Il Polietico 19

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Giugno 2010, Anno 7 - N 19 Periodico di informazione

Riservato ai medici e agli operatori sanitari

L’INNOVAZIONE COME MISSIONE ’innovazione come mission. L’ Eccellenza come capacità. La Qualità come sicurezza. Tre valori di sintesi che il Gruppo Policlinico di Monza ha sempre coltivato nel tempo investendo sia sul fattore umano che su quello delle risorse. Obiettivi che sarebbe impensabile raggiungere senza la presenza di professionisti validi e motivati che nel tempo sono diventati un punto di riferimento per tutte quelle persone che, siano esse sane o bisognose di cure, necessitano di sentire la sicurezza di poter contare su metodologie all’avanguardia. Per questo tra le pagine di questa pubblicazione trova spazio la scoperta dell’“amputazione virtuale” per il piede diabetico, realizzata dal dottor Emilio Calabrese della Clinica Salus di Alessandria e già pubblicata su prestigiose riviste scientifiche. In sintonia con la filosofia di questo numero gli studi del professor Alberto Gramaglia, responsabile del Servizio di Radioterapia del Policlinico di Monza, che sta portando avanti una ricerca assidua nel campo degli studi alimentari finalizzati alla prevenzione oncologica e in quella che viene definita “nutraceutica”. Così come di ricerca, questa volta in campo ortopedico, parliamo con gli specialisti del Goa (Gruppo ortopedici associati) della Clinica San Gaudenzio di Novara. Infine, spazio alle novità, con la presentazione del rinnovato servizio di Pneumologia a Monza e Verano e la nuova internista della Clinica Santa Rita di Vercelli. Il Presidente Gian Paolo Vergani

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In questo numero: Amputazione virtuale per il piede diabetico I tre anni del Pronto Soccorso Pneumologia a Monza

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Ortopedia a Novara 9 La dottoressa Alda Crippa nuova internista alla Santa Rita 11

Nutraceutica: quando il cibo fa rima con prevenzione 13 A Vercelli l’endoscopia è d’avanguardia 16 ISFAI: il calendario 18


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LA NUOVA TECNICA SVILUPPATA ALLA CLINICA SALUS

ECCO L’AMPUTAZIONE VIRTUALE PER SALVARE IL PIEDE DIABETICO lcerazioni nella pianta del piede sono frequenti nei diabetici. Alcune guariscono con appropriato trattamento locale, altre utilizzando calzature idonee, altre ancora diventano croniche e le tecniche correntemente utilizzate appaiono inefficaci. A causa di ulcerazioni intrattabili o di infezioni che raggiungono l’osso (osteomielite) molti di questi pazienti vengono sottoposti ad amputazioni delle dita o dell’intera metà anteriore del piede. Spesso la rimozione di un singolo dito del piede è seguita dalla necrosi di uno o più dita contigue, così a volte ci si ritrova ad amputare un dito dopo l’altro. Nei giovani, in particolare, la rimozione delle dita del piede crea anche problemi psicologici importanti e in tutti i pazienti la distribuzione dei pesi e delle pressioni nelle varie parti del piede residuo risulta così alterata che, dopo la rimozione dell’alluce, si è osservato un aumento dell’incidenza di nuove ulcere plantari e la necessità di re-amputazioni del 40% entro due anni dalla prima, almeno secondo uno studio eseguito a San Antonio, in Texas. Nel tentativo di risolvere il problema estetico e quello funzionale legato alle amputazioni a livello del piede l’equipe del Dottor Emilio Calabrese, del Gruppo Policlinico di Monza, ha sviluppato un nuovo intervento definito come “Amputazione Virtuale dell’Avampiede”. L’intervento è stato sviluppato in collaborazione con il gruppo di lavoro del Centro

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IL DOTTOR EMILIO CALABRESE DELLA CLINICA SALUS DI ALESSANDRIA

NEL TENTATIVO DI RISOLVERE IL PROBLEMA ESTETICO LEGATO ALLE AMPUTAZIONI DEL PIEDE L’EQUIPE DEL DOTTOR CALABRESE HA SVILUPPATO UN NUOVO INTERVENTO DEFINITO COME “AMPUTAZIONE VIRTUALE”. L’INTERVENTO NASCE NELL’AMBITO DELL’ATTIVITÀ DEL CENTRO NAZIONALE PER IL SALVATAGGIO D’ARTO DELLA GENÉVE FOUNDATION FOR MEDICAL EDUCATION AND RESEARCH

Nazionale per il Salvataggio d’Arto della Genéve Foundation for Medical Education and Research, che collabora attivamente con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (www.gfmer.ch). Con questa tecnica vengono rimosse tutte le ossa della metà anteriore del piede, includendo i due terzi dei metatarsi, tutte le falangi prossimali e medie e mantenendo parte delle falangi distali. Vengono rispettati e mantenuti i tendini, le arterie, vene e nervi delle dita vengono escisse le aree intorno alle ulcerazioni. La tecnica, piuttosto complessa, richiede un approccio microchirurgico in quanto è a volte necessaria la ricostruzione di piccole arterie digitali o delle arterie dell’arcata plantare. Il piede, che a questo punto è de-strutturato in quanto non ha più le ossa che lo sostengono viene stabilizzato con piccolissimi fissatori esterni snodabili interposti fra le falangi ungueali e le ossa prossimali del piede. Con appropriate tecniche di medicazione, le ferite guariscono in oltre il 90% dei casi entro 60 giorni e i fissatori vengono rimossi. Il piede si ritrova a questo punto senza le ossa nella sua parte anteriore, ma è ugualmente solido a causa della formazione di un tessuto di riparazione attentamente guidato. Le dita,hanno un aspetto pressoché normale, le unghie sono presenti e continuano a crescere regolarmente e le dita possono essere attivamente flesse perché la maggior parte dei tendini rimane pressoché intatta. Il paziente utilizza normali scarpe da ginnastica, può camminare anche sulle punte dei piedi e, se non erano presenti alter alterazioni severe della struttura e funzionalità del piede, è anche in grado di camminare rapidamente, in alcuni casi di correre senza particolari difficoltà. Dal gennaio 2009 al gennaio 2010, presso la Clinica Salus di Alessandria, sono stati eseguiti ben 15 interventi di “Amputazione Virtuale” completa della metà anteriore del piede in altrettanti pazienti diabetici dal Dottor Calabrese e dal Dottor Basel Yasin con la collaborazione dell’anestesista Dottor Cotroneo e delle infermiere Mimoza Qarri e Lu Gatti.


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DAL GENNAIO 2009 AL GENNAIO 2010, ALLA CLINICA SALUS DI ALESSANDRIA, SONO STATI ESEGUITI 15 INTERVENTI DI “AMPUTAZIONE VIRTUALE” COMPLETA DELLA METÀ ANTERIORE DEL PIEDE

A SINISTRA UN PIEDE MOSTRANTE I SEGNI DI EVIDENTE OSTEOMIELITE A DESTRA UNA RADIOGRAFIA SUCCESSIVA ALLA RIMOZIONE DEI FISSATORI DOPO L’INTERVENTO

Una delle procedure è fallita e non ha permesso di evitare l’amputazione dell’avampiede, un paziente ha perduto il 5° dito e parte del 2° dito, e un altro paziente ha perduto il 2° dito. Tutte le ulcere trattate sono guarite rapidamente, eccetto in un paziente, che ha richiesto addizionali procedure di chirurgia ricostruttiva con l’esecuzione di un flap cutaneo di copertura dell’ulcera. In seguito all’intervento ben 13 dei 15 pazienti sono stati in grado di camminare brevemente sulla punta dei piedi e comunque di sollevarsi ritmicamente sulle punte dei piedi. La maggior parte dei pazienti hanno utilizzato scarpe da ginnastica rinforzate con plantari idonei per consentire loro di camminare agevolmente. Lo studio con il Tekscan®, cioè con una apparecchiatura computerizzata che registra simultaneamente la pressione in centinaia di piccoli punti della pianta dei piedi durante il

movimento, si è osservato come l’assetto del piede non fosse pregiudicato dall’intervento in quanto la struttura funzionale (non quella anatomica ovviamente) dell’arcata plantare appariva mantenuta nei pazienti che, prima dell’intervento avevano una normale arcata plantare. I dati di questi interventi saranno presentati sia al Congresso Nazionale della Società Italiana di Diabetologia a Padova (Giugno 2010) sia al Congresso Cardiovascolare Internazionale di Mosca l’8 Giugno 2010. I risultati incoraggianti di questa procedura, eseguita su pazienti che, altrimenti, sarebbero stati sottoposti a completa amputazione della metà anteriore del piede con perdita di tutte le dita e riduzione significativa della lunghezza e della forma del piede ( e della funzionalità) suggeriscono che è possibile proporre ai pazienti diabetici una nuova alternativa, rispetto alla cruda amputazione dell’avampiede e delle dita. Il problema è soprattutto sentito nei giovani e, considerando che uno studio svedese ha mostrato che, su 30000 pazienti con diabete di tipo I, l’11% delle donne e il 20.7% degli uomini subivano entro i 65 anni d’età amputazioni sull’arto inferiore ( il 50% delle quali è a livello del piede) si può comprendere facilmente quante di queste si potrebbero evitare. Certamente uno studio più esteso è necessario per confermare i risultati di queste osservazioni, ma l’elevatissima percentuale di successo che supera il 90% indica apparentemente una strada precisa e non offre giustificazioni etiche a studi prospettivi randomizzati che propongano ai pazienti di essere sorteggiati fra una procedura di amputazione standard e una di amputazione virtuale: moralmente tale scelta sarebbe oggi di difficile giustificazione. Il limite della procedura risiede nel costo della attrezzatura necessaria per eseguirla, che con intelligente visione l’amministrazione del Policlinico di Monza ha reso disponibile, ed inoltre la complessità tecnica della procedura che richiede manualità e possibilità tecniche ben superiori a quelle richieste da una elementare amputazione demolitiva. E’ adesso necessario procedere al successivo stadio di sviluppo che consisterà nel semplificare le fasi dell’intervento, schematizzandole e rendendole accessibili a numerosi chirurghi, specificatamente addestrati, perché i milioni di diabetici italiani possano usufruirne.


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IL LAVORO È AUMENTATO QUALITATIVAMENTE E IN QUANTITÀ

IL PRONTO SOCCORSO DI MONZA SPEGNE LA TERZA CANDELINA e cifre sono tutte dalla parte del Pronto soccorso. Nel giro di tre anni la struttura del Policlinico di Monza, non solo è andata a pieno regime, ma ha superato di gran lunga altre realtà presenti in zona. Il Pronto soccorso dà i numeri. In questi 2 anni si è passati da 6.848 prestazioni del 2007 alle 14.872 del 2008 per finire alle 16.000 del 2009 con un afflusso medio di 1.325 accessi mensili. Dati che confermano e rafforzano la presenza della struttura sul territo-

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I L DOTT. E NRICO ALFIERI, R ESPONSABILE DEL P RONTO SOCCORSO DEL P OLICLINICO DI MONZA

I NUMERI SONO ENTUSIASMANTI; IN QUESTI ULTIMI DUE ANNI SI È PASSATI DA 6.848 PRESTAZIONI DEL 2007 ALLE 14.872 DEL 2008 ED ALLE 16.000 DEL 2009 CON UN AFFLUSSO MEDIO DI 1.325 ACCESSI MENSILI CONFERMANDO E RAFFORZANDO LA PRESENZA SUL TERRITORIO MONZESE E NEI CENTRI VICINI

rio monzese e centri vicini. Anche per il 118 Monza e Brianza rimane punto di riferimento: il 18% dei pazienti ha accesso al Pronto Soccorso tramite il loro servizio ed il restante ha accesso diretto confermando il sempre più forte radicamento sul territorio del servizio. La percentuale di ricovero in urgenza si attesta sul 10 % degli accessi, rinviando al curante oppure a controlli nei giorni successivi negli ambulatori della struttura i paziente dimessi. Uno dei punti sui quali l’equipe si mostra sicuramente di eccellenza è il tempo di attesa per il paziente che è veramente breve; il paziente a cui è stato assegnato un codice verde attende mediamente prima della visita 28 minuti e il paziente in codice bianco 55 minuti con un permanenza completa all’interno del Pronto Soccorso fino alla dimissione di soli 97 minuti. I codici gialli e rossi vengono visitati immediatamente senza alcun tempo di attesa; a questo punto di forza nonostante il numero sempre maggiore di accessi si è arrivati grazie alla rivisitazione dell’organizzazione e dell’organico del Pronto Soccorso. L’organico infermieristico è stato implementato dal 2007 da 5 infermieri ed un coordinatore a 10 infermieri più il coordinatore nel 2009, quindi al nucleo iniziale sono stati inseriti nuovi infermieri provenienti da altri pronto soccorso con grande esperienza. Il personale medico che svolge turni in pronto soccorso è tutto interno alla struttura senza ricorrere a medici gettonisti esterni; questo sistema è stato studiato per fare in modo di avere una continuità assistenziale e procedurale tra il pronto soccorso ed i vari reparti della struttura oltre che di crescita individuale e di confronto tra i vari medici. Un altro punto di forza del servizio di Pronto Soccorso del Policlinico di Monza rimane la collaborazione trasversale con gli altri servizi presenti all’interno della struttura. Servizi come la radiologia, il laboratorio e l’ufficio ricoveri, che si rivelano sempre


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ACCESSI PRONTO SOCCORSO 2009

PERCENTUALE RICOVERI PER SPECIALITÀ 5,5% NEUROLOGIA

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1600 1402

1400 1282 1200 1239 1000

1390

1511 1387

1455 1225

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17,5% ALTRI

25% MEDICINA GENERALE

6,4% UTIC

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800 600 400

12,6% ORTOPEDIA

200 0 GEN

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UN ALTRO PUNTO DI FORZA DEL SERVIZIO DI PRONTO SOCCORSO RIMANE LA COLLABORAZIONE TRASVERSALE CON GLI ALTRI SERVIZI PRESENTI ALL’INTERNO DELLA STRUTTURA: SERVIZI SEMPRE MOLTO CELERI NELL’EVADERE LE RICHIESTE PER FARE IN MODO DI ARRIVARE AD UNA DIAGNOSI E ALL’EVENTUALE RICOVERO IN TEMPI BREVI

16% CARDIOLOGIA 17% CHIRURGIA GENERALE

molto celeri nell’evadere le richieste pervenute dal pronto soccorso per fare in modo di arrivare ad una diagnosi ed all’eventuale ricovero in tempi brevi. A caratterizzare il servizio di Pronto Soccorso del Policlinico sono però soprattutto le discipline di area medica, la chirurgia, la cardiochirurgia, la neurochirurgia, la chirurgia cardiovascolare l’urologia , la chirurgia toracica e traumatologica. Specialità che sono caratteristiche di ospedali ad alta complessità e sede di DEA/EAS. L’auspicabile sviluppo a Dipartimento di Emergenza troverà il Policlinico già attrezzato e pronto per affrontare la nuova fase. «Prima ancora che fosse operativo il Pronto Soccorso - spiega il responsabile del Pronto Soccorso del Policlinico, il dottor Enrico Alfieri - avevamo già una certa affluenza di malati nell’area cardiologica, cardiovascolare e cardiochirurgica; il Policlinico si è sempre identificato con un’attività di questo tipo e ora questa vocazione si sta delineando in modo sempre più marcato». Efficiente e strutturato è, nello specifico, il percorso nella cura del malato cardiologico acuto. Il Policlinico offre infatti al paziente cardiovascolare la garanzia di prestazioni e di tempistica di assoluta efficienza: la presenza di un’unità coronarica, di una rianimazione, di un laboratorio di emodinamica endoscopia e sale operatorie attivabili 24 ore su 24. In particolare i tempi “door to needle time” (studio emodinamico ed eventuale angioplastica primaria) sono in linea con le recentissime linee guida della Regione Lombardia sul trattamento dell’infarto miocardico acuto e dell’angina.


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IN COLLABORAZIONE CON LO STUDIO POLIMEDICA

PNEUMOLOGIA: UN SERVIZIO POTENZIATO A MONZA E VERANO

I DOTTORI GIAN PAOLO MONZANI (A DESTRA) E GIULIO CAIAZZO (A SINISTRA)

IL POLMONE È UN ORGANO FONDAMENTALE NEL PROCESSO DELLA RESPIRAZIONE E QYUBDU PER IL CORPO UMANO

l polmone è l'organo fondamentale nel processo della respirazione. Funzione che permette di trasportare l'ossigeno dall'aria ambiente al sangue e viceversa di eliminare l'anidride carbonica prodotta dai tessuti. Tutto questo si realizza con costanza e precisione a livello di piccole sacche chiamate “alveoli”. Calcolando che ogni minuto effettuiamo circa 14-16 atti respiratori, arriviamo a movimentare 6-7 litri di aria minuto, circa 360 litri all'ora. E' facilmente intuibile come un tale meccani-

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smo sia usurabile; sia nel normale utilizzo, ma soprattutto anche dall'aria che veicoliamo dato che respiriamo quello che ci circonda. L'inquinamento atmosferico, le esposizioni professionali, il fumo di sigaretta minano ogni giorno la perfezione di tale processo. In tale ottica si spiega il progressivo incremento della patologia cronica polmonare, asma e bronchite cronica, e non ultimo dei tumori bronchiali stessi. L'asma è una patologia infiammatoria cronica delle vie aeree associata ad ostruzione bronchiale reversibile. Si tratta di una malattia multifattoriale; può essere di origine allergologica (estrinseca) o intrinseca/idiosincrasica. Si stima che circa il 5-7% della popolazione sia asmatica con varie manifestazioni cliniche: dalla tosse persistente, alla costrizione toracica fino al respiro sibilante. La broncopneumopatia cronico ostruttiva (BPCO) è anch'essa una condizione morbosa caratterizzata da limitazione al flusso delle vie aeree, parzialmente o totalmente non reversibile associata ad infiammazione delle vie aeree, causata dall'esposizione ad inquinanti particolati o gassosi ed in particolare al fumo di sigaretta. Si stima che nel 2020 potrebbe essere la terza causa di morte. È sempre stata, nell'immaginario medico e popolare, correlata all'età avanzata; tutto questo non è vero perché il bronco si am-


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DOTTOR GIULIO CAIAZZO IMPEGNATO A VISITARE UN PAZIENTE DEL POLICLINICO DI MONZA

A LATO: LA SPIROMETRIA È UNO DEGLI ESAMI ORA DISPONIBILI AI PAZIENTI DEL POLICLINICO

mala in età più giovane, mentre la manifestazione clinica può comparire più tardivamente. Quest'ultima può andare da tosse produttiva con espettorazione, alla mancanza di respiro fino all'insufficienza respiratoria. Entrambe le forme, asma e BPCO, vengono classificate in base ai sintomi ed al danno spirometrico e caratterizzeranno la storia clinica del paziente con progressive riacutizzazioni più o meno invalidanti a seconda della gravità della malattia. La diagnosi precoce e la rimozione dei fattori di rischio, obiettivo fondamentale di tutta la medicina, rappresenta nel polmone la parola d'ordine. Infondere nella popolazione la necessità di non sottovalutare un sintomo respiratorio come la tosse persistente, la mancanza di respiro è un obiettivo primario quanto la lotta contro il fumo di sigaretta. Può essere normale incontrare pazienti che hanno eseguito ecografie, tac o

SEMPRE PIÙ SPESSO ASSISTIAMO A DIAGNOSI TARDIVE BEN SAPENDO CHE TUTTO QUELLO CHE SI È PERSO IN FUNZIONE RESPIRATORIA NELLA BPCO È PERLOPIÙ IRREVERSIBILE. IN QUESTA VISIONE S’INSERISCE IL POTENZIAMENTO DELL’AMBULATORIO DI PNEUMOLOGIA DEL POLICLINICO DI MONZA E DELL’ISTITUTO CLINICO UNIVERSITARIO DI VERANO BRIANZA

quant'altro ma non una semplice spirometria, esame cardine della diagnostica respiratoria. Sempre più spesso assistiamo a diagnosi tardive ben sapendo che tutto quello che si è perso in funzione respiratoria nella BPCO è perlopiù irreversibile. In questa visione s’inserisce il potenziamento dell’ambulatorio di Pneumologia del Policlinico di Monza e dell’Istituto Clinico Universitario di Verano Brianza. Presso i nostri ambulatori sarà possibile sottoporsi ai seguenti accertamenti: · Spirometria: il paziente esegue un’espirazione forzata in uno strumento che misura il flusso di aria. Esame fondamentale nella diagnostica in pneumologia, di basso costo e ripetibile. Tutti dovrebbero conoscere il proprio respiro. · Spirometria dopo broncodilatatore: stesso test del precedente che viene poi ripetuto dopo inalazione di broncodilatatori. Verifica il grado di disostruzione dopo la terapia farmacologica. · Misura della saturazione emoglobinica di ossigeno: esame semplice eseguito con rilievo al dito tramite un saturimetro che misura la saturazione dell’emoglobina in ossigeno nel sangue. · Emogasanalisi: viene eseguita tramite un prelievo arterioso al polso che misura una serie di parametri utili per valutare la respirazione (ossigeno, anidride carbonica e pH).


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A LATO, UN ESAME REALIZZATO AL BRONCOSCOPIO

SOTTO, IL DOTTOR GIULIO CAIAZZO AL LAVORO NEGLI AMBULATORI DEL POLICLINICO

·Test del cammino: si prefigge lo scopo di valutare l’eventuale comparsa di desaturazioni durante il cammino in piano per 6 minuti e quindi la presenza d’insufficienza respiratoria. · Polisonnografia: esame eseguito in caso di patologie respiratorie correlate al sonno. Si effettua utilizzando uno strumento che tramite vari sensori monitorizza vari parametri durante il sonno e permette di differenziare il solo russamento da patologie ad esso correlate come la sindrome delle apnee notturne. Verrà inoltre attivato l’ambulatorio di videobroncoscopia. La broncoscopia, o meglio la video-broncoscopia, è l’esame endoscopico che permette di visualizzare le vie aeree e diagnosticare varie patologie respiratorie, dai processi infiammatori fino ai tumori. Viene eseguito, previa anestesia delle corde vocali con applicazioni di anestetico locale, con l’introduzione del video broncoscopio dal naso e la visualizzazione delle principale vie aeree. Durante l’esame è possibile eseguire biopsie, indolori per il paziente, raccogliere catarro, spazzolati o lavaggi bronco alveolari. Si tratta di un esame ben tollerato e importante nella diagnostica polmonare. Tutte le attività sopraelencate si propongono di rispondere in maniera esaustiva ai sempre crescenti bisogni del nostro territorio, avendo sempre cura di porre il paziente al centro di tale progetto e assicurando sempre una corretta formazione/informazione.

Giulio Caiazzo

Gian Paolo Monzani

Nato il 21/11/1960, laureato in Medicina e Chirurgia nell’ottobre 1986, specializzato in Fisiopatologia e fisiokinesiterapia respiratoria nel novembre 1989. Assistente dal 1988 al 1991 presso la divisione di Pneumologia dell’Ospedale di San Donato Milanese e successivamente dal 1991 al 2000 presso la Divisione di Pneumologia dell’Ospedale di Ornago. Da 2001 al 2007 dirigente 1° livello presso l’U.O.C. di Pneumologia del Presidio ospedaliero di Vimercate. Dal 2008 Direttore Sanitario della struttura poliambulatoriale Polimedica Brianza. Campi d’interesse: Fisiopatologia respiratoria ed endoscopia bronchiale.

Nato il 7/9/1960, laureato in Medicina e Chirurgia nell’ottobre 1985, specializzato in Tisiologia e malattie dell’apparato respiratorio nel luglio 1988, specializzato in Chemioterapia nel 1991. Assistente dal 1988 al 1991 presso la Divisione di Pneumologia dell’Ospedale di Ornago e successivamente fino al 2000 in qualità di aiuto primario. Dirigente 1° livello presso l’U.O.C di Pneumologia del Presidio ospedaliero di Vimercate dal 2000 al 2007. Dal 2008 responsabile della struttura poliambulatoriale Polimedica Brianza. Campi d’interesse: Fisiopatologia respiratoria, polisonnografia.


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QUATTRO CHIACCHIERE CON L’EQUIPE DELLA SAN GAUDENZIO

INNOVAZIONE IN ORTOPEDIA: IL PARERE DEI PROFESSIONISTI e articolazioni sono simili a ingranaggi che, come in una macchina, nel corso della vita vanno incontro a “consumo”. Causa principale di questa usura, che riguarda in particolare la cartilagine, è l’artrosi: il rivestimento cartilagineo inizia infatti a consumarsi e di conseguenza l’osso sottostante mette in atto meccanismi di compensamento, che portano al dolore e alla progressiva impotenza funzionale, con il proseguire dell’usura, le possibilità di movimento si riducono. Oltre all’artrosi, che riguarda le persone più anziane, anche nei giovani che fanno attività sportiva molto intensa le articolazioni possono subire danni. Oggi grazie alla chirurgia mininvasiva e alle protesi è possibile, a qualsiasi età, intervenire in modo personalizzato e “su misura”. Superspecializzazione e un team di chirurghi di livello, con esperienze in Italia e all’estero, che agiscono in modo sinergico nella stessa direzione: offrire la cura migliore, più aggiornata e meno invasiva possibile. È questo l’obiettivo del GOA, Gruppo Ortopedici Associati, fondato dal Dottor Augusto Palermo, a Novara presso la Clinica San Gaudenzio. La necessità è quella di aggregare chirurghi specializzati in diversi campi dell’ortopedia in modo da offrire al paziente un trattamento di elezione. Cosa si intende per chirurgia mininvasiva? Quali sono le tecniche

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IL DOTTOR AUGUSTO PALERMO RESPONSABILE DELL’UNITÀ DI ORTOPEDIA DELLA CLINICA SAN GAUDENZIO A NOVARA

SUPERSPECIALIZZAZIONE E UN TEAM DI CHIRURGHI DI LIVELLO, CON ESPERIENZE IN ITALIA E ALL’ESTERO, CHE AGISCONO IN MODO SINERGICO E NELLA STESSA DIREZIONE: OFFRIRE LA CURA MIGLIORE, PIÙ AGGIORNATA E MENO INVASIVA POSSIBILE. È QUESTO L’OBIETTIVO DEL GOA, GRUPPO ORTOPEDICI ASSOCIATI

più innovative? Ne abbiamo parlato con il dottor Augusto Palermo, il dottor Giuseppe Calafiore, il dottor Mario Rossoni, il Dottor Roberto Simonetta, e la Dottoressa Annalisa Ascia, responsabili rispettivamente di chirurgia dell’anca, del ginocchio ,della spalla e della patologia capsulolegamentosa di ginocchio del GOA. «Una volta si identificava la chirurgia mininvasiva con una chirurgia che facesse tagli piccoli -spiega il dottor Palermo - Oggi questo concetto è stato rivisitato a favore di una chirurgia che risparmi il tessuto osseo e le strutture nobili. La qualità dell’accesso chirurgico ora è la priorità». Più che la dimensione dell’incisione è quindi importante il rispetto dei muscoli. E questo vale a tutti i livelli, sia per l’artroscopia sia per la chirurgia protesica. «Nel mio campo, quello della protesi all’anca, l’intervento si rende necessario nel 95% dei casi a causa dell’artrosi e quindi in soggetti anziani. Dalla prima protesi di 40 anni fa, abbiamo assistito a una grandissima evoluzione più che nel design, nei materiali» continua Palermo. La protesi d’anca è costituita da alcuni elementi che sostituiscono funzionalmente le due componenti acetabolare e femorale dell’articolazione fisiologica: il cotile (o coppa) e lo stelo su cui è fissata una testina. «Il teflon inizialmente usato nelle protesi è stato presto sostituito dal polietilene, un polimero più resistente dal punto di vista biomeccanico. La ricerca inoltre si è concentrata sui migliori accoppiamenti di materiali tra testa e cotile, quelli cioè che provocavano la minor produzione di detriti. Una volta ridotto il problema dei detriti, si è poi potuto gradualmente aumentare e modificare la testa, aumentandone il diametro in modo da garantire maggiore stabilità e funzionalità articolare». La partita quindi si gioca sui materiali. Ma non solo. «È importante selezionare il tipo di impianto in base al paziente, alla sua età e alle performance richieste, sempre però eseguendo un accesso chirurgico accurato che, come detto, risparmi i tessuti il più possibile», conclude Palermo.


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OGGI SI CERCA DI PERSONALIZZARE L’IMPIANTO IL PIÙ POSSIBILE, SCEGLIENDO IN BASE ALL’ETÀ DEL PAZIENTE E ALLA COLLOCAZIONE E AL GRADO DELL'ARTROSI, SCEGLIENDO PROTESI MONOCOMPARTIMENTALI, BICOMPARTIMENTALI O TOTALI, CIOÈ SOSTITUENDO SOLO UNA PARTE, DUE ELEMENTI OPPURE TUTTA L’ARTICOLAZIONE NEL COMPLESSO

L’EQUIPE DEL GOA AL COMPLETO: DA SINISTRA LA DOTTORESSA ANNALISA ASCIA, IL DOTTOR AUGUSTO PALERMO, IL DOTTOR GIUSEPPE CALAFIORE, IL DOTTOR SALVATORE CANNIZZARO E IL DOTTOR ROBERTO SIMONETTA

Il risparmio dei tessuti è una priorità anche quando si interviene sull’articolazione del ginocchio. «Anche per il ginocchio oggi si cerca di conservare i tessuti il più possibile, scegliendo vie di accesso sempre meno invasive», spiega il dottor Calafiore. «Ad esempio, in alcuni casi passiamo al di sotto di tutto l’apparato estensore, un accesso poco invasivo. Questo è importante perché permette recuperi molto più veloci, anche se non bisogna dare false illusioni: per quanto risparmi i tessuti, la chirurgia protesica è comunque invasiva. Dopo l’intervento infatti il processo di adattamento biologico dell’articolazione ha bisogno di qualche mese». Come per le protesi d’anca, anche nel campo delle protesi del ginocchio, sperimentate per la prima volta negli Stati Uniti negli anni ‘60, si sono fatti passi da gigante. «Inizialmente si trattava di protesi cosiddette a cerniera, che sono state abbandonate perchè andavano incontro a scollamento e davano scarsa mobilità al ginocchio. La rivoluzione è arrivata con la protesi a scivolamento che è

caratterizzata da ottima funzionalità e durata. Oggi si cerca di personalizzare l’impianto il più possibile, scegliendo in base all’età del paziente e alla collocazione e al grado dell'artrosi, scegliendo protesi monocompartimentali, bicompartimentali o totali, cioè sostituendo solo una parte, due elementi oppure tutta l’articolazione. Quelle monocompartimentali, in particolare, rivestendo solo il “settore” danneggiato, possono essere impiantate attraverso incisioni di pochi centimetri e sono quindi mininvasive». Interventi personalizzati sono anche quelli che oggi si eseguono per problemi alla spalla. L’inserzione di protesi a causa di artrosi (primitiva o secondaria alla rottura di tendini), è un’evenienza molto meno frequente (10%) nell’ambito delle patologie della spalla. Come per il ginocchio, anche in questi casi, la chirurgia protesica si effettua con tecniche di incisione cutanee (tecniche “open”), così come in casi di altre patologie non frequenti della spalla (ad esempio nell’effettuare transfer muscolari per sostituire unità muscolo tendinee lesionate e non più riparabili). La maggior parte degli interventi viene invece svolta utilizzando tecniche miniinvasive artroscopiche (80%). «Interveniamo su pazienti di tutte le fasce di età, da quella giovanile a quella pre senile - spiega il dottor Rossoni - I pazienti giovani in genere presentano sindromi da sovraccarico o dovute a traumi sportivi. Quando le lesioni sono solo legamentose, come nel caso del portiere Gianluigi Buffon per esempio, si interviene in artroscopia per riparare i legamenti. Se alla lesione dei legamenti invece si associa una lesione ossea, prima è necessario sintetizzare l’eventuale frattura o sostituire la quota mancante di osso con altro prelevato dalla regione adiacente della spalla». «Nell’età centrale, cioe tra i 40 e i 50 anni, oltre alle patologie da sovraccarico, sono molto frequenti le tendinopatie calcifiche. In questi casi hanno preso campo tecniche come le onde d’urto e ’agoaspirazione ecoguidata. In questa fascia si cominciano a osservare poi tendinopatie anche importanti in cui i tendini si assottigliano fino a rompersi parzialmente o totalmente. Se si interviene per tempo si può rimediare in artroscopia, “ricucendo” il tendine» conclude Rossoni. Nuove tecniche, interventi mininvasivi e sempre più personalizzati: è questo il futuro dell’ortopedia.


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UNA GRANDE SFIDA AFFRONTATA CON TANTA PASSIONE

SANTA RITA: LA NUOVA INTERNISTA RACCONTA LA SUA ESPERIENZA a medicina interna nella sua prima collocazione si occupava della prevenzione, diagnosi e terapia non chirurgica relativamente a tutti gli organi e apparati, quali: l'apparato respiratorio, l'apparato cardiovascolare, l'apparato digerente, reni, organi formativi di sangue, sistema metabolico e organi a secrezione interna, e inoltre: malattie infettive, malattie allergiche e immunologiche, malattie dell'apparato muscolo scheletrico e del tessuto connettivo. Essa nacque con l'intenzione di introdurre nella pratica medica una connotazione di tipo accademico con la formazione di una classe di medici che potesse fungere da consulenti di altri specialisti. La medicina interna nasce come contrapposizione alla chirurgia, come la medicina che cura la malattia da dentro, dall'interno del corpo, di solito con i farmaci, a differenza della chirurgia che tratta le malattie da fuori, con interventi chirurgici. È stato il tronco da cui sono derivate, a partire dalla seconda metà del XX secolo, tutte le specializzazioni relative: Pneumologia, cardiologia, gastroenterologia, nefrologia, ematologia, endocrinologia, malattie infettive e ancora immunologia clinica, reumatologia Con il definirsi delle varie specialità la medicina interna è entrata in crisi e la colpa può essere equamente distribuita sia al territorio che ha confuso la medicina interna con la medicina generale, sia agli organi competenti che hanno favorito le specialità spesso

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LA DOTTORESSA ALDA CRIPPA NUOVA INTERNISTA DELLA CLINICA SANTA RITA DI VERCELLI

«LA MEDICINA INTERNA NASCE COME CONTRAPPOSIZIONE ALLA CHIRURGIA, COME LA MEDICINA CHE CURA LA MALATTIA DA DENTRO, DALL'INTERNO DEL CORPO, DI SOLITO CON I FARMACI, A DIFFERENZA DELLA CHIRURGIA CHE TRATTA LE MALATTIE DA FUORI, CON INTERVENTI CHIRURGICI»

confondendo l'unicità con l'eccellenza, e anche agli internisti stessi che non sono stati in grado di trasmettere sia ai pazienti sia alle ammistrazioni sia agli organi di gestione il ruolo speciale di questa specialità sebbene rappresenti l'ideale del medico universale scientifico e umanista di cui la società ha bisogno. Purtroppo molti internisti lavorano in servizi di emergenza, guardie e in lavoro interinale e altri internisti, tra i più validi, hanno tradito la propria formazione: si sono specializzati di fatto con l'esperienza e si sono per così dire orientati, spesso con eccellenti risultati. Se dal punto di vista pratico sembra svuotata la figura dell'internista, al contrario mantiene un ruolo importantissimo a livello dell'insegnamento universitario, formando i medici di base che costituiscono la categoria maggiormente rappresentata nel sistema sanitario. Altri paesi più pratici hanno cambiato rotta e hanno saputo riconoscere il ruolo fondamentale della medicina interna per un professionista di qualità; in particolare gli organi accademici degli Stati Uniti hanno stabilito che tutti gli specialisti debbano passare due anni in un dipartimento di medicina interna e solo dopo si superspecializzano ritenendo che il seme dello studio continuo che viene instillata in medicina interna si trasferisca in tutti i professionisti. Diversamente il nascere delle varie specialità non si trasforma in un vantaggio per il paziente se gli esperti non si rendono responsabili dei casi che cadono al di fuori della zona della loro competenza particolare. Accade spesso che lo stesso paziente venga sottoposto a visite di più specialisti da cui riceve cure, con approcci diversi e talvolta contraddittori. L'internista è visto in molti ospedali come il medico dei pazienti "scartati" da altri specialisti quando il quadro clinico è tale da non poter effettuare una scelta specialistica elettiva. L'internista è diventato così lo specialista del problema complesso ovvero del paziente con molti problemi di pertinenza


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«UN SERVIZIO DI MEDICINA INTERNA, UTILIZZATO A PIENA CAPACITÀ È IN GRADO DI GESTIRE IL 90% DELLA PATOLOGIA MEDICA DI UN OSPEDALE. ALLA CLINICA SANTA RITA HO TROVATO SUPPORTI TECNICI AVANZATI E COMPETENZE SPECIALISTICHE DI QUALITÀ CHE MI FANNO BEN SPERARE DI RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI CHE OGNI INTERNISTA SI PONE»

LA STRUTTURA DELLA CLINICA SANTA RITA È ALL’AVANGUARDIA PER TECNOLOGIE E KNOW HOW

specialistica diversa, esempi classici: il diabetico iperteso con insufficienza renale, il cardiopatico con problemi infettivi, il neoplastico in fase aplastica, l'ictus con Tvp, l’iperteso, il diabetico con problemi di nutrizione con polmonite ab ingestis, e via di seguito; oppure dei pazienti con sintomi di oscura origine: proteinuria, artrite, rush cutanei, febbre ed edemi. È importante anche differenziare in modo sia pure grossolano le età dei pazienti perchè diversa è la presentazione del problema complesso. Anche le branche chirurgiche richiedono a volte l'assistenza internistica sia nella fase preparatoria che in alcune complicanza post-operatorie: nell'età avanzata una cardiopatia cronica fin allora tollerata può presentare episodi di aritmia e/o sfociare in scompenso circolatorio; l'allettamento può complicare una Broncopatia cronica con

comparsa di insufficienza respiratoria e così ad ogni età si può avere un peggioramento di una funzione renale ridotta, complicanze legate al diabete, a coagulopatie, a patologie ormonali preesistenti che determinano disordini del metabolismo idro-elettrolitico ed acido base che si traducono per lo più con disturbi cardiaci e aritmici «Un servizio di medicina interna - racconta la dottoressa Alda Crippa - utilizzato a piena capacità è in grado di gestire il 90% della patologia medica che raggiunge l'ospedale, e con il supporto dei servizi centrali del centro e di un gruppo minimo di superspecialisti (endoscopisti, radiologo interventista, etc) fino al 95% delle patologie mediche di un ospedale generale. Sono gli specialisti quindi più versatili, meglio addestrati e più efficienti in termini economici di tutte le specialità». In qualsiasi ospedale, anche piccolo, possono mancare alcune specialità, ma deve sempre esserci un servizio di medicina interna. «Alla Clinica Santa Rita - continua la dottoressa Crippa - ho trovato supporti tecnici avanzati e competenze specialistiche di qualità che mi fanno ben sperare di raggiungere gli obiettivi che ogni internista si pone e che si possono riassumere in pochi punti : integrata e globale assistenza clinica dei pazienti in ospedale; guida del malato nel suo percorso diagnostico/terapeutico, dirigendo e coordinando gli strumenti e gli altri specialisti necessari per una diagnosi e un trattamento adeguato e in ultimo luogo rappresentare l'esperto a cui il medico di base si rivolge prima che ad altri specialisti per la cura di pazienti complessi la cui diagnosi è difficile o quando il paziente è affetto da varie malattie o presenta sintomi che fanno riferimento a più organi apparati o sistemi. Nel breve periodo ho potuto assistere pazienti con le malattie più comuni internistiche ma anche malattie infettive, insufficienza cardiaca congestizia, malattia venosa tromboembolica, malattie reumatiche e autoimmuni tra cui vasculiti con Glomerulofriti, ittero, particolari presentazioni ormonali come un caso di SIADH associato a polmonite da Chlamydia oltre a indagini su alterazioni ematologiche e di decadimento organico con evidenza di patologie neoplastiche spesso in stadio di scarso margine di miglioramento. Rimango sempre convinta che fare l'internista è il lavoro più bello dell'intero campo medico».


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COME PREVENIRE I TUMORI SEMPLICEMENTE MANGIANDO

NUTRACEUTICA: QUANDO CIBO FA RIMA CON PREVENZIONE tilizzare i cibi come farmaci, ponendo l’alimentazione come punto cardine nella prevenzione delle patologie più gravi, come tumori, diabete e disturbi cardiovascolari. È questa la missione del professor Alberto Gramaglia, responsabile del Servizio di Radioterapia del Policlinico di Monza. Una missione che trova il suo sviluppo nella nutraceutica, ovvero quella branca degli studi sull’alimentazione che porta a scoprire quali siano gli alimenti che possiedono effetti benefici sul corpo umano. Proprio questi argomenti sono stati al centro di un convegno organizzato dal Comune di Cesano Maderno lo scorso 22 maggio a Palazzo Arese Borromeo, al quale hanno partecipato, oltre al professor Gramaglia anche il dottor Vincenzo Cerreta, il dottor Dino Ceppodomo e il dottor Gianfranco Baronzio. Il termine nutraceutica fu utilizzato per la prima volta nel 1989 dal dottor Stephen De Felice e contiene al suo interno la fusione tra i termini “nutrizione” e “farmaceutica”. Un vocabolo che possiede quindi già dentro di sè il concetto che vuole esprimere. Gli studi sull’alimentazione hanno però in realtà una storia antichissima. Basti pensare che quando la medicina era ancora un’attività basata sull’osservazione in luogo della ricerca scientifica già esistevano studi sull’utilizzo degli alimenti come medicinali. Per esempio nella medicina tradizionale cinese o indiana. Tradizioni che sono state oggi recuperate in qualità di “medicine alternative”, come quella ayurvedica o quella omeopatica. Questo tipo

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IL PROFESSOR ALBERTO GRAMAGLIA RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI RADIOTERAPIA DEL POLICLINICO DI MONZA E STUDIOSO DI NUTRACEUTICA: OVVERO COME UTILIZZARE L’ALIMENTAZIONE AL SERVIZIO DELLA PREVENZIONE ONCOLOGICA

IL TERMINE NUTRACEUTICA FU UTILIZZATO PER LA PRIMA VOLTA NEL 1989 DAL DOTTOR STEPHEN DE FELICE E CONTIENE AL SUO INTERNO LA FUSIONE TRA I TERMINI «NUTRIZIONE» E «FARMACEUTICA». UN VOCABOLO CHE POSSIEDE QUINDI GIÀ DENTRO DI SÈ IL CONCETTO CHE VUOLE ESPRIMERE

di utilizzo degli alimenti nasceva dalla considerazione, derivata appunto dall’osservazione, che gli alimenti sono delle sostanze che vengono inserite all’interno dell’organismo. Sempre l’osservazione dello sviluppo di alcune particolari patologie nella storia dell’umanità ci porta ad osservare come l’alimentazione giochi un ruolo fondamentale nella salute degli individui. Per esempio l’ampia diffusione della gotta tra le classi nobili ed agiate dell’età moderna fu probabilmente causata dagli eccessi alimentari di quelle generazioni, così come, per contro, lo fu l’espansione della pellagra tra le classi più disagiate. Un altro esempio lampante puuò essere rappresentato dalla bassa incidenza del carcinoma del colon in alcune popolazioni africane, là dove il consumo di carne rossa è più ridotto per motivi prevalentemente socioeconomici. Interessante è poi notare come i primi farmaci utilizzati nel cammino dell’umanità furono proprio degli alimenti: le erbe. La nutraceutica attuale è però qualcosa di diverso: si tratta in sostanza di un’approccio di tipo scientifico nello studio delle problematiche alimentari, per individuare quali siano gli alimenti che possono rendere migliore la qualità (e le aspettative) di vita degli esseri umani, una scienza nuova che studia tutti quei componenti nutrizionali attivi, accuratamente selezionati, che hanno proprietà curative. Un campo di ricerca che negli ultimi anni ha fatto passi da gigante. «Col passare del tempo – spiega il professor Alberto Gramaglia – si è sempre più evidenziato che a causare le peggiori patologie sono le cattive abitudini alimentari. Detto in maniera manichea si potrebbe così affermare che sono stati individuati alimenti buoni che aiutano a conservare un buono stato di salute e alimenti cattivi che provocano a lungo andare disturbi e malattie. Se questo discorso consente di migliorare lo stato generale di salute della popolazione, andando a ridurre l’incidenza di cardiopatie, tumori e diabete, studiato con attenzione può portare ad impostare delle vere e proprie terapie di prevenzione utilizzando gli alimenti come farmaci per diminuire il tasso


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LE ALGHE ROSSE HANNO EFFETTI POSITIVI SULLE ALLERGIE

di patologie degenerative e la formazione di tumori». Ma la nutraceutica non è che il primo passo all’interno di un nuovo percorso di ricerca. “Sulla scia degli studi sulla nutraceutica – continua infatti il professor Gramaglia – si è poi inserita quella che viene definita “nutragenomica”, ovvero lo studio dei geni di ciascun paziente per osservare quali sono gli alimenti studiati su misura per il suo dna. Tuttavia la nutraceutica ha già ragione d’esistere di per sè in quanto, come già detto, sono già stati individuati quali siano gli alimenti migliori ma non solo. La ricerca ha infatti stabilito anche quale sia il miglior modo di cucinare questi alimenti. In sostanza l’obiettivo di questi studi, detto in parole povere, è quello di insegnare al paziente come mangiare». Ma qual’è dunque, alla luce di queste considerazioni, la dieta migliore da seguire? “Sicuramente – spiega Gramaglia – è una dieta di tipo ancestrale. Questo perché gli esseri

MA QUAL’È DUNQUE, ALLA LUCE DI QUESTE CONSIDERAZIONI, LA DIETA MIGLIORE DA SEGUIRE? «SICURAMENTE – SPIEGA IL PROFESSOR ALBERTO GRAMAGLIA – È UNA DIETA DI TIPO ANCESTRALE, BASATA SU VERDURE, PESCE CRUDO O CARNI APPENA SCOTTATE E BACCHE»

umani, prima della nascita di una società di tipo moderno, prima di disporre delle sofisticazioni alimentari di cui noi oggi disponiamo, vivevano sostanzialmente come cacciatoriraccoglitori. Quindi gli alimenti più facili da reperire in natura per i nostri antenati erano determinate tipologie di bacche, pesce, che veniva consumato crudo, e verdure coltivate con concimi assolutamente naturali”. Bisogna in sostanza tornare ad un alimentazione naturale. «Esattamente - spiega Gramaglia – un concetto basilare per esempio è anche quello della reperibilità degli alimenti. Una delle mode attuali è quella dell’importazione di cibi esotici, per lo più frutti come ananas, mango o papaya. Ma questi frutti non crescono in maniera naturale perché maturano in lunghi viaggi via nave. I nostri avi mangiavano quello che il loro ambiente offriva loro. Non potevano permettersi ad esempio di mangiare carne rossa una volta ogni due giorni, di cuocere gli alimenti di continuo o di conservarli. Dovremmo insomma essere un po’ più responsabili. Mangiare carboidrati integrali piuttosto che ad assunzione rapida, perché più naturali e perchè il loro assorbimento più lento consente di immagazzinare solopiccole quantità di zuccheri . Mangiare carne con moderazione, magari quella bianca due volte a settimana e quella rossa una volta ogni due-tre settimane, sempre e comunque con una cottura non esagerata, e possibilmente tanto pesce crudo, ovviamente solo se fresco, proprio come facevano i nostri antenati». Negli ultimi tempi, soprattutto in campo sportivo, è invece emersa con grande prepotenza la tendenza ad effettuare diete iperproteiche. «Ma in realtà – chiarisce il professore – non esistono diete iperproteiche che abbiano effetti benefici, così come non esistono diete ipervegetariane. Regimi alimentari di questo tipo portano solamente a degli squilibri e, solo per citare un esempio, a un aumento delle allergie. La scelta migliore è quella di restare nell’ambito del polimorfismo alimentare. Si sente spesso parlare degli effetti benefici della verdura e sono considerazioni corrette anche se non si può basare una dieta solamente sulla verdura. La frutta invece va dosata con cautela perché ricca di zuccheri. I frutti migliori sono le bacche scure, che venivano mangiate dai nostri avi e che contengono sostanze benefiche per i vasi sanguigni».


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«LO ZUCCHERO – SPIEGA GRAMAGLIA – È STATO UNA PESSIMA SCOPERTA PER LA NOSTRA SOCIETÀ. ANZI, SI PUÒ CONSIDERARE TRANQUILLAMENTE COME UNO DEI PEGGIORI NEMICI DI UNA BUONA DIETA»

IL SUSHI: UN ALIMENTO PERFETTO PER LA SALUTE

Gli zuccheri sono quindi un elemento così negativo? «Lo zucchero – spiega il professore – è stato una pessima scoperta per la nostra società. Anzi, si può considerare tranquillamente come uno dei peggiori nemici di una buona dieta». Dunque un’alimentazione sbagliata è correlata in modo così stretto con patologie gravi come i tumori? «Sì. In sostanza la salute del nostro organismo gira attorno a un meccanismo molto semplice per cui abitudini alimentari errate, se protratte per un lungo periodo generano malattie gravi come appunto i tumori, le patologie cardiovascolari e il diabete, ma non solo. Se queste sono sicuramente malattie che distruggono la qualità della vita di una persona, o che addirittura possono portare alla morte, una cattiva alimentazione come quella dell’uomo moderno può portare anche ad altre patologie minori ma pur sempre distruttive come le allergie. Una persona allergica è sostanzialmente un’individuo costretto a una patologia cronica per quattro-cinque mesi ogni anno. In pratica queste persone passano metà della loro esistenza da malati e pur magari non avendo mali più gravi non possono certamente essere definite persone sane».

Un altro alimento estremamente benefico per il corpo umano e per la lotta alle allergie sono le alghe. «Si è studiato che alcune popolazioni che si cibavano di particolari tipologie di alghe rosse e pesci pescati in mari freddi registravano una minore incidenza di diversi tipi di allergie. Inoltre si è visto come queste alghe riuscissero anche a migliorare le allergie stesse. E’ illuminante in questo senso il caso di alcune famiglie che abitavano i villaggi sul canale della manica, che per ovvie ragioni negli anni del secondo conflitto mondiale si trovarono ad alimentarsi di alghe rosse. Si scoprì in seguito che queste persone godevano di un migliore rendimento respiratorio rispetto ad altre. Ma altri esempi potrebbero essere alcune popolazioni dell’India o del Giappone che, abituate a consumare alghe e pesce crudo, hanno una vita media molto più elevata rispetto a quella di popolazioni occidentali. In quella parte di mondo non è infrequente incontrare individui centenari. E quando parlo di centenari mi riferisco a persone sì segnate dal peso degli anni ma nel pieno delle capacità mentali e fisiche». Negli ultimi anni anche in occidente è esplosa la moda del sushi, un alimento composto, oltre che dal riso, proprio da alghe e pesce crudo. «Il sushi – commenta il professore – può essere considerato sicuramente un alimento completo e salutare. Ma anche chi non gradisse la cucina orientale può benissimo cucinare del pesce crudo o leggermente scottato con del riso». Ma gli studi del professor Gramaglia, non si fermano qui. In programma c’è infatti anche un viaggio in Ecuador. «Parliamo di popolazioni molto interessanti, che spesso hanno un’ottima longevità – conclude il professore – Si tratta di individui che mangiano poco e bene e che lavorano poco e per tutta la vita. È chiaro che nella nostra società è ormai impossibile replicare quelle condizioni. Ma quello che noi cerchiamo di insegnare è semplicemente uno stile di vita più salutare. Anche gli strappi alla regola, come una carne rossa o un fritto, si possono fare, basta che siano pur sempre delle eccezioni. Anzi, mangiati in casi isolati questi alimenti forniscono al fisico quella necessaria capacità di reazione che lo fortifica. Insomma dai pazienti non pretendiamo una vita monacale o di sacrifici, ma solo più responsabile».


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PREVENZIONE E DIAGNOSI PRECOCE DEI TUMORI DEL COLON

ALLA CLINICA SANTA RITA L’ENDOSCOPIA È D’AVANGUARDIA Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva operante presso la Clinica Santa Rita di Vercelli, diretta dal professor Attilio Giacosa, ha attivato un ampio programma di diagnostica e interventistica coloscopica per favorire la prevenzione e la riduzione della mortalità per cancro del colon e retto (CRC). Il cancro del colon-retto (CRC) è una delle neoplasie a più elevata morbosità e mortalità nei Paesi occidentali; essa infatti rappresenta la seconda causa di morte per tumore sia nell’uomo che nella donna nel Nord America e nell’Europa occidentale. In Italia ogni anno vengono diagnosticati 20.457 nuovi casi di tumore al colon retto fra i maschi e 17.276 fra le femmine. Il rischio di avere una diagnosi di cancro al colon nel corso della vita (fra 0 e 74 anni) è di 50,9 ‰ fra i maschi (1 caso ogni 20 uomini) e di 31,3 ‰ fra le femmine (1 caso ogni 32 donne), mentre il rischio di morire è del 17,3 ‰ per i maschi e del 10,0 ‰ fra le femmine. Nonostante questa sia anche una delle neoplasie con maggiore possibilità di cura nel caso in cui la diagnosi venga fatta precocemente, purtroppo l’adesione ai programmi di screening, è ancora limitata (negli USA, dove il problema è

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IL PROFESSOR ATTILIO GIACOSA, RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI GASTROENTEROLOGIA DELLA CLINICA SANTA RITA DI VERCELLI

LO SVILUPPO DI UN TUMORE DEL COLON È UN PROCESSO A PIÙ FASI CHE TRANSITA ABITUALMENTE ATTRAVERSO LA FORMAZIONE E IL PROGRESSIVO AUMENTO DI VOLUME DI UN POLIPO, CON EVOLUZIONE BIOLOGICA SINO ALLA DISPLASIA SEVERA E POI AL CANCRO INVASIVO E DA ULTIMO ALLA METASTATIZZAZIONE

stato studiato a fondo, solo il 39% dei tumori viene riconosciuto allo stadio I e II quando sono ancora completamente asintomatici e localizzati ed il tasso di sopravvivenza a cinque anni è del 90%). Per l’anno 2010 sono previsti in Italia circa 34.000 nuovi casi di cancro del colon e del retto, di cui il 50% saranno deceduti entro 5 anni dal momento della diagnosi . La diagnosi del CCR non sempre avviene in stadio precoce, quando cioè l’intervento chirurgico potrebbe portare a guarigione il paziente. È ormai ampiamente dimostrato che i metodi di screening, dalla ricerca del sangue occulto nelle feci ai metodi endoscopici o alla combinazione di ambedue, permette di diagnosticare più del 50% di CCR in uno stadio più precoce, quindi suscettibile di guarigione con conseguente riduzione della mortalità. La rimozione degli adenomi mediante polipectomia endoscopica riduce in maniera statisticamente significativa l'incidenza del carcinoma. La polipectomia ha manifestato nel corso degli anni evoluzioni tecnologiche molto significative che hanno condotto alla attuale possibilità di rimozione di lesioni polipoidi anche se di dimensioni molto voluminose o di lesioni neoplastiche in fase non PATOLOGIE CON RISCHIO AUMENTATO DI CRC Malattie infiammatorie intestinali Malattia di Crohn Colite ulcerosa Poliposi adenomatose Poliposi familiare (FAP) Sindrome di Gardner Cancro colo-rettale ereditario non-poliposi (HNPCC) Sindrome di Lynch I Sindrome di Lynch II Anamnesi familiare di: Carcinoma colo-rettale Adenoma colo-rettale in età inferiore a 60 anni Anamnesi personale di: Adenoma colo-rettale Carcinoma colo-rettale Cancro del seno, utero ed ovaio


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PER LA RIMOZIONE ENDOSCOPICA DI POLIPI VOLUMINOSI E DI LESIONI TUMORALI INIZIALI SONO OGGI DISPONIBILI TECNICHE DI MUCOSECTOMIA E ABLAZIONE DEL IN BLOCCO CON DISSEZIONE SOTTOMUCOSA, CON IMPIEGO DI TECNOLOGIE MOLTO INNOVATIVE (BALLOON OVERTUBE, FLEX KNIFE, DUAL KNIFE). A FIANCO LO SCHEMA ESEMPLIFICA L’IMPIEGO DEL PALLONE E DEL KNIFE OPERATIVE PER ENDOSCOPICO

avanzata. Queste tecniche richiedono operatori particolarmente esperti, data la loro complessità operativa e sono caratterizzate dalla mucosectomia endoscopica (EMR) e dalla dissezione sottomucosa (ESR). Lo screening del carcinoma colo-rettale è quindi al momento l'unico mezzo che permette di ridurre non solo la mortalità ma anche l'incidenza della neoplasia. La dimostrazione di una reale efficacia dello screening del carcinoma colo-rettale è stata dimostrata già da 15 anni con la pubblicazione di studi randomizzati e casocontrollo che hanno dimostrato una riduzione significativa della mortalità nella popolazione sottoposta a ricerca di sangue occulto fecale annualmente o biennalmente

(e successiva colonscopia ) in una percentuale variabile dal 33 % al 18 % a seconda delle metodiche impiegate. Nei soggetti a rischio intermedio (ovvero asintomatici con età uguale o superiore a 50 anni), la strategia preventiva deve prevedere la ricerca di sangue occulto fecale ogni anno con coloscopia nei positivi oppure l’effettuazione di colonscopia ogni 10 anni a partire dai 50 anni. Invece, nei soggetti a rischio aumentato la raccomandazione più accreditata è di iniziare lo screening all’età di 40 anni e comunque 10 anni prima rispetto all’età del parente più giovane affetto e ripetere la coloscopia ogni 3 -5 anni. Soltanto la crescita dell’informazione della popolazione, lo sviluppo di pragrammi di screening e la collaborazione fra medici di medicina generale e gastroenterologi – endoscopisti potrà rendere possibile la riduzione della incidenza e mortalità per tumore del colon e retto. Il ruolo preventivo primario è correlato alla attuazione dell’indagine coloscopica, nei tempi e nei modi sopracitati. I due fattori limitanti per l’effettuazione dell’indagine sono rappresentati dal timore che molti pazienti hanno di sentir dolore e per la difficoltà incontrata nella preparazione intestinale precedente all’indagine. Oggi tuttavia è possibile attivare programmi di pulizia intestinale molto semplici e poco fastidiosi così come è possibile evitare ogni tipo di dolore mediante l’impiego di tecniche di sedazione cosciente gestibili in via ambulatoriale, senza ricorso all’anestesista e senza rischi.

LE INDAGINI BIOLOGICHE SU MATERIALE EMATICO PER LA DIAGNOSI PRECOCE DEL CANCRO DEL COLON SONO SCARSAMENTE EFFICACI: NUOVE IPOTESI STANNO NASCENDO PER L’UTILIZZO DI BIOMARKERS GENETICI IN FASE DI SPERIMENTAZIONE. L’UNICO DATO VALIDO È LEGATO ALLA RICERCA DI SANGUE OCCULTO FECALE OGNI ANNO IN TUTTI I SOGGETTI ASINTOMATICI DI ETÀ SUPERIORE AI 50 ANNI E SUCCESSIVA COLOSCOPIA NEI SOGGETTI POSITIVI AL TEST.

LA COLOSCOPIA E IDENTIFICAZIONE DI POLIPI E DI TUMORI IN STADIO PRECOCE COSTITUISCE LA METODICA ESSENZIALE PER LA RIDUZIONE DELLA MORTALITÀ DA TUMORE DEL COLON


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Calendario Sede di Verano Brianza 25 giugno 2010 01 ottobre 2010 Accanimento terapeutico: cure di fine vita e rifiuto delle cure – aspetti medicodeontologici Approfondire e distinguere i concetti di accanimento terapeutico, di testamento biologico, di diritto al rifiuto delle cure e di eutanasia nell’ordinamento legislativo, giuridico e deontologico italiano. 8 crediti ECM 13-14 luglio 2010 26-27 ottobre 2010 Prevenzione di malattie cardiovascolari Il corso è finalizzato ad introdurre i partecipanti ai principali argomenti di prevenzione in cardiologia, con particolare riferimento agli aspetti epidemiologici ed ai principali fattori legati agli stili di vita personali modificabili e non modificabili. Inoltre ci si propone di far acquisire ai partecipanti conoscenze specifiche sui determinanti di salute

Tutti i corsi sono in fase di accreditamento presso il sistema ECM di Regione Lombardia

cardiovascolare in modo da pianificare interventi di educazione sanitaria mirati su una stima del rischio cardiovascolare globale del soggetto/paziente. 16 crediti ECM

01-02-15-16-29-30 ottobre 2010 Corso di drenaggio linfatico manuale Acquisire competenze e tecniche per la pratica del linfodrenaggio. 48 crediti ECM

20-21 settembre 2010 Prevenzione di malattie infettive Individuare i determinanti di salute e di malattia e i fattori di rischio, sia in ambito comunitario (ospedale, case di riposo, RSA) che territoriale. Identificare gli aspetti che nell’esercizio della professione possono costituire fattori di rischio per l’operatore stesso. Utilizzare strumenti teorici per valutare il ruolo dell’ambiente e degli stili di vita sulla salute umana. Descrivere le caratteristiche del ruolo educativo per la prevenzione e diffusione delle malattie infettive. Conoscere gli strumenti di prevenzione più idonei per la tutela della salute nelle diverse realtà operative assistenziali. 16 crediti ECM

02 ottobre 2010 Il sistema di qualità nel laboratorio analisi Il presente percorso formativo è finalizzato all’acquisizione da parte dei partecipanti delle seguenti competenze: - Predisporre e soprattutto applicare con competenza le procedure per la gestione del laboratorio analisi in termini di processo (organizzazione) - Implementare e utilizzare un Sistema Qualità nei laboratori analisi - Attuare una valutazione critica del dato analitico di performance del laboratorio. 8 crediti ECM 09 ottobre 2010 Linee guida per il buon uso del sangue e degli emoderivati: plasma, piastrine e albumina

Implementare le conoscenze del personale sanitario sulla corretta gestione del sangue e degli emoderivati; Aggiornare gli operatori sulla responsabilità penale/personale derivante dagli errori effettuati durante le varie fasi del processo di gestione degli emoderivati. 8 crediti ECM 12 ottobre 2010 Metodiche di depurazione extra renale (emodialisi, emofiltrazione, dialisi peritoneale) Accrescere nel personale sanitario le conoscenze circa le tecniche di depurazione extrarenale, e una più adeguata gestione del paziente affetto da insufficienza renale. 8 crediti ECM 14-15 ottobre 2010 15-16 ottobre 2010 Triage in pronto soccorso Assicurare immediata assistenza al malato che giunge in emergenza; Indirizzare alla visita medica i pazienti secondo un codice di priorità; Identificare le priorità e l’area più appropriata di trattamento; Smistare i pazienti non urgenti; Ridurre i tempi di attesa per la visita medica; Ridurre lo stato d’ansia; Migliorare la qualità delle prestazioni professionali del personale in Pronto Soccorso; Valutare periodicamente le condizioni dei pazienti in attesa; Fornire informazioni sanitarie ai pazienti e ai loro familiari. 12 crediti ECM

Per informazioni e iscrizioni: I.S.F.A.I. via Petrarca 51 – Verano Brianza (MB) – tel. 0362 824221 – fax 0362 824403 – formazione@policlinicodimonza.it


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Tutti i corsi sono in fase di accreditamento presso il sistema ECM nazionale

Calendario Sede di Novarello 25 giugno 2010 01 ottobre 2010 Accanimento terapeutico: cure di fine vita e rifiuto delle cure – aspetti medicodeontologici Approfondire e distinguere i concetti di accanimento terapeutico, di testamento biologico, di diritto al rifiuto delle cure e di eutanasia nell’ordinamento legislativo, giuridico e deontologico italiano. 8 crediti ECM 13-14 luglio 2010 26-27 ottobre 2010 Prevenzione di malattie cardiovascolari Il corso è finalizzato ad introdurre i partecipanti ai principali argomenti di prevenzione in cardiologia, con particolare riferimento agli aspetti epidemiologici ed ai principali fattori legati agli stili di vita personali modificabili e non modificabili. Inoltre ci si propone di far acquisire ai partecipanti conoscenze specifiche sui determinanti di salute cardiovascolare in modo da

pianificare interventi di educazione sanitaria mirati su una stima del rischio cardiovascolare globale del soggetto/paziente. 16 crediti ECM 20-21 settembre 2010 Prevenzione di malattie infettive Individuare i determinanti di salute e di malattia e i fattori di rischio, sia in ambito comunitario (ospedale, case di riposo, RSA) che territoriale. Identificare gli aspetti che nell’esercizio della professione possono costituire fattori di rischio per l’operatore stesso. Utilizzare strumenti teorici per valutare il ruolo dell’ambiente e degli stili di vita sulla salute umana. Descrivere le caratteristiche del ruolo educativo per la prevenzione e diffusione delle malattie infettive. Conoscere gli strumenti di prevenzione più idonei per la tutela della salute nelle diverse realtà operative assistenziali. 16 crediti ECM

24 settembre 1 – 8 - 15 ottobre 2010 Il Ben Essere e la dimensione etica come leve e strumenti per il governo delle persone Il percorso formativo proposto vuole condurre il discente a possedere le basi fondamentali per poter agire nella progettazione e realizzazione di ambienti di lavoro dove ogni lavoratore si trovi nella condizione di ottenere il meglio da se stesso e dagli altri, vivendo una vita professionale piena e realizzata. 32 crediti ECM 02 ottobre 2010 Il sistema di qualità nel laboratorio analisi Il presente percorso formativo è finalizzato all’acquisizione da parte dei partecipanti delle seguenti competenze: - Predisporre e soprattutto applicare con competenza le procedure per la gestione del laboratorio analisi in termini di processo (organizzazione) - Implementare e utilizzare un Sistema Qualità nei laboratori analisi

- Attuare una valutazione critica del dato analitico di performance del laboratorio. 8 crediti ECM 15 ottobre 2010 Metodiche di depurazione extra renale (emodialisi, emofiltrazione, dialisi peritoneale) Accrescere nel personale sanitario le conoscenze circa le tecniche di depurazione extrarenale, e una più adeguata gestione del paziente affetto da insufficienza renale. 8 crediti ECM 20 ottobre 2010 Esposizione degli operatori sanitari a rischio biologico specifico: HIV, HBV, AH1N1 Comportamento post esposizione Formare gli operatori sanitari circa i rischi connessi all’esposizione a rischio biologico; aumentare la consapevolezza degli stessi circa l’importanza della prevenzione del rischio di trasmissione del virus in ambito sanitario; conoscere le norme comportamentali da adottare in caso di esposizione. 8 crediti ECM 23 ottobre 2010 Il ruolo e la responsabilità del coordinatore delle professioni sanitarie alla luce delle più recenti innovazioni normative e contrattuali Approfondire e contestualizzare le più recenti innovazioni contrattuali e legislative delle professioni sanitarie e definire il ruolo del coordinatore. Definire la responsabilità del coordinatore in alcuni aree specifiche. 8 crediti ECM

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LO/0200/2008

Direttore Scientifico: Prof. Elio Guido Rondanelli

Monza Via Amati 111 - Monza Tel. 039 28101 www.policlinicodimonza.it Dir. Sanitario: Prof. Giulio Cesare Papandrea

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Novara Via Bottini 3 - Novara Tel. 0321 3831 www.clinicasangaudenzio.com Dir. Sanitario: Dott. Alfredo Lamastra

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Alessandria Via Bruno Buozzi 20 Alessandria - Tel. 0131 314500 www.nccalessandria.it Dir. Sanitario: Dott. Roberto Prigione

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Chirurgia generale, Chirurgia vascolare, Ortopedia e Traumatologia, Urologia, Cardiologia, Medicina generale, Nucleo per pazienti in stato vegetativo permanente, Emodinamica, Terapia intensiva

Alessandria Chirurgia generale, Day Surgery, Ortopedia, Medicina generale, Neurologia, Neuro Riabilitazione III Livello, Riabilitazione neuromotoria II Livello

Anno VII numero 19 - Giugno 2010 Autorizzazione del Tribunale di Monza n. 1724 del 5 marzo 2004 Direttore responsabile: Marco Pirola Stampa: Novarello Servizi, Vercelli Progetto grafico: Marco Micci Immagini: Policlinico di Monza


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