaiono di nuovo elementi associati alla

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XOLOTL Questa divinità corrispondente al compagno, gemello o nahual di Quetzalcoatl. Ha corpo umano e volto di cane e a El Tajín appare nel tablero nordovest e nei fregi pieni di volute intrecciate della Piramide delle Nicchie.

divinità, come la conchiglia tagliata portata sul petto, simbolo della divinità, o il pipistrello, un essere notturno che allude miticamente alla divinità. Sempre associate a Quetzalcoatl appaiono a El Tajín le tre divinità seguenti: Il Dio Duale, Xolotl e Ehécatl. IL DIO DUALE Nei tableros centrali del Gioco della Palla Sud appare raffigurata una divinità dal corpo doppio i cui volti si uniscono a formare un solo viso. Piña Chan (1977: 33) lo identificò come Quetzalcoatl nella sua invocazione di Nácxitl, il “quattro piedi”, identificazione che ribadì nella sua opera dedicata a El Tajín (Piña Chan e Castillo, 1999). Sul volto del dio c’è un becco come quello di Ehécatl, la divinità del vento che è anche una delle invocazioni di Quetzalcoatl. La duplicità dei corpi potrebbe anche fare allusione agli dei primigeni, Ometecuhtli (Signore Duale) e Omecihuatl (Signora Duale), le divinità creatrici, che qui potrebbero essere state rappresentate nella loro forma solo maschile mentre presiedono a scene che alludono a miti complessi.

DIO DEL VENTO Oltre alla rappresentazione di Ehécatl con due corpi e becco di anatra, sui muri dell’Edificio I di El Tajín Chico appare in maniera reiterata la rappresentazione di una divinità dipinta in vari toni di azzurro e con uno stile che ricorda gli dei raffigurati nei Codici Maya. Richiama l’attenzione il glifo Ik, giorno e segno del vento, dipinto sul suo petto e le braccia, poiché Ehécatl è proprio il dio del vento. TLÁLOC Con i caratteristici ornamenti oculari e la bocca dentata, appare in varie occasioni il Tláloc discendente, come la pioggia generosa, con il volto di fronte e il corpo piegato. Risulta interessante una rappresentazione di un personaggio dal corpo umano e con la maschera di Tláloc. Si trova sulla stessa colonna della scena in cui è raffigurato mentre scende con l’aiuto di corde sopra un personaggio femminile seduto. Qui il personaggio è affiancato da una donna nobile vestita con il copricapo tipico di 13 Coniglio. Forse si voleva rivendicare la prossimità del governante alla divinità pluviale o addirittura un suo lignaggio divino. MICTLANTECUHTLI Il dio della Morte è replicato quattro volte negli angoli del campo del Gioco della Palla Sud, a ricordare la drammatica associazione del gioco con la morte per sacrificio. È rappresentato con il cranio scarnificato, le costole, la colonna vertebrale, lo sterno e le ossa delle braccia scarnificate, mentre le mani sono intere. In alcuni fregi appare il cranio scarnificato con la virgola della parola adornata da gioielli che gli esce dalla bocca. Nel tablero Nordovest dello stesso campo del Gioco della Palla Sud appare la rappresentazione di un essere scarnificato, questa volta discendente, che si libra sulla vittima sacrificale e riceve una virgola che sembra nascere dal sacrificato. Tutte queste rappresentazioni ricordano la morte viva, come fu rappresentata in vari altri siti della Costa del Golfo nel Centro-sud del Veracruz, come per esempio il Signore dei Morti a El Zapotal, nella Mixtequilla, o a Los Cerros. In tutti i casi questi personaggi sono sorridenti, fatali, macabri, vigorosi, potenti, vivi. IL DIO UCCELLO Non c’è nessuna divinità di questo genere per il centro del Messico, tuttavia si trova una figura simile nella zona maya durante il periodo Classico, per esempio a Palenque. Si tratta di un essere dal corpo umano, testa di uccello e ali che escono dalle braccia. Appare spesso come una divinità discendente e spesso è associata a immagini di sacrificio. È rappresentata nel lato sudovest dei tableros dei due campi per il gioco della palla e a nordovest in quello del Gioco della Palla Nord, ovvero sia a nord che a sud del lato del tramonto. Per questo motivo pensiamo che fosse associato al sole discendente. DIO TAJÍN La scultura chiamata Dio Tajín ritrovata nell’Edificio 5 presenta tratti di scarnificazione,

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virgole sulle sopracciglia e porta in mano un oggetto sinuoso che è stato interpretato come il fulmine. Álvaro Brizuela ha mostrato che i Totonachi contemporanei conoscono una divinità che identificano come Tajín e che incarna la tempesta. In questo senso, riconosce la scultura come “simbolo climatico che rappresenta la sintesi del fenomeno atmosferico rappresentato dal complesso vento, pioggia, fulmine-lampo e tuono”. (Brizuela, 2008: 957). Dobbiamo però insistere sul fatto che tempesta non indica una necessaria associazione con Huracán. DIO SOLARE Nei tableros centrali del Gioco della Palla Nord, così come in un tablero della Piramide delle Nicchie, è raffigurato un essere seduto di profilo circondato da piume che formano una specie di scudo. Pensiamo di poterlo equiparare al sole. È circondato anche da due serpenti piumati intrecciati. È seduto sopra un trono, simbolo del potere, simile a quello che usa 13 Coniglio nella rappresentazione della sua intronizzazione sopra uno dei rilievi delle colonne. Come già detto, Galindo ha proposto (2004: 383) che questo essere sia da identificare con il sole circondato dai serpenti che rappresentano Venere il cui passaggio nel firmamento segue l’eclittica solare. Nel tablero centrale sud del Gioco della Palla Sud, sulle merlature della struttura architettonica centrale, appare un personaggio seduto di profilo parzialmente coperto da un disegno solare. Porta in mano il disegno sinuoso del fulmine e un coniglio, associato alla luna nello stesso tablero. Appare ancora una volta il simbolo del tuono, che dà nome al sito in totonaco. DIO HURACÁN? Dalle esplorazioni di José García Payón, emerse che Huracán era la divinità principale di El Tajín, un’idea accettata e riproposta da vari autori. L’idea alla base di quest’assunto era l’onnipresente greca a scaloni di El Tajín, che viene indicata come simbolo dell’uragano nel magnifico libro di Fernando Ortiz pubblicato per la prima volta nel 1947 e citato e discusso dallo stesso García Payón nel cercare di spiegare perché la greca a scaloni era il simbolo di quel fenomeno climatico (1973b). Uno degli argomenti dedotti per imporre la divinità Huracán come oggetto di culto a El Tajín è il significato del nome del sito in lingua totonaca: tuono. Tuttavia, secondo il nostro punto di vista, questo debilita ancora di più la proposta invece di rafforzarla. Un tuono non è un uragano. Huracán è in effetti una potente divinità oggetto di un importante culto nell’area caraibica. La forza distruttiva del fenomeno sugli abitanti di quella regione spiega da sola il timore che provocava. 214

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Anche i Maya riconobbero in questo nume una divinità creatrice e nel Popol Vuh ci si riferisce a lei come al cuore del cielo (PopolWuj: 4). Tuttavia al El Tajín l’incidenza di uragani è minima. La sua posizione geografica la protegge dai forti venti, e le montagne smorzano fenomeni di quel genere convertendoli in tormente tropicali, che sebbene creino sconquasso, sono percepiti in maniera ben diversa. Gli acquazzoni ostinati, accompagnati da vento, che portano inondazioni e crescita del livello dei fiumi non sono la stessa cosa dei fenomeni vissuti dagli abitanti della Penisola dello Yucatan e delle isole dei Caraibi che si sentono arrivare addosso il vento distruttore a una forza e una velocità incredibili, poi la calma che corrisponde all’occhio dell’uragano e infine l’improvviso ricominciare della forza del vento in direzione contraria. Oltretutto, la frequenza di uragani nell’area in cui sorge El Tajín è comparativamente molto più bassa: in un secolo (1900-2000) furono registrati a El Tajín 32 uragani, mentre nello stesso lasso di tempo ce ne furono 77 nell’area maya e 313 nelle Antille. Il Gioco della Palla Il gioco era molto più che uno sport. La sua enorme diffusione in Mesoamerica, la grande quantità di campi che mostrano come venisse praticato soprattutto, anche se non esclusivamente, nell’Epiclassico, danno conto dell’importanza non solamente rituale ma sicuramente anche politica ed economica del gioco. In termini simbolici si trattava della messa in scena del confronto cosmico tra le forze contrarie che trovavano nel gioco un equilibrio salvifico. Gli allineamenti all’interno del campo segnavano il passaggio del sole al solstizio. Alla fine del gioco uno dei giocatori veniva decapitato, sacralizzando in questo modo la sua morte che diventava un’offerta agli dei quale alimento necessario affinché essi continuassero a creare vita. Questo spettacolo drammatico e sanguinoso di sicuro commuoveva gli spettatori e risvegliava la passione dei suoi praticanti. È evidente che il gioco della palla fu uno dei rituali principalmente praticati a El Tajín, poiché sono stati trovati 17 campi da gioco. Bisogna ricordare che la divinità che presiedeva al Gioco della Palla era Quetzalcoatl insieme al suo gemello Xolotl. Insieme erano i gemelli preziosi, le stelle luminose del mattino e della sera, i contrari complementari. La pratica del gioco-rituale evocava il confronto dei contrari che trovava una soluzione solo nel movimento. Alcuni dei campi presentano un allineamento da est a ovest, che segue il cammino del sole; altri seguono il tracciato nord-sud, perpendicolare ai primi. In questo modo erano abbracciate tutte le quattro direzioni che formano l’universo secondo la cosmologia 215

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mesoamericana. Il campo da gioco stesso diventava il luogo dove fisicamente e simbolicamente avveniva il movimento che simbolicamente equilibrava le opposizioni affinché il ciclo continuasse ininterrottamente. A El Tajín non sono state trovate tracce di anelli in nessun campo. Vi erano però sculture, di cui abbiamo parlato, che segnavano sei punti precisi sul campo. È possibile che questi punti fossero i marcatori per segnare dei punti. In alcuni campi da gioco è stata ritrovata una specie di ciotola di pietra che forse originariamente serviva come base della palla. In alcuni bassorilievi sono state ritrovate rappresentazioni di queste ciotole. Sappiamo che in epoca preispanica si usavano delle palle fatte con una gomma in certo modo vulcanizzata, ritrovate ad esempio nel sito olmeco di El Manatí, attivo due millenni prima di El Tajín. Queste palle di gomma erano fatte con una miscela di lattice e liquido estratto dalla pianta Ipomea alba che dava elasticità e capacità di rimbalzo alla sfera (Tarkanian e Hosler, 2000). Tuttavia è importante segnalare che spesso nei rilievi di El Tajín e altri siti (Higueras sulla Costa del Golfo o Chichen Itza nella zona maya) viene rappresentato un cranio all’interno della palla. Non è impossibile che la base della palla per giocare fosse un cranio, magari quello di un sacrificato decapitato durante un rituale associato al gioco e poi ricoperto di gomma. Oppure, più semplicemente, la palla era la metafora di una testa-trofeo e in quanto tale veniva rappresentata come un cranio. Nel campo da gioco degli Edifici 11 e 11bis c’è un magnifico rilievo in cui compaiono due volti di profilo uno di fronte all’altro, in chiara opposizione. Portano ognuno un complicato copricapo con due teste di serpente. Al centro del rilievo si trovano due serpenti di uno di questi copricapi. Le loro lingue si uniscono a formare il simbolo del movimento: ollin. È il movimento, la sintesi dell’opposizione dei contrari, l’essenza della filosofia del gioco stesso. E l’essenza del pensiero filosofico mesoamericano. Si tratta della ricerca dell’equilibrio dei contrari che può aver luogo solo tramite il movimento continuo. Una volta terminato il gioco, veniva fatto un sacrificio per decapitazione. Si è discusso a lungo su chi fosse la vittima. Si è detto che erano i perdenti a essere sacrificati, dando al sacrificio un valore piuttosto di castigo. È stato anche proposto che, poiché i sacrificati erano offerti agli dei e si convertivano in dei loro stessi, non erano i perdenti ma i vincitori a ricevere l’onore del sacrificio. Tuttavia, se così fosse stato, il sacrificio avrebbe significato un’enorme perdita, poiché l’allenamento per formare un bravo giocatore sarebbe stata un’enorme perdita di tempo, sforzo e denaro. A nostro avviso, si decideva già prima della fine della partita chi sarebbe stato sacrificato. Dopo tutto nei rituali non c’è spazio per il caso, come invece c’è nel gioco. Il sacrificato sarebbe dunque stato preparato e vestito come un giocatore indipendentemente dal risultato. I bassorilievi parlano chiaro riguardo al momento del sacrificio. È chiaro che si trattava di una decapitazione, poiché il sacrificatore affonda il coltello nella gola dell’individuo. Ci sono vari bassorilievi a El Tajín che rappresentano questo momento drammatico della decapitazione, in particolare nel campo del Gioco della Palla Sud e nelle colonne. C’è un bassorilievo incompleto di forma triangolare o trapezoidale che descrive questo momento secondo convenzioni grafiche ben note in altri siti mesoamericani, come Higueras e Aparicio sulla Costa del Golfo e Chichen Itza nella zona maya. In tutti e tre, dal collo del decapitato si vedono uscire dei serpenti che sono la metafora dei fiotti di sangue e il sacrificato è vestito come un giocatore, con le caratteristiche protezioni del giogo e dell’ascia o della palma. 216

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Cosmologia La rappresentazione del cosmo come un piano orizzontale con quattro angoli o direzioni e un nucleo centrale è diffusissima in Mesoamerica, in tutte le epoche. È uno schema che concepisce una sovrapposizione verticale di livelli spaziali e il tempo che scorre attraverso dimensioni precedenti. Il piano orizzontale L’altare dell’Edificio 4 di El Tajín mostra un’iconografia del tutto congruente con la rappresentazione dell’orbe nei codici e in altri documenti mesoamericani. Ha la forma di un rettangolo nel cui centro perforato c’è l’immagine del sole, riconoscibile dalle piume che la adornano e dalle frecce che la attraversano, dato che, come sappiamo, le frecce alludono al carattere guerriero del sole. Negli estremi inferiori sinistro e destro ci sono rappresentazioni dell’acqua associata al profilo di teste di serpente stilizzate e con le sopracciglia a volute. Due corpi di serpente ornati di piume si attorcigliano due volte intorno al disegno del sole, una sotto e l’altra sopra. I nodi formati dai corpi dei serpenti disegnano il glifo del movimento conosciuto come “ollin” in nahuatl. Il disegno si trova su un altare che a sua volta è sopra una tartaruga. Nella scena compaiono quattro personaggi umani. Quelli al centro, i principali, han217

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no età molto diverse. Il vecchio si riconosce perché ha delle rughe sul volto. Porta simboli associati alla morte, come il coltello sacrificale e una mano mutilata nel copricapo. Il personaggio giovane invece porta una fila di canne legate tra loro, simbolo della rinascita del Fuoco Nuovo ogni 52 anni. Mentre questi due uomini calcano il suolo, gli altri due, che sembrano secondari, hanno i piedi immersi nell’acqua. Entrambi portano borse di copal. Dietro al copricapo di tutti e quattro i personaggi c’è l’emblema che a El Tajín rappresenta ovunque la divinità: l’occhio a volute. Quella descritta è la rappresentazione ideale di un universo quadrangolare, eliocentrico, composto di acqua, terra, fuoco e vento, integrati e ordinati dal quinto elemento essenziale: il movimento, che risolve il passaggio da un contrario all’altro, che permette il passaggio degli astri intorno al piano terracqueo, intorno a un asse, che risolve l’opposizione dei contrari, che si riproduce nel rituale del gioco della palla e forse in qualche modo anche nella transizione del potere da un signore al suo successore. La coerenza della cosmologia a El Tajín con il resto della Mesoamerica non si riconosce solo nell’iconografia, poiché, come delineeremo qui di seguito, il piano urbanistico della città corrisponde all’immagine dell’universo. In effetti, se guardiamo alla mappa di El Tajín, la stessa che a molti sembrò tracciata in maniera casuale, riconosceremo la replica dei principali elementi simbolici descritti. Al centro della città si erge la Piramide delle Nicchie il cui numero 365 non poteva alludere con maggiore chiarezza al sole e alla sua corsa nel cosmo. L’acqua scorre sul lato est e ovest del centro cerimoniale dentro i fiumi che corrono da nord a sud. Anche la Mesoamerica era circondata sui lati est e ovest dall’acqua. L’elemento dell’aria, evocato in tutto il sito dai serpenti piumati, è rappresentato ancora una volta nella costruzione chiamata “la Gran Xicalcoliuhqui”, che ha una pianta a forma di conchiglia sezionata e probabilmente aveva 260 nicchie, un numero che allude al calendario rituale che misurava il tempo insieme a quello di 365. La terra è il posto che ospita tutta la città: nell’altare è rappresentata da una tartaruga vista di profilo che è anche il posto dove viene rappresentato l’altare stesso che si trova al centro della cerimonia. Il movimento rappresentato nell’altare mediante i corpi annodati dei serpenti è rappresentato nel piano urbano dai campi che erano la sede del gioco della palla, un rituale che evocava il trascorrere ciclico dei contrari che genera vita. Questo movimento astrale e ciclico è equiparabile al trascorrere del tempo. L’ossessione per il computo del tempo è legata al movimento cosmico. L’immagine del cosmo mesoamericano non è solamente tridimensionale, non comprende solo le quattro direzioni orizzontali e i livelli verticali sovrapposti, esiste una dimensione in più, quella del tempo, che è l’asse del movimento solare intorno al piano terrestre. Il passare del tempo è concettualizzato dal movimento, ollin. Il tempo è un’altra dimensione, quella che permette il ciclico divenire dell’esistenza. Nello stesso modo in cui corpi dei serpenti piumati rappresentati nell’altare circondano e si intrecciano intorno al sole, i visitatori della città di El Tajín sono obbligati a zigzagare tra gli edifici per spostarsi nel sito. A differenza della tipica città mesoamericana, dove le strade e le vie seguono delle linee rette, El Tajín obbligava i fedeli visitatori a seguire cammini capricciosi come quelli che segue Venere nella volta celeste. Se in altre città mesoamericane le processioni procedevano in linea retta, come quella che segue il sole o la luna nel firmamento, a El Tajín, dedicato a Quetzalcoatl, gemello divino, stella del mattino e della sera, Tlahuizcalpantecuhtli, esse dovevano imitare il corso dell’eclittica di Venere. I livelli sovrapposti

dei vari livelli è un albero le cui radici affondano nell’inframondo, il tronco attraversa i livelli in cui vivono gli esseri umani e le fronde arrivano a toccare il cielo. Spesso i rami sono occupati da uccelli, che rappresentano gli esseri del mondo superiore. Gli alberi e le piante sono variamente rappresentati a El Tajín, ma c’è un tablero in particolare, ritrovato a El Tajín Chico, che rappresenta un albero come axis mundi. Le sue radici affondano all’interno di una piramide che rappresenta la montagna sacra e la cima arriva alle fauci aperte di un mostro tellurico. Nel tronco e sui rami, che si estendono fino alla sommità del riquadro, crescono i frutti del cacao, prodotto fondamentale dell’economia preispanica dall’importante valore simbolico. Ci sono due personaggi nella scena. Uno è seduto sulla struttura piramidale, la morte è rappresentata alle sue spalle sotto le forme di un personaggio scheletrico che punta l’indice verso l’alto. Accarezza un quadrupede, forse un grande felino, la cui coda arriva fin dentro la piramide, nell’inframondo. L’altro personaggio sale i gradini della piramide, si dirige verso il personaggio seduto, porta un vaso a forma di cranio. I personaggi si trovano al centro del tablero, proprio come gli uomini occupano i livelli intermedi dell’universo. Nell’inframondo, il mostro tellurico che tutto divora, ha le fauci aperte. Nella parte superiore ci sono i rami che toccano i livelli del mondo superiore. La morte è rappresentata ai due estremi della figura, nella forma dell’essere divoratore dell’inframondo e in quella del personaggio che indica i livelli superiori. Al centro ci sono gli uomini che officiano il culto. I signori ricevono le offerte dai loro sudditi.

In tutta la Mesoamerica il cosmo è concepito come composto da livelli sovrapposti. El Tajín non fa eccezione. Abbiamo visto come nell’altare siano rappresentati dei serpenti i cui lunghi corpi affiancano la tartaruga e si estendono fino al limite superiore del riquadro posto sopra l’altare, dove ci sono piume che evocano i volatili, appartenenti ai livelli superiori. Tuttavia l’immagine più usata in Mesoamerica per esprimere quest’idea 218

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La geometria del tempo Il computo del tempo era di estrema importanza in tutta la Mesoamerica. La misura del tempo era fatta tramite due calendari che avanzavano ciclicamente e simultaneamente. La conoscenza di questi cicli era fonte di potere poiché significava capacità di predire i cicli degli astri, delle stagioni della pioggia e della siccità e quindi della semina e della raccolta. La data di nascita era inclusa nel nome degli uomini e degli dei poiché ne determinava il carattere, le abilità, le inclinazioni. El Tajín non era esente da questa inquietudine e lasciò sia memoria dei nomi dei personaggi – dei quali, di fatto, solo si registrò la data – sia la rappresentazione del simbolo della celebrazione del Fuoco Nuovo – il fascio di canne legate tra loro – che avveniva in Mesoamerica ogni qualvolta le due ruote calendariche ricominciavano lo stesso giorno. Questo avveniva ogni 52 cicli di 365 giorni equivalenti a 73 cicli di 260 giorni. Questi cicli calendarici furono rappresentati anche nell’architettura di El Tajín : L’Edificio 19 del Gruppo Arroyo, il giorno dell’equinozio proietta la sua ombra sulla balaustra occidentale della scalinata nord (Galindo, 2004: 386), come avviene nella città maya di Chichen Itza i cui diciotto corpi dei due lati della piramide di El Castillo corrispondono alle diciotto ventine dell’anno. Inoltre, come il Castillo di Chichen Itza, anche l’Edificio 19 ha quattro scalinate, una per lato, che segnano a grandi linee le quattro direzioni e stabiliscono quello che forse era originariamente il centro della città. La Piramide delle Nicchie, la struttura piramidale centrale del sito, ha 365 nicchie, manifestando quindi materialmente il conto calendarico del ciclo solare. Inoltre, anche se oggi sono rimaste solo 15 nicchie sulle sue scalinate, si è visto che una volta ce ne dovevano essere altre 3, poi crollate, per un totale di 18, come le ventine. Un altro numero significativo è il 52, poiché è il numero degli anni di cui è composto un ciclo, e corrisponde al numero delle nicchie della facciata lasciata libera dalla scalinata, così come al numero delle nicchie nel quarto corpo dell’edificio. Infine, la Gran Xicalocoliuhqui: anche se non è stata ancora del tutto liberata, gli architetti René Ortega e Exequiel Jaimes che erano presenti quando fu esplorata e nella fase di consolidazione, durante il progetto El Tajín, hanno calcolato che il muro la cui pianta assomiglia a una greca a scaloni doveva avere 260 nicchie (comunicazione personale). Veniva in questo modo rappresentato in maniera monumentale il calendario rituale che correva insieme a quello solare. Da queste considerazioni si può concludere che El Tajín alimentasse un discorso grafico coerente con la cosmologia mesoamericana: aveva ereditato elementi dai principali centri culturali della Mesoamerica, quali le culture del centro del Messico o quelle dei Maya, che a loro volta si erano formate sulle idee e i modelli sviluppatesi nella Costa del

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Golfo del Messico fin dai primordi della civiltà, con la formazione dell’urbanismo, le prime registrazioni calendariche, fino alla formazione di piccoli chiefdoms, e poi grandi signorie organizzate come città-stato. Due millenni prima della fioritura della grande El Tajín, vennero concepite, nel sud della Mesoamerica, le idee da cui si sarebbe diffusa la civiltà e che portarono alla creazione di quelle signorie che celebravano il potere nelle sue insegne. L’apice di questa modalità fu raggiunta al tempo del Signore 13 Coniglio le cui gesta rimasero scolpite a memento della sua potenza nei bassorilievi del portico del suo palazzo, sulla cuspide dell’acropoli di El Tajín.

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CAPITOLO OTTAVO RICERCHE ARCHEOLOGICHE Lourdes Budar, Annick Daneels, Sara Ladrón de Guevara, Yamilie Lira e Roberto Lunagómez

L’area olmeca La storia dell’archeologia olmeca inizia con le descrizioni fatte nella seconda metà del XIX secolo dall’esploratore messicano Don José María Melgar y Serrano che nel 1862, sulla base delle segnalazioni di alcuni contadini di Hueyapan, Veracruz, andò a ispezionare un monumento di grandi dimensioni. Si trattava di una scultura in pietra di dimensioni colossali a forma di testa umana. Melgar pubblicò la scoperta del Monumento A di Tres Zapotes corredato di illustrazioni solo nel 1869. La notizia rimase però quasi sconosciuta alla comunità scientifica fino al 1887, quando Alfredo Chavero tornò a parlare della testa colossale di Hueyapan menzionandola nella sua opera divenuta un classico México a través de los Siglos (1887). Nel 1891 venne formata una commissione scientifica diretta da Francisco del Paso y Troncoso che ispezionò Tres Zapotes e procedette alla raccolta di materiale archeologico destinato alla mostra Exposición HistóricoAmericana, tenutasi a Madrid nel 1892. Fu Del Paso y Troncoso in persona a catalogare le figurine provenienti da quella raccolta (Del Paso y Troncoso, 1893). Siamo già nel XX secolo (1915) quando Eduard e Cecilie Seler visitano Tres Zapotes per realizzare uno studio fotografico delle sculture monolitiche e procedere a un’estesa raccolta della ceramica del sito (Seler, 1922). Qualche anno più tardi, nel 1925, Frans Blom, accompagnato da Oliver La Farge, intraprese la famosa “esplorazione Tulane”. L’obiettivo dell’esplorazione era l’attraversamento a piedi della selva che si estendeva dal sud del Veracruz fino al confine politico con il Guatemala

allo scopo di stendere un inventario della cultura maya, che i due pensavano essersi sviluppata in questo ecosistema. Durante l’esplorazione, Blom e La Farge salirono sulla cima del vulcano San Martín Pajapan e registrarono la presenza del Monumento 1 di Pajapan, che ora si trova nelle sale del MAX. Scoprirono inoltre La Venta e menzionarono altri siti archeologici sconosciuti all’epoca (Blom e La Farge, 1926-1927). Poco tempo dopo, nel 1927, Hermann Beyer nella sua recensione di Tribes and Temples usò la parola “Olmec” riferendosi a un’ascia denominata “idolo Olmeco” che lo studioso comparava con il monumento di San Martín Pajapan, Veracruz (Beyer, 1927). Due anni più tardi, Marshall H. Saville diede nuovo vigore al termine “Olmeco”, usato in precedenza da Beyer, in due articoli sopra alcune asce votive nei quali parlò di uno stile artistico unico, caratterizzato da “tratti facciali felini” e una fenditura a forma di “V” in fronte. Queste furono le caratteristiche che conferirono al termine “Olmeco” lo status di stile artistico nell’archeologia mesoamericana (Saville, 1929). Negli anni ‘40 apparve sulla scena Miguel Covarrubias, un artista messicano e collezionista d’arte che divenne un autodidatta di tutto quanto era “Olmeco”; è di fatto considerato il primo olmechista e pubblicò una serie di libri che mettevano in risalto opere d’arte in stile olmeco (Covarrubias, 1942 e 1961). A partire dal 1938 iniziarono le prime ricerche scientifiche sul campo in Veracruz, Tabasco e Chiapas sotto la direzione di Matthew W. Stirling, che in seguito sarà considerato il pioniere dell’archeologia olmeca. Queste prime esplorazioni furono realizzate grazie al patrocinio della National Geographic Society-Smithsonian Institution. 225

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Nell’inverno 1938-1939, l’équipe di Stirling realizzò le prime mappe planimetriche di Tres Zapotes e iniziò una serie di scavi al fine di stabilire una cronologia del sito. In quattro mesi di scavi, Stirling e Clarence W. Weiant (1943) scoprirono vari monumenti in roccia vulcanica. Nel successivo periodo di scavi, 1939-1940, Stirling poté contare sulla partecipazione di Philip Drucker (1943a) alla direzione delle trincee stratigrafiche. Durante questi due periodi di scavo furono recuperate varie stele, monumenti e altri oggetti in pietra lavorata tra cui spiccano il Monumento A (la testa colossale registrata da Melgar), le stele A e C – quest’ultima presenta la seconda data calendarica più antica della Mesoamerica (31 a.C.) secondo la correlazione Goodman-MartínezThompson – e una scalinata di pietra addossata a una struttura in terra (Stirling, 1943). Nel 1939 si svolse a Città del Messico la prima parte del 27° Congresso Internazionale degli Americanisti (ICA). Caso, Covarrubias e Stirling avanzarono l’ipotesi, basandosi sulla stele C di Tres Zapotes, che la civiltà olmeca fosse anteriore a quella maya e avesse esercitato la sua influenza in altre regioni della Mesoamerica. Nel 1942 ebbe luogo a Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, la “Tavola Rotonda su Maya e Olmechi” della Sociedad Mexicana de Antropología. Alla riunione partecipavano la maggior parte degli interessati al problema olmeco e fu in quest’occasione che venne proposto il termine di “Cultura madre” (Caso, 1942; Jiménez Moreno, 1942). Infine, nel 1945-1946, Stirling effettuò una serie di scavi nei siti di San Lorenzo, Potrero Nuevo e Tenochtitlán, nella piana alluvionale del fiume Coatzacoalcos. Durante questi due soggiorni di scavo, Stirling scoprì a Tenochtitlán – un sito ubicato tra lo sbocco dell’estuario Tatagapa e il fiume Chiquito – 2 monumenti antropozoomorfi in pietra basaltica, così come altri oggetti in basalto lavorato che classificò come miscellanea (recipienti di pietra). A El Remolino (un sito vicino a Tenochtitlán, sull’argine occidentale del fiume Chiquito) localizzò due grandi colonne di granito in una secca del fiume (Stirling, 1955). Nella meseta di San Lorenzo, localizzata 2.5 km a sudovest di Tenochtitlán, Stirling realizzò alcune trincee e trovò vari cocci di ceramica, delle figurine e 15 monumenti monolitici di roccia vulcanica, tra cui il Monumento 1 conosciuto come “El Rey”, quattro teste colossali (monumenti 2, 3, 4 e 5), il Monumento 14 o altare-trono e dei personaggi seduti. Diede anche notizia di sezioni di un acquedotto a forma di “U” che più tardi saranno scavate da George Raymond Kroster all’interno del progetto “Río Chiquito” (Stirling, 1955; Coe e Diehl, 1980). Infine, Stirling e la sua squadra realizzarono scavi della durata di 7 giorni a Potrero Nuevo – ubicato a sudest di San Lorenzo – e vi trovarono della ceramica molto simile a quella dell’Altopiano e quattro monumenti in pietra, ovvero: il Monumento 1 che rappresenta un giaguaro antropomorfo; il Monumento 2, il famoso “altare degli atlanti”; il Monumento 3 che secondo Stirling rappre226

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senta la copula di un giaguaro e una donna; un serpente in pietra arenaria frantumato. Stirling giunse alla conclusione che la regione di San Lorenzo fosse contemporanea a Tres Zapotes e subordinata al centro regionale La Venta (Stirling, 1955). Nella primavera del 1953, Philip Drucker e Eduardo Contreras effettuarono la prima perlustrazione della zona-nucleo olmeca. Il proposito della perlustrazione era determinare l’estensione a est e a sud del territorio olmeco negli stati del Veracruz e del Tabasco. La perlustrazione fu pianificata in modo da coprire il territorio più ampio possibile durante gli scavi, utilizzando le reti fluviali come mezzo di trasporto e i cavalli per caricare l’attrezzatura. Furono localizzati 81 siti archeologici, di cui 71 furono campionati tramite trincee stratigrafiche per stabilire una datazione. Fu stabilita anche una tipologia dei siti sulla base delle loro caratteristiche architettoniche (Drucker e Contreras, 1953). Nel 1955, Philip Drucker, Robert F. Heizer, Robert J. Squier e Eduardo Contreras iniziarono gli scavi a La Venta, allo scopo di fornire una cronologia dell’occupazione del sito. Si servirono per la prima volta delle prove al Carbonio 14 che ubicarono l’apogeo del sito tra il 1000 e il 400 a.C. (Drucker, Philip, R.F. Heizer e R.J. Squier, 1959). Tra il 1966 e il 1968 iniziò il progetto “Río Chiquito” della University of Yale, diretto da Michael D. Coe e Richard A. Diehl (1980) a San Lorenzo Tenochtitlán. Coe e Diehl portarono avanti un progetto multidisciplinare di ricerche archeologico-etnoecologiche nella regione, mettendo in atto un programma di scavi a San Lorenzo, Tenochtitlán, El Remolino e Potrero Nuevo, al fine di stabilire una sequenza cronologica della regione tuttora valida. Procedettero inoltre a fare campionamenti del suolo, osservazioni etnografiche e studio dei modelli d’uso contemporanei della terra in un’area di studio di 77 km2 intorno a San Lorenzo, Tenochtitlán e Potrero Nuevo. Furono anche localizzati 30 monumenti grazie all’utilizzo di un magnetometro a protoni. Il progetto “Río Chiquito” poté stabilire una lunga sequenza cronologica, basandosi su alcune datazioni al C14, che dimostrava un’antica occupazione indigena delle terre basse della Costa del Golfo. Sulla base di questo sviluppo culturale caratterizzato dalla presenza di una scultura monumentale, fu proposto che quella fosse l’apparizione della “prima comunità civilizzata della Mesoamerica” (Coe e Diehl, 1980: 394). Nel giugno del 1969, Manuel Torres Guzmán dell’Instituto de Antropología della Universidad Veracruzana e Marco Antonio Reyes, studente alla Facoltà di Antropologia, effettuarono uno scavo di salvataggio ad Arroyo Pesquero, nel comune di Las Choapas, Veracruz, nel sud dello stato. In questo sito furono trovate le prove di un’occupazione olmeca, come le famose maschere in serpentino, giadeite e altri materiali, insieme a 2000 asce di materiali simili a quelli delle maschere (Ramón Arella-

nos, comunicazione personale). Più avanti, durante i soggiorni di scavo del 1969 e del 1970, si continuò la ricerca di monumenti a San Lorenzo Tenochtitlán, sotto la supervisione di Roberto Gallegos dell’Instituto Nacional de Antropología e Historia e di Francisco Beverido (1970) dell’Instituto de Antropología della Universidad Veracruzana. Furono scoperti, tramite un magnetometro al cesio, sette monumenti rilevanti per il corpus scultorico olmeco, tra i quali spicca la Testa Colossale n. 7. Un anno dopo, Jürgenn Brüggemann e Marie-Areti Hers scoprirono la Testa Colossale n. 8, che è attualmente esposta nell’entrata del Museo de Antropología di Xalapa (Brüggemann e Harris, 1970; Brüggemann e Hers, 1970). Furono localizzati anche 6 nuovi monumenti. Nella sua tesi di dottorato, terminata nel 1970 e intitolata “San Lorenzo Tenochtitlán e la civiltà olmeca”, il dott. Francisco Beverido presentò il primo testo integralmente in spagnolo su San Lorenzo Tenochtitlán – i risultati finali del progetto “Río Chiquito” furono pubblicati in inglese solo 10 anni dopo (Coe e Diehl, 1980). Agli inizi degli anni ’70, Robert Squier e Francisco Beverido diedero inizio al “Proyecto Olmeca de Los Tuxtlas”, che aveva il proposito di mettere in piedi un lavoro topografico e un programma di scavi in vari siti. Tra i risultati di questo progetto vi fu l’individuazione del secondo frammento della Stele C di Tres Zapotes e la scoperta della Testa Colossale di Cobata (Beverido, 1971), che risultò essere la più grande delle 17 teste colossali incontrate fino a quel momento e l’unica con gli occhi chiusi – attualmente si trova nel parco centrale di Santiago Tuxtla. Nel 1978, Juan Yadeum della Dirección de Monumentos Prehispánicos dell’INAH diede avvio al progetto archeologico “Las Sociedades Olmecas”, nel famoso sito di Las Limas, nel comune di Jesús Carranza, Veracruz, dove effettuò un rilievo topografico e degli scavi stratigrafici (Yadeum e Pastrana, 1979). All’interno di questo progetto si procedette a una ricognizione superficiale coordinata da Hernando Gómez Rueda dell’INAH. Questi scavi stabilirono i limiti del sito principale, Las Limas, e la sua relazione con una ventina di siti circostanti (Gómez Rueda, 1989). Inziato nel 1990 e tuttora in atto, il “Proyecto Arqueológico San Lorenzo Tenochtitlán”, diretto da Ann Cyphers dell’Instituto de Investigaciones Antropológicas della UNAM, ha fornito risultati su alcuni aspetti della vita quotidiana degli Olmechi, come sui luoghi di trattamento del bitume (Wendt e Cyphers, 2008) e dei prodotti del fiume (Vega, 2005); sulla sussistenza agricola (Lane et al., 1997; Zurita, 1997); sulle dimensioni, la morfologia e la sequenza occupazionale del sito di San Lorenzo (Cyphers et al., 2010); sul modello regionale di insediamento e la densità occupazionale di San Lorenzo – stabilendone le dimensioni intorno ai 500 ettari – e di quella di vari siti nel suo hinterland come Loma del

Zapote, Potrero Nuevo, El Bajío-El Remolino e i siti della pianura settentrionale di San Lorenzo (Cyphers 1997; Symonds et al., 2002). Furono trovati 256 siti nei dintorni del centro olmeco di San Lorenzo per il periodo corrispondente al suo apogeo nel Preclassico Inferiore, anche se nei periodi del Preclassico Medio e Tardo vi fu una notevole diminuzione di popolazione provocata da vari fattori come il drastico cambio ambientale e problemi di ordine sociopolitico. Concepite come programmi di ricerca dello stesso progetto, furono effettuate tre perlustrazioni regionali nei dintorni di San Lorenzo. La prima di queste fu fatta nella regione a ridosso – o hinterland – di San Lorenzo e coprì un’area di 400 km2, dando luogo all’identificazione di 256 siti (Lunagómez, 1995; Symond et al., 2002). La seconda fu fatta nelle regioni di San Isidro-Estero Rabón, Cruz del Milagro e Cuauhtotolapan tra l’hinterland di Laguna de los Cerros e quello di San Lorenzo, e coprì un’area di 320 km2, dando luogo all’identificazione di 346 siti (Borstein, 2001). L’ultima, nella regione della montagna El Mixe a sud di San Lorenzo, coprì un’area di 15 km2 e fece identificare otto siti (Alonso, 2003). Sommando i risultati di tutti questi studi, attualmente si conoscono in maniera sistematica 735 km2. Tra i risultati si conta la conoscenza della storia del modello insediativo preispanico macro-regionale dal periodo Preclassico Inferiore – fase Ojochi-Bajío (1500 a.C.) – fino al periodo Classico Terminale – fase Villa Alta Tardía (8001000 d.C.). Fu anche avanzata l’ipotesi che San Lorenzo avesse avuto un’importanza capitale durante il Preclassico come centro di controllo e redistribuzione di beni e prodotti e che le caratteristiche e le dimensioni dei siti suggerivano una gerarchia a otto livelli – da piccoli centri isolati fino al centro regionale. Furono proposti inoltre il calcolo della densità della popolazione sulla base della capacità di carico agricolo e qualche ipotesi sulla complessità socio-politica negli hinterlands di San Lorenzo e di Laguna de los Cerros durante i loro periodi e/o fasi di occupazione. Nel 1991 iniziarono gli scavi diretti da David C. Grove e Susan D. Gillespie dell’Università dell’Illinois, all’interno del “Proyecto Olmeca: La Isla-Llano del Jícaro”, in due siti vicino a Laguna de los Cerros (Gillespie, 1994; Grove, 1994). All’inizio del 1992, Robert Paul Kruger dell’Università di Pittsburgh iniziò un progetto di prospezione archeologica a livello regionale con una ricognizione di 24 km2 intorno al sito archeologico El Macayal, nella zona orientale del fiume Coatzacoalcos. Lo scopo era quello di studiare gli aspetti regionali della complessità politica del Formativo Antico tra San Lorenzo e El Macayal, basandosi su un campionamento casuale del territorio. Tra il luglio e l’agosto del 1996 Kruger iniziò gli scavi di un complesso domestico formativo nelle colline intorno a San Carlos, un sito vicino a El Manatí. 227

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Le pionieristiche esplorazioni olmeche effettuate da personaggi del calibro di Stirling, Drucker, Weiant, Covarrubias, Heizer, Squier, Contreras, Piña Chan e Medellín tra gli altri grandi olmechisti, hanno forgiato e dato sostegno alle ricerche successive. Tuttavia, i risultati degli studi olmechi recenti hanno messo in discussione alcune delle “ipotesi” riguardo alla genesi, lo sviluppo e il collasso degli Olmechi, con proposte che partivano dal punto di vista di altre regioni e categorie concettuali. Tra queste possiamo citare le teorie diffusioniste sulla cultura Mokaya, le migrazioni transoceaniche e la decisa negazione dell’apparizione di sistemi di organizzazione sociopolitica complessi come lo stato. Alla fine degli anni ’80 (1988-89) Ponciano Ortíz, dell’Instituto de Antropología della Universidad Veracruzava, e l’archeologa Carmen Rodriguez del Centro Regional Veracruz dell’INAH iniziarono gli scavi di salvataggio delle offerte del “Proyecto Manatí”. Attualmente il “Proyecto Manatí” pone maggior enfasi sull’importanza di alcuni siti nelle vicinanze: in questo senso sono state fatte esplorazioni a El Macayal, La Merced e La Nueva Abundancia e in particolare nello “spazio sacro” delle offerte fatte alla sorgente di acqua potabile ai piedi della montagna El Manatí, che dà nome al sito. Qui furono celebrate cerimonie sacre e furono deposte centinaia di asce e altri oggetti in giada, così come materiali deperibili che presentano uno straordinario stato di conservazione. Tra questi sono di particolare rilievo i busti antropomorfi in legno, le palle di caucciù, le corde e i resti ossei che potrebbero indicare la presenza di pratiche sacrificali presso gli Olmechi (Ortiz et al., 1997; Rodríguez e Ortiz, 2000). Nel 1990 fu effettuata una ricognizione nella regione sudovest dei Tuxtlas. Non fu usata una metodologia sistematica di superficie e non furono richiesti i necessari permessi all’Instituto Nacional de Antropología e Historia (Ceja, 1997). Ci furono inoltre evidenti problemi nell’identificazione cronologica dei siti e alcuni tipi ceramici diagnostici del periodo Classico furono scambiati per marcatori cronologici di età olmeca. Nel 1990 e nel 1994, Christopher von Nagy (1997) fece una ricognizione regionale nel delta del fiume Grijalva per un’area di 189 km2 corrispondente alle pianure alluvionali del Tabasco. Le ricerche si basavano su precedenti studi geomorfologici che avevano identificato due paleoalvei denominati Arenal e Pajonal, intorno ai quali furono identificati 147 siti, la maggior parte dei quali con occupazione olmeca. I siti avevano una datazione compresa tra il Preclassico e il Postclassico, permettendo così una miglior conoscenza della storia degli insediamenti preispanici confinanti con il territorio a ovest di La Venta. Tra il 1995 e il 1996, Christopher A. Pool (2000) fece una ricognizione intensiva intra-sito a Tres Zapotes mediante transetti di campionamento a intervalli regolari. I risultati più importanti furono i dati ottenuti sulla cre228

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scita e la complessità dell’insediamento a partire dal Preclassico inferiore, la produzione artigianale di ceramica e pietra vulcanica, la definizione dell’ampiezza del sito che fu stimato superare i 300 ettari, così come la possibile interazione di questo centro regionale con altri insediamenti nella regione dei Tuxtlas e nelle pianure alluvionali dei fiumi Papaloapan e Coatzacoalcos durante le epoche olmeca ed epiolmeca. Nel 1998 iniziò il progetto Hueyapan che interessava il bacino medio del fiume San Juan Evangelista (Killion e Urcid, 2001). Questa ricognizione coprì un’area di 180 km2 e permise di identificare 26 siti con architettura monumentale, e altri che presentavano ceramica in superficie. L’obiettivo dello studio era ricostruire la storia dei modelli insediativi dall’epoca olmeca fino al periodo Postclassico al fine di stabilire quali fossero i meccanismi economici e politici che si svilupparono tra la zona sudovest ai piedi dei monti Tuxtlas e le pianure alluvionali del fiume San Juan vicine a Laguna de los Cerros. Nel 1999, gli abitanti di Lomas de Tacamichapa, un villaggio vicino a San Lorenzo, riferirono di un blocco di pietra identificata come serpentino dove appare un antico sistema di scrittura collegato all’epoca olmeca. Questo reperto, ritrovato fortuitamente e conosciuto come “il blocco di El Cascajal”, scatenò una polemica tra gli olmechisti riguardo al sistema di scrittura che presenta, viste anche le strane circostanze del suo ritrovamento (Rodríguez, 2006). Tra i progetti regionali sviluppatisi recentemente in territorio olmeco, bisogna citare il programma di ricognizioni nel bacino del basso Coatzacoalcos – nella zona di Jáltipan, Chinameca e Minatitlán – nato nel 2001 (Jiménez, 2008). Questa ricerca ha applicato una metodologia di ricognizione superficiale casuale su un’area di 540 km2, partendo dall’identificazione di 236 evidenze che per la maggior parte corrispondevano a delle aree di occupazione (siti) e possibili aree di estrazione di risorse, come l’argilla per la manifattura di ceramica e il basalto per la scultura monumentale. Il progetto ha cercato di comprendere come venivano controllate le risorse e definite le gerarchie sociali nei siti vicini all’area vulcanica dei Tuxtlas e ai bacini del basso Coatzacoalcos e del basso Coachapa. Si è occupato anche dei modelli insediativi preispanici dal Preclassico al Postclassico, cercando di capire le relazioni tra l’ambiente e le antiche occupazioni. Nel 2003 è stato realizzato uno studio dei modelli insediativi del Formativo Tardo e Terminale (ca. 400 a.C.300 d. C.) nel bacino orientale del fiume Papaloapan. Lo studio coprì un’area di 23 km2, all’interno della quale furono registrati 383 tratti architettonici e dispersioni di materiale archeologico (Loughlin, 2004) corrispondenti per la maggior parte ai periodi Formativo Terminale e Classico. L’obiettivo principale della ricerca era studiare l’organizzazione politico-economica di El Mesón, considerato un centro regionale di piccole dimensioni. In que-

sto sito, come a Tres Zapotes e a La Mojarra, compaiono monumenti con una scrittura epi-olmeca che faceva uso del sistema del Conto Lungo. Il progetto “Reconocimiento Arqueológico Medias Aguas”, portato avanti negli anni 1999, 2000, 2003 e 2004, si è concentrato sullo studio dei modelli insediativi regionali (Lunagómez, 2010) e ha compreso un’area di 200 km2. Con una metodologia di analisi sistematica del terreno superficiale, sono stati individuati 124 siti, di cui 121 corrispondono alla fase San Lorenzo (1200-900/800 a.C.) e rappresentano la fase di occupazione più densamente popolata. Posteriormente, nel Preclassico Medio si nota una diminuzione significativa degli insediamenti che aumentano nuovamente e in maniera graduale durante il Classico Tardo e Terminale (600-1000 d.C.), con una tendenza simile a quella della vicina regione di San Lorenzo. Questi insediamenti presentano una varietà di caratteristiche architettoniche e di componenti occupazionali che datano dal Preclassico Inferiore fino al Classico Terminale. Allo stesso tempo è stato realizzato il primo rilievo topografico di Medias Aguas, che ha stabilito l’estensione del sito come corrispondente a oltre 40 ettari e ha appurato l’ubicazione originale del monumento chiamato il “Mascarón de Medias Aguas”. Furono anche scavate alcune sepolture e offerte rappresentative del periodo Classico (Lunagómez et al., 2005). Recentemente la regione di Arroyo Pesquero e il sito Los Soldados sono stati esplorati da Carl Wendt e Roberto Lunagómez (in stampa) rispettivamente dell’Università Statale della California-Fullerton e della Universidad Veracruzana. La ricerca si è focalizzata sulla vita quotidiana, la sussistenza e l’organizzazione sociopolitica degli Olmechi nella regione del fiume Tancochapa-Tonalá entro i confini statali del Veracruz e del Tabasco, nelle vicinanze di La Venta. Bisogna ricordare, d’altro canto, che per diverse ragioni – come i lavori infrastrutturali – c’è una continua presenza di scavi archeologici nella regione che portano sempre nuovi risultati e ampliano la conoscenza archeologica della regione. Tra questi vi è il ritrovamento nel 2002 di un trono olmeco nel sito di El Marquesillo, Veracruz (INAH, 2002), così come i numerosi recuperi e salvataggi al seguito di opere infrastrutturali moderne quali autostrade, linee elettriche ad alto voltaggio ed esplorazioni sismiche e petrolifere realizzati dall’INAH. Los Tuxtlas Le ricerche archeologiche nella regione dei Tuxtlas iniziarono con la pubblicazione della già menzionata scoperta del monumento A di Tres Zapotes fatta da José María Melgar y Serrano nel 1869. La scoperta richiamò l’attenzione di vari ricercatori tra cui Eduard Seler, che nel 1992 visitò Hueyapan per andare a vedere la colossale testa olmeca e più avanti realizzò degli scavi in un sito

chiamato Matacanela, vicino al lago Catemaco, dove si sa che localizzò alcuni monumenti in pietra, anche se non esistono molte informazioni su queste ricerche (Blom e La Farge, 1986). Anni dopo, Frans Blom e Oliver La Farge iniziarono la spedizione Tulane entrando nella selva del sudest messicano dalla regione dei Tuxtlas. Registrarono parecchi reperti archeologici a San Andrés Tuxtla, Catemac, Teotepec, Agaltepec e Matacanela, e in particolare un “idolo di pietra a forma di uovo” (Blom e La Farge, 1986: 46) oggi conosciuto come “la scultura di Homshuk” e conservato nel Museo de Antropología di Xalapa (MAX). Blom realizzò anche un rilievo planimetrico – a mano – di Agaltepec, un sito ubicato in un’isola a nord del lago Catemaco. Il primo obbiettivo di questa tappa della spedizione Tulane era arrivare a un piccolo paesino chiamato Piedra Labrada che si trovava nell’altro versante delle montagne, nella zona costiera del vulcano Santa Marta, perché si aveva notizia che in questo luogo si trovava un monolite con iscrizioni maya (Blom e La Farge, 1986: 62). A Pietra Labrada, Blom registrò un monumento a forma di spiga di 2 metri di altezza che si trovava in superficie e gli diede il nome di Stele 1 di Piedra Labrada. Ciò che richiamò la sua attenzione furono le iscrizioni sulla stele poiché queste indicavano che non si trattava di un reperto maya. Registrò poi la presenza di altri monumenti nel sito. Blom segnalò che molti dei monumenti che avevano incontrato nella selva di Los Tuxtlas appartenevano a uno stesso stile che non era sicuramente maya e che assomigliava molto a quello che avrebbe visto più tardi a La Venta, Tabasco, pur senza proporre un nesso culturale. Alla fine degli anni ’30, i lavori di ricerca archeologica iniziarono ad assumere un carattere più sistematico. Gli archeologi Karl Rupert e Juan Valenzuela, nel 1937 e nel 1938, relizzarono le prime ricerche nei siti di Agaltepec, Matacapan, La Mechuda, Matacanela e Catemaco. Tuttavia fu nel 1942 che avanzarono l’ipotesi, dopo aver studiato e analizzato i dati che avevano, che la regione dei Tuxtlas avesse ricevuto una forte influenza da Teotihuacan e avesse avuto grande importanza nelle relazioni culturali tra l’area huasteca, teotihuacana, maya e di Monte Albán in Oaxaca nel periodo culturale denominato Classico. Valenzuela ipotizzò queste influenze culturali dopo aver analizzato la ceramica presente nei siti scavati che proveniva da altre aree della Mesoamerica (Valenzuela, 1945). Agli inizi degli anni ’70, Robert Squier e Francisco Beverido diedero inizio al “Proyecto Olmeca de Los Tuxtlas” ed effettuarono sondaggi intensivi e scavi di prova in vari siti della regione dei Tuxtlas. L’unico documento che dà testimonianza di questo progetto è la tesi di master di Ponciano Ortíz Ceballos intitolata “La cerámica de los Tuxtlas” (1975) che si basava sull’analisi ceramica degli scavi realizzati nel 1971 a Tres Zapotes, El Picayo, 229

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Matacapan, Chochocapan, Bezoapan, Arroyo de Liza e Nextepetl. Questi lavori servirono a proporre la prima sequenza cronologica relativa della regione (Beverido, 1987; Ortíz, 1987 e 1988). Senza ombra di dubbio, uno degli archeologi che diede maggior apporto alla conoscenza della regione dei Tuxtlas fu Robert S. Santley della University of New Mexico, il quale fece ricerche sistematiche basandosi su ricognizioni di superficie e scavi a Matacapan e nei siti circostanti, oltre che un sondaggio regionale, dagli anni ’80 fino ai primi anni di questo secolo. Santley mise in piedi una squadra di lavoro composta da studenti e archeologi che in seguito svilupparono i propri progetti personali nella regione: Ponciano Ortíz, Robert Cobean, Richard Diehl, Sara Ladrón de Guevara, Roberto Lunagómez, Bernd Fahmel, Stacey Symonds, Christopher Pool, Thomas Killion, Ronald Kneebone, Philip Arnold e Michael Smith, tra gli altri (Arnold III, 2009: 110). L’obbiettivo principale di Santley era stabilire quali erano state le relazioni economiche e politiche della regione di Matacapan con altre aree come l’Altopiano Centrale. Santley e i suoi collaboratori avanzarono l’ipotesi che il sito di Matacapan fungesse da enclave teotihuacana e servisse da nodo di produzione. Dimostrarono anche come le diverse relazioni politico-economiche presenti nei Tuxtlas si riflettessero in un sistema di modelli insediativi preispanici e riuscirono a identificare 188 siti archeologici in un’area di 400 km2 (Santley, 2007). Christopher Pool, a metà degli anni ’90, iniziò la ricognizione sistematica di Tres Zapotes con l’obiettivo di realizzare la prima mappa topografica e stabilire i limiti e l’organizzazione del sito mediante l’analisi della distribuzione del materiale archeologico. Grazie a questi lavori Pool riuscì a ricostruire la sequenza occupazionale e fece ricerche sull’organizzazione della produzione artigianale. I lavori di Pool nella regione continuarono fino al 2000 allargandosi ai siti di Bezoapan e La Joya. Pool e Britt, in seguito alle analisi al C14 di 20 campioni presi a La Joya, conclusero che il periodo Formativo Antico a Los Tuxtlas era compreso tra il 1500 e il 900 a.C.; il Formativo Medio tra il 900 e il 400 a.C.; il Formativo Tardo tra il 400 e il 100 a.C. e aggiunsero una fase chiamata Formativo Terminale compresa tra il 100 a.C. e il 300 d.C. (Arnold III, 2007). La regione dei Tuxtlas fu pensata per molto tempo come un’intensa area di attività per gli Olmechi. Tra il 1997 e il 1998, Ann Cyphers realizzò degli scavi a Laguna de Los Cerros, dimostrando che era un sito del Classico Terminale e non un sito olmeco come si pensava. Propose inoltre che la regione avesse un enorme significato rituale per gli Olmechi – che si insediarono molto più a sud sulla costa del Golfo – dato che qui estraevano la materia prima con cui costruivano i monumenti: il basalto. Come Cyphers, anche Santley e Arnold a Matacapan e Pool a Tres Zapotes, giunsero alla conclusione che lì si svolgesse un’intensa attività fin dal periodo Formativo. 230

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Tuttavia il periodo di maggior sviluppo delle popolazioni che abitavano la regione fu il Classico e furono soprattutto motivi di ordine economico e politico a motivare le relazioni con altre aree della Mesoamerica, in particolare con l’Altopiano Centrale. Javier Urcid e Thomas Killion si unirono agli obiettivi degli studi realizzati da Santley e nel 1998 percorsero 180 km2 nel bacino medio del fiume San Juan ai piedi dei monti Los Tuxtlas nella regione sudoccidentale, registrando 1400 monticoli (Lunagómez, 2002). Fino a questo momento il grande problema della regione dei Tuxtlas era la mancanza di evidenze archeologiche che apportassero dati sufficienti a stabilire delle sequenze cronologiche estese fino al Postclassico. Nel 2003, Philip Arnold lavorò nell’isola Agaltepec sul lago Catemaco e stabilì la prima prova inequivocabile riguardo all’occupazione del Postclassico (1000-1521 d.C.), nella regione dei Tuxtlas. Wesley D. Stoner iniziò nel 2007 i lavori di ricognizione archeologica della Valle Tepango, nella Sierra de Los Tuxtlas, su una superficie di 120 km2, nel tentativo di comprendere l’organizzazione politica della valle in ogni epoca dell’occupazione preispanica, per integrare i dati con i lavori di Santley. Tutti i lavori di ricerca archeologica nei Tuxtlas si sono concentrati nelle zone vicino a Tres Zapotes, Matacapan e Catemaco, mentre la zona costiera di questa regione è stata poco analizzata. A partire dal 2008 l’archeologa Lourdes Budar della Universidad Veracruzana sviluppò il “Proyecto Arqueológico Piedra Labrada”. Questo progetto regionale aveva come obiettivo quello di stabilire le dimensioni, la durata nel tempo e il modello urbanistico degli insediamenti preispanici nella zona costiera del nucleo II della Biosfera dei Tuxtlas. Si voleva ricostruire la dinamica sociale delle comunità e le loro interrelazioni con l’ambiente circostante, così come spiegare i processi di cambiamento sociale e di adattamento dei gruppi che vi si stabilirono. Fino a oggi sono stati percorsi solo 14 km2, nei quali si trova un insediamento preispanico di più di 250 monticoli, alcuni fino a 20 metri di altezza, anche se ciò che più richiama l’attenzione sono i 15 giochi della palla individuati. Nonostante sia un progetto appena iniziato e malgrado la scarsità dei dati a disposizione, si può già notare come gli insediamenti della costa ebbero un’importanza notevole non solo nella regione dei Tuxtlas, ma anche nel sud del Veracruz. La Mixtequilla La regione della Mixtequilla fu conosciuta dal punto di vista archeologico dopo la scoperta di una scultura monumentale a Cerro de la Mesas. Questo sito si trova nella zona centrale dello stato del Veracruz, molto vicino al fiume Blanco e a soli 24 km dalla baia di Alvarado. Fa

parte di un complesso di vari siti conosciuti con i nomi di Los Pájaros, Santana, Cerro del Gallo, Coyol e Cerro de las Mesas, che è il sito principale. Matthew Stirling, leggendario esploratore, scopritore di monumentali opere olmeche, registrò venti monumenti durante la sua spedizione a Cerro de las Mesas nel 1941. Tra le altre cose, trovò un giogo associato ad alcune sepolture di individui decapitati, cosa che ora è riconosciuta come la testimonianza più antica delle pratiche rituali connesse al gioco della palla tipiche del centro del Veracruz nel periodo Classico. Sicuramente la sua scoperta più spettacolare è costituita dalla grande offerta di giada che includeva 782 pezzi. Sono però notevoli anche i ritrovamenti di resti ossei e ceramici: la cronologia di questi ultimi è stata rivista da Philip Drucker che collaborò con Stirling durante l’esplorazione (Drucker, 1943b; Stirling, 1943). I lavori di Stirling nella Mixtequilla propendono per un’occupazione antica della regione. Ai ritrovamenti che fece nei siti olmechi va aggiunta l’identificazione di altre sculture monumentali posteriori al periodo di fiuritura olmeca che, insieme alle giade ritrovate nel sito, danno prova di una continuità nella tradizione, dalle fasi più antiche fino all’inizio della nostra era. Negli anni ’60, l’archeologo Manuel Torres Guzmán esplorò la regione. Nella sua tesi, “Exploraciones en la Mixtequilla”, apparsa nel 1970, propose di considerare la Mixtequilla come una subarea culturale ubicata nei bacini dei fiumi Blanco e Papaloapan. In quel lavoro, oltre a Cerro de las Mesas, menzionò le esplorazioni guidate da Alfonso Medellín Zenil nel Cerro Grande del Municipio di Tlalixcoyan e a Los Cerros, Dicha Tuerta e Nopiloa nel Municipio di Tierra Blanca. Rese noti anche i suoi lavori nei siti di El Cocuite, Piedras Negras, Ejido Santa Ana e nel capoluogo municipale di Tlalixcoyan. Le esplorazioni di questi siti mostrano il predominare di un’occupazione più tarda di quella registrata da Stirling a Cerro de las Mesas. Torres documentò il periodo Classico e la tradizione delle grandi sculture ceramiche. Nel decennio successivo, lo stesso Torres intraprese l’esplorazione di El Zapotal, i cui ritrovamenti ancora oggi risultano sorprendenti, ma pubblicò poche notizie al riguardo. Il grande santuario dedicato a Mitlantecuhtli includeva un’enorme offerta di sepolture e sculture ceramiche di pregevole fattura. Più tardi, nel 1986, Barbara Stark realizzò degli studi sistematici nella regione della Mixtequilla che le permisero di fare una mappa della regione e di procedere nell’esplorazione. In particolare mostrò la configurazione del sito Cerro de la Mesas e dei siti subordinati, tracciando mappe precise e analizzando materiali ceramici e litici raccolti in superficie in maniera sistematica. Le sue conclusioni riconoscevano Cerro de las Mesas come la capitale politica e religiosa della regione nel periodo del suo apogeo, ovvero dal principio della nostra era fino al 500-700 d.C., quando decadde per la fioritura

di alcuni centri vicini. Su un altro versante e parallelamente alle esplorazioni archeologiche, gli studi epigrafici e iconografici hanno fornito importanti informazioni rispetto alla cosmologia e alla cronologia della regione. In questo ambito, tre grandi complessi sono stati particolare oggetto di attenzioni: le stele di Cerro de las Mesas della tradizione del bacino del Papaloapan; le sculture ceramiche di El Zapotal e dei siti nelle vicinanze; e i vasi lavorati a bassorilievo detti Río Blanco-Papaloapan. Mentre Stirling esplorava Cerro de las Mesas, Miguel Covarrubias realizzava i disegni delle stele principali. Si venne allora a conoscenza dell’usanza di registrare le date con il sistema del Conto Lungo, di solito riconosciuto come maya. Le date registrate nelle stele non lasciavano spazio a dubbi riguardo alla cronologia. La stele 6 riporta l’anno 468 d.C. (9.1.12.14.10) e la stele 8 il 532 d.C. (9.4.18.16.6). Gli studi recenti di John Justeson e Terrence Kauffmann (2008) hanno riesaminato le iscrizioni di quei documenti di pietra dando una nuova proposta di lettura, inserendosi in questo modo nella discussione riguardo all’appartenenza linguistica ed etnica dei suoi creatori. Le loro ricerche giungono alla conclusione che quei documenti appartenevano a una tradizione proto mixezoque. Le sculture ceramiche di El Zapotal sono state oggetto di lavori come quello di Nelly Gutiérrez Solana e Susan Hamilton (1977) che fecero una catalogazione dei pezzi. Recentemente, Cherra Wyllie (2008) ha riesaminato la pittura murale del sito El Zapotal, non come manifestazione isolata, bensì inserita nel contesto di altri complessi, con evidenze iconografiche (stele, sculture ceramiche e vasi con bassorilievi). Il suo lavoro mostra una certa continuità nelle insegne e nei simboli e di conseguenza nel discorso religioso dell’area, con un impatto che travalica il contesto puramente regionale. La zona semiarida centrale Le fonti storiche che si riferiscono al Centro del Veracruz sono fondamentalmente in spagnolo: non c’è nessuna prova certa che qualcuno dei codici preispanici provenga da questa regione, mentre gli eccezionali lienzos sono di epoca più tarda. Poiché la Conquista iniziò su quelle coste, le opere spagnole che abbiamo al riguardo sono tra le più antiche. Le lettere di Hernán Cortés e le memorie di Bernal Díaz descrivono una regione divisa tra popoli di lingua totonaca al nord del fiume La Antigua e popoli nahua al sud, entrambi sottomessi all’impero azteco. Invece fonti un po’ più tarde, come Torquemada e le Relazioni Geografiche, indicano che i Totonachi arrivarono tardivamente sul Golfo e prima della sottomissione agli Aztechi erano già stati controllati da altri nuovi arrivati: i Cicimechi (di lingua nahuatl). 231

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Come è successo molte volte nella storia dell’archeologia, le prime notizie sulle antiche opere d’arte provengono da amateurs del diciannovesimo secolo, romantici che andavano in cerca dell’arte autentica. Due delle pubblicazioni più antiche sul centro del Veracruz sono l’opera di Pietro Márquez (1804) che parla delle rovine della piramide a El Tajín e quella di Guillaume Dupaix (1834) che tratta del tempio di Quautochco e di uno dei primi gioghi illustrati. Ci sono poi i lavori realizzati da Fuzier durante l’invasione francese (Taladoire e Daneels, 2009). Tuttavia, una serie di lavori molto più sostanziosi fu redatta da Hermann Strebel che con sorprendente intuizione propose per la prima volta una distinzione tipologica, stratigrafica e storica di tre complessi archeologici: associò i gioghi con la popolazione locale originale, la ceramica policroma con i Totonachi di Cerro Montoso e Sollacuauhtla, e l’architettura di Zempoala con i signori cicimechi (nahua) che presero il controllo della zona poco prima dell’arrivo degli Spagnoli (Strebel, 1884, 1885, 1889,1890 e 1899). Questo pionieristico sforzo fu ignorato dagli studiosi messicani che nella mostra per il quarto centenario della scoperta dell’America tenutasi a Madrid (Paso e Troncoso, 1892 e 1893) esposero soprattutto opere di collezionisti e identificarono i popoli semplicemente in base alla loro distribuzione sul territorio al momento del contatto con gli Spagnoli. Eduard Seler s’interessò agli studi mesoamericani quando vide nel Museo di Berlino le collezioni donate da Strebel. Seguì però gli storici messicani nell’attribuire in blocco alla cultura Totonaca le decorazioni a volute di El Tajín, una tesi seguita poi dal suo alunno Krickeberg la cui opera, tradotta in spagnolo, ebbe ampia diffusione nel mondo ispanico (Krickeberg, 1933). Questo mostra come fin dagli inizi sorsero delle discrepanze sull’identità etnica da attribuire ai portatori della cultura del centro del Veracruz. L’inizio dell’archeologia scientifica in quell’area fu cappeggiata da due figure: José García Payón e Alfonso Medellín Zenil. Il primo, formatosi alla scuola europea, coniugò una formazione da storico, archeologo, architetto e storico dell’arte. Le sequenze cronologiche che sviluppò tra il 1937 e il 1951 negli scavi di Trapiche e Chalahuite stabilirono le basi del Preclassico, quelle di Chachalacas e Xiutetelco stabilirono le basi del Classico e quelle a Paxil e a Zempoala le basi del Postclassico, dimostrando che l’occupazione preispanica della costa centrale era antica almeno quanto quella della costa meridionale e della costa pacifica. Tuttavia, Payón è conosciuto principalmente per le sue esplorazioni e per il restauro di El Tajín effettuato tra il 1951 e il 1974. Egli mise in risalto la lunga traiettoria occupazionale del sito ma vacillò nell’attribuirne definitivamente la costruzione a un gruppo etnico. Alfonso Medellín Zenil si formò come antropologo alla Escuela Nacional de Antropología e Historia, che era di ispirazione essenzialmente nordamericana e negli 232

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anni ’40 venne influenzata da una tradizione ecologista sviluppatasi precocemente in quegli anni in Messico (Vivó, Armillas, Palerm). La sua prima ricerca diede origine al concetto di Cultura Remojadas che coincideva principalmente con la pianura costiera di Sotavento. Le sue esplorazioni successive nella regione lo portarono ad ampliare il concetto di Centro del Veracruz come area culturale compresa tra il Cazones e il Papaloapan e che abbracciava parte dell’Altopiano Centrale, una delimitazione tutt’oggi riconosciuta. Tuttavia, nel suo fondamentale lavoro del 1960 interpretò tutte le culture del Centro del Veracruz, dal Preclassico fino al Postclassico, come totonache, una proposta che sulle prime trovò ampio consenso nonostante fosse carente di un’argomentazione solidamente fondata, creando così un paradigma archeologico che le ricerche più recenti non supportano. Negli anni ’40 e ’50 fecero il loro ingresso i ricercatori nordamericani. James A. Ford introdusse per la prima volta la seriazione ceramica, i modelli di diffusionismo e le datazioni assolute al carbonio 14. William Sanders realizzò i suoi primi lavori sul modello insediativo proprio nel Centro del Veracruz. Da questo lavoro pioneristico derivò il suo modello di ecologia culturale che considerava il sistema del “taglia e brucia” praticato nelle zone umide tropicali come un impedimento all’intensificazione agricola necessaria alla crescita della popolazione, crescita che a sua volta avrebbe permesso ai chiefdoms di evolvere in veri e propri stati durante il periodo Classico. Sanders estese il modello alla zona maya, ma venne confutato dai mayisti soprattutto con argomenti di tipo epigrafico che dimostravano l’esistenza di una gerarchia politico-amministrativa. Poiché non c’erano prove al riguardo per il Veracruz, l’area restò relegata nella categoria di cultura periferica e secondaria negli anni della Nuova Archeologia (’60-’80). Negli anni ’70 tre figure spiccarono per il loro contributo. Wilkerson (1972, 1974) presentò la sua proposta di dividere il Centro del Veracruz in due regioni: centronord e centro-sud, con una frontiera che nel corso del tempo era oscillata tra il fiume Colipa e il fiume Antigua. Questa separazione avrebbe segnato delle differenze negli sviluppi paralleli delle due zone, possibile riflesso delle differenze nella composizione etnica. Da quando fu proposto, questo modello ha ricevuto sempre più accoglienza fino a diventare il punto di partenza per analizzare le similitudini e le differenze all’interno di quell’area culturale. Allo stesso tempo iniziarono a lavorare nella regione Brüggemann e Stark che fecero uso di modelli tratti dal materialismo storico e dagli studi insediamentali, applicando tecniche per la gestione statistica dei dati. Brüggemann, dopo aver iniziato le sue ricerche nei siti di epoca Classica del centro-sud nel 1968, si dedicò a Zempoala tra il 1981 e il 1988, e in seguito a El Tajín, dal 1988 al 1996. Stark iniziò i lavori nel bacino basso del Papaloapan nel 1977, proseguendo nelle vicinanze

di Cerro de las Mesas (1984-ancora in corso). Basandosi su argomenti di tipo funzionalista derivati dall’evidenza del modello insediativo, considerò che nel Classico esistessero già dei sistemi statali: un’ipotesi appoggiata dai dati dei modelli insediativi del vicino bacino del Cotaxtla studiato da Daneels dal 1981 fino a oggi. Questo sovvertì un pregiudizio originato dal modello di Sanders e che ebbe lunga vita, secondo cui i siti del Classico non erano altro che grandi villaggi o centri cerimoniali vuoti, e permise di comprendere meglio l’impatto che ebbe la cultura del Centro del Veracruz nella Mesoamerica di epoca Classica: un impatto riconosciuto dai ricercatori del XIX e dell’inizio del XX secolo, ma inspiegabile in una prospettiva processuale. Una pietra miliare per la ricerca fu il ritrovamento della Stele de la Mojarra nel 1986 che riportando le date del Conto Lungo corrispondenti al 143 e al 156 d.C. è il più antico prototipo di stele raffigurante un governante con figura umana riccamente vestita, viso e piedi di profilo, torso di fronte, un testo glifico a fianco e delle date calendariali. Il testo è l’iscrizione più lunga esistente in una lingua dell’Istmo: un idioma interpretato come pre-proto zoque. La cosa ebbe forti implicazioni: da un lato fece nascere l’ipotesi, seguita da molti, che lo zoque fosse la lingua degli Olmechi, ipotesi in accordo con gli evidenti legami tra il Preclassico del centro-sud del Veracruz e la zona olmeca (il sistema glifico e le date sono congruenti con gli sviluppi epi-olmechi che abbracciano una zona compresa tra la costa pacifica del Chiapas e del Guatemala e il Centro del Veracruz). Dall’altro lato, quello stile si presentava già chiaramente iscritto nel solco dei canoni propri del periodo Classico del Centro del Veracruz, con le volute della parola come parte importante del discorso. Le montagne alte Le vestigia archeologiche della valle di Maltrata hanno richiamato l’attenzione degli studiosi fin dalla metà del XIX secolo. La prima notizia che se ne ha è del 1854, quando vennero pubblicati gli appunti di Manuel de Segura, scritti nel 1839, che informavano della presenza di alcuni blocchi litici con figure incise in superficie (Segura, 1854: 37). Il riferimento corrisponde al Monolite 1 che si trova attualmente nel Museo de Antropología di Xalapa. Queste rappresentazioni vennero menzionate da Joaquín Arroniz nel 1867, il quale pubblicò i primi due disegni (Arroniz, 1980, I). Nel 1904 Leopoldo Batres fu inviato dalla Secretaria de Instrucción Pública a visitare Orizaba per esaminare i monumenti archeologici nelle vicinanze. A quell’ispezione seguì la pubblicazione del 1905 in cui veniva descritta per la prima volta la cosiddetta lapide di Tepetlaxco, che si trova nel Museo Nacional de Antropología tra i resti architettonici di Maltrata,

e si rendeva nota la presenza di quella zona archeologica (Batres, 1905: 3). Batres sosteneva che gli artefici del Monolite 1 fossero gli stessi che avevano edificato Xochicalco. In seguito Carlos Betancourt fu mandato a Maltrata dalla Dirección de Estudios Arqueológicos y Etnográficos della Secretaria de Instrucción Pública (Betancourt, 1917) e descrisse diffusamente i rilievi del Monolite 1 e vari monticoli distribuiti in diversi punti della valle, segnandoli con grande precisione su una mappa. Tra questi c’erano quelli del Barrio de San Juan o quelli del Rincón Tlaiclic ubicati nelle vicinanze del Monolite; il monticolo sotto alla Cappella del Calvario; altri ubicati a sud della stazione ferroviaria; uno che si trova più a sudovest superato il torrente Tecoac e quelli individuati prima di arrivare al villaggio Aquila. Nel 1927 Cayetano Rodríguez Beltrán, direttore dell’Educación Federal nello Stato del Veracruz, si recò a Maltrata per esaminare i monticoli e annotò che erano disseminati lungo tutta l’estesa valle, invitando a preservare i monoliti o a spedirli al Museo Nacional. Descrisse anche sommariamente due monticoli nelle vicinanze del Monolite, in un luogo chiamato San Juan. Al tempo stesso diede notizia di altre strutture sul versante meridionale della montagna Zacatipan, dove si trovava un complesso di quattro monticoli disposti geometricamente a formare un quadrangolo, nonché un monticolo piramidale a quattro lati orientato lungo i punti cardinali (Rodríguez Beltrán, 1927: 3). In seguito, nel 1929, Ellen Spinden passò per Maltrata e richiamò l’attenzione sull’edificio che appare sul Monolite. Osservò inoltre che sulla rupe di Maltrata erano presenti struttre con pareti verticali come a El Tajín (Spinden, 1933: 262-263). Nel 1930 arrivò a Maltrata Eduardo Noguera che a proposito dei monoliti e della zona archeologica in generale fece notare come non fosse ancora stata fatta una ricerca di scavo approfondita per determinare a quale cultura appartenessero i monticoli (Noguera, 1930). Arroyo Cabrera, quale Ispettore Onorario dei Monumenti Preispanici nello Stato del Veracruz, nel 1931 parlò della cima di una montagna chiamata “Tonatzin” o “La Mesita”, un’antica cittadella ubicata a 300 metri sopra il livello della valle e formata da “due piramidi, un monticolo e tre piccole piazze” che descrisse e disegnò (Arroyo Cabrera, 1931: 2). Nel 1936 Eduardo Noguera fece notare l’importanza culturale della valle come rotta di comunicazione, indicando come Maltrata doveva essere stata un’importante città di frontiera per la quale dovevano necessariamente passare con i loro carichi molti dei gruppi che transitavano dalla Costa del Golfo o dalla Valle Centrale (Noguera, 1936: 40). Nel 1952, Alfonso Medellín Zenil, su incarico del Departamento de Antropología del Governo dello Stato del Veracruz, percorse il centro del Veracruz e diede notizia 233

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di una pietra su cui era rappresentato in rilievo un guerriero riccamente vestito, un tempio con basamento piramidale a talud e tablero e delle nicchie, infine alcune date con barre e punti simili a quelle del sistema calendarico di El Tajín e Cerro de las Mesas. Medellín ne dedusse che il monumento corrispondeva come cronologia all’Orizzonte Classico (Medellín, 1952: 10). In generale questi studiosi promossero la pulitura e la conoscenza di alcuni edifici dimenticati sotto la sterpaglia. La maggior parte dei loro lavori furono dedicati alla descrizione dei rilievi del Monolite e allo sviluppo di qualche ipotesi di interpretazione, fornendo descrizioni sommarie delle aree dei monticoli. Alfonso Medellín Zenil effettuò il primo scavo nell’insediamento oggi conosciuto come El Rincón Brujo e lo descrisse così: il “sito archeologico conta una dozzina di piramidi dal corpo semplicemente a talud, di cui la maggior parte raggiungono i 10 metri di altezza […]” (Medellín, 1962: 555). Fu anche il primo a dare interpretazioni sulla base dei materiali archeologici associati, fornendo una cronologia che abbracciava un periodo compreso tra l’Orizzonte Preclassico e l’epoca attuale. Affermò che l’ultima tappa costruttiva del sito corrispondeva al gruppo Olmeco Storico o Popoloca (autore del complesso archeologico detto “Mixteco-Puebla”) il quale fu conquistato nel 1176 dai Cicimechi e sottomesso dalla Triplice Allenza nel 1450 sotto l’impero di Moctezuma Ilhuicamina (op. cit.: 555-556). Nella sua pubblicazione del 1962 descrisse due sepolture primarie associate a materiali del Postclassico Tardo (secoli XII-XVI), trovate nel rimuovere il Monolite per trasferirlo al Museo di Xalapa, indicando i Popoloca o Olmechi Storici come gli autori di queste sepolture. Inoltre “in contatto diretto con il monolite [c’era] un frammento di ceramica del tipo a “fasce ruvide” che apparteneva alla cultura totonaca del Classico Tardo (secoli VI-IX) […]”. In alcuni depositi più profondi che non facevano parte della sepoltura, fu trovata una “testina antropomorfa simile al Tipo E del Preclassico Superiore della Valle del Messico” (op. cit.: 559). In questo stesso lavoro, Medellín menzionò la presenza a quattro chilometri a nord di Maltrata di un piccolo lago di origine vulcanica a cui diede il nome di “La Laguna”. Sulle sponde del lago erano presenti grandi rocce di andesite che secondo lui erano state scolpite e usate per costruire un altare. Dunque si trattava secondo lui di un sito archeologico e “possibilmente di un luogo di culto magico-popolare” (op.cit.: 561). A partire dal 1983, alcuni ricercatori dell’Instituto Nacional de Antropología e Historia realizzarono sporadiche ispezioni in seguito alle notizie di saccheggi e distruzione intenzionale dei monticoli da parte degli abitanti del luogo (Sánchez, 1983; Reyna Robles, 1995 e 1998; Miranda, 1995). A questi resoconti e queste prime interpretazioni vanno aggiunti gli studi relativi all’antropologia e alla storia della regione che Carlos Serrano Sánchez, 234

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ricercatore dell’Instituto de Investigaciones Antropológicas della Universidad Nacional Autónoma de Mexico, iniziò a promuovere nel 1987. Come risultato, Reyna Robles pubblicò un articolo basato su una visita alla valle realizzata nel 1987 dove descrisse tre complessi o gruppi di monticoli individuati nel quartiere La Quinta. Il primo è conosciuto come El Rincón Brujo, il secondo si trova un chilometro più a sud e il terzo a ovest del sito. Informava inoltre che nell’estremo sud-occidentale della valle si trovava un sito archeologico di grandi dimensioni oggi conosciuto come El Rincón de Aquila (Reyna, 1995: 259-260). Secondo Robles, i tre complessi furono parzialmente contemporanei durante il Classico Tardo. Basandosi sull’analisi della ceramica, della litica e della statuaria stabilì che la parte nord-orientale della valle presentava un’occupazione sviluppatasi principalmente durante le epoche del Classico e del Postclassico; mentre il sito di El Aquila era stato occupato dal Preclassico Medio fino al Classico Tardo ed era stato il centro principale della valle e il luogo dove si svolgevano le attività civiche, religiose e amministrative. Robles attribuì la costruzione del sito archeologico El Aquila ai Totonachi dell’epoca Classica. Le relazioni ceramiche con la Huasteca, l’Altopiano Centrale, la Mixtequilla e Puebla indicano che la regione Orizaba-Córdoba fu di grande rilevanza in quanto costituiva l’accesso naturale dalle regioni menzionate alla Costa del Golfo del Messico (Reyna, 1995: 26). Da quanto detto prima si può notare come i resoconti presentino soprattutto dati di elementi culturali isolati, come possono essere il Monolite di Maltrata o alcune piramidi trovate in associazione con quattro insediamenti. Forniscono qualche descrizione, deduzioni e alcune prospettive generali sullo sviluppo culturale della valle. Gran parte di queste informazioni corrisponde a manoscritti o resoconti inediti che descrivono i reperti in maniera generale, mentre la cronologia provvisoria si basa sulla comparazione con siti ubicati a quasi cento chilometri di distanza come Cuauhtochco, Tehuacán e Cholula. A partire dal 1995, un gruppo di cittadini della comunità di Maltrata s’interessò al recupero di figurine e ceramica in possesso di alcuni abitanti che le avevano trovate durante il lavoro nei campi o la costruzione della propria casa. Lo scopo era quello di formare un museo della comunità nell’ex stazione ferroviaria. Durante il Primo Colloquio Regionale di Storia, tenutosi a Orizaba, Carlos Serrano Sánchez (IIA-UNAM), Agustín García Márquez, Fernando Miranda Flores (INAH-Veracruz), Annick Dannels e Rosa María Reuna Robles (INAH) furono invitati a recarsi sul sito. La visita fu realizzata nel 1995 e i risultati vennero poi pubblicati (Serrano, 1998a). A partire da queste riunioni di ricercatori provenienti da diverse istituzioni con la comunità di Maltrata vennero poste le basi per la formazione di un progetto antropologico e del “Proyecto de Museo Comunitario de

Maltrata” (García Márquez, 2000). Dal 1999 a oggi fu sviluppato il progetto “Arqueología del Valle de Maltrata, Veracruz”, diretto da Yamile Lira López dell’Instituto de Antropología della Universidad Veracruzana, all’interno degli studi antropologici realizzati nella regione Córdoba-Orizaba-Maltrata dall’Instituto de Investigaciones Antropológicas della UNAM e coordinati da Carlos Serrano Sánchez. El Tajín Il cumulo di informazioni esistenti su El Tajín può essere diviso in due grandi tappe. Come prima cosa ci sono le notizie dei viaggiatori, a partire dalla sua scoperta, descritta da Diego Ruiz nella Gazzetta del Messico del 1785, in seguito alla quale in molti visitarono il sito lasciando in qualche occasione testimonianza del loro passaggio. Così abbiamo i resoconti di Alexander V. Humboldt, Karl Nebel, José Márquez, Francisco del Paso y Troncoso, Mahler, Fewkes e Eduard Seler tra gli altri. La seconda tappa corrisponde alle esplorazioni e gli studi archeologici propriamente detti. Questa iniziò nel 1924 quando Gabriel García Velázquez intervenne nei lavori di conservazione della Piramide delle Nicchie. Nel 1929 la Dirección de Monumentos Prehispánicos commissionò ad Agustín García Vega l’inizio dei lavori a El Tajín, i quali però non iniziarono fino al 1934, quando García Vega cominciò le esplorazioni sistematiche e il restauro degli edifici principali. Nel frattempo, Ellen Spinden aveva realizzato i modelli di alcuni bassorilievi e Palacios e Meyer avevano pubblicato nel 1932 La ciudad arqueológica de El Tajín. Nel 1936, a questi lavori di esplorazione e consolidamento, si aggiunsero gli studi di Du Solier sulla stratigrafia e la ceramica del sito. Mateo Saldaña fece il disegno di qualche bassorilievo. Nel 1938 José García Payón ispezionò i lavori di García Vega e un anno dopo fu lui che diresse, su incarico della Dirección de Monumentos Prehispánicos, la continuazione dei lavori di esplorazione, restauro e studio dei bassorilievi e dell’architettura del sito. Il suo lavoro continuò fino al 1963. È a lui che si devono la liberazione, il consolidamento e il restauro degli edifici centrali di El Tajín e del cosiddetto Tajín Chico. Inoltre, García Payón pubblicò una serie di lavori che fecero conoscere

la ricchezza architettonica e scultorea del sito. Nel 1964 apparve l’ormai classico Arquitectura prehispánica di Ignacio Marquina che, grazie ai lavori realizzati da García Payón, ebbe la possibilità di descrivere e disegnare i principali edifici restaurati del sito. Negli anni ’70, l’archeologa Paula Krotser e suo marito, l’ingegnere Ramón Krotser, realizzarono la mappa topografica del sito. Nel 1975 apparve Arquitectura mesoamericana di Paul Gendropp nella quale El Tajín tornò ad avere uno spazio importante. Nel 1984 iniziò il progetto Tajín diretto da Jürgen K. Brüggemann. Sebbene il progetto avesse come proposito la ricerca accademica pura, la maggior parte dei suoi sforzi fu concentrata nel consolidamento degli edifici, cosa che cambiò radicalmente l’immagine del sito. Parallelamente, uscirono numerose pubblicazioni dello stesso Brüggemann e di molti dei suoi collaboratori che fornirono non solo descrizioni e rilievi degli edifici, ma anche qualche riflessione sui problemi cronologici, di organizzazione sociale, sul modello urbano e sull’iconografia scultorea e pittorica. Il progetto si concluse nel 1992, anche se Brüggemann continuò a fare visite sporadiche al sito fino alla sua morte avvenuta nel 2004. Arturo Pascual Soto ha scavato negli ultimi anni la periferia di El Tajín, documentando le fasi più antiche del sito (2006). L’area centrale, esplorata all’interno del progetto guidato da Brüggemann, fornì una ceramica uniforme durante un lasso di quattro secoli. Le esplorazioni di Pascual dimostrano occupazioni precedenti alla costruzione dell’area centrale del sito. Parallelamente, ci sono state molte indagini nell’ambito dell’iconografia del sito. I magnifici bassorilievi e la raffinata pittura murale hanno fatto sì che studiosi di tutte le latitudini esaminassero quei documenti. Vari archeologi tra quelli già menzionati fecero delle proposte significative in questo ambito, come lo stesso García Payón e più di recente Pascual Soto. Altri ricercatori hanno ristretto le loro ricerche all’iconografia: tra questi risaltano Michael Edwin Kampen, Román Piña Chan, Patricia Castillo, Rex Koontz e Sara Ladrón de Guevara. I progressi in questa disciplina hanno permesso di riconoscere la congruenza della cosmologia del sito con quella del resto della Mesoamerica, l’importanza e la simbologia del rituale del gioco della palla e perfino il nome di alcuni personaggi, in particolare di un governante chiamato 13 Coniglio.

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Smith, 2001; Wilkerson, 1972, 1873, 1981; Pope et al., 2001. Wilkerson, 1981; Sluyter, 1997; Hebda et al., 1991; Byrne e Horn, 1989; Goman e Byrne, 1998; Lozano et al., 2007; Pope et al., 2001; Rust e Leiden, 1994. Stirling, Drucker, 1943; Daneels 2005a, 2008. Sulle volute: Proskouriakoff, 1954, 1971; Stark, 1998. Sull’iconografia della decapitazione: Agüero e Daneels, 2009. Daneels, 1997, 2002b; Gómez e Gazzola 2010. Ringle Gallareta e Bey, 1998. Sull’organizzazione statale: Stark, 1999; Daneels, 2002a, 2005b, 2008. Sull’agricoltura intensiva: Siemens, 1989, 1998; Wilkerson, 1994; Daneels et al., 2005. Cfr. Daniel Geissert K., “La Geomorfología” in Sergio Guevara, Javier Laborde e Graciela Sánchez-Ríos (curatori) Los Tuxtlas. El paisaje de la sierra, Instituto de Ecología, A.C. y Unión Europea, Xalapa, Veracruz, Messico 2004. Le cifre raccolte dell’Instituto Nacional de Estadística y Geografía (INEGI) indicano che il 77,76 % della popolazione dei Tuxtlas si trova nella Subregione di San Martín Tuxtla ed è per la maggior parte meticcia, mentre la Subregione di Santa Marta raggiunge un 22,23 % della popolazione totale ed è composta per la maggior parte da indigeni [Comisión Nacional de áreas Naturales Protegidas (CONAPO), Programa de conservación y manejo. Reserva de la biosfera de Los Tuxtlas, Secretaria del Medio Ambiente y Recursos Naturales (SEMARNAT), México, D.F., 1a edizione: novembre 2006]. Cfr. Marcela Olavarrieta Marenco. Magia en Los Tuxtlas, Instituto Nacional Indigenista, México 1977.

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4: La suddivisione delle aree (zona nucleo I, II, III e di ammortizzazione) è stabilita in base allo stato naturale del suolo, al suo uso attuale e al potenziale. La superficie totale dell’Area Naturale Protetta è di 155,122 ettari e include tre zone nucleo: la zona nucleo I che corrisponde al Vulcano San Martín Tuxtla con 9,805 ettari, la zona nucleo II che corrisponde alla zona della Sierra Santa Marta con 18,031 ettari, e San Martín Pajapan o zona nucleo III con 1,883 ettari e la zona di ammor-

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tizzazione con 125,401 ettari. [Comisión Nacional de áreas Naturales Protegidas (CONAPO), Programa de conservación y manejo. Reserva de la biosfera de Los Tuxtlas, Secretaria del Medio Ambiente y Recursos Naturales (SEMARNAT), México D.F., 1a edizione: novembre 2006]. Cfr. Estación Biológica de los Tuxtlas UNAM, Instituto de biología, http://www.ibiologia.unam. mx Cfr. Castillo-Campos, Gonzalo y Javier Laborde, “La vegetación” in Sergio Guevara, Javier Laborde e Graciela Sánchez-Ríos (curatori), op. cit., pp. 231-265. 7: Fray Bernardino de Sahagún, Historia General de las Cosas de La Nueva España, Porrúa, Colección Sepan Cuantos Núm. 300, México 1992, Libro X, cap. XXIX, -96,97, pp. 608-609. (N.d.T. trad. italiana mia del testo originale citato dall’autrice, come di seguito: […] Y son muy ricos porque sus tierras son muy ricas, fértiles y abundosas, donde se da todo género de bastisimiento en abundancia; allí se da mucho cacao, y la rosa o especie aromática llamada teonacaztli, y el otro género de cacao que llaman quapatlachtli; dase también allá el ulli, que es una goma negra de un árbol que se llama ulli y la rosa que llaman yoloxóchitl, y todas las demás rosas que son muy parecidas. (De) allí es la madre de las aves que crían pluma muy rica, y papagayos grandes y chicos, y el ave que llaman quetzalpapalotl. También se traen de allá las piedras muy ricas de chalchihuites y las piedras turquesas; allí se halla también mucho oro y plata; tierra cierto fertilísima, por lo cual la llamaron los antiguos Tlalocan, que quiere decir, tierra de riquezas y paraíso terrenal). 8: Ibidem, Libro III, cap. II, -1 a 5, pp. 207-208. (N.d.T. trad. italiana mia del testo originale citato dall’autrice, come di seguito: […] nunca jamás faltan las mazorcas de maíz verdes, y calabazas y ramitas de bledos, y ají verde y jitomates, y frijoles verdes en vaina y flores; y allí viven unos dioses que se llaman Tlaloque, los cuales se parecen a los ministros de los ídolos que traen cabellos largos. […] Y así decían que en paraíso terrenal que se llamaba Tlalocan había siempre verdura y verano). Santley, Robert. Prehistory of the Tuxtlas, University of New Mexico Press 2007. 10: Farming, Hunting and Fishing in the Olmec

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World, Austin, University of Texas Press, 2006. 11: Cfr. Robert Santley, Prehistory of The Tuxtlas, University of New Mexico Press 2007; Michael Coe e Richard Diehl, In The Land of the Olmecs. The Archaeology of San Lorenzo Tenochtitlán, University of Texas Press 1980; Ann Cyphers “La Arquitectura Olmeca en San Lorenzo Teochtitlán”, in Ann Cyphers (curatrice) Población, subsistencia y medio ambiente en San Lorenzo Tenochtitlán, UNAM, México 1997, pp. 91-117. Cfr. Robert Santley 2007, op. cit. Queste informazioni furono fornite da Mario Navarrete ad Alfonso Melgarejo in un’intervista e realizzata il 13 maggio del 2009. Cfr. Lourdes Budar, “Si las piedras hablaran… Elementos para la interpretación de la Estela 1 de Piedra Labrada”, in Sara Ladrón de Guevara, Eraclio Zepeda e Lourdes Budar, Piedra Labrada, Universidad Veracruzana, Xalapa, Veracruz, Messico 2010. Cfr. Lourdes Budar, “Los Monumentos Olmecas de Piedra Labrada” in 20 años de Arqueología. Homenaje a Ann Cyphers 2010 [in stampa]. Ibidem. Sara Ladrón de Guevara, “Insignias de poder. Permanencia y transformación de monumentos escultóricos” in Lourdes Budar e Sara Ladrón de Guevara, Arqueología y cosmovisión en los Tuxtlas, Universidad Veracruzana, Messico 2008, p. 136. Robert S. Santley et al., “When Day Turned to Night: Volcanism and the Archaeological Record from the Tuxtla” in Environmental Disaster and the Archaeology of Human Response, a cura di Garth Bawden and Richard Martin Reycraft, Albuquerque, University of New Mexico, Maxwell Museum of Anthropology, 2000. Philip Arnold III, “Arqueología en Los Tuxtlas: un resumen”, in Lourdes Budar e Sara Ladrón de Guevara, Arqueología y cosmovisión en los Tuxtlas, Universidad Veracruzana, México, 2008a, p. 70. 20: Cfr. Philip Arnold III e Robert Santley, “Classic Currents in the West-Central Tuxtlas” in J. Philip Arnold III e Christopher A. Pool, Clasic period cultural currents in southern and central Veracruz, Dumbarton Oaks Reserch Library Collection and Harvard University, 2008b.

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Per esemplificare meglio questo genere di azioni, ricordiamo alcuni fatti contemporanei di questeo genere come la caduta del muro di Berlino, la mutilazione della statua di Stalin in Russia, la distruzione della statua di Saddam Hussein in Irak. In Mesoamerica c’è una lunga storia di mutilazione intenzionale di monumenti e strutture. Un chiaro esempio di questo sono le teste colossali olmeche che per la maggior parte presentano tracce di fori o il taglio intenzionale di alcuni dei loro elementi. Philip Arnold III e Robert Santley, op. cit., 2008a, pp. 309-310. Cfr. Robert S. Santley et al. “Pre-hispanic obsidian procurement in the Tuxtla mountains, southern Veracruz, Mexico” in Ancient Mesoamerica n. 12, U.S.A. Cambridge University Press 2001. pp. 49-63. Cfr. Juan Valenzuela, “La segunda temporada de exploraciones en la región de Los Tuxtlas, Veracruz” in Anales del Museo Nacional de Antropología, Historia y Etnología, vol. 3, 1945b, pp.81-94. Cfr. Alfonso Caso, “Glifos teotihuacanos” in Revista Mexicana de Estudios Antropológicos, vol. XV, 1960, pp. 158-161. Enrique Florescano, “La difusión de emblema de la serpiente emplumada”, in La jornada 15/04/2003 in linea: www.jornada.unam. mx/2003/04/15/quet-texto.html, 08 ottobre 2007 11:42 p.m. Annick Dannels, “Presencia de Teotihuacan en el centro y sur de Veracruz” in Maria Elena Ruiz Gallut, Ideología y Política a través de materiales, imágenes y símbolos. Memoria de la Primera mesa redonda de Teotihuacan, CONACULTA-INAH, México 2002, p. 674. Philip Arnold III, op. cit. 2008-b, p. 71. Joshua A. Borstein, Tripping over colossal heads: Settlement patterns and population development in the upland olmec heartland, Tesi di Dottorato, The Pennsylvannia State University, State College 2001. Elba Domínguez Covarrubias, La arquitectura

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monumental del periodo clásico en el sur de Veracruz: un enfoque regional, Tesi di Laurea in Antropologia con specializzazione en Archeologia, Departamento de Antropología, Universidad de Las Américas, Cholula, Puebla 2002. Roberto Lunagómez Reyes, Estudio de la arquitectura monumental en los sitios arqueológicos del sur de Veracruz durante los periodos clásico y tardío terminal, Tesi de Maestría, ENAH 2002, p. 60 [n.d.t. trad. mia]. Idem. Wilkerson, 1972 e 1974. Coe 1965; Daneels, 2005a. Nota 3: Medellín, 1950, 1953 e 1960. Ricognizioni sistematiche: Mixtequilla (Stark, 1999), bacino basso del Jamapa-Cotaxtla (Daneels, 2008), bacino medio e basso del Jamapa e del San Juan (Heredia, 2007), Valle de Córdoba (Miranda e Daneels, 1999), Carrizal (Donner e Hernández, 2009). Daneels e Miranda, 1999; Cruz et al., 2002. Stark, 2008: 100; Daneels, 2008b; García e Merino, 1998. Nota 6: Atoyaquillo: Daneels e Miranda, 1998; La Joya: Piña, 2010. Remojadas: Medellín, 1960; El Faisán: Hangert, 1958; La Campana: Jiménez e Bracamontes, 2000; La Joya: Daneels, 2008a e 2008c; Cerro de las Mesas: Drucker, 1943; Conchal Norte: Pérez, 2002; La Joya: Daneels, 2008a e 2008c; Las Puertas: Guerrero, 2003; Nopiloa: Medellín, 1987; Carrizal: Cuevas, 1970; Zapotal: Torres, 2004, Torres et al., 1973. Per le offerte in unità domestiche vedere referenze in Daneels 2008c. Architettura olmeca: Cyphers et al., 2006; Gillespie, 2008. Substrato olmeco nel Centro-sud del Veracruz: Daneels, 2010. Torres e Beauregard, 2002. Definizione di divinità dal lungo naso: Medellín, 1960: 69. Discussione di tipologia, contesto e significato: Daneels, 2008c. Nota 11: Xipe-Tlazolteotl: Medellín Zenil, 1960; coyote: Torres e Cuevas, 1960, El Faisán: Fuen-

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tes, 2008. Lombardo Toledano, 1931; Ochoa, 1971; Krotser e Krotser, 1973; Pescador, 1992; Cortes, 1994. Daneels, 2001, in stampa a e b. Seler, 1915; García Payón, 1951a, 1951b e 1952b: 42; Medellín Zenil, 1950: 102-105 e 1960; Daneels, 1996 e 2002; Gómez e Gazzola, 2010. Sul cotone: Stark et al., 1998; Daneels et al., 2005; Manzanilla, 2009; Smith e Hirth, 1988 (sebbene vi sia presenza di resti paleobotanici di cotone in periodi anteriori – a nostro giudizio probabilmente ottenuto mediante scambio – è solo nell’Epiclassico che l’incremento di fusaiole suggerisce l’introduzione della semina, attestata dall’archeologia e dalle fonti storiche nel Postclassico). Sulla relazione tra Teotihuacan e il Centrosud: Stark, 1990; Stark e Johns, 2004; Daneels, 1996. Sull’associazione di elementi teotihuacani in ambiti domestici nelle capitali: Daneels, 2002, come componente minoritaria in offerte di costruzione: Daneels, 2004; Daneels 2008a (FAMSI). Architettura con facciata en talud-tablero: a La Joya, nell’edificio di accesso nord alla piazza principale (Piña 2010) e in Atoyaquillo, nel limite nord dell’area monumentale (Daneels e Miranda 1998). Sul possibile enclave teotihuacano di Maltrata: Lira, 2004. García Cook e Merino, 1998. Per le rotte di scambio: Daneels, 2001; per i tipi ceramici importati e imitati nel Centro del Veracruz: Daneels, 2006. Mixtequilla: Stark, ed. 2001; Valle de Córdoba: Miranda e Daneels, 1998; religione mondiale Ringle et al., 1998. Archivio Parrochiale di Maltrata. Cassa 1. 16421742. Sacramental, Bautizos libro 1. Comunicazione di Agustín García Márquez. Predio Malpaís. Fondazione della colonia autorizzata el 13 diciembre 1990 dalla Dirección General de Patrimonio del Estado. Archivio del Registro Pubblico della propietà e del Commercio. Registro 2, Libro 1, Sezione I, 3 gennaio 1991, Orizaba, Veracruz. Archivio della Commissione Agraria Mista/ exp. 154. Leg. 103.

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INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

LOS MANGOS 36, LOS ORTICES 46 LOS SOLDADOS 36, LLANO DE JICARO 32 MACUILTEPETL 106 MALTRATA 22,127, 160 (3), 131,132(2),133(2),133(2),134(4),136 137,138(2),139(3 ),140,141(2),144,145,148,149(2) 150(3),152,153,154,155,(2),156(3)162, MANATI 12, 36, 210, MARTIN BARRADAS 10 MATACAPAN 44, 50,150,153,192 MATLATLAN 160 (4) MEDIAS AGUAS 44, 45 MONTE ALBAN 124,148(4),153, MORGADAL GRANDE 105,187, 197 NOPILOA 106,111,124 ORIZABA 131 OXTOTITLAN 40 OZTOTIPAC 155

ACHOTONGO 134 AHUATEPEC 46 AMATLAN 10 ANTONIO PLAZA-SAN MARÍA UXPANAPA 32 APARICIO 210 APIAXCO o INFIERNILLO 134(2),136, AQUILA 146, AQUILES SERDAN 148, ARROYO PESQUERO 36, (2) ARROYO SONSO 36, ATLIXCO 150, ATOYAQUILLO 110, 116 ATZOMPA 134 BARRIALES DE LAS BESANAS 139,140,141(3),142,146, BUENAVISTA 122(2) BUZON 122 CACAXTLA 153,156(2),163, 166 CAMPO VIEJO 10 CANTÓN CORRALITO 40 CHIAPAS CANTONA 10 (2),105,127(4),150,163, 166 PEROTE CARRIZAL 10 EMILIANO ZAPATA CERRO DE LAS MESAS 7, 15, 30, 40, 44,105,111,112,126, CERRO GRANDE 105, 85 COAIXTLAHUACA 155(2), COATZINTLA 168, 187 COMOAPAN 50 CONCHAL NORTE 111(2), COTAXTLA 105,106,116(2),120,148, CRUZ DEL MILAGRO 32 CUAJILOTES 20,105,126 CUAUHTOCHCO 159 CHALCATZINGO, 40,147, MORELOS CHIAPA DE CORSO 148, CHICANOPA 134 CHICHEN ITZA 106,107,166, 210 (2), 216 (2) YUCATAN CHOLULA 150,155,156, CHONTALPA 44 TABASCO DAGAMAL SANTA ROSA 44 DICHA TUERTA 116, EL ARBOLILLO 148 EL ATOYAC 150 EL BAJÍO-EL REMOLINO 32 EL CASCAJAL 40 EL FAISÁN 20,111,122(2),124 EL GARRO 46

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9_Golfo_Messico_Cap_8.indd 246-247

EL MACAYAL 36, EL MARQUESILLO 30, 40 EL MESÓN 30, 40 EL OPEÑO 12 MICHOACAN EL PICAYO 44, 45, 46 EL PITAL 187, 188, 189 EL PITAL 105, EL SALADO 44 EL TAJIN PAPANTLA 1 (4), 15 (4), 20, 23, 46, 105,106(2).126,151,153, 155,156(2),163,165 (2),166 (2),167 (2),168 (5),170 (9), 185 (6), 186 (4), 187 (8), 188 (4), 189 (6), 192 (9), 193, 194 (8), 196 (3), 197 (3), 202, 203 (2), 204 (2), 205 (5), 206, 207 (2), 208 (3), 209 (4), 210 (3), 211, 212 (6), 213, 216 (4), 217 (2) EL VIEJÓN 36, EL VIGÍA 25 EL ZAPOTAL 20,106 207,111,116,124(2) ESTERO RABÓN-SAN ISIDRO 32 (2) FORTIN 131

PALENQUE 207,153, PASO DE LA AMADA 12, 40 PICO DE ORIZABA 133,134,136(2),144,145,153, PIEDRA LABRADA 45, 50, 52, 59, 190 POTRERO NUEVO 187

GUERRERO CHIAPAS CHIAPAS

QUECHOLAC 155(2) QUIAHUIZTLAN 159, 170

SANTA MARTHA 25 SIERRA DE LAS NAVAJAS 144,149, HIDALGO SOTEAPAN 50 TECAMACHALCO 155, TECUANAPA 52 TEHUACAN 141,148(2), TEHUIPANGO 131, TEMPLO MAYOR 104 TENOCHTITLAN 104,160, 161, DF TEOPANTECUANITLAN 40 GUERRERO TEOTIHUACAN 12, 15 (3),107,110,124(2),127,149(2),150(2),153,166,170 (3), 185 (2), 186, 189, 190, TEPATLAXCO 155 TEPEYACATITLA 152(2) TETEL DE RANCHO VERDE 139(2),142,146, TETELES DE LA ERMITA 139,142,146, TETELES DE OCOTITLA 150, TLAXCALA TIERRAS LARGAS 40 OAX TIKAL 153, GUATEMALA TLAPACOYA 147,148, TLAQUILPA 131, TLATILCO 40,146,148 VALLE DE MÉXICO TOXPAN 106 TRES PICOS 159 TRES ZAPOTES 7, 30 (3), 36, 40 (2), 44 (2), 45, 50, 55,116,126,147,148 TULA 153,156, UAXACTUN 107 UXMAL 166 VEGA DE LA PEÑA 15,

REMOJADAS 111,116,122 RINCON BRUJO- RINCÓN TLAYICTIC 158, 159, 160 RINCON DE AQUILA 46,150(3),151,153 SAN ISIDRO-MALPASO 36, CHIAPAS SAN JOSE ACATENO 20 SAN JOSE MOGOTE 40 OAX SAN JUAN EVANGELISTA 45 SAN LORENZO TENOCHTITLAN 5, 27, 30 (2), 32 (5), 36 (3), 40 (3), 44 (2), 45, 46, 55,148, SAN MARTIN GARABATO 106 SAN MARTIN PAJAPAN 25, 36, 50, 55 (2) SAN MARTIN TUXTLA 25

XIUTETELCO 105, XOCHICALCO 110,153,156(2),166 XOCHITECATL 113, YOHUALICHAN 2, 168, 187, 192, 194 ZACATIPAN 134,150, ZACATONAL 134 ZARAGOZA-OYAMELES 127,144,149, ZEMPOALA 15, 159, 170 ZOHAPILCO-TLAPACOYA 40

PUEBLA

URSULO GALVAN VALLE DE MEXICO

GUAYABAL 44 HIGUERAS, LAS 106,187, 188 (4), 210 (2) ISLA DE SACRIFICIOS 159 IZAPA 40,126, IZÚCAR DE MATAMOROS 40 JAMAPA 105 JUXTLAHUACA 40

PUEBLA GUERRERO

KAMINALIUYU 153, LA CAMPANA 111, LA COBATA 30 (2), 36, 40 LA ENCRUCIJADA 36 LA JOYA 20,55,104,105,106,110(2),111(3), LA MERCED 36 (2), 45 LA MESITA 155(2) LA MOJARRA 10, 30, LA VENTA 5, 30 (2), 32, 36 (7), 40 (3), 44, 55,126,148, LA YERBABUENA 36, LAGUNA DE LOS CERROS 27, 30, 32, 40, 45, 46 LAS BOCAS 40 LAS GALERAS 45, 46 LAS LIMAS 45 LAS PUERTAS 111, LOMA DE LOS CARMONA 122, LOMA DEL ZAPOTE- EL AZUZUL 32 LOS CERROS 116,207

ABREVIATURAS TABASCO LOS TUXTLAS

TABASCO PUEBLA

TIERRA BLANCA

CONABIO – Comisión Nacional para el Conocimiento y Uso de la Biodiversidad CONAPO - Comisión Nacional de áreas Naturales Protegidas INECOL – Instituto de Ecología (UV) INE – Instituto Nacional de Ecología, A.C. INI – Instituto Nacional Indigenista INAH – Instituto Nacional de Antropología e Historia INEGI – Instituto Nacional de Estadística y Geografía FAMSI – Foundation for the Advancement of Mesoamerican Studies, Inc. MAX – Museo de Antropología de Xalapa MNA – Museo Nacional de Antropología PiLaB – Proyecto Arqueológico Piedra Labrada UNAM – Universidad Autónoma de México PSSM – Programa Sierra de Santa Marta A.C UADY – Universidad Autónoma de Yucatán UV – Universidad Veracruzana SEMARNAP –Secretaria de Medio Ambiente Recursos Naturales y Pesca

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