La Commedia delle Sante Menzogne

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copertina LA COMMEDIA DELLE SANTE MENZOGNE Tra storia e leggenda, miti e profezie. Appunti, spunti e riflessioni tra il serio e il faceto.

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Recensioni Gaetano Paglialonga, un metalmeccanico con al suo attivo una militanza in “Avanguardia operaia”, nel P.C.I. a partire da 1976, in Rifondazione Comunista dal 1990 ed un’esperienza trentennale di delegato sindacale FIOM-CGIL. Pensionato dal 1997, non per sua volontà, Paglialonga ha deciso di orientare le sue energie verso la sistemazione di ricordi e l’elaborazione di riflessioni accompagnate da ricerche, acquisendo e migliorando, al tempo stesso, conoscenze ampie e specifiche attraverso letture numerose e varie. Si può dire, insomma, che il pensionamento ha sortito, nel suo caso, risultati eccezionalmente positivi, concretizzati addirittura in due pubblicazioni. La prima è “’Nc’era na fiata a Culupazzu” del 2006, con cui, in un vernacolo intrigante e in una verseggiatura piacevole, consegna ai suoi lettori il “come eravamo” degli anni ’40’50, ed ora “La commedia delle Sante Menzogne”, entrambe edite per i tipi di Aluisi Slogan di Collepasso. La seconda produzione reca Marzo 2003, come data di ultimazione, quindi è coeva dell’altra; per la particolare tipologia dell’argomento trattato è, però, meno tranquilla della prima, anzi è stata motivo di perplessità circa l’opportunità di pubblicarla, perché ce ne sono già molte in circolazione e molti potrebbero non apprezzarla…. Ma oggi è pubblicata. Si struttura in due parti: la prima in versi ed in modo piacevole e leggero anticipa i temi ed i risultati della ricerca, con nella pagina a fronte vignette ed immagini a corredo degli argomenti via via esaminati; la seconda, la trattazione effettiva, è articolata in Antico Testamento, Nuovo Testamento e Storia della Chiesa, questa a sua volta suddivisa in due sezioni, Cristo di lotta e Cristo di governo. Tutti i momenti della trattazione sono conclusi da interventi di riepilogo e di chiarificazione. La Commedia delle Sante Menzogne. Il titolo è, a mio avviso, espressivo dell’intenzione che sottende il lavoro: destituire, con dimostrazione razionale e documentata, di ogni fondamento di credibilità le religioni rivelate, dimostrarne la natura di false menzogne, ideate prima per il vantaggio di tutti poi di un piccolo gruppo di potere, ed approdare, quindi, al finale lieto, tipico delle commedie, con il ridiamo illuministico non solo delle religioni e dei vincoli oppressivi che esse esercitano sulla psicologia e sulla vita del credente, ma anche delle ansie e speranze personali che le alimentano, le rafforzano e le giustificano. L’opera è rivolta a credenti e non credenti; persegue l’obiettivo di evidenziare la matrice umana del cristianesimo, attraverso la dimostrazione sia del sincretismo originario di esso con altre antiche religioni storicamente registrate, sia della successiva contaminazione dello stesso, una volta venuto a contatto con diverse culture, il che spiega poi le contraddizioni ed incongruenze di cui il cristianesimo si è riempito nella sua evoluzione storica. Inizia con il confronto tra cristianesimo e paganesimo, evidenziando che quest’ultimo non mortificava la vita terrena, anzi aiutava il progresso umano. Prosegue con la rievocazione della degenerazione cui il cristianesimo è andato incontro, a partire dal Medio Evo (pericolo ricorrente, anche se oggi riguarda di più 2


altri monoteismi, soprattutto l’islam), nel momento in cui da religione di lotta per la sopravvivenza, allora veramente evangelico ed animato da istanze di uguaglianza e di vicinanza solidale verso gli ultimi, i diseredati, è diventato istituzione, potere, assumendo scelte intransigenti, di violenza e di connivenza con gli oppressori. Si conclude con la precisazione della personale simpatia dell’Autore verso la “rivoluzione” operata da Cristo rispetto all’ebraismo e della incondizionata approvazione verso papi quali Gregorio Magno e Giovanni XXIII e verso religiosi quali Don Milani o il nostro Don Tonino Bello, veramente spirituali e super partes, veramente orientati a rendere vivo ed operante il messaggio di fratellanza, nell’amore e nella giustizia. Come va valutata l’opera. Non è una delle tante produzioni (in contrasto con quanto sosteneva Paglialonga) già in circolazione, da Odifreddi, a Liverani, ad Augias, per fare qualche citazione, che razionalmente demoliscono il carattere di rivelazione della religione. Secondo me, è ben altro; mi sentirei di tranquillizzare Gaetano. Il suo, per genesi, finalità e stile elaborativo, è un lavoro molto diverso. Nella postfazione egli chiarisce che la motivazione dell’opera è nella volontà di risolvere un problema personale, un tormentone risalente all’infanzia, epoca in cui, coinvolto dalla famiglia in pratiche religiose troppo formali e ripetitive, nutriva per esse un’istintiva avversione e dubbi sulla credibilità della religione stessa. I suoi studi sul tema, confortati da letture di altre produzioni, scientifiche, filosofiche, letterarie (moltissimo Dante) e di altri testi religiosi, gli permettono di dimostrare che, documenti alla mano, per la natura stessa della religione e per la storia della Chiesa, aveva ragione lui: che la religione è un prodotto umano, influenzato da fattori psicologici, culturali, addirittura economici e climatici; che essa è nata per il bene dell’uomo, ma in una società teocratica esercita un’ingerenza asfissiante nei confronti dell’individuo, senza peraltro liberarlo dall’ingiustizia, facendo passare per volontà di Dio i problemi del mondo e rimandando in un improbabile oltremondo la felicità ed il premio. Le conclusioni, così sintetizzate, non corrispondono, tuttavia, interamente al pensiero ed alle intenzioni presenti nel lavoro di Paglialonga; il tono ironico, spesso accompagnato da aspre invettive, rivela un forte coinvolgimento emotivo. Egli, impegnato per tutta la vita nel sociale, come militante di sinistra e come sindacalista, di fatto non è contro la religione, anche se ne dimostra l’origine tutta umana, anche se si sforza di affermare di aspettarsi speranze di bene solo dall’uomo tecnologico, dalla scienza, più che dall’uomo spirituale. L’oggetto delle sue critiche corrosive è l’uomo biologico, il suo egoismo, la sua incapacità di far emergere l’uomo sociale. In questa prospettiva, egli annovera il fallimento della religione, che brucia perché tradisce una richiesta di fede su cui si basa, ma inserisce, senza difficoltà, anche il fallimento della ragione umana, delle grandi esperienze dell’illuminismo e del comunismo, deludenti anch’essi, una volta storicizzati, dello stesso Sol dell’Avvenire, nel quale ripone oggi tante speranze, ma, sa, deluderà. La sua è, a ben vedere, una riflessione dolente sull’incapacità dell’homo sapiens di correlarsi con gli altri su di un piano di vera giustizia sociale, di solidarietà autentica, di realizzare quell’eutopia o buona terra, auspicata da Don Tonino Bello; la constatazione che ciò che di buono è nelle sue “rivoluzioni”, compreso il 3


cristianesimo, puntualmente si risolve in male, per cui egli, con il suo orgoglioso progresso, procede a passi svelti verso la sua fine. Il consiglio di Gaetano, molto empirico, è quello di optare almeno per una religione che aiuti l’uomo, lo liberi dalle ansie, come il buddismo. La sua triste previsione è che la Gerusalemme celeste non si concili con la vita dell’uomo; che l’uomo, forse per un difetto congenito, è destinato ad estinguersi magari, egli auspica, in modo indolore, per progressiva sterilità. Conclusione sicuramente provocatoria di un testo provocatorio, che parla all’intelligenza dell’uomo più che alla religiosità e che per le sue istanze morali è rivolto anche alla sensibilità dei credenti. La sua lettura è proponibile a tutti. Collepasso, agosto 2007 Prof. Rocco Pomarico

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Eccola qui, “La Commedia delle Sante Menzogne”, più volte annunciata, “sbirciata” da qualcuno più intraprendente, ma rimasta per qualche anno a riposo nel cassetto, consentendo a Gaetano, nel frattempo, di “sfornare” quel gioiello in vernacolo, “Nc’era na fiata…” Ma questa è “un’altra musica” e il titolo non lascia dubbi; perciò si astenga dalla lettura chi non ama “i piatti forti”. La crisi del pre-pensionamento forzato di un metalmeccanico, impegnato nel sindacato, ha prodotto un’opera a tratti ironica e beffarda, a tratti indulgente e rispettosa verso il credente di qualsiasi religione, ma sempre pervasa di passione per quella parte dell’umanità in cerca di pace e giustizia. Dal “Fiat lux” fino ai nostri giorni scorrono personaggi e fatti, che ormai fanno parte del bagaglio culturale del nostro mondo occidentale, con innumerevoli citazioni dai “testi sacri”, ma anche da scrittori e poeti di tutti i tempi: Esiodo, Omero, Virgilio, Dante, T.Tasso, Goethe, Carducci e persino C.Angiolieri e G.Belli tra i poeti, e Platone, Aristotele, S. Agostino, Marx ecc. tra i filosofi; e non mancano riferimenti ai contemporanei, come J. Saramago e P.G.Odifreddi ecc. Si passa dal terribile “Dio degli eserciti” Yahwèh, che ordina stragi a tutto campo, comprese donne, bambini e animali, al Dio-Padre di Gesù, alias Yehoshua ben Yoseph, che crea per amore e perdona fino a “settanta volte sette”; ma solo per breve tempo, perché il Dio della chiesa e dei papi è pronto con le crociate e i roghi.

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Si viaggia nel Paradiso dei cristiani mentre siamo affascinati dall’Olimpo dei greci con le sue assemblee democratiche; ci mettiamo a sognare quei limpidi ruscelli con le sette vergini del Paradiso dei musulmani, ma l’approdo è fissato nel Nirvana dei buddisti. È un lavoro appassionato e serio, specialmente quando affronta nella terza parte il problema delle due anime nella storia del cristianesimo, il “Cristo di lotta” e il “Cristo di governo”. C’è la solidarietà verso i “Predicatori poveri” e tutte le vittime del fanatismo clericale, da G.Bruno, G.Galilei, T.Campanella alle “streghe” e a tutti i “diversi”, ecc., ma c’è anche la sferza per i Papi e Re-Imperatori cristianissimi. Bello, quasi commovente, l’elogio a papa Giovanni XXIII, ma è spietato verso tanti papi del passato, come verso i due nostri contemporanei Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger. Gaetano dice che proprio l’arroganza o sicumera, vedete voi, di quest’ultimo lo ha spinto ad “uscire allo scoperto”. Prendiamola per buona. Certo è che non immaginavo cosa “bolliva in pentola” quella volta (2000?) che “en passant” mi disse: ”…su questo argomento (storia delle religioni) sto scrivendo qualcosa di interessante”. Io lo guardo stupito: “Gaetano, ci sono “milioni” di libri su questo; cosa pretendi di aggiungere che valga la pena di essere letto?”. E lui: “vedrai; ti farò leggere”. Tornato a casa, trovo sul computer via e-mail la prima parte de ”La Commedia…”. Rimango colpito; e comincia subito un via-vai di e-mail con correzioni, aggiunte e sottrazioni, che dura qualche anno. Alla fine mi rendo conto che questa volta l’“ha fatta proprio grossa”; e spuntano le perplessità: come “si fa” a pubblicare una cosa del genere?, e nello stesso tempo: come “si fa” a non pubblicarla? Beh, buon (o peggio) per voi, il dilemma è stato risolto. Il rischio era grosso; speriamo che i consensi superino i dissensi. Buona lettura! Collepasso, agosto 2007 Dott. Giovanni Paglialonga

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Gaetano P aglialonga nato il 6/3/41 a Collepasso, tel. 0833/346133 pagliatano@virgilio.it

LA COMMEDIA COMMEDIA DELLE SANTE MENZOGNE Tra storia e leggenda, miti e profezie. Appunti, spunti e riflessioni tra il serio e il faceto. PREMESSA. Questo testo anche certi cristologi raccomandano di non prenderlo alla lettera, dicono che va interpretato. Io, invece lo leggo e lo commento senza nessun filtro teologico, senza nessuna particolare spiegazione sacerdotale. Hanno sempre detto, grandi e piccoli teologi e sacerdoti, che il libro è ispirato, che questo libro è la parola di dio. Questo, almeno, hanno raccontato finché hanno avuto il monopolio di questo testo, nessun’altro lo poteva possedere e leggerlo senza rischiare di finire bruciati vivi dopo essere stati condannati dalla santa inquisizione dell’epoca. Poi con la riforma luterana, dacché il libro venne pubblicato e letto liberamente, iniziarono col dire che non siamo in grado di comprenderlo, di interpretarlo correttamente. Invece sono d’accordo con chi sostiene che questo libro dei libri va letto con lo stesso spirito con cui abbiamo letto l’Iliade di Omero o l’Eneide di Virgilio. Non vale di più, non vale di meno. Leggende discutibilissime attraverso le quali si cercava di dare un’origine particolare alla loro Nazione, al loro popolo. Chiarito questo, ora facciamo invece come se fosse vero quanto loro hanno sempre raccontato ai poveri di spirito: “Il libro contiene la parola di dio”. E sentiamola sta parola di dio! Solo una cosa posso garantire: leggendo il tutto, non vi annoierete. La prima parte l’ho messa in rima (rima senza pretese, ovviamente) ed è sostenuta da una serie di opere pittoriche presenti in chiese e musei che raccontano i fatti basilari della “nostra” religione, il tutto accompagnato da vignette di satira; insomma, sì, un accostamento tra sacro e profano al solo scopo di stimolare alla lettura del racconto in prosa che inizia da pagina 53. Lungi da me, però, la volontà di ridere, sia dei fiabeschi dèi, sia dei reali credenti che fanno buon uso della loro religione. La mia satira, o almeno tale vorrebbe essere, è rivolta verso gli stregoni e sciamani di tutti i tempi, compresi quelli attuali, per come ci hanno rappresentato, e continuano a rappresentarci, le loro divinità, per l’utilizzo che ne hanno fatto e ne fanno, a fini di potere tutto terreno, e soprattutto verso gli integralisti di tutte le religioni che pretendono di imporre la loro fede a chi non ne ha bisogno. Mi auguro che questa mia esposizione da miscredente non danneggi nessuno, ma, al contrario, stimoli credenti e non credenti a saperne di più e continuare, ognuno per suo conto, l’indagine su questa esigenza di religiosità, che ha sempre coinvolto una parte rilevante dell’umanità. Io ho fatto di tutto per crederci, ma non ci sono riuscito; qualcuno può dirmi: “...ma la fede è un dono di Dio!”. Se così è, tanto meglio! Vuol dire che non è colpa mia se sono un miscredente. N.B. Le immagini e le vignette satiriche presenti nel testo in rima, sono state tratte da siti internet liberi da copyright; mentre il “Darwin Day”, di Staino, è stato tratto da “l’Ateo”, bimestrale dell’associazione “U.A.A.R.”, (Unione degli Atei e Agnostici razionalisti).

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Sopra: Dio costruisce l’universo. Sotto: prima costruisce l’uomo, poi la donna.

Sopra con l’uomo appare entusiasta, sotto con la donna lo hanno dipinto perplesso.

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Introduzione: Si dice ci sia stato un tempo in cui non c’era l’universo, poi un certo Yahwèh, di fatto un dio controverso, come un fulmine a ciel sereno un dì il Tutto creò: impastò miliardi di palle e nello spazio le gettò. Poi, chissà perché, sulla terra la vita ha realizzato: l’uomo con tanti animali, però a tempo determinato. Forse si era seccato di esistere solo e senza far nulla, e in pochi giorni tutto fiorì sulla terra prima brulla. Su questo pianeta, così microscopico e marginale, fiorì tanta vita; fu un bel fatto, ma solo casuale; solo il genio di Darwin ce l’ha saputo ben spiegare, ma chi ha paura del nulla non lo può mai accettare. Però, a prender per buono ciò che un dì fu scritto, abbiamo un dio Yahwèh niente affatto dritto; quel dì li fece e disse che scemi dovevano restare, se nell’Eden sempre felici volevano campare: “Mangiate pure di quel che vedete il tutto, ma di quell’albero non ne toccate il frutto”.

Più modestamente, ecco l’evoluzione dell’uomo secondo la teoria scientifica di C.Darwin.vista dal genio di Staino.

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Mangiano il frutto proibito

e vengono scacciati dal paradiso

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Mangiarono il frutto, e fu l’intelligenza, ma furon scacciati senza pietà nè clemenza. Ma se lui lo sapeva che così sarebbe andata, perché montare tutta questa sceneggiata? Che ci sia un dio bizzarro quanto lo è l’umanità è una stravaganza, un non senso, una banalità. Quando l’uomo capì il significato della morte s’inventò dèi, paradisi e celestiali porte. Sciamani, stregoni, come i funghi sono nati, e su tutta la terra in ogni luogo sistemati. Ma quando il totem si unì con lo scettro, per il popolo quel giorno fu il più maledetto. Questa eccentrica umanità quanti dèi ha prodotto! E se li è fatti su misura, sia l’onesto che il galeotto. Poi, brandendo i suoi dèi, i fratelli ha massacrato, finchè il vero potere, trucidando, ha conquistato. Quanto odio, quanta violenza si è realizzata e in nome di un dio si è sempre giustificata. Si dice di un leone che è una bestia assai feroce, l’umanità ha fatto di peggio nel nome di una croce. Il leone uccide esseri viventi solo per mangiare, noi uccidiamo i nostri simili perchè ci piace dominare; più la nostra intelligenza diventa grande e forte, più dei nostri simili progettiam la morte. All’origine era la lotta per la sopravvivenza, ora è “libido dominandi”, autentica demenza. Però la scienza e la tecnica ci han tanto aiutato, e da quel disperato bisogno ci han liberato. Perciò è ora di darci tutti una giusta calmata, se l’umanità vuol sopravvivere, essere salvata. Or nel “libro dei libri” andiamo a dar un’occhiata, per constatare la perversità come l’han giustificata.

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Guerre e massacri in nome degli dèi.

Ecco, il fumo di Abele va dritto in cielo, mentre quello di Caino resta a terra

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ANTICO TESTAMENTO

Palestina o Israele : “Terra promessa” al popolo eletto?

Adamo e la sua Eva, con due figli da amare, uno Caino e l’altro Abele li vollero chiamare; Abele era pio, sembrava un chierichetto, e da subito di Yahwèh fu il prediletto. Caino, poveraccio, era incattivito e un po’ sfigato, perché a far l’agricoltore non si sentiva gratificato. Abele era pastore e agnelli a Yahwèh sacrificava, Caino, contadino, solo frumento gli bruciava. Ma il fumo dell’agnello Yahwèh lo gradisce, mentre quello del frumento lo infastidisce. E pazienza oggi, e sopporta pure domani, allo sfigato Caino fremevano le mani. E fu così che un giorno lo prese, lo agguantò, e con un solo colpo suo fratello accoppò. Gli scribi, come veri ubriachi, scrissero di tutto, dissero anche di Caino che scappò di brutto, e ancora più ad est si andò a rifugiare; lì conobbe una donna e la volle sposare. Infin, per il suo figlio Enoc eresse una città, tra tanta nuova gente e una nuova civiltà. E tutta questa gente, questa nuova civiltà? L’aveva forse creata un’altra divinità? E va be’, diciamo pure che è divin mistero; tanto, chi ha fede non si serve del pensiero.

Noè Ma venne il dì infame, e fu il diluvio di Yahwèh, l’umanità sommerse, ma volle salvar solo Noè. Altri dèi s’erano inventati e lui, geloso, si incazzò: Yahwèh li aveva fatti e lui stesso li annientò. Ma per risparmiarsi la fatica di dover tutto rifare, avvisò Noè e famiglia, con gli animali da salvare. Certo, si può capire, non si voleva ancora sporcare, col fango ricominciare di nuovo a impastare. 12


Noè e figli costruiscono l’arca…

…e qui sono già in crociera

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Sem, Cam e Yafet Quattordici generazioni di fatto eran passate e le terre emerse furono di nuovo popolate. Sem diede vita ai cosiddetti Semiti, di Yafet la progenie si chiamarono Yafiti. Cam, poveraccio, che da suo padre era stato maledetto, generò gli schiavi, ma il perché non l’ho ancora detto: Noè era un patriarca assai degenerato e con il vino aveva sempre esagerato. Un giorno il figlio Cam nella sua tenda entrò, lo vide ubriaco e nudo, e si scandalizzò. Riferì ai suoi fratelli lo stato di depravazione del padre, che gli procurava tanta indignazione. Sem e Yafet, camminando indietro come i gamberi, non lo guardarono per non farlo uscir dai gangheri. Quando si pensava che Noè fosse rinsavito, gli raccontarono l’accaduto e divenne inviperito: stramaledisse Cam e tutta la sua discendenza, che divenne schiava, e fu grave conseguenza. Con questo degenerato un patto fece Yahwèh, fu detto dell’arcobaleno e fu felice anche Noè. In quattordici generazioni Yahwèh dimenticarono, e ad altri dèi molti altari innalzarono. Ora Yahwèh, nuovamente infuriato, ad un altro diluvio aveva già pensato. Ma, visto che con il diluvio questo era il risultato, la sua divina mente un’altra idea ha realizzato: “Mo’ mi faccio un popolo, solo e soltanto mio, e gli spiegherò che, di dio, ci sono solo io. Poi degli altri popoli mai più mi curerò, solo al mio popolo eletto, ad esso baderò.” Insomma, anche Yahwèh si ridimensionò, gettò la spugna, e di poco si accontentò. Così deciso e fin troppo motivato, mandò un ambasciatore molto alato nella Sumeria, nella terra dei due fiumi, a trovare Abramo, uomo dai rigidi costumi. 14


Sopra: Abramo scaccia Agar e suo figlio Ismaele dall’accampamento. Sotto: si sta recando al luogo dove deve sacrificare suo figlio Isacco a Yahwèh.

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Abramo Abramo e suo padre Terah erano puri semiti: discendenti di Sem dovevano essere gli israeliti. Nella futura terra d’Israele si doveva spostare, con famiglia e bestiame subito incamminare. E iniziò a fare il furbo, quel patriarca di Abramo, che già sulla serva Hagar allungò la sua mano; Hagar gli partorì Ismaele e fu grande felicità, con il consenso di Sara e della sua sterilità. Sara era, sì, moglie, ma anche sua sorella, però, cacchio, era giovane e anche bella. Di uomini ne aveva, sì, tanti conosciuti, ma di figli la Sara non ne aveva mai avuti. Ma tra moglie e marito fu Yahwèh a metterci il dito, e alfin la vecchia Sara il figlio Isacco ha partorito. Hagar e Ismaele dal campo furon cacciati, e nel deserto infuocato furono abbandonati. Ed ecco qui l’angelo a consigliar che fare: “sottomettiti a Isacco e Sara se vuoi campare”. Hagar fu la concubina e Ismaele il bastardo, e Yahwèh su Isacco pose tosto il suo sguardo. Un giorno questo Abramo fece un brutto sogno: del sacrificio di Isacco Yahwèh avea bisogno; era fuor del campo, era lì pronto per sgozzarlo, ma arrivò l’angelo, giusto in tempo per fermarlo; e l’angelo gli disse che Yahwèh aveva scherzato, voleva solo vedere quanto a Lui era affezionato. Ma fu la circoncisione, il prepuzio tagliato, che sancì il patto tra Yahwèh e sto’ imbranato. Lot A Sodoma e Gomorra erano degenerati, e il nostro Yahwèh li ha tutti sprofondati. Gli scribi giurano che eran tutti depravati: mah! anche adolescenti e bambini appena nati? Però vuole salvare Lot e tutta la sua famiglia, e di non guardate indietro Yahwèh consiglia.

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Qui la moglie è già diventata di sale.

Lot e figlie si salvano

Il patriarca Lot fa il porcellone con le figlie.

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La moglie di Lot, donna di poca fede, si volta indietro, vuol vedere che succede. Ma rimase secca e tutta di sale diventò, e quel patriarca di Lot senza moglie restò. Però un patriarca, per pretendere gran rispetto, deve avere discendenza e ha bisogno del maschietto; ma solo due femmine dalla moglie aveva avuto, e un futuro da patriarca se l’era già bevuto. Ma questo Lot, questo nipote di Abramo, approfittò delle figlie ed allungò la mano; e questa famiglia così tanto depravata dal solito Yahwèh fu tanto salvaguardata. Da questi incesti tanto disgustosi, nacquero figli fin troppo riottosi. L’un si chiamò Moab e furon i Moabiti, l’altro Ben-Ammi e furon gli Ammoniti.

Le Dodici Tribù d’Israele Ma è con Isacco che iniziò la razza eletta, mentre Ismaele fondò la sua prole maledetta. Da Ismaele la tribù araba fu generata, e ad Isacco la razza eletta fu designata. Poi Rebecca a Isacco partorì Esaù e Giacobbe: e fu Giacobbe l’Israele, perché Esaù non riconobbe. Giacobbe fu più famoso di pecore il pastore, amò la Rachele, ma “conobbe” quattro signore. Rachele e Lia erano due sorelle, Bala e Zelfa serve, si prese anche quelle; Giacobbe, con queste quattro, dodici figli generò, e le Dodici Tribù d’Israele così si assicurò. Ma le gesta di Esaù non furono esaurite, anche lui ebbe dodici figli e le tribù Edomite; ma patriarca non fu, per colpa della Rebecca che tradì Esaù, e meriterebbe la Giudecca. Tra i dodici figli da quattro donne avuti non potevano mancare discordie e atti bruti; c’erano gli onesti e non mancava il cornuto, e si vendettero il Giuseppe, persino ignudo. Giuseppe in Egitto con le vacche ebbe fortuna: le sette magre e le sette grasse contò una a una. Il Faraone tanto grande lo fece diventare, che tutta la famiglia in Egitto fece emigrare. 18


Mosè fa il furbo già da piccolo e divide l’acqua in due

Qui da grande è intento a fare lo stregone.

Qui invece è in vena di scherzi.

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Come i conigli si erano moltiplicati, in quattrocento anni che erano passati; tutti gli egiziani erano, sì, preoccupati, chè gli ebrei a lavorare non erano abituati. Mosè Poi un certo Mosè li ha tutti liberati, e in mezzo ad un deserto se li è portati; lì per quaranta anni se li è tanto curati e nella sua legislazione li ha radicati. Ma la cosa buffa è quando spacca il mare, perché i suoi dall’altra parte deve portare. E non ci volle molto; ma uno può pensare: “non sarebbe stato più facile farli volare?” Però, le leggi del Mosè, il legislatore, sta scritto che gli furono dettate dal Signore; era Yahwèh che ad alta voce dettava, il Mosè scriveva e poi divulgava: “Al mio popolo tu devi andare a raccontare, come ognun di loro si deve comportare, devono amare il prossimo come se stessi, con gran coerenza e non facciano i fessi; ma se il mio nome citano invano, dovete ucciderli con virile mano; se poi di sabato qualcuno ha lavorato, deve essere preso e subito lapidato; chi con consanguinei giace nel letto, versate il suo sangue e sia maledetto; chi con lo stesso sesso ha rapporto carnale, deve essere ucciso come fosse un animale…” E bravo il furbo Mosè, il gran legislatore: imponeva la sua legge, affibbiandola al Signore. E i Dieci comandamenti? Non gli sono stati dettati, ma dai testi di Iside e Osiride li ha scopiazzati: nel loro Libro dei morti da secoli stava già scritto. A piene mani ha copiato: sì, fece proprio il dritto. Sceso dal monte disse che Yahwèh li aveva incisi, e quanti non li rispettavano sarebbero stati uccisi. Ma Yahwèh a Mosè non lasciò scampo: non entrò in Israele, morì nel campo.

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Iside e Osiride, dèi egizi

Qui il suo dio fa crollare le mura di Gerico.

La pioggia di pietre

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Giosuè Si muove un altro eroe, è il grande Giosuè: questo è l’uomo nuovo, il nuovo eroe di Yahwèh. Mai Giosuè avrebbe passato il Giordano, se il suo dio non gli avesse dato una mano; il grande Israele non l’avrebbero realizzato, e tanto sangue non sarebbe stato mai versato. Poi le mura di Gerico il suo dio fece crollare, e il popolo eletto molte città potè devastare: “ col ferro e col fuoco niente deve respirare”: questo il suo Yahwèh gli impose di fare. Quanti popoli massacrarono nelle loro città, senza alcun ritegno, senza la minima pietà, sostenendo che era loro la terra promessa, perché da Yahwèh era stata loro concessa. Pure il sole e la luna sta scritto che fermò, e fu certo per colpa sua se Galilei abiurò! Non poteva la chiesa smentir quanto “annunciato”, perché il suo potere su quel libro era fondato.

I Giudici. E vennero i Giudici che la legge interpretarono, ma il più scemo di tutti Sansone lo chiamarono; come un bambino della meretrice Dalila si fidò, che come un sacco di patate ai filistei lo consegnò. Era, sì, tanto forte, ma ciò lo doveva ai suoi capelli; se glieli tagliavano diveniva quieto come gli agnelli. Si trovò prigioniero, accecato e legato a due colonne: “muoia Sansone con tutti i filistei”, e seppellì uomini e donne.

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Ecco all’opera Giosuè, l’eroe di Yahwèh. “Fece il deserto e lo chiamò pace!”

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Sansone fa lo spaccone.

La figlia di Yefte prega con le amiche sul monte.

Saul, il primo Re Quando finì l’era dei Giudici il primo Re arrivò: fu Saul, che sconfisse altri popoli e li decapitò. Già era pronto Davide, che il Gionatan si filava, ma si limitò alla sorella, che al fin sposava. Davide costruì la reggia su Sion, il sacro monte, Salomone edificò il Tempio, alla reggia lì di fronte. Ecco storia e origini di quel che è il sionismo, punto cardine d’identificazione dell’ebraismo. Fu Salomone, figlio di Betzabea la concubina, a mandare tutti gli altri suoi fratelli in rovina. Ma le dodici tribù si divisero con Roboamo; le dieci della Galilea se le gestì Geroboamo. Poi gli Assiri le tribù del nord deportarono; si salvarono i giudei, e di ciò si felicitarono.

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La trib첫 di Beniamino a caccia di donne

Saul muore in guerra insieme a suo figlio Gionatan 25


La diaspora Babilonese Ma con Nabucodonosor anche la Giudea fu invasa, e dopo anni di assedio Gerusalemme conquistata. E questo fu il tempo del profeta Geremia, che con le sue lamentazioni superò l’Isaia. Nella Babilonia tutti i Giudei furon deportati, ma non subirono schiavitù, furon ben trattati; fu concesso loro di potersi organizzare e struttura di popolo e religione conservare. Fu in quella diaspora che Ezechiele, un certo Isaìa, Naum, Habakuk, Geremia, e poi Zaccaria e Malachia, scrissero quel testo per gli ebrei tanto sacro, con il quale, poi, giustificarono ogni massacro. Qui inventarono l’esodo e il diluvio universale, qui scrissero a lungo, però niente di originale; il diluvio dagli Assiro-Babilonesi era già raccontato, e dalla loro “Saga di Gilgamesh” lo hanno copiato. Ma alla cattiveria del profeta Elia nessuno arrivò, perchè di sangue d’innocenti lui assai si macchiò. Un gruppo di bambini lo sberleffo gli faceva, e, rivoltosi al suo signore, vendetta lui chiedeva; il suo Yahwèh veloce due orsi gli inviò, e il gruppo di bambini loro pasto diventò. Per il dio eran ben poca cosa le donne e i bambini, questo per esteso sostennero gli scribi e i rabbini. Il dominio persiano Ciro, il gran persiano, da Babilonia li ha liberati; son tornati sulla stessa terra ancora più arrabbiati. Chi la sicura discendenza di ebreo non potea vantare, quella terra, subito e senza scampo, doveva lasciare. Moglie e figli di casa dovevan esser scacciati, e in mezzo alla strada senza pietà abbandonati. Questo il loro re Esdra impose di fare, e quelli tosto fecero, senza recriminare. Per lungo tempo furono i persiani a dominarli, ma ecco la storia di Giobbe pronta a guidarli. Ahura Mazda per Zoroastro era il gran bene e Arìmane era le tenebre e distribuiva pene; e mentre Yahwèh l’avevano già inventato, Arìmane, il male, Satana lo han chiamato.

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Il Profeta Geremia

Giobbe con i consolatori molesti

Il profeta Ezechiele

Il 666 ovvero: satana,demonio,lucifero,mammone, ecc.

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Però, in quei tempi, i due spesso si incontravano, e scommettevano sulla pelle del genere umano; giocarono con Giobbe, un uomo assai mite, e tutte le disgrazie umane le ha lui subite. Questi, Yahwèh e Satana, come soci in affari, di tanto in tanto si incontravano da pari. Così iniziò la sfida, la grande scommessa, e la pazienza di Giobbe a ciò fu sottomessa. Pur se Giobbe si lamentò in modo straziante, la fede nel suo dio Yahwèh gli rimase costante. “perché non sono morto nel grembo di mia madre? perché non spirai appena uscito dal suo ventre?” Giobbe questo chiedeva al suo signore, cercava spiegazioni per l’immenso dolore. Bellissimo e grande, questo libro in poesia; però la morale farà schifo a chicchessia. Poi arrivarono i guerriglieri, i fratelli Maccabeo; s’imposero Giovanni Arcano e Alessandro Ianneo. Venne anche l’ora di Alessandro e dei Tolomeo, infine arrivò il gran romano Gneo Pompeo. Il dominio romano Si ribellarono sotto l’imperatore Vespasiano, e fu con Tito che sentirono tutto il peso romano. L’ultimo tentativo di resistenza ardita fu commessa a Masada, dove finì suicida. A Israele Adriano altro nome aveva proposto, e l’esodo forzato a tutti gli ebrei aveva imposto. Or tornarono in Nazioni da “forestieri residenti”, emigrando in tutto il mondo, in tutti i continenti. Ma ingiustamente di deicidio furono accusati, per molti secoli discriminati e vivi bruciati. Con quel loro Talmud, quel libro inventato, una miriade di profeti ci hanno sù sguazzato; con truci minacce e infinite intimidazioni ci dicevano di Yahwèh e delle sue intenzioni.

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L’imperatore Traiano

lo sposalizio

L’imperatore Adriano

La natività

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Invece…, sono stati un popolo quasi sempre sottomesso, sono stati costretti per millenni al compromesso. Quel territorio agli ebrei da Yahwèh fu concesso, e i profeti scrissero a lungo del loro dio indefesso, che con le mani e i piedi sempre pronto li aiutava, e gli altri popoli sconfiggeva, disprezzava, denigrava. Uno strano dio di parte, un matto, un dio razzista, che li spronava a massacrare lo straniero a vista. Questo Yahwèh “dio degli eserciti” l’han battezzato, e tutti i profeti questo aspetto han sottolineato. Poi Gesù ci parlò di un Yahwèh che a questo non somiglia, forse perché, con Maria e Gesù, aveva messo su famiglia? *****************************

NUOVO TESTAMENTO

l’invenzione del Figlio Dio Yehoshua, il Cristo, l’Unto, il Messia, il Salvatore, l’Emmanuele.

Tra tanti profeti, Yehoshua lo ritennero banale, una decisione su Gesù che nei secoli portò male. Era del loro popolo, era come loro un ebreo, accusava di tradimento il Sinedrio, perciò reo. Parlava di un dio buono che voleva bene a tutti, e invitava tutti quanti a produrre buoni frutti; disse pure “le prostitute vi precederanno”, arrecando alla loro cultura un grave danno; e che “gli ultimi per lui sempre i primi saranno”, sì, aggiunse anche questo, e fu altro danno. Poi anche su di lui fin troppi scrissero e assai; ciò che di certo disse e fece non lo sapremo mai. Più di quattromila son le storie raccontate, a leggerle tutte si fa il pieno di cazzate. Tanti princìpi buoni con i cattivi cozzavano, alcuni parlavano d’amore, altri odio spruzzavano, Ognuno ce lo raccontava e se lo rigirava secondo le sue speranze, o quanto lui sognava. 30


La strage degli innocenti

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La venuta del Gesù fu tanto eclatante, che fu strage d’innocenti, si uccise il lattante. Sarà stata buona novella, ma chissà per chi, non certo per quei bambini massacrati lì. Immagino le mamme straziate dal dolore com’erano contente che era nato il Salvatore! Sarà pure l’Emmanuele, il Messia, il Redentore, ma ha spedito i loro figli troppo presto al creatore. Se osservate l’angelo, il messaggero del signore, scoprirete, così, quanto è poco buono il creatore; di scappare in Egitto invita la sacra famiglia, e degli altri bambini nessun disturbo si piglia. Persino un delinquente avrebbe sentito tenerezza, e avrebbe salvato quei bambini da tanta nefandezza. Quella Maria, la madre, pur avendo avuto sette figli, la fecero restar vergine, bianca e pura come i gigli. E il povero Giuseppe? il padre putativo gli fanno fare, con sette figli sulle spalle, da educare, da campare. Però, alla fine lo hanno tanto gratificato e sugli altari pure lui hanno innalzato. Yehoshua si montò la testa e il profeta volle fare, l’Israele avanti e indietro, su e giù volle girare; si fece la sua squadra per il consenso da cercare, e la sua specialità erano i tanti miracoli da fare. A quei tempi la scienza era come l’araba fenice, e la gente speranzosa credeva a quel che si dice; quando sentiva che un tale i prodigi sapeva fare correva come fulmine il miracolo a cercare. Ma solo poveri e storpi si potevano salvare, mentre ricchi e potenti all’inferno dovevano andare. Così, mentre vecchi e storpi era intento a salvare, c’era chi preparava la croce per poterlo accoppare.

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Ges첫 impara a fare il falegname

Marta, sorella di Maria di Magda, lava e profuma i piedi a Ges첫.

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Di dodici era composto il suo comitato centrale, ed era sempre un discutere del trascendentale. Questa storia sarebbe rimasta una cosa indolore, se Giuda Iscariota non avesse fatto il traditore. Però, quel povero Giuda, a farlo fu costretto; fu Yahwèh ad imporlo, e così divenne il maledetto. Il vero regista di questo film e del suo perché fu sempre il solito, l’incomprensibile Yahwèh. Ma c’erano anche ebrei, molto materialisti, si chiamavano zeloti, gli antimperialisti; questi i romani decisamente odiavano, ma il sinedrio neanche lo consideravano. Il famoso Barabba, che dalla croce si è salvato, era zelota e qualche romano avea accoppato. Il messia, profetato da Isaia, da secoli aspettavano, che doveva liberare l’Israele dall’impero romano, “Dai a Cesare ciò che è di Cesare”, tanto affermò, da quel momento in poi tutti gli ebrei si alienò. Ma che lui fosse il figlio di dio non lo disse mai, furono gli altri evangelisti a metterlo nei guai. Era un ebreo verace, era un credente, un riformatore, e accusava il Sinedrio di tradire la Torah e il Signore. Si disse che era morto, ma dopo tre giorni risuscitò, e alla destra di Yahwèh, suo padre, si accomodò. Nella valle di Josafat ci avrebbe tutti giudicati, separando i buoni dai cattivi ci avrebbe sistemati: i buoni in paradiso a gioir divina grazia in eterno, mentre i cattivi a subire le angherie dell’inferno. Ma sto’ figlio di dio non lo presero mai per buono; gli ebrei vollero Yahwèh single, sul celestiale trono. Se più tolleranza avessero allora esercitato, quanto sangue l’Umanità avrebbe risparmiato! Perché, se in croce lui non fosse morto, non sarebbe stato vittima, non avrebbe subito torto.

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Ges첫 (o S. Pietro?) cammina sulle acque.

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Così quel che diceva poteva finire lì in Palestina, e ognuno avrebbe impastato la sua casalinga farina; col nostro vecchio Giove noi potevamo andare avanti, e saremmo rimasti più tranquilli un po’ tutti quanti. Però questi ebrei, questo popolo tanto denigrato, da così tanti popoli è stato sempre perseguitato. Per millenni è stato un popolo sottomesso e calpestato, e forse fu per questo che s’inventò un dio arrabbiato. L’unica cosa che riusciva a tollerare, era un profeta di tanto in tanto da ascoltare. Ma se diceva cose che gli sembravano storte, gli tagliavano la testa, quella era la sua sorte. Capitò prima al cugino Giovanni, detto il battista, poi a Yehoshua ben Josef, che faceva l’altruista. Tutti e due furono eretici, un po’ come gli Esseni, che l’umanità volevano povera, e disdegnavano i beni. Se è vero che Gesù di Nazareth fu a suo tempo ucciso, ciò accadde perché il potere gli era assai inviso; il tradimento del Sinedrio per lui era ripugnante, e l’accusa di tradimento fu continua, fu incessante. Per questo fu ucciso, solo per reato d’opinione, non un criminale: voleva migliorar la religione. Era un rivoluzionario di tipo trascendentale, un simpatico no-global, per i più un po’ banale; era a fianco degli ultimi, e i primi non amava, voleva emancipar la donna, e la salvava. La sua nuova idea era tanto socio-religiosa, e metteva in discussione sempre ogni cosa. Volle caricarsi addosso tutto sulle sue spalle; così lo vedo e a me piace: un simpatico rompiballe.

E la chiesa preghi affinché Gesù non torni mai, altrimenti vedremo il clero passare dei seri guai.

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L’ultima cena

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STORIA DELLA CHIESA:

la parodia del sacro

Ma a questi gentili, di cultura greco-romana, un dio tutto solo sembrava una panzana. No, un dio solo non sembrava cosa saggia: la democrazia un dittatore mai incoraggia. Ci vuole quanto meno un buon triunvirato; ed ecco fatto, lo Spirito Santo hanno inventato. Ora sono tre: Padre, Figlio e Spirito Santo, e si sono attrezzati per gestire tutto quanto. Però il monoteismo non vogliono abbandonare, e creano una nuova formula tutta da gustare: “Sì, che sono tre, ma è sempre un solo dio, che vi piaccia o meno, questo lo stabilisco io”. Quanti teologi le meningi si son spremute, però alla fine in tanti se le son bevute. Persino il nostro Dante, che arrivò al suo cospetto, ci racconta della Trinità intrecciata in un cerchietto: “Ne la profonda e chiara sussistenza de l’alto lume parvermi tre giri di tre colori e d’una contenenza”. Arrivò il tempo del grande Costantino, che Giove e l’Olimpo abbandonò al loro destino; al nuovo clero tutto il potere fu concesso, e il paganesimo a superstizione fu retrocesso. Così il cristianesimo il paganesimo ha ingoiato, e per coloro che resistevano il boia ha lavorato. Il venticinque di dicembre era festa, sì, dei baccanali; si abbuffavano, erano le orge, così facevano i saturnali: era la natività di quel Sole sempre Invitto. Poi finirono le orge, e il paganesimo fu sconfitto. Ma il popolo-bue alla fine si seppe vendicare, e il paganesimo dalla finestra fece rientrare. Se nell’Olimpo gli dèi eran centinaia a sguazzare, ora nel paradiso son migliaia i santi da venerare; però soltanto a loro devi raccomandarti, se hai qualche guaio e vuoi liberarti.

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L’imperatore Costantino e papa Silvestro I, (314-355) qui si rappresenta la “donazione di Costantino” alla chiesa, in realtà mai avvenuta

Ecco la chiesa a “ puttaneggiar coi regi”

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Ma i santi non son capaci di fare il favore, son procacciatori d’affari del loro Signore. Però se dal suo dio un santo sa farsi ascoltare, e qualche buon “miracolo” riesce a realizzare, si inizia con processioni e canti da innalzare, infin non mancherà una cattedrale da edificare. E già, il do ut des è valido anche per i santi, è sempre la solita regola, buona per tutti quanti; e come per il clientelismo del politicante, che è divenuto costume e prassi costante. Ovvio che un dio, che lo si vuole immenso, necessiti di preghiere e di abbondante incenso. Mai che un credente si sia una volta domandato: “a noi i miracoli, e il resto del mondo abbandonato? perché dei pii vecchietti devon esser miracolati, e dei bambini a fame e guerre sono abbandonati?” Ti diràn: “non son cristiani e hanno la pelle scura, per questo il nostro signore di loro non si cura”. Ed eccolo qui, è ritornato Yahwèh, il dio razzista, e il loro Gesù di Nazareth hanno perso di vista. Ma l’unico miracolo che il clero realizzerà, sarà l’accumular ricchezze predicando povertà. E fu la parodia del sacro, e fu il neo paganesimo, cambiarono percorso, e questo fu l’ennesimo. Finchè il cristianesimo visse da oppositore, il cristiano restò fedele al suo Redentore; ma appena si insediò stabilmente al potere, il vangelo fu subito preso a calci nel sedere. Eppure…Il mio regno, disse, non è di questo mondo; fu sì, un gran bel dire, ma era già moribondo. La libido dominandi il cristiano non risparmiò, e, accomodatosi al potere, l’infedele massacrò. Il porgi pure l’altra guancia a chi ti colpisce, il sacro romano impero niente affatto gradisce. Disse che gli ultimi sempre i primi saranno, ma furon proprio questi a subire il grosso danno. il Sacro Romano Impero Poi Carlo Magno tutta l’Europa cristianizzò; a chi si rifiutava di battezzarsi la testa tagliò. Ecco genesi e storia dell’Europa cristiana, convertita con la spada della chiesa romana. 40


L’incoronazione di Carlo Magno, da parte del papa Leone III, a imperatore del sacro romano impero.

Qui è la caccia alle streghe.

Qui è l’eretico Giordano Bruno

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Se un poveraccio i sacri testi si leggeva, in pochi giorni l’inferno raggiungeva, perché solo il clero li poteva leggere e spiegare, e la “giusta” interpretazione poteva dare. Se volevi bene al povero e il ricco odiavi, se ti andava bene, già in galera ti trovavi. Quanti predicatori poveri son stati perseguitati, dalla santa inquisizione condannati e vivi bruciati! E gli Albigesi che volevano vivere in comunità? Furon decine di migliaia massacrati senza pietà. Anche gli Anabattisti, che odiavano la proprietà, si organizzavano senza padroni in comunità. Questo la chiesa non poteva mai tollerare, perché il povero sempre tale doveva restare. Gli serviva tanto il povero, serviva l’impotente, serviva l’ignorante, meglio ancora se deficiente.

Le Crociate E venne il brutto tempo delle sante crociate: “se uccidi l’infedele sono indulgenze conquistate”; occorreva liberar la Palestina, la terra del Signore, da tutti gli infedeli del nostro dio, il redentore. Il cattolicissimo duce Goffredo di Buglione quarantamila trucidò con cristiana devozione. Realizzò un genocidio di proporzioni immani; un fiume di sangue causaron le sue mani: “ corre di tenda in tenda il sangue in rivi, e vi macchia le prede e vi corrompe gli ornamenti barbari e le pompe… …Né pur deposto il sanguinoso manto, viene al Tempio con gli altri il sommo Duce; e qui l’arme sospende, e qui devoto, il gran Sepolcro adora e scioglie il voto”.(T.Tasso)

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Qui si tortura in attesa di una santa confessione

Qui tribunale della santa Inquisizione.

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Una squadra di cavalieri Templari che massacravano molto piamente in nome di Cristo

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Povero Cristo! …come mal lo trascinarono; a vili turbini demoniaci lo accostarono. Chi le loro verità metteva in discussione, doveva fare i conti con la santa inquisizione; dopo essere passati da infinite e tremende torture, gli auto-dafè garantivano delle ottime cotture. Son stati sempre contro la cremazione del morto, però li cremavano vivi, se a loro davan torto. In quindici secoli, pieni zeppi di sante menzogne, hanno rosicchiato il potere come avvoltoi su carogne. Se il potere tutto non riuscivano a gestire erano sacri lamenti, erano santissime ire; e per poter gestire il potere quasi del tutto, “ puttaneggiarono coi regi” con molto gusto.(Dante)

I condottieri massacratori in nome di Cristo

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Ecco la “dialettica trascendentale� tra cristiani e musulmani.

Martin Lutero

Calvino

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Riforma e Controriforma E venne il tempo della Riforma protestante, con un Martin Lutero fin troppo zelante; il grave peccato di simonia egli contestò, e con i prìncipi tedeschi lo scisma realizzò. La cattedrale di San Pietro dovevano costruire, ed ebrei e moros bruciati dovevano morire; così i loro beni potevano finire sulla cattedrale, e il sacro romano impero sembrava meno banale. Quella cattedrale gronda sangue umano, malgrado grandi artisti ci misero la mano. Invece per i cristiani, se in cielo volevano andare, quel poco che avevano alla chiesa dovevano dare. E Martin Lutero, che era necessario condannare, ci pensò il concilio di Trento a scomunicare. Ripartì alla grande la tremenda inquisizione: la caccia alle streghe divenne un’ossessione, e negli auto-dafè le portavano in processione. Quante povere donne, che lottavano per campare, con la scusa del demonio il clero fece bruciare. Anche Lutero e Calvino in nome del Vangelo bruciarono e spedirono tanti cristiani in cielo. Più s’innalzavano chiese nel nome del signore, più si spedivano poveri cristi al creatore. “ben dovrebb’esser la loro man più pia, se state fossero anime di serpi”.(Dante) Sempre al nome di Cristo tutto ciò si accostava, ma era solo il loro potere che in realtà si allargava. E nelle Americhe quanto sangue fu versato!, ma rigidamente in Cristo tutto fu giustificato. Distrussero interi popoli, religioni e culture, senza il minimo rimorso, senza divin paure. Ma, per saperne di più e rendervi conto del perchè, leggete il “Sillabo degli errori” dell’ultimo papa-re.

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Ecco il manifesto con la scomunica, affisso sui portoni di tutte le chiese. 47


…e gli ultimi Dogmi: “ i dogmi sono come le pillole, non si masticano ma si ingoiano Il Pio IX nel primo Concilio Vaticano sulla Madonna calcò un po’ troppo la mano; e d’immacolata concezione fu pure dichiarata, come se il padre Gioacchino non l’avesse generata; e sua madre Anna non ebbe rapporto umano? Vuoi vedere che fu ancora Yahwèh a metterci la mano? “Oh Maria concepita senza peccato …” Ma quando Cristo disse che far l’amore è peccato? Dove sta scritto che lui non l’ha gustato? Perché il generare prole in modo tanto naturale deve essere considerato come fosse un gran male? Tornando alla Madonna, questa madre del Signore, dopo aver visto uccidere suo figlio, il redentore, in modo assai naturale morì a sessantacinque anni, e, come tutti gli anziani, piena di acciacchi e malanni; poi Pio XII in carne e ossa in cielo la volle spedire, dopo diciannove secoli che la videro morire. Questa madre, dalla vita tanto dura e assai provata, per consolidare il potere l’hanno sempre utilizzata. In cielo in carne e ossa ci è rappresentata, ma sulla terra di tanto in tanto è ritornata. Non più da vecchietta, ma la videro giovane e bella, e non per ricordarci del suo figliol la buona novella; sempre imbronciata, senza ridere e scherzare, sempre piangente e con disgrazie a profetizzare; e tutti noi esortò sempre rosari a recitare, se da satana e comunisti ci volevamo liberare. Infine arrivò il giorno della famosa Porta Pia, che questo disumano e vil potere spazzò via. Ancora oggi, pur non gestendo tutto il potere, pretendono che anche il laico li debba sostenere.

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Anche dai “morti di fame” rastrellavano risorse.

Eccolo il “vitello d’oro” di mosaica memoria, è di nuovo sugli altari, ancor sua è la gloria!

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Ed ora ci è toccato “il pastore tedesco”.

Ora il nuovo pastore tedesco vuol ritornare al passato, e su televisioni e riviste si agita come un forsennato. “È peccato l’eutanasia e gli embrioni in provetta; per il cristiano anche i DICO sono roba maledetta”. e niente preservativi né pillole per abortire, la donna se si accoppia un figlio deve partorire. Questa è la funzione che Dio gli ha assegnato, se copula per piacere l’inferno s’è conquistato”. Come deve essere la famiglia ci vogliono insegnare; che provino a sposarsi e comincino a imparare. Se avessero una famiglia e figli a loro affezionati, meno pedofili nel clero e meno bambini violentati. Vogliono ancora oggi, ciò che per loro è peccato, che venga sanzionato come fosse grave reato. È nostalgia del potere, però di quello temporale: quello che gestisce oggi lo ritiene un po’ banale. E imporre vuol la museruola persino al parlamentare; “chi non vota cristianamente, si allontani dall’altare.” Ma come in ogni regola non manca l’eccezione, c’è anche nella chiesa chi crea vera comunione: Oscar Romero, Don Tonino Bello, Don Milani, ecco i cristiani, che alla chiesa lavano le mani. Però, chi può ridimensionare la religione è solo la scienza con la sua evoluzione. Solo scienza e tecnica ci possono aiutare: sul loro forte sviluppo dobbiamo puntare. Più siamo padroni del nostro avvenire, meno la religione ha qualcosa da dire; più la religione finisce ridimensionata, più si crea benessere e buona vita agiata.

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Le pretese dello stregone di turno e le speranze di un anziano signore.

Qui “il pastore” Wojtyla con il fascista cileno /// Ecco papa e vescovi a puttanegiar coi regi e vualà Pinoscè benedice il massacro appena realizzato. /// saluto romano insiema a nazisti e fascisti. 51


Ma lì dove queste condizioni non ci stanno, sguazzano gli stregoni e realizzano gran danno. Infatti, se l’esistenza è dura, e poco gusti la vita, inesorabilmente emerge chi in paradiso ti invita; ci sono le condizioni per poterti immolare, e in nome di un dio i suoi nemici massacrare; affinché più invitante il ciel possa sembrarti, ti dicono delle vergini che son lì ad aspettarti. Ma qui da noi, con una vita che è comoda assai, neanche a cento anni, no, non si vuol morire mai. Si prega un’intera vita per andare in paradiso, ma quanti se ne sono andati con un bel sorriso? Perchè di veri credenti solo uno c’è sempre stato: era quel Gesù di Nazareth, che non è mai ritornato. Gli altri su di Lui hanno copiosamente lucrato, e i loro inesorabili affari hanno sempre realizzato. Così questo Cristo, con un’idea umanamente forte, lo trasformarono in strumento di persecuzione e morte. Socrate, G.Bruno, Che Guevara, quanti cristi, prima derisi puntualmente dal potere, furon perseguitati e uccisi? Poi, appena furono uccisi un nuovo potere si organizzò, e ribaltando i loro ideali un nuovo stregone si insediò. ++++++++++++ Parafrasando G.C.Lichtemberg: “Se chi ha fede, conoscesse la storia della sua religione…” li manderebbe a quel paese, con profonda indignazione. Agli uomini di pessima volontà: “attienti ben, chè per cotali scale, conviensi dipartir da tanto male”.(Dante) +++++++++++++++++

FINE RACCONTO IN RIMA

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Chiunque non difetti di una buona curiosità, io non ho dubbi, il resto del racconto leggerà; ma chi è tanto pigro, o il saper non lo intriga, dirà di saper già tutto, e non leggerà una riga.

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PARTE PRIMA:

ANTICO TESTAMENTO Libro della GENESI: Il “nostro” Dio Yahwèh fece tutto in sei giorni, e il settimo si riposò. E pensare che quei blasfemi e apostati di scienziati pretendono di imporci in miliardi d’anni il tempo che è trascorso dall’inizio del Tutto fino ai nostri giorni. E, ironia della sorte, fu proprio un cristiano metodista, un certo Charles Darwin a mandare per primo a gambe all’aria la teoria creazionista con la sua opera più famosa: “Sull’origine delle specie per selezione naturale”. A questo proposito sul suo diario annotava: “Mi sono sentito un assassino”. Certo, con la sua teoria aveva ucciso il creazionismo, e con esso il suo Dio. Però Yahwèh inventò una cosa buona, il riposo settimanale, sconosciuto nelle altre culture e religioni: fu il sabato sacro a Dio; poi i cristiani per distinguersi scelsero la domenica; infine i musulmani scelsero il venerdì. Più avanti, sempre nella Genesi (1, 29-31), leggiamo: “…poi il Dio disse: L’uomo dòmini sopra i pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sugli animali domestici, su tutte le fiere della terra e sopra tutti i rettili che strisciano sopra la sua superficie”. Un’idea del genere era inconcepibile per la cultura greca; sentiamo Platone: “…anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo meschino, ha sempre il suo intimo rapporto col cosmo e un orientamento a esso, anche se non sembra che tu ti accorga che ogni vita sorge per il Tutto e per la felice condizione dell’universa armonia. Non per te, infatti, questa vita si svolge, ma tu piuttosto vieni generato per la vita cosmica”. Ad un certo punto qualcuno insisteva per sapere il suo nome, e Dio, un po’ scocciato, incise su roccia, con una specie di raggio laser che aveva a disposizione nelle mani, le seguenti lettere: “YHWH” (nella scrittura aramaica sono assenti le vocali), e fu Yahwèh; però il primo nome che emerge all’inizio è Elohim, sostantivo plurale di El, cioè il plurale di “dio”. Se leggiamo bene i primi capitoli, scopriamo che ci sono due versioni della stessa creazione (mah!, forse aveva un po’ di confusione in testa); infatti nel Paradiso Terrestre ordina di essere vegetariani: “Ecco, io vi do tutte l’ erbe che producono seme; e tutti gli alberi fruttiferi che fanno seme. Queste cose vi saranno per cibo”(Gen. 1,29); poi più tardi, dopo il Diluvio Universale, cambia idea e li autorizza a divenire carnivori, o meglio onnivori: “Ogni cosa che si muove, e ha vita, vi sarà per cibo”(Gen. 9,3). Beh, se questo Dio avesse dedicato qualche giorno in più, si sarebbe accorto anche lui che con una catena alimentare di esclusiva natura vegetale non ci sarebbero stati tanti sbranamenti reciproci tra uomini e animali; fu proprio distratto, o forse stanco! Poi, poteva risparmiare energie sui miliardi di galassie (ognuna con miliardi di stelle, ed ogni stella con un po’ di pianeti inutili) e impegnarsi di più sulla terra.

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In ogni caso, resta un gran buco nero nella storia di questo Dio; per esempio, che cosa avrà fatto da solo nello spazio infinito e vuoto? Vuoi vedere che ha creato il tutto perché si era annoiato a non fare niente e continuare a restare da solo? insomma, noi, genere umano, come suo passatempo? Qualcuno dotato di buona fantasia si dovrà prima o poi decidere a scrivere qualcosa sul prima della creazione, e mi auguro di poterlo leggere prima della fine dei miei giorni. In realtà S. Agostino ci ha provato; prima, scherzando, ci dice che: “Preparava l’inferno per chi avesse fatto queste domande”; poi, da autentico sofista, corregge così: “Non faceva niente, perché non esisteva un prima quando non esisteva un tempo” (Confessioni, XI, 12-13). Mah! Non manca chi, superando S. Agostino e altri santi padri, con tanta fantasia infarcita di ironia, sia riuscito a dare una spiegazione “simil-scientifica” del creazionismo, come questa “Versione aggiornata della genesi” riportata sulla rivista “L’ateo” (di Michael Shammer, traduzione dall’inglese di Patrizia Messeri): “In principio – per la precisione, il 23 ottobre del 4004 a.C., a mezzogiorno in punto – da una fluttuazione di schiuma quantica Dio creò il Big Bang, cui seguì un’esplosione cosmica e l’espansione dell’universo. Ma v’era tenebra sulla faccia dell’abisso, perciò Dio creò i quark e da li creò gli atomi d’idrogeno, dunque ordinò loro di fondersi in atomi di elio liberando energia. E la luce fu. Egli nominò sole la lampada e fusione il processo, e Dio vide che la luce era cosa buona perché ora poteva vedere cosa stava facendo, perciò creò la terra. Poi venne sera, poi venne mattina e fu il primo giorno. Dio disse ancora “Sìavi nel cielo una distesa di lampade a fusione”. Alcune le raggruppò in ammassi e li chiamò galassie; queste risultarono distare dalla terra milioni o anche miliardi di anni luce, il che significa che erano state create prima della creazione del 4004 a.C. Ciò generava confusione, perciò Dio creò la luce stanca, e la storia della creazione fu salva. Dopodiché creò Egli una moltitudine di mirabili splendori, come le stelle giganti rosse, le nane bianche, i quasar, i pulsar, le supernove,… e perfino i buchi neri…la radiazione di Hawking, con cui dai buchi neri esce informazione. Tutto ciò rese Dio ancora più stanco della luce stanca; di nuovo venne sera, poi venne mattina e fu il secondo giorno. Poi Dio disse “le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un sol luogo e la tettonica a placche separi i continenti”… e fece sì che le zone di subduzione formassero le montagne e provocassero i terremoti. In punti più deboli della crosta terrestre Dio volle le isole vulcaniche, dove l’indomani avrebbe collocato organismi simili ma non identici ai loro parenti della terra ferma, di modo che quelle creature, dette umani, destinate ad essere create poco più tardi, li scambiassero per il prodotto evolutivo di una radiazione adattativa. Così venne sera, poi venne mattina e fu il terzo giorno. Dio vide che la terra era deserta e vacua, allora creò animali che si riproducevano secondo il loro tipo…. Poi Dio collocò dentro le rocce vari fossili, all’apparenza antecedenti al 4004 a.C., simili ma non uguali alle creature viventi,... Poi venne sera, poi venne mattina e fu il quarto giorno. 55


Dio Allora disse “Che le acque producano copiosamente un guizzare di esseri viventi”. E i pesci furono. … E ancora Dio produsse in abbondanza tutte le creature, e le ammonì “Vi concedo la micro-evoluzione, ma non la macro-evoluzione”. Dio stabilì infatti “Natura non facit saltum”. Di nuovo venne sera, poi venne mattina e fu il quinto giorno. E Dio creò i pongidi, poi creò gli ominidi, con il 98 percento dei geni uguali ai precedenti, e a due di loro diede il nome di Adamo ed Eva. In un capitolo della Bibbia, il libro dove Dio spiega come ha fatto tutto questo, dice che creò Adamo ed Eva in coppia modellandoli insieme alla polvere del terreno, ma in altro capitolo dice che creò prima Adamo e poi, da una delle sue costole, creò Eva. Questo induceva turbamento nella valle di tenebre del dubbio, così creò i teologi per dirimere la questione. Poi nel terreno piazzò Egli una gran quantità di fossili di transizione, denti, mandibole, crani e pelvi di creature preadamitiche. Fra loro ne scelse una che camminava eretta come gli uomini ma aveva un cervello piccolo come una pongide, e la chiamò Lucy. Allora Dio si accorse che anche questo produceva sconcerto, così creò i paleo-antropologi acciocché architettassero una spiegazione. Non appena ebbe sbrigato queste ultime pendenze della creazione, Dio si rese conto che nell’immediato i discendenti di Adamo non sarebbero stati in grado di capire la cosmologia inflazionaria, la teoria della relatività generale, la meccanica dei quanti,… e la biologia evoluzionistica, così creò i miti della creazione. Ma nel mondo se ne produssero tante versioni, allora Dio capì che anche questo avrebbe generato confusione, così creò gli antropologi culturali perché ne giustificassero l’esistenza. Ma ormai la valle di tenebre del dubbio era infestata di scetticismo, cosicché Dio si arrabbiò al punto di perdere la pazienza e maledire i primi uomini dicendo loro di andare a farsi… e gli scappò una brutta parola sinonimo di accoppiarsi. Ma gli uomini Lo presero alla lettera, così ora sono diventati sei miliardi. Ancora una volta venne sera, poi venne mattina e fu il sesto giorno. A quel punto Dio, veramente stanco, dichiarò “Grazie a Me è Venerdì Sera” e diede inizio al fine settimana. Quella sì che fu una buona idea”. Ed io aggiungo: avesse inventato anche le ferie e la pensione, quante lotte di classe ci saremmo risparmiate nel XX° secolo In controtendenza a questa esposizione, forse un po’ blasfema, un buon credente può citare un grande estimatore di Dio e della sua opera, S. Francesco d’Assisi, uno dei pochi tra i “predicatori poveri” che sopravvisse alla santa Inquisizione dell’epoca perché non ebbe l’ardire di denunciare la ricchezza e il lusso della santa chiesa cattolica apostolica romana, come fecero altri e per questo furono bruciati vivi (molti ordini religiosi furono letteralmente annientati in quel periodo, e tutto in funzione dell’atteggiamento favorevole o meno del papa regnante; il papa Onorio-III fu favorevole a Francesco perché l’aveva conosciuto in altre circostanze). Sentiamo S. Francesco: “…Laudato si’, mi Signore, cum tucte le tue creature,/ specialmente messor lo frate sole,/ lo quale jorna, et illumini per lui;/ et ellu è bellu e 56


radiante cum grande splendore;/ de Te, altissimo, porta significazione./ Laudato si’, mi Signore, per sora luna e le stelle;/ in celu l’ai formate clorite et preziose et belle./ Laudato si’, mi Signore, per frate vento/ et per aere et nubilo et sereno et omne tempo,/ per le quale a le tue creature dai sostentamento./ Laudato si’, mi Signore, per sor’acqua,/ la quale è multo utile, et humele, et preziosa et casta./…ecc.” Certamente una bella poesia, ma quanto a cognizioni scientifiche…; comunque, rimane l’ammirazione per quest’uomo che sceglie di vivere nella povertà, rinunciando a lussi e comodità, anche se non ha avuto il coraggio di denunciare le degenerazioni evangeliche della chiesa. Sulla creazione il paganesimo invece ha fornito almeno tre versioni: è più democratico; se non altro i pagani non hanno mai rischiato di trovarsi di fronte ad un tribunale di inquisizione che li condannasse al rogo. A sentire molti degli studiosi di questa religione, la tolleranza nei confronti delle altre religioni era una sua caratteristica che le faceva onore. Leggiamo Marc Augè, studioso vivente, nel suo “ Il genio del paganesimo”: “Il paganesimo non è mai dualista e non oppone lo spirito al corpo nè la fede alla conoscenza.... La salvezza, la trascendenza e il mistero gli sono essenzialmente estranei; di conseguenza il paganesimo accoglie la novità con interesse e spirito di tolleranza....”. Vediamo queste versioni: la prima, cara ad Omero, ebbe inizio con Oceano e Teti; la seconda, cara ad Orfeo e ai suoi cantori, con la Notte, l’Uovo ed Eros; e fin qui nell’Olimpo c’era più anarchia che democrazia. Ma è con la terza versione che si profila un certo ordine e disciplina: vi si narra di Caos, Gea ed Eros ed è stata scritta da Esiodo (VIII° secolo a.C.), contadino e poeta, che in gioventù pascolava le pecore sul monte sacro Elicona, abitato dagli dèi. Così racconta nella sua “Teogonia”:“Delle Muse Eliconiadi cominciamo a cantare…le olimpiche, fanciulle di Zeus egioco…Zeus altitonante…”. Prima sorse il Caos; poi Gea la terra, la quale partorì il cielo stellato, e fu Urano. La Gea terra, accoppiandosi con Urano, partorì i Titani e le Titanesse, cioè i dodici ciclopi ecc.; poi Rea, la terza titanessa, partorì al titano Crono tre figlie e tre figli, tra cui Zeus. Zeus alla fine (dopo tanti scontri divini e titanici che gli hanno consentito di imporsi nell’olimpo sull resto degli dèi) diventa il padre di tutti gli dèi e degli uomini ecc. ecc. Questa rappresentazione della creazione da parte di Esiodo a me sembra più interessante della creazione ebraica, che si dice scritta da Mosè. Avrete anche notato che questi dèi nascono dopo, e non prima, della terra e del cielo (Gea e Urano), e questi producono con la loro unione, evidentemente fisica, i futuri dèi dell’olimpo. Prima di loro, dicono, c’era il caos e non c’era nessun dio. Mi pare più ragionevole o, meglio, meno insensata. Comunque, ogni popolo si è costruita la sua leggenda sull’inizio del Tutto. Dal libro “Il Vangelo secondo la scienza. Le religioni alla prova del nove” di P.G. Odifreddi (ed. Einadi) facciamo un elenco di alcune delle creazioni divine: la più nota delle creazioni in America Latina vuole che “I progenitori stavano nell’acqua, dominava il silenzio e l’oscurità, erano ricoperti di piume verdi e azzurre, erano 57


molto saggi, e grandi pensatori, alla fine arrivò la parola, vennero insieme Tepeu e Gucumatz e si parlarono tra loro, infine si accordarono, e unirono le loro parole e i loro pensieri”; per i Fulani nomadi sahariani tutto deriva da una goccia di latte; per i Boscimani dell’Africa australe gli esseri viventi fuoriuscirono da una profonda buca; per gli Zulù da un letto di canne; per i Bafia africani agli inizi c’era una grande aquila; per i Masai un drago; per gli indiani Algonchini una lepre; per i Pigmei due uova di tartaruga; per gli Aztechi due serpenti piumati; per i pellerossa Navaho una dea turchese; per gli Apache una donna dipinta di bianco; per i Sioux una donna con due facce, ecc. Secondo la nostra favola, quella ebraica-cristiana-musulmana, siamo invece stati tratti dal fango, e non mi pare si possa dire che sia la più originale e la più igienica. Ma la cosa più curiosa è che il “nostro” Dio, mentre aveva fatto maschi e femmine per tutte le specie viventi, per noi esseri umani aveva fatto solo il maschio; poi, accortosi, bontà sua, che non era giusto, con una costola strappata da Adamo mentre dormiva ha costruito pure la donna. Meno male! Con questa storiella messa così, la santa madre chiesa cattolica per secoli ha discusso se la donna avesse un’anima come l’uomo oppure no. Ma ci ha pensato S. Tommaso, il “sommo teologo”, ad aggiustare le “cose”: il maschio riceve l’anima verso il terzo mese di gravidanza, la femmina più tardi. Ritornando all’Antico Testamento, il racconto continua con due metafore: la prima è la storiella di ADAMO ed EVA, i quali mangiano il “frutto dell’albero proibito”, dove in realtà si può scorgere un tentativo, un po’ grezzo, di spiegare lo sviluppo dell’intelligenza nell’uomo e/o del “libero arbitrio”. Però, molto fragile questa Eva uscita direttamente dalle mani di Yahwèh, che alla prima occasione si lascia corrompere da un serpente che parla! Questa ricostruzione del peccato originale fa dire al teologo contemporaneo Vito Mancuso: “se così fosse, bisognerebbe parlare di un difetto di fabbricazione e non di altro”. Anche F. Nietzsche ha qualcosa da dire a riguardo: “…E fu così che per Dio l’uomo divenne il suo primo errore, perché si era creato un rivale con la scienza: la scienza è il primo peccato, il germe di ogni peccato, il peccato originale. Però solo attraverso la donna l’uomo riuscì a gustare il frutto della conoscenza”. Dio si infuriò e disse ad Eva: “Aumenterò grandemente il dolore della tua gravidanza; con doglie partorirai figli, e la tua brama sarà verso tuo marito, ed egli ti dominerà”(Gen. 3,9); e con Adamo non fu più tenero: “Col sudore della tua fronte mangerai pane finchè tornerai al suolo poiché da esso sei stato tratto. Poiché polvere sei e in polvere tornerai”(Gen. 3,19). Bella invenzione, furbacchione di uno scriba! Ma poi, cosa c’entra il resto degli animali? Perché muoiono anche loro? Mangiarono anche loro il frutto dell’albero proibito? A prendere per buona questa sua decisione, significa che Dio esigeva che restassimo allo stesso livello della scimmia. Addio scienza! Addio genio! Addio arte ! A questo punto mi piace divagare con “La creazione der monno” di Gioacchino Belli: “L’anno che Ggesucristo impastò er monno,/ chè ppe impastallo 58


cc’era la pasta,/ verde lo vorse fa, ggrosso e ritonno./ All’uso d’un cocomero de pasta/ fesce un zole, una luna e un mappamondo./ Ma delle stelle poi dì na catasta:/ sù uscelli, bestie ammezzo e ppesci in fonno./ Piantò le piante e ddoppo disse: abbasta./ Me scordavo de dì che ccreò ll’omo/ e ccoll’omo la donna, Adamo ed Eva;/ e jiè proibì de nun toccajie un pomo./ Ma appena che a maggnà ll’ebbe veduti,/ strillò Dio cu cuanta vosce avea:/ Ommini da vienì, ssete futtuti.” Tornando agli dèi dell’Olimpo, notiamo che questi erano molto meno egoisti; infatti Virgilio nell’ Eneide ci racconta quanto erano interessati gli dèi a sviluppare l’ingegno dell’uomo; “Saturno che di Giove/ l’armi fuggiva, ormai perduto il regno./… Egli la fiera gente, ancor dispersa/ dagli alti monti insieme raccolse e a loro/ diede leggi e arti…di cui narrano/ che lui regnante scorse, tanta pace/ con lui regnava placida le genti...” (VIII, 447-463). E che dire di Prometeo che ruba il fuoco della conoscenza per darlo agli uomini; o di Poseidone e Athena che fornirono agli umani l’olio e il cavallo? Tutta un’altra musica, eh? Molto generosi questi dèi, altro che Yahwèh! E poi, gli dèi pagani sono tanti che ognuno può scegliersi il suo alla bisogna. Abbiamo appena sentito Saturno che aiuta a sviluppare le genti della Lazio antica, ma vedremo la dea Venere che si fa in quattro per aiutare suo figlio Enea contro Giunone, che tenta in tutti i modi di fermarlo, non disdegnando di allearsi persino con la dèmone e viperina Alletto (questa è una delle Erinni che insieme a Megea e Tisifone formano le tre furie infernali, e seminano discordie e tormenti tra i dannati). Ma quando le discordie tra loro superano certi limiti, “Giove il padre degli dèi e re degli uomini, convoca i Numi nell’eterea sede..” e comincia: “Celicoli possenti, perché mai/ mutaste il pensiero vostro, e tanta guerra/ fra voi moveste con acerbo cuore?/( X, 8-10), e subito si apre il dibattito ed ogni Nume può dire la sua. Inizia con una invettiva la dea Venere difendendo il teucro pio Enea: “O Padre,/degli uomini e del mondo eterno sire,/ nulla più resta ormai cui non possiamo/ se non a te ricorrere!/ …Perché qualcuno/ il tuo decreto ora mutar si studia/ ed agli eventi nuovo corso imporre?/…Ed or pur l’ombre dell’inferno smuove/ (sol questa rimanea parte del mondo)/ e Alletto d’improvviso all’aure uscita/ s’aggira furibonda per l’Italia!/…” (X, 26-61). A questa invettiva segue la replica della dea Giunone, la sua avversaria, che tenta di fregare Enea a vantaggio dell’ausonio Turno “…A che/ l’alto silenzio a romper mi costringi/ che il mio dolore cela, e il mio disdegno/ con le parole aprire? Chi degli uomini,/ chi dei celesti mai costrinse Enea/ a seguir la guerra e al re Latino/ opporsi in armi? In Italia dal fato/ spinto si dice: io direi piuttosto/ dal furor di Cassandra! (X, 95-103). Lo scontro e lo spettacolo, tra tanta poesia e dialettica, sono veramente eccezionali. Alla fine del dibattito, non essendo riusciti a trovare un accordo, tocca a Giove fare la sintesi sulle diverse posizioni: il centralismo democratico gli impone di decidere e dire l’ultima parola, e così conclude l’assemblea: “Poiché gli Ausoni ai Teucri unire in patto/ non è concesso, e la discordia vostra/ dura infinita, quale che la sorte/ oggi sarà di ognuno e quale ognuno/ speranza seguirà, sia Teucro 59


o Rutolo,/ io non porrò divario;…Ognuno avrà, qual merita, la sorte,/ dalle sue gesta” (X,159-170). Insomma, un paradiso democratico! Un paradiso nel quale gli dèi e le dèe cercano di influenzare il corso delle lotte tra gli uomini, ma a volte, come in questo caso, sono costrette da Giove a rinunciare e lasciare la sorte delle armi alla capacità dei contendenti. Con una religione così non c’è da stupirsi se già venticinque secoli fa ad Atene nasce la democrazia: un fatto veramente eccezionale per quei tempi. Certo, qui è Virgilio che scrive nel primo secolo a.C.; però, come Dante scrive la sua Divina Commedia nel rigido rispetto della teologia cattolica, allo stesso modo Virgilio scrive l’Eneide, rispettando i canoni ormai codificati da centinaia d’anni nell’antica Grecia. Questa sovrastruttura aveva consentito prima ai Greci poi ai Romani di divenire veramente grandi in tutte le loro espressioni, sociali, politiche, artistiche, filosofiche ecc.. Pensate a Solone, 630-560 a.C., il legislatore per eccellenza: “Libero è l’uomo sottoposto soltanto alle leggi che ha contribuito a formare”. Ancora oggi, dopo venticinque secoli, se qualcuno vuol fare il più alto elogio ad un parlamentare lo paragoni a Solone, e, se non è un ignorante, questi ringrazierà di tanta stima. E Socrate, Platone, Aristotele ecc., sarebbero mai diventati tali senza il genio del paganesimo? Poi arrivò l’ombra del giudeo-cristiano S. Paolo a seminare la sua cultura cristiana e anti-pagana. Ma il paganesimo politeista, scacciato dalla porta dai nuovi sacerdoti, rientra dalla finestra a furor di popolo con i Santi cristiani, anch’essi capaci di miracoli. Se ad un napoletano togliete Gesù di Nazareth e sua Madre, non succede niente; ma se gli toccate S. Gennaro, con il suo sangue chimico in quella bolla, è la rivoluzione! In Puglia sta diventando la stessa cosa con il Padre Pio; e l’elenco potrebbe continuare all’infinito. La cosa poi diventa buffa se si fa l’elenco delle migliaia di santi cristiani, i quali superano di gran lunga gli dèi dell’Olimpo; solo l’attuale papa è riuscito a metterne insieme addirittura un migliaio: esagerato! La chiesa è sopravvissuta perché ha saputo adattarsi, o meglio ha adottato e fatto sue le aspirazioni, le pie speranze popolari. (“…e la chiesa si rinnova per la nuova società…e la chiesa si rinnova per salvar (fregar) l’umanità” di G. Gaber.) Dopo questa lunga digressione vediamo la seconda metafora: CAINO contadino, che uccide ABELE, pastore. Con questa metafora si vuole raccontare la lotta, durata qualche millennio, tra il contadino stanziale tutto attento a innalzare steccati e il pastore nomade, che aveva bisogno di spazi e di terre libere per far pascolare il suo gregge. L’agricoltura ebbe inizio in Medio Oriente verso la fine dell’ultima glaciazione, circa 12mila anni fa, intorno ai due fiumi Tigri ed Eufrate nella Mesopotamia e intorno al Nilo in Egitto (“la mezza luna fertile”); ma la pastorizia, l’allevamento dei primi animali domestici come pecore e buoi, era già iniziata circa duemila anni prima. Al tempo in cui fu scritta questa metafora evidentemente aveva 60


già vinto il contadino, e, poichè i patriarchi ebrei erano tutti pastori, si capisce bene anche il senso “dell’interesse di classe” e la rivendicazione della stessa. Oh Caino, oh Abele, quante menti illustri avete stimolato! Sentite cosa ha da dirvi un certo Beaudelaire: “Dormi razza di Abele, e bevi e mangia;/ con compiacenza ti sorride Iddio./ O razza di Caino, in mezzo al fango/ striscia e miseramente muori./ O razza di Abele, il sacrificio tuo accarezza/ il naso del Serafino! Il tuo supplizio, o razza di Caino,/ avrà mai fine?/ Tu pascoli, tu cresci/ razza d’Abele, come dentro il legno/ le cimici. Trascina per le strade/ i tuoi, stremati, o razza di Caino!/ La tua carogna ingrasserà il fumante/ suolo, razza d’Abele! Non compiuta/ è, o razza di Caino, la tua opera./ Razza d’Abele, ecco la tua ignominia:/ la spada è vinta dallo spiedo!/ O razza di Caino, su, arrampicati al cielo/ e rovescia Dio sopra la terra”. Caino viene condannato per aver ucciso suo fratello Abele, ma gli viene garantito dallo stesso Dio che “chiunque ucciderà Caino dovrà subire vendetta sette volte”(Gen. 4,15). Esagerato! Qui sembra un dio francamente troppo tollerante. Poi, malgrado si sia appena finito di dire che Adamo, Eva, Caino e suo fratello Abele sono i primi uomini, si dice subito dopo che: “Caino prese a dimorare nel paese di Fuga ad oriente dell’Eden…Caino ebbe rapporti con sua moglie ed essa rimase incinta e partorì Enoc”(Gen.4,16-17); e infine, Caino edificò una città e le mise il nome di suo figlio Enoc: ma non potevano scrivere che Adamo ed Eva avevano avuto anche delle figlie femmine, con le quali Caino avrebbe dato vita al genere umano, anche se attraverso un incesto? Mah, misteri della fantasia umana!. Da Enoc a Irad, poi Maviael, poi Metusael ed infine Lamec. Un giorno Lamec compose dei versi per le sue mogli, Ada e Zilla: “Udite la mia voce, mogli di Lamec; prestate orecchio al mio dire: ho ucciso un uomo perché mi ha ferito, sì, un giovane perché mi ha dato un colpo. Se Caino deve essere vendicato sette volte, allora Lamec settanta volte sette”(4, 23-24). Presuntuoso! (Occhio al numero 7, è un numero magico, è quello dei buoni, mentre il numero 666 è quello dei cattivi. Il numero 7 è anche alla base del calcolo per l’anno sabbatico e per il giubileo ebraico; infatti, 7x7 = 49: l’anno successivo, il 50°, è l’anno del giubileo, durante il quale si rimettono i debiti, e si restituisce la terra a chi l’ha persa per debiti, ecc.). Passate appena poche generazioni, Dio si pentì d’aver fatto l’umanità e la distrusse tutta (ecco un bell’esempio del Dio immensamente clemente e misericordioso!), tranne una famiglia che ai suoi occhi meritava di essere risparmiata, e fu il DILUVIO UNIVERSALE; si salvarono Noè, i suoi figli e tutto un seguito di animali nell’Arca famosa. In realtà circa 2800 anni a.C. ci fu uno straripamento dei fiumi Tigri ed Eufrate in Mesopotamia (Sumeria, l’attuale Irak); questo comportò la totale sparizione di un intero popolo; alcune città furono sommerse, oltre che dall’acqua, anche da sette metri di fango. In tempi recenti gli archeologi hanno scoperto queste città antiche. Intorno a questo fatto nacquero molte leggende; una delle più antiche di cui si ha notizia ai nostri giorni è descritta in un testo irakeno (giunto fino a noi in modo molto frammentario, inciso su tavolette d’argilla con scrittura cuneiforme) trovato 61


nelle rovine della città di Ninive, l’attuale Mosul nel nord dello stesso Irak, città a suo tempo dei Sumeri poi degli Assiri, e rasa al suolo nel VII° secolo a.C. In questo testo, La saga di Gilgamesh (a cura di G.Pettinato, ed. Rusconi), scritto da un certo Sinleqiunnini, consigliere del re, poi tramandato da vari scribi e in varie lingue, si raccontano le gesta epiche di Gilgamesh, re di Uruk: “ Chi fra la moltitudine delle genti/ si può a lui paragonare nell’esercizio della regalità?/ Chi, come Gilgamesch, ha il diritto di dire: < io sono re >?/ Gilgamesch era destinato alla gloria dalla nascita./ Per due terzi egli è dio e per un terzo egli è uomo. Leggiamo la parte del “diluvio universale” avvenuto mille anni prima; il Noè di turno qui si chiama Utnapishtim, figlio di Ubaratutu: “il suo dio Ea prevenne il suo adoratore Utnapishtim e gli ordinò: Uomo di Shuruppak, figlio di Ubaratutu,/ abbatti la tua casa,/ costruisci una nave,/ abbandona la ricchezza,/ cerca la vita!/ Porta nella nave ogni sorta di semi della vita./ Della nave che costruirai/ siano ben calcolate le misure.” Ebbene, la vicenda di Utnapishtim è uguale a quella di Noè fin nei minimi particolari: come doveva essere costruita la barca, quello che doveva esserci dentro, e persino come spalmare di bitume la barca. L’unica differenza sta nella durata del diluvio: quello antico dei Sumeri, della Saga di Gilgamesh, dura per sei dì e sei notti, mentre quello di Noè quaranta dì e quaranta notti (come al solito gli Ebrei esagerano). “Per sei dì e per sei notti soffiarono i venti, diluvio e tempesta martoriarono la terra… Al settimo giorno la tempesta si quietò… Mi guardai intorno; il silenzio regnava, perché tutta l’umanità era tornata argilla!”. Babilonesi, Assiri, Ittiti ed Egiziani, non solo tradussero questo racconto già antico per loro, ma continuarono a scrivere su questo personaggio, realizzando così il più antico testo epico; divenne una leggenda per tutto il Medio Oriente ed influenzò anche l’antica mitologia greca. Infatti anche Esiodo descrive il “suo” diluvio, dove troviamo tre personaggi paragonabili al nostro Noè, e sono: Ogige, Deucalione e Dardano. La faremmo lunga a descriverli tutti e tre, quindi limitiamoci a quello che subì Deucalione. Questi regnava sulla regione tessalica Ftia e aveva preso in moglie Pirra, “la fulva”, figlia di Epimeteo e di Pandora. Zeus decise di distruggere la “generazione di bronzo”(nel frattempo erano passate quella aurea e quella d’argento). Seguendo il consiglio di Prometeo, Deucalione costruì un’arca, vi portò tutte le cose necessarie e vi entrò lui stesso con Pirra. Zeus scatenò dal cielo potenti piogge con cui inondò la maggior parte della Grecia. Tutti gli uomini trovarono la morte. Deucalione guidò l’arca per nove giorni e nove notti e infine, smesso di piovere, approdò sul Parnaso. Sceso a terra offrì subito un sacrificio a Zeus, il quale, in segno di riconoscimento per il sacrificio, gli mandò Ermes che lo invitò a chiedere qualunque cosa volesse. Egli desiderò avere gli uomini. Zeus gli ordinò di prendere delle pietre e di lanciarle dietro la propria testa: le pietre lanciate da Deucalione divennero uomini, quelle gettate da Pirra divennero donne; e la terra tornò a popolarsi. Certo è che da un po’ di tempo a questa parte i diluvi si susseguono con un ritmo veramente eccezionale; i soliti miscredenti raccontano che si tratta solo di inondazioni dovute all’effetto serra, cioè all’inevitabile riscaldamento della terra per 62


via dell’inquinamento atmosferico; il credente invece è convinto che la nostra cattiveria stia aumentando, e di conseguenza anche i diluvi mandati da Dio. Una volta anch’io mi sono comportato come un dio: capitò quella volta che lasciai sulla tavola della cucina un bel pezzo di torta per la colazione della mattina successiva; quando mi alzai e andai in cucina vidi migliaia di formiche che avevano invaso il mio pezzo di torta. Dopo averle stramaledette, presi il pezzo di torta con tutte le formiche, le buttai nel lavello, e giù acqua a volontà; finirono tutte nella fogna. Qualcuna tutta inzuppata cercava di allontanarsi; la lasciai andare e pensai tra me: vai e racconta il tuo diluvio universale. Poi fui preso da un senso di colpa: mi sembrò d’essermi comportato come un dio qualsiasi, senza cioè tener conto che quelle povere formichine, in fin dei conti, stavano solo lottando per la loro sopravvivenza, non certo per farmi un dispetto. E se mi fossi trovato di fronte ad un leone affamato, invece delle centinaia di formiche? Beh, forse avrei fatto appena in tempo a sentirmi un verme e a pensare che stavo per fare la fine delle formiche, e che così, come dal nulla fui, verso il nulla stavo tornando. Ecco, cose del genere capitano non solo ai comuni mortali ma anche agli dèi; infatti gli dèi dell’Olimpo sono stati mangiati, anzi divorati dal Dio dei giudeicristiani. Prima o poi, qualche altro dio più moderno e più rapace farà fuori il Dio attuale; è sempre successo così, e non c’è di che meravigliarsi. “La religione di un’epoca è l’intrattenimento letterario di quella successiva”(Ralf Waldo Emerson), e Oscar Wilde aggiunge: “La verità, in fatto di religione, è semplicemente l’opinione che è sopravvissuta”. Quindi, anche gli dèi muoiono, ma mai prima che ne appaia un altro all’orizzonte, e si affermano sulla punta delle spade degli uomini (ieri; oggi sono missili). Riprendiamo il nostro NOÉ. Dio fece un patto con Noè, ancora oggi conosciuto come il “patto dell’arcobaleno”. Ritiratesi le acque, il nostro eroe Noè scese a terra con figli e mogli al seguito e tutti gli animali che aveva imbarcato. Tra le tante cose che fece, piantò anche la vigna e produsse un buon vino con il quale si ubriacava spesso. Un giorno suo figlio Cam entra nella tenda e lo trova ubriaco fradicio, denudato. Esce, avvisa gli altri fratelli Sem e Yafet; questi entrano nella tenda camminando all’indietro, senza guardare il loro padre, e lo coprono con un mantello. Ritornato sobrio (mica tanto!), i figli che lo avevano coperto senza guardarlo gli raccontano l’accaduto. Il Noè, invece di vergognarsi e prendersi a schiaffi da solo per il pessimo esempio dato ai suoi figli, questo degenerato non trova niente di meglio che stramaledire suo figlio CAM che lo aveva visto nudo e benedire i figli che lo avevano coperto senza guardarlo. Così Cam e la sua progenie fu maledetta ad essere schiava delle progenie di SEM e YAFET. E questo Noè, poi, sarebbe il migliore di tutti gli uomini esistenti prima del diluvio? Ma per favore! E comunque, che c’entrano gli animali? Anche loro colpevoli di qualcosa? Perché anche questi vengono distrutti, salvo i più fortunati che entrano nell’arca, oltre ai pesci che sicuramente se la cavano? 63


L’immoralità di questa leggenda disgusta noi miseri mortali, mentre invece è perfettamente in linea con la moralità degli dèi, ai quali è inutile imputare qualcosa; noi non siamo in grado di capire i loro fini, i loro disegni divini, e quando malauguratamente dovessimo capirli significherebbe che abbiamo già dato il nostro cervello all’ammasso. Passarono quattordici generazioni. Nel frattempo Sem aveva riempito di popoli il Medio Oriente, definiti Semiti; Yafet aveva generato gli euro-asiatici Yafiti; Cam una miriade di Camiti che si espandevano fino all’Africa. Tutti questi popoli, però, col passar del tempo avevano dimenticato il dio Yahwèh e il patto dell’arcobaleno sancito con Noè, ed ognuno si era inventato un dio diverso (dèi e paradisi, si sa, sono sempre state le uniche cose in abbondanza che la specie umana abbia saputo produrre). A questo punto Yahwèh, di nuovo stanco e sfiduciato e con poca voglia di distruggere tutti ancora una volta (e meno male!), decide di farsi un popolo tutto per sé e abbandonare il resto dell’umanità. E fu il POPOLO ELETTO. Dio va a trovare nella terra della Sumeria (più tardi Assira, poi Caldea, ora l’attuale Irak), esattamente a Ur nella Mesopotamia, una famiglia il cui padre si chiama Terah, con i figli ABRAMO e Sara (Terah ha altri due figli, Naor e Haran: Naor genera gli Aramei, e Haran genera Lot, il quale con le sue figlie genera i Moabiti e gli Ammoniti; vedi più avanti). Yahwèh invita Abramo a lasciare l’accampamento di suo padre ed inoltrarsi verso il nord-ovest nella zona di Canaan, in Palestina. Abramo si prende la parte del gregge che gli spetta, con relativi schiavi e schiave, e si porta sua sorella Sara come moglie (Sara è sorellastra di Abramo, perché figli tutti e due del padre Terah e di madri diverse; parla Abramo in Gen. 20,12:“ E’ pure anche certo ell’è mia sorella, figliola di mio padre, ma non già figliola di mia madre; ed è divenuta mia moglie”). In quel tempo non si andava tanto per il sottile come ai nostri giorni e anche Yahwèh chiudeva un occhio. C’era con loro anche un nipote, Lot, figlio del fratello di Abramo; la Palestina per il momento è una buona terra ricca di pascoli, e il suo gregge può crescere. Yahwèh stabilisce un nuovo patto con Abramo, il patto della circoncisione, cioè un taglietto sul prepuzio dei maschi come segno di riconoscimento del suo popolo eletto: tutti coloro che non erano circoncisi erano considerati solo dei “cani” (pare che all’origine ci fosse un motivo d’igiene sessuale). Tuttavia, tale pratica era conosciuta già dagli Egizi, come ha dimostrato l’archeologo tedesco G. Moritz Ebers nel 1862 su una mummia rinvenuta a Tebe-Luxor risalente al 3000 a.C.; nel secondo millennio a.C. la praticavano anche i Caldei dell’Armenia e del Kurdistan, e vi sono testimonianze analoghe per le popolazioni pre-colombiane dell’America. Più tardi i lavoratori e gli schiavi di Lot litigano con i lavoratori e gli schiavi di Abramo, e i due decidono di separarsi. Lot scende nella pianura e si ferma intorno al Giordano vicino al Mar Morto, lago salato, dove sorgono Sodoma e Gomorra. Abramo resta sulle alture intorno a Canaan.

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Ad un certo punto Abramo si sposta in Egitto. Conoscendo usi e costumi degli Egiziani, sapeva che sua moglie e sorella Sara, essendo molto bella, rischiava di essere rapita dal potente del luogo dopo l’uccisione del marito, come si usava da quelle parti; allora raccomanda a tutto il suo seguito di non dire che Sara è sua moglie, ma che è solo sua sorella. Manco a dirlo, arrivati in Egitto gli fregano la moglie, e Sara finisce nel letto del potente locale tra le innumerevoli sue concubine. Abramo piange e si dispera, finchè Yahwèh lo sente e interviene in soccorso. Questo suo dio manda tanti guai su quella reggia che il faraone non vede l’ora di disfarsi della Sara. Quando consegna Sara ad Abramo, il faraone gli chiede: “ma perché non hai detto subito che è tua moglie e non tua sorella?”. La risposta fu: “mi avreste ucciso”. Certo che non brillava per coraggio; e comunque, se voleva evitare questa brutta esperienza, perché è andato in Egitto dal momento che conosceva le 65


usanze di quel luogo? (beh, come vedremo più avanti, era costretto dai pascoli che mancavano in Palestina ed erano abbondanti intorno al delta del Nilo: la solita inevitabile transumanza). Intanto il faraone si sente in obbligo di risarcire Abramo per la moglie usata per un certo tempo e lo riempie d’oro e argento; così Abramo se ne va dall’Egitto e torna da dove era venuto più ricco di prima. Però, poichè questa storia si ripete con le stesse modalità anche con Abimelecco re di Gherar (Gen. 20,2-10), qualche studioso di questi testi sostiene che era un costume sposare una sorella e concederla dietro lauto compenso. Infatti: “Abimelecco prese pecore, buoi, serve e servi e le diede ad Abramo, e gli restituì Sara sua moglie” (Gen. 20,14). Nel frattempo il nipote d’Abramo, LOT, si era sistemato a Sodoma e intorno al fiume Giordano pascolava il suo gregge. Anche lui si era portata una donna da Ur e aveva avuto due figlie e neanche un maschio; era la disperazione dei patriarchi non avere una discendenza maschile, anche perché le donne contavano meno del due di briscola, erano solo macchine per fare figli. Yahwèh, adirato per gli usi e costumi sessuali di SODOMA e GOMORRA, decide di distruggerle, e manda degli angeli vestiti da viandanti ad avvisare Lot di abbandonare Sodoma che sta per essere distrutta. Lot, e anche Abramo, è convinto che non sono tutti corrotti (e per la verità anch’io; mi pare strano, ragazzini e neonati corrotti?), ma deve ugualmente andarsene con la moglie e le due figlie. Curiosità: gli abitanti di Sodoma vedono questi due forestieri, circondano la casa di Lot e, urlando a gran voce, li invitano ad uscire perché se li vogliono scopare, pardon, sodomizzare. Allora Lot, forse per salvare i suoi ospiti, offre a questi dissennati e libidinosi le figlie in cambio (malgrado le figlie fossero già sposate; infatti si racconta che i generi di Lot non vollero seguirlo e rimasero a Sodoma, forse anche loro avevano cambiato gusti sessuali); ma a questi le figlie di Lot non interessano affatto (e noi pensiamo: chissà quanto erano brutte!). Comunque, riescono a scappare. Mentre si allontanano, la moglie si gira indietro per vedere se veramente la città sta sprofondando, e resta di pietra, anzi di sale. Donna di poca fede! Erano stati avvertiti di non voltarsi indietro. Lot a questo punto si trova con due donne (le figlie) senza figlio maschio e senza moglie: disperazione da patriarca. Le figlie capiscono il dramma del padre: lo ubriacano e se lo scopano in due nottate diverse, una alla volta, ovviamente. Restano così incinte tutte e due e gli partoriscono dei maschi; finalmente! La primogenita gli partorì Moab, il capostipite dei Moabiti; e la figlia più piccola gli partorì Ben-Ammi, capostipite degli Ammoniti (Gen. 19,30-38). Qualcuno penserà: sicuramente Yahwèh non avrà gradito; falso! É rimasto contento, anche perché sono state le solite donne, che non contano niente neanche per Yahwèh, a combinare il fattaccio. Infatti, quando Giosuè, circa 500 anni più tardi, entrerà in Palestina per conquistarla col ferro e col fuoco, Yahwèh avviserà in modo chiaro e netto: “attenti a non toccare la progenie di Lot e la progenie di Esaù”. Quindi, una progenie derivante da un doppio incesto non era poi tanto male agli occhi 66


del dio di circa 4000 anni fa. Poi si sa, cambiano i costumi degli uomini e dio si adegua, se no tanto peggio per lui. La versione degli ottimisti, o meglio dei credenti, vuole invece un dio che si preoccupa degli innocenti. Infatti Abramo, secondo questi, pone al suo Dio una questione cruciale di ordine etico e giuridico: come salvare gli innocenti, anche se ce ne sono solo dieci? Dio, bontà sua, dice ad Abramo che salverà la città se si trovano almeno dieci giusti in essa. Poi il dialogo continua, ma alla fine nessuno trova un solo giusto e quindi la città sprofonda. Se almeno avessero detto che da circa quindici o venti anni non era nato più nessun bambino, avrebbero convinto anche me; invece questo non sta scritto da nessuna parte, e a me anche questa leggenda risulta immorale, secondo i nostri canoni (un Dio stragista questo Yahwèh? ma per favore!). In realtà questa storia è del tutto infondata. La depressione del Mar Morto, o Mare Salato (percentuale di sale del 30%, mentre il mare normalmente ne contiene dal 3 al 4%; questo aumento è dovuto ai sali di origine vulcanica, oltre all’enorme evaporazione che non viene compensata dal fiume Giordano che vi affluisce) è di 400 metri sotto il livello del mare, dovuto ai ripetuti sommovimenti tellurici avvenuti in milioni di anni. Perciò qui si è costruita una storia su una vecchia leggenda, tramandata oralmente; e comunque non esiste traccia delle città suddette sommerse nel Mar Morto. Oltretutto questa zona è talmente inospitale che non cresce filo d’erba e nel mare non esiste alcuna forma di vita; quindi tutti gli studiosi e ricercatori escludono che vi siano mai state in quel territorio delle città. Intanto Abramo e Sara erano diventati vecchi, intorno ai novanta anni (!), e non avevano ancora un figlio. Fu per questo che, perse le speranze di restare incinta, Sara offrì, bontà sua, la schiava Hagar a suo marito, al fine di dargli una discendenza. Senza farsi pregare Abramo la prende; Hagar gli partorisce un figlio e gli mettono il nome di ISMAELE: così la discendenza è garantita. Hagar, essendo la madre del figlio che erediterà tutto, comincia a montarsi la testa, e questo dà fastidio a Sara, la quale chiede ed ottiene, da suo marito e fratello Abramo, di allontanare dal loro accampamento Hagar e suo figlio Ismaele. Abramo se ne lava le mani e lascia fare a Sara, la quale sbatte fuori mamma e figlio senza tanti complimenti. Hagar disperata, sola in mezzo al deserto, piange la sorte sua e di suo figlio Ismaele; ecco l’angelo (non poteva mancare) che le consiglia di tornare indietro, chiedere scusa a Sara e sottomettersi ad essa e tutto si risolverà per il meglio; così fa, e per qualche tempo vanno avanti insieme. Più tardi, dopo che anche Sara avrà avuto un figlio, dovrà andarsene definitivamente con o senza angeli. Infatti, ci si mette di mezzo ancora una volta Yahwèh e combina un altro pasticcio; promette a Sara che avrà un figlio malgrado la sua tardissima età; l’avrà e lo chiamerà ISACCO. Ma dopo circa sei-sette anni Dio chiede ad Abramo di sacrificargli suo figlio, in pratica, di ucciderlo e bruciarlo in suo onore e gloria. E questo patriarca Abramo, senza pensarci due volte, prende suo figlio, lo porta fuori dall’accampamento ed è lì per ucciderlo quando il solito angelo gli ferma la mano e gli dice “Non stendere la 67


mano contro il ragazzo…perché ora so che tu temi Dio” (Gen., 22,9). Come dire: abbiamo visto quanto sei scemo! Da notare che secondo la versione Islamica dell’A.T., il figlio che Abramo stava per sacrificare a Yahwèh era Ismaele e non Isacco; vedi il Corano. In realtà, chi ha scritto questo libro, che racconta un’altra leggenda, è più galeotto del dio che ci vuole propinare; la morale che vuole inculcare è che niente, neanche i propri figli, devono contare di fronte al dio che esige totale venerazione; insomma, o hai il cervello totalmente frullato o sei fottuto per l’eternità. Infine, Sara morì e Abramo si risposò vecchissimo con un’altra donna di nome Ketura, la quale partorì altri sei figli all’Abramo, che morì a circa 170 anni (per chi vuol credere! ) Nel frattempo Ismaele, figlio primogenito di Abramo generato con la egiziana Hagar, anche lui riesce a mettere su famiglia e genera dodici figli, che sono: Nebaiot primogenito, Kedar, Abdeel, Mabsam, Masma, Duma, Massa, Adad, Tema, Jetur, Nafis e Kedma. Da questa progenie discendono gli Arabi, detti perciò anche Ismaeliti. Nota: Abramo con sua moglie e sorella Sara, Isacco con la sua cugina e moglie Rebecca, Giacobbe con le sue cugine Lia e Rachele, figlie di Labano fratello di Rebecca madre di Giacobbe, tutti questi sono vissuti nella terra che oggi chiamiamo Palestina, con la definizione che essi stessi si davano di Residenti forestieri in terra straniera, essendo tutti originari di Ur una delle più antiche città dell’attuale Irak. Infatti la Palestina verrà denominata Israele, dal nome del patriarca Giacobbe, solo 400 anni più tardi (quando il famoso Giosuè la conquisterà col ferro e col fuoco, come vedremo più avanti). Rebecca, la moglie di Isacco, ha un parto gemellare, e nascono ESAÚ e GIACOBBE. Esaù esce dalla pancia prima di Giacobbe; ma Giacobbe aveva afferrato il calcagno di Esaù, quindi si sostiene che siano nati insieme. Esaù è tutto rosso e peloso come una capra, e così resta per tutta la sua vita, mentre invece Giacobbe ha sembianze più umane; fu per questo che Rebecca preferì sempre Giacobbe. Isacco, invece, preferiva Esaù perchè questi, oltre che il solito pastore, era anche un buon cacciatore, quindi in condizione di procurargli con la selvaggina degli ottimi pasti. Isacco, diventato vecchissimo e anche cieco, decide finalmente di “benedire al cospetto del Signore” il figlio Esaù, e gli dice: “Su, prendi le tue armi, il tuo turcasso, il tuo arco e va’ fuori per i campi a prendermi un po’ di caccia. Preparami una vivanda saporita, come piace a me e portamela a mangiare, affinchè io ti benedica prima di morire” (Gen. 27,2-5). Mentre Isacco così diceva a suo figlio Esaù, Rebecca, che ha ascoltato tutto, organizza una bella fregatura a suo marito, a vantaggio di Giacobbe e contro Esaù; oltre a preparare da mangiare, come aveva chiesto Isacco a Esaù, veste di un manto di pecora Giacobbe al fine di farlo confondere per Esaù, gli ordina di portare il pranzo ad Isacco, suo padre, e farsi benedire al posto di Esaù. Isacco ringrazia dopo aver mangiato, tocca con le mani il figlio Giacobbe, lo trova abbastanza peloso, e non ha più dubbi che si trovi di fronte Esaù e lo benedice dicendo: “Ecco l’odore di mio 68


figlio è come l’odore di un campo, che il Signore ha benedetto. Iddio ti dia la rugiada del cielo e la fertilità della terra e abbondanza di frumento e di mosto. Ti servano i popoli e si inchinino a te le nazioni, sii superiore ai tuoi fratelli, e i figli di tua madre si inchinino dinanzi a te. Sia maledetto chi ti maledice e benedetto chi ti benedice”(Gen.27,27-29). E il trucco della Rebecca è riuscito: Isacco non può tornare indietro, ormai lo ha benedetto. Quando Esaù torna, e porta da mangiare a suo padre che gli aveva promesso la benedizione, scopre il trucco, ma ormai è troppo tardi. Esaù è incazzato nero e a buon diritto, e vuole far fuori Giacobbe; ancora la madre Rebecca, con un altro stratagemma, allontana Giacobbe con la scusa di andare a cercare moglie tra i suoi parenti che vivono ad Haran in Mesopotamia. Così Giacobbe fu salvo. Da Bersabea, dove vivevano, fino a Haran ci sono 880 km.; durante il viaggio nelle vicinanze di Luz ebbe un sogno in cui Yahwèh gli garantiva di esercitare tutto il potere su quelle terre, e con un po’ “di pietre ne fece un cippo sacro a ricordo della visione”; a quel posto impose il nome di Bet-El. Arrivato nei pressi di Haran incontra Rachele che porta le pecore (e te pareva!) di suo padre ad abbeverarle al pozzo; gli piacque subito e la baciò. Si presentarono dichiarandosi cugini. Labano, fratello di Rebecca madre di Giacobbe, fu felice che un nipote era venuto a sposare una sua figlia. Però questo signor Labano, zio di Giacobbe che deve diventare suo suocero, si rivela un uomo molto furbo; infatti gli impone un contratto secondo il quale deve lavorare per lui sette anni prima di portarsi via la figlia Rachele. Scaduti i sette anni, una sera lo ubriacano e gli infilano nel letto Lia, la figlia più grande, e stando ai racconti anche un po’ brutta, invece della figlia Rachele che lui aveva chiesto in sposa. Il suocero, furbo, si giustificò dicendo che non era consentito sposare le figlie più piccole, ma che toccava per tradizioni sposare sempre prima la figlia più grande; quindi, se ancora desiderava Rebecca, si sarebbe dovuto sbafare altri sette anni di lavori da pecoraio. E così fa altri sette anni, e alla fine, dopo innumerevoli vicissitudini molto curiose, si porta via tutte e due le sorelle insieme alle serve, e con un gregge molto consistente torna verso casa. Intanto, come aveva previsto sua madre Rebecca, ad Esaù la rabbia si era affievolita. Sempre nel libro della Genesi (36,10-14) si nomina la lega che fa capo ai dodici figli di Esaù, che costituiranno le tribù Edomite. Quindi, Esaù non è da meno di Giacobbe in quanto a figli, anche se meno importanti ai fini della discendenza degli Ebrei, perchè Esaù aveva perso l’occasione di essere nominato patriarca a vantaggio di Giacobbe, l’Israele! (Il nome di Israele a Giacobbe fu imposto direttamente da Yahwèh). Giacobbe fece figli con tutte le sue donne; da Lia ottenne i figli Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Issacar, Zabulon; infine ebbe anche una femminuccia e la chiamò Dina; ma si sa, le donne non contavano molto per la progenie ebrea e quindi non si parlerà più di questa Dina, salvo il giorno in cui la rapiscono e la violentano; i suoi fratelli la vendicano uccidendo un casino di gente. Poi la serva di Rachele, di nome Bala, gli partorì altri figli e li chiamò Dan il primo e Neftali il secondo. Poi Lia, la prima moglie di Giacobbe, diede la sua serva Zelfa che gli partorì altri figli, e diede il nome di Gad al primo e di Aser al secondo. Infine anche Rachele, ormai vecchia e 69


fin qui sterile, un po’ come Sara, ebbe finalmente un figlio e lo chiamò Giuseppe, e poi un altro, Beniamino. Questi dodici fratelli erano stati partoriti da quattro donne diverse, e costituiranno le DODICI TRIBÚ D’ISRAELE. Certo che c’era da aspettarsi che prima o poi questi dodici fratellastri si sarebbero fatti del male a vicenda; infatti, iniziano subito i guai per Giuseppe ad opera dei suoi fratellastri, i quali tentano prima di ucciderlo denudandolo e calandolo in un pozzo; poi qualcuno decide che era meglio venderlo a una carovana che passava e che andava in Egitto. E così fecero. Giuseppe in Egitto fa carriera indovinando certi sogni al faraone (il significato delle sette mucche grasse e delle sette mucche magre), e diventa addirittura viceré. Infine, in seguito ad una carestia alimentare che aveva colpito quasi tutto il Medio Oriente, i fratelli di Giuseppe vanno in Egitto per comprare dei cereali. Giuseppe li riconosce e si diverte un po’ a mettere loro paura, poi li perdona. Alla fine tutti in Egitto, compreso il vecchio padre Giacobbe, sulla scia della fortuna che aveva avuto Giuseppe. Tra padre madre figli nuore e nipoti, in tutto sbarcarono in Egitto in settanta. Ed iniziò un’altra storia. In Egitto rimasero i loro discendenti per 400 anni, divisi rigidamente in tribù: ogni figlio di Giacobbe aveva i suoi discendenti organizzati in tribù. Nota: nell’antica cultura ebraica la morte è vista così : “ io sto per riunirmi al mio popolo”, e questo concetto lo esprime anche Giacobbe, l’Israele; infatti così dichiara nel libro della Genesi: “seppellitemi nel campo di Malpela, di fronte alla grotta che è nel campo di Efron, l’Eteo”, nella grotta cioè che è nel Mamrè, nella terra di Canaan (49, 29-30), grotta che Abramo aveva comprato insieme al fondo come zona sepolcrale (l’unico pezzettino di terra di proprietà dei patriarchi fino a Giosuè). Lì furono sepolti Abramo e Sara (suoi nonni), Isacco e Rebecca (suoi genitori)”. E Giacobbe, giunta la sua ora in Egitto, “ritrasse i suoi piedi nel letto, rese il suo spirito e si riunì ai suoi padri”, e i suoi figli andarono a seppellirlo ad Efron, nella tomba di famiglia come aveva descritto prima di morire. Qui finisce il libro della “Genesi” ed inizia il libro dell’ ESODO. Secondo il racconto di MOSÉ, “il legislatore” (al quale è attribuito questo libro), pare che gli Egizi cominciarono a preoccuparsi della eccessiva crescita demografica di questo popolo, il quale, oltretutto, si guardava bene dall’integrarsi con il popolo residente: con usi, costumi, religione diversa, continuavano a considerarsi sempre come residenti forestieri in paese straniero. Fu così che il Faraone iniziò col dare ordine preciso a tutte le levatrici del regno di uccidere sul nascere tutti i bambini ebrei. Le levatrici non ubbidirono e il faraone ritenne necessario ordinare ai militari di portare via tutti i bambini degli ebrei. E’ in questo clima che nasce il nostro Mosè, figlio di genitori della tribù di Levi. Per salvarlo dai gendarmi del faraone lo misero in una cesta e lo abbandonarono sul fiume Nilo. Lo trovò la figlia del faraone e volle adottarlo, ben sapendo che era ebreo (fu lei a imporgli il nome Mosè, cioè “salvato dall’acqua”). 70


Fattosi grande, Mosè, che conosceva bene la sua origine, un giorno assistette ad una aggressione violenta di un militare contro due ebrei; intervenne in difesa di questi e uccise il militare. Il faraone lo venne a sapere e lo cercò per ucciderlo. Mosè, mangiata la foglia, scappa in tempo e si rifugia a Madian; lì conosce una donna di nome Zippora e il padre, un certo Ietro, gliela dà in sposa. Ebbero un figlio e lo chiamarono Gherson. Morto il faraone, se ne fece un altro, ma le cose per gli Ebrei non cambiarono affatto. Fu in questo frangente che Yahwèh si ricordò del suo popolo e contattò Mosè per farlo liberare dai faraoni. Dio si presentò sotto forma di “un rovo che bruciava ma che non si consumava” (3, 3-5). Gli disse cosa doveva fare e come presentarsi ai figli d’Israele. “Mosè domandò: se mi chiedono quale è il suo nome, cosa dirò loro? A ciò Dio disse: “Io mostrerò d’essere ciò che mostrerò d’essere; devi dire questo ai figli d’Israele” (3, 13-15). Poi, rientrato in Egitto, Mosè in coppia con suo fratello Aronne ne combina di tutti i colori, con l’aiuto del loro Dio, a danno del faraone e del suo popolo. Alla fine li lasciano andare. Gli Ebrei si incamminano verso l’est dell’Egitto; ed ecco il grande evento: le acque del MAR ROSSO si aprono e il popolo passa, mentre i militari egiziani che li inseguono, perché nel frattempo hanno cambiato idea, finiscono sott’acqua; il popolo di Israele salvo approda finalmente nel deserto di Sur (15,22). Il Salmo 113 così celebra l’evento: “…Quando uscì Israele dall’Egitto,/ la casa di Giacobbe fra un popolo straniero,/ divenne Giuda il suo Santuario,/ Israele fu il suo possesso./ Il mare vide e si ritrasse,/ il Giordano si rivolse a ritroso./ Sussultarono i monti quasi arieti,/ e i colli quasi agnelletti./ Che fu, o mare, che ti ritraesti?/ Giordano che a ritroso ti volgesti?/ Voi monti, sussultaste quasi arieti,/ e voi colli quali agnelletti?/…” Apriamo una parentesi: sia per la Genesi, sia per l’Esodo, non esistono riscontri storici. Anche i Rabbini non ortodossi ritengono che siano frutto solo di leggende, alimentate nell’arco dei 400 anni in cui questi Ebrei sono rimasti in Egitto (secondo alcuni storici in realtà si è trattato di non più di quattro generazioni), e che Mosè, dopo l’uscita dall’Egitto e durante i 40 anni nel deserto, ha scritto sulla base del sentito dire e della sua fantasia, tra il 1513-1512 a.C.; almeno così sostengono alcuni studiosi, anche se in realtà pare che neanche Mosè sia mai esistito. Siegfried Herrmann nella sua “Storia di Israele” esclude l’esodo così descritto. R. Smend, E. Osswald, G. Posener, ed altre centinaia di storici hanno tentato di sostenere o confutare l’Antico Testamento; tutti hanno dovuto prendere coscienza che la storia d’Israele inizia con Davide; tutto ciò che si riferisce a periodi precedenti è più mitologia che storia (lo chiariremo meglio più avanti con Mario Liverani). In realtà in quei tempi c’era la prassi per i pastori palestinesi di recarsi verso il delta del Nilo, perchè in determinate stagioni nella Palestina venivano a mancare totalmente i pascoli, mentre nel delta del Nilo resistevano anche nei periodi più caldi dell’anno. In linea di massima gli Egiziani, che avevano il potere su quei luoghi, li lasciavano pascolare in cambio di un certo tornaconto: si trattenevano una percentuale di pecore nel momento in cui questi pastori lasciavano l’Egitto. A volte li 71


autorizzavano anche a passare nella parte occidentale del delta, all’interno dell’Egitto (quindi il delta del Nilo poteva essere attraversato perché l’acqua più bassa e un canneto fitto creavano le condizioni per essere attraversato; ed è in questo punto che molti storici sostengono che siano passati gli Ebrei quando fuggirono dall’Egitto). E’ probabile che per un certo periodo gli Egiziani abbiano avuto bisogno di manodopera per costruire determinati edifici e li abbiano costretti a rimanere per farli lavorare. Ora, per un nomade, fermarlo e trasformarlo in stanziale e da pastore trasformarlo in operaio, è ancora oggi la cosa più triste che gli possa capitare. Infine, una certa ribellione ci sarà pur stata e non si esclude che un egiziano di nome Mosè abbia avuto l’incarico di trattare la loro uscita dall’Egitto. Insomma una storiella di poco conto sulla quale poi più tardi si è costruita una grande storia. Torniamo alla lettura dell’Esodo. Personaggio notevole è anche ARONNE fratello di Mosè; infatti sono i suoi figli che diventano i primi sacerdoti di Yahwèh, e successivamente saranno sempre della tribù dei Leviti i sacerdoti che saranno incaricati di leggere, interpretare e custodire le leggi di Yahwèh consegnate a Mosè, conservate nell’Arca del patto dell’Alleanza. Nessun altro è autorizzato a toccare l’arca. Per rendere meglio il concetto, vale la pena di raccontare un fatto descritto nel libro di Samuele II: dalla casa di Abinadad, che era sul colle, si trasportava l’Arca dell’Alleanza vicino alla reggia di Davide, dove lo stesso aveva provveduto a costruire un tempio (fatto di tende); Uzza e Ahio conducevano il carro sul quale era posta l’arca; la strada era sicuramente sconnessa e ad un certo punto l’arca stava per cadere dal carro; “Uzza stese verso l’arca la mano e l’afferrò, poiché i bovini stavano per farla cadere. Allora l’ira di Dio divampò contro Uzza: Dio lo abbattè lì, per l’atto irriverente così che morì presso l’arca” (6,6-7). Fai il bravo, e ti tirano le pietre. A Mosè vengono attribuiti anche gli altri tre libri del Pentateuco (o libro della Legge, o Torah per gli Ebrei) e cioè il “Levitico e i “Numeri” che avrebbe scritto durante la permanenza nel deserto (l’attuale Arabia Saudita); infine nel 1473 a.C., nella pianura di Moab, avrebbe scritto il “Deuteronomio”. Nel LEVITICO è sancita nei minimi particolari la legge e le mansioni dei Leviti; si dispone come vanno fatte le offerte a dio, come vanno scannati montoni, pecore e tutti gli animali che di volta in volta sono offerti, come deve essere l’altare per le cerimonie, il culto rituale che il popolo deve a dio e le leggi concernenti la purità legale. Insomma, un dio molto strano, perché tutti questi animali, che gli venivano offerti, non li mangiava, ma si accontentava di vedere versato il sangue degli animali intorno al suo altare con un certo rito che solo i sacerdoti conoscevano, e lasciava poi che se li mangiassero coloro i quali avevano fatto l’offerta, non senza però aver prima dato quanto toccava ai sacerdoti, secondo un preciso rito descritto dettagliatamente. Nel libro dei NUMERI si fa l’elenco di tutti i figli d’Israele: si contano tribù per tribù con le loro rispettive discendenze. Si assegnano i ruoli da guerrieri per la 72


conquista della terra promessa, e si assegna anche per ogni tribù la città ed il territorio che dovranno occupare. Intanto erano ancora nel deserto “nelle pianure desertiche nella regione del Giordano, di fronte a Suf, tra Paran e Tofel e Labano e Azerot e Dizaab”. E qui Yahwèh raccomanda due cose fondamentali per quando entreranno nella terra promessa: “…non toccate i figli di Esaù che dimorano in Seir, non aprite contese con loro, perché non vi darò del loro paese nemmeno quanta è larga la pianta del piede; non molestare Moab e non ti impegnare in una guerra con loro, perché non ti darò nulla del loro paese in possesso, poiché ho dato Ar in possesso ai figli di Lot ” (che, come abbiamo visto, fece discendere la sua progenie dall’incesto con le due figlie). Nel DEUTERONOMIO Mosé sancisce chiaramente la loro identità con un’infinità di proclami; “…Ma voi siete quelli che Yahwèh prese per farvi uscire dalla fornace di ferro, fuori dall’Egitto, perché gli diveniate un popolo di proprietà particolare come in questo giorno, e Yahwèh si adirò contro di me per causa vostra (avevano cambiato idoli mentre Mosè era salito sul monte per incontrare Dio, che gli consegnò i Dieci Comandamenti: all’inizio non erano dieci, ma gli scribi successivi decisero che il numero dieci suonava meglio e ne aggiunsero un po’), tanto che giurò che non avrei passato il Giordano o che non sarei entrato nel buon paese che Yahwèh, tuo dio, ti dà come eredità, poiché sto per morire in questo paese… poiché Yahwèh, il vostro dio, è un fuoco consumante, un dio che esige esclusiva devozione. Guardatevi dal dimenticare il patto che dio concluse con voi. Se non ubbidirete, non prolungherete su di esso (la terra promessa) i vostri giorni, perché sarete positivamente annientati ” (D,20-26) Infine, dopo aver detto e scritto tutto “Mosè salì dalle pianure desertiche di Moab al monte Nebo in cima al Pisga che è di fronte a Gerico. E Yahwèh gli mostrò tutto il paese, Galaad fino a Dan, e tutto Neftali e il paese di Efraim e Manasse e tutto il paese di Giuda fino al mare occidentale, il Negheb e il distretto, la pianura della valle di Gerico, la città delle palme, fino a Zoar. E Yahwèh gli diceva: “questo è il paese circa il quale ho giurato ad Abramo, Isacco, Giacobbe, dicendo: lo darò al tuo seme. Te l’ho fatto vedere con i tuoi propri occhi, poiché non vi passerai”. E non passò. Qui si conclude la vicenda di Mosè. Sui Dieci Comandamenti, o Decalogo, mi interessa sottolineare due cose: - la prima è la differenza che passa tra l’originale del 2° comandamento che dice “Non ti fare nessuna scultura, né immagine delle cose che splendono su nel cielo, o sono sulla terra, o nelle acque sottoterra. Non adorar tali cose, né servir loro…” (Es. 20,3-6, e Deuter.5,7-10) e la riduzione che ne fanno la chiesa cattolica ed ortodossa (notoriamente grandi produttrici di immagini sacre), cioè “non avrai altro Dio fuori che me”. Mentre nelle religioni ebraica, musulmana, e successivamente anche la protestante, rigidamente tutte iconoclaste, troviamo il 2° comandamento intero, come scritto, si dice, da Mosè; - la seconda: ammesso che sia stato Mosè a scrivere tali cose, lo stesso non ha inventato niente, ma ha solo scopiazzato dalla religione degli Egiziani dell’epoca; 73


infatti il loro Osiride, sovrano del regno dei morti e dio della resurrezione, nel “Libro dei morti” dà istruzione ai defunti come presentarsi ai quarantadue dèi che compongono la corte celeste, per giustificare e testimoniare dello loro buona condotta sulla terra, e aprirsi la strada al paradiso: se condannati, ricadono sulla terra sotto forma di pioggia o in forma di vermi. Leggiamo: “Non ho commesso iniquità; non ho rubato; non ho ucciso; non ho detto falsa testimonianza; non ho desiderato la roba degli altri; non ho fornicato con la donna d’altrui; non ho bestemmiato; ma ho dato pane agli affamati, acqua agli assetati, vestiti agli ignudi”. Poi, leggendo bene le ultime tre assicurazioni, è evidente che anche il cristianesimo vi pescò abbondantemente a suo tempo. Libro di GIOSUÉ (figlio di Nun, ministro di Mosè) scritto, si dice, dallo stesso Giosuè a Canaan intorno al 1450 a.C., dopo aver compiuto le sue gesta di conquistatore sotto la guida del suo dio, che ne l frattempo era diventato il “Dio degli eserciti”. Morto Mosè, Dio si fa vivo con Giosuè, gli impone di partire con tutto il suo popolo e attraversare il Giordano e conquistare la terra promessa. I prodigi di Dio a vantaggio degli Ebrei cominciano subito nell’attraversare il fiume Giordano: “e avvenne che nell’istante in cui le piante dei piedi dei sacerdoti che portavano l’arca di Yahwèh, il Signore dell’intera terra, si posarono nelle acque del Giordano, le acque del Giordano furono recise, le acque che scendono da sopra, e restarono ferme come una diga” (3,13). Così i sacerdoti restarono nel Giordano asciutto finchè passò tutto il popolo di Israele (un niente, se paragonato all’operazione che compì Mosè nel far attraversare il Mar Rosso). E fu l’inizio della conquista delle città e dei popoli che fino a quel momento le occupavano. I Cananei, gli Ittiti, i Fenici, i Filistei, gli Evvei, i Ferezei, gli Amorrei, i Gebusei ecc., sono i popoli che dovranno essere sterminati per ordine di Yahwèh. Ma ogni qual volta viene conquistata una città, per ordine sempre di Dio, “tutto deve essere passato con la spada e bruciato con il fuoco, e nulla deve respirare”. Meno male che a quei tempi Yahwèh non sapeva ancora che anche le piante e gli alberi respiravano, altrimenti avrebbero bruciato pure quelle. Comunque, con questo ordine era inteso che nessun essere vivente grande o piccolo doveva sopravvivere; quindi anche gli animali domestici, come capre cammelli asini: tutti uccisi e bruciati, insieme a uomini donne e bambini. Va bene, sappiamo che “chi ha tutti i mezzi, vuole stabilire tutti i fini” (Hayek), però lo stesso Virgilio non può fare a meno di lamentarsi :“Anche nel ciel tanto può dunque l’ira?”. Poi il nostro Giosuè cominciò a girare intorno alle mura di Gerico per conquistarla, ma era molto difficile abbattere le mura; ci pensò subito Yahwèh che con uno squillo di tromba le fece cadere del tutto, e Gerico fu conquistata. Solo che i nostri archeologi da centinaia d’anni vanno alla ricerca delle mura di Gerico, o almeno delle sue fondamenta, ma non hanno trovato la benché minima traccia, ed hanno concluso che Gerico non è mai stata circondata da mura. Giosuè!, che bugiardo! 74


E’ vero che se uno ha la possibilità di scrivere la sua storia può dire tutto quello che gli pare, poi peggio per chi la prende sul serio. Però in un caso almeno ha esagerato, ed è questo: “Dio manda una grandinata di pietre sugli uomini in armi dei re Amorrei; furono più quelli che morirono per le pietre che quelli passati per le armi” di Giosuè. Ma rischiava di fare notte prima di poterli uccidere tutti, così gli venne in mente di allungare la giornata, e rivoltosi al sole e alla luna così ordinò: “Sole, resta immoto su Gabaon. E luna, sul bassopiano di Aialon. Pertanto il sole rimase immoto, e la luna in effetti si fermò, finchè la Nazione potè far vendetta dei suoi nemici” (10,1-13). Capito? La Nazione potè far vendetta dei suoi nemici! Come se non fossero loro a rompere le scatole agli Amorrei! E poi, il sole e la luna che si fermano apposta per lui…, beh, mi sembra francamente troppo. Perché Yahwèh non lo ha avvisato che è la terra che gira intorno al sole? Gli avrebbe risparmiato di dire una sciocchezza simile. Lo aiuta a massacrare un casino di gente e non lo informa di come aveva predisposto le cose nel nostro sistema solare? Mah! misteri divini! Così siamo stati costretti ad aspettare altri tremila anni perchè Galileo Galilei ci potesse spiegare come stanno realmente le cose. Anche se poi, grazie a quanto scritto da Giosuè, Galileo si beccherà una condanna dalla santa Inquisizione, e sarà costretto a sottoscrivere un’abiura per evitare di essere arrostito vivo (lo vedremo nella parte terza). Comunque, quella battaglia si concluse così: “E avvenne che appena Giosuè e i figli di Israele ebbero finito di abbatterli con una grandissima strage, finchè quelli giunsero alla loro fine…Tutto il popolo tornava quindi al campo di Giosuè a Maccheda in pace…poi si fece condurre in sua presenza cinque re che aveva sconfitto, il re di Gerusalemme, il re di Ebron, il re di Iarmut, il re di Lachis il re di Eglon, e li uccise e li appese ad un palo” (10,20-25). “Rubarono, massacrarono, fecero il deserto e lo chiamarono pace” (Tacito). In seguito fece fuori circa venti re di altre venti città e conquistò praticamente con il ferro e con il fuoco, aiutato dal suo dio a piene mani, il resto della Palestina, pardon, Israele. Come dire: “Quando si ha un martello non bisogna essere un genio perché tutti i problemi diventino chiodi”. A questo punto inizia la spartizione della terra promessa tra le dodici tribù, discendenti dei dodici figli di Giacobbe. Libro dei GIUDICI. Le guerre continuano senza fine; nuove vittorie, qualche sconfitta e tanto odio non solo condiviso ma spronato e profuso da questo loro dio: un dio violento, un dio vendicativo, un dio geloso, un dio incurante totalmente della sorte di altri popoli e nazioni… un dio razzista? Ma, no! violento e razzista è il popolo che si inventa un dio adeguato al suo carattere! In realtà nei tempi antichi era prassi comune che un popolo si dotasse di una religione per giustificare i suoi interessi, le sue lotte, le sue conquiste, e da qualche parte persino oggi si tenta ancora di utilizzare le religioni a questi scopi.

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Il territorio d’Israele diviso tra le dodici tribù

Leggiamo, a questo punto, la storia inquietante di Iefte (11,1-39). Questo ebreo doveva affrontare in guerra i figli di Ammon; essendo Giudice, la responsabilità era tutta sua. Fece un voto nei confronti del suo Yahwèh: “ Se immancabilmente mi dai in mano i figli di Ammon, deve anche avvenire che chi esce, chi mi esce incontro dalle porte della mia casa quando torno in pace da presso i figli di Ammon, deve anche divenire di Yahwèh, e io lo devo offrire come olocausto”. Così, tornando a casa dopo la vittoria, grazie al dio che lo aveva aiutato, gli venne incontro la figlia, facendogli festa e suonando un tamburello. A quella vista il padre disse: “Ahimè, figlia mia, tu vieni a rovinarmi! Anche tu sei tra quelli che mi affliggono. Ho fatto un voto al signore e non posso più ritirarlo”. Questa sua figlia risponde: “O padre mio, se hai fatto il voto, compi pure su di me ciò che la tua bocca ha pronunciato”. Insomma, la prende come destino (forse più fessa di suo padre), e chiede a questo solo “due mesi di tempo per andare sul monte insieme alle mie compagne per piangere la mia verginità; e alla fine dei due mesi avvenne che tornò da suo padre, dopo di che egli adempì il voto che aveva fatto verso di lei ; e divenne un regolamento in Israele: di anno in anno le figlie d’Israele andavano a lodare la figlia di Iefte il Galaadita, quattro giorni all’anno”. 76


Certo è che l’A.T. è pieno di personaggi del genere; ecco un altro esempio, il profeta ELISEO (II°-Re, o IV°-Re per la Versione dei Settanta):“piccoli ragazzi uscirono dalla città e si burlavano di lui e gli dicevano: Sali testa pelata, sali testa pelata! Infine egli (Eliseo) si voltò, li vide e invocò il male su di loro in nome di Yahwèh. Quindi due orse uscirono dal bosco e sbranarono quarantadue fanciulli” (2, 23-24). Questo profeta infanticida era l’aiutante in campo del profeta ELIA ; “…avvenne che mentre camminavano parlando ecco un carro da guerra di fuoco e cavalli di fuoco, e operavano fra loro una separazione; ed Elia ascendeva ai cieli nel turbine. Frattanto Eliseo lo vedeva e gridava: Padre mio, Padre mio, carro da guerra d’Israele e i suoi cavalieri! E non lo vide più”. Insomma, Elia vola in paradiso, come avviene molto più tardi con Maometto, altro profeta, che da Gerusalemme parte anche lui con cavalli alati per il paradiso. Dante riprende questo passo nel suo Inferno a mo’ d’esempio per descrivere il volo di Satana nell’inferno, e non si scandalizza neanche un po’ del racconto biblico in sè: (XXVI,34-39) “E qual colui che si vengiò con li orsi/ vide il carro d’Elia al dipartire,/ quando i cavalli al ciel erti levorsi,/ che nol potea sì con li occhi seguire,/ ch’el vedesse altro che la fiamma sola,/ sì come nuvoletta, in ciel salire:” Vien voglia di dire “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa” No!, ragioniamo, invece, su queste favole particolarmente disgustose: questi personaggi, egoisti ed opportunisti fino all’inverosimile, secondo Dante (che riprende una leggenda già esistente nei primi secoli del cristianesimo) finiscono addirittura in paradiso con tutti i patriarchi e tutti i devoti pre-cristiani. Nel IV° Canto dell’inferno, infatti, sentiamo Virgilio (la sua “guida, maestro, e duca”) dire che i patriarchi e tutti i devoti precristiani di Yahwèh erano con lui nel primo cerchio dell’Inferno, il limbo, o antinferno: “Quando ci vidi venire un possente,/ con segno di vittoria coronato”, cioè Cristo che toglieva dal limbo i fedeli di suo padre Yahwèh e se li portava in paradiso. Mentre invece i poveri “amor cortesi” (”Amor, ch’a nullo amato amar perdona,… Amor, che al cor gentil ratto s’apprende…”) Paolo e Francesca, Lancillotto e Ginevra, Didone ed Enea, e Cleopatra, Elena, ecc. ecc., finivano e restavano nel secondo cerchio dell’inferno. Coraggio credenti, in fin dei conti per fortuna sono solo cattive favolette per adulti cattivi! Favola per favola, mi piace immaginare Iefte, il padre che uccise la figlia perché lo aveva promesso a Yahwèh, e il profeta Eliseo, che fece uccidere quarantadue bambini che lo avevano offeso, nel fondo della voragine infernale, entrambi nel lago gelato di Cocito, la Giudecca dov’è Lucifero (‘l imperador del doloroso regno,), e lì condividere la sorte che toccò all’arcivescovo Ruggeri ad opera del conte Ugolino: “La bocca sollevò dal fiero pasto/ quel peccator, fordendola a’ capelli/ del capo ch’elli avea di retro guasto”. Non male come idea che queste vittime sbranino il cervello dei loro assassini, come faceva il conte Ugolino, o i fratelli Napoleone ed Alessandro degli Alberti che si rosicchiavano il cranio a vicenda. Nella descrizione di queste scene Dante probabilmente si è ispirato ad alcuni brani dell’A.T., come questi: “Mangerete la carne dei vostri figli, mangerete la carne delle vostre figlie” (Lev. 26, 29); “Nell’assedio e nella angustia in cui ti angustierà il tuo nemico mangerai il frutto del tuo ventre, la carne dei tuoi figli e delle tue 77


figlie”(Deuter. 28,53); e ancora, nell’estrema rovina di Gerusalemme incorsa nell’ira del Signore: “…pietose donne, di propria mano fecero cuocere i loro bambini: essi servirono loro di cibo”(Lament.4,10). Questo era l’ultimo abisso dell’uomo degradato perchè maledetto dal suo Dio. Ma Yahwèh aveva dato per primo l’esempio, o no? Dèi e demoni si somigliano troppo! E ora scontriamoci con SANSONE (anche lui giudice), il tutto-muscoli, anzi il tutto-capelli. Ebbene, si fa fregare come un bambino d’asilo prima da sua moglie e poi da una donna di facili costumi, una certa Dalila, la quale, capito dov’era il trucco della sua forza, gli taglia i capelli e lo consegna ai Filistei. Ma il finale è proprio degno di lui: “Muoia Sansone con tutti i Filistei”. Ma per favore! Una leggenda così farebbe ridere anche i bambini! In realtà questa leggenda ha un fine ben preciso: sconsigliare gli uomini ebrei di unirsi a donna non ebrea. Questo Sansone, infatti, prima sposa una donna di cultura e religione fenicia, poi va al sud e si accoppia con una filistea. Dato che la legge mosaica stabilisce che è sprecato il “santo seme” se lo si utilizza con donne non ebree (in quanto queste sono solo delle cagne, perchè non sono in grado di generare ebrei), con questa storiella si vuole solo ricordare e sottolineare una delle leggi fondamentali contenute nell’Arca dell’Alleanza. Quindi abbiamo un Giudice, questo Sansone, che disubbidisce alla legge mosaica, mentre doveva essere proprio lui a ricordarla ed imporla al popolo ebraico. Sempre nel Libro dei Giudici (19,1-30) si legge questo episodio sconcertante (almeno per noi!). Un LEVITA, non meglio identificato, aveva preso in moglie una donna di Betlehem di Giuda. Questa donna dopo un po’, disgustata, lo lascia e ritorna alla casa paterna. Il Levita va a trovarla, e dopo un lungo tira e molla si riporta la donna a casa. Strada facendo, si fermano a Gabaa, un paese della tribù di Beniamino. Viene ospitato da un vecchio. Stanno ancora mangiando quando un gruppo di scellerati bussano alla porta e urlando dicono: “Metti fuori l’uomo che è entrato da te, affinché ne abusiamo”. Si presentò il padrone di casa e disse loro: “No, fratelli miei, vi prego, non fate questo male; egli è ospite presso di me: non commettete una simile infamia. Ho una figlia, che è vergine, e il mio ospite ha la moglie; le condurrò a voi: abusatene e fate di loro quel che vi piace, purchè non commettiate infamia contro il mio ospite” (che figlio di puttana!). Alla fine si accontentano della moglie del Levita (che invece di uscire di casa e tentare di spaccare la testa a questi libidinosi, o farsela spaccare, come avrebbe fatto un normale essere vivente, ritiene opportuno lasciare andare sua moglie per farla stuprare), e la violentano tutta la notte. “La donna, ritornando al mattino, cadde sfinita presso la porta di casa, dov’era alloggiato suo marito e vi rimase esamine per tutto il giorno. Al mattino il levita si alzò (pensate, ha dormito!) ed era pronto per partire quando vide sua moglie sfinita sulla soglia di casa. La chiama dicendole: alzati e partiamo. Ma ella non rispose. Allora la caricò sull’asino e ripartì per casa”. A questo punto noi stiamo pensando: ora che arriverà a casa la curerà, gli chiederà perdono per essersi sacrificata lei per salvare il suo cul da levita; errore! “Ma appena 78


arrivato a casa, afferrò un coltello e presa la moglie, ne squartò il cadavere con le ossa in dodici parti e le mandò per tutto il territorio di Israele”. Di nuovo pensiamo: sarà stato biasimato dalle tribù d’Israele per questo suo gesto scellerato; nuovo errore! La tribù di Beniamino verrà sterminata, quasi completamente, dalle altre undici tribù solo perchè quelli hanno tentato di usare violenza contro il Levita, e nessun ebreo ha qualcosa da lamentare nei confronti di quest’ultimo che aveva squartato la moglie, perchè per la cultura ebraica questa donna era ormai inservibile, dato che era stata violentata, anche se vi era stata costretta per salvare quello sporco levita. Insomma, le donne ebree valgono meno di una pecora, e servono solo a riprodurre figli ebrei (per gli Ebrei di allora, s’intende). Dalla strage suddetta si salvano 600 giovani che riescono a ricostruire la tribù di Beniamino; questa, però, si trova a corto di donne, ma le altre tribù si rifiutano di dare in moglie le loro figlie. E qui salta fuori un episodio che somiglia tanto al Ratto delle Sabine. Dopo lunghe trattative, le altre tribù “dànno una mano” ai beniaminiti: assaltano la città di Iabes-Galaan, massacrano tutti tranne le ragazze vergini; ne portano a casa 400 e le offrono alla tribù di Beniamino, ma non bastano; allora organizzano un vero e proprio “ratto” delle vergini della città di Silo, mentre durante una festa danzano e giocano tra la vigna. Così, grazie anche a tutte queste donne giovani e vergini, la tribù di Beniamino cominciò a crescere. Ed edificarono finalmente la loro città. Conclude l’autore: “In quei giorni non c’era re in Israele. Ciascuno era solito fare ciò che era retto ai suoi occhi”; questo periodo, viene retto dai giudici i quali amministravano la giustizia secondo la Torah, o legge di Mosè, custodita sempre nell’arca dell’alleanza ed interpretata dai Leviti. Poi viene il libro di RUT, attribuito a Samuele, l’ultimo dei giudici, scritto nel 1090 a.C.. Questo fu un periodo di carestia. Qui emergono due personaggi femminili: Naomi che, perso suo marito, era rimasta vedova e con due figli maschi a cui badare; questi, divenuti grandi, si sposano con due donne dal nome Opra e Rut; poco dopo questi uomini muoiono e restano tre donne vedove, in piena carestia. Dopo tante sofferenze, alla fine Rut la Moabita si unisce con un benestante del luogo, un certo Booz della famiglia di Elimelec; ha un figlio, Obed, e questo diviene il padre di Iesse, e Iesse il padre di Davide. Con questa storia di donne si traccia la discendenza di Davide, che è un punto fondamentale per gli Ebrei, in quanto con Davide si inizia ad uscire dalle leggende e ad entrare nella storia di Israele, anche se la leggenda non sparisce del tutto. Quindi Rut la Moabita e Booz erano i bisnonni di Davide. E’ Samuele che ci racconta tutto sul suo periodo, sia della casa del primo re, Saul, sia di Davide. Samuele, che sarà l’ultimo dei giudici, nasce a Rama in una zona montagnosa definita Ramatami-Zofim; suo padre si chiama Elcana e sua madre Anna. Anche questa Anna è disperata perché non riesce ad avere un figlio; una donna ebrea, che vale già il due di briscola se ha dei figli, se non riesce ad avere neanche un figlio, vale meno di uno straccio usato. Si reca più volte al tempio di Yahwèh posto in Silo, dove dimorava in quel tempo l’arca dell’alleanza; piange, prega, si dispera per avere un 79


figlio. Alla fine fa un voto a Yahwèh: se avrà un figlio lo dedicherà a dio, il che significa che resterà nel tempio a servire i sacerdoti. Dio accetta e gli concede un figlio che chiamerà Samuele. Nel frattempo il signor Elcana, marito di Anna, ha anche un’altra moglie di nome Peninna, con la quale ha avuto altri figli; uno di questi è Eli, già in questo frangente divenuto sacerdote del tempio. Quindi Samuele serve Eli, che è il suo sacerdote ma anche suo fratellastro. Eli ha la sfortuna di avere due figli dissennati agli occhi di dio, e dio li farà morire in guerra; sarebbe toccato a loro diventare sacerdoti, e invece diventa sacerdote Samuele. Il libro di SAMUELE-I comincia col raccontarci le solite guerre che il popolo di Israele è costretto a combattere contro i Filistei; una in particolare merita di essere menzionata. Nel tentativo di dare maggiore vigore alle truppe israeliane per vincere i Filistei, gli Ebrei decidono di portare l’Arca dell’Alleanza in trincea; ma vengono sconfitti, e i Filistei prendono l’arca e se la portano nelle loro città; allora Dio fa ammalare tutto il popolo filisteo di emorroidi. I Filistei capiscono la vendetta di Dio e riportano indietro l’Arca con tante emorroidi d’oro quante erano le città dei filistei, e cioè Asdor, Gala, Ascalon, Gat, Ecron e Gerboa. A questo punto tra vittorie e sconfitte, con varie tribù allo sbando, il popolo di Israele invoca un re come ce l’hanno tutti gli altri popoli. Yahwèh fa dire a tutto il popolo che non è cosa buona per loro, perchè toccherà pagare tasse su questo e su quello, e comunque un re c’è già ed è lui, Yahwèh, ecc.. Tenta insomma di dissuaderli, ma non ci riesce. Alla fine Yahwèh e Samuele si arrendono e vanno alla ricerca di un re per il popolo di Israele. Dopo lungo travaglio, divino e profetico, individuano una famiglia della tribù di Beniamino, un certo Chis ricco e possidente che ha un figlio di nome Saul, “bello e fisicamente potente”: è lui, lo hanno trovato; Samuele lo “unge con l’olio prestabilito in nome del loro dio, ed è re”. SAUL non perde tempo in chiacchiere e inizia subito la guerra contro i soliti popoli e re che, sconfitti già un’infinità di volte, sono sempre lì a rompere le scatole a questi poveri ebrei. Un giorno, però, Saul ne combina una delle sue, ed è un’offesa a Yahwèh; offre un “sacrificio fuori dalle regole”: non avevano pulito del sangue l’animale ucciso e lo avevano mangiato in modo impuro; è il primo sgarbo che commette nei confronti del suo dio. Un altro sgarbo lo combinò in occasione dell’attacco contro la città di Amelec in cui era re Agag; dio aveva dato l’ordine di uccidere tutti, compresi bambini e lattanti e tutti gli animali domestici: anche loro dovevano “essere passati per spada e bruciati col fuoco”. Saul fece il furbo: si portò tutti gli animali domestici nel suo accampamento, pecore, buoi, cammelli, asini ecc.. Questa volta Yahwèh gliela fece pagare cara; infatti così disse a Samuele: “ Davvero mi rammarico di aver fatto re Saul, perché si è volto dal seguirmi, e non ha seguito le mie parole” (Sam.15,9). E Samuele dsse a Saul: “Hai rigettato la parola di Yahwèh, e Yahwèh rigetta te dal continuare come re su Israele” (15,26 ). 80


Poi, peggio ancora, si era limitato a far prigioniero il re Agag e non lo aveva ancora ucciso; così fu costretto ad intervenire direttamente Samuele e farlo a pezzi. Insomma, si era comportato come un re normale e non come un re d’Israele, che doveva essere tutt’altra cosa. A questo punto Yahwèh ha deciso di ungere un altro re; invita Samuele ad andare “nella casa di Iesse (da ricordare che Iesse è nipote di Rut), perché in quella casa è il nuovo re, e mi devi ungere colui che ti designerò. Visto Davide di fronte a Samuele, Yahwèh disse: “Lèvati, ungilo, poiché è questo”(16,12) Intanto Saul, un po’ come succede con i nostri politici attuali, non è disposto a rassegnare le dimissioni e continua a fare il re senza il consenso divino, e Davide dovette sudare parecchio prima di diventare re a tutti gli effetti. Nota: da Samuele-I, o I°-Re, a Samuele-II, o II°-Re, secondo la “Versione dei Settanta”, si entra nella fase storica dell’A.T. Questi “Settanta” sono gli studiosi ai quali Tolomeo II (305-246 a.C.) diede l’incarico di tradurre la bibbia in greco. La dinastia dei Tolomeo inizia con Tolomeo I°, ex generale di Alessandro Magno; dopo la morte del suo grande condottiero, morto a 33 anni in Babilonia (in modo non ancora chiarito). Tolomeo I° si stabilisce in Egitto diventando re degli Egiziani. La dinastia dei Tolomeo va avanti fino alla XVI discendenza, cioè fino al 30 a.C., quando in Egitto “arrivano i nostri”, i Romani. Con SAMUELE-II veniamo a conoscenza dei guai familiari e personali, delle furberie e colpi bassi del nostro Davide, che diventerà re a Gerusalemme. DAVIDE, un giovinetto appena “unto” dal Signore, faceva ancora il pastore (tutti pecorai questi grossi ebrei) quando un giorno si ritrova nel bel mezzo di una battaglia che Saul conduce per l’ennesima volta contro i Filistei; si fa avanti e chiede di affrontare lui questo Golia, il filisteo di Gat, il quale era il terrore di tutti i combattenti ebrei. Cercarono di vestirlo da combattente, ma non si sentiva a suo agio; si tolse l’attrezzatura e lo affrontò con fionda e qualche pietra. Lo uccise con una pietra ben piazzata in testa…“arma diventa ciò che l’ira afferra”(Eneide, VII, 733). I Filistei si spaventarono e corsero via. Entrò nelle grazie della famiglia reale. Bazzicava lì intorno quando vide Gionatan figlio di Saul, “E avvenne che, appena egli ebbe finito di parlare a Saul, la medesima anima di Gionatan si levava all’anima di Davide, e Gionatan lo amava come la sua propria anima” (Sam.I,18,1). Ecco l’elogio funebre che Davide scrive per Gionatan, in occasione della sua morte in guerra. “Sono angustiato per te fratello Gionatan. Mi eri molto piacevole. Il tuo amore era per me più meraviglioso dell’amore delle donne…” (Sam.II,1,2). Ma Saul, che sapeva di questo rapporto omosessuale con suo figlio, venne a sapere che era stato “unto” dal Signore al posto suo, e cercò più volte di uccidere Davide senza riuscirci; qualche volta fu anche Gionatan a salvarlo dalle grinfie di suo padre. Infine, Saul elaborò un piano con il quale attraverso i suoi servitori cercava di invogliare Davide a sposare una sua figlia, Mical; ma Davide rispose che non aveva tanto denaro da sposare la figlia del re. I servitori, imbeccati già da Saul, gli risposero che non aveva bisogno di soldi e che Saul si sarebbe accontentato di cento prepuzi 81


incirconcisi di Filistei. La proposta sembrò buona e fattibile a Davide, mentre Saul sperava che, andando a scovare cento filistei per ucciderli, prima o poi avrebbe trovato qualcuno che lo avrebbe ucciso. E invece il nostro Davide parte e uccide 200 Filistei, taglia i prepuzi e li porta in una cesta a Saul, il quale resta fregato più di prima, perché ora dovrà dargli sua figlia Mical e diventare anche parente. La storia di Saul finisce di lì a poco perché cade sul campo di battaglia in combattimento contro i soliti Filistei sul monte Ghilboa insieme a suo figlio Gionatan. Morto Saul e suo figlio Gionatan, “la guerra tra la casa di Saul e di Davide si protrasse a lungo; Davide si andava rafforzando, e la casa di Saul declinava sempre più” (49, 29-30). Nota curiosa: come mai Samuele, che racconta questo rapporto omosessuale tra Davide e Gionatan, non trova niente di riprovevole? Ma come, Yahwèh aveva raso già al suolo Sodoma e Gomorra per certe deviazioni sessuali, e lui non trova niente da ridire in questo rapporto? Vuoi vedere che Samuele non aveva letto la storia di Lot perché non era ancora stata scritta? Furbacchioni!

Cronologia dei re: Saul; Davide; Salomome; Roboamo. Sotto il regno di Roboamo, il regno d’Israele si divide: la dieci tribù del nord le gestirà Geroboamo, la Giudea e i Beniaminiti Roboamo figlio di Salomone. I re d’Israele: I re di Giuda: Geroboamo (930-910) Roboamo, (931-913) Mabab (910-908) Abiyam, (913-911) Baasa, (908-886) Asa, (870-848) Ela, (886-885) Yosafat, (870-848) Tibni, (885) Yoram, (848-841) Omri (885-874) Ochozia, (841) Achab, (874-853) Atilia, (841-835) Ochozia, (853-852) Yaos, (835-796) Yoram, (852-841) Amasia, (796-781) Yehu, (841-814) Ozia, (781-740) Yachaz, (814-798) Yetam, (740-736) Yoas, (798-783) Achaz, (736-716) Geroboamo II, (783-743) Ezechia, (716-687) Zaccaria, Shallum, (743) Manasse, (687-642) Manahem, (743-738) Giosia, (642-609) Peqahya, (738-737) Yoachaz, (609) Peqah, (737-732) Yoyaqim, (609-598) Osea, (732-724) Yoyakim, (597) A questo punto le tribu suddette A questo punto anche la Giudea viene vengono attaccate dagli assiri invasa dai caldei di Nabucodonosor, e finiscono definitivamente e gli abitanti di Geruslaemme disperse; si perse per sempre ogni traccia. sono deportati 82


Nel frattempo la figlia Mical, data in sposa a Davide, prende con sè due donne, Ahinoam l’Israelita e Abigal la Carmelita, e tutte insieme dietro a Davide, verso Ebron dove dimora a lungo prima di prendere possesso di Gerusalemme. Intanto tra il popolo d’Israele nasce una filastrocca con la quale si esaltano le gesta di Davide contro la pochezza di Saul: “Saul ha abbattuto le sue migliaia, e Davide le sue decine di migliaia”. Non è gran che come filastrocca, però così si diffondeva la sua fama: “Davide è più forte e coraggioso di Saul”. Malgrado avesse già tre donne con le quali aveva avuto diversi figli, “ dalla terrazza scorse una donna che faceva il bagno e la donna era di ottimo aspetto”. Era Betzabea, figlia di Ammiel, moglie di Uria l’Eteo ; “Dopo di che David mandò messaggeri a prenderla. Essa venne dunque da lui ed egli giacque con lei”(11, 2-4). E la donna rimase incinta. “Mutevol cosa e varia è cuor di donna” (Virgilio); Dante è ancora più esplicito: “Per lei assai di lieve si comprende/ quanto in femmina foco d’amor dura,/ se l’occhio o ‘l tatto spesso non l’accende.” (Purg.VIII,76-78); e questa donna merita un tale disprezzo. Ma, stando ai costumi dell’epoca, Davide non poteva portarsi per sempre nella reggia questa Betzabea se prima non le fosse morto il marito; così ci pensa su e decide di arruolarlo nel suo esercito, lo manda in prima linea e lo raccomanda a Gioab: “… mettete Uria di fronte alle più impetuose cariche di battaglia, e voi vi dovete ritirare di dietro così che venga abbattuto e debba morire”. E così avviene; Betzabea felice e contenta dimora nella reggia di Davide dove più tardi partorisce un bambino. A Yahwèh non era sfuggita questa furbata dei due e decide di castigarli (a questo punto uno sta pensando: ora renderà impotente Davide o gli taglierà “i cosi”, e Betzabea la darà in pasto al popolo per farla lapidare, come voleva il costume barbaro di quel popolo; e invece no!). Natan, il profeta di Davide, così riferisce la decisione di Yahwèh: “…Ciò nonostante, poiché senza dubbio hai mancato di rispetto a Yahwèh mediante questa cosa, anche il figlio stesso, che ti è appena nato, positivamente morirà”(12,14). Yahwèh un infanticida? E i cattolici contemporanei denigrano l’infanticida Erode, ma nulla hanno da rimproverare a questo dio, che poi diventerà anche il loro dio! Poi c’è un’altra favola tipica delle case dei regnanti. Davide tra una marea di figli conta anche un certo Absalom, Amnon e una figlia di nome Tamar. Il figlio Amnon s’innamora della sorella Tamar, con uno stratagemma si finge malato e se la porta in casa dove la violenta. Il fratello Absalom viene a conoscenza del fatto e organizza il resto dei figli di Davide che uccidono il fratello Amnon. Di Tamar non si saprà più nulla, ma del resto dei figli invece continua la storia. Una è quella dello stesso Absalom il quale, dopo essere stato perdonato dal padre Davide, comincia a fare la fronda contro il potere del padre, riesce a portarsi dietro una parte del popolo ebraico; ma alla fine viene ucciso e la sua storia finisce lì. Davide diventa potente perché riesce a unire intorno a sé tutte le dodici tribù; ad un certo punto sconfigge definitivamente un popolo come i Filistei, i quali erano stati i più antichi abitanti della Palestina. Da ricordare che i Filistei occupavano la fascia costiera verso sud, ora detta la “striscia di Gaza”, mentre i Fenici, altro popolo da sempre vissuto in Palestina, occupavano la fascia costiera a nord fino a Tiro, 83


Sichem e Canaan; erano dei grandi popoli mai sconfitti dagli Ebrei, ma secondo la versione biblica invece spariscono sotto i colpi di Davide. Davide regnò 7 anni a Ebron e 33 a Gerusalemme, dove costruì la sua reggia sullo stesso luogo sul quale suo figlio Salomone costruirà il tempio a Yahwèh. Estese l’impero dall’Egitto, a sud, fino al corso superiore dell’Eufrate, a nord. Fu un buon periodo per gli Ebrei perché in quel momento sia la Mesopotamia, in Asia minore, sia l’Egitto non avevano grandi forze da mettere in campo, perchè stavano attraversando un periodo oscuro. Inoltre Davide era riuscito nel frattempo a munirsi d’armi di ferro; erano state superate l’era del rame e del bronzo. Consolidato ed allargato il suo impero, Davide, come ogni re che si rispetti, ordina un censimento della popolazione ebrea. Alla fine gli portano il conto e risultano 800mila in grado di impugnare la spada (gli altri pare che non contino un cavolo), di cui si specifica 500mila solo della tribù di Giuda. E questa è una balla grossolana, perché, secondo altre fonti, complessivamente il popolo ebreo in quei tempi non contava più di 300mila anime. Questo opportuno censimento non va giù a Yahwèh; si infuria, sostenendo che il popolo è suo e solo lui lo può contare, come e quando gli pare. E’ pronto un altro castigo per questo sgarro commesso da Davide. Questa volta a Davide Yahwèh offre l’opportunità di decidere quale castigo scegliere. Ecco le proposte di dio: “Pertanto Gad il profeta entrò da Davide e gli disse: Ti devono venire sette anni di carestia nel tuo paese, o per tre mesi devi fuggire davanti ai tuoi avversari che ti inseguiranno, o devono accadere tre giorni di pestilenza nel tuo paese? Ora sappi e vedi ciò che devo rispondere a Colui che mi manda”. E Davide così risponde: “è molto angoscioso per me. Cadiamo, ti prego, nella mano di Yahwèh, poiché molte sono le sue misericordie; ma che io non cada nella mano dell’uomo”. “Yahwèh mandò quindi una pestilenza in Israele dalla mattina fino al tempo fissato, così che morirono settantamila persone del popolo da Dan a Beer-Seba” (Sam II . 24,13-15). E’ fin troppo evidente che questi profeti tentavano di imporre la religione con il “timor di dio”. Avevano reso questo Dio come una bomba ad orologeria che poteva esplodere in ogni momento. “Mille pretesti hai tu, mille di nuocere insidiosi modi” (Virgilio). Tuttavia, Davide ha lasciato un tale segno nella storia di questo popolo, che ancora oggi, dopo 3000 anni circa, tutti coloro che sono Ebrei si identificano come Giudei, cioè della tribù di Giuda che era quella di Davide. E la stella a sei punte, simbolo della dinastia della casa di Davide, è ancora oggi il loro simbolo. Però, questa storia di Davide che riesce a conquistare e gestire un regno con spada e mano ferma, e poi si lascia spaventare dal suo Dio, che nessuno ha mai visto (anche se tutti i profeti giuravano di avere contatti con lui), mi pare del tutto inverosimile. La storia ci insegna, invece, che re e imperatori, il potere politico e militare, si sono serviti della religione per ottenere stabilità al loro potere, spesso per allargare i confini del proprio regno (“religio instrumentum regni”), e non viceversa. Io mi sarei aspettato da Davide, come risposta al profeta Natan, parole analoghe a quelle di Ulisse rivolte al suo duce Agamennone: “Un pauroso, un vil certo sarei, se d’ogni gesto tuo liggio foss’io”. 84


SALOMOME (962-922), figlio di Davide e di Betzabea l’adultera, consolida il suo regno con diplomazia, rifuggendo dalle guerre sostenute da chi lo ha preceduto. Costruisce il tempio a Yahwèh sull’altipiano di Sion e consolida le mura della città di Gerusalemme. La pace, la diplomazia, la saggezza lo caratterizza. Il gusto, il piacere di circondarsi di belle ed innumerevoli donne con le quali sollazzarsi è un’altra sua caratteristica. Raggiunge intese diplomatiche con altri regni anche sposando spesso le figlie di re. Tra mogli e concubine ne mette insieme mille. Esagerato! Trova il tempo anche per scrivere un inno alle donne, alla loro bellezza, alla sensualità, al sesso, all’amore, ed è bellissimo: è il “Cantico dei Cantici” dedicato alla Sulamita “…Stillano miele le tue labbra, o sposa,/ miele e latte sotto la tua lingua…I tuoi riccioli son greggi di capre/ i tuoi denti son come un gregge d’agnelle…(e dàgli, cu ste’ pecure!)..le curve dei tuoi fianchi son monili,/ opera delle mani di un artista/…Voglio salire sulla palma,/ afferrare i tuoi rami/ le tue mammelle mi sian come grappoli d’uva….Chi è costei che avanza quale aurora,/ bella come la luna,/ eletta come il sole,/ tremenda come un esercito schierato?”. Ma Origene, esegeta e teologo del III° secolo (lo incontreremo ancora più avanti), vede in questi versi un canto mistico, l’unione di Cristo con la Chiesa sua sposa, utilizzando il metodo da lui ben conosciuto dell’allegoresi. Salomone scrive anche alcuni Proverbi, alcuni Salmi e l’“Ecclesiaste”, o quanto meno a lui vengono accreditate queste scritture. Anche a suo padre Davide vengono attribuiti alcuni salmi, proverbi, ed altro. Leggiamo qualche versetto: “Beato l’uomo che retto procede,/ che non entra a consiglio con gli empi;/ non va per la via dei peccatori,/ nel convegno dei tristi non siede;/ ma nella legge di dio si compiace/ e la medita il giorno e la notte (Salmo 1,1-2). Lodate dio nel tempio suo santo,/ lodatelo ne l’alto firmamento./ Lodatelo nei grandi suoi portenti,/ lodate l’eccelsa maestà/….” (Salmo 150,2). Troppo rilassanti questi 150 salmi con decine di versetti ognuno perché sia opera di un re guerrafondaio come Davide: “Quanti sono, o Signore i miei nemici!/ quanti insorgono contro di me!/ Quanti dicono della mia vita:/ Non più scampo per lui in Dio!/ Ma, o Signore, tu sei a me scudo,/ mia gloria che rialzi la mia fronte./ La mia voce io levo al Signore,/ ed ei m’ode dal santo suo monte” (3, 2-5) Comunque, un credente farebbe bene a leggere solo i salmi dell’A.T. se vuole conservare in pace la sua fede, altrimenti gli arriva addosso una valanga di dubbi sulla bontà del suo dio. A Salomone succede suo figlio Roboamo (930 a.C.) come re degli Ebrei. Più tardi Geroboamo, figlio di Nabat l’Efraimita da Sereda, servo di Salomone, contende lo scettro a Roboamo, al quale resterà fedele solo la tribù di Beniamino, riducendo, quindi, il suo regno alla Giudea e dintorni; mentre Geroboamo regnerà su tutte le altre tribù del nord. Curiosità: il solito profeta, questa volta si chiama Ahia di Silo, scriverà (“a babbo morto”) che aveva contattato Geroboamo al quale aveva garantito che avrebbe diviso il regno di Gerusalemme, perché Salomone si era comportato in modo scorretto nei confronti di Dio. A detta di questo profeta, Salomone si era circondato 85


di ben settecento mogli principesse e trecento concubine, e, scandalo nello scandalo, si era lasciato sedurre da queste mogli al punto tale da erigere altari agli dèi delle sue mogli: da qui la condanna della divisione del regno di Davide ( I°Re, 11, 3-41). Ma mi faccia il piacere! Quindi nell’arco di circa ottant’anni il regno di Davide era già diviso, ridimensionato. Le tribù settentrionali, che avevano sempre mal tollerato la dominazione giudaica, formarono il nuovo Regno d’Israele con capitale Samaria. Mentre il regno di Giuda, più piccolo (costituito da due sole tribù, quella di Giuda e quella di Beniamino), mantenne come capitale Gerusalemme. Tutti e due questi regni, però, si erano indeboliti a tal punto che erano oggetto di influenze culturali politeistiche dei vicini; tuttavia i profeti dell’epoca, Amos e Isaia, riuscirono a mantenere il culto di Yahwèh. Nel 720 a.C. gli ASSIRI conquistano le tribù del nord, cioè il regno d’Israele, e deportano la popolazione in Mesopotamia, nel nord dell’attuale Irak. Successivamente i CALDEI con il loro re Nabucodonosor (630-562) sconfiggono gli Assiri, invadono il sud della Palestina (il regno di Giuda) e conquistano Gerusalemme; dopo dieci anni di assedio radono al suolo sia il Tempio sia le mura della stessa città, e deportano i cittadini di Gerusalemme nella Caldea (terra di Babilonia, sud dell’attuale Irak). Tuttavia, i Caldei in seguito si dimostrarono tolleranti nei confronti degli Ebrei, che riuscirono a restare uniti, anche se deportati, sotto la guida religiosa dei loro profeti, sopratutto Ezechiele. Il profeta EZECHIELE merita qualche accenno a parte. Di stirpe sacerdotale, figlio di Buzi sacerdote nella terra dei Caldei, fu condotto a Babilonia in esilio con la moglie, 598 a.C.; si fermò a Narukabiru (Canal Grande) e morì in esilio ucciso da un principe di Giuda da lui rimproverato di idolatria. A trent’anni iniziò la sua missione di profeta, dopo cinque anni che si trovava in Babilonia. Anche lui ha un’apparizione divina mentre si trova sul fiume Kedar: i soliti carri alati e infuocati, angeli non meglio identificati, e la voce greve del dio che lo apostrofa: “Figlio d’uomo, io mando te ai deportati d’Israele, a un popolo di ribelli, che si sono rivoltati contro di me; essi e i loro padri hanno peccato contro di me fino a questo giorno. Sono figli dalla faccia di bronzo e dal cuore indurito quelli, ai quali io ti mando”( Ez. 2, 3-5). Poi, per mandare a memoria i suoi ordini, dio gli fece ingoiare un rotolo di papiro: “Figlio d’uomo, nutriti e saziati di questo volume che io ti porgo”, e continua assicurandoci che se lo mangiò: “Io lo mangiai e in bocca mi fu dolce come il miele”(Ez. 3, 3-7). Ulteriori raccomandazioni: “Ma i figli d’Israele non vorranno ascoltare te, come non vogliono ascoltare me; perché tutta la casa d’Israele ha testa dura e cuore ostinato”.

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In questo periodo avvengono fatti importanti in Medio Oriente; sia gli Ebrei rimasti in patria (sfuggiti alla deportazione), sia quelli deportati, grazie ad una relativa tolleranza dei Caldei, rimangono uniti, mantengono il culto di Yahwèh sotto la guida di Ezechiele prima, e di Isaia, Aggeo, Zaccaria, Malachia dopo, ma subiscono l’influenza di altre culture. E’ in questo periodo che il loro Yahwèh diventa il dio di tutti, e a questo fenomeno viene dato il nome di Yavismo. Intanto in Persia nasce l’ideologia o religione detta Zoroastrismo (da Zarathustra 628-551 a.C, nominato dai greci Zoroastro). Questo filosofo e profeta predicò una religione nuova che descriveva un universo diviso tra due potenze di pari livello, in lotta tra loro per la supremazia: Ahura Mazda (che rappresentava la luce e il bene), e Arimane (che 87


rappresentava le tenebre e il male). Secondo Zoroastro, l’eterna lotta tra i due non si sarebbe mai risolta in una vittoria netta, ma l’intervento degli esseri umani poteva far pendere il risultato dall’una o dall’altra parte; e manco a dirlo, viene fuori: il libro di GIOBBE; ed ecco apparire per la prima volta nel vecchio testamento la figura sinistra di Satana; così inizia anche nella religione più monoteista il dualismo divino. Abbiamo finalmente un grande erudito che scrive in eccellente prosa; infatti: “E il Signore disse a satana: Onde vieni? E satana rispose al signore: Da aggirar la terra, e da passeggiar per essa”. E il Signore disse a satana: “hai tu posta mente al mio servitore Giobbe? E satana: “Giobbe teme egli Iddio indarno?” (1,7-8). Qui comincia la scommessa tra Satana e il Signore a spese del povero Giobbe, che, oltre ai guai che gli propinano, è costretto anche a subirsi i “consolatori molesti”. Giobbe sopportò tutto e rimase fedele al suo Dio, e infine, ripagato della sua fedeltà “morì sazio di giorni”. Bellissima prosa (fa parte dei libri Sapienziali), pessima, invece, è la morale. Prima di questo libro di Giobbe si è sentito nominare solo “lo spirito del male” che infesta Saul: “Allora lo spirito del Signore si ritirò da Saul, anzi spesso uno spirito cattivo, mandato dal Signore, si impossessava improvvisamente di lui” (Sam. I, 16,14). E ancora nel III° libro dei Re (22,19-23) il Signore manda lo spirito del male per colpire sia il Re d’Israele Achab, sia il Re di Giuda Iosaphat. E fin qui questo spirito cattivo non ha un nome, sembra al servizio di Yahwèh e frequenta la corte divina. Ma è con il Nuovo Testamento che questo spirito del male, poi definito Satana, non solo non risiede più nell’alto dei cieli, né collabora più col Signore, ma diventa decisamente l’antagonista. Così, grazie al Zoroastrismo, nasce questa figura nuova che per millenni uomini e donne hanno implorato o stramaledetto, ma ha anche scomodato menti illustri a favore o contro. Giosuè Carducci, con la sua “Lode a satana”, riesce a renderlo simpatico, anche se il motivo di fondo era una critica feroce alla chiesa cattolica e alla sua teologia: “… E già tremano/ mitra e corone/ dal chiostro brontola/ la ribellione;/ E pugna e predica/ sotto la stola/ di frà Girolamo/ Savonarola/; Gittò la tonaca/ Martin Lutero:/ Gitta i tuoi vincoli,/ uman pensiero,/ E splendi e folgora/ di fiamme cinto;/ materia innalzati; Satana ha vinto./…. Come di turbine/ l’alito spande:/ ei passa,o popoli,/Satana il grande./ Passa benefico/ di loco in loco/ su l’infrenabile/ carro del foco./ Salute o satana,/ o ribellione, / o forza vindice/ de la ragione!/ Sacri a te salgono/ gl’incenzi e i voti/ hai vinto il Geova/ dei sacerdoti/”. Bel pugno nello stomaco per il clero! Un altro esempio, che chiarisce l’influenza delle culture babilonesi e persiane sugli Ebrei, è la comparsa di nomi nuovi; ecco un personaggio, figlio di Saltiel, della discendenza di Davide e antenato di Giuseppe e quindi di Gesù di Nazareth, che si chiama, guarda caso, Zorobabele: scomponendolo si ottiene Zoro, per Zoroastro, e babele per Babilonia. Questo Zorobabele è governatore, però sotto il dominio dei persiani i quali li avevano appena liberati dai Caldei. I profeti Aggeo e Zaccaria ne parlano a lungo e raccontano pure cosa aveva detto il Signore nei suoi confronti: “Parla a Zorobabele, governatore di Giuda e digli: Io scuoterò il cielo e la 88


terra…abbatterò i troni dei regni…In quel tempo, afferma il Signore degli eserciti, io ti prenderò, o Zorobabele, figlio di Salatiel, mio servo …e ti terrò come un anello del sigillo”(Aggeo,2,20-23); per sigillo si intendeva che dio attestava il diritto di possesso e certificava la sua volontà: quindi Zorobabele è il sigillo di Dio. -----------------------A questo punto occorre aprire una lunga parentesi. Soffermiamoci su uno studioso contemporaneo, Mario Liverani docente di Storia del vicino Oriente Antico all’università La Sapienza di Roma, il quale con il suo ultimo libro “Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele” (ed. Laterza) tratteggia “una storia normale, e una storia inventata” del testo biblico, dimostrando con l’aiuto di archeologi, compresi alcuni Israeliani, che il “nostro” Yahwèh è nato (o, se preferite, è stato inventato) durante la permanenza dei giudei in Mesopotamia, e che prima di allora nessuno ne aveva mai parlato; è solo durante questo periodo, tra il VII° e V° secolo, che nasce lo Yavismo. Mentre il regno d’Israele (nel nord) scompare sotto i colpi degli Assiri, il regno di Giuda (nel sud) si rafforza, e con l’avvento del re di Giuda Ezechia (716-687 a.C.) e di Manasse (687-642 a.C.) si delinea questo Yahwèh come unico dio degli Israeliti; tutto ciò che era stato scritto prima viene dettagliatamente corretto e reso compatibile con la nuova immagine divina che si sono dati. I profeti che si cimentano in questo lavoro, riscrivendo persino cose già scritte dai primi profeti (come Samuele, Elia, Eliseo, Amos e Osea, vissuti tra l’850 e il 750 a.C.), sono Nahum, Geremia, Habakuk, Ezechiele, Isaia, Aggeo, Zaccaria, e Malachia, tra il 625 e il 450 a.C.; e tutti i profeti successivi non faranno altro che confermare tale versione. Più tardi, per giustificare questo cambiamento d’immagine di Yahwèh, si inventano il ritrovamento di un manoscritto della vecchia legge, che in realtà è quella che loro stessi avevano scritto, e attribuiscono al sommo sacerdote Hilqiyauh la responsabilità di aver consegnato il manoscritto ritrovato nel tempio di Gerusalemme al segretario del re Shafan, da questo consegnato a Giosia, 622 a.C. ( II° RE 22,8-10), e, infine, lo avrebbe divulgato Esdra Quindi il “dio degli eserciti”, che comanda la distruzione di vari popoli nemici di Israele, non esisteva ancora; pertanto si deve concludere che tutto quanto è stato scritto e fatto risalire a periodi precedenti è del tutto falso. Di conseguenza, l’idea della terra promessa, come evento in cui un popolo conquistatore caccia ed elimina i precedenti abitanti, è una descrizione del tutto ideologica, non suffragata dai fatti. Infatti i popoli come i Filistei, i Cananei, i Fenici (Ittiti) i Moabiti e gli Ammoniti rimasero al loro posto (vedrete la donna Cananea ancora ai tempi di Gesù nella parte seconda; da ricordare che i Cananei sono i discendenti di Cam, figlio di Noè). Infine, gli Ebrei, o presunti tali, prima dell’avvento degli Assiro-babilonesi erano anch’essi politeisti (nel libro di Liverani si dimostra anche che i figli di Davide avevano nomi risalenti a religioni politeiste del luogo, e lo stesso Davide, più che un gran re come descritto, era un governatore di una piccola città chiamata Gerusalemme, senza tante pretese), e solo al fine di darsi un’ identità e sopravvivere come popolo in mezzo ad un altro popolo, per restare distinti e distanti, quindi per 89


distinguersi e restare uniti, scelsero il monoteismo e inventarono il loro Yahwèh. Poi una volta ritornati a Gerusalemme, sotto il re persiano Ciro, consolidarono le loro invenzioni. Pertanto, sarebbero solo metafore: - la Torre di Babele con la quale raccontano la confusione delle lingue, cioè la loro difficoltà di comunicare con gli Ebrei rimasti in patria, perché in 70 anni avevano acquisito il linguaggio dei Caldei; - il Diluvio Universale inventato sulla base dei racconti acquisiti, sempre in Caldea, sullo straripamento dei fiumi Tigri ed Eufrate avvenuto molto tempo prima; - l’Esodo dall’Egitto che in realtà racconta il ritorno dall’esilio babilonese, ecc. ecc. -----------------------------Ritorniamo alla lettura della Bibbia. La fortuna volse al meglio per gli Ebrei quando CIRO (600-529 a.C.), re persiano, conquistò la Caldea e liberò gli Ebrei prima deportati, i quali tornarono (dopo 70 anni) nelle loro terre d’origine, che nel frattempo erano state popolate da quelli che erano sfuggiti alla deportazione e da altre genti provenienti da zone vicine (come abbiamo visto prima). A questo punto il castigo per gli Ebrei sembra finito e questi si apprestano a ricostruire il tempio. E Yahwèh inizia di nuovo a minacciare le altre nazioni perché a suo dire erano state molto più dure contro gli Ebrei di quanto lui avesse gradito. “Abbatterò i troni dei regni e distruggerò la potenza dei re delle nazioni; rovescerò i cocchi e i loro guidatori, cadranno i cavalli e i loro cavalieri, ciascuno sotto la spada dei loro fratelli ”(ullà, patata!). Dovevano cadere le nazioni, soprattutto perché il bottino doveva finire nel suo tempio, infatti così continua: “Ancora un poco, poi io scuoterò il cielo e la terra, il mare e i continenti. Scuoterò tutte le nazioni, perché affluiscano i tesori di tutte le genti, e riempirò di gloria questo tempio. Mio è l’argento, mio è l’oro afferma il Signore degli eserciti, la gloria futura di questo tempio sarà più grande di quella del primo (Aggeo 2,6-9). Un Dio che ha bisogno di oro? Ma per favore! ESDRA (re sotto dominio persiano) si incarica di mettere ordine tra gli Ebrei secondo la legge di Mosè, che, a quanto pare, era stata trascurata un po’ durante la permanenza forzata nella Caldea. A Esdra si pone subito un compito fondamentale che diventa un tormentone per lui e un dramma per molti: è il problema di chi ha contratto matrimonio (non è corretto dire “matrimonio” in quanto questo istituto non esisteva, ma semplicemente ci si ammogliava) con donne non ebree. “Poiché hanno accettato alcune delle loro figlie per sé e per i propri figli; ed essi, il “santo seme”, si sono mescolati con i popoli dei paesi, e la mano dei prìncipi e dei governanti delegati è stata la prima in questa infedeltà…(9,2). “ E ora fate confessione a Yahwèh l’Iddio dei vostri antenati e fate ciò che gli piace. Separatevi dai popoli del paese e dalle mogli e dai figli stranieri” (10,1), “e insieme a loro gli anziani di ciascuna singola città, finché si allontani da noi l’ira del nostro dio a causa di questa faccenda…” (11,14). 90


Centinaia di famiglie furono divise; solo pochi si rifiutarono e furono espulsi dal popolo ebraico. Alcuni con un barlume d’umanità chiesero di potere aspettare la fine della stagione delle piogge prima di cacciare di casa moglie e figli, altrimenti non si sarebbero neppure potuti allontanare; lo ottennero e il decreto scivolò per qualche mese. Morire di fame asciutti o bagnati non era la stessa cosa per questi Ebrei! Non era stato Esdra a inventarsi questo concetto del “santo seme”, ma era una precisa legge di Mosè, della quale tutti gli Ebrei dovevano tener conto; la donna ebrea, anche se non contava niente, era però l’unica donna che poteva generare figli ebrei. Qui il razzismo vola sulle ali dorate dello Yavismo. Tutti coloro che non erano di provata discendenza ebraica, e quindi del popolo eletto, erano solo e soltanto dei cani o cagnuoli, e così sono sempre stati definiti. Persino Gesù di Nazareth, che si dice sia stato pure un gran riformatore della tradizione ebraica, non si sottrae a questa visione, non mette in discussione questa base della legge di Mosè; come avviene con la donna Cananea (Matteo,15,21-28), donna non ebrea; ma questo lo vedremo nella parte seconda. Nel libro di GIONA sembra che i profeti dell’A.T. vogliano farci crepare tutti; paradossale ma vero. Si racconta, infatti, che, una volta tanto che Dio volle essere buono, questo profeta “si incazzò di brutto”. La storiella è questa: Giona, anche lui in contatto con il solito Yahwèh, fu mandato dallo stesso a predicare nella città di Ninive, a sostenere la causa del suo dio e sputtanare i loro dèi. “Lèvati va a Ninive e proclama contro di lei, che la loro malizia è salita dinanzi a me”. Così Dio impose a Giona. Ma Giona si lasciò prendere dalla paura e, sicuro che gli abitanti di Ninive lo avrebbero fatto a pezzi in poche ore, scappò e finì con l’imbarcarsi su una nave per sparire del tutto dagli occhi del suo dio. Il furbacchione aveva dimenticato che Dio è in ogni luogo, e infatti lo beccò in mare, gli mandò una tale tempesta che la nave stava per naufragare. I marinai si domandarono perché, e alla fine scoprirono che la colpa era di questo imbarcato clandestino e lo buttarono in mare. Finì nelle viscere di un grosso pesce e lì restò per tre giorni e tre notti (qui il nostro Collodi ha pescato a piene mani scrivendo il suo Pinocchio). Preghiere, suppliche a non finire; alla fine Yahwèh si fece vivo e fece sputare il Giona dal pesce su terra ferma dopo essersi assicurato che accettava di portare a termine il progetto che già gli aveva affidato. Arrivato a Ninive, comincia a profetizzare peste corna e putiferio da parte del suo dio contro gli abitanti di quella città se non si fossero convertiti e avessero rispettato la legge di Mosè. Questi, non solo non l’ammazzarono, ma addirittura si convertirono al nuovo dio. Allora Yahwèh decise di non infierire più su questa città. Il nostro Giona, che nel frattempo si era sistemato in questa città, quando vide che non arrivava più nessuna delle pestilenze che gli aveva promesso, si lamentò duramente contro il suo dio, perché ora il popolo lo avrebbe ritenuto un “ bauscia un po’ pirla”; come dire, si sentiva sputtanato. Ma va…a fare un bagno, Giona! Una volta tanto che questo Yahwèh fa una cosa logica non ti sta bene? Ecco perché ritengo che siano i profeti e i loro sommi sacerdoti il vero danno per l’umanità. 91


A Ciro succede Serse, anche lui re persiano; questi blocca ed interrompe la ricostruzione del tempio che verrà ripresa sotto il dominio di re Dario, suo successore. Più tardi, Alessandro Magno sconfigge Dario, conquista l’Egitto e gli Ebrei verranno dominati dall’Egitto dei Tolomei, dinastia che si protrae fino alla XVI discendenza. Nel 198 a.C. la Giudea passò dagli egizi Tolomei agli assiri Seleucidi. Sotto il regno di Antioco IV, 215-164 a.C., fu compiuto un serio tentativo di far abbandonare la loro fede e adottare la cultura greca. Ma nel 168 a.C. gli Ebrei insorsero sotto la guida di GIUDA MACCABEO e dei suoi fratelli. Gli oppressori si dimostrarono deboli nel reprimere l’insurrezione e nel 151 a.C. la Giudea conquistò finalmente l’indipendenza con Giovanni Arcano I e Alessandro Ianneo. Leggiamo qualche passo dedicato a Giuda Maccabeo: “Egli aumentò la gloria del suo popolo,/ indossò la corazza come un gigante/ e si cinse con le armi da guerra/…Fu simile a un leone nelle sue opere,/ ..Inseguì gl’iniqui, andandoli a scovare,/…Amareggiò molti re;/ con le sue vittorie allietò Giacobbe/…Il suo nome risuonò fino all’estremità della terra,/ e raccolse quelli che erano dispersi.” (Giuda Macc. 3, 3-10). Un buon conquistatore, dico io, e basta. La Giudea dei Maccabei durò fino al 63 a.C., quando il generale romano Gneo Pompeo (106-48 a.C.) occupò la Palestina trasformandola in una Provincia romana e nominando ERODE re dei Giudei (73 - 4 a.C). E qui viene fuori un rebus: i Vangeli attribuiscono a questo Erode il tentativo di uccidere Gesù appena nato con la famigerata storia della “strage degli innocenti”; delle due, una: o Gesù di Nazareth è nato quattro o cinque anni prima della data ufficiale, oppure questa diventa una leggenda come tante altre perchè del tutto fuori luogo e fuori tempo. Erode cercò di compiacere i Giudei agevolando i loro usi e costumi e ampliando il tempio a Yahwèh. É in questo scorcio di tempo che gli Ebrei iniziarono a sognare una nuova rivolta come quella dei Maccabei, prestando ascolto alle parole dei profeti (ricordare Isaia con la sua profezia del Messia, l’Emmanuele, il Salvatore). Sognavano un nuovo “unto” discendente da Davide, che li avrebbe guidati nella ribellione contro i romani. Attendevano in pratica un capo politico e religioso nello stesso tempo, che finalmente li potesse liberare dalla dominazione straniera. Il nucleo o partito della ribellione anti-imperialista era già nato: si chiamavano Zeloti e il famoso Barabba ne era un esponente. Ma questo “unto”, questo Yehoshua (questo il nome di Gesù in aramaico), il messia, o cristo in greco, deluse gli Ebrei, che non lo riconobbero come profeta e lo uccisero, come avevano sempre fatto con i falsi profeti, o coloro che ritenevano tali. Ovvio, si aspettavano un nuovo Giosuè, ma Gesù diceva “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio”(Matteo, 22,21). Quindi, peggio di così per gli Ebrei non poteva andare.

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La ribellione degli Zeloti iniziò con il primo tentativo nel 70 d.C, sotto l’imperatore TITO; ma i Romani risultarono più determinati degli Assiri Seleceudi e li bloccarono per un certo periodo. Va ricordato, ad onore degli Ebrei, che nel 71 d.C. a Masada, una roccaforte ebrea costruita da Erode il grande, gli ultimi irriducibili resistettero e nel momento in cui stavano per cedere, piuttosto che arrendersi ai romani, preferirono suicidarsi tutti, compresi donne e bambini. Uscirono vivi solo due donne ed alcuni bambini, al solo scopo di poter raccontare ai posteri come e perché si erano tutti suicidati. Ancora oggi in Israele, quando i militari entrano a far parte dell’esercito (Tshal), giurano con questa formula: “Mai più un’altra Masada”. Ci riprovarono più tardi sotto l’imperatore Traiano, anche questa volta sconfitti, ma non vinti per sempre. Ma fu sotto l’imperatore ADRIANO, nella prima metà del II° secolo d.C. (138 d.C., 887 dalla fondazione di Roma) che furono sconfitti definitivamente; iniziò la grande fuga, l’ultima diaspora che durò per 18 secoli. La Giudea ormai non esisteva più territorialmente, anche perchè l’imperatore Adriano impose il nome di Palestina a quella terra, e di Aelia Capitolina a Gerusalemme (vedi “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar). Nota: chi ispirò questa rivolta fu Akiba ben Yosef, rabbino noto per dottrina e saggezza al punto di essere chiamato “capo di tutti i saggi”. Ma a guidare militarmente la rivolta fu un certo Bar Kochba, letteralmente “figlio della stella” e, attraverso la profezia contenuta nei Numeri (24,17) “Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele”, fu individuato come l’ultimo “Unto” dal Signore, il Messia degli Ebrei. Infatti, da quella data succedono due cose importanti che caratterizzeranno per sempre sia l’ebraismo che il paleo-cristianesimo. Per gli Ebrei finisce l’era dei grandi sacerdoti (il Sinedrio) e con essi le sciagurate componenti millenariste apocalittiche del giudaismo che hanno portato al disastro per ben due volte il popolo in 70 anni, e nasce il “rabbinismo”, il quale liquida questa esperienza e si organizza in “sistema sapienziale”. Anche per il cristianesimo questo evento è una svolta: sancisce la sua definitiva uscita dalla prospettiva giudaica. Le comunità cristiane compiono questo ripudio, però non tutte. Secondo lo storico Remo Cacitti le frange che restano legate al giudaismo faranno da incubatrice alla nascita della terza grande religione monoteista, cioè l’Islam, e lo stesso profeta Maometto sarebbe stato educato dai giudeo-cristiani. Oggi gli Ebrei non sono più divisi in tribù, anche perchè di queste si sono perse le tracce; sono ancora divisi, ma in base alla loro provenienza. Infatti gli ebrei Falasha sono i provenienti dall'Etiopia, discendenti della tribù scomparsa di Dan; altri sostengono che siano i discendenti degli ebrei fuggiti in Egitto dopo la distruzione del primo tempio (586 a.C.); per altri ancora questa era la progenie di Salomone e della Regina di Saba. Gli ebrei Sefarditi provengono dalla Spagna; Sefarad, nome dal quale deriva l'aggettivo sefardita, è il luogo biblico identificato con il territorio iberico, dove già in tempi antichissimi, secondo una leggenda, si 93


sarebbero insediati alcuni ebrei dopo la caduta del secondo Tempio (70 d.C.); secondo altri ricercatori, i Sefarditi sarebbero ex-marrani (marrani erano definiti dai cristiani gli ebrei forzatamente convertiti al cristianesimo), i quali più tardi approdano ad Amsterdam, e vengono considerati gli ispiratori degli illuministi gentili. Infine gli ebrei Ashkenaziti,vissuti nell'Europa Orientale, sono i discendenti delle comunità ebraiche medievali della valle del Reno; Ashkenaz era infatti il nome della Germania in ebraico medievale. Dovunque risiedano oggi gli Ebrei, la maggior parte di loro considera l’A.T. solo il libro della loro storia e non la base della loro religione; solo una parte meno consistente lo considera ancora la base religiosa, ma con moderazione, cioè non si farebbe ammazzare per questa. Ma c’è una minoranza, organizzata anche politicamente e che è diventata l’ago della bilancia dei governi di destra in Israele, che è integralista e si considera ancora il popolo eletto da Yahwèh; continua a considerare “cani” in modo particolare tutti i palestinesi che vivono intorno, e sogna ad occhi aperti di ricostruire il tempio per la terza volta sull’altopiano di Sion, luogo che oggi è diventato la spianata delle Moschee. Un Rabbino ortodosso, alcuni anni fa, venne fuori con una tesi perfettamente compatibile con tutto il profilo religioso dei testi su descritti sostenendo che: “ il popolo ebreo è stato perseguitato e annientato in larga misura dal nazi-fascismo perché per l’ennesima volta il popolo di Israele aveva abbandonato le leggi di Mosè, pertanto Hitler e Mussolini erano solo gli strumenti con i quali il dio Yahwèh, il dio di Abramo aveva castigato per l’ennesima volta il suo popolo eletto”. Fu sommerso da una valanga di critiche dagli stessi Ebrei e non si fece sentire più in seguito. Non era il momento e il modo più propizio, anche perché l’ONU nel 1948 aveva concesso un pezzo di terra in Palestina, proprio perché si sentiva la coscienza sporca nei confronti di questo popolo denigrato e perseguitato da duemila anni in Europa, soprattutto da Spagnoli, Polacchi, Italiani e Tedeschi. D’altronde, va ricordato che intellettuali del calibro di Hans Jonas e Primo Levi avevano scritto frasi di questo genere: “O Dio non ha potuto fermare Auschwitz e allora non è onnipotente. O, se preferite, Dio non ha voluto, e allora non è infinitamente buono. In ogni caso è sconfitta quella volgata, cristiana e non solo, che pretende l’infinita potenza e l’infinita bontà di Dio. Il Dio è sconfitto ad Auschwitz. Dio è morto” ecc. --------------------------Il sottoscritto, se ha capito qualcosa del come sono stati scritti i testi biblici dai vari profeti, pensa che fra dieci, o forse cento, mille anni, se l’umanità continuerà ad avere bisogno delle religioni, nell’A.T. qualcuno troverà un altro libro profetico con il quale spiegherà i vari genocidi del popolo ebreo, giustificandoli appunto con lo stesso concetto del rabbino suddetto. È così che i profeti profetavano, “a babbo morto”. Tutte le volte che hanno tentato di parlare del futuro non ne hanno azzeccata neanche una. Vedere Isaia II°, 94


con il suo Emmanuele, il Messia, il quale, secondo la sua profezia, avrebbe dovuto sconfiggere l’Egitto dei Tolomei, ai quali, nel tempo in cui scriveva, Israele era sottomesso : “Le ricchezze dell’Egitto ed i guadagni degli Etiopici e i Sabei di grande statura passeranno a te e saranno tuoi, ti seguiranno, per servirti in catene e si prosterneranno a te, e ti supplicheranno dicendo: “veramente in te vi è un dio, e non c’è altro all’infuori del Signore” (Is. 45,14); e questa è una profezia che non si avvererà mai. Però continua in 60, 11: “Le tue porte saranno sempre aperte, non saranno chiuse né di giorno né di notte, affinché ti siano portati i tesori delle nazioni, e ti siano condotti i loro re. Anzi la nazione e il re che non ti vorranno servire periranno, le nazioni saranno interamente distrutte”. Poi parla a lungo sia del messia, sia di sua madre (7, 14-15): “ Ecco, la vergine che concepisce e dà alla luce un figlio e gli porrà il nome di Emmanuele (neanche il nome azzecca). Egli si ciberà di burro e miele, fino a quando saprà rigettare il male”; più avanti, in 49, 6: “Adunque mi disse il Signore, che dal seno materno mi ha formato per essere suo servo, per ricondurre a lui Giacobbe e per radunargli Israele”. “…e solo cinque città dell’Egitto si salveranno, una di esse si chiama la Città del Sole…” (questa “Città del Sole” verrà ripresa da Tommaso Campanella, come vedremo nella parte terza). Solo che, prima che venisse sconfitto l’Egitto dei Tolomei, già tre anni prima, nel 63 a.C., Israele era passato dai Tolomei Egizi ai Romani e nessun messia era ancora in circolazione. In realtà questo Isaia (che significa “salvezza del Signore”) è uno dei profeti più prolissi e molto citato; ma non ce la raccontano giusta coloro i quali hanno messo in successione questi libri; collocano Isaia intorno al 768 a.C., mentre, da quanto scrive si può notare che questa data è falsa, anticipata. Infatti, descrive dettagliatamente, dicendo che sta profetizzando su informazione del suo signore, la distruzione del tempio da parte di Nabucodonosor che è avvenuta circa nel 580 a.C. e cioè 200 anni dopo le sue profezie; poi dice che il signore si servirà di un re pagano (Ciro, re persiano), per sconfiggere Babilonia e liberare gli ebrei ecc. Ma ad un certo punto non ne azzecca più neanche una. E’ fin troppo evidente che le cose azzeccate erano già successe, mentre le profezie vere le sballa tutte, come la vittoria su tutti i popoli vicini. In ogni caso è certo che i futuri evangelisti pescano abbondantemente dal suo libro, sia in termini di linguaggio che di profezie. Ora, facciamo un volo di qualche migliaio di anni e incontriamo un altro profeta con le caratteristiche di Giosuè, il condottiero che riprese e valorizzò l’A.T., ma lo usò contro gli stessi Ebrei, un certo Mohammad, da noi meglio conosciuto come Maometto. Ma ancora una volta, anche con Maometto si parla e si scrive “a babbo morto”, come era capitato con Gesù di Nazareth; infatti il Corano nasce nel 650 per volontà del Califfo Utman e viene scritto da un gruppo di amanuensi, circa 20 anni dopo la morte del profeta. Inevitabilmente si finisce con lo scrivere ciò che più fa comodo in quel momento al potente di turno. Ciò che è stato scritto e fatto in nome di questi due personaggi suddetti (Gesù e Maometto) ha avuto a che fare talmente poco con il trascendentale, che Goethe, il quale non simpatizza certo con dèi e demoni, dedica un inno a 95


Maometto di questo tenore: “ Ed ecco, ancora più splendido/ si gonfia, un popolo intero/ innalza il suo principe/ e nel fluente trionfo/ dà nome a terre,e città/ nascono sotto i suoi passi./ Inarrestabile avanza, alle spalle/ si lascia palazzi di marmo/ e vette raggianti di torri/ che il suo vigore ha creato”. Insomma, loda il condottiero, il liberatore del suo popolo, non certo il profeta, come altri vorrebbero. Gli amanuensi del corano, invece, cominciano a dire che dio si manifestò per mezzo dell’angelo Gabriele, il quale dettò il libro a Maometto nella caverna di Hira, ripetendoglielo per ben tre volte in modo che lo mandasse a memoria, dato che non sapeva né leggere né scrivere, anche lui come Gesù. E così, malgrado tutti e due avessero sempre sconsigliato di scrivere sul loro conto, gli scribi irrefrenabili scrissero ciò che vollero, in modo abbondante e contraddittorio. Leggiamo qualche passo del Corano: “Questo è il libro della certezza assoluta da Dio dato ai virtuosi come loro guida”, naturalmente anche questo ispirato da dio, dettato dal solito angelo Gabriele (quest’angelo è un po’ ruffiano, circa sei secoli prima era andato da Maria, madre di Gesù); così inizia la Sura aprente (ce ne sono 114, l’ultima è la Sura degli uomini). Ma poi abbondano versetti di questo tipo: “Uccideteli ovunque li incontrate e cacciateli via da dove essi hanno cacciato voi. Se però i vostri nemici depongono le armi, allora anche voi deponetele e perdonate loro. Dio, infatti, è il clemente misericordioso!” (Sura della vacca, 191-192). Da sottolineare che il Corano condanna senza mezzi termini chi si macchia dell’uccisione di un innocente. Pertanto i Kamikaze vanno in paradiso se uccidono chi li combatte, ma finisce all’inferno chi uccide un innocente: lo stabilisce la legge del Corano. In ogni caso, anche nel Corano le contraddizioni abbondano, anche in questo testo si sostengono tesi e il loro contrario. Un’altra dimostrazione di scribi maldestri, o di dèi incoerenti? A proposito, consiglio di leggere “Quando abbiamo smesso di pensare?”con sottotitolo: “Un’islamica di fronte ai problemi dell’Islam” di Irshad Manji. Parentesi: questa invocazione alla guerra santa è cosa moderata se la confrontiamo con quelle cristiane in occasione delle Crociate che iniziarono nel 1098 (come vedremo nella parte terza); la propaganda del clero cristiano nell’organizzare e incitare alle crociate suonava così: “Uccidendo l’infedele non si commette un maleficio ma un malecidio, cioè si uccide il male, quindi è un bene; perciò massacrate l’infedele, Dio lo vuole!” (S. Bernardo di Chiaravalle, “dottore” della chiesa, detto anche dai suoi detrattori, “doctor mellifluus”). Dalle parole ai fatti: il francese Goffredo di Buglione con il cugino Baldovino, l’italiano Tancredi e tutto il codazzo di cavalieri, Maltesi, Teutonici, Spedalieri, eseguirono delle vere carneficine, persino smembrando i bambini e spargendone le parti per ogni dove; furono massacrati circa 40.000 ebrei e musulmani (15 luglio del 1099) che convivevano pacificamente in Gerusalemme (da Le Crociate e il Regno di Gerusalemme, di Georges Bordonove, e Antistoria degli Italiani, con sottotitolo Da Romolo a Giovanni Paolo II” di Giordano Bruno Guerri, ed. Mondadori). Ecco come T.Tasso. nella sua “Gerusalemme Liberata” la racconta a conclusione della carneficina appena consumata: “Preso è repente e pien di strage il vallo, / corre di tenda in tenda il 96


sangue in rivi, / e vi macchia le prede e vi corrompe / gli ornamenti barbarici e le pompe/. Né pur deposto il sanguinoso manto, / viene al tempio con gli altri il sommo duce; / e qui l’arme sospende, e qui devoto / il gran Sepolcro adora e scioglie il voto”. Chissà cosa avrà pensato di lui Gesù di Nazareth! I Templari erano coloro che dovevano custodire il tempio di Gesù, aiutare il regno di Gerusalemme e garantire la sicurezza a tutti i pellegrini europei che visitavano i luoghi sacri. Questo ordine cavalleresco fu istituito negli anni 1118-‘19, subito dopo la prima crociata, e ufficializzato il 29 marzo 1139 con la bolla pontificia Omne optimum. Il primo Gran Maestro dell’Ordine del Tempio di Salomone fu Hugues de Payns (1118-1136), e l’ultimo Jacques de Molay (1292-1312). Ma questi, alla lunga, si rivelarono integralisti, fino al punto che la stessa monarchia di Gerusalemme, mentre regnava il re Baldovino, detto anche il “re lebbroso”, fece impiccare molti di questi templari. Infine, in Francia il re Filippo IV il Bello nel 1307, con l’accusa di eresia, sodomia e idolatria, fece arrestare tutti i Templari e incamerò le loro enormi ricchezze. Parafrasando Dante, possiamo dire con lui: “ben dovrebb’esser la loro man più pia/ se state fossero anime di serpi” (Inf. XIII, 38-39). E questo valga come “viatico” per quanti, credenti e non, leggeranno o ri-leggeranno la bella poesia della Gerusalemme liberata di T. Tasso. Di crociate se ne contano otto, per fortuna non tutte con lo stesso esito; ma sorvoliamo. Riprendiamo in mano il Corano. In 70 Sure s’inneggia alla guerra santa, a combattere sulla via di dio, con la garanzia che, se moriranno combattendo, andranno in paradiso (menzionato 61 volte). E che paradiso possono sognare genti che vivono nel deserto dell’Arabia Saudita sotto tende, con caldo insopportabile, con acqua scarsa sporca e calda? Ecco: “Sono ad essi riservati Giardini nei quali scorrono Freschi Ruscelli e all’ombra dei suoi alberi. Ivi avranno spose purissime e sarà la loro eterna dimora nella grazia del loro signore.” Ah, furbacchioni di scribi! In realtà, nel Corano un miscredente ci troverà, a parte tutte le farneticazioni sulla guerra santa, anche un codice civile, un codice penale e un codice di guerra, il tutto ispirato da Allah attraverso il solito angelo Gabriele, ad uso e consumo dei soliti poveri di spirito. Questo Maometto, del quale il laico Goethe esalta le gesta, il pio Dante invece lo infila nella nona bolgia dell’inferno insieme a tutti i seminatori di scandali e di scismi, in stretta compagnia di Alì suo genero, sposo della figlia Fatima; ce lo descrive spaccato dal mento fino all’ano, con le viscere che gli pendono tra le gambe. Dante lo fissa e gli fa dire: “…Or vedi com’io mi dilacco!/ vedi come storpiato è Maometto!/…”(Inf. XXVIII). Io aggiungo: vedete la differenza tra l’animo di un laico, come Goethe, e quella di un pio, come Dante? ( e non venite a dirmi che cito Dante “a sproposito”, o “secondo il vento che tira”) Ritornando alla Bibbia si può affermare, senza paura di essere smentiti, che il principio fondamentale che ha ispirato questo libro è costituito dal pensiero e dallo stato d’animo del profeta e del sommo sacerdote di turno. Sentite questa: “ Il bue 97


conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone. Israele invece non comprende, il mio popolo non ha senso” (Eccles. 1,3). Come dire: non sono abbastanza asini. Ma la scienza non è a portata di mano degli affamati, dei perseguitati, dei disgraziati in generale, quindi è gioco facile per il sommo sacerdote, o per il profeta, affibbiare loro tutto il peso del peccato, e perciò il castigo di essere disgraziati (il cane si morde la coda anche qui).“ Il sacerdote conosce solo un pericolo per sé, la scienza, con la sua fondamentale nozione di causa ed effetto” (Nietzsche). Il “timore di dio” è il piedistallo sul quale poggiano tutte le loro tremende farneticazioni. E anche Dante sembra adeguarsi a questa direttiva divina quando colloca Ulisse nell’inferno e gli fa confessare i gravi errori commessi in vita, cioè aver osato sfidare la conoscenza, quindi la scienza fin lì acquisita, con i suoi limiti posti dalle Colonne d’Ercole: “Vincer potero dentro a me l’ardore/ ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto/ e de li vizi umani e del valore” (XXVI,97-99). L’ardore di Ulisse a Dante risulta profondamente distorto, in quanto il fine cui è rivolto è peccaminoso. Per Dante, coerentemente con la teologia della chiesa, tale ardore ha un fine puramente terreno e disconosce le virtù teologali, fede speranza e carità. Altro grande peccato, l’astuzia; se l’intelligenza non è posta al servizio della fede “son cavoli vostri”;“…d’i nostri sensi ch’è del rimanente/ non vogliate negar l’esperienza,/di retro al sol, del mondo sanza gente./ Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste per viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza”(115-120). Malgrado questa buona difesa d’Ulisse, Dante fa capire che la ragione senza grazia non concede alcuna possibilità di salvezza. Però Virgilio, il suo maestro (“quella fonte/ che spande di parlar sì largo fiume”), anche lui pio nei confronti degli dèi dell’olimpo, si permetteva qualche critica nei loro confronti: “O mente ignara e misera dei vati!/ Al suo furor che giovan templi e voti (Eneide, IV,98-99). Qui Ulisse non viene condannato per i massacri che combina fuori e dentro le mura di Troia, nè tanto meno per la strage dei pretendenti locali al suo trono (i Proci), una volta giunto a Itaca; no! solo perché non era ispirato dal dio giusto, checché ne dicano altre interpretazioni. No, Dante! Meglio il genio del paganesimo, più tollerante, più democratico! ---------------------------------Prima di chiudere questa prima parte, è d’obbligo una lunga considerazione. Centinaia di ricercatori, archeologi, studiosi, che si sono interessati della storia del Medio Oriente, descrivono questo popolo, ebreo o israelita, come il più pacifico o il meno guerrafondaio tra i popoli che si sono succeduti in quelle regioni; mentre i vari scribi e profeti con la bibbia vogliono farci credere che ha combattuto e massacrato interi popoli vicini. Nella realtà è avvenuto esattamente il contrario: è stato il popolo più massacrato e deportato. Anche il loro dio Yahweh, che lo si dà da sempre esistito e viene descritto cattivo vendicativo e geloso del suo popolo, in realtà è stato definito così dai profeti del VII° e V° secolo a.C.(come abbiamo già visto). Invece, da siti archeologici e documenti rinvenuti, salta fuori un Yahwèh tranquillo, che si lasciava confondere con altri dèi, che risultava persino in compagnia 98


di una donna dea, una certa paredra Asherah. Non ci credete? Si può andare a constatare di persona a Kuntillet ‘Ajrud, una fortezza nel deserto del Sinai; sull’intonaco del muro parietale si possono ancora leggere invocazioni di questo tipo: “ti benedico per Yahweh di Samaria e per la sua Asherah”; e ancora, a Khirbet el-Qom: “sia benedetto Uriyau da Yahweh e dalla sua Asherah, dai suoi nemici l’ha salvato” ecc. Perché, allora, si sono auto-descritti così cattivi? Sembra di trovarsi di fronte alla “sindrome del nano”, che per sembrare più alto si costruisce le scarpe con tacchi più alti, o per cercare di porre freno alle continue sconfitte si costruisce un volto, una maschera da cattivissimo, con un dio potente che lo protegge. Oppure è valida la tesi dell’ultimo studioso (in termini cronologici) del Medio Oriente, il nostro Mario Liverani, secondo il quale tutte le storie inventate non erano altro che delle metafore per spiegare ed incidere sulla necessità di rioccupare quei territori che erano stati costretti a lasciare quando erano stati deportati dai Caldei. Quindi un popolo debole e, in conseguenza di ciò, pacifico, ma con una religione cattivissima finisce con il dover fare i conti con dei popoli cattivissimi con una religione relativamente pacifica, cioè i cristiani: diciannove secoli di diaspora, di massacri, di persecuzioni, ad opera dei cristianissimi gentili, che culmina con l’aberrante e mai abbastanza denigrato regime nazi-fascista, che sogna la totale sparizione di questo popolo attraverso un massacro di una portata tale che supera tutte le persecuzioni precedenti messe insieme. Un’altra teoria, che ha una valenza più scientifica, è quella che ci fornisce P. G. Odifreddi (già incontrato; ha studiato matematica in Italia, Stati Uniti e in Unione Sovietica, e insegna Logica Matematica presso l’Università di Torino e di Cornell) nel suo libro “I vangeli secondo la scienza. Le religioni alla prova del nove”. La sua tesi, in estrema sintesi e con mie parole, è la seguente: il carattere degli dèi, quindi la religione che ogni popolo si inventa, è determinato dall’ambiente nel quale si trova ad operare e vivere; più duro è l’ambiente, e di conseguenza la lotta per la sopravivenza, e più duri e cattivi immaginano i loro dèi: dèi e religioni monoteiste e rigide nel duro deserto del Medio Oriente, politeismi e dèi tolleranti là dove la natura è più abbondante e generosa, come in Estremo Oriente. Insomma, non solo tutti gli esseri viventi sono stati plasmati fisicamente dall’ambiente e dalle condizioni climatiche, ma addirittura queste hanno influito in modo determinante anche nell’evoluzione del pensiero. Comunque, a un popolo così denigrato, perseguitato, massacrato, non si può non voler bene, anche perchè ha fornito le più lucidi menti umane, da Spinoza a Einstein (per citarne solo qualcuno), senza contare i più grandi rivoluzionari. Ma ora sono preoccupato: rischiano di diventarmi antipatici. Se questo brutto libro (l’A.T.) è stato alla base della lotta per la loro sopravvivenza come popolo, ora rischia di diventare per loro stessi il motivo di nuove disgrazie. Troppo garantiti oggi, troppo coperti dal nuovo e più micidiale degli imperi (U.S.A.), e si profila il rischio che prendano nuovamente troppo sul serio i loro antichi profeti e finiscano con il credere che “Yahwèh lo vuole, e guai a chi si oppone!” 99


Io auguro che sappiano fermarsi in tempo, e che siano sconfitti i nuovi apocalittici profeti; imparino a condividere insieme con altri un lembo di terra fin troppo insanguinata, malgrado si continui a definirla “terra santa”. A questo punto possiamo dire che se è vero che una religione guerrafondaia con un dio razzista e violento come quello dell’A.T. ha tenuto comunque tranquillo un popolo come gli Ebrei, e una religione pacifista con un dio più ragionevole come quello del N.T. ha reso guerrafondai i cristiani, si può ragionevolmente pensare che la grandezza o meno di un popolo non è mai tratta dal fondamentalismo religioso, ma dal pragmatismo, che ne è in realtà il contro-altare e l’assoluta negazione della religione stessa. Meglio per l’umanità se un giorno i popoli sapranno leggere le loro origini religiose come oggi i Greci leggono l’Iliade di Omero che assegnava loro una “progenie semidivina”, o come noi leggiamo l’Eneide di Virgilio che garantiva “il gentil seme” all’impero romano, e cioè solo come ottima letteratura classica e nient’altro: quel giorno l’umanità avrà fatto un bel balzo in avanti, ed io, che appartengo a questa razza umana, avrò solo di che rallegrarmi. Ritengo doveroso sottolineare che, malgrado questa mia analisi epidermica e un po’ blasfema, non sono mai stato anti-semita, ma sempre anti-sionista, se per Sionismo si intende, come presso alcuni circoli integralisti ebrei, conquistare tutta la Palestina col ferro e col fuoco come fece Giosuè, e ricostruire il tempio a Yahwèh sulla collina di Sion, ora divenuta la “spianata delle moschee”. Infine voglio ricordare lo storico Philip Roth che così sentenzia sul sionismo, nel suo libro “Operazione Shylok”: “il sionismo fu una grandissima forza, ma dopo essere riuscito a ridare la salute agli Ebrei si è tragicamente rovinato la sua”. No a questo sionismo; sì ad una Patria per gli Ebrei , ma anche una Patria per i Palestinesi, i quali non si sono macchiati, nel corso di questi duemila anni, di massacri contro gli Ebrei, come invece hanno fatto altri. --------------------------Ho voluto sintetizzare in “quattro parole” la mia opinione su questo “libro dei libri” con la presunzione di agevolare voi, miei pochi lettori (figli, nipoti, amici), nel farvi evitare la valanga delle sante menzogne che investe l’umanità. Altri hanno condotto ricerche scientifiche con le quali hanno dimostrato che “è l’uomo che ha creato il suo dio a sua immagine e somiglianza e non viceversa”. (Feuerbach). Ed è di una chiarezza solare anche il fatto che l’esigenza trascendentale delle masse è sempre stata utilizzata dal potere di turno; e fu così che la religione divenne il più utile strumento, la più micidiale clava con la quale imporre l’ordine sociale voluto dal potere, e la salvezza post-mortem divenne sacrificio, sfruttamento, sottomissione a vita.

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Concludo su questo Yahwèh, su questo Dio dell’Antico A.T., lasciando parlare il grande Goethe; ecco cosa scrive nell’ ”Inno a Prometeo”: “Copri il tuo cielo, Giove,/ col vapore delle tue nubi!/… Chè nulla puoi tu/ contro la mia terra,/ contro questa capanna,/ che non costruisti,/ contro il mio focolare,/ per la cui fiamma tu/ mi porti invidia. Io non conosco al mondo/ nulla di più meschino di voi, o dèi./ Miseramente nutrite/ d’oboli e preci/ la vostra maestà/ ed a stento vivreste,/ se bimbi e mendichi/ non fossero pieni/ di stolta speranza./… Io renderti onore? E perché?/ Hai mai lenito i dolori/ di me ch’ero afflitto? Hai mai calmato le lacrime/ di me ch’ero in angoscia?/…Io sto qui e creo uomini/ a mia immagine e somiglianza,/ una stirpe simile a me,/ fatta per soffrire e per piangere,/ per godere e gioire/ e non curarsi di te,/ come me.” ; “Anima dell’uomo,/ come somigli all’acqua!/ destino dell’uomo,/ come somigli al vento!”. E parafrasando Cecco Angiolieri, dico con lui: “S’i’ fosse foco, lo arderei;/ s’i’ fosse vento lo tempesterei;/ s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei./ S’i’ fossi Gaetano, com’i’ sono e fui,/ vivrei con dignità questa vita,/ e l’altro mondo lascerei altrui”.

Fine della prima parte

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PARTE SECONDA: ovvero:

NUOVO TESTAMENTO l’invenzione del “Figlio di Dio”

PREMESSA. Immergendosi nella lettura del Nuovo Testamento si ha subito una strana sensazione, come quando, sdraiati su un prato, si osservano le nuvole primaverili che passano leggere e senza traumi atmosferici sulla nostra testa. Secondo le predisposizioni di ognuno, tra le nuvole si possono osservare strane e multiple immagini: un angelo o magari un bombardiere nella stessa figura, un volto di una donna bellissima che si trasforma subito in un mostro. Insomma tutto e il contrario di tutto si può osservare se ci lasciamo andare alla fantasia; più forte è la fantasia in ognuno di noi, più immagini si possono osservare e gustare. Se invece le nuvole le osserva qualcuno che non vuol concedere nulla alla fantasia, allora riesce solo a pensare agli elementi atmosferici, non vede e non gusta le cose che hanno visto altri; e peggio per lui! Quindi, peggio per me che sono un materialista e non mi sono lasciato andare a fantasie, non riuscendo così a gustare tutto ciò che gli altri hanno gustato e visto in questo libro. Ma io ho visto e constatato cose che ad altri sono sfuggite: ho visto, per esempio, che i vangeli sono come il mare dove c’è un’infinità di pesci e ognuno, volendo, può pescare ciò che preferisce, se si è dei buoni pescatori e si è in grado di attrezzarsi con l’esca e l’amo giusti. Ritengo doveroso chiarire subito che farò un’operazione di questo tipo, e tenterò, a modo mio, di dimostrare l’inconsistenza del divino in Gesù (molti lo hanno fatto prima di me, ognuno a modo suo), e lo spessore invece notevole dell’uomo riformatore della sua stessa religione, senza la pretesa di farla passare per verità assoluta. Sono certo che, se un altro discreto pescatore vuole dimostrare l’esatto contrario di quanto sostengo io, non siano necessari grandi sforzi per confutare la mia interpretazione e costruirne un’altra; però sarà opportuno che ignori i miei appunti e si faccia eventualmente aiutare da Il genio del cristianesimo di Chateaubriand: è convincente per chi ne ha bisogno, è utile per chi vuole costruire una contro-tesi a questa mia analisi. E…buon lavoro! Chi crede invece alle “verità rivelate” non apprezzerà questo gioco, anche perché gradirà sempre la sua versione costruita sui dogmi, e non è male se la terrà per sè e non cercherà mai di imporla ad altri, come è accaduto nel passato e accade tuttora. Voltaire diceva: “Io non sono d’accordo con le vostre idee, ma mi batterò fino alla morte affinché voi possiate dirle”; appunto, “dirle” , non imporle. --------------------Un certo YEHOSHUA ben Yoseph, da noi conosciuto come GESÚ di Nazareth, successivamente definito Cristo o Messia, quasi sicuramente deve essere esistito. A mio avviso aveva solo l’ambizione di fare, anche lui, il profeta, com’era molto diffuso nel mondo ebraico in quel tempo; ma intorno a lui si è creato un mito 102


appena morto ucciso, e più tardi è stato divinizzato per interessi inconfessabili da parte degli interessati, i suoi stessi apostoli; ma noi li smaschereremo, loro malgrado. Sui Vangeli e i quattro evangelisti è importante notare subito che i nomi usati per indicare gli autori di questi testi non corrispondono a persone fisiche, bensì a scuole di pensiero dottrinale, e cioè si fa riferimento a particolari tradizioni religiose già presenti. In altri termini, sono stati i racconti verbali, sulla base del sentito dire, a formare i vangeli e non viceversa. Infatti, è dimostrato che nessuno dei veri redattori dei vangeli è stato testimone diretto degli eventi narrati. Alcuni studiosi di cristologia sono arrivati a sostenere che il Nuovo Testamento non è nient’altro che una critica dell’Antico Testamento, tesa a rendere evidente che Gesù porta a compimento il grande disegno di salvezza dispiegato da Dio in tutta la Bibbia. Infatti, gli scritti del N.T. fanno spesso riferimento alle scritture dell’A.T., la Bibbia degli ebrei, allo scopo di rendere evidente che la buona novella era già presente, pur se in forma nascosta, proprio in quei testi antichi, soprattutto nei profeti. Così legano “l’Israele restaurato” del profeta Ezechiele alla “Gerusalemme Celeste” dell’evangelista Matteo, et voilà, Gesù diviene il Messia. Si afferma che Gesù di Nazareth è morto sulla croce perché voleva bene a tutta l’umanità! Balle! Amava chi lo seguiva e a questi prometteva il paradiso; odiava chi lo snobbava e a questi garantiva l’inferno o geenna, o ades, o sceol (la geenna, a differenza degli altri termini, è un fatto concreto e visibile: è il posto in cui si buttavano tutti i rifiuti della città di Gerusalemme, fuori dalle mura, e che veniva alimentata anche con lo zolfo affinché bruciassero le immondizie), e avrebbe pianto per l’eternità con “stridor di denti”. Sentiamo Dante come descrive l’ inferno: “ove udirai le disperate strida,/ vedrai li antichi spiriti dolenti,/ ch’a la seconda morte ciascun grida. / Quivi sospiri, pianti e altri guai/ risonavan per l’aere sanza stelle,/ per ch’io al cominciar ne lacrimai./... facevano un tumulto, il qual s’aggira/ sempre in quell’aura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira./” (Inf, III, 16-30). Qui sembra di capire che c’è un dio che è molto più cattivo di qualsiasi uomo cattivo che sia mai vissuto sulla terra; un castigo è comprensibile, ma se questo diventa senza fine e per l’eternità, è sicuramente qualcosa di mostruoso che solo dei pii sacerdoti potevano inventare. I cattocomunisti e i cattolici della “Teologia della Liberazione ”, ai quali va tutta la mia simpatia malgrado le considerazioni sui testi qui di seguito riportate, sostengono che Gesù di Nazareth aveva fatto una scelta di classe a favore dei poveri e contro i ricchi, e a sostegno di questa tesi citano: 1) il “Discorso della montagna”(Matteo, 5, 1-12): “Beati i poveri di spirito… gli afflitti... i miti... chi ha fame e sete... i misericordiosi... i puri di cuore… i pacificatori... i perseguitati... e beati sarete voi, quando vi oltraggeranno e perseguiteranno, e falsamente diranno di voi ogni male per cagion mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”. Già, il cielo! Sentiamo nuovamente il nostro Dante: “Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo,/ cominciò, Gloria!’, tutto ‘l paradiso,/ sì che m’inebriava il dolce canto./ Ciò ch’io vedeva mi sembrava un riso/ de l’universo; per che mia ebbrezza/ entrava per 103


l’udire e per lo viso./ Oh gioia! Oh ineffabile allegrezza!/ oh vita intègra d’amore e di pace!/ oh santa brama sicura ricchezza!”(Par, XXVII, 1- 9). Chissà che noia, dopo qualche milione d’anni! Ma il discorso di Gesù, cosiddetto “della montagna”, può indurvi in errore. Persino nell’A.T. si possono leggere frasi di una tale bellezza, come “ama il prossimo tuo come te stesso” contenuta nel Levitico (19,18); ma se avete stomaco sufficiente per andare avanti nella lettura, scoprirete (in 20,1-21) : a) che questo amore deve essere riversato solo tra i componenti dello stesso popolo ebraico, mentre il resto dei popoli non ebrei devono essere considerati dei “cani”; b) che fra il popolo stesso degli Ebrei chi non ubbidisce e non rispetta la legge deve essere ucciso. Questa legge viene dettata da Yahwèh a Mosè: “tu dirai ai figli d’Israele...osservate dunque le mie leggi e mettetele in pratica; chi lavora il sabato venga ucciso; chi bestemmia il mio nome venga messo a morte; chi commette adulterio il suo sangue deve essere versato; chi si unisce carnalmente con parenti deve essere messo a morte; se un uomo giace con un altro uomo messi a morte tutti e due, ecc. Come dire: ama il prossimo tuo come te stesso solo se il tuo prossimo è proprio come te, se no uccidilo! Che sforzo! Le peggiori “bestie” umane sanno amare fino a questo punto. Invece il vero sforzo che l’uomo deve fare è imparare a non odiare il resto dell’umanità, indipendentemente dalla lingua, dalla nazionalità, dalla religione, dal colore della pelle. Questo giusto e opportuno obiettivo, nell’interesse dell’umanità, non lo raggiunge neanche il “nostro” Gesù; infatti lui si rivolge ai poveri di spirito, ai perseguitati, agli umili, agli afflitti, e garantisce che grande sarà la ricompensa nei cieli, mentre per gli altri...; leggiamo il passo successivo: 2) il “giovane ricco” (Matteo, 19, 20-29): qui si racconta di un giovane ebreo ricco che vuole proprio essere certo di salvarsi e chiede a Gesù cosa deve fare per essere a posto con le esigenze del dio dei patriarchi, che evidentemente attraverso Gesù mandava le ultime direttive. Gesù, oltre a spiegargli le varie imposizioni della legge, ne aggiunge una tutta nuova alla quale il giovane ricco trova problematica l’adesione: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quanto hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi”. “Ma il giovane, udite queste parole, se ne andò via rattristato, perché aveva molti beni.” E Gesù disse ai suoi discepoli: “In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Sì, ve lo ripeto: è più facile che un cammello entri per la cruna di un ago, che un ricco nel regno dei cieli”. Infine, conclude su questo passo in termini inequivocabili e molto rivoluzionari dal suo punto di vista: “chiunque avrà lasciato case ,o fratelli,o sorelle ,o padre, o moglie, o figli, o campi, per il mio nome, riceverà il centuplo, e avrà la vita eterna.” Queste storielle del “giovane ricco” insieme a “Il ricco Epulone” e “Il ricco stolto”, (Luca,12, 16-21), diventerà un tormentone per tutti i padri della chiesa, e lo vedremo nel prossimo capitolo. In quest’ultimo passo che ho citato si riscontrano alcune caratteristiche degli ESSENI; questi erano una setta eretica per gli ebrei ortodossi, ed era nata intorno al 150 a.C.. I Farisei, invece, erano per una stretta osservanza dell’ortodossia; infatti obbedivano alla legge (Torah) e rispettavano con tale rigore i precetti e i riti che si attireranno addosso l’accusa di conformismo fino al punto che verranno indicati come 104


ipocriti. I Sadducei rappresentavano l’aristocrazia sacerdotale e si caratterizzavano per una interpretazione arcaizzante della legge. Gli Zeloti, infine, erano rigidamente anti-imperialisti e combattenti contro i Romani, a volte uccidevano anche i collaborazionisti ebrei troppo tolleranti nei loro confronti; poi c’erano i Battisti, gli Erodiani, i Samaritani, i Terapeuti. Queste le tendenze religiose ai tempi di Gesù. Dedichiamo un po’ di attenzione a questi Esseni, perché è da questa setta che Gesù prende molti spunti per la sua dottrina. Filone, un loro contemporaneo, ce li descrive diversi dal resto degli ebrei; si consideravano puri, il mondo per loro era impuro e bisognava evitare la contaminazione di questo mondo: una specie di Albigesi del XII secolo o di Anabattisti del XVI. Vivevano in comunità ; consideravano tutti i rapporti sessuali, anche quelli all’interno del matrimonio, come una contaminazione; persino la direzione in cui sputavano era molto importante, ed evitavano persino di evacuare durante le ore del giorno e guai a loro se lo facevano durante il giorno di sabato (non ci dicono come se la cavavano quelli colpiti da diarrea). Di tutta questa purezza a Gesù non importa niente, anzi la denigra, mentre invece resta colpito dal loro modo di disprezzare la proprietà privata e i beni di questo mondo. 3) La “cena di Betania” (Marco,14,4-8); “gli apostoli s i scandalizzano per lo spreco di nardo puro che ne stava facendo una donna a vantaggio di Gesù che gli stava spalmando addosso, e così dissero: A che pro, tanto spreco di profumo? Si poteva, infatti vendere questo unguento per più di trecento denari e darli ai poveri. Ma Gesù disse: lasciatela fare; perché le create delle noie? Una bell’azione ha compiuto verso di me. I poveri, infatti, li avrete sempre con voi, e potete far loro del bene quando volete, mentre non avrete me per sempre”. Quindi, i poveri ci saranno sempre, e sembra dirci che ci sono apposta, per poter far loro del bene di tanto in tanto. E’ chiarissimo che non sta proponendo una ridistribuzione del reddito, per dirla in termini moderni, come propone una certa politica di sinistra, ma sta dicendo molto più semplicemente che per chi ha poco o niente è facile rinunciare a tutto e seguirlo, mentre per chi ha tanto è molto difficile che ci rinunci. Infine, ci informa che i poveri non devono sparire dalla terra, se no non c’è più il gusto dell’elemosina: quindi, cose, case e famiglie sono solo pietre d’inciampo nel tentativo di raggiungere il regno di dio. Più chiaro di così? Altro che lotta di classe! Questo Gesù ti consiglierebbe di licenziarti dal lavoro e seguirlo, e magari rinunciare anche al T.F.R. o al massimo darlo ai poveri! Però, i poveri e gli affamati li aveva già messi in conto, infatti, con le moltiplicazioni di pani e pesci tutte le volte che si presenta la necessità, il problema lo risolveva a piè di lista. 4) - “Prima moltiplicazione dei pani” (Matteo,14,13-21); con cinque pani e due pesci riuscì a dar da “mangiare a cinquemila uomini, senza contare donne e fanciulli”; come dire 12mila circa, in tutto. - “Seconda moltiplicazione dei pani”( Matteo 15,29-39); questa volta i pani sono “sette e pochi pesciolini”. “Or quelli che avevano mangiato erano circa quattromila uomini, senza contare le donne e i fanciulli”. Insomma, contando tutti doveva trattarsi di circa 10mila persone; non sembra anche a voi una esagerazione?

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Poi, chissà perché i testimoni di tali eventi, evangelisti o chi per loro, non si prendevano il disturbo di contare nè le donne nè i bambini. 5) l’ “amore cristiano” (Matteo, 6, 11); “E se vi fosse in qualche luogo gente che non vi ricevesse, né vi ascoltasse, partitevi di là e scuotete la polvere di sotto i vostri piedi, perché ciò serva di testimonianza contro di essa. Io vi dico in verità che il giorno del giudizio Sodoma e Gomorra saran trattate con meno rigore di quelle città” (da ricordare che le due città furono rase al suolo e i suoi abitanti quasi tutti annientati). Dato che non si accenna se si tratta di una casa di poveracci o di ricchi, è evidente che, per chiunque non segue i suoi insegnamenti e non ascolta i suoi discepoli, ci sarà la condanna eterna(“dies irae, dies illa”, tradotto in gergo: “ ca…i acidi, quel giorno!”). Sempre sullo stesso tema sentiamo Giovanni (15, 9-17): “Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi....Voi siete miei amici, se farete quello che vi comando. Non vi chiamo più servi, perchè il servo non sa quel che fa il padrone;.....Non siete voi che avete eletto me, ma io ho eletto voi e vi ho destinati, perchè andiate e portiate frutto, e il vostro frutto sia duraturo....”. Leggendo questo passo, mi venivano in mente le decine di “padroni” per i quali ho lavorato: anche loro ti volevano tanto bene se riuscivi a mantenere i ritmi di produzione che essi stessi avevano deciso; ma se non ce la facevi, t’invitavano subito ad andar “fuori dalle palle”. E fin qui abbiamo solo smontato la tesi di chi vuole un Gesù di Nazareth schierato con il proletariato e il “lumpenproletariat”. Una costante che emerge dal N.T. sono i riferimenti agli antichi profeti: tutto ciò che dice, o gli fanno dire, tutto ciò che fa, o gli fanno fare (a questo Gesù), è in funzione di precise cose dette da questo o quel profeta, sancite già nell’Antico Testamento. Per comprenderne la trama è necessario partire dallo spirito dell’A.T., infarcito di profeti che spuntano come funghi in ogni dove, ai quali, quando si sono limitati a “profetare a babbo morto”, in linea di massima è andata bene; quando invece hanno cercato di dare delle indicazioni ai potenti di turno, e questi non hanno gradito, sono stati trattati come falsi profeti ed uccisi senza tanti scrupoli (un esponente dell’impero romano, che era vissuto a lungo in Palestina tra gli Ebrei, scrisse: “in Palestina se sposti un sasso salterà fuori uno scorpione o un profeta”; nella tradizione ebraica, tutti coloro che erano in grado di saper leggere, o di tenersi informati un po’, si improvvisavano profeti.) E Gesù di Nazareth era uno di questi; gli è andata male perché ha profetato “a babbo vivo”; come suo cugino Giovanni Battista, figlio di Elisabetta e di Zaccaria, che fece una terribile morte perché le “cantò di brutto” a Erode per via di certi rapporti sessuali sconvenienti per la legge di Mosè, e questi gli fece tagliare la testa. Invece, agli apostoli sopravvissuti è andata bene. E cominciarono subito a farlo passare non soltanto come un profeta, ma addirittura come Figlio di Dio. Per ottenere questo risultato parlarono e sparlarono a lungo; ma loro non scrissero nulla, sia perché non sapevano scrivere, sia perché il loro maestro lo aveva proibito, convinto com’era che “…alcuni di questi che son qui presenti, non moriranno senza aver visto 106


il regno di Dio venir con potenza”(Marco, 9,1); oppure, “pentitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Matteo, 4, 17). E questa fu una profezia errata; ma si sa, un profeta più resta nel vago più possibilità ha di non essere smentito; se invece vuole essere dettagliato è fregato (gli oroscopi sono scritti bene: dicono tutto senza dire niente, e ci sono sempre gli scemi che vi si identificano). Uno spunto importante, per farlo passare come figlio di Dio, gli evangelisti lo trovano nei MIRACOLI: prima quelli di Gesù, e furono tanti, alcuni seri, altri buffi; poi ci furono i loro miracoli, dopo che ricevettero lo Spirito Santo qualche settimana dopo la morte del loro maestro. “A quei tempi tutto il mondo era dominato dalla superstizione e da fedi apocalittiche. Fiorivano i culti iniziatici, la magia e la mantica; …dappertutto e universalmente vigeva la fede nella venuta di una qualche divinità. Vagabondavano per ogni contrada dell’Impero romano saggi posseduti da Dio, visionari, guaritori… che predicavano e operavano miracoli, tutti pieni dello spirito e della forza divina” (da “Il gallo cantò ancora” di K. Deschner). Per la verità i miracoli succedono ancora oggi nel XXI° secolo, e non sono più una novità. Sto pensando per esempio a S.Gennaro con il suo sangue tutto chimico; a S. Lucia dalla vista acuta e dagli occhi belli; a S. Barbara protettrice delle bombe intelligenti; a S. Francesco che cristianizza anche il lupo cattivo di cappuccetto rosso; a S. Antonio, quello dal fuoco al punto giusto e al momento giusto, che aveva anche lui cristianizzato un asino in Portogallo durante il suo pellegrinare; infatti si racconta che un asino, mentre lui passava con le sue cose sacre, si rifiutò di mangiare e si inginocchiò di fronte a lui e al sacramento che si portava dietro. Una nota a parte la merita Santa Teresa, una santa dalle estasi molto particolari. Leggiamo dalla autobiografia una delle sue celebri estasi: “Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro sembrava avere un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via, lasciandomi tutta infiammata da grande amore di Dio. Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere dei gemiti, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi che di Dio. Non è un dolore fisico ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto…” Eh sì, l’astinenza sessuale può combinare scherzi di questo genere; chissà quante altre monache come lei hanno avuto estasi simili. E le madonne? Quante madonne addolorate e piangenti, che piangono con lacrime di sangue! Roba da mostri! Poi magari si fa l’analisi di questo sangue e risulta maschile! Ma il vescovo locale, seraficamente, ci viene a spiegare che il “genere umano” è maschile; beh, questa è “proprio bella”! Piuttosto, a quando una madonna che ride e ci racconta qualche barzelletta? Ah già, dimenticavo il nostro super gettonato Padre Pio, fresco di santità, con le sue stimmate! (ma per favore!). Quanti soldi ha raccolto per costruire un ospedale! ma…si è organizzata la concorrenza? A questo proposito, per saperne di più, consiglio “Santo Impostore. Controstoria di Padre Pio” di M. Guarino, ed. Kaos. 107


Ancora più significativo, sulla vita di questo monaco cappuccino, è il libro di Sergio Luzzatto, Ed. Einaudi, dal titolo “Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del novecento”: un’interessante ricerca negli archivi Vaticani, da cui emerge che il massimo denigratore di Padre Pio è niente meno che il grande Papa Giovanni XXIII, “Il Papa di tutti” . Sull’operato del frate di S. Giovanni Rotondo circolavano varie dicerie e Giovanni XXIII inviò delle persone di sua fiducia ad effettuare delle verifiche e questi tornarono con informazioni e documentazioni scandalosamente allarmanti. “Un immenso inganno” … “I suoi rapporti scorretti con le fedeli fanno un disastro di anime”, annota il papa. Vediamo l’atteggiamento dei vari papi nei confronti di questo monaco. Benedetto XV si era dimostrato scettico, permettendo al Sant’Uffuzio di procedere da subito contro il cappuccino. Più diffidente ancora fu Pio XI: sotto il suo pontificato si giunse quasi al punto di azzerare le sue facoltà sacerdotali. Pio XII invece consentì e incoraggiò il culto del monaco. Giovanni XXIII, come abbiamo visto, autorizzò pesanti misure di contenimento della devozione. Ma Paolo VI, che da sostituto della Segreteria di Stato aveva reso possibile la costruzione della Casa di Sollievo della Sofferenza, da pontefice fece in modo che il frate potesse svolgere il suo ministero “in piena libertà”. Albino Luciani, per un mese Giovanni Paolo I, scoraggiò i pellegrinaggi nel Gargano. Wojtyla, invece, si mostra profondamente affascinato dalla figura del cappuccino, tanto che sotto il suo pontificato viene elevato agli altari (e così il Vaticano ha potuto “mettere le mani sul tesoro” di Padre Pio) . Considerazione di un miscredente: … e meno male che i Papi sono infallibili! Ma la cosa più buffa è sostenere che Dio si preoccupi di salvare qualche suo tifoso nel nostro occidente capitalista, mentre ignora milioni di bambini nel terzo e quarto mondo che muoiono di fame, di malattie, o restano uccisi sotto le nostre bombe intelligenti ogni anno. Non si rendono conto che così stanno sostenendo che il loro Dio è di parte, è etnizzato? Sulle stimmate apriamo una parentesi. É chiaro che questi santi si sono lasciati influenzare da varie pitture, o icone. Ve lo immaginate Gesù di Nazareth che passa le sue piaghe a questi suoi “tifosi da curva nord”, e invece di darle in modo giusto le infila sui palmi delle mani? Ma non ci arrivano a capire che se un corpo viene inchiodato solo sulle palme delle mani e sui piedi, appena si sente male scivola con la faccia giù per terra, giacché una presa di quel genere non può reggere tutto il peso del corpo? Ah furbacchioni! La prossima volta procuratevele sui polsi queste stimmate; non griderò al miracolo, ma almeno posso pensare che non siete ignoranti. Tempo fa con un sacerdote, avvezzo a buone letture, ho avuto uno scambio di battute su queste stimmate di Padre Pio: “…come mai, visto che tu lo sai benissimo, Gesù è stato inchiodato ai polsi e questi pii cristiani hanno le stimmate sulle palme delle mani?”. Molto onestamente mi rispose: “se si creano queste stimmate sui polsi le braccia restano paralizzate”. E io, di rimando: “e visto che fessi non sono, se le fanno venire sulle mani”. Quando si vorrà raccontare a questi uomini pii che Gesù di Nazareth, semmai, fu inchiodato su un palo con chiodi conficcati nei polsi e non nel palmo delle mani? 108


E poi, piano con la croce! C’è qualche studioso che mette in dubbio che si sia trattato di “crocefissione”, come Ermann Fulda in “La croce e la crocefissione” e Wilhelm Schmidt in “La storia di Gesù”; del resto anche in “Atti degli Apostoli” (5,30) si legge “…lo avete sospeso al legno” e nello stesso S. Paolo (Gal.3,13) “…essi poi l’hanno ucciso, sospendendolo al legno”; qui si parla di legno, ma non di croce. Non solo: i primi cristiani come simbolo della fede avevano il pesce, l’ancora e l’agnello, oltre che le reliquie; solo verso la metà del II° secolo nasce il culto della croce. E’ vero, tuttavia, che altri studiosi, come M. Pesce, professore dell’università di Bologna, o R. Cacitti, professore di Storia delle Religioni presso La Sapienza di Roma, non sollevano alcun dubbio sul problema della crocefissione, in quanto praticata dai romani; e Pilato era romano. Oggi siamo arrivati al punto che la croce è talmente diffusa ed imposta in ogni dove, che ha assunto lo stesso significato di un soprammobile; ma la cosa più oscena, nei confronti di questo simbolo, la si coglie quando lo stesso diventa un gioiello, magari appeso al collo di dame belle e fiorenti che lo fanno sbalzare da una tetta all’altra. Ora vi voglio raccontare un paio di miracoli veramente buffi. 1) il “Fico maledetto” (Matteo, 21, 18-22): “Lungo la strada vide un albero di fico, e avendo fame si avvicinò, ma non trovandovi altro che foglie gli disse: “Da te non nasca mai più frutto in eterno! E subito il fico seccò” (e fin qui è solo un po’ buffo: l’albero in questione non aveva provveduto a produrre i fichi fuori stagione, non aveva previsto che di lì sarebbe passato il figlio di dio e per giunta con una fame da lupo). I discepoli, visto ciò, domandarono: “come mai questo fico si è seccato all’istante?” E Gesù rispose loro dicendo: “in verità vi dico: se avrete fede e non esiterete, farete non solo come è stato fatto a questo fico, ma quand’anche diciate a questo monte: lèvati di lì e gèttati in mare, sarà fatto” (e questo sarebbe molto più pericoloso; meglio un miracolo piccolo come quello del fico, che uno di tali dimensioni. Buoni, state buoni per favore!). In Marco (11,12) si limita a dire: “che nessuno mai mangi dei tuoi frutti”; mentre in Luca (13,6) Gesù trova vicino al fico anche il contadino e così lo apostrofa: “ecco, sono tre anni che vengo a cercare il frutto e non ne trovo affatto; taglialo! perché deve occupare il terreno inutilmente?”. Il vignaiolo gli rispose: “Signore, lascialo ancora per quest’anno, per darmi il tempo di scavare tutt’attorno e mettergli del concime; se farà dei frutti, bene; se no lo taglierai.” Ora, riuscite voi a immaginare che Gesù giri tre film diversi intorno ad un albero di fico che non dà frutto? Io no. Secondo me, non è un fatto realmente accaduto, ma solo una metafora che gli evangelisti raccontano a secondo della loro predisposizione nei confronti del prossimo, ipotizzando eventuali castighi per coloro che non dànno frutto, cioè non credono o non si adeguano alla nuova dottrina del messia. E se non è questo, è una stupidaggine allo stato puro. E, visto che siamo in tema di “agricoltura”, leggiamo questo passo di Giovanni (15, 1-8); “ Io sono la vera vite, il padre mio è l’agricoltore....Ogni tralcio che a me non 109


porta frutto lo taglia....Se uno non rimane in me, è gettato via, come il sarmento, e si secca, poi viene raccolto, e gettato nel fuoco a bruciare. Il Padre mio sarà glorificato in questo: che portiate molto frutto, e diventiate miei discepoli”. Come dire: “chi non beve con me peste lo colga”! Anche il più incallito dei “mammasantissima” vuole bene ai suoi e li protegge, e uccide chi non gli ubbidisce o intralcia il suo cammino. 2) quest’altro fa venire in mente la Maga Circe (Odissea) e riguarda “Gli indemoniati Gadareni”. Ci racconta sempre Matteo (8, 28-34): dopo l’avventura vissuta nel mare in burrasca, in cui salvò tutti placando i venti, scese sull’altra riva, nel paese dei Gadareni. Due indemoniati uscirono dai sepolcri, gli vennero incontro in modo furioso e nessuno poteva passare di quella via; poi incominciarono a gridare contro Gesù dicendo: “che c’è a che fare tra noi e te, Figlio di Dio? Sei venuto a tormentarci prima del tempo?”. Gesù impone ai demoni di abbandonare quei due malcapitati; non lontano da loro c’è un branco di porci che pascolano e i demoni lo pregano dicendo: “se tu ci cacci mandaci in quel branco di porci”; Gesù rispose loro: “Andate pure!”. Ed ecco, tutto il branco a corsa pazza si lanciò giù per la china in mare e perì nelle acque (Poveri porci! E i demoni, che figura barbina! Si erano fidati di Gesù e rimasero fregati; e poi dicono che i demoni sono furbi e cattivi!). I guardiani dei porci fuggirono, andarono in città e raccontarono tutto; una folla uscì incontro a Gesù. Quando lo videro, lo supplicarono di andare via dal loro territorio, perché avrebbero preferito un indemoniato di tanto in tanto, piuttosto che vedere sparire il frutto del loro lavoro e del loro sostentamento (questa popolazione è evidente che non era ebrea, perché i maiali erano e sono considerati dagli ebrei animali impuri, i quali non possono essere neanche toccati). E gli andò bene, perché credo che avrebbero avuto il diritto di chiedere il “risarcimento danni”. In Marco (5,1) e in Luca (8,26) in questo episodio non si parla dei Gadareni ma di Gerasa; luogo diverso, ma stessa storia. Certo, questi dovevano essere diavoletti di serie-b, rispetto al Satana che si porta a spasso Gesù per la Galilea fin sopra la più alta montagna, e indicandogli tutti i regni del mondo glieli offre… sono roba sua (sì, però se cambia partito); ma Gesù li rifiuta sdegnosamente (Luca 4,5-6). Intanto Satana, come abbiamo visto nel primo capitolo, non frequenta più la corte celeste, ma è caduto in disgrazia; sentiamo Gesù, sempre in Luca (10,18): “Ed egli disse loro: vedo Satana precipitare dal cielo come folgore”. L’episodio di questi diavoletti dei Gadareni mi fa venire in mente altre storie di “poveri diavoli”, però umani, questa volta: storie di sfruttati, di impotenti, di sottoproletari, di incapaci a esigere giustizia ecc., a cui forse anche Baudelaire pensava quando scriveva “I fiori del male”e in particolare “Le litanie di Satana”; leggiamo: “ O tu, di tutti gli angeli il più bello e sapiente:/ Dio privato di lodi, tradito dalla sorte./ O Satana, pietà del mio lungo soffrire/ Principe dell’esilio, cui hanno fatto torto/ e che ti risollevi, vinto, sempre più forte/ …Bastone di esiliati, lampada di inventori,/ confessor di impiccati e di cospiratori./ O Satana, pietà del mio lungo soffrire!/ Padre adottivo a quelli che nel nero furore/ dal paradiso in terra Dio Padre cacciò fuori./ …A te sien lodi nel più alto/ del ciel dove regnasti, e nel profondo/ dell’inferno ove, vinto, ancora sogni,/ o Satana in silenzio/ … Fa che 110


l’anima/ possa a te accanto riposarsi sotto/ l’albero della Scienza, un giorno quando/ sopra la fronte, come un nuovo Tempio,/ i suoi rami per te si allargheranno”. Insomma, anche il grande arcigno, ermetico e dissacrante poetafilosofo Baudelaire preferisce gli impotenti demoni ai potenti dèi. 3) Gesù “cammina sulle acque del lago” (Matteo 14, 22-33): Gesù era in riva al lago e volle andare a raggiungere i suoi discepoli che erano in barca. Forse perché era inverno, forse perché comunque non voleva bagnarsi, forse perché non sapeva nuotare, decise di camminare sulle acque: “quando i discepoli lo videro camminare sul mare, si spaventarono e dissero: è un fantasma! E mandarono grida di paura. Ma subito Gesù disse loro: rassicuratevi, son io; non temete! Ma Pietro rispose: Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque (sì, per vedere l’effetto che fa). Ed egli: “vieni”, gli disse. Allora Pietro, sceso dalla barca, cominciò a camminare sulle acque, per andare da Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, ebbe paura, incominciò ad affondare e gridò: “Signore salvami!” (beh, un pescatore che non sa nuotare è quanto mai improbabile, anche per un “caputosta” come Simone, detto Pietro). Poi Gesù stese la mano, lo salvò, e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Insomma, siamo alla solita parabola: a chi ha fede vengono buone tutte, e chi ne è sprovvisto si arrangi! Tra miracoli tutti da ridere e richiami dettagliati ai profeti estinti, questi Evangelisti creano un Dio tutto da utilizzare a loro uso e consumo, al fine di organizzare un nuovo potere religioso, sul quale poggiare la loro “libido dominandi”. A dimostrazione di quanto ho appena scritto, sentiamo un piccolo ed eloquente esempio, in Atti degli Apostoli, Anania e Saffira (5, 1-11). In questo passo si descrive come i primi cristiani si organizzavano. I beni in comune era una condizione indispensabile: tutti coloro che vi aderivano subito dovevano vendere i loro beni e portare il ricavato ai piedi degli apostoli (da ricordare che a Gesù hanno fatto dire “abbandonate tutto e seguitemi”; mentre già i suoi discepoli, appena morto il maestro, cominciano a dire “vendete tutto e portate qui i soldi”. Questo Anania fa il furbo e porta agli apostoli solo la metà del ricavato della vendita di un suo immobile. “ Ma Pietro gli disse: Anania, come mai ti sei lasciato riempire il cuore da satana fino al punto di mentire allo Spirito Santo e farti ritenere parte del prezzo del podere?.... Tu non hai mentito agli uomini ma a Dio”. Anania, udite queste parole, cadde e spirò. E tutti quelli che avevano sentito furono presi da gran timore...due giovani lo andarono a seppellire...Non erano trascorse neppure tre ore, quando la moglie Saffira entrò, anche questa raccontò la stessa bugia e anche lei nel medesimo istante cadde ai suoi piedi e spirò mentre gran timore ne nacque in tutta la chiesa, e in tutti coloro che udirono tali cose”. Ora, per credere che sia successo veramente una cosa simile è necessario avere il cervello completamente frullato. Si capisce subito che questa storia è inventata al fine di incutere terrore ai credenti battezzati e indurli a consegnare tutti i loro averi. Il potere ancora in formazione ha già nelle mani lo strumento del ricatto. Certo, c’era già l’inferno, nel quale i non credenti avrebbero pianto con stridor di denti per l’eternità, vero; ma questo non era sufficiente e d’immediato impatto, in quanto ciò si sarebbe verificato dopo la morte e 111


sarebbe tutto da dimostrare. Invece, una morte così istantanea ha tutto un altro effetto sui poveri di spirito; e funzionò! MARIA, VERGINE e MADRE Matteo, detto Levi, figlio di Alfeo, esattore di imposte nella città di Cafarnao, giura che la Vergine Maria si trovò incinta per opera dello Spirito Santo, e ci racconta anche che fu l’angelo, il solito Gabriele, a convincere Giuseppe, suo futuro sposo, che Maria era innocente e che non l’aveva tradito. E aggiunge: “…e tutto questo avvenne, affinché s’adempisse quello che era stato annunziato dal Signore per mezzo del profeta che disse: Ecco la vergine che concepirà e darà alla luce un figlio e lo chiameranno col nome di Emmanuele”. Sì, è vero, fu il profeta Isaia. Ecco, anche qui i racconti si fanno in funzione di quanto è già stato detto dai profeti nell’A.T.; solo così si può costruire il Gesù messia, figlio di Dio. E soprattutto si guardano bene dal dire il resto che ha detto Isaia, e cioè che questo Emmanuele avrebbe liberato con la spada il popolo ebreo, sconfiggendo persino l’Egitto, cosa che, come sappiamo, non avvenne. Che salti mortali devono fare sti’ poveri evangelisti per accreditare Gesù come figlio di Dio! Luca non era ebreo, era pagano di Antiochia; poi si convertì, divenne discepolo di S. Paolo e volle dire la sua. Questo evangelista ci racconta più dettagliatamente come andarono le cose con Maria quando restò incinta, anche se è difficile immaginare come venne a saper certe cose, visto che in Palestina non aveva mai messo piede, Gesù era già morto da un pezzo, e sua madre Maria non ebbe occasione di conoscerla. Ed ecco l’“Annunciazione”: “L’angelo Gabriele disse: Ave Maria piena di grazie il Signore è con te....ecco tu concepirai nel tuo seno e darai alla luce un figlio...Egli sarà grande e verrà chiamato il figlio dell’Altissimo. Maria è preoccupata: “come potrà avvenire questo se io non conosco uomo?”. L’angelo la rassicura che si può fare, e che ci penserà lo Spirito Santo. Allora Maria disse: “Ecco l’ancella del Signore; che mi avvenga secondo la tua parola” (1, 26-38). Poi (46-56) le fa recitare una lunga poesia inventata da lei e recitata di fronte a Elisabetta, madre di Giovanni Battista. “L’anima mia magnifica il Signore,/ e lo spirito mio gioisce in Dio, mio salvatore!/ Perché ha rivolto i suoi sguardi/ all’umiltà della sua serva./ Ed ecco che fin d’ora/ tutte le generazioni mi chiameranno beata/...Come aveva detto ai nostri padri,/ verso Abramo e la sua stirpe in eterno”. Ma per favore, Luca! sarà una bella poesia, ma c’è un limite anche alle balle, o no? Una parentesi. A proposito di Maria madre di Gesù, e al suo prodigio di partorire il figlio di Dio, è certo che circa duemila anni fa, quando i gentili (le genti di cultura greco-romana) iniziarono ad assorbire la cultura cristiana, trovarono abbastanza coerente il fatto che questo nuovo Dio avesse avuto rapporti con una donna mortale; rientrava perfettamente nel loro ordine di idee, in quanto nel paganesimo c’era già l’idea che gli dèi si accoppiassero spesso e volentieri con comuni mortali; tra questi anche la dea Venere con Anchise padre di Enea. Inoltre, esisteva già un figlio di Dio nato per concezione divina con una donna mortale, e 112


compiva anch’egli vari prodigi: era Ercole, figlio di Giove e Alcmena; e anche lui, dopo le famose “dodici fatiche” che la dea gelosa Giunone gli aveva procurato, quando morì salì nell’Olimpo dove siede alla destra di suo Padre. Molti sono gli studiosi che scoprono in Ercole il precursore di Gesù, secondo altri, addirittura, gli scribi cristiani avrebbero plagiato la storia di Ercole. E poi, anche il dio Mitra, largamente venerato in Asia Minore e successivamente anche in Medio-Oriente, veniva fatto nascere da una vergine e, guarda caso, anche risorgere dopo la sua morte. Facciamo un elenco, anche se incompleto, di quanti dèi e dèe si accoppiano con comuni mortali: il semidio Perseo nacque quando Giove visitò la vergine Danae in forma di pioggia d’oro; Coatlicue, divinità dal gonnellino di serpenti, rapì al cielo una piccola palla di piume e se la nascose in petto, e così fu concepito il dio azteco Uuitzilopochtli; la vergine Nana spiccò una melagrana dall’albero innaffiato col sangue di Agdistis ucciso e la ripose in seno, generando così il dio Attis; Krischna nacque dalla vergine Devaka; Horo dalla vergine Iside; Mercurio dalla vergine Maia; Romolo dalla vergine Rea Silvia, ecc. ecc. Una cosa però mi sfugge: come mai i bambini oggi non credono più alle favole dei Pinocchio o della Bianca Neve o delle befane, poi, diventati più grandicelli, cominciano a credere alle favole per gli adulti? Insomma, nascono materialisti e crescendo diventano trascendentali, irrazionali, visionari? Ora vediamo il ruolo di Maria, madre di Gesù, una volta che suo figlio è diventato grande, sui trent’ anni. - Le nozze di Cana(Giov.2, 3-4): Maria dice a suo figlio Gesù, “non hanno più vino” e Gesù dice a lei: “donna, che desideri da me?”. Possibile? Anche maleducato nei confronti di sua madre? Comunque il miracolo di trasformare l’acqua in vino lo fa lo stesso, anche se aveva appena finito di dire che “l’ora mia non è ancora venuta” (e da quel momento in poi i miracoli di trasformare l’acqua in vino si moltiplicarono). Qui, a trent’anni, dice che non è giunta l’ora sua, e risulta un po’ maleducato nei confronti di sua madre (“onora il padre e la madre” era una legge di Mosè che nessuno poteva infrangere). Sentiamo invece cosa dice ad appena dodici anni: - Gesù tra i dottori (Luca 2,41-50). Ogni anno tutti si recano una volta a Gerusalemme in occasione della pasqua ebraica (uscita del popolo ebreo dall’Egitto). Maria e Giuseppe, mentre fanno ritorno a Nazareth, si accorgono che il piccolo Gesù non è con loro.Tornano indietro e dopo tre giorni infine lo trovano nel tempio a discutere con i dottori, cioè coloro che interpretavano le leggi di Mosè. Così sua madre apostrofò il piccolo Gesù: “Figlio, perché ci hai fatto così? Vedi, tuo padre ed io, addolorati, andavamo in cerca di te”. Egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io mi devo occupare di quanto riguarda mio padre?” (povero Giuseppe!). A dodici anni si sentiva investito del ruolo divino, ma a trenta, alle nozze di Cana, ci dice che non è ancora venuta l’ora sua. Secondo me, non è Gesù che è scemo e maleducato, ma sono gli evangelisti che, a forza di raccontare, finiscono col fargli dire tutto e il contrario di tutto. Comunque, prendendo per buoni questi due racconti, è Maria che qui si comporta in modo contraddittorio: infatti, il mandato divino, ricevuto dall’angelo, di generare il 113


figlio di dio lo aveva già accantonato, fino al punto da andare a disturbare questo suo figlio-dio mentre teneva un’assemblea molto impegnativa. Oppure, se vogliamo essere buoni, se ne era dimenticata; si sa, fosse stato figlio unico magari sarebbe stata più attenta, però con altri figli a cui badare! Quanti? Sentiamo dal vangelo di Marco (6, 3):”Donde gli vengono tali cose? E che sapienza è questa che gli è stata data? E come mai si compiono tali miracoli per le sue mani? Non è egli il falegname il figlio di Maria e fratello di Giacomo, di Giuseppe, di Giuda, di Simone? E le sue sorelle non sono qui tra noi? Sicchè cominciarono a dubitare male di lui. Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, fra i suoi parenti e nella sua casa”. - Sempre in Luca (11, 27-28) c’è un’altra “perla” molto significativa di quanta poca stima e simpatia avesse per la sua povera mamma: “Mentre Gesù così parlava, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e gli disse: Beato il seno che ti ha portato e le mammelle che hai succhiate! Ma egli disse: Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica!” Sta’ madonna sarà pure beata tra le donne, ma per suo figlio conta meno del due di briscola. Sentiamo Marco come ci parla della famiglia di Gesù (3, 31–35): “Intanto giungono sua madre e i suoi fratelli, e, stando fuori, mandano a chiamarlo. Ora una gran folla sedeva intorno a lui, e gli dissero: ecco tua madre e i tuoi fratelli son là fuori che ti cercano.”Chi sono mia madre e i miei fratelli?” Poi gettato uno sguardo sopra coloro che erano seduti in cerchio intorno a lui, disse: “ecco mia madre e i miei fratelli. Chiunque fa la volontà di Dio, egli è mio fratello, mia sorella e mia madre”. Una frase, quella di Gesù, da autentico rivoluzionario. Infatti, per un rivoluzionario vengono innanzi tutto gli ideali e gli obiettivi che si è prefisso, e molto dopo il pensiero della famiglia; spesso anzi è come se non l’avesse. Un altro passo dello stesso tenore lo troviamo in Matteo (8, 21-22): “… uno dei suoi discepoli gli disse:”Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre “. Ma Gesù gli rispose:”Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti”. Lo stesso Matteo più avanti(10, 37) riporta questa sentenza: “Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me”. Incredibile, qui lo fanno passare addirittura per il più grande narcisista! A questo punto Giuseppe era già morto, anche lui ucciso, essendosi trovato nel bel mezzo di una rivolta zelota (secondo i vangeli apocrifi). Questa storia, che Giuseppe sia morto così presto e suo figlio Gesù non lo abbia risuscitato, mi scandalizza parecchio. Ma come? risuscita suo cognato Lazzaro, fratello della sua donna Maria di Magdala, che era già puzzolente e pieno di vermi, morto da quattro giorni, e non fa niente per suo padre? un figlio snaturato, oppure dimenticanze evangeliche? Ma torniamo a Maria. Abbiamo visto che aveva un’intera famiglia cui badare, sia come madre che come casalinga qualsiasi, quindi non possiamo scandalizzarci se le è sfuggito l’impegno con l’angelo del signore. Però i vangeli non stabiliscono se anche gli altri figli li ha avuti sempre con lo stesso metodo applicato dallo Spirito Santo, oppure in condizioni naturali come per tutte le comuni mortali. Comunque non 114


stiamo lì ad indagare, se no diventiamo pettegoli. Si è detto che è la “sempre-vergine Maria”? Si accomodi chi vuol credere! Giovanni, invece, il più giovane degli apostoli che secondo alcune fonti muore sul finire del primo secolo d.C., quindi dopo che tutti gli altri sono già morti da un pezzo, nell’Apocalisse così vede e descrive la madre di Gesù dopo la morte: “Primo segno la donna e il dragone (12, 1-2); “Poi un gran segno apparve nel cielo: una donna vestita del sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle; ed essendo incinta, gridava per le doglie del parto e le angosce nel dare alla luce”. Insomma, descrive il parto di Maria che dà alla luce il figlio dell’uomo come una donna normale. Calma, i sacerdoti e i dottori hanno già dato un’altra spiegazione: le doglie sono le persecuzioni che i cristiani subiranno prima che la chiesa di Cristo trionfi, il sole è Cristo, le dodici stelle sono gli apostoli. Tuttavia, la questione della purezza della madre di Gesù di Nazareth credo che meriti qualche rigo in più per spiegarne le origini. In un vangelo detto “Protovangelo”, scritto, si dice, da Giacomo “fratello del Signore” (non scandalizzatevi, i testi assicurano che Gesù è, sì, unigenito, ma unigenito di Dio, non unigenito di Maria), quindi figlio anche lui di Maria, si raccontano le origini e tutto più dettagliatamente di quanto hanno fatto gli altri evangelisti. Maria è figlia di un certo Gioacchino della tribù di Giuda, molto pio e, in conseguenza di ciò, Dio lo premia facendogli crescere a dismisura il suo gregge. Questo pastore a vent’anni sposa Anna, figlia di Achar, della tribù di Giuda (si tratta di sant’Anna come la conosciamo noi, e vista in qualche icona con le belle tette scoperte; sì, perché sono tette speciali in quando hanno allattato la madre di Gesù di Nazareth, quindi meritano di essere esposte). Anche questa Anna, come tante altre donne che nell’A.T. abbiamo già conosciute, è già in età avanzata e ancora non ha un figlio. Lamenti, pianti, disperazione; alla fine va nel tempio a invocare una progenie; e anche questa, come fece la madre del profeta Samuele (anche lei di nome Anna, moglie di Elcana), giura che lo dedicherà al tempio del signore se avrà un figlio o una figlia. Detto, fatto: resta incinta e nasce Maria. La tiene in casa fino a tre anni poi la consegna ai sacerdoti del tempio ai quali era stata promessa. Un’altra parentesi: da ricordare che questa Anna, madre di Maria, resta incinta mentre suo marito Gioacchino è nel deserto ad implorare il signore di dargli un figlio (ci rimane quaranta dì e quaranta notti, poi si meraviglia che tornando a casa trova la moglie incinta), per questo si sosterrà più tardi non solo la verginità e l’inseminazione divina di Maria nel dare alla luce Gesù, ma addirittura che lei stessa fosse stata concepita senza peccato. Da questa ipotesi, sviluppatasi poi nel Medio Evo, il papa Pio IX l’8 dicembre del 1854 (lo vedremo nella parte terza) definirà il dogma dell”Immacolata Concezione”. Eppure persino S. Bernardo, nel XII° secolo, uno dei teologi più devoti del culto di Maria, aveva rifiutato questa ipotesi perchè cozzava contro il teorema del peccato originale commesso da Adamo: vada per Gesù, però se il cerchio si allarga, il peccato originale non è più credibile, quindi la redenzione del peccato non è più necessaria. Ma Pio IX non badò a queste sottigliezze e, nel caso 115


qualcuno avesse avuto obiezioni da avanzare, inventò l’“infallibilità del Papa” nel Concilio Vaticano-I° tenutosi nel 1864, e così realizzò la quadratura del cerchio! Torniamo al protovangelo. Qui succede un fatto curioso: Maria resta nel tempio fino a dodici anni, dopo di che arriva il dramma: da un momento all’altro verranno le cose sue, le mestruazioni, quindi rischio di contaminazione di tutto il tempio: “Ecco che Maria ha compiuto dodici anni, dissero i sacerdoti, che faremo di lei, affinchè non contamini il tempio del Signore?”(7,2 ). Ora, se un ebreo che ha la sfortuna di toccare una donna mestruata come minimo deve offrire una pecora in sacrificio al suo dio per purificarsi, potete immaginare cosa può succedere se si contamina tutto il tempio: diventa necessario sacrificare una mandria di pecore e di buoi. Quindi, Maria deve sparire dal tempio. Detto, fatto: si invitano tutti quelli che sono in cerca di moglie e si fa una gara per vedere a chi tocca la Maria. Vince un certo Giuseppe, sempre della tribù di Giuda; a secondo dei vangeli apocrifi che si consultano, puoi trovare scritto che gli è fiorito il bastone, oppure che è apparsa una colomba sulla punta del bastone ecc. La cosa ancora più interessante, stando sempre a questo protovangelo, è che la Madonna, non solo è rimasta incinta pur essendo vergine, ma addirittura partorisce rimanendo vergine. Qualcuno penserà: bene, si sarà trattato di un’inseminazione artificiale e un bel parto cesareo! Sbagliato. Ecco come ce la racconta ancora il nostro Giacomo, fratello di Gesù e figlio di Maria (dal 19,1-3 al 20, 1): Giuseppe corre a chiamare una levatrice, Maria sta per partorire, la incontra, si recano insieme nella grotta e lì si fermano. “E vedono una luce che avvolgeva Maria. Disse la levatrice: L’anima mia è stata magnificata, perché i miei occhi hanno visto il prodigio: è nata la salvezza per Israele. Si dilegua la nuvola, si intravede il bambino che già allatta”. La levatrice, uscita dalla grotta, si imbatte in Salomè (non è la Salomè di Erode, quella non era ancora nata) e le disse: “Salomè, Salomè, devo raccontarti un portento inaudito: una vergine ha partorito, il che è contrario allo stato della sua matrice!” Salomè gli rispose: “Come è vero dio, se non introduco il mio dito e non esaminerò la sua matrice non potrò mai credere che una vergine abbia partorito.” La levatrice e la Salomè andarono da Maria, e la levatrice le disse: “Mettiti giù come si deve, perché su di te è aperta una questione di non poco conto.” E Salomè introdusse un dito nella natura di lei, mandò un grido e disse: “Maledette siano la mia empietà e la mia incredulità, perché ho tentato il Dio vivente ed ecco che la mia mano, arsa dal fuoco, si stacca da me”. Tutto questo casino di chiacchiere era necessario perché a Isaia era venuto in mente l’infelice idea di dire, tra le sue profezie, che una vergine avrebbe partorito l’Emmanuele, cioè il messia. Sentiamolo (Isaia, 7, 13-16): “Udite, dunque, o casa di Davide: Ecco, la vergine che concepisce e dà alla luce un figlio e gli porrà il nome d i Emmanuele. Egli si ciberà di burro e di miele, fino a quando saprà rigettare il male e scegliere il bene” (comunque, qui il nostro Isaia sta profetando di un ipotetico “figlio dell’uomo”, che i cristiani subito individuano in Gesù). Se ad Isaia non fosse venuta in mente una cosa simile, tutte queste stupidaggini sulla verginità di Maria non le avremmo lette. Questa idea malsana di far partorire una vergine crea tutte le condizioni per i cristiani 116


(sorte, loro dicono, dopo settecento anni; io dico meno di cinquecento anni) per creare un nuovo valore, la verginità; quindi diventa peccato il rapporto sessuale, al quale noi tutti dobbiamo la nostra esistenza, compresi coloro che lo denigrano. Considerazione razionale su questo episodio. Come si fa a pensare che un figlio (Giacomo) parli di sua madre in questi termini per raccontare come nacque suo fratello Gesù? Come è possibile arrivare a tanto, e far passare questa Maria come una ragazzina handicappata che si mette in posizione e si fa frugare le sue parti intime da due sconosciute? e Giuseppe non ha niente da dire? per le sante menzogne non esiste limite? non esiste pudore? Sembra proprio di no! Curiosità storica. Questo vangelo, insieme a tanti altri, è apparso per la prima volta nel secondo secolo. Il primo papa a dichiararlo apocrifo fu Innocenzo-I, e nel 405 d.C. fu Papa Gelasio ad emanare un decreto di condanna per tutti i vangeli apocrifi. Malgrado ciò, la cultura popolare non cede e continua a tenerlo per buono, fino ad influenzare alcuni pittori ancora nel VII° secolo. Già nelle catacombe e successivamente nelle chiese paleocristiane, le immagini tratte da questi vangeli apocrifi sono molto chiare e significative: Gesù profugo in Egitto, fin dagli inizi dell’arte cristiana, sia in Palestina sia nelle catacombe romane; nei mosaici di S. Maria Maggiore si vede Gesù in Egitto che fa cadere gli idoli egiziani al suo passaggio, raffigurato sull’arco trionfale di questa basilica. Questi lavori furono eseguiti sotto papa Sisto-III, malgrado da alcuni decenni gli apocrifi fossero già stati condannati da Innocenzo I ed altri. E che dire degli amanuensi che scrivono il “Corano” nel 650 d.C.? Rispettano Gesù di Nazareth e sua madre, ma nel momento in cui devono citare qualche miracolo pescano proprio dai vangeli apocrifi! Anche da questo si evince l’impossibilità di distinguere il vero dal falso in tutto ciò che è stato detto e scritto su questo Grande Personaggio. Eppure…se qualche credente ha avuto il coraggio di leggere queste pagine fino a questo punto, sappia che anche un miscredente come me, di fronte ai versi dell’ultimo canto del Paradiso dantesco dedicati alla Madonna, rimane “a bocca aperta”: “Vergine e Madre, figlia del tuo figlio,/ umile e alta più che creatura…/tu sei colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo fattore / non didegnò di farsi sua fattura/…Donna, se’ tanto grande e tanto vali, / che qual vuol grazia e a te non ricorre,/ sua disianza vuol volar senz’ali./ La tua benignità non pur soccorre / a chi domanda, ma molte fiate / liberamente al dimandar precorre”. Bellissimo! e Amen. LA STRAGE DEGLI INNOCENTI: nasce un dio e gli innocenti cominciano a pagare con la vita la buona novella (per chi vuol credere!). La faccenda che i bambini siano i primi a pagare per le colpe dei grandi è una costante anche nell’A.T.. Abbiamo visto, infatti, il “dio degli eserciti” che spesso esige stragi di bambini da massacrare insieme agli adulti: in “Lamentazioni” si racconta come le madri servivano a tavola i loro stessi figli cucinati; in “Esodo” (11, 1-10) morti tutti i primogeniti degli egiziani compreso il figlio del faraone; in “Numeri”, nella guerra contro i Madianiti, una volta sconfitta una città per ordine di Mosè ispirato dal solito Yahwèh, questi guerrieri tornano al campo dopo la vittoria portandosi dietro donne e bambini, che, pare, non avevano avuto il coraggio di 117


uccidere, e Mosè, incazzato, così li apostrofa: “perché avete lasciato in vita tutte le donne?...Or dunque, uccidete tutti i bambini maschi e tutte le donne che hanno avuto rapporti con uomo: invece le fanciulle vergini, che non hanno conosciuto l’uomo, serbate in vita per voi... e così fu fatto” (Numeri: 31, 15-18). Brutto esempio per i pedofili! Da ricordare, infine, anche il primo figlio di Davide e Betzabea. E poi i cattolici dicono che i comunisti mangiano i bambini! Andiamo avanti col vangelo di Matteo; allora, Gesù nasce e si sparge la voce che è nato il futuro re dei giudei. ERODE (che, come abbiamo visto nella prima parte, era già morto da quattro anni, secondo la storia), si preoccupa molto, perché teme che, se si avvera questa profezia, la sua dinastia verrà scalzata dal potere. Cerca di ottenere informazioni dai tre Re-Magi, ma questi, avvisati in sogno, girano al largo da Erode (che lo fanno passare per cattivo, mentre la storia ce lo consegna come un saggio). Questi, non avendo informazioni precise, dà l’ordine di uccidere tutti i bambini di Betlemme da zero a due anni. Ma un angelo del Signore appare in sogno a Giuseppe, e gli dice: “Alzati, prendi il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e restaci finchè non t’avviserò, perché Erode cercherà il bambino per farlo morire”(Matteo 2, 13-15). “Erode mandò ad uccidere tutti i bambini da due anni in giù, che erano in Bethlehem e in tutti i suoi dintorni”. Credo che persino un incallito delinquente dei nostri giorni, se viene a conoscenza che stanno per uccidere centinaia di bambini e che può salvarli senza rischiare niente di suo e senza nessuno sforzo, li salverebbe avvisandoli di scappare, o no? Invece l’angelo che fa? Salva solo il suo e degli altri se ne frega! L’angelo più cattivo di un delinquente? No! Per capire il perché, sentiamo il seguito: “Allora si adempì ciò che era stato annunziato dal profeta Geremia: Un grido di Rama si udì, pianto grave e lamento: Rachele piange i suoi figli, né ha voluto esser consolata, perché non son più”. Ecco la chiave: il profeta disse...; se non l’avesse detto, questo racconto non sarebbe mai stato scritto. Ma poi Erode muore; solito angelo del Signore che va in Egitto, trova Giuseppe che dorme e gli dice: “Alzati, prendi il bambino e sua madre, e va nella terra d’Israele”. Tornando, però, Giuseppe venne a sapere che regnava Archelao al posto del padre Erode; per prudenza girò al largo di Gerusalemme e andò ad “abitare in Nazareth, onde si adempisse quello che era stato annunziato dai profeti: Egli sarà chiamato Nazareno” (2,19-23). Così disse il profeta? e così scrissero. Perciò, anche qui nè angeli cattivi, nè bambini uccisi. Curioso è il fatto che da questo momento in poi neanche Maria madre di Gesù per gli angeli conti più di tanto; addirittura si rivolgono a Giuseppe invece che a lei: aveva esaurito il suo compito? Finito poi questo trasloco su e giù dall’Egitto, anche Giuseppe cade nell’oblio e non ne sentiremo parlare più, né quando né come morì (alcune fonti dànno per certo che fu ucciso dai romani durante una rivolta zelota), non era più rilevante ai fine della leggenda e anche il suo ruolo era esaurito. Anche questa lugubre storiella sulla strage di bambini è stata inventata sempre allo scopo di collegare Gesù di Nazareth alle profezie dei profeti, in modo da farlo passare a tutti i costi per il Messia che era stato annunciato. Eppure gli evangelisti sapevano bene anche loro che i profeti suddetti avevano, sì, profetizzato la venuta di 118


un Messia, però questo Messia avrebbe dovuto liberare i giudei con la spada dal dominio di altri popoli, in questo caso i romani; invece a Gesù fanno dire: sta buono Pietro con quella spada, perchè si deve compiere il destino deciso dal mio padre celeste, “a chi ti colpisce porgi l’altra guancia; chi di spada ferisce di spada perisce”. Logico, quindi, che la maggior parte del popolo e il Sinedrio non lo prendesse sul serio; erano altri i loro problemi in quel periodo. Infatti era un momento di particolare tensione tra certi ambienti ebraici e i dominatori romani; c’era, sì , un re, o definito tale dagli Ebrei, ma la sua autonomia era al lumicino, in quanto la Galilea era considerata dai dominatori una “provincia” romana, e per conto di Roma c’era un prefetto romano nel periodo in cui Cristo passa i suoi guai, Ponzio Pilato. Alla fine, nel 70 d.C., cioè 37 anni dopo la sua morte, ci fu la rivolta che portò alla prima sconfitta gli Ebrei (come abbiamo visto nella prima parte). Un clima di questo genere non era favorevole ai riformatori della dottrina ebraica come i cristiani, in quanto l’antica religione dei patriarchi era punto di forza per chiamare le masse alla rivolta, come gli stessi profeti avevano sempre fatto in passato. Inoltre, il partito anti-imperialista degli Zeloti (che sognavano di ripetere le gesta dei fratelli Maccabeo) aveva forti legami con le masse e con il tempio (quindi c’è poco da meravigliarsi se la folla volle libero Barabba, zelota, e trascurò Gesù di Nazareth). E’ questo il clima in cui, dopo la morte di Gesù, gli apostoli si trovano ad operare; quindi è comprensibile che decidano di trasformare la loro riforma religiosa, da una semplice questione ebraica, in una religione universale, cioè valida per tutti, circoncisi e non. Questo mutamento è abbastanza evidente confrontando l’episodio della donna Cananea, riportato da Matteo e Marco, con altri passi successivamente scritti negli Atti degli apostoli: -Matteo (15,21-28) La “Madre Cananea”; donna non ebrea, donna di costumi e religione pagana: “Signore figlio di Davide abbi pietà di me, mia figlia sta morendo, ti prego, salvala”. Il signore risponde: “non sono stato mandato che alle pecore perdute di Israele”. La donna insiste e Gesù gli risponde ancora dicendo: “Non è bene prendere il pane dei figlioli e gettarlo ai cagnolini”; la donna gli risponde: “ anche i cagnolini mangiano i minuzzoli che cadono dal tavolo dei figlioli”. -in Marco (7,35) si legge: “Lascia che si servano prima i figli perché non è bene p rendere il pane dei figlioli e gettarlo ai cagnolini”; Questa è la prova inconfutabile fornita da Matteo che Gesù era venuto per redimere solo il popolo eletto, la progenie di Abramo; tutti coloro che non ne facevano parte erano considerati da tutti gli Ebrei dei cani, e Gesù su questo non fa sconti a nessuno. Ma successe l’imprevisto per gli apostoli; non avendo avuta molta fortuna tra i Giudei circoncisi (per i motivi su esposti, cioè avevano progetti antimperialisti a cui pensare), decisero di allargare ai gentili incirconcisi la predicazione e l’adesione (si sa, “quando l’acqua scarseggia la papera non galleggia”); e così fanno cambiare idea a Gesù, già morto e risorto; - negli Atti degli apostoli (Atti, 10) si racconta che in Cesarea Marittima c’era un tale centurione di nome Cornelio: “Verso l’ora nona del giorno, vide un angelo 119


presentarsi a lui e dirgli:“Le tue preghiere e le tue elemosine sono ascese davanti a Dio, che sempre le ricorda”. “Manda a Ioppe degli uomini a chiamare un certo Simone, detto Pietro”; il centurione obbedisce. Pietro nel frattempo “fu rapito fuori dai sensi e vide scendere dal cielo come un’ampia tela.. e una voce gli disse: Pietro alzati uccidi e mangia. Ma Pietro rispose: No, o Signore, perché io non ho mai mangiato niente di profano e immondo. Dio rispose: ciò che Dio ha dichiarato puro non devi chiamarlo profano”. Insomma lo stava istruendo ai nuovi canoni, usi e costumi, compatibili anche con quelli dei pagani; così Pietro si siede a tavola e mangia con un pagano, roba che fino ad un minuto prima poteva costargli la geenna per l’eternità; - ancora negli Atti degli Ap.(11, 1-18) i circoncisi cristiani accusano Pietro per essersi seduto e aver mangiato con un incirconciso; si giustifica dicendo che non è stato lui a cambiare idea ma gli era stato imposto direttamente da Dio. Tutti gli altri che lo avevano criticato, ascoltato il racconto di Pietro, “rimasero persuasi e resero gloria a Dio, dicendo: Dunque, Dio ha dato il pentimento anche ai gentili, affinché abbiano la vita”. Normale che ci abbiano creduto, se no che poveri di spirito sarebbero stati? Ma quando sei arrivato a stabilire una contraddizione evidente, ecco che ne spunta fuori un’altra più grossa all’interno della stessa contraddizione appena analizzata; vediamo: 1- Matteo, che al punto 15, 21-28 ci ha appena detto con la madre Cananea cosa pensa Gesù degli incirconcisi, ecco che al punto 8, 5-13 capovolge il tutto nell’episodio del Centurione. Mentre Gesù entrava in Cafarnao, gli si presentò un centurione e lo pregava dicendo: “Signore il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente”(doveva essere proprio un buon servo, se no “col cavolo” che il centurione si sarebbe scomodato tanto). Gesù disse: “Io verrò e lo guarirò”. Ma il centurione rispose: “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma ordina con la sola parola, e il mio servo sarà guarito” (magari era solo preoccupato che se ne accorgesse chi non avrebbe gradito tale suo atteggiamento). Gesù ne rimase positivamente impressionato e disse a coloro che lo seguivano: “In verità vi assicuro: neppure in Israele ho trovato una fede sì grande”. Poi aggiunse: “Or vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e si assideranno a mensa con Abramo ed Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli! Ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre esteriori, ove sarà pianto e stridor di denti”. 2- in Marco (13, 10): “Ma prima bisogna che il vangelo sia predicato a tutte le nazioni”; e più avanti (14, 9), nella cena di Betania: “In verità vi dico: ovunque sarà predicato il vangelo nel mondo intero, si parlerà pure di quelle che essa ha fatto”. Il vangelo? Ma non aveva detto ai suoi apostoli di non scrivere nulla? 3- poi, qual è l’atteggiamento vero di Gesù nei confronti degli incirconcisi? Se Gesù aveva detto tutto questo, perché per gli apostoli, dopo la sua morte, l’avvicinarsi agli incirconcisi pagani era ancora un tabù, al punto tale che Pietro deve inventarsi la visione del Signore che gli impone di mangiare come i pagani e insieme ai pagani, per giustificarsi nei confronti degli altri apostoli? E’ fin troppo evidente che il tempo 120


in cui sono stati scritti questi evangeli non collima affatto con i tempi in cui sono accaduti i fatti raccontati. 4- e poi, Gesù era un pacifista o un guerrafondaio? Sentiamo Matteo(10, 3436): “Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra. Non sono venuto a portare la pace, ma la spada. Perché son venuto a dividere il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera (beh, questo è superfluo) e i nemici dell’uomo saranno i suoi familiari”. E ancora: in Luca (19,27): “Inoltre questi miei nemici, che non volevano che io divenissi re su di loro, conduceteli qui e scannateli davanti a me”(per fortuna, qui si tratta solo di una parabola, riportata anche da Matteo, 25,14-30). Ma ecco che spuntano altre dichiarazioni uguali e contrarie, sempre in Matteo (11, 28-30): “Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi, ed io vi darò completo riposo. Prendete su di voi il mio giogo, ed imparate da me, perché sono dolce ed umile di cuore; e troverete pace per le anime vostre; perché il giogo è soave e il mio peso è leggero”; e più avanti (12, 20): “ non contenderà, né griderà, né alcuno udirà nelle piazze la sua voce. Egli non spezzerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo che fuma, finchè non abbia fatto trionfare la giustizia”; e ancora(9,13)“andate dunque e imparate che cosa significa: preferisco la misericordia al sacrificio, perché io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”; infine: “vi lascio la pace, vi do la mia pace, affinchè vi amiate l’un l’altro ”. Passiamo a un altro argomento: “Guarigione in giorno di Sabato” . Era nella sinagoga, era un giorno di sabato; vide una donna inferma, la guarì, ma il capo della sinagoga si indignò contro Gesù perché aveva lavorato di sabato: “Sei sono i giorni in cui si deve lavorare; venite dunque a farvi guarire in quei giorni non di sabato!” Ma Gesù infuriato gli rispose: “Ipocriti! Ognuno di voi non scioglie il bove e l’asino per condurlo a bere il giorno di sabato?”(Luca,13,10-17). La faccenda del sabato festivo Cristo la mette spesso in discussione; anche nei vangeli apocrifi si racconta che Gesù bambino stava una volta costruendo degli uccellini con il fango; un fariseo lo vide e rimproverò sua madre che permetteva a suo figlio piccolo di lavorare il sabato; Maria va per rimproverarlo, Gesù soffia su queste figure di uccellini, che prendono il volo, e fa sparire i segni del peccato. Per capire quanto era peccaminoso per gli ebrei fare qualcosa di sabato, è opportuno richiamare un passo dell’A.T.: Numeri (15, 32-36): “ Or, mentre i figli d’Israele erano nel deserto, trovarono un uomo che raccoglieva la legna (in giorno di sabato), lo condussero davanti a Mosè, ad Aronne e a tutta la comunità, e lo misero sotto buona guardia, perché ancora non era deciso che cosa si dovesse fare di lui. E il signore disse a Mosè: Muoia lapidato da tutta l’assemblea, fuori dal campo. Allora tutta l’assemblea lo condusse fuori dal campo e lo lapidò, finchè morì, come il Signore aveva comandato a Mosè”. Un’altra situazione del tutto capovolta si riscontra in Maccabei II° (6-11). Mentre lottavano per liberare il loro popolo, certi guerrieri Maccabei decisero di rispettare il sabato: “Altri poi che si erano radunati in caverne per celebrare di nascosto il sabato, denunziati a Filippo (il nemico), furono bruciati vivi, perché non 121


vollero difendersi con le proprie mani, per rispettare il santo riposo del sabato” . Ecco i risultati della religione quando viene presa troppo sul serio. Nota curiosa; pare che Gesù da piccolo fosse molto discolo (secondo gli apocrifi); spesso, quando si arrabbiava con gli amici con i quali stava giocando, li faceva cadere dalla terrazza o con un colpo li ammazzava; arrivavano le mamme dei ragazzi uccisi, si lamentavano con Maria e questa obbligava suo figlio Gesù a farli risuscitare. Ma alcuni portenti li aveva già iniziati a fare appena nato, secondo questi vangeli. Infatti si racconta che, quando tutta la famiglia scappò in Egitto per sfuggire ad Erode, appena arrivato lì, dovunque passava tutti gli idoli egiziani crollavano con la faccia per terra (se fosse stato vero, in Egitto se la sarebbero passata peggio che con Erode). Direte che come miracoli sono poco seri? Perché, gli altri sono più seri? Non scandalizzatevi: di vangeli ne sono stati scritti a centinaia, ampliando e rettificando a volontà. Era talmente diffusa la leggenda, che nessuno sfuggiva alla tentazione di raccontare la sua verità, né i quattro, che si tengono per buoni, sono più seri degli altri. Una caratteristica che balza agli occhi nei confronti di questo libro, è che questi vangeli sono un lavoro di copia e incolla. Insomma un mosaico costruito con tanti pezzi con i quali si è tentato di costruire l’immagine e la storia di un uomo. Primo tentativo fu fatto con il primo concilio di Nicea nel 325 d.C., ma le manipolazioni continuano fino al Concilio di Trento del 1545, quando i vangeli acquistano la versione definitiva, quella che noi oggi conosciamo. Gesù “rompe con la Tradizione Ebraica” E comincia col “rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio” (Luca,20, 23). Con questa affermazione stabiliva le distanze del sacro dal profano, e segnava una discontinuità dalla tradizione ebraica. Su questo tema un’altra affermazione la troviamo in Paolo (Ebrei, 9,9-10): “I molteplici e magnifici riti mosaici erano inefficaci” (cioè i sacrifici di animali uccisi sull’altare secondo la legge di Mosè); “Or, questo era una figura dell’antica legge, sotto la quale si presentano offerte e sacrifici perché non sono che prescrizioni carnali riguardanti cibi, bevande ed offerte diverse, imposte solo fino al tempo in cui sarebbero state riformate” (impotenza dei sacrifici antichi per togliere i peccati); “perché è impossibile che il sangue dei tori e dei capri tolga i peccati” (10,4); “Egli invece ha offerto un solo sacrificio per i peccati, dopo il quale è salito ad assidersi per sempre alla destra di Dio, ove attende ormai che i suoi nemici siano messi come sgabello sotto i suoi piedi”(10,12). Sui sacrifici di animali che s’immolavano a Yahwèh, credo sia opportuno ricordare che il posto dove venivano uccisi gli animali offerti al loro dio in realtà era un vero e proprio mattatoio comunale all’aperto. Infatti, quasi sempre questi sacrifici erano solo un pretesto; in realtà gli Ebrei sacrificavano quando avevano deciso di mangiare un po’ di carne; se erano pastori portavano i loro animali, se no li compravano. Portavano al tempio l’animale; i sacerdoti addetti lo uccidevano e spargevano il sangue intorno all’altare, come aveva raccomandato Mosè; poi si scuoiava l’animale, si immolava una piccola parte a Dio, si lasciava la parte al 122


sacerdote, il resto se lo portavano a casa e lo mangiavano. Quindi, anche qui è evidente che Yahwèh era solo una scusa buona per tutti, e i cristiani mandano a gambe in aria questa usanza con l’immolazione di Cristo al posto degli animali. E così… iniziò il sacrificio degli uomini per Cristo, al posto degli animali a Yahwèh: milioni di esseri umani verranno uccisi, bruciati vivi in suo onore e gloria; papa e re, trono e altare, furono un tutt’uno e del pari inviolabili e indiscutibili. “Così la religione divenne il semi-dio naturale del dispotismo politico”. Ora vediamo il problema del “DESTINO di GESÚ”, che secondo gli stessi evangelisti era già stato segnato nei minimi particolari: come doveva evolversi e come doveva finire, i sacerdoti che non lo avrebbero riconosciuto come figlio di dio e l’avrebbero condannato come falso profeta, il povero Giuda che doveva per forza tradire Gesù, se no non si sarebbero attuati i disegni divini ecc. E qui balza prepotente una domanda: se questo è ciò che doveva avvenire (perchè era Dio che voleva che tutto ciò accadesse), che colpa hanno farisei, sadducei e pubblicani? Che colpa ha Giuda? Che colpa hanno complessivamente gli Ebrei di tutto ciò? Non era Dio che stava giocando con la sorte degli uomini ancora una volta come era successo già migliaia di volte, come abbiamo visto nell’A.T.? Prendiamo il tormento, la disperazione di “Gesù nel Getsemani”, l’orto degli ulivi: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice, però non la mia, ma la tua volontà sia fatta! Ed essendo in agonia pregava più intensamente e il suo sudore divenne come gocce di sangue che cadevano in terra”( Luca, 22, 42-43). Normale per un comune mortale (a parte le gocce di sangue che avrebbe sudato) che sta per essere ucciso; del tutto fuori luogo per chi dice di essere figlio di Dio; inoltre dopo tre giorni sarebbe risuscitato e per l’eternità avrebbe giudicato i vivi e i morti, in paradiso, assiso alla destra di Dio suo padre. Poi gli fanno dire mentre era in croce e stava per morire: “Elì, Elì, lamà sabactani? Cioè: dio mio, dio mio, perché mi hai abbandonato? (Matteo, 27, 46). Come sarebbe a dire “perché mi hai abbandonato!?”. Ma non era già previsto, e non ha fatto di tutto perché ciò avvenga? Gli stessi evangelisti non gli hanno fatto dire che tutto ciò che accadeva era già scritto dai profeti, e quindi doveva accadere? Non ci avevano già convinti che non c’era il benché minimo libero arbitrio per tutti i personaggi e i fatti descritti? Io avrei capito se l’invocazione rivolta a suo Padre fosse stata la richiesta di farlo morire il più presto possibile, con meno dolori possibili, magari un collasso, un infarto, un ictus; questo, sì, sarebbe stato comprensibile; ma così no, non sono coerenti! Persino sulla morte questo Gesù viene preso in giro dai suoi discepoli, o meglio evangelisti, che somigliano sempre di più all’araba fenice. Del resto, come ho già detto, tutto il racconto di questi apostoli-evangelisti è in funzione di quanto hanno detto i profeti. Sentiamo cosa dice Isaia (53,9-10): “Gli fu preparata una tomba fra gli empi, lo si unì nella morte coi malfattori. Eppure non commise ingiustizia e non vi fu menzogna sulla sua bocca. Ma piacque al Signore consumarlo con la sofferenza” (ma quanto è buono il Signore!!). 123


E lui, il messia, sapeva che così doveva andare, o almeno così gli fanno dire gli evangelisti in varie occasioni; sentiamo: 1) Matteo (17,1-9), la “Trasfigurazione”: “Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello, e li condusse sopra un alto monte. Lì si trasfigurò, ed ebbe una visione, e la voce di Dio che parlò ai suoi discepoli dicendo: “questo è il mio figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo”. Udito ciò i discepoli caddero bocconi per terra ed ebbero paura. Mentre scendevano dal monte Gesù dette loro quest’ordine dicendo: “Non parlate a nessuno di questa vostra visione, finchè il figlio dell’uomo non sia risuscitato dai morti!” (e qui dice “il figlio dell’uomo”, non il figlio di dio). Quindi, sapeva già che doveva morire e risorgere: è detto da lui, no? 2) La parabola dei “Vignaioli perfidi” (Marco,12,1-12). Qui Gesù bolla i sacerdoti del suo tempio come traditori del loro stesso Dio e li paragona a dei vignaioli perfidi. Per intenderci, il padrone della vigna è Dio, la vigna è il popolo d’Israele, i sacerdoti sono i vignaioli perfidi, i servitori sono i profeti e suo figlio è Gesù. Leggiamo:”Un uomo piantò la vigna...poi l’affittò a dei coloni e se ne andò lontano. Venuto il tempo della vendemmia, il padrone mandò un suo servo, per ricevere il frutto della vigna. Ma quelli lo presero lo bastonarono e lo mandarono a mani vuote. Poi ne mandò un altro, poi un altro ancora e lo ammazzarono, e poi altri percorsi e uccisi ecc. Infine mandò suo figlio, ma questi coloni dissero fra di loro: è l’erede! Venite, uccidiamolo, e l’eredità sarà nostra! E lo presero lo uccisero e lo buttarono fuori dalla vigna”; e questa è una parabola con la quale descrive la sua fine. 3) in Matteo (16,21-23) annuncia ai suoi apostoli che sarebbe andato a Gerusalemme, lì avrebbe sofferto molto e sarebbe stato messo a morte e poi risuscitato dopo tre giorni. Ma Pietro, tràttolo a sè, cominciò a fargli rimostranze, dicendo: “Deh, che non sia, Signore; questo non ti avverrà giammai”. Ma Gesù rivoltosi a Pietro dice: “Va lontano da me, satana! Tu mi sei di scandalo; perché non ragioni secondo Dio, ma secondo gli uomini” (era proprio convinto!). 4) il “Segno di Giona” (Matteo, 12, 39-40): E’ Gesù che parla: “…ma non le sarà dato altro segno che quello del profeta Giona. Infatti come Giona stette tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il figlio dell’uomo, starà tre giorni e tre notti nel cuore della terra”. 5) Marco (10, 32-34): “Gesù, prendendo di nuovo i dodici apostoli presso di sé, cominciò a dir loro quello che gli doveva accadere: “Ecco che noi saliamo a Gerusalemme, e il figlio dell’uomo sarà dato in mano ai grandi sacerdoti e agli scribi, i quali lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai gentili; questi lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno, e lo faranno morire, ma dopo tre giorni egli risusciterà.” Le stesse parole si possono riscontrare in Luca(18, 31-34). 6) Marco (14, 27-28): Gesù predice l’abbandono dei suoi discepoli: “E Gesù disse loro: tutti troverete occasione di caduta, poiché sta scritto: percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. Ma dopo che io sarò risuscitato, vi precederò in Galilea.” 7) Giovanni (8, 27-29): “Disse dunque loro Gesù: quando avrete innalzato in croce il figlio dell’uomo, allora conoscerete che io sono il figlio di Dio, e che niente faccio da me, ma come mi ha insegnato il padre, così io parlo. E chi mi ha mandato è 124


con me, e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre quello che è di suo piacimento.” 8) Giovanni (18, 11): Gesù sta per essere arrestato, “Allora Simone detto Pietro che aveva una spada, la sfoderò e colpì un servo (e te pareva!, sempre il più debole paga) del sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro, quel servo si chiamava Malco. Ma Gesù disse a Pietro: “rimetti la tua spada nel fodero; non berrò io il calice che il padre mi ha dato?” 9) Infine, sulla croce (Marco 15, 26-28): “Era l’ora terza quando lo crocifissero. E l’iscrizione che riferiva il motivo della sua condanna era: Il re dei Giudei”. Crocifissero pure con lui due ladri, uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. Così si adempì la scrittura che dice: “è stato annoverato tra i malfattori” (ecco di nuovo il richiamo al profeta). E ancora (15, 29-30): “Eh! Tu che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso e scendi dalla croce!”. Stesso racconto in Matteo (27, 39-40). “Ma Gesù diceva: padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Infine lanciò un urlo e morì”(Luca, 23,34). E qui c’è qualche incongruenza: sulla croce si fa una chiacchierata con i due ladroni messi in croce insieme a lui, che poi non sono ladroni ma Zeloti, come lo era Barabba. Studi scientifici e medici ci informano delle condizioni fisiche e del modo in cui si dovrebbe morire sulla croce; si parla di asfissia traumatica, e conseguente collasso stativo. Il che significa, per noi comuni ignoranti di medicina, che il sangue collassa verso la parte bassa del corpo e, data sempre la posizione delle braccia alzate sulle quali si regge il resto del corpo, è impossibile una buona respirazione, quindi il respiro si fa difficile e l’ossigenazione insufficiente. Altro che parlare, altro che urlare! si finisce col perdere i sensi perché al cervello non affluisce più ossigeno. Concludendo: innumerevoli volte fanno dire a Gesù qual è la sua sorte e come si sarebbe compiuta, arrivando a maledire chi non trovava giusto tutto questo; poi lo fanno lamentare per la morte che deve subire, invoca suo padre e si lamenta perché l’avrebbe abbandonato. Contraddizioni troppo plateali! Se aggiunte alle ricerche di alcuni storici, confermate in parte anche dai tre vangeli sinottici (Luca, Matteo, Marco), i quali sottolineano che il motivo di fondo dell’arresto e della condanna era dovuta alla “cacciata dei mercanti dal Tempio”, ci si trova sempre più nell’impossibilità di tracciare un quadro attendibile del suo comportamento. Infatti, a detta degli storici, un tale episodio in quei tempi era considerato un atto di sovversione politica, perciò punibile con una condanna a morte; quindi, non solo creava preoccupazioni al grande sacerdote Caifa, ma comprometteva anche l’ordine pubblico gestito dai romani. La crocifissione infatti, nell’impero romano, era la pena capitale per tutti i ribelli e gli eversori, e come tale fu arrestato e giustiziato. Ora parliamo di GIUDA, figlio di Simone Iscariote. Deve essere un personaggio tutto inventato, quello descritto dai vangeli ufficiali. Questo Giuda era il tesoriere del gruppo, quindi gestiva i soldi. Normalmente i tesorieri, quando tradiscono, scappano con il malloppo e chi si è visto si è visto; questo, invece, tradisce Gesù con il famoso bacio, e passa per traditore perché avrebbe venduto e fatto riconoscere Gesù ai sacerdoti e ai militari che erano andati 125


nell’orto degli ulivi ad arrestarlo per “trenta denari”. Ma come? il profumo di “nardo puro” che Maria, sorella di Marta, ha usato per ungere i piedi a Gesù (Gio. 12, 3-5) poteva costare 300 denari come ha fatto notare lo stesso Giuda (e doveva intendersene di soldi), e poi si accontenta di 30 denari per tradire il suo maestro? Questo “busillis” si può spiegare tenendo presente che questi vangeli sono stati scritti dopo vari anni dai fatti narrati e a più riprese con aggiunte e correzioni. Da quel poco che sappiamo, sembra che ai tempi di Gesù circolassero varie monete, anche in oro o argento, tra cui il “denaro” romano, che corrispondeva al salario di una giornata di lavoro nei campi, e il “siclo” ebraico che valeva circa tre denari. Ma facendo un po’ di conti, le cose si complicano ulteriormente: possibile che un profumo costasse 300 denari, cioè un valore pari a 300 giornate di lavoro? e comunque, possibile che il tesoriere della compagnia, Giuda, si accontenti di un decimo del valore di un unguento? Forse saranno stati “trenta sicli”, come riportato in qualche versione antica! Mah, che confusione! Considerazione dal punto di vista religioso. Se ciò fosse vero, questo Giuda sarebbe stato solo uno strumento in mano di Yahwèh affinché realizzasse i suoi disegni divini, annunciati più volte. Quindi non ha agito per cattiveria, ma è come se avesse solo recitato una parte già assegnata e alla quale non poteva sfuggire, neanche se lo avesse voluto con tutte le sue forze, in quanto era Dio che voleva che si adempisse quanto già era stato profetato da lungo tempo. Quindi, Giuda per me è innocente, è uno strumento inconsapevole, è solo un capro espiatorio, un povero cristo; se poi, come dicono i vangeli, si è pure suicidato è stata un’infamia che si è consumata contro di lui, e non viceversa. Ma questo non dovrebbe essere chiaro anche ai credenti? Quanto appena detto sembra confermato, con espressioni diverse, nel Vangelo di Giuda, recentemente scoperto (sarà l’ultimo di una lunga serie?): la morte di Gesù diviene un bene necessario; qui è lo stesso Gesù che spinge Giuda a tradirlo, consegnandolo ai soldati. Quanto è difficile orientarsi nel ginepraio dei numerosi vangeli! Sembra che ognuno vi possa trovare una “verità” fatta su misura. Per i più curiosi, nel Vangelo segreto di Marco, in un brano riportato da Clemente d’Alessandria, c’è una scena, a dir poco sconvolgente, in cui Gesù, su preghiera di una donna, risuscita il giovane fratello: “Ma il giovane, guardandolo, lo amò. E dopo sei giorni Gesù gli disse cosa doveva fare e alla sera il giovane venne da lui, vestito di un lenzuolo di lino sul corpo nudo. E rimase con lui quella notte”.Mah…, e la Maddalena? Meglio non indagare. Considerazione dal punto di vista dialettico: diversi passi, come vedremo, dimostrano che Gesù, e non solo lui, ma anche alcuni apostoli, erano molto conosciuti in Gerusalemme. Sentiamo Giovanni: - in diverse occasioni Gesù si trova al tempio , dove parla in pubblico: “ Gesù rispose loro: in verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, io sono”. Allora i giudei dettero di piglio alle pietre per tirargliele; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio”(9,59); e più avanti (10, 31): “di nuovo i Giudei diedero di piglio alle pietre per lapidarlo”; - Pietro tenta di entrare nel tempio per seguire il processo dei sacerdoti contro Gesù già arrestato (18, 16-17): “Disse però a Pietro la serva addetta alla porta: 126


forse anche tu sei discepolo di quest’uomo?. Egli rispose: non lo sono”. Altre guardie che stavano scaldandosi al fuoco riconobbero ancora Pietro e gli domandarono: “non sei anche tu dei suoi discepoli? Pietro negò ancora “(18,25). Anche qui un’altra incongruenza: il gallo cantò? in Gerusalemme? Impossibile! In Leviti (11, 1-41) e in Deuteronomio (14,3-21) si fa per due volte un elenco dettagliato e lunghissimo di tutti gli animali puri e impuri, e non c’è traccia né di galli né di galline. Comunque, c’è chi sostiene che galli e galline siano stati importati dai romani, però giura che in Gerusalemme non avrebbero mai potuto esserci; quindi difficilmente si sarebbe sentito un gallo fuori dalle mura nel centro di Gerusalemme. - e infine (12, 12-15): “Il giorno dopo, una folla accorsa alla festa, avendo sentito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palma, gli andò incontro, e gridava Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del signore, e il re d’Israele. E Gesù trovato un asinello vi montò sopra, come sta scritto in Zaccaria”. Infatti Zaccaria (uno dei tanti profeti utilizzati) così aveva scritto: “Non temere, figlia di Sion: ecco viene il tuo re, seduto sopra un puledro d’asina”. A questo punto abbiamo capito che questo Gesù era molto popolare tra i cittadini di Gerusalemme, e i dottori o sacerdoti del tempio avevano avuto più occasioni non solo di conoscerlo, ma anche di litigare e minacciarlo, fino al tentativo di linciarlo. Se non sono fesserie le cose che hanno sostenuto fin qui, è assurdo poi sostenere che gli stessi sacerdoti avessero bisogno di Giuda per riconoscere Gesù e poterlo arrestare. No! Ogni favola che si rispetti, se non c’è il cattivo, il traditore di turno, non è mai abbastanza significativa. Ecco perché è pura invenzione il Giuda cattivo e traditore; al massimo sarà stato un capro espiatorio, e quindi meriterebbe di andare in paradiso. Invece anche Dante lo colloca nel più profondo inferno, nel lago ghiacciato di Cocito: “quell’anima là su c’ha maggior pena”/ disse ‘l maestro,“è Giuda Scariotto,/ che ‘l capo ha dentro e fuor le gambe mena” ( XXIV, 61-63). LA RESURREZIONE Matteo (28, 1-10). Dopo il sabato (quindi la domenica mattina, primo giorno della settimana) Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a vedere il sepolcro. Quand’ecco venne un gran terremoto, poiché un angelo del Signore, sceso dal cielo, venne a ribaltare la pietra e vi sedette sopra. Il suo aspetto era come la folgore e la sua veste candida come la neve. L’angelo disse alle donne: “non temete voi; so infatti che cercate quel Gesù che è stato crocifisso. Non è qui! E’ risorto, come aveva detto; venite a vedere il posto dove era stato deposto il Signore. E presto andate a dire ai discepoli che egli è risorto dai morti; e che li precede in Galilea: ivi lo vedrete; ecco io ve l’ho detto”. E le ha prese in giro, poichè Gesù era lì; infatti ”…e Gesù si fece loro incontro e disse: Salute! Ed esse gli si avvicinarono, ne abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse: “Non temete, andate e annunziate ai miei fratelli che vadano in Galilea; là mi vedranno”. Si fece vivo con i suoi discepoli, e più o meno tutti concordano che: “ il signore Gesù dunque, dopo aver parlato, si elevò al cielo dove siede alla destra di dio” 127


Ma Giovanni nella sua “Rivelazione”(o Apocalisse) vede le cose in un modo un po’ diverso: (4, 1-11): “Ed ecco, un trono era innalzato nel cielo, e sopra il trono uno a sedere. E colui che vi stava seduto nell’aspetto era simile alla pietra di diaspro e di sardio; il trono era circondato da un’iride simile allo smeraldo. Attorno al trono erano altri ventiquattro troni e sopra questi vidi seduti ventiquattro vegliardi, vestiti di bianche vesti e sulle loro teste corone d’oro”(erano i dodici apostoli e dodici patriarchi). In mezzo davanti ed intorno al trono quattro esseri viventi pieni d’occhi davanti e di dietro. Il primo di essi è simile ad un leone (sarebbe Gesù: Gen.49,9, ed Isaia,11,1-10), il secondo è simile ad un vitello, il terzo ha la faccia simile a quella di un uomo, e il quarto è simile ad una aquila che vola... Ognuno dei quattro viventi ha sei ali, e all’intorno e di dietro sono pieni di occhi...; (5,5): “Ma uno dei vegliardi mi disse: Non piangere! Ecco che ha vinto il leone della tribù di Giuda, il rampollo di Davide, per aprire il libro e rompere i sette sigilli”; (5, 6): “E vidi allora fra il trono, i quattro viventi e i vegliardi, un agnello, in piedi, come scannato, con sette corna e sette occhi, che sono i sette spiriti d’Iddio, mandati in missione su tutta la terra”. Bene, anzi male; ce lo ha descritto più simile a un mostro che a un uomo: agnello sgozzato, leone incazzato con tanti occhi e corna ecc.; ma non l’ha visto assiso sul trono alla destra di suo padre, come viene riferito in diversi passi dei vangeli. Qualche riflessione da miscredente. Tornando alle due Marie, perché andavano al sepolcro per cospargere di unguenti il corpo di Gesù, se lo aveva detto un’infinità di volte che sarebbe risorto dopo tre giorni? (anche se in realtà, visto che è morto venerdì sera, e domenica mattina era già volato via, si può dire che si è fatto due notti e un giorno, e non tre giorni come aveva detto). Perché, se tutti erano certi della sua risurrezione, hanno fatto comprare, anzi scavare nel masso, il loculo a “quell’uomo ricco di Arimatea, chiamato Giuseppe”? (Matteo, 27,57). Perché non se lo sono portato a casa? E perché non è risorto subito dopo morto?, avrebbe avuto un effetto micidiale sui suoi nemici! Neanche le favole per bambini sono mai state inventate e raccontate in modo tanto maldestro ! Ma poi, dove è finito il corpo di Gesù? In Matteo, 28/13, si racconta che gli ambienti ostili a Gesù si siano dati da fare per convincere tutti che Gesù non è risorto, ma che lo hanno rubato dalla tomba per farlo credere tale: “ i discepoli di lui son venuti di notte l’hanno rubato mentre noi si dormiva”, giuravano le guardie, e secondo questo evangelista erano state comprate con una forte somma di denaro. Dato, però, che il corpo materialmente in cielo non c’è, stando alla visione di Giovanni nell’Apocalisse (ma anche Dante lo descrive in cerchi concentrici, insieme a Padre Figlio e Spirito Santo, ovvero la SS.Trinità: “Ne la profonda e chiara sussistenza/ de l’alto lume parvermi tre giri/ di tre colori e d’una contenenza”(Par. XXXIII,115-117), e non vi è traccia dei suoi resti su questa terra, non si può escludere che i fedeli di Gesù abbiano veramente tentato il colpo grosso facendo sparire la salma del loro Cristo. Non sarebbe stato, certo, un grande sforzo per lui risuscitare, per carità! Aveva fatto già tanti di quei miracoli per storpi e ciechi, vi pare che non poteva farsene uno per sé! Pensiamo alla risurrezione di Lazzaro, il fratello di Maria di Magdala, la sua 128


donna; Gesù ordinò: “togliete la pietra; gli rispose Maria, la sorella del morto: “Signore, già puzza; perché è di quattro giorni”(Giov., 11/39). Comunque, aprirono il sepolcro e Lazzaro risuscitò tutto puzzolente. Poveraccio Lazzaro, ha avuto la disgrazia di dover morire due volte invece di una sola, come natura comanda. Quindi, il mistero di questo nostro Gesù non è tanto se sia risuscitato o meno, ma che è sparito del tutto e per sempre il suo corpo, e che i suoi resti mortali non sono più nè in cielo, nè in terra, nè in nessun luogo. Che fine hanno fatto? Ecco un vero giallo! A questo punto mi corre l’obbligo di spiegarmi: non sto ridendo dell’uomo Gesù di Nazareth, del quale ho profondo rispetto, ma dei suoi amici che hanno voluto farlo diventare figlio di dio, facendolo cadere in una infinità di contraddizioni, che non sono sicuramente sue. Poi mi viene da piangere se penso a tutti quegli opportunisti, arrivisti, avidi di potere, che nel corso di duemila anni in nome suo hanno ucciso e massacrato milioni di altri “poveri cristi”. Cristo è stato dal potere ucciso pur non avendo commesso reato alcuno, se non quello di opinione; quando ciò accade è perchè il potere si trova di fronte un uomo notevole, altrimenti lo avrebbe ignorato. Ma Cristo, suo malgrado, è stato per le generazioni successive motivo di infernale odio e di divino amore. Pensiamo alle famigerate crociate con i fiumi di sangue versati e fatti versare in nome e per conto di Cristo. Ma quando queste ormai volgevano al termine, un poeta come Jacopone da Todi (1236-1306) scriveva una bellissima poesia per il dramma familiare tra Cristo e sua madre Maria. Madonna, ecco la cruce,---- che la gente l’adduce, ove la vera luce ---- dèi essere levato. O croce, que farai? ---- el figlio mio torrai Mamma, o’ sei venuta? ---- mortal me dai feruta chè ‘l tuo pianger me stuta, ---- chè ‘l veggio sì afferrato. Figlio, chè m’agio anvito,---- figlio patre e marito,figlio, chi t’ha ferito?---- figlio chi t’ha spogliato? Mamma, perché te lagni?---- voglio che tu remagni, che serve i miei compagni ---- ch’al aggio acquistato. Figlio, questo non dire, ---- voglio teco morire, non me voglio partire, ---- fin che mò m’esce ‘l fiato. Figlio, l’alma t’è uscita,---- figlio de la smarrita, figlio de la sparita, ----figlio attossicato! Figlio, dolce e piacente, ---- figlio de la dolente, figlio, hatte la gente ---- malamente trattato! ecc.ecc. Sì, quando sono i genitori a seppellire i figli, quando un innocente viene ucciso, il dramma è indescrivibile, e quasi sempre ciò accade per “ colpa e vergogna de l’umane voglie” (Dante).

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Ma se vogliamo “parlare bene” di Gesù gli argomenti non mancano, per esempio il rapporto benevolo, quasi familiare, con i peccatori; vediamo qualche passo: 1) Luca (18, 9-14): due uomini salirono al Tempio a pregare: uno era fariseo l’altro pubblicano; il primo, ligio e pio, non entra nelle grazie di Gesù, mentre il peccatore pubblicano, con il suo modo umile di pregare, gli fa dire: “chi si esalta sarà umiliato, chi si umilia sarà esaltato”. 2) Luca (19, 1-10): Gesù entra in Gerico e un capo dei ricchi pubblicani, un certo Zaccheo, corre come un matto, sale addirittura su un albero per vedere e ammirare Gesù al suo passaggio. Gesù lo vede : “Zaccheo scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. Zaccheo tutto contento scende dall’albero, mentre la folla mormorava dicendo: “È andato ad alloggiare da un peccatore!”. Zaccheo di colpo diventa altruista e dà ai poveri buona parte dei suoi averi; e Gesù di rimando: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; Il figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”. 3) In Marco (2, 15-17); vediamo Gesù a mensa con pubblicani e peccatori: gli scribi dei farisei si scandalizzano con i discepoli: “Come mai egli mangia in compagnia dei pubblicani e dei peccatori? Avendo udito questo Gesù disse loro: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori”. E poi: -la parabola della “pecorella smarrita”; -la “donna peccatrice” che salva dalla lapidazione: “chi è senza peccato scagli la prima pietra”; - e ”le prostitute vi precederanno…” ecc. Sì, Gesù di Nazareth è anche questo (o meglio, sarà stato anche questo), ma il cristianesimo sarà altra cosa, e per capire il perché dobbiamo ascoltare S. PAOLO il vero fondatore del cristianesimo, come si sostiene in alcuni ambienti; ma altri sostengono che si cominciò a parlare di “cristianesimo” solo verso la seconda metà del II° secolo!! Comunque, da una attenta lettura dei suoi scritti sono già evidenti la deviazione e la falsificazione dell’idea originale. I° let. ai Corinti (15,12-25): “Se Cristo poi non è risorto, la vostra fede è vana;...Poiché infatti a causa d’un uomo è venuta la morte, così pure in virtù di un uomo è venuta la risurrezione dei morti. Come tutti muoiono in Adamo, così tutti rivivranno in Cristo... perché è necessario che Cristo regni fino a che non abbia messo sotto i suoi piedi tutti i suoi nemici”. E ci risiamo con le minacce! In realtà Cristo, se non lo avessero fatto risorgere, sarebbe rimasto il solito profeta, ucciso come tanti altri rimasti sconosciuti. Invece i suoi discepoli non si sono dati per vinti e si sono inventati la resurrezione (da ricordare che si possono ammirare le tombe, sia di Gesù sia di Maometto, una a Gerusalemme e l’altra a Medina, ma sono vuote, in quanto i due sarebbero volati in cielo in carne ed ossa). Questo Saulo di Tarso, contrariamente a Giuda, è un personaggio reale che inizia a propagandare ciò che gli avevano raccontato sull’uomo chiamato Gesù di Nazareth; così organizza le sue sette chiese (tra i Romani, i Corinti, i Galati, gli Efesi, i Filippesi, i Colossesi, i Tassalonicesi) con le quali mantiene una fitta 130


corrispondenza. Anche qui notiamo incongruenze; in un primo momento i vangeli quasi ti convincono che Gesù era molto popolare e conosciuto in tutta Israele, poi, senza pudore, aggiungono che un certo Saulo di Tarso, che diventerà S. Paolo, non ebbe l’occasione di conoscere Gesù, pur essendo suo contemporaneo, solo tre anni più giovane. Saulo di Tarso non era un fariseo qualsiasi; era ricco e molto in vista nella società a Gerusalemme, tant’è che quando fu lapidato S. Stefano lui era presente, e furono date a lui le sue vesti, secondo una precisa tradizione ebraica. Perseguitava i cristiani ed erano passati appena tre anni dalla morte di Gesù; era il terrore dei cristiani. Sentiamo cosa dice Anania (cristiano di Damasco), quando viene invitato dal Signore ad andare a trovare Saulo dopo l’incidente, o caduta da cavallo sulla via di Damasco: (Atti, 9, 12-15): “Signore, ho sentito parlare da molti di questo uomo e di quanto male abbia fatto ai tuoi santi in Gerusalemme; ed ha ricevuto dai grandi sacerdoti pieni poteri qui a Damasco, di legare tutti quelli che invocano il tuo nome.” Ma il Signore gli rispose: “ va’ perché costui è uno strumento da me scelto per portare il mio nome davanti alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele.” Da osservare, ha detto proprio “strumento”! come dire un martello, una pinza ecc. (neanche una multinazionale programma così dettagliatamente il suo sviluppo!). Comunque, alla fine di un intenso lavoro di organizzazione e di propaganda da buon teologo (interpretazione del messaggio cristiano), Saulo di Tarso viene ucciso dai Romani nel 67 d.C. all’età di 64 anni (Maria, madre di Gesù, muore di morte naturale nel 48 d.C. e cioè 15 anni dopo la morte di suo figlio. Ora vediamo cosa scrive nelle lettere che spedisce alle “sette chiese”; lettere e predicazione che Paolo sostiene siano state approvate da un concilio tenutosi a Gerusalemme (Galati,2,1-10). Andiamo per argomenti: 1 - Sugli schiavi: (Timoteo, 6,1-2): “ tutti coloro che sono sotto il gioco della schiavitù, stimino i loro padroni degni di ogni rispetto, affinché non si dica male del nome di Dio né della sua dottrina. Quelli invece che hanno padroni cristiani, non pensino di poterli disprezzare col pretesto che sono fratelli, ma anzi li servano con maggior impegno, perché quelli che beneficiano dei loro servizi sono credenti e cari a Dio. Ecco le cose che devi insegnare e raccomandare”; (Cor. I°, 7, 21-24) “...Sei stato chiamato quand’eri schiavo? Non te ne preoccupare, anzi, trovandoti nella possibilità di diventare libero, approfitta piuttosto della tua condizione di schiavo; perché chi da schiavo è stato chiamato nel Signore, è libero in Cristo. Ciascuno, o fratelli, rimanga davanti a Dio nella condizione in cui era stato chiamato”. A coperchio di tutte queste giustificazioni sullo schiavismo, leggiamo una breve lettera di Paolo a Filemone. Costui è un ricco cristiano di Colossi, amico di Paolo e padrone dello schiavo Onesimo, il quale è fuggito da lui e si è rifugiato da Paolo, convinto che lo libererà dalle condizioni di schiavo, anche perché è cristiano pure lui. Ma ahimè, aveva fatto i conti senza l’oste; infatti Paolo lo rimanda indietro al sua amico Filemone. Incredibile, ma vero! Pur essendo stato un fervente fariseo, ignora, o fa finta, come gli Ebrei dovevano trattare gli schiavi; (Deuter. 23, 16-17): “Non riconsegnare al suo padrone il servo (schiavo), che è fuggito da lui e si sia rifugiato presso di te. Dimori presso di te nel luogo che si sarà scelto, non fargli violenza”; e 131


ancora (Esodo, 21.1-3): “Se tu compererai un servo ebreo, ti servirà per sei anni; ma al settimo anno se ne andrà libero senza pagar nulla”. Insomma il “nostro” S. Paolo peggiora il comportamento nei confronti degli schiavi rispetto a quello dei suoi ex correligionari farisei. Oggi questo rabbino ci direbbe: sei disoccupato? resta tale e ringrazia il signore della tua condizione; sei occupato? fai al meglio il tuo lavoro, produci meglio e il più possibile, affinché il tuo padrone sia contento, sia che si tratti di un padrone cristiano (in questo caso è caro a dio), sia che si tratti di un infedele (affinché non si dica male del nome di dio e della sua dottrina); quindi, fa di tutto per rendere soddisfazione ai tuoi padroni. Ecco un ottimo esempio di come la religione diventa strumento di controllo e di giustificazione per le classi politiche ed economiche dominanti. Infatti, la chiesa cattolica non ha mai condannato lo schiavismo, né si è mai interessata allo sfruttamento proletario. Anzi gli stessi schiavisti cristiani nei secoli hanno sempre utilizzato questo passo per dimostrare la coerenza tra il praticare lo schiavismo e la fede in Cristo e nella sua chiesa. Solo nella seconda metà del XIX secolo, nella l’enciclica “Rerum Novarum” di papa Leone XIII c’è una prima traccia di condanna dello sfruttamento proletario; timido tentativo di porre un argine alle teorie marxiste che ormai egemonizzavano il proletariato in quel tempo (lo vedremo meglio nella parte terza). Ma tant’è…Gesù era convinto che il regno di Dio era dietro l’angolo; invece questo Saulo di Tarso ci credeva così poco che il regno di Dio sarebbe arrivato subito… quasi quanto ci credo io; e da buon politico molto pragmatico e ideologicamente molto opportunista, interpreta e adegua la dottrina del Gesù alla sua prospettiva di lunga durata, per realizzare un nuovo potere per sè e i suoi amici. 2 - Le donne e il matrimonio (Corinti I°, 7,1-3): “A riguardo poi di quanto mi avete scritto, è bene per l’uomo non toccare donna; tuttavia per evitare la fornicazione, ogni uomo abbia la sua moglie, ed ogni donna il suo marito”; (7,8): “Tuttavia ai celibi e specialmente alle vedove io dico: è bene per loro che rimangano come sono io (misogino!!). Ma se poi non si sentono di vivere continenti, si sposino; è meglio sposarsi che bruciar dalla passione”; (7,28):“E se una vergine si è sposata, non ha peccato; ma tali persone esperimenteranno le tribolazioni della vita; ed io vorrei risparmiarvele”; (Romani, 8, 6-7): “Le aspirazioni della carne conducono alla morte, mentre quelle dello spirito ci portano alla vita e alla pace; quindi coloro che vivono seconda la carne non possono piacere a Dio”; (Corinti, 8, 38): “ Così, chi marita la sua vergine fa bene, e chi non la marita fa meglio; (11, 4-12):“Ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, disonora la sua testa; perché è tale e quale come fosse rasa. Se una donna non vuole portare il velo, si faccia tagliare i capelli; L’uomo invece non deve coprirsi la testa, perché è immagine e gloria di Dio; mentre la donna è gloria dell’uomo. Infatti l’uomo non ebbe origine dalla donna, ma fu la donna ad esser tratta dall’uomo; né fu creato l’uomo per la donna, ma la donna per l’uomo”. Sì, tanto per non farci annoiare; insomma, un bel passatempo, giusto un sollazzo di tanto in tanto. Infine, la donna per lui è impura: solo le ragazzine sono pure . La cosa curiosa è che le pie donne, quando pregano questo santo, vanno in brodo di giuggiole! più sceme di così? 132


Questa impostazione sessuofobica di S. Paolo ha colpito in lungo e in largo; così S. Agostino, il primo grande teologo ,vescovo di Ippona, nato a Tagaste (NordAfrica, Cartagine) e morto nel 430, arriva a teorizzare la trasmissione della colpa attraverso le generazioni proprio con l’atto generativo, cioè l’amplesso. Ne “Le nozze e la concupiscenza” scrive: “I bambini sono tenuti come rei dal diavolo, non in quanto nati dal bene, che costituisce la bontà del matrimonio, bensì nati dal male della concupiscenza, di cui indubbiamente il matrimonio fa buon uso, ma di cui anche il matrimonio deve arrossire. È l’ardore della passione che accompagna l’amplesso a macchiare fin dall’origine ogni essere umano: chiunque nasce da questa concupiscenza della carne…è in debito del peccato originale”. Non ci spiega però come poter nascere diversamente; inoltre, poco prima di farsi vescovo di Ippona, le aveva provate tutte, compreso quello di avere un figlio da una concubina; tanto si può apprendere leggendo le sue “Confessioni”. Insomma, una vita giovanile dissennata, più o meno come S. Francesco. E si capisce che il pentitismo è sempre andato di moda, non è quindi prerogativa dei nostri politici contemporanei. Tra queste farneticazioni e il passo di san Marco (10,13-16) “lasciate venire a me i bambini e non impedite loro! perché il regno di Dio è di quelli che sono simili a loro”, cardinali vescovi e preti alla fine hanno preferito i bambini alle donne, e sono diventati degli autentici pedofili; e sono tanti. Insomma il sesso è un chiodo fisso per questo Paolo, e di “scemi” che gli vanno dietro ce ne sono fin troppi. Ecco alcuni esempi: - abbiamo già visto S. Agostino, che in un altro passo aggiunge : Uomo, tu sei il padrone e la donna è la tua schiava. - Maometto (570-632): La donna è un cammello che Allah ci ha dato per attraversare il deserto della vita. - Il monaco Odillon de Cluny (prima metà dell’XI° secolo) girava da un convento all’altro predicando il disgusto per le donne ai suoi confratelli, al fine di tenere lontana la tentazione della carne. Ecco un passo significativo delle sue omelie:“La bellezza dei loro corpi risiede tutta intera nella loro pelle. Se potessimo vedere quel che vi si trova sotto, la sola vista delle donne ci sarebbe nauseabonda. Pensate a quel che c’è nelle loro narici, nella gola, dentro il loro ventre, dappertutto non è altro che marciume, e noi che abbiamo ripugnanza a toccare con le punta delle dita il più piccolo pezzetto di fango, come possiamo pensare di tener tra le nostre braccia questi sacchi riempiti di escrementi?” (misoginia allo stato puro) A questo degenerato rispondiamo con le parole di Dante: “Cosa mortale come esser po’ sì adorna e sì pura?”. Però, dico io, se suo padre avesse avuto le stesse convinzioni, l’umanità ci avrebbe risparmiato un imbecille simile. Ma sembra che non abbia convinto molti, altrimenti il cristianesimo si sarebbe estinto da solo. Peccato! - Un lord inglese scrive a suo figlio, nel maldestro tentativo di tenerlo lontano dalle donne e non lasciarsi distogliere dallo studio: “il godimento è effimero, la posizione ridicola, la fatica tanta”(balle, è tutto bello!). Noi invece gli proponiamo questa bella poesia di Lorenzo dei Medici, il Magnifico : “Donne e giovinetti amanti,/ viva Bacco e viva amore! Ciascun suoni, balli e canti!/ Arda di dolcezza il 133


core! Non fatica, non dolore!/ Ciò c’ha a esser, convien sia./ Chi vuol esser lieto, sia:/ di diman non c’è certezza./” (“Il trionfo di Bacco e Arianna” ) Secondo Freud “la castità genera complessi, tanto più nefasti quanto più inconsci e negati. Chiedere all’uomo di cedere a questo istinto solo a fini procreativi, come vorrebbe la chiesa, è come chiedere ad un’ape di non posarsi sopra un fiore, alle foglie di non cadere quando il vento le scuote, al sole di non sorgere e di non tramontare”. Questo atteggiamento di Paolo verso le donne è in contraddizione con quanto detto e fatto da Gesù. Ecco alcuni esempi: a) -Gesù che salva una donna dalla lapidazione, “chi è senza peccato scagli la prima pietra”; “le prostitute vi precederanno”; b) -con la figlia di Giairo e l’emoroissa: “confida figliola, la tua fede ti ha salvata”; c) -il bellissimo dialogo con la samaritana (Giov.,4,1-26); d)- Gesù si circondava di donne e si faceva seguire dalle donne (Luca ( 8, 1-3): “Predicando e annunciando la buona novella del regno di Dio, mentre i dodici erano con lui, come pure alcune donne, che erano state liberate da spiriti maligni e malattie: Maria detta Maddalena, Giovanna moglie di Cusa, procuratore di Erode, Susanna e molte altre, che lo assistevano coi loro beni”. Poalo, invece, le donne le disprezza, le umilia, e quando pensa alle donne gli viene subito in mente Eva corrotta dal serpente, a sua volta corruttrice del povero Adamo. Questa visione della donna prevalente nella cultura ebraica si consolida nei canoni delle future chiese cristiane: nella donna verrà visto il demonio e sarà la “caccia alle streghe”. Questo individuo, Saulo di Tarso, ha sulla coscienza centinaia di migliaia di donne bruciate vive! Oggi gli integralisti ebrei non possono certo permettersi più tali abominevoli operazioni; però il posto della donna ebrea resta comunque al rango di strumento. Per capirne il significato basta pensare come ogni ebreo ortodosso inizia la sua preghiera rivolgendosi al suo Dio: “Grazie Signore per avermi fatto nascere uomo anzichè donna”. E non ha difficoltà alcuna a recitare un simile ringraziamento in presenza di sua moglie e/o delle figlie, le quali se sono credenti ritengono giusta e sacrosanta questa invocazione; ma se sono laiche, e può capitare, allora immagino che dicano: “Grazie Signore per non avermi fatto nascere uomo come quell’imbecille di mio marito o padre”. Attenzione però, sarebbe un grosso errore considerare alla stessa stregua tutti coloro che si dicono ebrei, per esempio direttori di giornali come Paolo Mieli, o conduttori televisivi come Gad Lerner, o intellettuali di ogni genere: pur dichiarando orgogliosamente di essere ebrei, non si saranno mai sognati di rivolgere un tale ringraziamento al loro dio. Altro errore sarebbe pensare che questa tendenza a considerare la donna come duttile strumento al servizio maschile sia una caratteristica esclusiva degli Ebrei; no! è tipica di tutti gli integralismi, ebraici, islamici e cristiani. Se in occidente l’integralismo cristiano ha dovuto mettere la coda tra le gambe, è dovuto alle nuove condizioni socio-economiche, alle teorie filosofiche illuministe, alla teoria e prassi comunista, nonché alla rivoluzione tecnologica e scientifica che non permettono più a nessuno di dire scemenze tanto clamorose contro le donne. 134


3 - Sugli omosessuali, (Romani, 1, 24-32): in questo passo si scaglia contro coloro che, pur sentita la parola del Signore, non hanno dato gloria come Dio, né gli hanno reso grazia; per questo Iddio li ha abbandonati a turpi passioni. Le loro donne infatti hanno cambiato l’uso naturale in quello che è contro natura; e gli uomini pure, abbandonato l’uso naturale della donna, si sono accesi di perversi desideri gli uni per gli altri, commettendo turpitudini maschi con maschi, pieni come sono di ogni iniquità, perversione, cupidigia e malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di discordia, di frode, di malignità. Calunniatori, maldicenti, odiatori di dio, arroganti, altezzosi, millantatori, inventori del male, ribelli ai loro genitori, privi di senno, di lealtà, di affetto, di misericordia”. Poi, come un autentico ubriaco, si giustifica: (Cor. 6,2-6). “Ma non sapete che i redenti giudicheranno il mondo? Non sapete che noi giudicheremo persino gli angeli?”. Eh, la patata! Calma, calma, Saulo di Tarso, le fesserie una alla volta, per carità! Di tutte queste calunnie e farneticazioni contro l’omosessualità Saulo di Tarso ne aveva bisogno come il pane: “In ogni società sacerdotalmente organizzata, i peccati diventano indispensabili, sono i veri e propri strumenti del potere, e questo potere ha bisogno dei peccati per sopravvivere” (Nietzsche). Migliaia di omosessuali nella storia della chiesa cattolica verranno bruciati vivi per queste farneticazioni abominevoli. Eppure c’è chi giura che tra Gesù e il suo discepolo prediletto, il più giovane, Giovanni, il discepolo che scriverà l’Apocalisse, c’era del tenero: “Ma uno dei discepoli, quello che Gesù amava, stava appoggiato presso il petto di lui. A questo punto fe’ cenno Simon Pietro, e gli disse: “domanda chi è quello di cui parla. Ed egli appoggiandosi così sul petto di Gesù, gli chiese: Signore, chi è?”(Giov. 12,22-26). In altri punti emerge chiaramente che c’è addirittura gelosia degli altri apostoli verso questo giovane apostolo. Io penso che sarà solo stato amore platonico; in fin dei conti Gesù aveva sempre Maria di Magdala, che bene o male lo controllava. Blasfemia la mia? No, voglio solo renderlo più umano possibile, quest’uomo fatto passare per figlio di dio; e questo sì che è blasfemo! Comunque, anche in Matteo (19,9-12) vengono condannati i rapporti sessuali, scendendo poi nei dettagli con la storiella degli eunuchi. In parole povere, qui pone come condizione per l’ingresso nel regno la continenza assoluta. Però, che contraddizione! prima il Padre ci impone: “crescete e moltiplicatevi”, poi il Figlio minaccia: “chiunque ha rapporti sessuali non può entrare nel regno dei cieli”. Beh, un figlio di Dio in contraddizione persino con suo padre, francamente mi pare troppo. Anche perché ha detto e ripetuto che è venuto sulla terra per realizzare la volontà del padre, mica la sua. 4 - Sulla carità cristiana (Romani:12, 14-20): “ Benedite chi vi perseguita; benedite e non vogliate maledire.... Non vi vendicate carissimi, ma lasciate che agisca la collera divina: poiché sta scritto: A me la vendetta, io darò il contraccambio, dice il Signore. Anzi se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; facendo così, ammasserai carboni accesi sul suo capo”. Ora ragioniamo: se uno ha fame e sete sarà un poveraccio, e su questo poveraccio il Dio dei cristiani invita i suoi fedeli a fare in modo che i carboni accesi si moltiplichino sulla sua testa! Menti perverse! Se mai un dio ci fosse, sarebbero 135


proprio questi suoi grandi sacerdoti ad essere trascinati nei suoi tribunali per dar conto del modo infame in cui lo hanno descritto. 5 - Sulla sapienza, sulla scienza. (Corinti II°, 2, 19-25): “Distruggerò la sapienza dei savi, annienterò l’intelligenza dei dotti....Poiché, infatti, nella sapienza di Dio, il mondo colla sapienza propria non ha conosciuto iddio, piacque a Dio di salvare i credenti mediante la stoltezza della predicazione...(qui ammette, bontà sua, che è stolta la sua stessa predicazione). Perché la follia di Dio è più sapiente degli uomini, e la debolezza di Dio è più forte degli uomini”. (3, 16-20): “Se qualcuno tra di voi si stima sapiente secondo il mondo, diventi stolto per divenire sapiente (come dire: se non sei abbastanza scemo non ci caschi, e se non ci caschi, peggio per te, perchè sei destinato all’inferno, dove piangerai per l’eternità con stridor di denti!). “Perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: è lui che impiglia i sapienti nella loro astuzia”. E ancora: “Il Signore conosce i pensieri dei savi e sa quanto siano vani” ecc. (come dire: se non sei abbastanza ignorante, non potrai entrare nel regno dei cieli). Meno male che la sapienza dei dotti ha continuato a crescere, malgrado fosse stoltezza davanti a dio. Se così non fosse stato, io sarei già morto a dodici anni quando mi ammalai di nefrite, sarei morto una seconda volta a quindici anni quando mi ammalai di tifo per colpa dei molluschi marini, infine una terza volta quando mi beccai la broncopolmonite a quarant’anni. Oggi ho superato i sessanta e sono ancora qui, anche se non so per quanto ancora. “La scienza non è un’illusione. Sarebbe invece un’illusione credere di poter ottenere da altre fonti ciò che essa non è in grado di darci”( Freud). Grazie scienza!, grazie a tutti i dotti di questa terra, passati presenti e futuri. Grazie per aver resistito nei secoli contro l’oscurantismo della santa chiesa cattolica apostolica romana, influenzata grandemente da questo suo primo teologo, Saulo di Tarso. Se fosse dipeso da lui e dal suo signore la mia modesta avventura della vita si sarebbe conclusa a dodici anni. 6 - sulla Circoncisione. Su questa diatriba si contrappongono i discepoli che dovevano cristianizzare i gentili e quelli addetti a cristianizzare i Giudei. Simone detto Pietro ed altri evangelizzavano i Giudei; Paolo ed altri dovevano evangelizzare i gentili: “Ma, al contrario, vedendo che era stata affidata a me l’evangelizzazione degli incirconcisi, come a Pietro quella dei circoncisi, poiché colui che ha fatto di Pietro l’apostolo dei circoncisi, ha fatto di me l’apostolo dei gentili, ed avendo riconosciuta la grazia a me concessa, Giacomo Cefa e Giovanni, che sono riputati come le colonne, porsero a me e a Barnaba le destre in segno d’amicizia e d’approvazione, affinché si andasse noi tra i gentili, ed essi fra i circoncisi:” (Galati, 2, 7-8). “La circoncisione giova, sì, se tu metti in pratica la legge (la legge di Mosè); ma se tu trasgredisci la legge, la tua circoncisione non vale nulla. Se dunque chi è incirconciso osserva i comandamenti della legge, anche se è incirconciso non sarà forse stimato come fosse circonciso? Anzi l’incirconciso di natura, che osserva la legge, non dannerà forse te, che trasgredisci la legge, nonostante la possegga scritta 136


e tu sia circonciso?”(Romani, 2, 25-29); e ancora: “Avanti la circoncisione fu giustificato Abramo” (4, 9-11). “Ma quando io mi avvidi che non camminavano rettamente secondo la verità del vangelo, in presenza di tutti, dissi a Cefa: Se tu che sei giudeo, vivi da gentile e non da giudeo, come mai costringi i gentili a seguire la legge di giudei?” (Galati, 2, 14)?”. Qui ha inizio l’allontanamento dalla legge di Mosè tra i gentili; “Noi pure abbiamo creduto in Cristo Gesù, per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge, perché dalle opere della legge non sarà mai giustificato nessuno”(Galati, 2,16). Meno male, questa volta il nostro Saulo di Tarso ha difeso una giusta causa, e grazie a lui la cerimonia di iniziazione religiosa per noi cristiani consiste solo in un po’ di acqua in testa e una formula magica. E pensare che lo stesso Mosè non si fece mai circoncidere, e per giunta aveva una moglie medianita, non ebrea. 7 - L’ultima cena: “Fate questo in memoria di me”. Gesù chiese agli apostoli di ritrovarsi ogni sera e spezzare il pane e bere il vino insieme e, metaforicamente, disse che il pane sarebbe stato il suo corpo, e il vino il suo sangue. Lo fecero, ma presto degenerò. Paolo è costretto ad intervenire nei confronti dei cristiani di Corinto, perché erano sorti dei litigi tra loro sul modo di portare avanti la tradizione e l’impegno che Gesù aveva auspicato. I cristiani poveri si potevano portare dietro solo un pezzo di pane e un bicchiere di vino, mentre quelli ricchi si abbuffavano e si ubriacavano. Poichè secondo Paolo non era consentito, cristianamente parlando, di rivendicare niente da parte dei poveri contro i ricchi, ecco come decise di risolvere la questione “Quando adunque vi radunate, quello che voi fate non è un mangiare la cena del Signore: perché ciascuno, appena si mette a tavola, si affretta a consumare le proprie provviste, sicchè mentre uno patisce la fame, l’altro si ubriaca.... Volete disprezzare la chiesa di Dio, e far arrossire quelli che non hanno nulla?...Lodarvi? no, in questo non vi lodo certamente”. Insomma, invece di consigliare di mettere i pasti insieme, e chi più ne ha più ne metta, risolve la questione invitando tutti a mangiare ognuno a casa propria e ritrovarsi insieme solo per spezzare un pezzo di pane e bere un goccio di vino, confermando ancora una volta che si può essere buoni e coscienti cristiani, sia chi s’ingozza, sia chi muore di fame. Data questa interpretazione pestifera di Paolo sul significato della vita di Gesù di Nazareth e della sua “buona novella”, i teologi successivi prendono per oro colato queste brutture sulle donne, sugli omosessuali, sulla scienza ecc., e fondano tutto il loro teologare risalendo a qualche frase, che, a loro dire, è la chiave per capire la sua farneticante visione.Vengono passati alla lente d’ingrandimento soprattutto sei termini, tre negativi e tre positivi, “tre stelle nere e tre stelle lucenti”: Le tre stelle nere sono: • la prima è “sarx” che significa “carne”: “questo è principio negativo che si annida nel cuore umano, è il terreno offerto al male, è un terreno che si distende nelle nostre coscienze”; • la seconda è “l’amertìa”, cioè il “peccato”, “scelte perverse, è la zizzania che pervade il terreno seminato a grano, come diceva Gesù in una sua parabola”; 137


• la terza è “nomos”, cioè la “legge”, ossia “le opere dell’uomo nel tentativo di autosalvarsi, cioè tentativo spontaneo ma vano”. Le tre stelle luminose sono: • la prima, “charis” cioè la “grazia”, “che significa l’apparire di dio nella notte dell’anima, l’uomo deve però rispondere con la sua libertà di adesione o di rifiuto”; • la seconda stella lucente è la “pistis” cioè la “fede”, “questa è simile a braccia aperte che accolgono l’amore divino donato; è l’afferrare quella mano che ci viene offerta mentre stiamo sprofondando nel male”; • la terza è lo “pneuma”, cioè lo “spirito”. Si sostiene infine che “attraverso l’abbraccio tra charis-grazia, e pistis-fede, tra grazia divina e fede umana, dio infonde in noi il suo stesso respiro, il suo spirito, cioè la sua vita”. Queste sei parole, cosiddette paoline (carne-peccato-legge / grazia-fedespirito), hanno costituito le basi per le chiese cristiane, e quindi la gestione del loro potere sulle masse. A questo punto viene da chiedersi come mai il messaggio cristiano viene così malamente interpretato, tanto da far nascere una miriade di chiese, le quali fanno riferimento tutte a Gesù di Nazareth. Facciamo l’elenco; prima le chiese scismatiche ortodosse: Armena, Coopta, Maronita, Nestoriana; ora le chiese riformate o protestanti: Anglicana, Battista, Calvinista, Congrecazionista, Episcopale, Luterana, Metodista, Presbiteriana, Quacchera, Valdese, Zwinghiana. Poi vediamo le sette o gli eretici, sempre cristiani: Adozionisti, Albigesi, Catari, Anabattisti, Manichei, Docedisti, Donatisti, Giansenisti, Gnostici, Iconoclasti, Millenaristi, Monofisisti, Monoteisti, Pelagiani, Pubblicani, Quietisti, Semipelagiani. Ecco, questa accozzaglia di chiese è nei fatti un bell’esempio di come utilizzare un’idea famosa piegandola agli interessi particolari di tutti coloro che vogliono crearsi un piccolo spazio, un piccolo potere, a proprio uso e consumo. Pertanto la “verità” diventa una variabile dipendente anche all’interno della chiesa di Cristo. Come dire: il suo sacrificio svanito come neve al sole, la sua “buona novella” (se mai è stata tale) andata in fumo. Dato che “la teologia è paradosso, mentre la filosofia è mediazione”, ognuno può scegliere tra raziocinio e irrazionalità: chi sceglie il raziocinio è fuori dalla grazia di dio, mentre chi sceglie la fede, quindi l’irrazionalità, entra nelle grazie del suo signore, e… buon viaggio in paradiso

Ora affrontiamo il GIUDIZIO UNIVERSALE Leggiamo prima un passo di Dante: “Più non si desta/ di qua dal suon de l’angelica tromba,/ quando verrà la nimica podesta/: Ciascun rivederà la triste tomba,/ Ripiglierà sua carne e sua figura,/ udirà quel ch’in etterno rimbomba./... Per ch’io dissi: Maestro, esti tormenti/ crescerann’ ei dopo la gran sentenza,/ o fier minori, o saran si cocenti?/ Ed elli a me: Ritorna a tua scienza,/ che vuol, quanto la cosa è più perfetta,/ più sente il bene, e così la dolenza (Inf.VI, 94-108). 138


Così Dante, dopo averci condotto nell’inferno e fattoci osservare le pene grottesche e inimmaginabili per noi comuni mortali, aggiunge anche che tutto ciò sarà molto più duro dopo il giudizio universale, che il Giovannino apocalittico ci ha raccontato e che io qui sintetizzerò, spero in modo corretto. Giovanni, il più giovane degli apostoli, l’apostolo più caro a Gesù, l’apostolo che restò e visse con la madre di Gesù, fattosi vecchio scrisse l’ ”Apocalisse” nell’esilio di Patmos (95 d.C.), sotto forma di sogno, e a volte di estasi, a cui di tanto in tanto si lasciava andare. A sentire S. Girolamo “l’Apocalisse è un libro chiuso, di altissima profezia, ove tanti sono i misteri quante le parole, ed ogni parola ha molti sensi”. Ecco la conferma di quanto dicevo all’inizio, cioè l’esempio delle nuvole dentro le quali ognuno può vedere quello che vuole se ha una buona fantasia, e S. Girolamo non è l’ultimo arrivato tra i cristiani. In realtà, a chi non vuole lasciarsi impigliare dalla fantasia e valutare il contenuto, più che una profezia divina, questa rivelazione risulterà uno sfogo per la rabbia accumulata nel tempo; ora, da schiavo dei Romani, Giovanni si lascia andare alle più brutte previsioni nei confronti dei suoi sfruttatori; insomma un frustrato, roba da psicanalisti. Oppure, ad essere buoni, si può pensare che l’arteriosclerosi non abbia risparmiato nemmeno lui. Andiamo a vedere “Il libro dei sette sigilli” consegnato tra le acclamazioni dell’agnello (il Cristo). In questo libro c’è il contenuto di tutte le sue farneticazioni. Ogni parte ha un sigillo, un angelo lo apre e ci racconta tutto quello che vede: angeli guerrafondai che colpiscono e massacrano gli infedeli, bestie del mare e della terra che colpiscono, anzi tentano di colpire i credenti e timorati di dio; cavalli e cavalieri incazzati neri contro i miscredenti (5,1-14). La cattiveria continua con l’ “apertura del sesto sigillo”; (6,12-17) “ Il sole diventò nero come un sacco di crine e tutta quanta la luna diventò come sangue; le stelle del cielo caddero sulla terra, come un fico lascia cadere i suoi frutti acerbi, quando è scosso da vento impetuoso. Il cielo si ritirò come un rotolo che si ravvolge; tutte le montagne e tutte le isole vennero rimosse dal loro posto. E i re della terra e i grandi, e i ricchi e i potenti, e tutti quanti, servi (pure i servi?) e liberi, si nascosero nelle caverne e tra le rocce delle montagne. E dicevano ai monti e ai massi: cadeteci addosso, nascondeteci dalla faccia di Dio che è assiso sul trono e dall’ira dell’agnello (pure l’agnello, cioè Cristo, è incazzato nero?); perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi potrà sostenersi?”; e ancora, nell’ “attesa del settimo sigillo”: i servi di Dio segnati in fronte” (beh, potevano segnarli sulle braccia come fecero più tardi i nazisti, no?); (7, 1)“dopo queste cose vidi quattro angeli, in piedi ai quattro angoli della terra, che trattenevano i quattro venti della terra ecc.”; (9, 4-5)“tuttavia fu ordinato loro di non danneggiare né l’erba della terra, né alcunché di verde, né alcuna pianta (era almeno ambientalista!) ma solo tutti gli uomini che non hanno il segno di Dio sulla fronte. Fu dato loro ordine di non ucciderli ma di tormentarli per cinque mesi, con un dolore simile a quello che dà lo scorpione, quando punge l’uomo”. Ecco la giustificazione con la quale la santa Inquisizione poteva torturare a lungo i 139


miscredenti, i blasfemi, gli eretici, gli apostati, prima di bruciarli vivi nei suoi “autodafè”. Incredibile, ma vero! Questo Giovanni va in paradiso, entra in contatto con Dio e con tutto ciò che il paradiso contiene, vede quello che deve ancora avvenire, e non riesce a capire due cose semplici che erano lì, sotto i suoi occhi: la più piccola stella dell’universo è milioni di volte più grande della terra; e la terra non è piatta e quadrata come la vede lui, ma rotonda. Ma per favore, Giovanni, c’è modo e modo di raccontare balle! Vediamo ora come immagina il ” ruolo di Cristo ” nel futuro; il fedele, il verace; egli giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi sono come fiamma di fuoco; sul suo capo cinge molti diademi, e porta scritto un nome, che nessuno conosce se non lui solo; • Le vittorie di Cristo (9, 11-16): “Poi vidi il cielo aperto, ed ecco apparire un cavallo bianco. Chi vi stava sopra è chiamato avvolto in un manto tinto di sangue, e il suo nome è il verbo di Dio....e dalla bocca gli esce una spada acuta, per colpire le nazioni....è lui che calca lo strettoio del vino della furibonda ira di Dio onnipotente. Egli porta sul fianco del mantello un nome scritto: re dei re e signore dei signori.” Quindi, qui troviamo un Cristo guerrafondaio, con sembianze mostruose, che spazzerà le nazioni che non si adeguano al suo verbo! Questo passo del “Giovannino incazzato” giustificherà la violenza che la chiesa per secoli eserciterà sul resto delle nazioni non ancora cristianizzate. • La Gerusalemme celeste : “Poi vidi un cielo nuovo e una terra nuova, perché il primo cielo e la prima terra erano spariti; allora vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da presso Dio, pronta come una sposa, abbigliata per il suo sposo.....A chi ha sete, io darò gratuitamente dal fonte dell’acqua della vita. Il vincitore erediterà queste cose: io darò Dio ed egli sarà mio figlio. Ma per gli ignavi, per gli increduli, per i depravati, per gli omicidi, per i fornicatori, per i venefici, per gli idolatri e per tutti i bugiardi, la loro sorte è lo stagno ardente (già, lo stagno molto caro a Crono, il papà cattivo di Zeus) di fuoco e di zolfo, cioè la seconda morte”(21, 1-8). Giovannino, datti una calmata!! Questo passo fece sì che i futuri profeti cristiani vedessero in ogni città che conquistavano la Gerusalemme Celeste, e giù botte da orbi per conquistarla e conservarla per la gloria di Dio. Infine :“In essa non vidi nessun tempio, perché il suo tempio è il Signore Dio onnipotente e l’agnello. La città non ha bisogno di sole né di luna che la illumini; perché la illumina la gloria di Dio e il suo luminare è l’agnello. Le nazioni cammineranno alla sua luce, e i re della terra portano in lei la loro gloria” (22-23). E qui fu proprio orbo, perché se c’è qualcosa che abbonderà nella nuova Gerusalemme (Roma) sono proprio chiese e templi in abbondanza (come visto prima). In un passo precedente (13,9) chiarisce meglio il senso di questa profezia, ed è: “Chi ha orecchi intenda! Se qualcuno è destinato alla schiavitù, andrà in schiavitù; chi uccide con la spada, di spada perirà. Qui sta la pazienza e la fede dei santi.” 140


Quest’ultima affermazione di Giovanni si riscontra in vari punti dei vangeli; quindi vanno riconosciute a questo nuovo testamento, o nuova alleanza, due caratteristiche di fondo inequivocabili, coerenti, anzi due delle poche cose coerenti: 1- odio profondo nei confronti dei non credenti, di chi non aderisce a questa nuova dottrina, e non accetta la totale sottomissione alle condizioni in cui ci si trova; 2- un totale rifiuto di rispondere alla violenza subita con la violenza delle proprie azioni; la vendetta deve essere solo ad esclusivo appannaggio del loro dio; nessun credente deve togliere al suo dio il piacere della vendetta; (Romani 12, 19): “A me la vendetta, io darò il contraccambio, dice il Signore”; e ancora ( Ebrei (10, 30): “A me la vendetta io darò la retribuzione!”; “ il Signore giudicherà il suo popolo! E’ cosa terribile cadere nelle mani del Dio vivente.” E questo viene confermato nel quinto sigillo della profezia di Giovanni, quando vede i cristiani uccisi e sotto il suo trono che chiedono: “Fino a quando, tu il maestro, il santo, il verace, tarderai a far giustizia e a domandar conto del nostro sangue a coloro che abitano la terra? E fu detto loro di pazientare ancora un po’ di tempo, fino a tanto che fosse completo il numero dei loro compagni e dei loro fratelli che devono essere messi a morte come loro (6, 10-11). Un dio machiavellico, calcolatore, vendicativo? Sentiamo Pietro (II, 3, 10): “il Signore verrà come un ladro; in quel giorno i cieli spariranno con grande fragore, gli elementi infuocati si dissolveranno e la terra sarà consumata insieme a tutte le opere che contiene”. Insomma, distruzione totale con il trucco, e cioè, quando meno te lo aspetti! Ah, furbacchioni! Da segnalare ancora un altro passo di Giovanni (4,15-17): “Non amate il mondo, né le cose che son nel mondo. Se uno ama il mondo, non possiede l’amore del padre; perché tutto ciò che è nel mondo, cioè la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e superbia delle ricchezze, non vengono dal padre, ma vengono dal mondo. Or, il mondo passa e la concupiscenza pure; ma chi fa la volontà di Dio dura in eterno”. Già, anche Omero diceva: “Ai numi è caro/ chi de’ numi al voler piega la fronte” (Iliade,1,28-29). Insomma, si nasce e si vive solo allo scopo di conoscere dio, la sua opera, e per pregarlo, venerarlo, al fine che ti garantisca un posticino in paradiso, e per l’eternità restare lì impalati ad ammirare la sua grandezza, inebriarsi della sua presenza. Con il paradiso dei Musulmani è tutta un’altra musica. Intanto va detto che per raggiungere il paradiso dei Musulmani è necessario un impegno massiccio e continuo: pregare cinque volte al giorno in ginocchio e in direzione della Mecca e implorare in questi termini: “ Allah è il nostro fine, il profeta è il nostro modello, il corano è la nostra legge, la Jihad è il nostro cammino, il martirio la nostra aspirazione”. A questo travaglio più complesso corrisponde però un paradiso più concreto e meno noioso di quello cristiano, infatti: “Verdi campi attraversati da freschi ruscelli all’ombra delle palme, sarà la loro dimora nella quale vivranno per l’eternità; ivi avranno spose purissime e vivranno all’ombra dei suoi alberi.”(Sura IV,57). Vien quasi voglia di dire: Viva il paradiso degli Islamici, traboccanti di spose altissime, purissime, levissime! abbasso il paradiso inconcludente, noioso, dei cristiani. -------------------------------141


Prima di concludere questa seconda parte, alcune considerazioni: 1)- I cristiani erano una minoranza schiacciata sia dal sinedrio che dall’impero romano; reagire significava essere eliminati, ed essere eliminati significava l’interruzione del proselitismo e della loro verità, che sarebbe stata sepolta insieme a loro. Quindi, entrare nella clandestinità e lavorare in modo coperto era l’unica possibilità che avevano; furono intelligenti a capirlo, e per questo sopravvissero. Era già sotto gli occhi di tutti questi cristiani la fine che l’impero romano aveva fatto fare agli Ebrei che si erano ribellati: avevano visto il tempio e tutta Gerusalemme rasa al suolo, la fortezza di Masada, dove si erano arroccati gli ultimi resistenti ebrei rasa al suolo: non esisteva possibilità di resistere se non in clandestinità. Ecco il motivo di fondo per cui la vendetta veniva lasciata al loro dio; capirono che l’unico modo per sopravvive era lavorare nella clandestinità ed aspettare tempi migliori. Lo stesso Giovanni, che scrive l’Apocalisse, è ridotto schiavo a Patmos, presso le miniere che sfruttavano i Romani. Ma l’odio covava nella loro coscienza, si consolidava, si espandeva; appena la religione cristiana esce dalla clandestinità nel 313 con Costantino (Editto di Milano), l’odio accumulato in tre secoli esplode e i cristiani prendono la spada, e non aspettano più che sia il loro dio a far vendetta. Vediamo come e quando questa degenerazione ebbe luogo. Iniziarono i teologi, e qui ne citerò solo tre: -Lattanzio, durante le persecuzioni di Diocleziano (303), sosteneva che per un cristiano l’uso della violenza è assolutamente proibito, anche in caso di legittima difesa. Di lì a poco, dopo l’Editto di Costantino (313) che dava ai cristiani libertà di culto, lo stesso autore, in un sunto della sua opera, sostiene che, se combattuta in difesa della patria, la guerra è un bene. Ha cambiato idea: non erano più perseguitati, non si sentivano più impotenti, cominciano a mettere le mani sul potere temporale. -S. Ambrogio, vescovo di Milano, nella seconda metà del IV secolo inventò la prassi secondo la quale la chiesa doveva condannare, sì, ma doveva essere il potere civile ad eseguire le condanne. -S. Agostino, nei primi anni del V secolo, fondò addirittura una dottrina con la quale legittimava l’uso della violenza ai fini della conversione. Questa è un’ulteriore dimostrazione di come si possono utilizzare i vangeli alla bisogna: basta ricordare l’orientamento di Agostino prima e dopo la decisione di perseguitare i donatisti (setta ritenuta eretica da quel padre della chiesa; ma è facile capire che non esiste né l’eresia nè l’ortodossia; infatti, l’eresia è nient’altro che il cristianesimo sconfitto, mentre l’ortodossia non è nient’altro che il cristianesimo vincitore). Dicevo, il “nostro” Agostino prima era assolutamente contro ogni violenza per qualunque motivo fosse proposta, poi, quando questa setta (dei donatisti) cominciò a crescere troppo e a dargli fastidio, cambiò idea e iniziò a utilizzare la violenza contro di essi. Penserete: ha tradito i vangeli. No, lui spulcia un passo del vangelo di Luca “sugli invitati a nozze che non si presentano” (Lc.14,15-24) e scopre, mediante una stravagante interpretazione della parabola suddetta, che si può anche imporre con la violenza la “buona novella” restando fedeli ai suoi principi. Quindi, su queste basi si può 142


affermare che nelle scelte concrete, quelle che sempre storicamente contano, non è tanto il testo sacro, ma è la sua interpretazione a fare la differenza. Allora, fino a Costantino i cristiani invocavano libertà di coscienza, dopo Costantino passeranno a invocare la repressione nei confronti di eretici e seguaci di altre religioni. Viene proibito il culto pagano, si sopprimono i templi trasformandoli in chiese, si distruggono le sinagoghe ebraiche. Dall’Editto di Costantino sono passati appena due generazioni e la situazione è completamente capovolta: da perseguitati, i cristiani sono diventati persecutori, però giustificati dai padri della chiesa mediante opportuna rivisitazione dei vangeli. Amen! Ritornò il “dio degli eserciti”, come ai tempi di Giosuè, Saul e Davide; e furono i più grandi massacri che la storia ricordi, anche perché il suo potere è durato troppo a lungo. “Quando il potente col minor s’adira,/ reprime ei sì del suo ramcor la vampa/ per alcun tempo, ma nel cor la cova/ finchè prorompa alla vendetta” (Iliade, 1,106-109). Fu così che i vecchi dèi pagani morirono, e un nuovo dio si affermò; ancora una volta un’altra favola divenne verità, e una nuova santa menzogna fu divinizzata: “il nulla divinizzato in dio, la volontà per il nulla santificata” (Nietzsche). 2)- Come è possibile che una favola così sgangherata e sbilenca sia divenuta fonte di verità per masse così consistenti? Semplice e lineare: per chi ha bisogno di credere perchè ha paura di morire e di soffrire (beh, ce l’abbiamo tutti, ma c’è chi si mette l’anima in pace e chi preferisce sperare) qualsiasi dio va bene, e si finisce per credere agli dèi che altri gli hanno imposto sin da piccolo. Infatti, gli stessi che si dicono cristiani, se fossero nati in Medio Oriente da genitori musulmani, sarebbero stati dei buoni musulmani e avrebbero creduto che il Gesù è solo un profeta e non il figlio di Dio. Lo stesso dicasi per un musulmano odierno se fosse nato in Italia da genitori cristiani, avrebbe sostenuto con convinzione che Maometto e Allah sono falso profeta e falso dio, quindi bugiardi tutti e due. 3)- Come è possibile che un uomo come Gesù di Nazareth, che aveva fatto paura al sinedrio al punto da farsi condannare a morte solo per le cose che diceva (quindi solo per il reato di opinione), poi cadeva in tante contraddizioni? “Parla Caifa il sommo sacerdote: Voi non capite nulla, e non pensate come torna conto per voi che un uomo solo muoia per il popolo, e non perisca tutta la nazione”(Giov. 11,49-50). Quindi lo ritenevano capace di sovvertire la stabilità della loro verità religiosa e di conseguenza un indebolimento dell’unico istituto, il Sinedrio, che teneva insieme la nazione ebraica. Ecco un uomo così capace e pericoloso per il potere, che poi cade in contraddizioni che farebbero ridere anche i polli! 4)- Le persecuzioni della chiesa contro gli Ebrei accusati di deicidio sono le basi dell’antisemitismo, in seguito giudeofobia. Da ricordare i famosi, ma falsi, “Protocolli dei Savi di Sion” di Sergyei Nilus,1905; un amico gli avrebbe consegnato questo manoscritto, in cui viene esposto “…il piano e lo sviluppo di una sinistra congiura” da parte degli Ebrei; un falso documento per alimentare l’antisemitismo. Ghetti e pogrom in quasi tutta l’Europa cristiana caratterizzarono 1500 anni di persecuzione contro gli Ebrei. I padri della chiesa conoscevano i vangeli meglio di me e sapevano fin nei dettagli che Gesù doveva essere ucciso perchè questo era il 143


disegno divino; quindi gli Ebrei sono innocenti come Giuda Iscariota, poichè erano solo comparse nel teatrino della commedia divina; e questo da un punto di vista religioso. 5)- Dal punto di vista storico-politico l’innocenza degli Ebrei è ancora più evidente. Io, se fossi stato ebreo in quel tempo, essendo oggi un anti-imperialista, non avrei avuto dubbio alcuno, sarei diventato uno zelota e avrei combattuto contro i Romani. Quest’uomo, Gesù, che distoglieva le masse dalla lotta contro i Romani (date a Cesare quello che è di Cesare…), e accusava il sinedrio, l’unico istituto in grado di tenere insieme il popolo ebreo (progenie di vipere...sepolcri imbiancati... vignaioli perfidi ecc.), l’avrei giudicato un disfattista, un traditore del suo stesso popolo e avrei fatto di tutto per zittirlo; i cristiani, una volta preso il potere, hanno massacrato per molto meno milioni di esseri umani. Certo, essendo contro la pena di morte, avrei optato per gli arresti domiciliari o per l’espulsione dal territorio di Israele, perchè certamente stava danneggiando il popolo. L’unica teoria, ma solo di carattere teologico, che la chiesa può tentare di sostenere per giustificare il suo comportamento, è che il dio Yahwèh avesse abbandonato gli Ebrei per sempre perché non si comportavano più come suo popolo eletto; e questo sarebbe roba da cervelli frullati. Insomma, dal razzismo ebreo al razzismo cristiano? Sì, tutte e tre le religioni monoteiste, l’ebraica, la cristiana, la musulmana, erano e restano intolleranti e violente. Solo l’illuminismo settecentesco, oggi definito laicismo, può essere l’antidoto a nuove e tremende tragedie umane, almeno quelle a sfondo religioso; mentre quelle a sfondo economico purtroppo continueranno, e non posso dire che sono e saranno meno cruenti di quelle religiose. Troppa confusione intorno a questi testi; in troppi hanno scritto, e sulla base di ricordi e del sentito-dire. Inevitabili le contraddizioni. Il concilio di Nicea nel 325 d.C. tentò di mettere insieme un testo il meno contraddittorio possibile, ma non ci riuscì; si erano già consolidate troppe leggende intorno al Gesù di Nazareth. Ma per chi vuole approfondire questo argomento consiglio la lettura di “La chiesa che mente” e “Il gallo cantò ancora”di Karlheinz Deschner (ed. Massari); è una fonte inesauribile sulla “storicità” dei testi biblici. Scoprirete non solo tutte le manipolazioni compiute sui vari testi per accreditare Gesù come figlio di Dio, la chiesa come unica depositaria della “vera fede” ecc., ma anche che non vi è nulla di originale nel cristianesimo: battesimo, comunione-eucarestia…..la Trinità, il figlio di Dio nato da una vergine, l’idea messianica, la fine dei tempi ecc., erano appannaggio dei vari culti di Mitra, Attis, Dioniso, Iside-Osiride presso i popoli del Medio Oriente e Nord-Africa. -----------------------------A scanso di equivoci, a questo punto sento il dovere di dare alcune spiegazioni: 1°- i diversi riferimenti a Nietzsche non significano una mia adesione completa e acritica alle sue teorie, come quelle espresse nell’ “Anticristo”, in cui sembra che lui odi non solo il cristianesimo, ma tutte le dottrine religiose filosofiche e politiche 144


che sono proiettate ad aiutare il più debole, i diseredati della terra: “La pietà vìola nell’insieme la legge della evoluzione, che è quella della selezione. Raccatta ciò che è maturo per la dissoluzione e si adopera in favore dei diseredati e dei condannati dalla vita”; “che cos’ è più nocivo di qualsiasi vizio? La pietà dell’azione verso tutti i malriusciti ed i deboli. Muoiano i deboli, i malriusciti: primo principio del nostro amore per l’uomo. Bisogna, anzi, aiutarli a sparire.” Come dire: l’uomo biologico deve continuare la sua strada, la sua lotta (“la legge della giungla”), la sua selezione e deve sbarrare la strada all’uomo sociale, che ormai da diecimila anni tenta di superare quella condizione animalesca dalla quale proveniamo tutti. Purtroppo, quanti nazisti si sono ispirati a queste affermazioni! Sentiamo U.Galimberti, nostro filosofo contemporaneo: “Equiparare l’evoluzione sociale all’evoluzione naturale significa libertà illimitata a chi è più forte, accettazione indiscussa della disuguaglianza, nessun intervento dello stato per aiutare i più svantaggiati… E’ evidente che qui a garantire la “sopravvivenza del più adatto” non sono più le risorse biologiche come prevede la teoria di Darwin, ma le risorse economiche, ossia la ricchezza e la potenza che la ricchezza garantisce…” Tuttavia, sappiamo che Nietzsche ha scritto anche ben altro. Certo è che il suo pensiero, come la sua vita, fu multiforme, e frasi come “…la folla puzza” o l’invenzione della figura utopica del “Superuomo” hanno indotto personaggi ambigui o in malafede (in primis, sua sorella Elisabetta insieme a sua madre, definite da lui stesso “canaglie”) a considerare questo filosofo l’antesignano del nazismo, quando proprio lui è stato il primo a capire dove avrebbero potuto portare alcune idee di Hegel e Fichte, e più volte ha espresso tutto il suo disprezzo per quella parte del popolo tedesco imbevuto di quella dissennata ambizione della “razza pura”, che costituirà la base fondante del razzismo-nazismo del XX° secolo. Tutto questo scritto in modo chiaro e inquevocabile almeno trent’anni prima che ciò accadesse. Bisogna leggere Nietzsche fino in fondo, fino a “Ecce homo”, il suo testamento socio-filosofico, per capire il senso della “teoria dell’eterno ritorno” o della “transvalutazione di tutti i valori”, e quindi del “Superuomo” che è “al dilà del bene e del male”: solo una bella “utopia”, certo! ma non il seme del nazi-fascismo. 2) - Dante, mostro sacro della letteratura italiana, anche per me è uno dei maggiori poeti-scrittori che l’umanità possa vantare, anche se il mio commento ad alcune citazioni possono far pensare il contrario. In fondo, è vero che nei suoi versi si può trovare di tutto: c’è il canto della bellezza femminile (fisica e spirituale), ma anche il disprezzo per la donna poco affidabile; c’è l’invettiva contro la chiesa, i suoi papi e ministri vari, ma c’è anche l’esaltazione di alcuni aspetti devastanti del cristianesimo, che un agnostico come me non può accettare. 3) - il credere o non credere è assolutamente una variabile indipendente dalla cultura di ogni singolo individuo; invece è certamente variabile dipendente dallo stato d’animo di ognuno, quindi dalla psicologia dell’individuo: insomma un rimedio all’angoscia, una garanzia per sè e i propri figli, una caparra per il futuro. Non è male, comunque, se questo sentimento resta nel cuore dei credenti e non si lascia strumentalizzare dai soliti grandi sacerdoti. 145


E se dovessi picchiare anch’io la testa e cambiare idea come accadde a Paolo di Tarso? Se mai dovesse capitarmi una disgrazia simile, allora mi rifugerei nella dottrina del Siddhàrta-Budda, invocando subito la formula di adesione: “Io mi rifugio nel Budda, nella sua dottrina, nel suo ordine”. Il suo motto è: “ una sola cosa è necessaria, come liberarti dal dolore”. Condizione del Buddismo: clima dolce, libertà di costume, nessun militarismo. Come dal nulla sono arrivato, così verso il nulla so di andare. Meglio il nulla dopo la morte, divenire “il nulla di fronte al niente” (“Perché non sono cristiano” di B. Russel). Certo, l’ideale, prima di morire, sarebbe raggiungere quella condizione prevista per accedere al Nirvàna del nostro Siddhàrta, dopo aver interrotto il processo Karmico, o legge di Samsara-Karman, cioè la reincarnazione . Sì, nella logica induista brahamina dell’incarnazione è contenuta la più sofisticata elaborazione della religione come “oppio dei popoli”, per via delle divisioni in caste rigidamente rispettate: se appartieni ad una casta troppo bassa è perché ti sei comportato male nella vita precedente, e, se vuoi star meglio nella prossima, resta buono buono in questa, ecc. ). Ma Budda, che è anche lui un riformatore, cerca di liberare l’uomo da questo diabolico gioco della reincarnazione con il suo “Nirvana”: “Fine ultimo della vita ascetica, nel quale si raggiunge la realtà ultima, il nulla o la beatitudine eterna.” (Poi, certo, se si osservano oggi i monaci buddisti, si ha la sensazione che non abbiano preso Budda tanto sul serio, come del resto ha sempre fatto la grossa fetta di monaci e preti cristiani). Il buddismo non promette paradisi nè minacciosi dèi, ma ti aiuta a trovare un equilibrio tra ambiente ed esseri viventi: una “religione” che conserva tutto quanto c’è stato di buono tra le religioni primitive o naturaliste. “Il sentimento di dipendenza dell’uomo è il fondamento della religione; ma l’oggetto di questo sentimento di dipendenza, ciò da cui l’uomo dipende, non è originariamente altro che la natura. La natura è il primo, l’originario oggetto della religione, come la storia di tutte le religioni e di tutti i popoli documenta ampiamente.” (Feuerbach,”L’essenza della religione”) Ancora più chiaro è un altro ricercatore e studioso di cose sacre, il professor Bergson il quale in un suo scritto conclude: “La religione è una reazione della natura contro la rappresentazione compiuta dell’intelligenza dell’inevitabilità della morte”. Ed io aggiungo: al contrario di tutti gli altri animali, l’uomo sa che deve morire, quindi s’inventa la religione per sopravvivere alla morte. Per dirla alla Simone Weil: “c’è il nulla da cui si fugge, e il nulla verso cui ci si dirige”; e concludo con P. G. Odifreddi: “chi pensa non crede, chi crede non pensa”. Ma che sia il Buddismo la religione (o, meglio, “filosofia di vita”) più naturalista in circolazione ce lo conferma anche uno dei massimi ricercatori sul tema, qual è appunto, Durkheim: “Il buddismo esorta l’uomo non tanto a preoccuparsi della propria origine e della propria fine, quanto a evadere per trovare solamente in se stesso, senza l’aiuto di alcun dio, una salvezza che si identifica con la soppressione del desiderio e con la meditazione solitaria. Pur non negando 146


l’esistenza di esseri divini, il buddismo è non di meno ateo nel senso che si disinteressa del problema di saper se esistono o meno gli dei”. Come Cristo riformò la religione ebraica, allo stesso modo Budda riformò l’induismo. Budda ebbe fortuna anche da vivo, Gesù solo da morto. Per tentare di consolarvi del nulla dopo la morte, miei pochi cari lettori, parenti e amici, mi affido al matematico P. G. Odifreddi, leggendovi da “Il vangelo secondo la scienza” alcuni consigli di personaggi di tutto rispetto: - “Perché lamenti la morte, perchè ne lacrimi?/ Quando t’abbia sorriso la vita sin qui vissuta, e non tutte/ stipate come in vaso bucherellato, le gioie/ sian defluite e perite senza tuo frutto, perché/ da commensale ormai sazio non te ne vai dalla vita,/ né di buon grado ti prendi, sciocco, un sereno riposo?” (Lucrezio); - “Attraversa quindi questo breve periodo di tempo in \modo conforme alla natura e finisci felice il tuo viaggio, proprio come un’oliva che cade quando è matura, benedicendo la natura che l’ha prodotta e ringraziando l’albero sul quale è cresciuta.” (Marco Aurelio).

Mi piace concludere questa seconda parte con questa immagine: Gesù di Nazareth al centro alla sua destra Socrate e Giordano Bruno alla sua sinistra Ernesto Che Guevara e Rosa Luxemburg. Anche se diversamente motivati, questi personaggi rappresentano al meglio, per me, quei milioni di uomini e donne anonimi che si sono lasciati uccidere piuttosto che abiurare i loro principi umani, contribuendo con il loro sacrificio a sollevare l’umanità dalla primitiva condizione animalesca. Così facendo, diedero lustro e decoro a questa nostra razza umana, alla quale auguro che sappia alla fine liberarsi del tutto dall’egoismo che la tiene inchiodata ancora alle sue origini. Sono queste le mie speranze, il mio credo, la mia “religione”: a questi princìpi ho sempre cercato di essere coerente; che poi ci sia riuscito o no, non spetta a me dirlo.

Fine della seconda parte

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PARTE TERZA:

STORIA DELLA CHIESA Morto Gesù di Nazareth, gli apostoli partoriscono il Cristo. I grandi sacerdoti successivi dividono Cristo in due tronconi: Il Cristo di lotta e il Cristo di governo “Ci sarebbero pochi credenti al mondo, se i fedeli conoscessero la storia della loro religione altrettanto bene quanto il credo che professano” (G.C. Lichtenberg)” PREMESSA: I primi Teologi cristiani. Prima di entrare nel merito delle cose concrete sul cristianesimo, è necessario dare almeno uno sguardo su ciò che va sotto il termine di Cristologia. Centinaia di illustri pensatori cristiani, i teologi, tra il II° e IV° secolo hanno prodotto migliaia di libri di difficile, anche perché troppo estesa, lettura. Innanzitutto, di cristologie se ne conoscono una miriade: la neo-testamentaria, la giudeo-cristiana, la ellenistico-cristiana, la sapiensale, la cristologia del Logos …, con decine di varianti al loro interno. Non solo hanno riempito le biblioteche di tutto il mondo, ma hanno creato tutte le condizioni per dividere in mille rivoli il cristianesimo. Le lotte che si sono susseguite in duemila anni in teoria possono essere ricondotte alle tante interpretazioni iniziali; ma in pratica si è trattato di come dividere la torta abbondante del cristianesimo (elargita da Costantino) tra furbi sacerdoti e famelici imperatori, come vedremo in seguito. Il problema spacca-cervelli consisteva nel tentativo di stabilire una volta per tutte quanto c’è stato di divino e quanto di umano in Gesù. Per gli Ebioniti, frangia interna dei Neotestamentari, Cristo è stato, sì, il Messia, ma in una dimensione esclusivamente umana, facendolo semplicemente nascere da Maria e Giuseppe. Questa teoria degli Ebioniti sostanzialmente era sostenuta anche dagli Ariani. Ario era un prete africano morto nel 336, il quale scatenò una violenta disputa fra i teologi del IV° secolo, perché negava la divinità di Cristo. Nel Concilio di Nicea nel 325 perse la partita e fu esiliato insieme a molti suoi adepti da Costantino. Questa sua eresia si diffuse tra le popolazioni cosiddette barbariche (i Goti, i Vandali, i Longobardi ecc.) che si convertivano al cristianesimo, ma sceglievano l’arianesimo quasi a distinguersi dalle popolazioni che avevano invaso. Venne condannata ancora nel concilio di Costantinopoli nel 496, ma solo verso la fine del VI° secolo questa eresia declinò definitivamente. Altri affermavano il parto verginale, ma si guardavano bene dal mettere in discussione la concezione rigidamente monoteista di Dio (quindi Cristo “nudus Homo”). All’interno stesso dei neotestamentari era presente anche la tendenza alla cristologia angelica o arcaica, o della preesistenza, cioè Cristo come angelo esistito da sempre (Angelo del gran consiglio). Della “cristologia pneuma” sentiamo alcuni autori: “Se Cristo, il signore, che ci ha salvato, essendo prima spirito, si è fatto carne e così ci ha chiamato, anche noi in questa carne riceveremo la mercede”; un altro: “Ecco un uomo: il suo nome è 148


Oriente: Oriente in quanto era nello spirito, uomo in quanto era nel corpo”; ancora: “Ha distrutto le passioni della carne e per mezzo dello spirito che non può morire ha ucciso la morte che aveva ucciso l’uomo”; e infine: “Adoriamo Dio che ha preso la carne dalla santa Vergine e per questo è uomo secondo la carne e Dio secondo lo spirito”, ecc. Gli autori che s’incontrano e si scontrano sono numerosi: Teofilo, Ireneo, Giustino, Origene, Sabellio, Teodoto, Artemone, Erma, Paolo di Samosada, Marcello di Ancira, Dionigi di Alessandria, ecc. La cosa che colpisce maggiormente è che menti così sofisticate abbiano spremuto le loro meningi al solo scopo di individuare l’essenza del Cristo, senza mai dare una benché minima interpretazione sul significato della sua “buona novella”, se era tale, e del come andava realizzata nell’ambito della società in cui vivevano. Qualche rigo penso lo meriti Origene, esegeta e teologo, perché è colui che riesce a inquadrare il pensiero cristiano in categorie filosofiche comprensibili per la cultura del mondo greco-romano, specialmente platoniche, come nella sua opera principale “Sui principii”. Immagina le anime già presso Dio, quindi pre-esistenti la nascita (fa venire in mente Enea nei campi Elisi con il fiume Lete dove si dissetavano le anime dei futuri cesari, e, di rimando, il Karma Induista): alla nascita di ogni essere umano l’anima scende nel corpo, e ritorna presso Dio alla morte del corpo. Questo contrastava col canone cattolico, il quale voleva (e vuole) che le anime andassero dopo la morte in paradiso o all’inferno, e che poi avrebbero fatto ritorno nel corpo con la reincarnazione il giorno del giudizio universale, finendo anima e corpo in via definitiva all’inferno se cattive, in paradiso se buone. La visione di Origene implica, invece, che tutte le anime, anche se attraverso un lungo processo di purificazione, si salvano, quindi l’inferno non è eterno. Beh, questa teoria fece un gran botto nelle comunità cristiane: nel IV° secolo fu messa all’indice e sparirono quasi tutte le sue opere. Troppo buono questo Origene: non faceva abbastanza paura la sua teoria, e il timor di Dio sarebbe stato trascurabile. Ad un certo punto ho interrotto queste letture perché ho avuto la sensazione che questi autori fossero più interessati a stabilire “il sesso degli angeli” piuttosto che dimostrare la loro esistenza. Non consiglio a nessuna persona alla quale voglio bene di leggere simili tormentoni; piuttosto consiglio di mettersi l’anima in pace con queste parole di Dante: “Matto è chi spera che nostra ragione/ possa trascorrer la infinita via / che tiene na sustanza in tre persone”. INTRODUZIONE: I primi secoli del cristianesimo. “Tu sei Pietro e su questa pietra…”. Questa frase di Matteo ha una funzione precisa: segnalare la preminenza di Pietro sulle altre componenti delle comunità cristiane. Era un fatto assodato già nell’anno 180 d.C., quando l’antico autore cristiano Ireneo di Lione invocava la continuità tra Pietro e i vescovi successivi, e sosteneva che alla chiesa di Roma, “la grande ed illustre chiesa”, dovevano ricorrere tutte le altre chiese. Sempre secondo questo autore, la chiesa di Roma fu fondata dai due apostoli Pietro e Paolo. Questo è un falso: primo, perché una comunità di cristiani a Roma era già 149


presente nei primi anni 40 d.C. insieme a circa 50mila Ebrei che abitavano fuori delle mura di Roma, nella parte ovest verso il mare; secondo, perché ancora nessuna lettera di S. Paolo era giunta in questa comunità; terzo, perché nessuna seria testimonianza sostiene che Pietro si sia mai recato a Roma. Altra incongruenza si riscontra in questo autore nel momento in cui fa l’elenco dei primi Papi: Lino, Anacleto, Clemente, Evaristo, Alessandro, Sisto e così fino al suo amico Eleuterio, vescovo di Roma dal 174 al 189 d.C.. Elenco abusivo, dicono gli storici, anche per i tempi discutibili intercorsi, ma soprattutto perchè questi suoi predecessori in realtà erano considerati solo come gli anziani del gruppo. Comunque, era ormai divenuto senso comune il fatto che Pietro e Paolo fossero stati uccisi da Nerone intorno al 64 d.C., e da ciò discendeva la pretesa del primato della chiesa di Roma sul resto delle comunità sparse nell’impero. Questa pretesa fu ulteriormente sostenuta in un racconto, secondo il quale Pietro venne a scontrarsi con Simon Mago a Roma e non in Palestina; la leggenda è raccontata negli Atti degli Apostoli. Questo mago, non riuscendo a fare i miracoli come i discepoli di Gesù, chiese a costoro di comprare, pagando una cifra notevole, la capacità di realizzare dei miracoli(anche lui!); da questa storia nacque il “peccato di simonia”. A questa leggenda finirono per dare attendibilità persino menti illustri della chiesa come Origene, Ambrogio e Agostino. In realtà il problema vero era che Roma, essendo il centro dell’impero, necessariamente doveva essere anche il centro del cristianesimo. I cristiani nel frattempo avevano già iniziato ad occupare le case-matte del potere, il sottogoverno. Ce ne danno testimonianza le varie interpellanze dei sacerdoti pagani; questi si lamentavano presso i loro imperatori che i cristiani, inseriti nella burocrazia governativa, trovavano continui cavilli tecnico-burocratici per impedire le loro cerimonie religiose. Da precisare che la vecchia e gloriosa cultura greco-romana cominciava a declinare per vari motivi, non ultimo il “rosicchiare” continuo del potere da parte dei cristiani. Ma il motivo di fondo, di tale declino, consisteva nel fatto che la religione pagana non era stata mai interessata al proselitismo, mentre quella cristiana ne era permeata; e vinsero i cristiani. Inoltre, il paganesimo era tollerante e aperto nei confronti di altre culture e altri dèi, mentre quella cristiana era “l’unica verità rivelata”, quindi tutte le altre erano false religioni e meschini i loro dèi che andavano combattuti e vinti; e vinse l’intolleranza. Arnaldo Momigliano ha usato una felice metafora scrivendo che “si è trattato di inserire Adamo ed Eva in un mondo popolato da Deucalione e Pirra”. Ovvero, rendere compatibili due mondi che fino a quel momento non avevano mai veramente comunicato. Il primo evento importante per il cristianesimo fu l’ascesa di COSTANTINO. La situazione dell’impero romano, prima di Costantino, era stata caratterizzata da un’instabilità tale che aveva visto al potere 25 imperatori in 45 anni, 24 dei quali uccisi dai loro stessi generali: l’esercito romano era costituito ormai interamente da mercenari. 150


Costantino, durante il periodo papale di Eusebio, nel 312 d.C. sconfigge Massenzio, prende il potere a Roma e più tardi conquista l’impero. Non diventerà mai cristiano; è pagano e tale resta, anche se c’è chi giura che sul letto di morte abbia cambiato idea: normale, con moglie e figlia ferventi cristiane, chi altri poteva smentire? Invece, crede fermamente nel “Sol invictus” (il sole invitto, o invincibile: il dio Mitra, molto venerato in Asia Minore). Infatti, gli storici concordano nell’affermare che: “non fu Costantino a convertirsi al cristianesimo, ma fu il cristianesimo a convertirsi a Costantino”. E fu così che la politica imperiale divenne il nuovo modo di annunciare a tutti il vangelo. Ma da buon politico, oltre che condottiero, osserva i cristiani e resta positivamente sorpreso dalla loro compattezza, e pensa che questo cristianesimo può diventare il cemento del suo impero. Pessima intuizione; non era riuscito a capire quanta libidine di potere fosse nelle loro coscienze; infatti, una volta che il cristianesimo esce dalla clandestinità e viene coperto da una grandinata di donazioni (esenzioni di tasse, contributi a fondo perduto, costruzioni di chiese e cattedrali) che un po’ alla volta raggiungono tutte le comunità cristiane dell’impero, inizia una lotta infinita per la supremazia delle chiese tra l’ex Bisanzio, divenuta Costantinopoli, e Roma, pur non mettendo mai in discussione l’impero. Ed è l’inizio della “collaborazione fra trono ed altare”, che durerà circa quindici secoli, salvo qualche breve e lodevole interruzione, fino al 1870 (“breccia di Porta Pia”), momento in cui finalmente trono ed altare entrano in rotta di collisione. Così inizia il “Liber Pontificalis”, e via, da subito, alle controversie e scomuniche reciproche. Il papa Silvestro, 314-355, per primo compila un lungo elenco di quelli che erano divenuti i beni della chiesa; ma Dante si lamenta così: “Ahi Costantino, di quanto mal fu matre/ non la tua conversion, ma quella dote/ che da te prese il primo ricco patre.” Le diatribe sull’interpretazione della buona novella non solo non accennano a diminuire, ma si moltiplicano con il miglioramento delle condizioni generali. Costantino osserva queste dispute ed è preoccupato che questo cemento si sfarini mettendo in crisi anche il suo impero; quindi decide di convocare un concilio a Nicea nel 325 d.C. per porre rimedio a queste continue scomuniche che a vicenda si emanavano, una chiesa contro l’altra. Il presidente del concilio fu Osio di Cordoba. La più grossa realtà cristiana che si contrapponeva a Roma ed alla sua dottrina era costituita dagli Ariani, che erano egemoni a Costantinopoli, sede dell’impero. La teoria di ARIO sostiene: “la parola di dio, che si è fatta carne in Gesù (“Verbum caro factum est”), non era dio, ma una creatura venuta dal nulla prima che il mondo iniziasse” (questa teoria richiama il passo del vangelo di Giovanni, 9,59: “Gesù rispose: in verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, io sono”). In contrapposizione la chiesa di Roma sosteneva che: “Cristo è della stessa sostanza del padre: asserzione chiara della sua divinità”. Al Concilio di Nicea furono pochi ad aderire, ma quei pochi stabilirono definitivamente che la sede di Roma era di fatto il centro del cristianesimo; sancirono 151


alcune interpretazioni sul messaggio di Cristo, che saranno motivo di scontro tra le varie chiese, e scrissero il famoso “Credo in Dio, padre onnipotente, creatore del cielo e della terra ecc.” Costantino muore nel 337 e gli succedono al trono i suoi due figli. L’impero si divide in due: Costanzo domina sulla metà dell’impero d’Oriente e aderisce alla teologia ariana, Costante domina nell’impero d’Occidente e resta fedele alle scelte del concilio di Nicea. Seguono scomuniche incrociate, finchè più tardi viene convocato un concilio a Sardica, l’attuale Sofia in Bulgaria, da parte dei Niceani (da Nicea), e un controconcilio da parte degli Ariani, i quali scomunicano Osio, Atanasio e anche il papa di Roma. I romani codificarono i “Canoni di Sardica” e li ritennero secondi solo a Nicea. Poi venne il concilio di Calcedonia, ecc. Ma, ahimè per i romani, Costante, sostenitore del primato di Roma, fu ucciso nel 350 e Costanzo, sostenitore degli Ariani, ereditò tutto il regno e iniziarono tempi duri per la pretesa supremazia di Roma. E’ di una chiarezza solare la scelta di Costantino di cementare il suo regno con l’alleanza dei cristiani pur non essendo cristiano; lapalissiano il fatto che Costanzo si schieri con gli Ariani, non per scelta religiosa ma per opportunità politica e di potere, in quanto nell’Impero d’Oriente erano egemoni gli Ariani; infine, elementare il fatto che Costante scelga di sostenere i Niceani nell’Impero d’Occidente in quanto erano dominanti nel suo regno. Questa introduzione era necessaria per fare il punto sulla situazione storica, e per rilevare anche che la chiesa di Roma e tutte quelle ad essa collegate subirono già dall’inizio l’impostazione teologica di S. Paolo. Ma, mentre in Medio Oriente, o meglio su tutte le sponde del “mare nostrum” dove erano collocate le altre chiese cristiane organizzate dagli altri apostoli, queste comunità tendevano ad organizzarsi in comunione dei beni, in Roma l’unica traccia di comunione dei beni tra i primi cristiani è soltanto una specie di mutuo soccorso: un minimo di pensione alle vedove in difficoltà e magari con figli, il farsi carico dei bambini rimasti orfani, aiutare qualche cristiano in grosse difficoltà di sopravvivenza, e niente di più.

Ora vediamo il CRISTO DI LOTTA Malgrado tra apostoli ed evangelisti ognuno dica la sua, i primi cristiani evangelizzati dagli stessi apostoli (non tutti, per la verità) si organizzano in modo comunitario, mettendo quelle poche cose che possedevano in comune; le testimonianze in tal senso sono innumerevoli. Primo passo, chiaro ed inequivocabile, in Atti degli Apostoli (2, 44); “ e tutti quelli che credevano stavano insieme e avevano tutto in comune. Vendevano i loro beni e distribuivano il prezzo fra tutti secondo il bisogno di ciascuno”. Ci furono persino delle comunità le quali vollero anche le donne in comune, ma furono considerate eretiche, come la comunità dei Nicolaiti e quella degli Gnostici. Perché questo? E’ presto detto: partendo dalla favola che ci racconta Pietro con 152


Anania e Saffira (vedi la parte seconda), oppure dall’affermazione evangelica “sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”, si arriva alla conclusione che in cielo non esiste proprietà privata, ergo…; ecco trovate le giustificazioni religiose al loro modo di organizzarsi per sopravvivere meglio in quelle condizioni particolari. Fin qui i motivi di carattere religioso; ma in realtà il motivo di fondo ha radici economiche e niente affatto testamentarie. Teniamo presente che il cristianesimo mette radici tra i più diseredati (il lumpenproletariat); i ricchi, i facoltosi, sono sempre stati amanti dello status-quo, quindi non aderiscono al cristianesimo, fatte le dovute eccezioni. Per esempio: nel 140 d.C. un ricco armatore del Mar Nero, un certo Marcione (una specie di Berlusconi ante litteram) donò alla chiesa di Roma ancora nella clandestinità ben 22.000 sesterzi, una somma ingente, con la quale tentò di divenirne lui l’anziano o il presbitero, come venivano chiamati i capi delle prime comunità dei cristiani. Consegnato il malloppo alla comunità, fu accreditato “maestro cristiano” a Roma, e rimase tale per quattro anni prima della sua estromissione avvenuta nel 144. Il motivo della sua espulsione fu dovuta alle sue idee sul cristianesimo che suonavano blasfeme alle orecchie del resto della comunità. Infatti, negava che la materia possa essere redenta; rifiutava l’Antico Testamento e gran parte del Nuovo, predicando una radicale opposizione tra il dio irato, vendicativo, creatore, dell’antico testamento e il dio amoroso e padre di Gesù Cristo. Aveva ragione da vendere il nostro Marcione; infatti, abbiamo visto nell’A.T. Yahwèh intervenire subito a colpire duramente tutti coloro che non osservavano la legge e premiare (con aumento di pecore) chi si sottoponeva alle sue direttive. Ma nel N.T. cambia carattere; un passo molto significativo lo ritroviamo in Matteo (5,44-45): “Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per coloro che vi perseguitano, così sarete figli del Padre vostro che è nei cieli, poiché egli fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.” Come abbiamo visto nella parte seconda, questo concetto di non reagire contro i cattivi che molestano i cristiani, ed aspettare l’ira di Dio, si inserisce nella logica della impossibilità di reagire senza rischiare di essere schiacciati. Se la mettiamo invece sul faceto possiamo dire che Yahwèh, avendo messo su famiglia (la vergine Maria e suo figlio Gesù), ha messo la testa a posto, si è dato una calmata, e finalmente si comporta come un buon padre di famiglia. Un altro aspetto non trascurabile è che gli Esseni, pur non essendo gruppo dominante, erano ancora presenti ai tempi di Gesù e non vi è dubbio che riuscirono a influenzare i primi cristiani con il loro modo di vivere. Certo, il loro formalismo eccessivo nei confronti della legge di Mosè era contraria a molti princìpi cristiani; però il loro modo concreto di organizzarsi economicamente influì, eccome! Sentiamo come ce li descrivono due intellettuali dell’epoca, Filone e Giuseppe Flavio (già incontrati nella prima parte): “Gli Esseni vivevano una vita in comune, senza proprietà privata; perfino la tunica bianca non apparteneva a chi la indossava, ma all’ordine. Le loro occupazioni, oltre alle pratiche specifiche della religione, erano l’agricoltura, la cura delle greggi e delle mandrie, l’allevamento delle api, i vari generi di artigianato necessarie per fornire la comunità degli arnesi, di vestiario e di 153


cibo. Il pasto in comune era una parte importante dello schema fisso di ciascun giorno, era una cerimonia religiosa: ciascun uomo indossava una veste al posto degli abiti di lavoro; il cibo era preparato dai sacerdoti dell’ordine e il pasto era consumato in un silenzio solenne. Il principio dell’ordine era democratico, nel senso che le autorità erano elette con il voto di tutti”. Questo schema degli Esseni diventa metodo organizzativo dei primi cristiani e durerà fino al IV° e in parte anche al V° secolo d.C. (ad eccezione della comunità di Roma che, come abbiamo visto, si comportò diversamente), periodo in cui tutti i Padri della chiesa cominciano subito a porsi la domanda e a discutere se sia più conforme alla natura, e più utile, la comunanza dei beni come sosteneva Platone in “La repubblica”, oppure la divisione di beni come invece sosteneva Aristotele, il primo padre della logica “il maestro di color che sanno”. Insomma, i padri della chiesa utilizzano l’antica filosofia greca per tentare di orientarsi sul che fare, anche per giustificare o condannare il comportamento e l’organizzazione economica dei primi cristiani. Quindi, le prime società cristiane in comunanza dei beni furono introdotte già sotto gli apostoli, secondo quanto testimoniano sia S. Luca, sia S. Clemente. In Alessandria d’Egitto si instaura lo stesso regime già con S. Marco, secono le testimonianze di Filone e S. Girolamo; e questo fino al Papa Urbano I° e a S. Agostino. Sentiamo cosa dice S. Ambrogio (394-397) vescovo di Milano: “Dio diede in possesso la terra a tutti gli uomini in comune, solo per l’avarizia del possesso venne distribuita”(“La repubblica civile delle api”). Ancora nel “De officiis” cap. 28 c’è la prova, con l’autorità degli storici, “che tutte le cose erano in comune e fu per usurpazione che vennero divise”. S. Clemente papa sostenne che: “gli apostoli ci hanno rimessi nello stato di diritto naturale, dunque la divisione dei beni è contro natura”. Alla fine furono centinaia i padri della chiesa che si schierarono pro o contro questa tendenza alla comunanza dei beni. Questa organizzazione economica dura fino alla presa del potere da parte della chiesa (IV° secolo), ma ancora nel VI° secolo S. Crisostomo tenta di imporre a Costantinopoli il medesimo modello, che nel frattempo era rimasto solo come prerogativa dei monaci. A questo lungo e approfondito dibattito tra i padri della chiesa partecipano altre raffinate menti di teologi come: il vescovo di Cartagine Cipriano nel terzo secolo; il Vescovo di Nazianzo nel quarto secolo; Basilio vescovo di Cesarea; il vescovo d’Ippona Agostino, Cirillo vescovo di Alessandria ecc. (a proposito di questo san Cirillo, ecco una “perla”: viveva ad Alessandria una donna colta, intelligente, Ipazia, che dirigeva la famosa biblioteca, la più importante del mondo di allora; a lei non interessava la nuova religione, e questo “non andava giù” al fanatico, talebano antelitteram, san Cirillo; le tende un’imboscata, la fa torturare e tagliare a pezzetti con conchiglie taglienti. Alleluja!). Tutti quanti partivano dall’analizzare i racconti del “giovane ricco” (Marco, 10, 18-25); del “ricco stolto” (Luca, 12, 16-21); del “discorso sulla montaga” e del “ guai a voi ricchi” (Luca, 6, 24-26). Per dettagli vedere “Ricchezza e povertà nel cristianesimo primitivo” di Maria Grazia Marra, ed. Città Nuova. 154


Questo tentativo dei primi cristiani non poteva che abortire, non solo perché Cristo non era né di destra né di centro né di sinistra, ma si era sacrificato per portare in paradiso più gente possibile (neanche in paradiso, comunque, saremmo stati tutti uguali, perché quanto più buono sei stato su questa terra tanto meglio starai in paradiso); ma soprattutto perché questi primi cristiani non erano riusciti a realizzarsi, ancora, come classe alternativa a quella dominante. Di conseguenza rimasero pii desideri e come tali spazzati via dal potere quando iniziarono a dargli fastidio. Ma quando un’idea si ammanta di trascendenza, anche se è destinata ad essere schiacciata, ogni giorno risorge; infatti, i “Predicatori poveri” predicavano come si vive da veri cristiani, denunciando la ricchezza, il lusso di questo mondo, invitando tutti alla povertà e a vivere come Cristo. Per centinaia di anni si è discusso persino se la veste che Gesù indossava era proprio sua, se gli era stata prestata oppure presa in affitto. Questo per dire quanto era sentito il richiamo contro la proprietà privata a favore della povertà, umiltà, sacrificio su questa terra, per poi godere del paradiso dopo la morte. La chiesa, mano a mano che occupa il potere, sopporta male questi “rompiscatole”; appena pronunciano qualcosa contro il potere, il lusso, lo sfarzo della santa chiesa cattolica apostolica romana, interviene la santa inquisizione dell’epoca, e molto santamente li processa, tortura, infine brucia vivi in nome di Cristo (e sembra che tali supplizi fossero anche peggiori della croce). Eppure qualche volta la chiesa ha utilizzato questi “predicatori poveri”. Infatti, Clemente III (1216) utilizzò i così detti “Patarini” di Milano (monaci votati alla povertà), nel tentativo andato a vuoto di ripristinare le verità religiose contro gli “Albigesi”, meglio conosciuti come i “Catari”, i Puri, abitanti del sud della Francia e del nord della Spagna, che in seguito verranno massacrati tutti (purtroppo con l’aiuto dei Valdesi, come vedremo più avanti). Ciò avvenne per mano dell’arcivescovo inquisitore Arnaldo Amalric (1160-1225), il quale guidò l’assedio alla città di Bèziers nella cui popolazione c’erano dei cattolici insieme agli eretici catari. Quando qualcuno gli fece notare che era complicato distinguere i buoni cristiani dagli eretici catari, lui rispose: “Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi”. Nel XVI° e XVII° secolo troviamo ancora due esponenti molto eruditi che scrivono a sostegno della tesi della comunanza dei beni. Il primo è Thomas Moore, alias S. Tommaso Moro, braccio destro di Enrico VIII, re d’Inghilterra. Nella sua “Utopia” descrive un’isola dell’Oceano Atlantico (la circumnavigazione del globo era già avvenuta), nella quale gli abitanti avevano un modo di vivere e produrre che si potrebbe definire socialismo utopistico-trascendentale di origine cristiana. Un libello di questo genere sarebbe costata la vita al “nostro” Tommaso Moro se fosse passato per la santa Inquisizione. Ma successe una cosa talmente grossa che questo suo scritto fu ignorato volutamente dalla chiesa cattolica: Enrico VIII aveva sposato una principessa spagnola (in Spagna chiesa e stato erano, come dire, due corpi e un’anima sola). Questa sua moglie era sterile e il povero re Enrico rischiava di non avere discendenza, quindi la sua dinastia rischiava di estinguersi. 155


Chiede il permesso al divorzio, la chiesa glielo nega e lui realizza uno scisma dalla chiesa cattolica, formando così la Nuova Chiesa Anglicana. Non starò qui a raccontare i massacri che questa decisione comportò, sarebbe lungo. Tommaso Moro non aderì allo scisma del suo re, restando fedele alla chiesa di Roma; ed Enrico, dopo avergli tolto tutto il potere che lui stesso gli aveva attribuito, lo decapitò. Fu per questo che la chiesa non parlò più del suo libro e lo innalzò sugli altari santificandolo. Un secolo più tardi ecco apparire alla ribalta un erudito monaco calabrese, fra’ Tommaso Campanella, filosofo teologo e poeta, che con una immaginazione molto feconda, sulla scia dell’isola dell’ “Utopia”, alla quale per sua stessa ammissione si era ispirato, scrive “La città del sole” (da ricordare che questa città del sole l’aveva inventata già il profeta Isaia, “una delle cinque città che si sarebbero salvate dalla furia dell’Emmanuele”, come abbiamo già visto). Tommaso Campanella invece non sfugge all’inquisizione; finisce torturato prima e condannato a 27 anni di dura galera dopo, che sconterà interamente nelle sante galere del sacro romano impero. Tutti e due questi autori cattolicissimi, con speranze di realizzare la “Nuova Gerusalemme” su questa terra (per la verità, prima del giudizio universale, stando ai racconti precedenti, era una pretesa assurda), finiscono con scrivere cose che alla santa chiesa creano disturbo. Vediamole: sia nell’isola dell’Utopia di Moro, sia nella Città del Sole di Campanella, si immaginano delle comunità in cui tutto è in comune: divisione del lavoro e degli incarichi a secondo delle capacità di ognuno; produzione in comune, mense e alloggi in comune, e vestiti tutti uguali (proprio come fece molto più tardi Mao Tzè Tung in Cina); chi si comportava in modo disdicevole nei confronti della comunità veniva condannato a mangiare da solo; chi si rendeva colpevole di più grossi peccati nei confronti della comunità veniva vestito con abiti sontuosi ed adornato di oro, come massimo castigo e disprezzo. Intanto in Germania, nella prima metà del XVI° secolo, succede qualcosa di più sconvolgente. CARLO V, spagnolo, regge il sacro romano impero; i prìncipi germani gli fanno la fronda, mentre questo sacro imperatore deve vedersela con Francesco I°, imperatore francese, e con l’impero musulmano del grande Solimano. A Roma era iniziata la costruzione della “Cattedrale di S. Pietro” e al papato servivano ingenti somme (la prima pietra della Cattedrale di S. Pietro fu posta da Giulio II, nel 1506; il progetto in origine era di Bramante, Michelangelo riprese e modificò il progetto, anche se non la vide finita perché morì prima: venne terminata nel 1590); si cerca la soluzione attraverso due vie: - la prima è quella delle bolle papali contro i Moros (musulmani di Spagna) e gli Ebrei. L’Inquisizione condanna al rogo questi fedeli di altre religioni con le loro famiglie, si confiscano tutti i loro beni, che vengono messi in vendita, accumulando in questo modo ingenti risorse economiche (da ricordare la collaborazione “entusiasta” di Isabella di Spagna, che qualcuno vuole metterla sugli altari). Quindi, si può dire senza paura di essere smentiti, o di risultare blasfemi, che questa cattedrale di S. Pietro gronda sangue innocente. Il più sinistro personaggio spagnolo, che si distingue tra i santi inquisitori, risponde al nome di Torquemada; 156


- la seconda strada la trovarono nelle famose indulgenze plenarie; ed è proprio su questo punto che la chiesa di Roma subirà un ulteriore scisma che partirà dalla Germania (più tardi anche in Svizzera verrà fuori un altro riformatore, Giovanni Calvino di Ginevra). L’andirivieni di anime in cerca di assicurazioni dopo la morte, l’ulteriore impoverirsi delle masse contadine già povere e il vano tentativo di assicurarsi con queste offerte un posticino in paradiso, indignarono a morte un giovane frate agostiniano, teologo all’università di Wittenberg. Non poteva tollerare l’osceno mercato messo in piedi dal papato, con tanto di stemma e bolla papale, esposto in bella vista su tutte le chiese cattoliche: una strofetta molto significativa che circolava tra i credenti diceva: “se un uomo il suo soldo darà/ il cancello di perle si aprirà/ e la sua mamma in paradiso entrerà”. Autentico peccato di simonia! Così il 31 Ottobre del 1517, questo frate domenicano di nome Martin LUTERO, affigge alla porta settentrionale della chiesa di Wittenberg le “95 tesi” contro il traffico delle indulgenze (qualcuno, però, mette in dubbio questo episodio), scritte di suo pugno. Con questo gesto ha inizio la così detta Riforma Protestante, alla quale la chiesa più tardi risponderà con la Controriforma del concilio di Trento. I prìncipi, che facevano la fronda contro il loro re e imperatore, videro in questo movimento una grossa opportunità e si schierarono subito a fianco di Martin Lutero e la sua tesi religiosa. In queste condizioni storiche nacque e si propagò il movimento degli Anabattisti, nati da una costola radicale, estremista, della riforma luterana. E’ nella stessa università di Wittenberg che inizia la loro lotta. I primi teologi degli anabattisti furono un certo Magister Tomas e Melchior Hofman, tutti e due cattedratici della stessa università. Le basi teologiche degli anabattisti sono: 1) tutti i beni terreni in comune, lotta contro ogni forma di proprietà individuale; 2) i bambini non devono essere battezzati, ma ciò deve accadere solo quando questi avranno raggiunto l’età della ragione; 3) sono rigidamente iconoclasti, cioè al bando tutte le immagini sacre, considerate da questi pura idolatria; 4) la salvezza dell’anima può avvenire solo attraverso la fede e non per opere, come sostiene la chiesa di Roma; 5) la bibbia non devono insegnarvela i sacerdoti, ma dovete leggerla; 6) i sacerdoti devono essere eletti, mai più imposti dall’alto, ecc. E così, gli iconoclasti, sconfitti più di mille anni prima dalla chiesa cattolica, riappaiono con prepotenza e più agguerriti di prima. Gli anabattisti si trovano contro non solo i cattolici, ma anche Lutero con tutti i prìncipi con i quali si era alleato: questi non potevano tollerare l’ordine economico sociale che quelli perseguivano. E gli anabattisti coniarono una frase di questo tipo: “Lutero ha strappato le vesti nere ai preti e le ha cucite nel cuore di tutti gli uomini”. Bernardo Rottman, discepolo prediletto di Lutero, più tardi lo rinnegò e con esecrazione così definì il suo ex maestro:“quel falso giusto che accarezzava con una mano il cavolo del ricco e con l’altra la capra del povero, mollemente assiso tra la verità e l’errore”. Nota. Anche Marx dedica a Lutero qualche rigo che vale la pena riportare: “Lutero, in verità, vinse la servitù per devozione mettendo al suo posto la servitù per convinzione. Egli ha spezzato la fede nell’autorità, restaurando l’autorità della fede. 157


Egli ha emancipato il corpo dalle catene, ponendo in catene il cuore” (da “La Questione Ebraica”). L’idea della terra ai contadini, senza più né clero né prìncipi da arricchire, fece facilmente breccia tra i contadini; a Frankenhausen ci fu la prima rivolta e di conseguenza la prima repressione. In seguito, il movimento degli Anabattisti iniziò a penetrare in altre città. A Mùnster si concentrò buona parte dei profeti erranti di questa interpretazione del cristianesimo niente affatto nuova: Thomas Mùntzer, Jan Matthys, Jan De Leila, Bernald Rothman, Bernard Knipperdolling ecc.. Un’intera città completamente assoggettata rigidamente al metodo comunitario; insomma è la “Comune di Parigi” ante-litteram, e, come quella, non riuscì a resistere a lungo (ad onor del vero va precisato che la comune di Parigi fu un tentativo molto più serio da parte dei socialisti utopisti pre-marxisti, anche perché nella città di Mùnster si degenerò quasi subito in forme di abuso di potere da parte di questi sedicenti profeti). Un vescovo cattolico, Von Waldeck, con l’aiuto dei Lanzichenecchi, assedia la città che alla fine viene rasa al suolo e massacrati tutti i suoi abitanti; altro grande massacro in nome di Cristo: ma in realtà anche qui si trattava di potere, di “libido dominandi”. I cattolici in Germania erano ancora presenti, anche se con sempre minore influenza. Gli anabattisti, sconfitti, non sparirono; continuarono la loro propaganda di fede senza più tanta speranza di realizzare la loro Geruslemme Celeste. La mente più radicale contro i Luterani e Calvinisti, ma soprattutto contro gli Anabattisti, fu un certo cardinale Gianpiero Carafa, che arriverà al soglio pontificio con il nome di papa Paolo IV, il massimo esponente della Controriforma del Concilio di Trento: - Zelanti furono definiti coloro che proponevano un irrigidimento contro le riforme proposte da Lutero e Calvino; - Spirituali quelli che cercavano di evitare lo scisma e scendere a patti di natura teologica; questi con un loro libello un po’ clandestino, “Il beneficio di Cristo”, scritto da un certo fra’ Benedetto da Mantova e sponsorizzato dal vescovo di Napoli Reginaldo Polo di origine inglese, tentavano una ricucitura dello strappo luterano. Il punto focale, sul quale si consumò lo scontro, verteva sul modo in cui ci si poteva salvare da cristiani ed entrare nelle grazie del cielo, e cioè se “ per opere, o per fede”. Eppure erano validi tutti e due i quesiti, quindi non c’era motivo di scontro; infatti sentiamo S. Giacomo (2,26): “come il corpo senz’anima è privo di vita, così la fede senza le opere è morta”; meglio ancora, S. Matteo (7,21): “Non chiunque mi dice Signore! Signore! entrerà nel regno dei cieli; ma colui che fa la volontà del padre mio, che è nei cieli”. Certo, a voler essere pignoli, una contraddizione si può sempre cogliere tra Paolo ed il resto degli apostoli; infatti Paolo sostiene ripetutamente: “il giusto vivrà per mezzo della fede” (Romani,1,17);“La giustificazione viene dalla fede e non dalle opere” (Galati,3,1). Però è fin troppo evidente che fede ed opere devono essere consequenziali una dell’altra; la più chiara ed inequivocabile resta la frase di Giacomo. Ma nessuno pensi che il vero problema era proprio l’interpretazione da dare; in realtà si trattava di come giustificare le indulgenze della chiesa alla quale servivano soldi, da una parte, e come condannarle, prendere le distanze e formare un nuovo 158


potere, dall’altra. Alla fine nel concilio furono sconfitti gli Spirituali, cioè coloro i quali cercavano una sintesi tra le due opposte fazioni, e si sancì una condanna contro tutti coloro che non si sarebbero adeguati alla sua teologia. In pieno Rinascimento la chiesa ripristina i peggiori metodi di dominio e la santa Inquisizione torna a colpire e bruciare vivi tutti coloro che non si adeguano rigidamente alle sue nuove disposizioni. Così, il micidiale cardinale Caraffa, poi papa Paolo IV, e il pestifero monaco Lutero avevano stabilito le nuove zone di rispettivo dominio, le quali galleggiavano su un lago di sangue di povera gente innocente. Martin Lutero morì nel 1546, e aveva già scritto una pagina di storia grondante di sangue. Da ricordare, in questo periodo, alcuni fatti “curiosi”. La comunità francescana, voluta e organizzata da S. Francesco e votata alla povertà più assoluta, la ritroviamo, dopo appena quattro secoli, ben piazzata in Germania con i suoi grandi monasteri. Non solo non predicavano più la povertà, ma addirittura erano riusciti ad accumulare ricchezze ingenti; la loro specialità era diventata il prestito ad usura ai contadini e bottegai dell’epoca, i quali spesso venivano strangolati da interessi esorbitanti e finivano col morire di fame. In seguito a questo comportamento gli Anabattisti riservarono loro un trattamento particolare: vennero tutti trucidati da parte dei contadini e dei bottegai Altri monasteri attaccati e distrutti dagli Anabattisti furono quelli delle suore, che con la scusa della religione accoglievano ed ospitavano tutte quelle ragazzine a cui i genitori non erano in grado neanche di dar da mangiare. Queste “pie donne” di suore, dopo aver convenientemente fatto dire qualche preghiera, le facevano lavorare per dieci o dodici ore al giorno; si produceva di tutto, dai pizzi e merletti ai più disparati oggetti di uso comune che immettevano sul mercato, creando così ai bottegai e commercianti una concorrenza insopportabile. Quando scattò la ribellione anabattista furono attaccati anche questi conventi, uccise le monache e liberate tutte quelle ragazze costrette fino a quel momento a subire un regime di vera schiavitù. Non parve vero a queste ragazze tanta bontà; sì, perché gli anabattisti, che praticavano l’amore libero, organizzavano delle vere e proprie orge, e a queste giovani donne sembrò che fossero arrivate “la manna e le quaglie dal cielo”, come capitò agli Ebrei nel deserto, e parteciparono con gusto e tanto piacere. Questa degli Anabattisti è un’altra pagina di storia che ci racconta un nuovo tentativo delle classi subalterne di liberarsi dal bisogno e dallo sfruttamento attraverso un’interpretazione religiosa di comodo. Come dire: ben venga Cristo se serve a liberarci dai nostri sfruttatori; insomma uno strumento, un sostegno ideale, una giustificazione religiosa per mandare all’aria i nostri sfruttatori. Questo era il loro vero problema; il resto era aria fritta anche per loro, consapevoli o meno. A chi vuole saperne di più su questo periodo consiglio di leggere “Q“ di Luther Blisett (ed. Einaudi) e “L’Opera al Nero” di Marguerite Yourcenar (ed. Feltrinelli). 159


Secolo XVIII°, il secolo dei LUMI “Dio resti a casa, e manda i cittadini a scuola”. Dio viene ridimensionato, messo all’angolo; al centro finalmente viene messo l’uomo, l’individuo. É una rivoluzione culturale, è senz’altro un passo avanti per la dignità dell’uomo. Voltaire è il maestro di questa nuova teoria, ma non è il solo né il primo; lo ha già anticipato il britannico John Locke, con un piglio più anticlericale, il quale afferma in un suo scritto: “I papisti non devono godere dei vantaggi della tolleranza, dato che si considerano tenuti a rifiutarla agli altri quando hanno in mano il potere…finchè i papisti saranno papisti, né l’indulgenza né la severità potranno trasformarli in amici del vostro governo, dato che sono i suoi nemici, tanto per principio quanto per interesse”. Ovvio che questo ragionamento sui papisti oggi varrebbe ancor di più per gli integralisti, o fondamentalisti, di ogni religione, in quanto non sono in grado di separare la religione dalla politica, né la fede dal potere; ma per capire perché oggi diventano fondamentaliste anche le masse, è necessario qui ricordare l’arretramento degli stati-nazione, e il crollo delle ideologie che ha spianato la strada alle etnie e rinfocolato le convulsioni dello spettro religioso che era stato sconfitto prima. Poi venne Rousseau con il suo “Discorso sulle origini dell’ ineguaglianza” (1755) e con “Il contratto sociale” (1762): “Gli individui conferiscono all’ente collettivo una parte dei loro diritti ricevendone in contropartita la tutela dei diritti residui, la sicurezza, la giustizia e la partecipazione al progetto del bene comune”. Questi intellettuali, soprattutto francesi inizialmente, creano la sovrastruttura del nuovo stato nascente, la borghesia: è la struttura dominante, la quale coinvolge i suoi stessi operai per abbattere “l’ancien regime”, e scoppia la RIVOLUZIONE FRANCESE, 1789. La “Presa della Bastiglia” segna l’inizio della fine del vecchio e decrepito regime. Ma ahimè, pur definendosi tutti cittadini e non più sudditi, nonostante il loro bellissimo slogan “Libertà uguaglianza fraternità, restavano comunque e sempre i cittadini di serie a, b, c, ecc.: chi ha più danaro, chi ha più informazioni, chi ha più alleati, chi ha più santi in paradiso, vince la partita e riesce a realizzare lo scambio niente affatto tra uguali (Berlusconi docet). In conseguenza di ciò i forti dispongono a loro piacimento dei più deboli; l’uguaglianza tra uguali resta una pia illusione. In queste condizioni è già evidente che la teoria di Rousseau, contenuta nel “Contratto Sociale”, secondo cui ogni cittadino è ugualmente libero e la libertà di ognuno doveva finire lì dove inizia la libertà dell’altro, non funziona. Si incaricherà Carlo Marx, più tardi, a spiegare a tutti che:” lo spazio libero di ognuno è pari alla possibilità di procurarsi le risorse necessarie per vivere”, e che quanto più alcuni si arricchiscono, inevitabilmente altri impoveriscono; pertanto, se è vero che vogliamo gli uomini tutti liberi ed uguali sarà necessario partire dalla uguaglianza economica, altrimenti continueremo a parlare solo di aria fritta”. Comunque, è per questa situazione di ulteriore e più perniciosa disuguaglianza, che la nuova classe dirigente borghese aveva creato, che un gruppo consistente di intellettuali si stacca dalla congrega illuminista e si definisce socialista. Ed è l’inizio 160


della storia del socialismo-utopista-premarxista: l’inglese Owen con le sue cooperative; il russo Bakunin che gira l’Europa per organizzare cooperative in ogni dove; Proudhon con il suo famoso: “da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi bisogni”; e poi Gracco Babeuf, con la sua “Congiura degli eguali” o “manifesto degli eguali”(più tardi Filippo Buonarroti lo divulga anche in Italia con suoi commenti, ed è la teoria pre-marxista più vicina al comunismo), Bauer Bruno, Feuerbach, Fourier, Lamennais, Lassalle, Saint-Simon, Sorel, Maltus, e poi più tardi gli italiani Malatesta, Cafiero ecc., per citare i più conosciuti; anche se tra questi personaggi c’è la differenza che va dai socialisti moderati ai massimalisti, fino agli anarchici ( da“La storia del pensiero socialista. I Precursori”, Vol. I°, di G.D.H. Cole, ed. Laterza). Già da subito in questa nuova schiera di socialisti pre-marxisti si apre la grossa diatriba sul come garantire libertà individuale e uguaglianza economica, che ancora oggi impegna molti intellettuali. Era, ed è, il problema se si deve anteporre la libertà individuale per il raggiungimento dell’uguaglianza, oppure anteporre l’uguaglianza come mezzo per garantire a tutti la libertà. La sintesi non è stata ancora realizzata. Mi auguro che la nuova (o quinta ?) internazionale dei liberi ed uguali, riesca a rendere compatibili le due condizioni suddette. Questi intellettuali, ma anche uomini d’azione, costruiscono di fatto la sovrastruttura, anche se ancora utopistica, per il futuro “quarto stato”, lo stato proletario. Per meglio intenderci: il “primo stato” durante la rivoluzione francese era diretto dalla nobiltà, il “secondo stato” dal clero; il “terzo stato” è della borghesia che si costituisce e manda a gambe all’aria i primi due; il “quarto stato” dei proletari è già in formazione. E nel 1871 nasce “la Comune di Parigi”: il “quarto stato” diventa visibile, manda i suoi primi segnali al mondo intero. Ma durante la terribile settimana di sangue, dal 21 al 28 Maggio, al culmine della repressione attuata dalle truppe di Thiers, circa ventimila comunardi furono passati per le armi. “Si, durò solo un mese, ma il tempo della Comune non contava per la sua breve durata, ma per la sua intensità.” Così scrisse Simonetti. Nota. Schiacciata la Comune di Parigi, crolla la prima internazionale. Si ricomporrà il movimento comunista internazionale subito dopo con la seconda internazionale; anche questa salterà in aria con l’inizio della prima guerra mondiale. Tra la prima e la seconda guerra mondiale nasce la terza internazionale detta Cominform, ecc.; infine anche Trotsky tenta di organizzare la quarta internazionale, ma viene ucciso dagli stalinisti. Tutti questi socialisti utopisti su elencati non fanno mistero del fatto che molte loro idee erano già contenute e sperimentate dai primi cristiani, insomma ammettono di aver scopiazzato. Marx invece dà un taglio netto alle speranze utopistiche e costruisce la teoria del comunismo. Prima con ”Il manifesto ”, poi con “L’analisi materialista della storia” e infine con “Il capitale” analizza l’accumulazione capitalista e sprona i “proletari di tutto il mondo ad unirsi”, a liberarsi della borghesia e instaurare la dittatura del 161


proletariato. É l’inizio di un’altra epoca, di altri tentativi, di altre speranze; non è più la Nuova Gerusalemme, ma è il Sol dell’avvenir. Ma anche questa nuova grande e materialistica idea trova sulla sua strada i soliti traditori, i soliti opportunisti, che inevitabilmente distruggerano i suoi principi e i suoi valori fino a denigrarla. Lo stesso tragico errore che commise la Francia rivoluzionaria con la sua illusione di esportare la libertà e la democrazia sulla punta delle baionette, e l’unico risultato che ottenne fu di rafforzare la causa dei troni, allo stesso modo anche questa sana e giusta rivoluzione socialista, con lo stalinismo (Stalin!? grande statista e pessimo comunista) e il trattato di Yalta prima, e le occupazioni varie poi, cadde in una tale contraddizione che fu l’inizio della fine di questa grande esperienza sociale ed umana. Quindi l’umanesimo dei lumi e il comunismo, che è da considerare una sua evoluzione, furono sconfitti dalla morte delle utopie, dal moltiplicarsi dei genocidi, dalle guerre di religione, dalle carestie e dalla mortalità infantile. Insomma, l’uomo biologico vinse ancora una volta sull’uomo sociale. Tornando al cristianesimo ed alle sue forme di lotta proletarie, si potrebbero citare tanti altri fatti dello stesso tenore, fino ai nostri giorni. Un ultimo esempio, che credo sia doveroso ricordare, sono i cristiani di sinistra del XX° secolo, appunto il nostro tempo. In America Latina nasce la così detta “Teologia della liberazione”, teorizzata dal teologo Gustavo Gutièrrez. Tra i massimi esponenti emergono cardinali, vescovi, teologi; il Cardinale brasiliano Elder Camara, il Vescovo Oscar Romero, il teologo Leonardo Boff, poi Jon Sobrino, Frei Betto, Aloisio Lorscheider. Negli anni sessanta e settanta del secolo appena trascorso in America Latina vediamo i sacerdoti con i mitra in mano, a fianco dei rivoluzionari Tupamaros (marxisti-leninisti) e a quelli di Sendero Luminoso (maoisti), lottare contro le dittature fasciste e le giunte militari. Sono popoli che subiscono fame, diritti calpestati, persecuzioni, massacri da parte di questi fascisti, e una parte dei cristiani si schiera con la povera gente a lottare con gli stessi loro metodi (Brasile, Uruguay, Argentina,Cile, Guatemala, Salvador, ecc.) Da non dimenticare, per inciso, che lo schiavismo, sia dei negri africani trasportati nelle due americhe, sia degli schiavi indigeni, era cosa buona e santa per la santa madre chiesa: lo aveva assicurato il S. Paolo nelle sue lettere alle varia chiese. In Salvador, piccolo paese del centro america, i fascisti locali uccidono il vescovo Oscar Romero mentre officiava la messa; esattamente mentre distribuiva la comunione un killer gli spara ripetuti colpi di pistola e lo uccide sull’altare; per la giunta fascista era diventato pericoloso, parlava male del potere e si schierava con i poveri, con i perseguitati. Il papa polacco in carica, tra i suoi cento viaggi in giro per il mondo, capita anche a S. Salvador, visita il potere fascista locale, si affaccia dal balcone insieme al dittatore di turno per impartire la benedizione ai “fedeli del dittatore e del papa”, e si guarda bene dal recarsi sulla tomba del suo vescovo Romero per una preghiera o portare un fiore al suo servitore ucciso dai fascisti di cui lui in quel momento era ospite. Normale, come il lupo perde il pelo ma non il vizio, 162


così la chiesa, pur avendo perso il potere temporale, il vizietto di “ruffiana dei potenti” non lo perderà mai. Apriamo una parentesi; non manca anche tra i laici qualche buontempone che dà per scontato che K. Wojtyla sia pacifista, vista la posizione intransigente contro gli anglo-americani nell’attaccare il regime di Saddam Ussein. In realtà non ha niente a che fare con la posizione pacifista, ma è solo calcolo politico; da autentico opportunista questo papa fu il primo a riconoscere la Slovenia e subito dopo la Croazia cattoliche, in contrapposizione alla Serbia ortodossa e alla Bosnia musulmana, creando così per primo le condizioni per i massacri avvenuti sotto i nostri occhi sul finire del secolo scorso. In Irak invece, essendo l’unico paese in tutto il Medio Oriente musulmano che aveva una direzione politica laica, anche se caratterizzata da una dittatura personale e familiare, c’era libertà di culto religioso per tutti, purchè non intralciassero i disegni della direzione politica. In questo Irak i cattolici, e non solo, avevano tutta la libertà di crescere e moltiplicarsi: insomma grandi distese di pascolo per le loro pecorelle e che i buoni pastori cattolici utilizzavano. Un attacco da parte di questi anglo-americani, camuffati da neo crociati, avrebbe interrotto la tolleranza religiosa fin qui usufruita. Ed ecco il papa, un vero calcolatore, a difesa della sua espansione teologica sulle masse. Ma quando la guerra è già fatto compiuto e i primi caduti italiani tornano nelle bare, ecco il Cardinale Ruini, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana capovolgere il tutto, in occasione dei funerali di Stato. Sentiamolo: “Non fuggiremo davanti ai terroristi assassini. Anzi, li affronteremo con tutto il coraggio, l’energia e la determinazione di cui siamo capaci”. E’ fin troppo evidente che ora, dopo l’aggressione degli americani, gli equilibri politici interni sono cambiati in favore degli integralisti islamici; quindi, bisogna restare e sconfiggerli, imponendo la democrazia e la libertà di culto come era prima, altrimenti i cristiani in Irak o scappano o dovranno convertirsi all’Islam. Chiaro? Sì, e anche lineare! In questo filone del cristianesimo anche in Italia emergono figure di prestigio, poche, ma ottime; da ricordare sacerdoti come don Franzoni con le sue “comunità cristiane di base”, don Minzoni, don Mazzolari, don Milani, e altri che sono ancora sulle barricate, quali don Mazzi col suo “Isolotto” di Firenze, don Zanotelli, don Ciotti ecc.. Un altro sacerdote, al quale voglio dedicare qualche rigo in più, è un leccese, don Tonino Bello, divenuto vescovo di Molfetta (BA), morto giovane, appena 58 anni, ma “miracolosamente” sfuggito alle grinfie di K. Wojtyla. Ne “La teologia degli oppressi” un sacerdote suo conterraneo, don A. D’Elia, racconta le sue opere, le sue omelie, i suoi atteggiamenti nei confronti degli ultimi. E’ stato un grande umile cristiano, che è riuscito a convertire un incallito infedele comunista, l’onorevole Nichi Vendola di Rifondazione Comunista. L’introduzione a questo libro è proprio sua, e non c’è niente di meglio che lasciar parlare lui di don 163


Tonino (lo ha conosciuto e frequentato, perchè è di Terlizzi, della stessa provincia di Bari). Sentiamolo: “Tu sei un saltimbanco nel circo consacrato di una religione senza fede, tu sei il pastore progressista al servizio di una chiesa reazionaria”. “Riuscisti a liberarmi dall’odio sacro che avevo nutrito per tutti i megafoni del divino, per tutti i trafficanti di santità a buon mercato”; “Tu mi facesti vedere un Dio che finalmente detronizza quel suo omonimo pregato dagli idolatri, quella sua controfigura che si compiace, nei festival dell’ipocrisia religiosa, di vestire i panni cangianti ora del moralista senza pietas ora del piazzista di indulgenze plenarie”; “Eppure le tue notti insonni a cercare dio nel volto di un povero barbone, a cercare la gloria del cielo nello spigolo dei marciapiedi, assediavano il tuo orologio, espugnavano il tuo tempo, annullavano il tuo riposo”; “ogni volta le tue omelie erano un pugno nello stomaco dei sepolcri imbiancati”; “Io non sono mai venuto alle tue convocazioni ufficiali: non per mancarti di rispetto, solo che non mi sono mai sentito un appartenente alla “etnia” separata degli eletti, nè ho mai sopportato l’ipocrisia di troppi miei colleghi avvezzi ai sermoni come alle truffe”. Sempre nello stesso libro vediamo da dove fa discendere l’esigenza della comunità dei beni, con il suo slogan di “povertà libertà fraternità”: “Nel cielo tre persone uguali e distinte vivono così profondamente la comunione che formano un solo Dio. Sulla terra più persone, uguali per dignità e distinte per estrazione, sono chiamate a vivere così intensamente la solidarietà, da formare un solo uomo, l’uomo nuovo... Sulla terra gli uomini sono chiamati a vivere secondo questo archetipo trinitario: a mettere, cioè, tutto in comunione sul tavolo della stessa umanità, trattenendo per sè solo ciò che fa parte del proprio identikit personale...Questa, in ultima analisi, è la pace: la convivialità delle differenze”. Questo che ho riportato sopra è solo una scheggia del suo grande pensiero. E’ stato un uomo umile, sacerdote degli ultimi, vescovo dei diseredati, presidente nazionale di Pax Christi; “la sua teologia costantemente coniugata con l’antropologia, col vissuto concreto contemporaneo; l’Eutopia, la “buona terra” dei suoi progetti più che dei suoi sogni; la pace come assenza di guerra e soprattutto come pratica costante della convivialità e dell’accoglienza”. Insomma un nuovo profeta del nostro tempo che non chiama alla lotta, ma al servizio degli oppressi, dei diseredati, degli ultimi. Pur essendo miscredente, non posso non riconoscermi in uomini di così alto profilo umano; semmai questa è la dimostrazione che in tutte le religioni, o ideologie, ci sono uomini che le esaltano ed altri che le affossano. Saper discernere, questo è il problema! E alle considerazioni del mio compagno Nichi Vendola posso solo aggiungere che, se la chiesa una buona volta sancisse senza ambiguità che questo è il suo cammino, non avrei alcun timore, pur essendo agnostico, di lottare insieme a questi cristiani per un mondo migliore, a definirli compagni, o fratelli se preferiscono, e insieme a loro raggiungere quella condizione umana per cui ho lottato per una vita, 164


il “Sol dell’avvenir”, che loro potranno chiamare “Gerusalemme Celeste”. Sono gli obiettivi che ci possono unire o dividere, non i simboli o gli slogan. Si può concludere su questo primo aspetto che il Cristo stesso, se mai è veramente esistito nei cieli dopo morto, non ha mosso un dito per far avanzare questo disegno, questa interpretazione sul suo operato e sulla sua buona novella (poteva lasciar vivere don Tonino più a lungo, no?). O non c’era, oppure dormiva, o, peggio, non gliene fregava proprio niente di tutti questi massacri che si consumavano “in suo onore e gloria”

Ora passiamo all’altro fronte, il CRISTO DI GOVERNO, ovvero, “come hanno sacralizzato lo sfruttamento delle masse a vantaggio dei potenti di turno”. Eppure, Gesù di Nazareth non amava il potere, anzi lo detestava, “il mio regno non è di questo mondo”. Non pensava di costruire chiese per suo conto, anzi: “se due di voi s’accorderanno sulla terra, per domandare qualsiasi cosa, questa sarà loro concessa dal padre mio, che è nei cieli. Perché dove sono due o tre riuniti in mio nome, ci sono io in mezzo a loro”(Mat. 18,19); e Giovanni nell’Apocalisse descrive la nuova Gerusalemme senza chiese: non ne vedeva la necessità. Sancisce “chi di spada ferisce di spada perirà”; quindi nessuno è autorizzato a reagire alla violenza all’infuori di dio, quando il calice dell’ira si sarebbe riempito. Perciò: distinzione dei poteri, “dà a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”; sacralità della pace e diritto alla giustizia; dignità della persona e quindi responsabilità dell’individuo; pietà per i deboli e riconoscimento del dolore; riscatto dei perdenti fino alla difesa delle perdute, “le prostitute vi precederanno” ( Mat, 21,31), ecc. Sì, c’è anche questo nei vangeli; ma si sa, ognuno va a pescare il pesce che preferisce; e i papi, come vedremo, gireranno al largo da queste massime cristiane, andando a pescare altrove per giustificare il loro dissennato modo di gestire il potere. Fu così che il sacrificio della croce divenne, per i vicari di Cristo e i vescovi uniti con lui, “un buono e soffice cuscino su cui posare la loro libidine di potere”. Di storie dei Papi sono piene librerie e biblioteche, e non sono così presuntuoso da pretendere di aggiungere qualcosa di nuovo o di originale; mi interessa solo uno degli aspetti fondamentali di questa lunghissima storia che ho tratto da uno di questi storici, Eamon Duffy: raccontare cosa hanno fatto, questi papi, della buona novella di Gesù di Nazareth nel corso di tanti secoli del loro potere temporale. Non parlerò dei 261 papi e dei 34 antipapi, né dei concili, né dei sinodi, né dei conclave, ma farò solo un accenno ad alcuni quando è proprio necessario per chiarire il motivo di fondo della degenerazione ecclesiastica rispetto ai vangeli. Fatta salva qualche lodevole eccezione, come papa Gregorio Magno (590-604) e il 165


nostro Papa Giovanni XXIII, per il resto dei papi il problema era il potere, potere da estendere e consolidare, sempre in nome del Cristo, ovviamente. All’inizio di questa parte abbiamo visto la diatriba sull’essenza del Cristo: quanto c’era in lui di umano e quanto di divino; poco o niente su quanto aveva detto e fatto o avevano riferito di lui i suoi evangelisti. Poi abbiamo assistito allo scontro tra la chiesa di Roma e gli Ariani con i vari concili e le scomuniche reciproche. Intanto è da ricordare che dal 339 al 432 i papi avevano già riempito il vuoto di potere che Costantino aveva lasciato a Roma andandosene a Bisanzio. In questo lasso di tempo crescono come funghi le chiese in Roma. Malgrado Roma fosse ancora in maggioranza pagana, di fatto i papi gestivano già tutto il potere terreno, con le buone maniere verso chi aveva potere economico, con le cattive verso chi contava poco o niente nella struttura socio-economica. Il papa che dà il via per la prima volta ad un’autentica degenerazione del vangelo è Papa Damaso, 381-384, denominato il “matronarum auriscalpius”(colui che lusinga le orecchie delle donne). La chiesa in quel momento usufruiva di enormi spazi e condizioni economiche notevoli e non poteva rinunciare all’arroganza del potere. La sua elezione a papa fu contestata, e si proponeva un altro papa di nome Ursino. Stranamente Ambrogio, vescovo di Milano, sostenne Damaso, il quale utilizzò prima la polizia cittadina e in seguito una parte delle masse cristiane per farsi sostenere. I seguaci di Damaso comprendevano anche i “fossores”, cioè scavatori di catacombe, i quali, in uno scontro con i sostenitori di Ursino, massacrarono 137 suoi seguaci e fu il primo sangue versato da cristiani ad opera di altri cristiani. Quindi il papa fu Damaso e Ursino l’antipapa; a decidere furono le disponibilità di risorse economiche a vantaggio di Damaso. Uno storico pagano di nome Ammiano Marcellino (ex generale romano) così commentava sarcasticamente la lotta alla quale aveva assistito: “Non nego che uomini che aspirano a questo ufficio per realizzare ambizioni personali possono ben combattere con ogni mezzo a loro disposizione per ottenerlo. Infatti, una volta ottenutolo, hanno un futuro assicurato, sono arricchiti dalle offerte delle matrone, viaggiano seduti nelle carrozze, splendidamente abbigliati, offrono banchetti così sontuosi da sorpassare le tavole dei re…”. Ma Dante sarà ancora più duro: “O Simon Mago, o miseri seguaci/ che le cose di Dio, che di bontate/ deon esser spose, e voi rapaci/ per oro e per argento avolterate,/ or convien che per voi suoni la tromba,/ però che nella terza bolgia state”(Inf. XIX,1- 6) La degenerazione di questo papa rispetto ai vangeli aveva già iniziato a toccare aspetti dottrinali. I ricchi cristiani avevano fatto proprio l’uso dei pagani a farsi seppellire nelle catacombe, i simboli religiosi cristiani e quelli pagani si sovrapponevano senza fare più scandalo; divinità pagane ed angeli cristiani venivano esposti insieme e le masse approvavano; così fu interpretata la dottrina di papa Damaso, il quale sancì la necessità di “cristianizzare il latino e latinizzare il cristianesimo”. Malgrado tutto, queste sono solo scaramucce rispetto a quanto saranno capaci di realizzare altri papi in seguito. 166


Nel frattempo si è chiuso il ciclo dell’Impero Romano ed è iniziato il MEDIO EVO Un papa decisamente in controtendenza fu GREGORIO MAGNO, 590-604. Riporto una sua lettera molto significativa che fa la sintesi del suo stile di papa; la spedisce al vescovo di Alessandria Eulogio, in risposta ad una sua: “ All’inizio della tua lettera trovo il titolo onorifico di “papa universale” che ho rifiutato. Prego la tua veneratissima Santità di non scriverlo più, poiché ciò che viene indebitamente attribuito ad un altro è sottratto a te. La mia grandezza non sta nelle parole, ma nel modo di vivere. Non considero tale un onore che minacci quello dei miei fratelli. Il mio onore è quello della “chiesa universale”. Il mio onore è la salda autorità dei miei fratelli… basta con queste parole che suscitano la vanità e feriscono la carità”. Il titolo che egli preferiva per il suo ufficio era “servus servorum Dei”(servo dei servi di dio). Era preoccupato delle condizione dei poveri e non mancava di intervenire a loro difesa ogni volta che gli si poneva un caso. Riuscì a cristianizzare l’Inghilterra senza colpo ferire: vide dei giovani schiavi inglesi, li liberò dalla schiavitù e li portò in un convento; lì divennero frati studiando le cose di chiesa; infine li spedì in Inghilterra ad evangelizzarla ed ebbero successo, ecc. Sarebbe lungo elencare i suoi comportamenti e le sue decisioni di autentico ed onesto credente nei suoi lunghi 14 anni di pontificato; ma ve lo dice un miscredente, quindi non c’è motivo di dubitare. Ma come mai la curia romana e tutti i vescovi decidono di eleggere papa un uomo così integro, onesto e pio? La chiave per capire il perché sta nelle condizioni particolari in cui versava Roma in quel momento; vediamole. Da parte dell’Impero d’Oriente iniziò nell’anno 533 la conquista dell’Africa contro i Vandali per opera di Belisario; seguì nel 534 la campagna contro i Goti in Italia, che fu un disastro, si prolungò per 20 anni e portò rovina e miseria oltre che le solite pestilenze; un terzo della popolazione perì. Roma fu più volte assediata e devastata da parte di Totila. Immensi furono i danni, e Roma divenne invivibile; la sua popolazione si era ridotta a circa 30mila da 800mila del secolo precedente; aveva perso la sua autonomia a vantaggio dell’Impero d’Oriente, era abbandonata a se stessa, e così divenne nei fatti una colonia greca, e Ravenna divenne il centro dell’impero come lo era stata al tempo dei Goti. Scacciati i Goti, i Longobardi austriaci nel 568 avevano trovato libera la via per invadere l’Italia del Nord. Da notare che tra questi popoli (Goti, Vandali, Longobardi) era diffuso il cristanesimo, in prevalenza di osservanza ariana; malgrado ciò, la violenza e i massacri non furono risparmiati a nessuno (altri massacri tra cristiani che del Gesù di Nazareth avevano perso le tracce). In queste condizioni Roma era arrivata letteralmente alla fame, comprese le ricche e facoltose matrone romane. Distrutte tutte le infrastrutture come acquedotti e fogne, intorno a Roma si creò una vera e propria palude che rubò migliaia di ettari di terra coltivabile. Queste erano le condizioni socio economiche che Gregorio ereditò dal papa che lo aveva preceduto, papa Pelagio II (575-579). Ecco spiegato il perché dell’elezione di un santo uomo a dirigere la chiesa di Roma: nelle disgrazie ci si rivolge sempre ai santi. Invece, quando si cresce e si è in buona salute l’arroganza, la 167


superbia, la libidine di potere, acquistano una spinta propulsiva, quindi ci si rivolge ai guerrafondai. A questa logica non sfugge neanche la santa madre chiesa, anzi è maestra nell’arte di fiutare il vento che tira e adeguarsi. Prima ho accennato alle diatribe di cristologia, che vedevano contrapposte le due chiese, e cioè soprattutto la Chiesa d’Oriente contro i cattolici romani. Le cose si complicano dal punto di vista religioso tra il governo di Bisanzio e quello di Roma nel 726. In questo periodo erano apparse sempre più insistentemente icone con immagini di Cristo, sua madre e santi vari; le reliquie, che erano invece prima tenute in grande considerazione, erano ormai in disuso, e i primi simboli, come l’ancora, l’agnello e pesce, spariti. Il regno di Costantinopoli retto dall’imperatore Leone III era in grosse difficoltà, dovute principalmente all’avanzata dei musulmani verso il suo impero. Nel 717 dà ordine che la più miracolosa delle icone con l’immagine della Vergine sia portata in processione lungo le mura della città per infondere sicurezza nel popolo. Ma i primi teologi cominciano a speculare sul fatto che queste disgrazie in arrivo potrebbero essere un castigo di dio perché erano diventati degli idolatri con tutte queste immagini da venerare, richiamando, non a torto, il vecchio testamento, anche se nel nuovo non si incoraggiano certo i simboli e le immagini sacre. Nel 726 una eruzione vulcanica, con cenere nera che si spande su tutto l’Egeo, diventa un presagio ancora più chiaro ed inequivocabile per i teorici delle cose sacre. A questo punto l’Imperatore dichiarò che dio era adirato a causa del peccato di idolatria; ordinò la distruzione di tutte le immagini che erano state sacre fino a poco prima in tutte le chiese, fino a tentare di sottomettere anche i papi a questa nuova trovata. Così nacque la tendenza cristiana alla iconoclastia, e “Iconoclasti” furono nominati i suoi adepti. Venne papa Gregorio III, 731-741, e le cose si complicarono ulteriormente, perché questo nuovo papa organizzò un sinodo a Roma, condannò l’iconoclastia e tutti coloro che la perpetravano; in seguito venne sconfitta, ma mai del tutto, e con la riforma di Lutero ritornerà alla grande. Altre lotte, altre guerre, altri massacri, sempre rigorosamente tra cristiani (e Gesù sta a guardare?). Un altro momento importante è quando la chiesa si allea con i FRANCHI, e crea le basi per un nuovo e più esteso impero. Pipino il Breve, figlio di Carlo Martello e padre di Carlo Magno, intrallazza con la chiesa di Roma e, pur essendo solo un dignitario di corte francese, viene unto dal papa e nominato re. In cambio Pipino doveva conquistare e dare alla chiesa il ducato di Roma, l’esarcato di Ravenna, e le altre città e terre conquistate dai Longobardi. Affare fatto. Ma la chiesa esige che Pipino convalidi anche un suo storico e poco pio desiderio, che realizza attraverso un falso documento che viene accreditato a Costantino (la Donazione di Costantino), secondo il quale era stata concessa ai papi tutta una serie di province italiane, oltre che Roma; province che nel frattempo sia Carlo Martello, suo padre (si era distinto come condottiero del cristianesimo avendo bloccato nel 732 a Poitier l’avanzata dei musulmani, che dalla Spagna ormai iniziavano a salire verso la Francia), sia lo stesso Pipino avevano conquistato nel 754-756 in Italia. Questo 168


documento viene presentato come un solenne atto giuridico del primo imperatore cristiano, il tutto in contrapposizione alla chiesa d’oriente che ancora non riconosceva né spazi né autonomia alla chesa romana; è il papa Stefano III° che conclude l’affare. Nel 1440 lo studioso latinista Lorenzo Valla dimostrerà la falsità della “Donazione di Costantino”, indicandone proprio nella curia romana di questo periodo (VIII° secolo) il probabile autore. Il suo libro “De falso…Constantini donatione” verrà pubblicato solo nel 1517, ma i papi continueranno a ritenere autentico quel documento (fa venire in mente la “Patente” di Pirandello, nella quale si assicura che alla fine una cosa falsa viene ritenuta vera se ripetuta con convinzione e insistentemente; però la falsità ha bisogno di un ambiente protetto, e non può sopravvivere al confronto, e i papi si guardano bene dal confrontarsi; Macchiavelli, in un Consiglio al suo principe , propone di “simulare e dissimulare nel suo interesse, poiché colui che inganna troverà sempre chi si fa ingannare”). Per questo e per altre confutazioni di testi antichi ritenuti allora autentici, come una lettera ad Abgar-V attribuita a Gesù, Lorenzo Valla finisce dananti al tribunale dell’Inquisizione durante il papato di EugenioIV, ma viene salvato da AlfonsoV d’Aragona di cui nel frattempo era divenuto segretario. Viene riabilitato in seguito da NiccolòV e infine nominato segretario pontificio da papa Callisto III. Fu un personaggio notevole, sia per gli studi su testi latini e greci, sia per le sue aspre critiche alla chiesa cattolica, tra cui l’inutiltà e l’ipocrisia della vita monastica, tanto che da alcuni studiosi è considerato un autore importante non solo per la cultura italiana ma anche per l’”umanesimo” europeo, e infine un precursore di Martin Lutero. La situazione cambiò radicalmente con il figlio di Pipino, CARLO MAGNO, che divenne Re unico dei Franchi nel dicembre del 771. Nel 772 fu eletto papa Adriano I°. Quando il re dei Longobardi assediò Roma nel 773, papa Adriano chiese aiuto a Carlo Magno (che fu costretto a ripudiare Ermengarda, figlia del re Desiderio, come ci racconta A. Manzoni nel suo Adelchi), e questi decise di intervenire e togliere per sempre il regno d’Italia ai Longobardi; li sconfisse ed aggiunse ai suoi titoli anche quello di Re dei Longobardi. La chiesa è tornata forte. Al VII° Concilio generale convocato a Nicea nel 787 dall’imperatrice Irene, papa Adriano ottiene un grande successo: è sconfitta l’eresia degli iconoclasti (di nuovo) e viene sancita la venerazione delle icone religiose. Ma Carlo Magno si infuria perché da questo concilio è stato escluso e fa scrivere dai suoi teologi i “Libri Carolini”, che erano una confutazione sia della dottrina iconoclastica sia della venerazione delle immagini. Comunque, anche questa nuova diatriba fra trono ed altare si concluse positivamente nel concilio che convocò Carlo Magno a Francoforte nel 794. Morto papa Adriano nel 795, fu eletto papa Leone III; fu contestato da un parente del papa appena morto e dovette fuggire e farsi proteggere da Carlo Magno; ritornò a Roma sotto buona scorta. Il re presiedette un concilio di vescovi, di abati e di esponenti della nobiltà franca e romana, che respinse qualsiasi tentativo di giudicare “la sede apostolica, capo di tutte le chiese” ; il papa giurò la sua innocenza, e finì lì. 169


Due giorni dopo, il giorno di natale, Carlo Magno partecipò alla messa in S. Pietro (non quella attuale, non era stata ancora costruita). Finita la messa, il papa incoronò Carlo Magno e la folla (popolo bue) lanciò tre laudes : “A Carlo, piissimo Augusto, coronato da dio, imperatore grande e pacifico, (e sì che ne aveva già massacratidi cristiani), vita e vittoria”, e fu il SACRO ROMANO IMPERO; era Natale dell’anno del loro signore 800. Aveva sognato la Roma imperiale, ed eccolo servito. Il trono e l’altare nuovamente uniti, in una nuova e peggiore santa alleanza. Chi ha contato le decine di migliaia di “poveri cristi” massacrati per la maggior gloria della chiesa? Ecco come si cristianizzò e si unificò l’intera Europa! Cosa può c’entrare Gesù di Nazareth con questa loro libidine di potere? Come è possibile che illustri personaggi, sia politici sia commentatori, non certamente ignoranti, oggi arrivino a proporre che nella Costituzione Europea si faccia esplicito richiamo ai valori del cristianesimo e ricordandoci anche che il primo ad unire l’Europa fu proprio il piissimo Carlo Magno? Ma forse l’Europa si sta unificando ancora con la spada e con il fuoco come fece il piissimo imperatore, oppure stiamo cercando di costruirla con dialettica politica, con laicità ? (ci torneremo più avanti). Un nuovo periodo, questo per la verità molto simpatico per un miscredente, inizia con Adriano II (867-872): si dice di lui che fu un papa debole che lasciò sgretolare pezzo a pezzo la ragguardevole posizione che il suo predecessore Niccolò I (858-867) aveva conquistato con i soliti sotterfugi. Tra l’872 e il 1012, finito il tempo dei “lupi” (i franchi carolingi), e prima che iniziasse quello dei “cani” (gli Ottoni germanici), ci fu il tempo delle “volpi” romane. Queste “volpi”, le famiglie patrizie romane come i Crescenzi, i Teofilatto, i Tuscolani, avevano trasformato il potere temporale dei papi in un grande crogiuolo di affari; finalmente i papi si massacravano tra loro e non trovavano più il tempo di massacrare dei “poveri cristi”. Il Vaticano ancora oggi definisce questo periodo “Secolo Oscuro” o “silenzio del liber pontificalis”; se invece in questo secolo avessero ancora massacrato un po’ di cristiani, sicuramente sarebbe stato un secolo splendente, e invece del silenzio un bel baccano. Giusto per avere un’idea, facciamo solo l’elenco: Giovanni VIII (872-882) percosso a morte del suo stesso seguito; Stefano VI (896-897) strangolato; Leone V (903) assassinato dal suo successore Sergio III (904-911); Giovanni X (914-928) soffocato; Stefano VIII (939-942) orribilmente mutilato, destino questo condiviso anche dall’anti-papa greco Giovanni XVI (997-998); Leone VIII (963-965) esiliato; Giovanni XIII (965-972) imprigionato e costretto a fuggire; Benedetto VI (973-974) assassinato; Bonifacio VII (974-984,985) espulso due volte; Benedetto VII (974-983) esiliato; Giovanni XIV (983-984) assassinato; Giovanni XV (985-986) costretto alla fuga; Gregorio V (996-999) esiliato; Silvestro II (999-1003) cacciato insieme al suo signore Ottone III. Detto tra di noi, non è male questo periodo; se questo andazzo fosse continuato ancora per altri otto secoli, milioni di uomini donne e bambini avrebbero continuato a vivere secondo quanto natura offriva loro, invece di essere stroncati in modo 170


prematuro e violento da papi e cristianissimi re-guerrieri. Poi qualche pio cristiano si indigna se gli dici che il cristianesimo galleggia su un immenso lago di sangue versato da poveri e indifesi cristiani per opera di altri cristiani. Ma al peggio dobbiamo ancora arrivare. I PAPA-RE : la chiesa sopra le nazioni; l’era della riforma del papato; il tempo dei papi abominevoli; è l’inizio del XI° secolo. Iniziò bene con papa Leone IX che scatenò prima in Francia e poi nel resto dell’Europa la lotta contro il così detto “peccato di simonia”: i vescovi pagavano ai vari regnanti la carica di vescovo della chiesa cattolica. Tolse e scomunicò un numero notevole di vescovi, si oppose e rifiutò che fossero i re nel loro territorio a decidere e a nominare i vescovi (inizia la Lotta per le Investiture). Così il papato per un breve periodo, da esempio insigne di corruzione, divenne principale strumento di riforma. Finì male; fu esiliato, e morì in esilio nel 1055. Poi Vittore II, 1055-1057, e Stefano IX, 1057-1058; anche questi si distinsero nel tentativo di avocare a sè il primato sui vescovi, malgrado le aristocrazie locali facessero la fronda contro queste tendenze della chiesa. Fu questo Stefano IX che per primo aprì ai cosiddetti “Patarini” (già incontrati), cenciaioli milanesi, i quali vivevano in assoluta povertà. Vestiti di cenci, predicavano la povertà e invitavano i cristiani a vivere nello stile degli apostoli, come era scritto negli Atti, cioè beni in comune e lotta alla proprietà privata. Ma subito dopo con Urbano II iniziò l’arroganza e la violenza della chiesa contro gli infedeli; la chiesa era ritornata forte e faceva valere il suo potere. Fu lui a lanciare la Prima Crociata contro gli infedeli musulmani per liberare Gerusalemme e la Palestina. Su questa linea, che continuerà a lungo, si cimenteranno molti altri papi. Con papa Pasquale II, 1099-1118, ci furono altri massacri in nome di Cristo. Si era già entrati in pieno regime di monarchia papale: la curia in realtà era la corte suprema della cristianità. Papa Alessandro III, 1159-1181, essendo un riformatore con esperienze giuridiche, contribuì al consolidamento dell’autorità papale e al dominio della chiesa in tutto l’occidente. Convocò il 3° Concilio Lateranense nel 1179 e preparò un ampio programma papale contro la corruzione degli ecclesiastici, alimentata dall’amore per l’oro e per l’argento. Circolava in quei tempi un detto, molto diffuso, secondo il quale a Roma gli unici santi venerati erano Albino e Rufo (cioè l’argento e l’oro); e una massima cristiana venne modificata così dagli osservatori più attenti. “beati i ricchi poiché di essi è la corte di Roma”. Da questo periodo fino al 1870, con alti e bassi, vittorie e sconfitte, la chiesa domina ancora e sono sempre i papa-re a dire l’ultima parola. Dalla fine del XV secolo si realizzano occupazioni nel “Nuovo mondo” da parte di re ed imperatori con la santa benedizione della chiesa cattolica: si massacrano interi popoli che vengono cristianizzati con la spada e con il fuoco (America Latina, Africa, Estremo Oriente). Coloro i quali si lasciavano cristianizzare diventavano 171


schiavi cristiani, coloro che rifiutavano diventavano cadaveri. Perciò all’inizio gli indigeni avevano la terra e gli invasori la bibbia, più tardi agli indigeni rimase la bibbia e agli invasori la terra: e tutto ciò avveniva sempre rigorosamente in nome di Gesù. Intanto c’è lo scisma del re inglese EnricoVIII e dei Luterani tedeschi (come abbiamo visto prima); infine l’ultimo sacco di Roma ad opera dei lanzichenecchi di CarloV, 1527. Sono sberle potenti; ma la chiesa reagisce: conferma le sue verità (Concilio di Trento), ripristina l’Inquisizione (e sono roghi, autodafè), uccide, massacra, sempre rigorosamente in nome di Cristo. Altro che i tribunali islamici! Un altro papa, poi fatto santo, che merita di essere menzionato è S. Pio V, Michele Ghislieri, (1566-1572). Sentite la sua “santa” interpretazione dell’amore cristiano in una lettera a Filippo II di Spagna: “Nessuna pietà, sterminate chi si sottomette, e sterminate chi resiste; uccidete ad oltranza, bruciate, tutto vada a fuoco e a sangue purchè sia vendicato il signore”. Più tardi, ad una interpellanza della santa Inquisizione spagnola risponde per iscritto così: “Amico di dio è chi uccide i nemici di dio: bruciateli di domenica”. Era il tempo delle persecuzioni contro i Moros Islamici, gli Ebrei, e i Marrani (gli Ebrei forzatamente battezzati) oltre ai soliti miscredenti, eretici, apostati, senza dimenticare la famigerata caccia alle streghe che durò centinaia di anni; furono arse vive, dopo essere state costrette a confessare il loro rapporto con il demonio sotto tortura, circa dodicimila donne. L’inquisizione garantiva: “se bruciano vuol dire che sono streghe, se non bruciano, vuol dire che sono innocenti”. Che figli di puttana! Va qui ricordata la persecuzione contro i cristiani VALDESI durata qualche secolo. Nel XII° secolo comparvero i “poveri di Lione”, detti anche “Ciabbattoni”, organizzati da un certo Valdès in una comunità al di fuori della chiesa cattolica. Praticavano la povertà, rifiutavano ogni giuramento, negavano il purgatorio (che la chiesa introdusse solo nel Concilio di Lione nel 1274). Inoltre questa comunità guardava con simpatia al “Donatismo”, un’eresia risalente al IV secolo, teorizzata da Donato, il quale rifiutava i sacramenti impartiti da un clero spregevole (quindi, per questo vescovo la validità dei sacramenti dipendeva dalla dignità o meno del comportamento del sacerdote che la somministrava). Inizialmente la chiesa “usò” i Valdesi per eliminare gli Albigesi, ma in seguito caddero in disgrazia e vennero perseguitati fino alla loro massacro il 24 agosto 1572 (la famigerata notte di S. Bartolomeo), a Parigi, Lione, e un po’ in tutta la Francia, insieme agli Ugonotti, protestanti. I perseguitati facevano risalire la loro giustificazione teologica agli Atti degli apostoli (5,29), dove si afferma: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini.” In controtendenza il potere clericale aveva già un’infinità di teologi e affini che sostenevano l’esatto contrario, non ultimo il famoso Cardinale Bellarmino, il quale a suo tempo affermò: “Se anche il Papa errasse comandando dei vizi e proibendo delle virtù, la chiesa è tenuta a credere che i vizi siano buoni e le virtù cattive” (De Romano pontifice IV,2) 172


Ma per dimostrarvi quanto l’interpretazione cristiana era ed è flessibile, sentiamo cosa dice il monaco povero Francesco D’Assisi: “I frati obbediscano ai loro ministri in tutte quelle cose che hanno promesso a Dio di osservare e che non sono contraire alla coscienza e alla regola” (Regola 10) Questi tremendi papi, questo tremendo clero, fanno venire in mente le “Arpie” virgiliane: “Mostro non v’è al par di quello odioso/ né peste più funesta”. E Cristo sta a guardare? “E se licito m’è, o sommo Giove/ che fosti in terra per noi crucifisso,/ son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?”(Purg.VI,118-119). Brutto periodo, questo, anche per la scienza e la filosofia; 1)- il 17 febbraio del 1600, viene bruciato vivo sul rogo in Campo de’ Fiori in Roma fra’ Giordano Bruno, dopo essere stato condannato dalla santa Inquisizione: “Che siano pubblicamente guasti et abbrugiati nella piazza di S. Pietro, avanti le scale, et come tali che siano posti nell’indice de’ libri proibiti… sentenziamo e dichiariamo te, fra’ Giordano Bruno predetto, essere eretico impenitente pertinace <ed ostinato>, e perciò essere incorso in tutte le censure ecclesiastiche e pene <dalli sacri> canoni...” firmato: I cardinali: Madrutius; Severinae; Deza; Pinellus ecc..(da L’età della controriforma in Italia, di Maria Antonucci, Editori Riuniti). Cosa aveva detto? Beh, non molto, ma… troppo per la santa romana chiesa: - accusava i preti di aver ridotto il loro compito nel garantire l’ordine sociale con gli strumenti della fede; - in campo teologico, oltre a negare la creazione come descritta nella Bibbia, sosteneva l’infinità dell’universo, il movimento della terra ecc., e tra le altre cose metteva in discussione l’idea secondo la quale l’uomo, avendo l’anima, può disporre a suo piacimento della natura che lo circonda; - definiva Cristoforo Colombo un pirata, il quale barattava battesimi con l’oro e l’argento; - a livello filosofico con certe sue intuizioni anticipava già Galileo e persino Darwin ecc. ecc…; troppo per la chiesa, quindi abbastanza per il rogo. 2)- Nello stesso periodo un altro frate, Giulio Cesare Vanini, alias “fra Gabriele” dell’ordine dei Domenicani, nato a Taurisano in provincia di Lecce nel 1585, si avviò al patibolo a soli 34 anni pronunciando questa frase: “Andiamo, andiamo allegramente a morire da filosofo”. Era stato condannato per “crimini di ateismo, di bestemmie, di empietà”. Breve sintesi del suo pensiero: -liquida le controversie tra cattolici e protestanti su Trinità, divinità di Cristo e sacramenti, come “questioni di lana caprina ( la sua opera è una delle prime a svalutare la figura del messia); -attacca le favole teologiche ponendo sullo stesso piano le tre religioni monoteiste; -Gesù è evasivo nelle risposte ai farisei, prudente e furbo nel sottomettersi al potere politico (date a Cesare …), privo di coraggio nell’affrontare la morte. Il nucleo essenziale della concezione vaniniana ruota attorno al valore supremo da riconoscere alla cultura, alla conoscenza, attraverso l’esperimento e l’interrogazione della natura, allo studio scientifico come conoscenza delle cause, delle proprietà “meravigliose” della materia. Infine, l’eresia che gli viene contestata dai teologi di Tolosa poggia sulla sua ironica rappresentazione dei miracoli, diavoli, inferni, e della resurrezione come un inganno dei sacerdoti. Viene affidato al boia, il quale gli taglia 173


la lingua, lo strangola e getta il suo corpo sul rogo, a Tolosa, il 9 febbraio del 1619, come sempre in nome di Cristo. 3)- Il caso Galileo Galilei, ancora più enigmatico, anche se questa volta manca il rogo; viene condannato dalla santa Inquisizione il 22 giugno del 1633, nel convento della Minerva in Roma. Il tribunale è composto da: fra’ Antonio Barberino, Ludovico Zecchia di S. Pietro in vincoli, Berlingero di S. Agostino Gesso, Fabricio di S. Lorenzo ecc.. . L’accusa: “Tenevi come vera la falsa dottrina, da alcuni insegnata, ch’il sole sia centro del mondo e immobile, e che la terra si muova anco di moto diurno; ch’avevi discepoli, à quali insegnavi la medesima dottrina... perniciosa dottrina, e non andasse più oltre servendo in grave pregiudizio della cattolica verità. E conseguentemente sei incorso in tutte le censure e pene dei sacri canoni e altre costituzioni imposte e promulgate. Dalle quali siamo contenti sii assoluto, pur che prima, con cuor sincero e fede non finta, avanti di noi abiuri, maledichi, e detesta i suddetti errori ed eresie... e acciocché questo tuo grave e pernicioso errore non resti del tutto impunito. Ti condanniamo al carcere formale in questo s. off. Ad arbitrio nostro; e per penitenze salutari t’imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette salmi penitenziali...E così diciamo, pronunciamo, sentenziamo, dichiariamo, ordiniamo, e reservamo in questo e in ogni altro meglior modo e forma che di ragion potemo e dovemo. Ita pronum… nos Cardinales infrascript” E giù una sfilza di firme cardinalesche (sempre da L’età della controriforma in Italia, di M. Antonucci,). Galileo aveva settant’ anni e non aveva nessuna voglia di finire arrostito in uno degli autodafè che l’Inquisizione organizzava di tanto in tanto; anche se era certo di come giravano le palle in cielo, preferì sottoscrivere un’abiura e vivere il resto della sua vita rinchiuso a recitare i salmi penitenziali. Ma Bertolt Brecht con la sua composizione teatrale “Vita di Galileo” (Ed. Einaudi), che scrisse prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, lo vendica facendogli dire delle cose che probabilmente Galileo avrà pensato ma non le ha lasciate scritte. Sentiamolo: “Ingiustamente invece io abiuro, perchè concedendo oggi ai Reverendissimi Padri che Dio ha fatto l’universo più proporzionato alla piccola capacità del loro cervello che all’immensa e infinita Sua potenza, stabilisco un esempio che altri scienziati ignavi potranno seguire domani e sempre”; e ancora: “…della mia abiura giudicherà invece il Tribunale della storia. L’ho compiuta per vigliacca paura delle macchine che mi avete mostrato (le macchine di tortura con le quali i boia riuscivano a convincere quasi tutti a dichiararsi colpevoli). Il martire sarà ricordato nei secoli da chi ha a cuore la verità, il suo eminentissimo boia sarà santificato da chi l’ha calpestata, ma per me non ci saranno che rimpianti e il mesto ricordo di un’occasione perduta. L’intelligenza, voi che non l’avete, non ve la potete dare. Ma io, il coraggio, neppure” (è bello immaginare, con B. Brecht, che le “cose” siano andate veramente così!). Ora esaminiamo più dettagliatamente l’ Ultimo Periodo, che va dalla perdita definitiva del “Potere Temporale” della chiesa (in Italia) ad opera dei Savoia, fino ai nostri giorni. 174


LEONE XII, Annibale Sermattei della Genga (1823-1829). Da cardinale ebbe una condotta poco limpida: gli fu accreditata una relazione con la moglie del comandante delle guardie svizzere. Inizialmente aperto alle concezioni liberali, divenuto papa la sua politica fu caratterizzata da una cieca conservazione: mise all’indice le società bibliche, ordinò misure restrittive nei confronti delle comunità ebraiche, causando l’emigrazione di molti ebrei, e, dulcis in fundo, condusse una caccia spietata contro i “carbonari”, tra cui Andrea Targhini e Leonida Montanari condannati per “lesa maestà”. La sua morte (10/02/1829) venne accolta dalla popolazione con manifestazioni di giubilo. GREGORIO XVI, Bartolomeo Cappellari (1831-1846). Malgrado la sua posizione contro tutto ciò che era moderno, comprese le ferrovie, aveva condannato lo schiavismo (era ora!) e il commercio degli schiavi (aveva abbandonato una direttiva di S. Paolo molto precisa; alla buon’ora! diamogli atto di questo), ma nella sua enciclica Mirari vos condannava “la velenosa sorgente di indifferentismo che è scaturita dall’assurda ed erronea dottrina, o piuttosto dal delirio, che la libertà di coscienza debba essere rivendicata e difesa per tutti gli uomini”; denunciava “la malizia detestabile e insolente” di coloro che “si ribellano e stravolgono i diritti dei governanti” e che cercano “di asservire le nazioni sotto la maschera della libertà”. Insomma la modernità, la libertà, questo papa le riteneva pericolose per il dominio della chiesa (e non a torto), e rivendicava il fatto che la chiesa “è stata istruita da Gesù Cristo e dai suoi apostoli e ammaestrata dallo Spirito Santo….quindi sarebbe totalmente assurdo e oltremodo oltraggioso pensare che la chiesa abbia bisogno di rinnovarsi e rigenerarsi….come se fosse esposta all’esaurimento, alla degenerazione o altri difetti di questo tipo”. Tutto questo ostruzionismo nei confronti delle modernità era scaturito da una diffusa posizione dei laici cattolici, con in testa un certo Lamennais, che scriveva e diffondeva un giornale cattolico con il nome “L’Avenir”. Intorno a questo giornale si erano coagulati notissimi intellettuali cattolici, i quali sostenevano che la chiesa doveva rinunciare al potere temporale, e sostenevano la tesi di “libera chiesa in libero stato”, slogan che più tardi fu assunto da Cavour. Ma questo Lamennais era stato ispirato dalle condizioni delle popolazioni cattoliche che vivevano sotto regimi non cattolici: la Polonia suddivisa tra la Russia ortodossa e la Prussia protestante, il Belgio governato dal re protestante Guglielmo-I nell’interesse dell’Olanda, l’Irlanda retta da Westminster. In queste nazioni la ricetta “trono ed altare” veniva usata contro i cattolici. La chiesa non cedette a questi pii intellettuali e si affidò al simbolismo religioso, che le consentì di riacquistare prestigio e mettere all’angolo tutti i cattolici liberali, sia quelli per convinzione sia quelli per opportunismo alla Lamennais. Iniziarono con l’immacolata concezione della Vergine Maria; ci fu una produzione a livello industriale delle medagliette miracolose; queste medagliette portavano scritto: ”Oh Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi”. 175


Poi fiorirono le “apparizioni” della madonna; nel 1830 Caterina Labourè ebbe una visione della vergine con corona di stelle intorno alla testa; nel 1846 due pastorelli della Savoia, a La Salette, ebbero anche loro una visione di una bella signora che piangeva e lamentava la dissacrazione della domenica, le frequenti bestemmie e il diffondersi della ubriachezza (momento fortunato per l’umanità visto che i problemi erano solo quelli!). Nel 1858 altre visioni mariane di Bernadette Soubirous nella grotta di Massabielle, a Lourdes nei Pirenei francesi; in questa occasione la madonna si sarebbe presentata dicendo: “Io sono l’Immacolata concezione”, quindi aveva accettato di buon grado il nuovo titolo che gli avevano affibbiato; anche la madonna, pare, si adegua alla fantasia dei suoi tifosi (a proposito di Bernadette, in recenti pubblicazioni si parla di una ragazza handicappata, figlia di genitori alcolisti. La signora Jacomet, moglie del Commissario locale, dichiarava: ”Il padre di Bernadette, François, era un alcolizzato, la madre Luisa era sempre ubriaca; Bernadette… anche lei beveva”. Il parroco Peyremal: “…è una bugiarda che mangia l’erba come gli animali”). Infine arriva la “Cardiolatria”: un Gesù di Nazareth, bello alto biondo, con capelli e barbetta tanto curati che sembra un vip dei nostri giorni di origine irlandese, però regge in mano il cuore, fuori dal costato. Nel 1856 Pio IX inserì nel calendario universale della chiesa la festa del “Sacro Cuore” e nel 1864 beatificò la veggente del XVII° secolo (Marguerite Marie Alacoque) che l’aveva inventato e inizialmente divulgato; furono i giansenisti che bollarono questa devozione come cardiolatria. Con PIO IX, Giovanni Maria Mastai Ferretti (1846-1878), è il trionfo dell’ultramontanismo (“montanismo” da Montano di Pepuza: movimento eretico sorto nel II secolo in Medio Oriente e diffuso in Africa Settentrionale; praticava e predicava forme ascetiche molto rigide con la ferma convinzione dell’imminente avvento del regno celeste) aggressivo e intollerante con la enciclica Inter Multiplices. L’anglicano convertito al cattolicesimo John Henry Newman, così bolla questa enciclica: “Ci rinchiudiamo in noi stessi, restringiamo le linee di comunicazione, tremiamo alla libertà di pensiero e usiamo il linguaggio della costernazione e della disperazione di fronte a quello che si apre di fronte a noi”. Il 24 novembre 1848 scappò da Roma e si rifugiò a Gaeta, nel territorio di Napoli; a Roma Garibaldi e Mazzini si erano posti alla testa di un regime repubblicano e volutamente anticlericale. Nel luglio del 1849 le truppe francesi occuparono Roma in suo nome e tornò al suo potere nell’aprile del 1850. Peggiorò le restrizioni contro gli ebrei: questi non potevano praticare alcune professioni, non avevano il diritto di testimoniare in tribunale contro un cristiano; inoltre istituì una tassa per soli ebrei, favorì scuole per incentivare la loro conversione e istituì il ghetto ebraico di Roma. Ma il Risorgimento italiano era fondamentalmente ateo, lo spirito del 1789 francese era tornato alla grande in Italia; ancora oggi gli integralisti cattolici, come quelli di Comunione e Liberazione, cercano accanitamente di mettere in discussione le validità del risorgimento Italiano. 176


Nel 1864 emanò un’altra enciclica più pestilenziale della precedente, è la Quanta cura, alla quale era allegato il “Sillabo degli errori” con ottanta proposizioni, nelle quali venivano condannati indefferentismo, socialismo, galliganesimo, razionalismo, massoneria (in quei tempi la Loggia P.2 di Licio Gelli non c’entrava! Oggi invece la chiesa ha molte cose in comune con questi massoni che si comportano da mastini del potere). Per quanto riguarda il “galliganesimo”, era una condanna molto precisa e indirizzata al cattolicissimo, ma di concezione liberale, Conte Montalembert il quale aveva pubblicato un libro dal titolo “Libera chiesa in libero stato”, con il quale cercava di conciliare la chiesa con la democrazia, e molti francesi cattolici trovavano giusto e saggio un tale comportamento della chiesa rispetto alle istituzioni secolari. I francesi, anche se erano l’unico baluardo tra il papa e il risorgimento laico ed ateo, bandirono il “Sillabo degli errori” in tutta la Francia. Il 20 giugno del 1866 il Sant’Ufficio, regnante sempre il papa-re Pio IX, emanava le seguenti istruzioni anche sullo schiavismo, coerentemente con gli insegnamenti di S. Paolo: “La schiavitù in quanto tale, considerata nella sua natura fondamentale, non è del tutto contraria alla legge naturale e divina. Possono esserci molti giusti titoli alla schiavitù e sia i teologi che i commentatori dei canoni sacri vi hanno fatto riferimento. Non è contrario alla legge divina che uno schiavo possa essere venduto, acquistato, scambiato o regalato”. Nel 1867 celebra i diciotto secoli dalla morte dei discepoli Pietro e Paolo, e annuncia la convocazione di un concilio da tenersi nel 1869, il Concilio Vaticano I°, nel quale sancisce l’Infallibilità del papa e il dogma dell’ “Immacolata Concezione”. Inoltre, non disdegnò di utilizzare la ghigliottina dei “rivoluzionari” francesi nel mandare a morte centinaia di rivoluzionari che si opponevano al potere temporale della chiesa; tra i più noti ricordiamo Giuseppe Monti, Gaetano Tognetti e il suo concittadino senigalliese Girolamo Simoncelli. Quindi si può sostenere, senza paura di essere smentiti, che il Vaticano trovava buona e santa la ghigliottina, mentre riteneva demoniaca la libertà, la fraternità e l’uguaglianza. Morì nel 1878. Fu il papa più agguerrito nel sostenere divulgare ed imporre una visione medioevale; ma malgrado ciò dovette mollare l’osso del potere temporale (Breccia di Porta Pia, 1870). Si rinchiuse e non accettò la “Legge delle guarentigie” concessa dallo stato italiano, che era un notevole vantaggio economico per il vaticano, e rivendicò il diritto della donazione di Costantino che, noi sappiamo, era un falso; e comunque, quanto ci potesse ancora azzeccare lo Stato Italiano con Costantino, io non l’ho ancora capito. LEONE XIII, Gioacchino Pecci (1878-1903). Fu il papa delle ottantasei encicliche; la più famosa e controversa fu la Rerum Novarum (1891). Nell’affrontare il problema dell’industrializzazione e delle nuove disuguaglianze così scrive:“Un piccolo numero di uomini assai ricchi è riuscito ad imporre sulle folte schiere di prolifiche e povere masse operaie un giogo quasi simile a quello della schiavitù”; nello stesso tempo condanna il socialismo e lo definisce una liberazione illusoria da tale miseria; inoltre il socialismo fomenta l’odio di classe e nega il diritto alla 177


proprietà privata. Poi nvita i ricchi ad essere più magnanimi con i lavoratori, e invita lo stato a regolamentare i diritti per evitare gli scioperi; la sua idea sul sindacato era una romantica visione delle corporazioni medioevali. Però niente illusioni, perchè nella sua enciclica “Libertas”del 1888, afferma: “Non è assolutamente lecito invocare, difendere, concedere un’ibrida libertà di pensiero, di stampa, di parola, d’insegnamento o di culto, come se fossero altrettanti diritti che la natura ha attribuito all’uomo...” L’anglicano Henry Scott Holland che faceva parte dei cristiani socialisti, diceva che l’enciclica era “la voce, tenue e spettrale, di una vita lontana che parla in una lingua di tanto tempo fa”, e lo dice un cristiano! Insomma, pur vedendo le immense ingiustizie e la povertà diffusa tra i lavoratori, fa fatica a schierarsi dalla parte dei diseredati, degli affamati, degli afflitti, e dà un colpo al cerchio e uno alla botte. Molti cristiani di quel tempo dicevano cose più penetranti e più stimolanti. Considerato però che era il successore di Pio IX, gli storici ritengono che aveva fatto un passo veramente rivoluzionario. Le altre numerose encicliche avevano carattere di pura dottrina: Aeterni Patris, 1879; Nobilissima Gallorum Gens,1884; Immortale Dei,1885; Preclara gradulationis ,ecc. Alla fine del XIX° secolo i papi, anche senza terre e potere temporale, riuscivano ad esercitare comunque un notevole ruolo simbolico per tutti i credenti che dall’Asia alle Americhe vedevano in lui l’oracolo di Dio, il capo indiscusso e l’unico uomo infallibile sulla terra. Insomma, perso il potere temporale, quello spirituale raggiunge vertici impensabili. PIO X, Giuseppe Sarto (1903-1914). Un papa con un carattere da prete di parrocchia, diverso in tutto dal suo predecessore diplomatico, austero e distaccato, che fu Leone XIII. Sentiamolo: “Dio è stato allontanato dalla vita pubblica per colpa della separazione tra chiesa e stato; è stato cacciato dalla scienza ora che il dubbio è stato eretto a sistema...è stato respinto persino dalla famiglia, che non viene più considerata sacra nelle sue origini ed è priva della grazia e dei sacramenti”. Anche con l’ultramontanismo non scherza: “Quando parliamo del vicario di Cristo non dobbiamo cavillare, dobbiamo obbedire: non dobbiamo….valutare i suoi giudizi, criticare le sue indicazioni, per non ferire Cristo stesso. La società è malata…l’unica speranza, l’unico rimedio è il papa”. Nel frattempo, molti cattolici prendevano iniziative politiche e si schieravano, alcuni con i socialisti, altri davano vita addirittura ad un partito cristiano e lo denominavano Democrazia Cristiana. Sottolineò con vigore che “la democrazia cristiana non doveva immischiarsi nella politica” (peccato! se l’avessero seguito…); i cattolici che scrivono sulle condizioni delle classi operaie e dei poveri non devono mai incoraggiare un’animosità di classe parlando di diritti e giustizia, quando invece si tratta di una semplice questione di carità”. Poi venne l’enciclica Communium Rerum, che si può definire una dritta nei confronti dei vescovi, la Lamentabili, la Pascendi e il Fermo proposito: sintetizzando al massimo, si può utilizzare una sua significativa affermazione: “La chiesa è per sua stessa natura una società di 178


ineguali: comprende due categorie di persone, i pastori e il gregge. Solo la gerarchia muove e controlla…il dovere del popolo è di accettare di essere governata e di eseguire, in spirito di sottomissione, gli ordini di coloro che sono al comando”; “I cattolici liberali sono lupi in veste di pecora: l’autentico sacerdote ha quindi l’obbligo di smascherarli…Gli uomini vi accuseranno di clericalismo e sarete chiamati papisti, retrogradi, intransigenti…. Siatene fieri!” Tanto insiste, che alla fine organizza una sottospecie di tribunale d’inquisizione, denominato Sodalitium planum: una commissione di cinquanta prelati. Questi erano incaricati di ricercare tutti quei cattolici che non erano sufficientemente integralisti, e a questi veniva richiesto, nelle migliori delle ipotesi, il Giuramento antimodernista; altri, non ritenuti degni, venivano denunciati ed allontanati dai sacramenti e da tutti gli impegni religiosi; inoltre, controllo e verifica ossessiva nelle università cattoliche, controlli abusivi della posta personale di tutti i sospettati di essere “agents provocateurs”. Insomma un vero e proprio “servizio segreto” a disposizione della curia romana. Tutto ciò comportò l’espulsione di moltissimi insegnanti di teologia; a preti, vescovi e cardinali, appena sospettati, venivano tolte le parrocchie e curie vescovili. Persino un oscuro sacerdote, Giovanni Roncalli che diventerà papa con il nome di Giovanni XXIII, fu messo sotto accusa e torchiato. Il “giuramento antimodernista” è esteso a tutti, dal più umile sacerdote al più illustre cardinale. Una vera e propria purga, una specie di moderna caccia alle streghe anche al loro stesso interno, contro tutto ciò che è moderno e democratico (uhau!). Con faccia di bronzo sosteneva che “bisogna restaurare tutte le cose in Cristo”; “confutare e rigettare le leggi secolari che sono in conflitto con la dottrina della chiesa”; “non è assolutamente possibile separare le questioni della chiesa dalla politica”; “il papa è il capo e il primo magistrato della società cristiana” e come tale, deve “confutare e respingere quei principi della filosofia moderna e della legge civile che possono orientare il corso degli affari umani in una direzione non permessa dai limiti posti dalla legge eterna”. Se un papa così avesse avuto il potere temporale, chissà quanti avrebbe mandato alla ghigliottina! E’ fin troppo evidente che questo papa fa molti passi indietro rispetto alla “Rerum Novarum” di Leone XIII. BENEDETTO XV,Giacomo della Chiesa (1914-1922). Un mese dopo la sua nomina scoppiò la prima guerra mondiale. Appena mise piede nel suo ufficio, sulla scrivania trovò preparato un dossier contro di lui che era destinato a Pio X redatto dalla congrega suddetta, sodalitium planum. Continuò sulla scia del suo predecessore, ma ne smussò gli eccessi; concentrò ogni sforzo per persuadere le parti in conflitto a cercare una pace negoziata senza schierarsi con nessuna delle parti in conflitto; infine, prosciugò le casse del vaticano, offrendo 82 milioni di vecchie lire per aiutare feriti e affamati dalla guerra (che bello! finalmente un papa contro le guerre; sì, però il fatto è che non l’aveva decisa lui, né tanto meno veniva combattuta per i sacri principi cristiani, se no…). 179


La violenza era passata di mano, l’ingordigia e la libidine del potere era esercitata ora dalla nuova classe dominante, la borghesia, ancora nazionalista, ancora sciovinista, e i governi non erano altro che i suoi comitati d’affari. E ci risiamo: operai, contadini, impiegati che uccidevano o si facevano uccidere da altri operai, contadini, impiegati di altre nazioni per la gloria dei loro sfruttatori, e, malgrado il papa non si fosse schierato, una vasta schiera di preti, vescovi, cardinali cattolici benedicevano tutte le armi e tutti i soldati di tutte le nazioni in conflitto, che andavano al fronte per massacrare o farsi massacrare. Scrisse l’enciclica Maximum illud in cui erano individuate tre priorità per la futura missione cattolica; smantellò l’apparato della reazione integralista, sciogliendo anche il “sodalitium planum”, fermando così la caccia alle streghe antimodernista organizzata da Pio X. Infine abrogò l’interdetto “Non Expedit” sulla partecipazione dei cattolici alla vita politica italiana, anzi incoraggiò i cattolici a intervenire direttamente in politica dando la benedizione al nuovo partito popolare guidato dal sacerdote don Luigi Sturzo. Fu così che iniziò a rientrare dalla finestra ciò che era stato buttato fuori dalla porta; e fu la balena bianca cattiva, finchè non spuntò il pescecane bianco Berlusconi. Sì, è proprio così: dalla padella alla brace. PIO XI, Achille Ratti (1922-1939). Ebbe subito una grossa grana con un certo Charles Maurras; questo intellettuale antirepubblicano e monarchico, antisemita e reazionario, aveva organizzato un movimento politico denominato“Action Française” e un quotidiano dallo stesso titolo. Non era cattolico ma sapeva parlare ai cattolici più retrivi; incarnava bene il verbo di Pio X a tal punto che lo stesso papa disse a sua madre: “benedico il suo lavoro”. Maurras sosteneva che “la religione non era il mistero dell’incarnazione, ma il segreto dell’ordine sociale”; insomma, l’esaltazione della “ragion di stato”, e quindi la strumentalizzazione del cattolicesimo a fini politici: niente di nuovo. Maurras interpreta a modo suo il nostro Macchiavelli, il quale vede l’istituzione ecclesiastica solo come una ottima macchina di potere. Sentiamolo: “…vivendo ancora poveramente, ed avendo tanto credito nelle confessioni con i popoli e nelle predicazioni, che ei danno loro a intendere come egli è male dir male del male, e che sia bene vivere sotto l’obedienza loro, e, se fanno errore, lasciarli castigare a Dio: e così quelli fanno il peggio che possono, perché non temono quella punizione che non veggono e non credono. Ha, adunque, questa rinnovazione mantenuto, e mantiene, questa religione”. Tornando a Pio XI, nel 1925 riuscì, malgrado l’ostruzionismo della sua stessa curia, a mettere all’indice questo giornale e il movimento, e infine scomunicò tutti i cattolici che vi facevano parte; fu accusato per questo da ambienti cattolici di essersi schierato con gli Ebrei, con i radicali e con i massoni. Fu il primo papa a nominare vescovi e cardinali cattolici indigeni: fino a quel momento erano stati solo europei; internazionalizzò la chiesa in un momento in cui i nazionalismi avevano raggiunto l’apice, in Cina, in Giappone, in India, in Asia sud orientale. Fu il papa dei concordati: con la Baviera marzo 24, con la Polonia nel febbraio del 25, con la Romania maggio 27, con la Lituania settembre 27, con l’Italia febbraio 180


29, con la Prussia giugno 29, con il Baden ottobre 32, con l’Austria giugno 33, con la Germania nazista luglio 33, con la Jugoslavia luglio 35. In tutti questi concordati, oltre alla garanzia dell’educazione cattolica, c’era anche l’interesse alla libera nomina dei vescovi. Nel 1925 una sua enciclica, la Quas primas, inaugura la festa di Cristo-re e condanna il “flagello del secolarismo”. Sentiamo con quanta sicumera ed eccessiva supponenza esprime questa sua ossessione: “Se c’è un regime totalitario, totalitario di fatto e di diritto, è il regime della chiesa, perchè l’uomo appartiene totalmente alla chiesa, deve appartenerle, dato che l’uomo è creatura del buon Dio... E il rappresentante delle idee, dei pensieri e dei diritti di Dio, non è che la chiesa”. Con il Concordato italiano ottiene l’indipendenza del piccolo Stato del Vaticano con l’annessione del Castel Gandolfo e del Laterano, il riconoscimento del diritto canonico accanto alle leggi dello stato, il controllo ecclesiastico dei matrimoni cattolici, l’insegnamento della dottrina cattolica nelle scuole dello stato (con conseguente affissione del crocefisso), infine il risarcimento della perdita degli stati pontifici con la somma di un miliardo e 750 milioni del tempo, una somma sproposita anche per le casse di uno stato. Giovanni Battista Montini, il futuro papa Paolo VI, malgrado tutto questo, rimase disgustato e chiese: “A che cosa sono serviti sessant’anni di battaglie per arrivare ad un simile risultato irrisorio?”. Pio XI invece lo considerava un trionfo perché era stata sconfitta l’idea della “libera chiesa in libero stato”, erano stati sconfitti comunisti, socialisti e massoni, nemici da sempre della santa chiesa. Poté così definire Mussolini, “l’uomo della divina provvidenza”, e nel ‘29 invitò i cattolici a votare per il partito fascista. Nel concordato infine c’era anche l’intesa che il papa si impegnava a sciogliere il partito popolare di don Sturzo, che pare desse fastidio al fascismo: così don Sturzo fu costretto all’esilio in Inghilterra. Nel ’31 Mussolini tenta di sciogliere l’Azione Cattolica e i suoi boy scouts; il papa risponde con un’altra enciclica, la Non abbiamo bisogno, e rivendica l’autonomia delle sue organizzazioni di base. Nel ‘33 in Germania, su lavoro di Eugenio Pacelli, futuro papa Pio XII, in qualità segretario di stato, tratta il concordato con il regime nazista. Anche qui, in Germania, passò l’interesse della chiesa sulla pelle di un partito cattolico ben organizzato, che la chiesa abbondonò al suo triste destino. Infine nel ‘36 con lo scoppio della guerra civile in Spagna la chiesa benedì il futuro dittatore, il generale Franco. Nel ’37 fece scrivere da Pacelli e dal cardinale tedesco Faulhaber l’enciclica Mit brennender Sorge con la quale si denunciavano non solo il mancato rispetto del concordato, ma anche il razzismo di cui il nazismo era portatore; ma era ormai troppo tardi. La solita prassi di “un colpo al cerchio e uno alla botte”, della quale la chiesa è maestra da secoli, non poteva mancare; ecco quindi un’altra enciclica contro il comunismo, la “Divini Redemptoris”. L’odio contro il comunismo era da paranoia; avesse usato gli stessi toni contro il nazismo avremmo pensato che era solo caratteristica del suo linguaggio, invece riuscì a convincere proprio tutti che l’unico vero nemico della chiesa era e restava il comunismo; era chiaro nella sua mente che il 181


capitalismo con il suo liberismo, e il comunismo con il suo materialismo, esprimevano un “ottimismo satanico” circa il progresso che si prefiggevano. Questo Papa era anche preoccupato per le guerre di aggressione contro l’Etiopia; ma in un saggio storico di Lucia Ceci “Santa Sede e guerra d’Etiopia”, si racconta che il papa, il 27 agosto 1935, a Castel Gandolfo nel corso di una udienza accordata alle infermiere, sorprese l’uditorio con delle affermazioni contro la guerra. Subito si mise in moto la diplomazia della curia. Il suo intervento sull’Osservatore Romano venne annacquato, e in sintonia col governo si riuscì a sottovalutare e a far dimenticare quel suo discorso; venne facilmente zittito con la minaccia che avrebbe fatto saltare il concordato sottoscritto pochi anni prima. Era già nato e molto diffuso un altro aspetto della collaborazione tra religione e sporchi affari governativi, quello delle “icone religiose” che spronavano i soldati al coraggio contro il nemico. Questa volta è lo storico Mimmo Franzinelli, con il suo “Riarmo dello spirito” (ed. Pagus), che ci informa dettagliatamente; soprattutto ne “Il volto religioso della guerra. Santini e immaginette per i soldati”(ed. Faenza) si può gustare: il Gesù che con il cuore sul costato invita i militari in prima linea ad andare avanti; Sant’Antonio, San Francesco, San Domenico, tutti militarizzati e inviati alle truppe al fronte; infine una Madonna che minacciosa innalza un nerbuto manganello pronta a colpire in ogni dove (questa immagine venerata si trova nella chiesa di Vibo Valenzia, in Calabria). Nel ’35 padre A. Gemelli, nel ruolo d’orchestratore, dà inizio ad una campagna anticomunista feroce che culminerà con la scomunica che Pio XII pronuncerà più tardi. Sentiamolo: “fra il bene e il male v’è una guerra antica come il mondo; odierni protagonisti di questa implacabile lotta sono il cristianesimo e il comunismo”. Il tutto veniva profuso in presenza delle camicie nere in occasione della santa comunione pasquale. Quindi, l’impronta guerrafondaia della spiritualità religiosa già presente, la vediamo impennarsi con l’epoca fascista. Questo ed altro si può gustare sulla convivenza tra mobilitazione armata e spiritualità cattolica leggendo i due autori suddetti. Pio XI° muore il 10 febbraio del 1939. PIO XII, Eugenio Pacelli (1939-1958), eletto nel primo giorno di conclave il 2 marzo del 1939; un papa sul quale pende ancora un grave giudizio per l’atteggiamento nei confronti del nazifascismo e degli Ebrei. Esperienze diplomatiche notevoli; balbuziente, aveva superato questo handicap parlando piano, e ciò gli aveva conferito un tono da profeta. Si disse contro la guerra con le seguenti parole: “nulla è perduto con la pace: tutto può essere perduto con la guerra”. Come Pio XI, che lo aveva preceduto, era certo che l’unico vero pericolo per la chiesa fosse il comunismo e non il nazifascismo; perciò, pur non amando il nazifascismo, si lasciò affascinare dall’idea che quest’ ultimo poteva diventare il vero baluardo contro il comunismo. Ufficialmente risulta che prese timidamente posizione contro il genocidio degli Ebrei, senza scomporsi più di tanto. A guerra finita, mentre i vari Wiesenthal iniziavano a dare la caccia ai gerarchi nazisti, la chiesa attraverso le sue strutture religiose, sacrestie, conventi…li 182


nascondeva e, in combutta con la Croce Rossa, li faceva espatriare in America Latina, terra di regimi fascisti in quel tempo, e per molto tempo tali rimasero, garantendo copertura e garanzie di anonimato ai vari Klaus Barbie, Martin Borman, Heinrich Muller ecc.; in modo particolare si erano esposti in tal senso circoli clericali Francesi, Austriaci, Croati, Spagnoli ecc. Le sue encicliche furono: Mystici Corporis, Divino Afflante, Mediator Dei, Humani Generis, e utilizzò “ad abundantiam” l’Infallibile Magisterium (cioè l’infallibilità papale). Infine, bontà sua, spedì la madre di Cristo in paradiso in carne ed ossa con il “dogma dell’Assunzione”; così, dopo diciannove secoli dalla sua morte, via in paradiso, per ordine del papa. Scomunicò i comunisti, stabilendo dei principi cattolici per tutti i credenti, i quali non potevano obiettare alcunché, in quanto era stato deciso nel Concilio Vaticano I° nel 1870 che il papa era infallibile. Finanziò la Democrazia Cristiana e riuscì ad allontanare dal potere tutti coloro che non erano a lui affini (vedi De Gasperi), ed incoraggiò chi prendeva ordini dalla sua curia (vedi Andreotti). Le madonne ricominciarono ad apparire in ogni dove, e questa volta si lamentavano del comunismo (e te pareva!). Mons. Alfredo Ottaviani, capo del Sant’uffizio (ex inquisizione), affermava con orgoglio: “la gente poteva dire ciò che voleva sulla divinità di Cristo e farla franca, ma se nel più remoto villaggio siciliano qualcuno votava comunista, la scomunica gli sarebbe pervenuta il giorno dopo”. Concludo su questo papa anticomunista, divenuto sul finire dei suoi giorni particolarmente narcisista e attento più al culto della sua personalità che alle “verità” religiose, con la sua morte che lo coglie nel 9 ottobre del 1958. Penso sia andato in paradiso e lì abbia trovato la Maria in carne ed ossa che aveva spedito qualche tempo prima; a meno che… a meno che il “nostro” S. Pietro, che abbiamo visto in “Atti degli apostoli” organizzare i primi cristiani in modo comunitario e contro la proprietà privata (ricordare Anania e Saffira), essendo il portiere del paradiso, gli abbia sbattuto la porta in faccia spedendolo all’inferno. In questo caso mi immagino le sonore risate dei comunisti che notoriamente sono nell’inferno; ma sono convinto che, se Gesù di Nazareth è rimasto coerente con le cose che ha detto in vita, all’inferno ci devono essere più papi e clero che comunisti! GIOVANNI XXIII, Angelo Roncalli (1958-1963). Doveva essere secondo i padri del conclave un papa di passaggio (aveva 77 anni quando fu eletto), un ripiego rispetto alle due volontà che si contrapponevano in quel momento: -i vecchi esigevano la continuazione dell’opera di Pio XII e la convocazione di un nuovo concilio con il quale ribadire e rafforzare le tendenze contro il modernismo ed aggiungere altri errori (questa volta il comunismo) al “Sillabo degli errori” di Pio IX; -i giovani invece contrastavano questo disegno e disdegnavano lo sterilismo e l’isolazionismo dell’ultimo periodo di Pio XII. Quindi, su questo papa confluirono le due tendenze suddette, convinte che questo non avrebbe nè aggiunto nè tolto niente alle cose già sancite fin lì dal papa che lo aveva preceduto. Fu un grosso errore di valutazione per tutti, una sorpresa sgradita per gli 183


uni e gradevole per gli altri. Infatti dopo tre soli mesi dalla sua elezione, il 25 gennaio del 1959, annunciava l’indizione di un Concilio ecumenico. Scandalizzò la curia quando invitò in Vaticano la figlia di Kruscev, e mandò monete e francobolli ai suoi nipoti. Le sue encicliche segnano una inversione di tendenza soprattutto nei confronti del Concilio Vaticano I: Mater et Magistra, pubblicata nel ‘61 e l’ultima, Pacem in terris, per la prima volta non indirizzata ai soliti vescovi ma “a tutti gli uomini di buona volontà”. Inneggiava a “questa nostra epoca moderna”, nella quale vedeva un progressivo miglioramento delle classi lavoratrici; salutava come buona cosa la partecipazione delle donne alla vita politica; auspicava il declino dell’imperialismo e inneggiava all’autodeterminazione dei popoli. Dichiarò il diritto di ogni essere umano alla professione sia pubblica che privata della propria religione, rompendo così la tradizione cattolica che dal tempo di Gregorio XVI fino a Pio XII era rimasta invariata; denunciò come demenziale la corsa agli armamenti. In Gaudet mater ecclesia espone l’indirizzo del concilio (che aveva voluto, ma che non farà in tempo a gestire fino in fondo) in profondo contrasto con le dichiarazioni papali a partire del 1830. I papi che lo avevano preceduto avevano affrontato il mondo nello “spirito di Geremia, un luogo di lutto, lamenti e dolore”. Questo nostro, invece, diceva no ai “profeti di sventura”, che vedevano solo “tradimenti e rovina”, e iniettava un ottimismo religioso con il suo “è tempo di fare un balzo in avanti”. Al calore della sua traboccante umanità le barriere che si erano alzate tra la chiesa e il resto del mondo andarono in frantumi.E fu il papa di tutti, anche dei non credenti. Paradossale, ma vero! Insomma aveva agitato tanto le acque che nella curia iniziò la fronda contro di lui; persino il vescovo di Milano Montini, esiliato da Pio XII, disse: “questo santo e vecchio ragazzo non comprende quale vespaio stia sollevando”; malgrado ciò questo papa lo ordina cardinale e diventerà dopo di lui papa col nome di Paolo VI. Il Concilio Vaticano II° ci fu, e fu una svolta, anche se i suoi nemici erano ancora ben piazzati nei gangli del potere curiale. Fu il concilio con partecipazione più numerosa, 2800 vescovi; erano presenti rappresentanti di tutte le chiese cristiane, ortodosse e protestanti. La chiesa di Pio IX era crollata come un castello di sabbia. Con la “Lumen gentium” e la “Gaudium et spes” abbandonò la concezione che il popolo ebreo fosse il responsabile della morte del Cristo, assestando un definitivo colpo all’antisemitismo. Quando ormai anziano e ammalato, questo Papa del Concilio, pochi giorni prima di morire volle chiedere perdono al popolo ebraico, vergando un testo rimasto inedito fino a poco tempo fa, e così scrisse: “Signore, noi siamo oggi coscienti che nel corso di molti, molti secoli, i nostri occhi erano così ciechi che non eravamo più capaci di vedere ancora la bellezza del Tuo popolo eletto, il popolo ebreo, né di riconoscere nel volto (degli ebrei, ndr) i tratti dei nostri fratelli privilegiati…Perdonaci, Signore, perdonaci…per le ingiustizie subite dagli ebrei… per le colpe dei cristiani…perdonaci perché noi non sapevamo cosa stavamo facendo, nel cosro dei secoli passati, contro tutto il popolo ebraico”. 184


In questo stesso periodo diventò tristemente famoso l’arcivescovo Marcel Lefebvre, il massimo oppositore di questa nuova interpretazione dei vangeli. Di papi così, coerenti con la “buona novella”, la chiesa può vantarne solo un altro, il Gregorio Magno (come abbiamo già visto): uomini, che al di là del loro ruolo erano portatori non solo di una fede profonda e sincera, ma soprattutto erano dotati di tanta umanità. Questi papi li manderei anch’io in paradiso; tutti gli altri starebbero bene chi in purgatorio e chi all’inferno a farsi strapazzare dall’ “imperador del doloroso regno”. PAOLO VI, Giovan Battista Montini (1963-1978). Per capire il profilo di questo papa è utile citare il discorso che tenne a Milano, in qualità di cardinale, ai preti della sua diocesi sei mesi prima di essere eletto papa a proposito dei temi di fondo del Concilio Vaticano II°: “La chiesa cerca se stessa. Essa prova, con grande fiducia e sforzo, a definirsi con maggiore precisione e comprendere quello che è…. La chiesa cerca anche il mondo, cercando di entrare in contatto con la società… impegnandosi in un dialogo con il mondo, interpretando i bisogni della società in cui essa opera e osserva i difetti, le necessità, le sofferenze, le speranze e aspirazioni nei cuori umani”. Nel ‘67 pubblica la “Populorum progressio”, che supera la “Gaudim et spes” di Giovanni XXIII; con questa denunciava l’incontrollato liberalismo economico, come un “doloroso sistema”; invitava a mettere la “ricchezza superflua delle nazioni avanzate a disposizione delle nazioni povere”. Mantenne sempre un profilo ecumenico. Nel ‘64 andò a Gerusalemme e incontrò il patriarca ortodosso Atenagora; nell’anno seguente si tolsero di dosso le scomuniche reciproche si erano lanciate lungo l’arco di molti secoli la chiesa d’oriente e d’occidente; nel ‘66 accolse l’arcivescovo di Canterbury, Michael Ramsey, in visita ufficiale a Roma; con calcolata audacia teologica definì la chiesa anglicana e quella cattolica “chiese sorelle” Però, con la sua enciclica “Humanae vitae” condannò senza appello il controllo artificiale delle nascite. Nel ‘75 a settant’otto anni, si chiedeva: “Quale è il mio stato d’animo? Sono Amleto o don Chisciotte? I miei sentimenti sono “superabundo gaudio”, sono pieno di consolazione, traboccante di gioia in mezzo ad ogni tipo di tribolazione”. Insomma, si può dire che il suo pontificato lo visse e lo gestì come dovere e non come potere. GIOVANNI PAOLO I, Albino Luciani (1978). Scelse questi due nomi per sottolineare la volontà di gestire il papato in continuità con i due suoi predecessori, infatti espresse subito il suo impegno per il concilio. Rifiutò di essere incoronato. In una occasione disse che “Dio è donna e madre” (e qui forse Dio non avrà gradito; si sa che la donna, secondo la teologia giudeo-cristiana, la fece solo per compagnia all’uomo, e “solo l’uomo è gloria di Dio mentre la donna è solo gloria dell’uomo” S. Paolo). Ancora vescovo di Vittorio Veneto aveva incoraggiato altri vescovi a vendere i vasi sacri e oggetti preziosi della chiesa a beneficio dei poveri; aveva proposto alle chiese ricche di dare l’1% delle loro vendite alle chiese povere del terzo 185


mondo.. Arrivato a Roma scopre il “marciume” della Curia romana: l’”Opus Dei” e il paradiso fiscale dello IOR gestito da Marcinkus. Espresse subito l’esigenza di “rendere le finanze del Vaticano molto trasparenti. Voleva fare un po’ di pulizia cominciando con l’allontanamento di Marcinkus e del suo segretario Daniel de Bois. Ma pochi giorni dopo, ad un mese dalla sua elezione, lo trovarono morto nella sua stanza; non si saprà mai se fu Dio a farlo morire di infarto perché si sentì offeso di essere stato definito donna e madre, oppure fu la curia a farlo morire, per paura di dover rivelare i segreti dei divini affari vaticani (in una recente pubblicazizione di documenti, finora mantenuti segreti da mons. Darduzzi, si propende, naturalmente, per la seconda ipotesi; vedi “Vaticano Spa” di G.Nuzzi, ed. Chiarelettere). GIOVANNI PAOLO II , Karol Wojtyla, dal 1978 a tutt’oggi 261° successore di S. Pietro. Per la prima volta dal 1522 fu eletto un papa non italiano (un polacco), un papa che sceglie i nomi di Giovanni XXIII e Paolo VI, ma che risulterà lontano anni luce dalle loro opere. Fa saltare in aria il Concilio Vaticano II° e abbandona l’ecumenismo; si avvicina alla dottrina che fu di Pio IX, Pio X, Pio XI, e Pio XII, tanto quanto la nuova situazione gli permette. É un papa che guarda più al passato che al futuro; neomontanismo, antimodernismo e anticomunismo viscerale lo hanno caratterizzato fin dall’inizio del suo pontificato. Si è adoperato come un forsennato contro i regimi dell’est europeo per liberare, bontà sua, “la chiesa del silenzio” (sì, per lui mancava proprio un po’ di baccano all’est). Ha finanziato il movimento pseudo sindacale cattolico “solidarnosc”; ha inviato miliardi in tutte le sacrestie dotandole addirittura di fax, quando ancora in Italia erano molto poche le aziende che ne erano fornite, e le aziende in Polonia non sapevano nemmeno della loro esistenza; per queste operazioni mise mano alle enormi risorse finanziarie dell’Opus Dei; prosciugò fino a farlo fallire il Banco Ambrosiano gestito da Calvi. Si vanta di essere riuscito a dare il suo contributo per il crollo del sistema sovietico. Ha condannato a più riprese la “Teologia della Liberazione” e i suoi teorici quali Gustavo Gutièrrez, Ernesto Cardenal, Oscar Romero, Evaristo Arns (come abbiamo visto prima), nonché l’intera “Compagnia di Gesù”. Nella dottrina di questi uomini e ordini vedeva riflesso il comunismo; infatti quando nel 1981 il generale dei Gesuiti Pedro Arrupe ebbe un ictus, intervenne pesantemente su questa compagnia; tolse la possibilità di far eleggere allo stesso ordine il suo successore e impose un candidato di sua fiducia, il 79enne e quasi cieco padre Paolo Dezza. Ecco una “perla” che vale la pena citare. Più volte Giovanni Paolo II avvertì l’Arcivescovo Oscar Romero, esponente della Teologia della Liberazione dell’America latina di “guardarsi dai comunisti”. L’Arcivescovo così rispose al suo santo padre: “Santità, nel mio paese ci sono molti anticomunisti che sono tali non perché sono cristiani, ma perché difendono i loro privilegi”. L’anticomunismo di Pio XII è risorto nel Vaticano; infatti la sua enciclica Redemptor hominis sulla dottrina cristiana contiene anche un severo appello ai teologi. Con la Veritatis splendor indica quali siano i valori morali e l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi che la bontà delle azioni non poteva rendere leciti. 186


Condanna la contraccezione come uno di questi atti illeciti. Con l’enciclica Evangelium vitae definisce “cultura della morte” sia l’aborto che l’eutanasia. Con la enciclica Sollicitudo rei socialis fa il cerchiobottista, condannando sia il capitalismo liberale sia il collettivismo marxista, anche se non ci fornisce una ricetta economica alternativa. Volendo essere buoni con lui, possiamo immaginare che stesse pensando al socialismo democratico! Invece no! È il modello Opus Dei (finanza occulta cattolica) e Comunione e Liberazione (braccio politico cattolico integralista) che preferisce, e lo ha fatto capire forte e chiaro!!! Poi arriva quell’imbranato di musulmano e militante dell’estrema destra dei “lupi grigi” dalla Turchia, Mehmet Alì Agca, per uccidere il papa nel 1981 e lo manca; così il papa ci racconta che era stata la madonnina dei miracoli di Fatima che aveva deviato la pallottola (però questa madonnina poteva pure intervenire un po’ prima, magari facendo finire Agca sotto una macchina prima che arrivasse in piazza S. Pietro; sarebbe stato più comodo e meno pericoloso per lei che deviare una pallottola a velocità supersonica, con il rischio che si facesse male pure lei, visto che è ancora in carne ed ossa; chissà, forse è arrivata in ritardo; del resto da Fatima a Roma ci sono tanti chilometri!). Questa pallottola, che colpisce il papa ma non lo uccide perché deviata dalla madonnina, la incastonano nella corona della statua di gesso che è a Fatima, a futura memoria di tutti i creduloni. Inoltre è da sottolineare che ha battuto almeno due record: uno con i viaggi in giro per il mondo; ha voluto viaggiare in lungo e in largo su tutto il pianeta terra (cento viaggi tondi); è costato all’Italia una cifra iperbolica, sufficiente a sfamare tutto il terzo e quarto mondo per qualche anno; andando a trovare questi diseredati, affamati, invece di distribuire almeno qualche panino, li invitava a pregare. Il secondo record lo ha battuto nella nomina di santi e beati, circa un migliaio: esagerato! E, per buona pace di tutti, nel mazzo ci infila due papi che più diversi uno dall’altro non potevano essere, Pio IX e Giovanni XXIII; e nfine, dulcis in fundo, il suo stimato generale della Opus dei, il più grande “pio intrallazzatore finanziario”, Escrivà de Balaguer, accanto al “santo impostore” Padre Pio. Adesso passiamo ad un argomento più concreto e contemporaneo; il papa esige che nella Costituzione Europea si faccia esplicito riferimento ai valori del cristianesimo. “L’Osservatore romano”, giornale della curia vaticana, dà grande risalto ad una sua nuova rubrica dal titolo molto significativo: “l’Europa o è cristiana o non è Europa”. Vediamo un po’ se tutta questa supponenza hanno ragion d’essere. Intanto va detto subito che i valori del cristianesimo sono una variabile dipendente da ogni papa, perché ogni papa ha dato la sua interpretazione a secondo del suo carattere, delle sue personali esigenze, delle sue buone o cattive esperienze, e la sintesi della loro storia appena tracciata ne è una conferma. Pertanto, se mai dovesse entrare nella costituzione europea una tale formula, è necessario anche accettare che i valori del cristianesimo potranno cambiare in funzione del carattere del papa, e che, attraverso le sue encicliche che di volta in volta emanerà, darà la sua giusta interpretazione dell’ultima ora; o no? 187


C’è qualcuno disponibile a sostenere che Giovanni XXIII e Gregorio Magno, ma anche Paolo VI, hanno qualcosa in comune con papi come i Pio V, il IX, il X, l’XI e il XII ? Oppure, vogliamo scomodare i terribili papi della prima metà del millennio trascorso con i tribunali dell’Inquisizione che hanno imperversato in tutta Europa per più di trecento anni con torture e uccisioni degne del più spietato tribunale islamico contro “eretici” e “streghe? E gli Ebrei, che vennero trattati con tale durezza da rendere necessarie, “a posteriori”, le formali scuse di questo stesso papa? E lo Stato Pontificio col suo oscurantismo e compressione di diritti umani anche attraverso la pena di morte che vi era inflitta con metodi barbari, come colpi di mazza, roghi, e infine la ghigliottina? Poichè non si può dire che la chiesa cattolica stia vivendo un momento fecondo di ecumenismo, cosa dovrebbero dire le chiese cristiane riformate, a cominciare dagli anglicani o i greco-ortodossi, senza contare ebrei e musulmani che in Europa certamente non mancano? E non si dica che i protestanti e gli ortodossi sono comunque cristiani: lo sanno anche le pietre che tra di loro esistono controversie che investono questioni cruciali di dottrina oltre che di organizzazione ecclesiale. Di quale radici e cultura cristiana si parla, dunque? Del mercato delle indulgenze o della sua denuncia ad opera di Martin Lutero? Del sacerdozio universale dei fedeli o dell’infallibilità del romano pontefice? Della chiesa-istituzione o della chiesa-comunità dei credenti? Ognuna di queste alternative rimanda, implicitamente, a differenti tendenze politico-culturali, o no? Abbiamo visto che la stessa storia del cristianesimo, come quella d’ogni movimento collettivo, va accolta con beneficio d’inventario; include tante pagine nere che sarebbe difficile liquidare alla stregua di incidenti di percorso; e non si tratta soltanto, come abbiamo visto, delle feroci guerre di religione. É stato detto che l’Europa è stata messa insieme nell’ 800 da Carlo Magno, e che è stato lui, il reggente del sacro romano impero, ad unirla per primo. Giusto! C’è però una piccola differenza: lui l’ha conquistata con il ferro e con il fuoco, massacrando tutti quelli che non si inchinavano e aderivano alla sua religione (tra i vari massacri, da segnalare questo: correva l’anno del signore 782, quando Carlo Magno fece decapitare 4.500 Sassoni che non vollero battezzarsi). Questa volta invece gli stati-nazione europei cercano di metterla insieme su valori comuni per superare proprio i rischi di guerre che abbiamo subìto già nella prima metà del secolo scorso. Vi pare una differenza di poco conto? Infine, la cosa più curiosa: se lo stato del Vaticano dovesse chiedere l’adesione alla Comunità Europea, questa dovrebbe, magari con garbo, dire di no, perchè questo stato non è democratico, ma è teocratico (o monarchia assoluta?) e quindi considerato alla stessa stregua dell’Iran dei tempi di Komeini. Mi viene in mente una frase di un cattolicissimo politico come Andreotti (persino lui!), il quale in una conferenza di cattolici a proposito della costituzione europea e dell’inserimento dei valori cristiani in essa, ha detto: “non nominiamo il nome Dio invano”.

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Questi papi, nostri contemporanei (escluso Papa Roncalli), nella loro furia ideologica contro il comunismo non si sono resi conto di aver dato un contributo notevole al nuovo dio che sta per sbranare il loro, anzi ha già iniziato ad ingoiarselo: è il “dio denaro” con l’accumulo del capitale, che ha i suoi santuari nelle “borse” di tutto il mondo e i suoi templi nella “banca mondiale”, nel “fondo monetario internazionale”, nel “W.T.O.”, nella “B.C.E.”. La base di questa nuova religione è l’egoismo individuale assurto a principio morale per tutti. Questa sua “teologia” con un eufemismo è stata definita pensiero unico nella teoria, e mercato globale nella prassi; tutti coloro che non la condividono non sono degli oppositori ma semplicemente dei pazzi, dei disadattati, e quindi da eliminare. Nuovi pogrom? nuova caccia alle streghe? nuovi autodafè? Sì, forse; però questo nuovo dio non ha ancora garantito il paradiso per gli amici e l’inferno per i nemici, quindi credo che farà meno strada del precedente, e… tanti auguri all’umanità.

CONCLUSIONI Sintesi dei tre argomenti trattati, frutto di appunti delle mie letture: 1°) Antico Testamento; abbiamo visto che Yahwèh va a cercare Abramo per fondare il suo popolo e garantirgli la terra promessa, con tutte le cattiverie descritte. E fin qui è leggenda, o, se preferite, mitologia; di certo Yahwèh nella forma definitiva non era ancora stato inventato. La storia di questo popolo in realtà inizia molto più tardi; alla luce di riscontri storici documentati, nonchè dei rinvenimenti archeologici dettagliatamente descritti in diversi libri di carattere storiografico, buon ultimo il libro di Mario Liverani “Oltre la Bibbia”, possiamo concludere che questo testo biblico è per due terzi solo mitologia ebraica (soprattutto i primi cinque libri, o Pentateuco, la Legge o Torah per gli Ebrei), per il resto è storia, però volutamente gonfiata fino all’inverosimile dai re e dai profeti, i quali hanno vantato grandezze per questo popolo mai esistite. Tutti gli storici danno per scontato che questa operazione (avvenuta tra il VII° e V° secolo, come abbiamo visto) è stata compiuta allo scopo di far passare per un fatto tradizionale ed antico la riforma religiosa voluta solo in quel momento. In questa opera di revisione religiosa non manca la relativa violenza che questo nuovo potere è costretto ad esercitare sul culto primitivo molto diffuso di un Yahwèh tranquillo e tollerante nonchè in dolce compagnia della sua dea Asherah. Questi Ebrei riorganizzati nella tribù di Giuda, appena cominciarono a crescere e a stabilizzarsi, inorgogliti dei risultati concreti ottenuti, sentirono il bisogno di darsi delle origini più antiche e un dio tutto loro. Certo, non eguagliarono la grandezza di Omero che con l’Iliade diede la progenie semidivina ai greci, nè di Virgilio che con l’Eneide assicurò il gentil seme all’impero romano, ma fu comunque la loro mitologia. 2°) Nuovo Testamento: Gesù era solo un rabbi, uno che aveva preso conoscenza dei testi sacri e, invece di limitarsi a propagandarli, viene colto dalla tentazione di dare una sua interpretazione che si scontra con il potere religioso stesso che gli aveva consentito la predicazione, cioè i Farisei. 189


Come abbiamo visto, se non fosse stato per S. Paolo, l’unico evangelista intellettuale del gruppo, questo libro sarebbe rimasto solo come racconto della vita dell’ennesimo profeta che non ha avuto fortuna, e la sua storia sarebbe finita lì. Nel far questo gli Apostoli, ma soprattutto S. Paolo che fu solo evangelista e mai apostolo, consapevoli o no, riducono questa figura di vero uomo in un burattino nelle mani del burattinaio Yahwèh. E qui mi viene in mente un bel libro da raccomandare ai miei soliti poche lettori, il “Vangelo secondo Gesù” del premio Nobel per la letteratura, il portoghese Josè Saramago: l’incontro di Gesù con Dio padre, che nei vangeli avviene nel deserto, e che Saramago invece colloca in barca sul lago Tiberiade, è un dialogo tutto da raccontare. Dio informa dettagliatamente il figlio sul sacrificio che si dovrà compiere, e Gesù non si entusiasma, ma non si scandalizza. Poi gli fa vedere cosa succederà nei secoli a venire in suo nome: guerre, morte, distruzione, saccheggi; qui si scandalizza, trova il disegno divino raccapricciante, e chiede di soprassedere: non trova giusto che lui con il suo sacrificio dia spazio a tanta cattiveria e a tanti disastri umani. Dio lo incalza e gli fa capire che non c’è alternativa, perché così ha deciso, così sarà scritto e così sarà fatto. Sulla stessa barca c’è anche Satana, il quale ha seguito il colloquio in silenzio e alla fine mormora: “è proprio vero, solo gli dèi sanno essere infinitamente cattivi”. 3°) Storia della chiesa e dei papi; mio fratello, l’ex seminarista che ha impiegato lunghi anni per liberarsi dall’alienazione religiosa, lui che conosce sia i testi sacri sia la storia dei papi meglio e prima di me, un giorno mi dice: - “Ciò che mi ha dato la conferma della non esistenza di Dio, più che i testi biblici, è stata la storia dei papi e della chiesa; non può esistere un Dio che si dice Onnipotente, somma Sapienza e sommo Amore, che crea per amore e manda suo Figlio in terra per salvare l’Umanità, e poi ti inventa questa chiesa con i suoi papi, che “ne hanno combinate di tutti i colori”-. Poi, come se non bastasse, mi fa una ulteriore confidenza: - “Uno degli assiomi fondanti del cristianesimo è che Dio crea l’uomo, a differenza degli altri esseri viventi, libero e intelligente. Persino Dante, girovagando per il paradiso, ci tiene a sottolineare:“Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando ed alla sua bontate/ più conformato e quel ch’ei più apprezza,/ fu della volontà la libertate;/ di che le creature intelligenti,/ e tutte e sole, furo e son dotate”(Par.V,19-24). Ma, se Dio mi ha dotato di libertà e intelligenza, solo attraverso il libero uso dell’intelligenza avrei dovuto scoprire la “Verità”, quindi Dio stesso; allora, come mai questo Dio, poi, mi si impone per fede con “verità rivelate”? Anche nei vangeli leggiamo: “Andate e predicate a tutte le genti; chiunque crederà e sarà battezzato sarà salvo…”; e gli altri, poi? beh,… per loro c’è la geenna! (speriamo che non sia stato Yehoshua ben Joseph a dire queste cose, ma che le abbiano inventate i vari evangelisti). Neppure una contraddizione così evidente scuote le “anime pie”! Ma allora, cosa combina questa fede? Mi è stato detto e inculcato, fino ai miei vent’anni, che la fede “illumina” la ragione; mah!…sarà una luce abbagliante, che “acceca” la ragione!” -. E a coperchio di tutto questo aggiunge: - “… questa è stata la mia Damasco, rovesciata, naturalmente” - E Amen, fratello! 190


La libidine di potere ha reso i vicari di Cristo pari alla bestia dantesca: “ha natura sì malvagia e ria,/ che mai non empie la bramosa voglia,/ e dopo ‘l pasto ha più fame che pria”. Buon per loro che la religione con paradisi e inferni sia solo una pia illusione. Altrimenti Caron dimonio li avrebbe già traghettati, Minosse, “quel conoscitor de le peccata,” li avrebbe spediti nella giudecca, dove si dimenano tutti i traditori, e buon divertimento a “‘l mperador del doloroso regno”. Ma se mi chiedete: per l’eternità? NO! Non sono così cattivo; la penso come Origene, il quale giurò che prima o poi Dio avrebbe perdonato tutti e svuotato l’inferno. Già, forse perchè aveva una concezione umanista della “Buona Novella”! Ridiamo dunque; meglio ancora se riusciamo a ridere di noi stessi, perché il ridere distingue gli uomini dagli animali e dai grandi sacerdoti: loro non sanno ridere, poverini! Se un giorno l’umanità riuscisse a ridere anche della propria morte, quel giorno “non ci sarebbe più trippa” per i soliti grandi sacerdoti. Ma ahimè, ridere con la pancia vuota è impossibile; due terzi dell’umanità fa fatica a riempirla, e un terzo muore letteralmente di fame: tra questi popoli inevitabilmente gli dèi la fanno ancora da padroni. Una volta c’era una grande idea a sostegno di questi popoli diseredati, era il “ Sol dell’ avvenir”; parallelamente all’eclissarsi di questa grande idea, tornarono ad imporsi prepotentemente le varie e decrepite Gerusalemme celesti. E poiché anch’io sono avviato verso la fine (beh, spero non tanto vicina) di questa breve avventura della vita, mi consola il fatto di essere consapevole di aver visto giusto: insieme a tanti milioni di individui come me, ho tentato di sciogliere questo immenso nodo che tiene inchiodata l’umanità all’oscurantismo religioso, ho sempre combattuto coloro che “possedendo un martello, tutti i problemi li facevano diventare chiodi”. Daccordo, non abbiamo avuto successo, anzi in questo nostro evo di globalizzazione e pensiero unico si cerca di farci tornare indietro, anche se solo sul piano economico delle masse. Credo però che il ”movimento anti-globalizzazione” sia la nuova internazionale che continuerà la lotta della generazione alla quale appartengo. Sì, aveva proprio ragione Marx: “solo liberando l’umanità dal bisogno, la si libera dall’alienazione religiosa”; salvo le solite eccezioni che non fanno altro che confermare la regola, il resto è solo costume, tradizione, folklore, abitudine. Questo vale sicuramente per i credenti pasciuti occidentali, i quali dicono di ammirare Madre Teresa di Calcutta ma sognano il potere di Berlusconi, ripetono con ostentazione di amare Gesù di Nazareth ma sognano i soldi di Bill Gates. Tranquilli, miscredenti! Il benessere ha sterilizzato la fede! Quindi, qui nel nostro occidente opulento possiamo affermare : come la religione è stata “l’oppio dei popoli”, così oggi il benessere diffuso è l’oppio della religione. Nessuno meglio dei grandi e piccoli sacerdoti conosce questa realtà alla quale si adeguano, poiché, in fin dei conti, è solo a un po’ di potere che sono interessati; il resto è solo apparenza. 191


In altri termini, tutto cambia e nello stesso tempo tutto resta come prima: lo sfruttamento prima giustificato religiosamente, oggi è giustificato da altri pseudovalori e siamo “all’immutabilità delle essenze e al mutamento perpetuo delle apparenze” -----------------------Il mio tentativo, soprattutto nell’ultima parte, è stato di dimostrare che sotto la stessa bandiera, gli stessi simboli, la stessa religione, si è combattuta la più feroce e più lunga lotta di classe ammantata di trascendenza. Per questo all’inizio parlavo di divergenze parallele all’interno della stessa religione (Cristo di lotta e Cristo di governo); condizioni economiche diverse generavano diverso intendimento della “buona novella”, perché diverso era l’interesse di classe: la chiesa ufficiale dalla parte dei potenti di turno, la chiesa di base dalla parte dei diseredati. A questo punto si potrebbe coniare qualche slogan di questo tipo: “sfruttati e sfruttatori, poveri e benestanti, pregate per me e sarete dei santi”; ma forse i poveri e gli sfruttati preferiscono un altro: “Gesù solo ai poveri voleva bene, mentre ai ricchi prometteva pene”. Non è saggio scandalizzarsi se popoli affamati, sfruttati, derisi, umiliati da noi panciuti occidentali, si uccidono uccidendo in nome del loro dio: questo dicono, e in parte ci sperano; però la spinta vera, la ragione di fondo, è che la loro vita è così dura e vale così poco, che non hanno difficoltà a buttarla via. Ce la farà quest’“Homo sapiens sapiens” a sconfiggere l’uomo biologico e cavernicolo con il suo carico di egoismo che ancora alberga in tanta parte dell’umanità? Se ce la farà è un bene, perché ciò significa che abbiamo superato tutti la condizione animalesca dalla quale proveniamo e possiamo dirci una razza superiore rispetto a tutte le altre razze di animali; se è no, meritiamo di sparire anche noi così come sono sparite già tante altre razze di animali, e il pianeta terra e tutti gli animali che la popolano tireranno un sospiro di sollievo! Ho sempre odiato la violenza, i disastri umani e le apocalissi celesti. Perciò mi auguro (auguriamoci) che, se l’umanità deve sparire, ciò avvenga attraverso l’incapacità di riprodursi (sì, dal primo all’ultimo, poveri e ricchi, potenti e impotenti, diventino sterili), che si estingua con gradualità e gli ultimi vivano anch’essi vecchi, e muoiano solo quando saranno “sazi di giorni”, come per Giobbe”. AMEN! E ora “un appello”, sempre a voi, miei pochi lettori, ma soprattutto a voi, figli e nipoti: - se non potete fare a meno di un dio qualsiasi, almeno evitate le ipocrisie molto diffuse tra i credenti; - se volete pregare il vostro Dio, lasciate stare i pater-noster, e invocatelo in questo modo: “Grazie, signore, per aver fatto vincere la corsa a me invece che ai miei fratellini (spermatozoi), che sono finiti nel cesso; grazie, signore, per avermi fatto nascere bianco anzichè nero, e nell’opulento occidente anziché nel terzo o quarto mondo”; e non chiedete mai niente altro per voi, perché avete già avuto un culo grande quanto una montagna”; 192


- se l’altruismo non vi fa difetto, invitate il vostro Dio a preoccuparsi di meno di noi pasciuti panciuti benestanti e benpensanti occidentali, ed ad occuparsi di più dei milioni di bambini che muoiono ogni anno sotto le nostre bombe o saltano sulle nostre mine anti-uomo, oppure muoiono per fame o per mancanza di medicinali; - se queste cose le ignorate, o non le ritenete degne di vostre preoccupazioni, allora state vivendo una vita sciapa, insignificante. D’accordo, sono io per primo a dirvi che l’umanità non ha un destino prestabilito; però, giacchè ci siamo, diamoci un motivo laico: amiamo, o quanto meno non odiamo i nostri simili, se non altro come strada maestra per evitare l’autodistruzione che è dietro l’angolo, se la cattiveria nell’animo umano non dovesse diminuire. Joseph Stilitz, premio Nobel per l’economia, in uno dei suoi libri, “La globalizzazione e i suoi oppositori”, così conclude: “Quando la metà del mondo guarda alla T.V. l’altra metà che muore di fame, la civiltà è giunta alla fine”. Infine, ecco una buona invocazione laica per la nostra specie di homo sapiens, o almeno per quella parte che è riuscito a sconfiggere l’homo biologico delle nostre origini e ha saputo imporre a se stesso l’homo sociale: “Ogni volta che un uomo si leva per difendere un ideale, o si batte per difendere il destino degli altri, o insorge contro un’ingiustizia, egli lancia una piccola onda di speranza, un’onda che incontrandosi con tante altre che vengono da altre sorgenti d’energia e di audacia, possono formare una corrente capace di abbattere le più possenti muraglie di oppressione”. Questo disse Robert Kennedy il 7 giugno del ‘66; questo si può ancora leggere sulla sua tomba. Non male come preghiera laica. Rubando e parafrasando un’ultima volta qualche verso del nostro Dante, auguriamoci che nel futuro l’Umanità sia finalmente guidata laicamente, da “l’amor che move il sole e l’altre stelle”

FINE POSTFAZIONE Sento il bisogno di spiegare perché un operaio metalmeccanico, quale sono stato, già dal ‘68 impegnato in Avanguardia Operaia, nel ‘76 approdato nel P.C.I., nel ‘90 in Rifondazione Comunista (però, ve lo posso giurare, non ho mai mangiato bambini) e una esperienza trentennale di delegato sindacale nella fiom-Cgil, e che ha sempre letto e cercato di capire le origini e la storia del movimento operaio, ora, alla non più tenera età di oltre sessant’anni, ha sentito il bisogno di capire e scrivere sulla religione. Semplice e lineare: da vecchi si ritorna un po’ bambini, o quanto meno i ricordi da bambino ritornano come mai è successo prima. Ricordando… sì, ho ricordato che la religione da bambino era diventata un incubo per me, data la situazione particolare che vigeva in casa mia, e ho sentito il bisogno di regolare questo conto aperto col mio passato. 193


Sono nato nel ‘41, in una famiglia contadina, con qualche attività commerciale marginale, da genitori normali verso i quali ho nutrito un sincero affetto. Però, vi regnava una visione religiosa per me già allora troppo ingombrante: rosari ogni sera (o quasi), altarini di vari santi in casa…Insomma, quelle centinaia di ave e santa maria ogni sera, mentre gli amici miei erano liberi di giocare, mi hanno segnato. Solo ora, diventato adulto, ho scoperto che già 2400 anni fa Platone nelle “Leggi” aveva detto qualcosa su alcune pratiche religiose: “ L’idea che ci si possa ingraziare una divinità con offerte e preghiere la riduce infatti alla stregua di un cane da guardia che si può ammansire con un boccone di cibo, e la pone al di sotto degli uomini retti che non tradiscono la giustizia”, “accettando bustarelle e tangenti”, aggiungo io. Anche Albert Einstein su questo argomento non scherza. Dal suo saggio, “Come io vedo il mondo”, tanto si può leggere: “Io non posso concepire un Dio che ricompensa e punisce le sue creature, e che esercita una volontà simile a quella che noi sperimentiamo su noi stessi. Né so immaginarmi e desiderare un individuo che sopravviva alla propria morte fisica: lasciate che di tali idee si nutrano, per paura o per egoismo, le anime fiacche”. Carl Gustav Jung è ancora più esplicito: “Le religioni sono sistemi di guarigione per i malati della psiche”. E da ciò faceva discendere che: “chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni” (“Psicoterapia e Cura d’anime”). ---------------------------Mi sono “sbafato” diecine di libri perfettamente inutili ai fini del vivere saggiamente, perché volevo analizzare da vicino questo mio tormentone subìto da ragazzo e fare una analisi con cognizione di causa su questo fenomeno che è la religione. Avevo cominciato a prendere qualche appunto sulle letture che via via mi travolgevano, ad uso e consumo personale e… per non dimenticare (si sa, la memoria ad una certa età!); poi il bisogno di comunicare queste mie impressioni a mio fratello ha fatto il resto. Perciò, se queste pagine sono capitate nelle mani di qualche improvvido lettore, il responsabile è lui, che con un paziente lavoro di taglia, copia e incolla ha smussato le spigolosità, ha smorzato qualche sparata un po’ troppo forte, ha snellito il traffico, insomma ha aggiustato il tutto per renderlo digeribile. Se poi questo lettore ha gradito, sappia che siamo almeno in due a rallegrarcene. E grazie, fratello. Infine, devo delle scuse a mia moglie per le preoccupazioni che le ho procurato involontariamente . Si dichiarava preoccupata, mi guardava e scrollava la testa, non capiva; abituata a vedermi leggere il solito giornale e qualche libro di carattere politico, vedendomi tra le mani testi religiosi come la Bibbia e il Corano, o libri riguardanti il Buddhismo, il Paganesimo o altre teorie religiose, ha pensato a una forma di arteriosclerosi precoce: ha allarmato i figli, le sue amiche, ha consultato il medico di famiglia; alla fine, quando ha visto che ho smesso e sono ritornato alle solite letture, ha capito che non era successo niente di grave, ed ha tirato un sospiro di sollievo. Collepasso, marzo 2003 194


P. S. La parola “Fine” era stata posta quattro anni fa, e mai mi era venuto in mente di stampare e divulgare queste mie riflessioni sulla religione. Ma in questi ultimi anni ho visto l’arroganza clericale crescere a dismisura con pretese di stampo medioevale, fare “capolino” la nostalgia del potere temporale e dei papa-re. Si pretende di far diventare reato tutto ciò che papi e cardinali ritengono sia peccato, fino a costituire un’autentica lobby in parlamento, al fine di realizzare questo loro obiettivo e condizionarne la libera e laica opera legislativa. Insomma, la “libera Chiesa in libero Stato” non basta più, esigono tutto e subito! Poi, hanno anche la faccia tosta di lamentarsi e di condannare gli integralisti musulmani. Ma se, malauguratamente, la chiesa cattolica apostolica romana prendesse nuovamente il potere, probabilmente si comporterebbe anche peggio di questi integralisti, come del resto ha fatto per tanti secoli. Quindi c’è poco da meravigliarsi se ad una impennata di clericalismo emerge spontaneamente l’anticlericalismo. Anche se, a dirla tutta, è lo stato laico che si sta difendendo in contrapposizione allo stato autocratico-religioso che tentano d’imporci. Riprendendo il discorso sui papi, cosa c’è stato di nuovo? Forse merita un cenno il fatto che K. Wojtyla non c’è più, dopo una lunga agonia che ha riempito gli schermi televisivi per vari giorni, paralizzando anche la campagna elettorale allora in corso. Al suo posto si è insediato uno peggiore di lui, il suo Segretario per la Congregazione della Fede, Joseph Ratzinger, BENEDETTO XVI, che poi è quello che ha “illuminato” il percorso di Wojtyla. Ed è lo stesso che ha “eliminato” (dietro la copertura di Wojtyla) gli adepti della “Teologia della Liberazione”. Inoltre, è riuscito ad allontanare dall’insegnamento di teologia nell’università di Tubinga il suo maestro teologo Hans Küng; questi confutava alcuni punti qualificanti della dottrina ufficiale della chiesa, come l’infallibilità dei papi e il culto mariano; faceva parte di quella corrente di teologi che sostenevano il pluralismo religioso (“tutti i credenti di tutte le religioni si salveranno”), e la compatibilità tra Dio e Darwin, quindi, tra “creazione e evoluzione”, definendo tale teologia “disegno divino”. E’ lo stesso Ratzinger che ha sottratto alla giustizia i preti pedofili americani, per cui si stava istruendo un processo proprio contro di lui, a Houston nel Texas, da parte dell’avv. Daniel Shea, quando inopportunamente qualche “provvidenza” l’ha sistemato sul soglio pontificio; e,“dulcis in fundo”, è riuscito a far sparire, quando lo scandalo non poteva più essere taciuto, la direttrice dell’istituto religioso Alojzije Stepinac, a Brezovica in Croazia, dove erano accolti bambini e bambine orfani della guerra dei Balcani, o comunque abbandonati; questa infame direttrice, Helena Brajsa, offriva questi sfortunati alle voglie dei notabili locali. Spudoratamente si dichiara “contro” tutto ciò che sa di scienza, di ricerca; chiude anche quella modesta apertura del suo predecessore all’evoluzionismo (“l’evoluzionismo è più che una teoria”); definisce il relativismo (figlio dell’ Illuminismo) il male peggiore del nostro secolo; persino il nazismo e la 2° guerra mondiale sarebbero conseguenze del relativismo; la Shoah, poi, non sarebbe altro che un attacco al cristianesimo e alle radici cristiane dell’Europa. 195


A onor del vero, va riconosciuto a Wojtyla un barlume di onesta autocritica nell’ultimo anno della sua vita; infatti, in “Memoria e identità” del 2005, forse pensando alla sua esperienza del nazismo e del comunismo, si può leggere: “Se il comunismo è sopravvissuto più a lungo, e se ha ancora prospettiva di ulteriore sviluppo, pensavo allora tra me, deve esserci un senso in tutto questo…Ciò che veniva fatto di pensare era che quel male fosse in qualche modo necessario. Non ha forse Goethe qualificato il diavolo (in Faust,1,3) come parte di quella forza che vuole sempre il male e produce sempre il bene?”. Eppure, macchè, neanche su questo il “nostro” Ratzinger è d’accordo; in “Fede, verità e tolleranza” spazza via questi “dubbi” di Wojtyla:”Il male non è affatto come Goethe vuole mostrarci nel Faust. E ancora, Wojtyla nella “Lettera ai vescovi della Polonia” del 1989 ha il coraggio di dire: “Di fronte a ogni guerra siamo tutti chiamati a meditare sulle nostre responsabilità, chiedendo perdono e perdonando…; le mostruosità di quella guerra (2° guerra mondiale) si manifestarono in un continente… rimasto più a lungo nel raggio del vangelo e della chiesa”. B. XVI, invece, va ad Auschwitz nel maggio 2006 a ribadire un concetto già espresso ne “La mia vita”, in cui il nazismo è ridotto a “…un gruppo di criminali che raggiunse il potere mediante promesse bugiarde…”; e il Vaticano fa finta di meravigliarsi per le reazioni di qualche rabbino, come succederà qualche mese più tardi con la sua lezione (“lectio magistralis”: … alla faccia!) a Ratisbona che scatenerà reazioni più violente nel mondo islamico. Solo in Italia si assiste all’ammirazione servile-acritica da parte di una “marea” di sedicenti intellettuali “laici-razionalisti-credenti”, o “Atei devoti”, verso questo papa che sfoggia cultura sotto forma di verità, ma in realtà è la sua autorità che proclama come base di ogni verità. Pensate un po’ cosa avrebbe combinato questo papa se fosse vissuto prima del Secolo dei Lumi! Lo stesso Hans Küng ha riferito in una intervista: ”In un incontro Ratzinger mi ha detto… che lui si sarebbe trovato più a suo agio nel Medio Evo”. Certo, perché allora avrebbe potuto mandare al rogo gli indesiderati: evoluzionisti, razionalisti, omosessuali ecc., e ora freme, perché non può. Che figuraccia! Collepasso, 2007 2760 5768 1428 6008 2551

dell’era Cristiana ab Urbe condita (Roma) dell’era Ebraica dell’era Islamica dell’era Induista (Kaliyuga dell’era Buddhista (Sasana)

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COMMIATO chi dovrei ringraziar di avere assai vissuto, di certo meriti non ha, né mai mi ha conosciuto. Eppur mi sento di dirgli grazie assai, e non mi aspetto certo che lo saprà mai. Perciò infinite grazie al mio nonno Universo, che mi ha prodotto, così inquieto e controverso. Grazie a Te, oh Padre Sole, nei secoli il Dio Invitto, perché con distacco osservi della vita il suo conflitto. Grazie a Te, oh Madre Terra, col tuo utero così altruista, che ancor sopporti con pazienza quest’animale egoista. Chiedo perdono e compassione per quella parte d’umanità, che crede d’esser un bel prodotto di alcune grandi divinità. Con baldanzosa sicumera e un’ imponderabile supponenza, quest’homo sapiens vuol gestir tutta la Tua Onnipotenza. Ha costruito paradisi per sé per parenti e molti amici, non poteva mancar l’inferno per infilar i suoi nemici; in un altro mondo indefinito lui si è reso immortale, scavalcando di gran lunga tutto ciò che è banale. Mi sento solo un figlio dell’Universo intero; è nell’immensità che vola il mio pensiero. Continua pure la tua corsa nel Tuo Spazio Infinito, senza alcun progetto da un dio definito.

pagliatano@virgilio.it

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Indice: Recensioni

pag.

1

Premessa dell’autore

pag.

5

Introduzione in rima

pag.

7

Antico Testamento in rima

pag. 11

Nuovo Testamento in rima

pag. 29

Storia della chiesa in rima

pag. 37

Antico Testamento

pag. 53

Nuovo Testamento

pag. 101

Storia della chiesa

pag. 147

Cristo di lotta

pag. 151

Cristo di governo

pag. 164

postfazione dell’autore

pag. 192

Commiato dell’autore

pag. 196

198


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