Il Polietico 12

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Febbraio 2008, Anno 5 - N.12 Periodico di informazione

Riservato ai medici e agli operatori sanitari

Il polietico: una torta con quattro candeline

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l Polietico entra nel suo quinto anno di pubblicazione: sono tanti i progressi che in questo periodo hanno interessato il Gruppo Policlinico di Monza, e la rivista li ha puntualmente riflessi, offrendo un’informazione sempre più ampia e dando conto dei molti temi che ogni giorno vengono affrontati, mantenendo sempre al centro di tutto il paziente, con i suoi bisogni di cura e di salute. A distanza di tanto tempo facciamo nuovamente il punto su Cardiochirurgia, una specialità di eccellenza che continua a portarci riconoscimenti e soddisfazioni profonde. Questo grazie alla continua evoluzione delle tecniche utilizzate, sempre meno invasive, che consentono non solo un più rapido recupero ma anche di intervenire sui pazienti più anziani e “difficili”, quelli per i quali fino a qualche tempo fa non si poteva fare nulla o quasi. Lo stesso discorso vale per la chirurgia della spalla, che consente sempre più efficacemente di superare il dolore e le limitazioni di chi soffre di patologie di questa importante articolazione. Fra gli argomenti che troverete nelle prossime pagine, uno ci sta particolarmente a cuore: la nascita dell’Istituto Universitario di Verano Brianza, che vede il Policlinico e l’Università di Milano Bicocca insieme in un’esperienza nuova e davvero importante di collaborazione fra pubblico e privato. Buona lettura a tutti Il Presidente Gian Paolo Vergani

In questo numero: pag. 16 Inaugurato l’Istituto Universitario Ortopedia: la spalla di Verano Brianza pag. 2 Clinica Salus: l’Ortopedia pag.26 Cardiochirurgia pag. 6 ha un nuovo primario


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Inaugurato l’Istituto Universitario di Verano Brianza

all'impegno congiunto del Policlinico di Monza e dell'Università Milano Bicocca è nata una nuova grande struttura dove, insieme alla formazione dei medici di domani, vengono fin d'ora messi a disposizione dei cittadini molteplici servizi medici di assoluta avanguardia. Un importante tassello che si inserisce nel panorama accademico e sanitario lombardo, frutto della proficua collaborazione fra pubblico e privato.

L’Istituto Clinico Universitario di via Petrarca, Verano Brianza

Il Campus apre le porte Inaugurato lo scorso 25 gennaio con una manifestazione cominciata in un’Aula Magna gremitissima di studenti, docenti e medici, ma anche di semplici cittadini, convenuti per scoprire in anteprima assoluta le novità che il nuovo centro porterà con sé, l’Istituto Universitario di Verano Brianza ha finalmente aperto le sue porte al mondo esterno. Delle finalità del nuovo complesso ha parlato in modo approfondito il Magnifico Rettore dell’Università Bicocca, professor Marcello Fontanesi, evidenziando gli sviluppi resi possibili dalla specificità del nuovo centro universitario e diretta conseguenza del sincretismo tra attività di ricerca ed esperienza clinica. La struttura appena inaugurata offre agli studenti di medicina di tutta Italia un'opportunità didattica d’alto livello, all’interno di un contesto modernamente concepito e realizzato. Con 23.000 metri cubi di volume per un estensione di 7.000 metri quadri, la struttura di via Petrarca si sviluppa su tre livelli concentrando in un unico insieme tutte le caratteristiche di un vero campus universitario.

L’attività accademica Negli ampi spazi di cui dispone il nuovo complesso edilizio sono ospitati il Corso di Laurea in Fisioterapia, la Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitazione, la Clinica Oculistica, la Scuola di Specializzazione in Odontostomatologia (sede collegata), il Centro di Ricerca in Posturologia e Analisi del Gesto Applicato allo Sport. A disposizione di docenti e discenti 5 aule didattiche, un’aula magna da 99 posti e un convitto dotato di 14 stanze da letto con soggiorno e cucina comuni. L’Istituto Universitario è caratterizzato da ampi spazi clinici e didattici. La Fisioterapia è dotata di 2 palestre, 10 box per le terapie, 4 tra studi medici e ambulatori nonché una sala dedicata alla Risonanza Magnetica Nucleare Artroscan. La Clinica Oculistica dispone di 6 ambulatori dove sono installate apparecchiature elettromedicali di ultima generazione quali l’Angiografo a scansione confocale. L’Odontostomatologia è dotata di 7 sale con poltrona dentistica, di cui una sala chirurgica. La Posturologia usufruisce degli spazi di Odontostomatologia e di quelli di Medicina dello Sport che è dotata di 4 ambulatori dedicati.


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Fisioterapia Direttore del Corso di laurea in Fisioterapia è il professor Cesare Cerri. Il Corso, che dal 2004 ha sede presso il Policlinico di Monza, conta oggi 80 studenti: 230.000 le prestazioni annue di Fisiokinesiterapia effettuate presso le strutture del Policlinico. L’attività della Clinica Riabilitativa a Verano si articolerà su due filoni principali: le disabilità legate a patologia del rachide (in particolare i dismorfismi, la scoliosi infantile e il vasto campo racchiuso dal termine generico di lombalgia nell’adulto) e quelle conseguenti a deficit del sistema nervoso periferico sia di tipo sistemico (ad esempio neuropatia diabetica) che locale (ad esempio lesioni del plesso brachiale e dei nervi periferici). Per quanto concerne le tecniche riabilitative verranno utilizzate le più recenti applicazioni della metodologia messa a punto dalla prof. Sahrmann presso la Washington University, basata sull’individuazione e la correzione dell’alterazione motoria alla base del deficit funzionale causante la comparsa di dolore. Un’attività particolare, in quanto legata all’incremento dell’attività più che non al superamento della disabilità, sarà quella in collaborazione con la medicina dello sport. La valutazione chinesiologica degli atleti infatti non solo permette di personalizzare gli Il prof. Cesare Cerri Direttore del Corso di Laurea di Fisioterapia – Università di Milano Bicocca

Palestra per fisiokinesiterapia

allenamenti, ma nel caso sfortunato di incidente consentirebbe di personalizzare l’intervento in funzione dello specifico livello di attività prima dell’evento lesivo. In stretta congiunzione con l’attività clinica è l’attività didattica che si articola in un corso di laurea triennale (corso di Laurea in Fisioterapia), una scuola di specializzazione post laurea in Medicina Riabilitativa e una serie di corsi e master universitari di argomento riabilitativo. Origine dell’attività assistenziale e didattica sono le attività di ricerca, svolte nell’ambito di una collaborazione multidisciplinare e multiprofessionale: in particolare, a Verano verranno attuati progetti di ricerca che riguardano l’analisi del gesto motorio attraverso sistemi optoelettronici di rilevamento dei parametri cinesiologici e loro abbinamento alla rilevazione con EMG di superficie a distanza dell’attività muscolare. Verranno anche condotti studi sulla rilevazione mediante risonanza magnetica nucleare delle alterazioni rachidee sotto carico e la loro correlazione con sintomatologia e risultati del trattamento. Altri filoni di ricerca riguardano la presenza di sintomi o segni di alterazione dell’umore in pazienti con disabilità cronica; la validazione delle classificazioni funzionali per il trattamento delle sindromi da disfunzione motoria; il ruolo della postura nella generazione delle sindromi algiche e più in generale delle alterazioni della funzione motoria. Tutte queste attività si svolgono nell’ambito di una stretta collaborazione con gli specialisti odontoiatri (soprattutto per quanto riguarda gli aspetti posturali e il ruolo dell’occlusione dentale nel miglioramento della funzione motoria e nel mantenimento di una corretta postura) e con gli oculisti (per quanto riguarda la valutazione propriocettiva e la coordinazione visuomotoria). Vi sono inoltre rapporti con altre università italiane ed estere, con scambio di studenti e ricercatori.


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Chirurgia Odontostomatologica La Clinica Odontoiatrica dell’Università di Milano-Bicocca, diretta dal professor Marco Baldoni, ha elaborato fin dall'inizio una filosofia delle Scienze Odontostomatologiche che vede didattica, ricerca e assistenza finalizzate alla definizione di una serie di protocolli operativi risultato di ricerche scientifiche e di un’accurata revisione della letteratura internazionale. L'attività didattica prevede lo svolgimento di iniziative per il percorso formativo post-laurea in collegamento con la Scuola di Specialità in Chirurgia Odontostomatologica, e comprende il Dottorato di Ricerca in Parodontologia Sperimentale e corsi di Perfezionamento post-laurea per l'approfondimento di ricerche odontostomatologiche. Presso la sede di Verano si intende creare il Centro di Ricerche Internazionali delle Scienze Odontostomatologiche, che svolge collaborazioni scientifiche con Atenei stranieri (Università di Buenos Aires, Università del Libano) ed enti italiani Aeronautica Militare e Consorzio Internazionale delle Scienze Odontostomatologiche-COISCO). Le tematiche della ricerca sono programmate per applicazioni nell’ambito della posturologia sportiva in collaborazione con l’Aeronautica Militare, dell’ingegneria tissutale e della riabilitazione implantare. Per quanto riguarda l'assistenza, la filosofia delle Scienze Odontostomatologiche dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca prevede criteri clinico-operativi codificati in attività di Odontoiatria Preventiva e Terapeutica. Tale impostazione filosofica ha determinato una pianificazione in diverse aree d’intervento: Scienze Chirurgiche, Scienze Pedo-ortodontiche, Scienze dell’Igiene Orale, che si espletano nell’ambito della didattica, ricerca, clinica e management. È stato inoltre istituito un Coordinamento Odontoiatrico Preventivo Territoriale (C.O.P.T.) che consente di collegare tra loro, anche mediante l’ausilio di sistemi telematici tutti i Centri d’Igiene Orale dell’Ospedale Universitario di Monza e Brianza e di raccogliere le informazioni provenienti da tutti i Centri e di confrontarle tra loro, intervenendo a livello diagnostico, terapeutico e prognostico. L’Odontoiatria Terapeutica prevede punte di eccellenza nell'area posturologica (terapia e prevenzione delle malocclusioni) e nell'area della riabilitazione implanto-protesica.

Da destra: il prof. Marcello Fontanesi, Magnifico Rettore dell’Università di Milano Bicocca ed il Prof. Marco Baldoni direttore della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Odontostomatologica dell’Università Milano Bicocca inaugurano la sede di Verano Brianza

Posturologia e Medicina dello Sport A Verano nasce anche il Centro di ricerca di “Posturologia e analisi del gesto applicati allo sport”, diretto dal professor Giovanni Tredici. Seguendo un approccio multidisciplinare, presso il Centro verranno sviluppate ricerche, alcune già in atto, in collaborazione con la Clinica Odontoiatrica, e gli istituti di Medicina Riabilitativa e di Oculistica del DNTBSezione Policlinico di Monza dell’Università di Milano-Bicocca, nonché con l’Ortopedia, Radiologia, Cardiologia, e Neurologia della Fondazione Policlinico. Le ricerche riguarderanno atleti in età evolutiva, atleti di alto livello, atleti amatoriali. Le ricadute saranno quindi estese a un ampio settore della popolazione e potranno anche portare a


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Il prof. Giovanni Tredici Direttore del Centro di Ricerca di Posturologia e analisi del gesto applicati allo sport

innovativi approcci nel trattamento non solo di atleti o di altre persone impegnate nelle attività sportive, ma anche più in generale di pazienti affetti da patologie che riguardano la postura o l’esecuzione di gesti. I principali temi di ricerca possono essere così sintetizzati: Valutazioni posturologiche nel corso dell’età evolutiva in giovani praticanti attività sportiva agonistica o non, con lo scopo di prevenire l’insorgenza di dismorfismi o di patologie legate alla precoce attività sportiva. Valutazione dell’effetto della correzione dei difetti dell’occlusione mediante “bite” sulla postura e sulla efficienza del gesto sportivo, con lo scopo di prevenire anche in questo caso atteggiamenti e comportamenti “scorretti” che possano essere negativi sulla salute e sulle capacità atletiche. Studio delle correlazioni tra caratteristiche antropometriche e caratteristiche del gesto sportivo, analizzato mediante sistema computerizzato, allo scopo di fornire una serie di informazioni ai tecnici sportivi che permettano da un lato di ottimizzare la programmazione dell’allenamento in rapporto alle caratteristiche antropometriche e muscolari degli atleti, dall’altro di migliorare i criteri di reclutamento dei giovani da avviare alle varie discipline sportive. Studio della biomeccanica del gesto sportivo e del reclutamento e utilizzazione dei vari muscoli, con lo scopo di mettere a punto possibili strategie di allenamento ed utilizzo dei muscoli, tali da permettere migliori prestazioni sportive. In futuro, il Centro si propone anche di utilizzare le metodiche di ricerca e le tecniche attualmente in uso per studiare le possibili interferenze che patologie sub-cliniche dell’apparato nervoso e cardio-vascolare possono avere nella pratica e nella qualità del gesto sportivo. La creazione del Centro di ricerche “Posturologia e analisi del gesto applicati allo sport” cementa ed incrementa una collaborazione, nel campo della ricerca, ormai in atto da anni tra la Fondazione Policlinico di Monza e il Dipartimento di Neuroscienze e Tecnologie Biomediche dell’Università di Milano-Bicocca, collaborazione che ha portato, sotto l’egida del Dottorato in Neuroscienze, alla pubblicazione, su prestigiose riviste internazionali, di importanti risultati nel campo delle malattie neurodegenerative e delle neuropatie.

Oculistica

Il prof. Stefano Miglior Direttore della Clinica Oculistica dell’Università di Milano Bicocca

La Clinica Oculistica è diretta dal professor Stefano Miglior. Anche per questa specializzazione la collaborazione fra Policlinico di Monza e Università Milano Bicocca prosegue dal 2004, e ha prodotto ben 20.000 prestazioni oculistiche l’anno. Attualmente l’équipe medica è composta da 9 medici specialisti in Oftalmologia, a cui si aggiungono 2 ortottiste. In questo triennio, il bilancio è senza dubbio estremamente positivo; oggi gli oftalmologi operano di concerto tra loro e con i colleghi delle altre discipline, per garantire un’assistenza di alto livello sia di base che superspecialistica. Oltre all’attività clinica, spiccano le attività didattiche e di ricerca e il corso di oftalmologia per studenti della Facoltà di Medicina e Chirurgia è da tempo uno dei più apprezzati. In questo contesto, già ampiamente favorevole, l’apertura del nuovo l’Istituto Universitario di Verano Brianza costituisce un ulteriore grande sforzo verso l’eccellenza clinica e della ricerca. I nuovi spazi, appositamente progettati secondo le più moderne esigenze di una disciplina, l’oftalmologia, che si avvale di un abbondante e fondamentale contributo tecnologico, consentiranno di elevare ulteriormente gli standard assistenziali, a beneficio dell’utente, e di aumentare la qualità della didattica e della ricerca.

L'area poliambulatoriale Oltre a ospitare l'attività accademica, il nuovo centro di Verano mette a disposizione un'assistenza sanitaria di alta qualità per la cittadinanza di un territorio densamente popolato qual è la Brianza. Sono infatti numerose le prestazioni disponibili presso l’area poliambulatoriale, in convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale (per le prestazioni sono sufficienti impegnativa del medico curante e pagamento del ticket sanitario): Medicina Fisica e Riabilitazione, Cardiologia, Chirurgia Generale, Chirurgia Vascolare – Angiologia, Dermosifilopatia, Neurologia, Oncologia, Ortopedia e Traumatologia, Ostetricia e Ginecologia, Oculistica, Medicina dello Sport, Diagnostica per Immagini.


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Cardiochirurgia: continui progressi

a sempre la Cardiochirurgia è una specialità di eccellenza nell’ambito del Gruppo: praticata al Policlinico di Monza, alla San Gaudenzio di Novara e alla Città di Alessandria, a fianco dell’impegno operatorio ha visto negli anni un’evoluzione costante dell’attività scientifica, con l’adozione di tecniche innovative e la partecipazione ai maggiori congressi internazionali.

Un importante riconoscimento

Il prof. Ugo Filippo Tesler Direttore Sanitario della Clinica San Gaudenzio di Novara e prossimo Presidente della “Denton Cooley Cardiovascular Surgical Society”

Il professor Ugo Filippo Tesler, cardiochirurgo e direttore sanitario della clinica San Gaudenzio di Novara, sarà il prossimo Presidente della “Denton Cooley Cardiovascular Surgical Society”, una delle più importanti associazioni cardiochirurgiche mondiali. Tesler è stato eletto dai soci su indicazione dei principali esponenti dell’associazione (tra cui lo stesso Cooley) durante il 15° simposio internazionale della società tenutosi lo scorso ottobre a Houston (Texas). La nomina di Tesler, oltre a costituire un riconoscimento alla sua brillante carriera, testimonia indirettamente anche i grandi progressi compiuti dal nostro Paese nel campo della chirurgia cardiovascolare. All’associazione, che ha sede a Houston, aderiscono circa 800 tra i migliori cardiochirurghi del mondo, appartenenti a 49 paesi. È la prima volta in assoluto che un italiano viene chiamato a presiederla. Finora, infatti, i “Chairmen” erano stati, salvo un paio di eccezioni, tutti di nazionalità americana. La “Denton Cooley Cardiovascular Surgical Society” prende il nome di uno tra i maggiori pionieri della chirurgia vascolare, un uomo che ha eseguito più di 100.000 interventi a torace aperto, autore nel 1968 del primo trapianto cardiaco negli USA e primo chirurgo al mondo a impiantare un cuore artificiale nel 1969, oltre ad aver ideato e per primo realizzato molti degli interventi di cardiochirurgia attualmente in uso. Tra gli scopi dell’associazione vi è principalmente quello di promuovere l’ulteriore formazione dei chirurghi cardiovascolari organizzando incontri a carattere scientifico, simposi, illustrazione di nuove metodiche chirurgiche, contribuendo in generale al progresso della chirurgia cardiovascolare.

Insufficienza cardiaca: un approccio interdisciplinare Relazione presentata dal professor Ugo Filippo Tesler, al XV Simposio internazionale della Denton Cooley Cardiovascular Surgical Society. Texas Heart Institute, 25-27 ottobre 2007, Houston Texas. L’insufficienza cardiaca si manifesta quando il cuore non è più in grado di pompare una quantità di sangue adeguata alle necessità dell’organismo. Col graduale e progressivo peggioramento delle prestazioni del cuore i pazienti sviluppano un quadro clinico caratterizzato dall'insieme di sintomi e segni dell'insufficienza cardiaca conclamata, che è caratterizzata da facile affaticabilità, mancanza di respiro durante attività fisica e anche a riposo, accumulo di liquidi nel fegato e nelle gambe, decadimento dello stato generale. La "storia naturale" dell'insufficienza cardiaca denota un progressivo peggioramento della qualità di vita, con sempre più frequenti e ripetuti ricoveri ospedalieri per aggravamento dello scompenso, mentre si manifesta un aumentato rischio di morte improvvisa. Questa condizione viene curata sempre meglio grazie all’associazione di farmaci diversi, ma esiste una quota di pazienti nella quale anche la migliore terapia medica non è sufficiente ad assicurare una efficace contrattilità miocardica. Allorché il quadro clinico si fa ingravescente, nonostante la corretta applicazione delle cure, la prognosi della malattia è molto severa. Nella maggioranza dei casi, la causa di scompenso è costituito dalla cardiopatia ischemica (70-80%), seguita dalla cardiomiopatia dilatativa, quindi dalle più rare forme di origine valvolare postreumatica o degenerativa. I casi di cardiomiopatia conseguenti a cardiopatia ischemica sono relativi a quelle entità cliniche che possono costituire la prima manifestazione di malattia coronarica o essere il risultato di una lunga storia della malattia caratterizzata da infarti ripetuti, aneurisma ventricolare sinistro postinfartuale, esiti di angioplastica coronarica o di bypass aortocoronarico con degenerazione dei graft. Mentre l’indicazione alla resezione chirurgica degli aneurismi post-infartuali del


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ventricolo sinistro, intervento col quale si agisce per ripristinare la geometria ventricolare, è una procedura la cui validità è universalmente riconosciuta, nei pazienti che presentano una funzione ventricolare compromessa il bypass aorto-coronarico è proponibile qualora vi sia dimostrazione di un'ampia zona ischemica ipocinetica o acinetica, ma metabolicamente vitale. È stato infatti dimostrato che, in presenza di ischemia residua, l'intervento di rivascolarizzazione migliora la prognosi nei pazienti con funzionalità ventricolare moderatamente depressa. L’insufficienza mitralica secondaria a dilazione anulare ed alterazione della geometria del ventricolo sinistro, spesso presente nella forme di scompenso cardiaco, determina un peggioramento dello stress parietale con l’aggiunta di un sovraccarico di volume. Questo può portare a un circolo vizioso in cui la dilatazione della camera ventricolare e dell’anulus della mitrale conducono a un progressivo incremento del rigurgito mitralico e un progressivo sovraccarico di volume che, a sua volta, determina un’ulteriore dilatazione anulare. Poiché è stato dimostrato che la riduzione dell’anello mitralico può apportare un miglioramento della sintomatologia e un contributo favorevole alla prognosi dei pazienti affetti da scompenso cardiaco, tale tecnica sta ottenendo favore nel trattamento chirurgico dello scompenso cardiaco refrattario con insufficienza mitralica secondaria. Nel 20% circa dei pazienti affetti da cardiomiopatia di origine ischemica o idiopatica sono presenti anormalità della conduzione elettrica all’interno del cuore con ritardi e asincronia della contrazione dei ventricoli. Tali anomalie sono responsabili di un aumento di morbilità e mortalità in tali pazienti. A questa situazione concorrono fattori di natura sia elettrica sia meccanica. A causa del ritardo nella trasmissione dei segnali elettrici nel muscolo cardiaco, le diverse camere del cuore cominciano a lavorare in modo asincrono e ciò porta ad un peggioramento dell’efficienza contrattile del muscolo cardiaco. La terapia di risincronizzazione cardiaca, che è stata intodotta nella pratica clinica per il trattamento di questo tipo di patologia, consiste nell’applicazione di uno speciale pacemaker che, stimolando i ventricoli mediante degli impulsi trasmessi al cuore attraverso elettrodi, consente di risincronizzare la contrazione dei ventricoli, permettendo di aumentare l’efficienza della pompa cardiaca. Tale tecnica si è dimostrata efficace nell’ottimizzare la funzionalità ventricolare compromessa nei casi di scompenso cardiaco, nel migliorare le condizioni cliniche dei pazienti e nel diminuire la mortalità. Tale terapia è oggi largamente adottata. Nella maggior parte dei casi, gli elettrodi stimolatori del ventricolo sinistro vengono introdotti per via venosa attraverso il seno coronarico fino ad essere inseriti nelle vene epicardiche. Un metodo alternativo, anche se maggiormente invasivo, consiste nell’applicazione diretta dell’elettrodo stimolatore sul ventricolo sinistro per via chirurgica. Presso la clinica San Gaudenzio abbiamo condotto uno studio clinico innovativo, adottando un approccio multidisciplinare associando la terapia di risincronizzazione cardiaca al trattamento chirurgico convenzionale in un gruppo di 25 pazienti che, oltre a presentare una precisa indicazione chirurgica, erano portatori di una cardiomiopatia dilatativa di grado severo associata a dissincronia elettrica o meccanica. Gli elettrodi stimolatori sono stati impiantati direttamente sulla parete del ventricolo sinistro al termine dell’intervento cardiochirurgico. Questo è consistito nella rivascolarizzazione miocardica isolata in tre casi, in quindici nella ricostruzione della valvola mitrale e in sette casi le due procedure sono state associate. In cinque pazienti il pacemaker è stato impiantato al momento della procedura chirurgica, in nove tre mesi dopo l’intervento, in due dopo sei mesi e in altri due un anno dopo l’intervento cardiochirurgico. In sei pazienti, che avevano presentato un marcato miglioramento dopo l’intervento, il pacemaker non è ancora stato impiantato: essi sono seguiti assiduamente per valutare l’opportunità di procedere all’impianto stesso. Tutti i pazienti hanno ottenuto un miglioramento, sia delle condizioni cliniche, sia della


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funzionalità ventricolare: ciò in misura nettamente maggiore in coloro nei quali all’intervento convenzionale è stata associata la terapia di risincronizzazione cardiaca mediante l’impianto di un pacemaker. Vi è stato un solo decesso nell’immediato periodo post-operatorio. Dopo la dimissione dalla clinica tutti i pazienti sono rimasti stabilmente in buone condizioni. In conclusione, pur tenendo presente le limitazioni relative allo scarso numero di pazienti e al relativamente breve periodo di follow-up, possiamo affermare che la terapia di risincronizzazione cardiaca realizzata mediante l’impianto immediato o tardivo di un pacemaker risincronizzatore in connesso con un elettrodo epicardico assicurato alla parete del ventricolo sinistro al momento dell’intervento cardiochirurgico, sembra poter migliorare i risultati della chirurgia convenzionale in pazienti portatori di una cardiomiopatia dilatativa associata a dissincronia ventricolare.

La plastica valvolare mitralica alla San Gaudenzio

Il dott. Marco Diena direttore del Dipartimento di Cardiochirurgia della Clinica San Gaudenzio di Novara

La fibrillazione atriale

L’evoluzione delle tecniche chirurgiche e della diagnostica per immagini come l’Ecocardiografia transesofagea e la RMN cardiaca hanno consentito negli ultimi anni lo sviluppo e l’applicabilità della riparazione della valvola mitralica al massimo numero di pazienti possibile. La plastica mitralica si è dimostrata superiore alla sostituzione valvolare per la migliore sopravvivenza a distanza (a 10 anni) e per la migliore qualità di vita dei pazienti nonché per la riduzione di eventi avversi nel tempo. Dagli studi di Carpentier e degli autori statunitensi (Atkins, Cohn), su 100 pazienti operati di plastica confrontati con 100 operati di sostituzione valvolare, a 15 anni ve ne sono 14 in più vivi, 28 in meno con incidenti tromboembolici (ictus, etc.), 13 in meno con eventi emorragici e 5 in meno con endocardite. Si può affermare che un paziente operato di riparazione mitralica con risultato ottimale è guarito se viene riferito nei tempi giusti al chirurgo. Ormai le linee guida americane dell’American Heart Association e dell’American College of Cardiology raccomandano l’intervento quando l’insufficienza è severa, anche nel paziente asintomatico, se viene riparata la valvola. Non vi è più alcun dubbio sulla superiorità della plastica valvolare nell’insufficienza degenerativa. Si discute invece su quanti di questi pazienti possano effettivamente essere sottoposti a questo intervento. Grazie ai progressi dell’imaging ed alla stretta collaborazione tra cardiologo ecocardiografista e chirurgo un sala operatoria, è possibile già con l’Ecografia Transesofagea una valutazione esatta dei segmenti della valvola prolassanti, in modo da mirare e graduare la correzione chirurgica al singolo caso. Negli ultimi 10 anni il gruppo Cardioteam ha operato oltre 750 pazienti di valvola mitralica, e nel 98% delle insufficienze è stato in grado di riparare la valvola con risultato ottimale. Il ricorso a questo tipo di intervento ha quindi elevato la riparabilità delle valvole mitrali dal 50% circa (media europea e USA) al 98%. Gli ecocardiografisti guidati dal dottor Cerin hanno sviluppato così nuovi concetti utili per rendere la plastica mitralica efficace e stabile nel tempo, come ad esempio il concetto della superficie di coaptazione dei lembi (deve essere superiore a 6 mm al bidim) e il triangolo di coaptazione . L’esperienza riguardante la riparazione della valvola mitrale è stata presentata a Houston due anni fa, in occasione del convegno internazionale del Texas Heart Institute, e ha ricevuto i complimenti del professor Denton Cooley. La fibrillazione atriale (F.A.) è un’aritmia comune nella pratica clinica, con una prevalenza che cresce in modo esponenziale con l’età, e ha un notevole impatto nell’incidenza dell’ictus cerebrale. Attualmente il problema sta assumendo un'importanza quasi epidemica proprio a causa del progressivo invecchiamento della popolazione. Negli Stati Uniti si stima che 2,3 milioni di persone siano affette da fibrillazione atriale con una prevalenza che varia dallo 0,5% fino ad un 9% (oltre i 70 anni). È più frequente nel sesso maschile: 1,5 volte rispetto al sesso al sesso femminile. In Italia la sua prevalenza è stimata in circa 500.000 pazienti, con un’incidenza di circa 60.000 nuovi casi l'anno. Questa aritmia può manifestarsi isolatamente, senza alcuna correlazione ad altra patologia, oppure essere associata ad altre patologie sia cardiache che non.


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Tra le cause cardiache la più frequente è lo scompenso cardiaco, seguito da miocardiopatia dilatativa e valvulopatie reumatiche, e in particolare miocardiopatie ventricolari e pericarditi. Tra le cause non cardiache vanno ricordate il distiroidismo, l’ipertensione polmonare, l’ipertensione arteriosa essenziale e l’amiloidosi. Il meccanismo che determina l’insorgenza della F.A. vede due teorie prevalenti. La presenza di foci irritativi spesso localizzati allo sbocco delle vene polmonari, meno frequentemente allo sbocco della vena cava superiore o seno coronarico, e l’alterazione strutturale della parete atriale.

Il dottor Mario Fabbrocini, responsabile dell’Unità di Cardiochirurgia alla Clinica Città di Alessandria

La F.A. causa modifiche a carico del miocardio e dell’emodinamica. Essa infatti determina: • un’inefficace contrazione di entrambi gli atri • una mancata sincronia della meccanica atrio-ventricolare • una risposta ventricolare irregolare • una frequenza ventricolare inappropriata • un cambiamento del sistema nervoso autonomo. Queste modifiche possono essere sia asintomatiche sia sintomatiche. Le manifestazioni cliniche sono associate a 3 importanti sequele: • il battito irregolare e veloce viene percepito come "palpitazione" • l’inefficace contrazione atriale è causa di stanchezza e talvolta di scompenso • la stasi ematica nell’atrio e nell’auricola sx favoriscono la trombo-embolia sistemica. Quest’ultima è la complicanza più temuta. L’ictus associato alla F.A. ha un’area infartuata cerebrale generalmente più estesa, è gravato da maggiore mortalità, e nella metà dei casi è invalidante. Il suo rischio annuale in generale è del 4,5% e se a questo si aggiunge anche quello di TIA (attacco ischemico transitorio) e di infarti cerebrali silenti, il rischio embolico cerebrale supera il 7% anno. Il suo utilizzo (della terapia anticoagulante?) nella pratica clinica, tuttavia, per la prevenzione della tromboembolia è, soprattutto per quanto riguarda i soggetti anziani che presentano un rischio trombo-embolico più elevato. È ancora radicato il timore che il rischio emorragico connesso alla terapia anticoagulante (TAO) sia maggiore in questa fascia di età e soprattutto che vi sia una certa difficoltà nel monitoraggio dei valori di I.N.R; questo richiede infatti periodici prelievi ematici e risente inoltre di variazioni alimentari e soprattutto di interferenze farmacologiche Studi recenti hanno dimostrato che il rischio di sanguinamento maggiore è significativamente aumentato nei pazienti con F.A. che assumono più di 3 farmaci in aggiunta al warfarin, noto anticoagulante orale. Un monitoraggio di elevata qualità della terapia anticoagulante rappresenta l’elemento fondamentale per minimizzare il rischio di sanguinamento, in quanto un’assistenza organizzata riduce l’incidenza di eventi avversi, mostrando un’accettabile profilo di sicurezza. A questo proposito giova ricordare che è sempre necessario avere un colloquio con il paziente ed i suoi familiari prima di instaurare un trattamento anticoagulante, al fine di fornire le più ampie informazioni e di chiarire in modo articolato e comprensibile gli aspetti più rilevanti della condotta terapeutica, così da migliorare la compliance del paziente. In relazione agli aspetti clinici la F.A. viene convenzionalmente definita: "parossistica" quando si interrompe spontaneamente entro ore o giorni dalla sua comparsa (in genere entro una settimana al massimo); "persistente" quando si rende indispensabile una specifica terapia per ricondurre il paziente al ritmo sinusale regolare (terapia che può essere sia farmacologia sia elettrica); "permanente" se non si riesce più a convertire il ritmo sinusale. Sulla terapia della F.A. non tratteremo specificamente se non per quanto riguarda l’esperienza chirurgica.


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Accenniamo la terapia medica: prevede l’uso di antiaritmici quali l’amiodarone, il propafenone, la flecainide, la chinidina che possono essere somministrati da soli o in associazione ad altri farmaci come i ß- bloccanti, i calcioantagonisti, la digitale. Quando la sola terapia medica non permette il recupero del R.S. si procede alla cardioversione elettrica. Qualora sia la terapia medica sia la C.V.E. non siano sufficienti, si può allora pensare a procedure invasive. E più esattamente: Impianto di Pace-Maker definitivo Impianto di defibrillatore atriale Ablazione percutanea della F.A. Terapia chirurgica a) "MAZE III operation" b) ablazione epicardica con ultrasuoni c) ablazione epicardica con micro-onde d) ablazione con radiofrequenza e) ablazione con crioterapia • L’impianto di pace-maker previene e sopprime in genere i battiti atriali prematuri • L’impianto del defibrillatore atriale è stato per lo più abbandonato per il dolore e lo stato d’ansia che produce a ogni scarica. • L’ablazione percutanea viene eseguita con cateteri che rilasciano energia (radiofrequenza o crioterapia). Essi determinano linee di danno tissutale alle pareti atriali con blocco della conduzione o eliminazione di foci, origine delle aritmie. Per la localizzazione dei punti da ablare si delinea un mappaggio definito con la normale e anormale conduzione elettrica del ritmo dell’interno della cavità atriale. Recenti reports mostrano successo della procedura nel 90% dei casi di F.A. parossistica. Per i pazienti con F.A. persistente e permanente il successo scende fino al 50%. Complicanze della procedura sono: • embolia sistemica • stenosi o trombosi delle vene polmonari • versamento pericardico • tamponamento cardiaco • paralisi del nervo frenico. La fonte di energia più largamente usata è la radiofrequenza; sono stati proposti numerosi cateteri flessibili, rigidi, unipolari, irrigati; ciascuno con caratteristiche diverse. La vera innovazione nel campo dell’ablazione chirurgica è però rappresentata dall’introduzione di cateteri bipolari; infatti questi consentono di creare delle lesioni totalmente transmurali, cosa che non è stata dimostrata né con i cateteri unipolari né con i cateteri percutanei. Il chirurgo ha inoltre il vantaggio della visualizzazione diretta dell’atrio sinistro e delle vene polmonari, sia sul versante endocardico sia su quello epicardico, riducendo il rischio di complicanze quali la stenosi delle stesse. (fig. 1) Con l’utilizzo di cateteri bipolari, a differenza di quanto descritto per le ablazioni transcatetere e per le ablazioni con catetere unipolare, anche il rischio di lesione esofagea viene eliminata, in quanto le ablazioni vengono effettuate tra le due mandibole del catetere e non vi è trasmissione di energia, e quindi di calore, alle strutture adiacenti. Per gli stessi motivi il rischio tromboembolico, derivante dall’eccessivo riscaldamento del sangue che viene a contatto con il catetere unipolare durante l’erogazione di energia, viene virtualmente abolito grazie all’uso di strumenti bipolari. La possibilità da parte del chirurgo, di escludere l’auricola sinistra, mediante la sutura della stessa o l’amputazione, elimina virtualmente il rischio di stroke, soprattutto nei pazienti che non ripristinano il ritmo sinusale.


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Fig. 1: Linee di lesione o sezione chirurgica per l’interruzione del circuito di rientro della fibrillazione atriale.

Maze III operation La "Maze III operation" è un intervento chirurgico riservato a quei pazienti che presentano una F.A. refrattaria ai farmaci e che non tollerano l’aritmia. L’intervento provvede all’interruzione di tutti i possibili circuiti di rientro preservando la conduzione dal nodo seno-atriale al nodo atrio-ventricolare. L’intervento consiste in una serie di incisioni e suture in entrambi gli atri creando un labirinto con canali di conduzione dal S.A. a A.V. Il recupero del R.S. stabile è stato osservato nel 90% dei casi, dal 3 al 6% l’incidenza di blocco con necessità di pace-maker definitivi. La difficoltà tecnica, l’aumento del tempo di clampaggio, l’aumentato rischio di sanguinamento fanno oggi preferire l’uso di energie alternative al posto delle incisioni chirurgiche.

Ablazione epicardica con ultrasuoni La lesione tessutale che interrompe il circuito di rientro può essere provocata mediante l’applicazione di ultrasuoni; tale energia determina un'ipertermia meccanica focale e isolata che produce la necrosi tessutale. Il sistema, ancora in via di validazione clinica, permette di applicare una sonda per via mini-invasiva toracica permettendo un’ablazione a tutto spessore intorno alle vene polmonari. Il principale rischio periprocedurale consiste nelle possibili lesioni involontarie dei tessuti circostanti. I risultati preliminari sembrano abbastanza incoraggianti, anche se è in corso una rivalutazione critica dei risultati a distanza che sembrerebbero favorire l’utilizzo di metodiche più tradizionali come la radiofrequenza.

Ablazione epicardica mediante l’utilizzo di micro-onde Negli ultimi due anni l’ablazione con micro-onde si sta sviluppando sempre di più. Le micro-onde sono onde elettromagnetiche liberate ad alta frequenza (2.45 GHz) in grado di provocare lesioni totalmente transmurali. Quando la sonda viene applicata direttamente sulla superficie tissutale, il rilascio di calore topico è in grado di creare lesioni larghe e profonde. Preparati istologici di miocardio ablato hanno dimostrato una netta area demarcata di danno termico centrale caratterizzata da miocardio necrotico associata a un’area borderline di edema ed emorragia intramurale. Le micro-onde offrono il potenziale vantaggio rispetto alle altre tecniche ablative della maggiore profondità e volume del tessuto interessato; tutto questo può determinare una più alta probabilità di lesioni transmurali; si creano, inoltre, lesioni lineari più lunghe con ridotto rischio di complicanze trombo-emboliche.

Ablazione con radiofrequenza L’ablazione con radiofrequenza rappresenta attualmente il golden standard delle tecniche di lesione tissutale alternative alla chirurgia. Le Radiofrequenze (RF) fanno parte delle radiazioni non ionizzanti (NIR), appartengono alla famiglia delle onde elettromagnetiche


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(e.m.) e trasportano energia sotto forma di campo elettromagnetico. Da un punto di vista strettamente energetico, l'interazione della radiazione elettromagnetica non ionizzante con un tessuto biologico si risolve in un trasferimento di energia dalla radiazione al tessuto e produce un campo elettromagnetico all'interno della materia, diverso da quello applicato in origine. L'energia elettromagnetica, una volta assorbita, viene convertita in calore. L’erogazione di RF determina una lesione tissutale circoscritta e irreversibile (necrosi coagulativa) che si genera per insulto termico allorché si raggiunge una temperatura tissutale di circa 50°C, e dati sperimentali dimostrano che l’utilizzo di tale energia per 1 minuto a 70/80°C, sul muscolo cardiaco, produce lesioni profonde dai 3 ai 6 mm, solitamente sufficienti a creare una lesione transmurale, equivalente a un isolamento elettrico completo. Nei sistemi unipolari, al paziente è collegato un elettrodo indifferente, solitamente sulla schiena, in maniera tale che l’energia scorra dall’apice del catetere e innalzi la temperatura del tessuto a contatto. Localmente il calore può arrivare fino a 100°C provocando fenomeni di vaporizzazione e in tal modo si propaga nei tessuti più profondi. Esistono vari tipi di cateteri per il trattamento chirurgico. Ci sono sistemi con un lungo tubo flessibile, sonde rigide e sonde simili a una penna con la punta raffreddata tramite un sistema di irrigazione. In questi ultimi anni quindi l’utilizzo della radiofrequenza ha ulteriormente semplificato l’approccio sinistro per trattare la fibrillazione atriale. Tuttavia le ablazioni, in tutti i casi, venivano effettuate sulla superficie endocardica e ciò portava sicuramente a un aumento del tempo di clampaggio aortico. Sono stati tentati diversi tipi di schemi di lesioni. Esse includono tutte l’isolamento delle vene polmonari e l’esclusione dell’auricola sinistra; inoltre, molte includono una linea di connessione tra la parete posteriore dell’atrio sinistro e le vene polmonari e l’auricola o tra le vene polmonari e l’anulus mitralico. Altri ancora comprendono linee di lesione anche sull’atrio destro come nello schema MAZE III. Riassumendo, alcuni autori si sono ispirati alla MAZE, preferendo però la radiofrequenza e la crioabalzione al bisturi chirurgico. L’esecuzione della procedura a sinistra richiede dai 10 ai 20 minuti, questo in contrasto con i 60 minuti richiesti per la procedura MAZE III. Nonostante le diverse modalità di approccio, i risultati sono simili: la percentuale di successo varia dal 70% all’80%. In letteratura, la maggior parte dei pazienti trattati soffriva di una concomitante patologia organica cardiaca ed è stata sottoposta ad una procedura di correzione sulla valvola mitrale, oltre all’ablazione della fibrillazione atriale. Per questi i risultati sono vicini a quelli che si ottengono con la procedura MAZE III. La percentuale di successo della procedura è sovrapponibile sia che venga associato o meno uno schema di lesioni a destra. La ricorrenza perioperatoria della fibrillazione atriale dopo radiofrequenza è comune, insorge in due terzi dei pazienti. All’incirca il 30% o il 40% dei pazienti lascia l’ospedale in fibrillazione atriale, ma molti ritornano in ritmo sinusale nei successivi tre mesi, alcuni spontaneamente, altri dopo cardioversione elettrica. Per quanto riguarda invece la contrattilità atriale, questa riprende nell’80%-100% dei pazienti che ritornano in ritmo sinusale dopo essere stati sottoposti a tale procedura.

Ablazione con crioterapia La crioablazione ha rappresentato una delle prime tecniche nell’ambito della chirurgia ablativa della F.A. Essa determina delle lesioni transmurali a bassa temperatura mediante l’utilizzo di azoto liquido a livello del tessuto atriale e del miocardio. I vantaggi della crioablazione comprendono l’abilità di realizzare aree specifiche a bassa temperatura reversibili, l'adesione stabile del catetere crio-termico sull'endocardio e la ridotta l’incidenza di trombosi endocardica a livello del sito della crio-ablazione. Il vantaggio principale è dato dalla formazione di lesioni muscolari omogenee non interessando l'architettura del tessuto. Le lesioni, tuttavia, non sono sempre transmurali e non sono direttamente inquadrabili; la durata delle applicazioni è maggiore rispetto alle altre tecniche.


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La casistica della Clinica Città di Alessandria Presso il dipartimento Cardiovascolare della Clinica Città di Alessandria sono state eseguite 43 procedure di ablazione chirurgica della fibrillazione atriale (62% femmine e 38% maschi). Il 55% del pazienti risultava affetto da F.A. permanente (24 pazienti), mentre i pazienti in F.A. parossistica e persistente erano rispettivamente 10 e 6 (23% e 11%). L’epoca di insorgenza dell’aritmia variava da un periodo di 8 mesi a un massimo di 16 anni con una media di 39 mesi. Più dell’85% dei paziente era in classe funzionale II o III, mentre il 13% risultava asintomatico. Il diametro dell’atrio sinistro, fattore di particolare importanza nel determinare i risultati immediati e a distanza dell’ablazione, variava tra 40 e 92 mm (media 65 mm). L’ablazione del circuito di rientro è stata effettuata con dispositivi a radiofrequenza in 25 pazienti, con dispositivi a ultrasuoni in 9 e con dispositivi a microonde in 9 pazienti. I nove pazienti operati con dispositivo a microonde Flex 10 sono stati operati mediante approccio toracoscopico laterale destro. Sotto visione endoscopica è stato inciso il pericardio anteriormente al nervo frenico: visualizzate e isolate la vena cava superiore e inferiore è stato successivamente creato un passaggio al di sotto dell’atrio sinistro fino a raggiungere il seno trasverso e quindi è stato circondato il blocco delle vene polmonari in modo da realizzare una lesione completa (encircling). L’ablazione mediante radiofrequenza è stata ottenuta mediante apposizione di elettrodi bipolari sul tessuto atriale in modo da ottenere la linea di lesione classica (vedi Fig.1). In 17 pazienti è stata eseguito simultaneamente un intervento di plastica mitralica mentre in 8 pazienti è stato associato a rivascolarizzazione miocardica. Tutti i pazienti hanno lasciato la sala operatoria in ritmo sinusale o con ritmo da pace-maker temporaneo sequenziale per bradicardia sinusale o ritmo giunzionale. Nell’immediato periodo postoperatorio il 47% dei pazienti ha richiesto una cardioversione farmacologica per episodi di F.A. parossistica risolta nel 98% dei casi. I risultati a distanza sembrano esseri confortanti anche se risulta necessario un follow-up più lungo. Attualmente il 65% dei pazienti presenta ritmo sinusale a distanza media di 7 mesi dall’intervento. I risultati migliori sono stati ottenuti mediante ablazione con radiofrequenza bipolare. Incoraggianti, soprattutto in funzione di un approccio minimale mediante toracoscopia, sono i risultati dei pazienti trattati con Flex 10 (55% in ritmo sinusale a 7 mesi). Durante le procedure non sono state registrate complicanze maggiori. In due pazienti trattati con Flex 10 all’inizio dell’esperienza si è reso necessario terminare l’intervento per via sternotomica a causa di un sanguinamento non risolvibile per via endoscopica. In questo caso è stato tuttavia possibile legare l’auricola sinistra con drastica riduzione dei rischi di trombo-embolia a distanza. L’equipe del dott. Mario Fabbrocini durante un intervento


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Embolia polmonare acuta massiva: trattamento attuale

Il Prof. Salvatore Spagnolo, responsabile del Dipartimento di Cardiochirurgia del Policlinico di Monza

L’embolia polmonare, nonostante i progressi nella profilassi, nella diagnostica e nella terapia, continua ad essere gravata da un’alta mortalità. Dall’analisi dei dati della letteratura risulta che l’embolia è la terza causa di morte dopo l’infarto cardiaco e le malattie neoplastiche, ed è la seconda causa di morte improvvisa. Per dare un’idea della gravità del problema, basti considerare che ogni anno negli Stati Uniti più di 600.000 persone si ammalano di embolia polmonare e più di 100.000 muoiono. Scrive M. Moser: “Due parole, meglio di ogni altra, caratterizzano la mortalità e la morbilità causate dall’embolia polmonare: notevole e inaccettabile”. Certamente di embolia polmonare si parla poco ma si muore troppo. All’esame autoptico, in più del 70% dei casi di decessi per embolia polmonare, la malattia non viene riconosciuta. E, anche se diagnosticata, la malattia ha una mortalità altissima. Negli ultimi 40 anni la mortalità per embolia polmonare acuta massiva (EPAM) è rimasta invariata intorno al 30%. Attualmente non disponiamo di un farmaco in grado di rimuovere velocemente e completamente i trombi presenti nel circolo polmonare. L’eparina, infatti, non elimina i trombi già esistenti e viene utilizzata per bloccare la formazione di nuovi coaguli. I farmaci trombolitici, per la loro proprietà di sciogliere i coaguli, dovrebbero essere i più indicati e efficaci, ma hanno due limiti: 1 - agiscono molto lentamente, mentre l’EPAM è rapidamente mortale; solo il 12% della massa trombotica viene infatti lisata dopo due ore dall’inizio della somministrazione del farmaco. 2 - non possono inoltre essere utilizzati nei pazienti che, per recente intervento chirurgico od ortopedico, presentano un maggior rischio embolico, per il pericolo di determinare un sanguinamento non facilmente controllabile. L’intervento chirurgico, sebbene sia stato il primo provvedimento terapeutico utilizzato circa 100 anni or sono, ha una mortalità così elevata da essere giudicato eticamente non proponibile. Esso consiste nell’aprire l’arteria polmonare e nel rimuovere i trombi. Concettualmente l’embolectomia dovrebbe essere il provvedimento più indicato e risolutivo. Inspiegabilmente però la mortalità è sempre risultata elevata. Le cause di morte ipotizzate furono la persistenza di trombi nelle arterie polmonari periferiche e la comparsa di un edema polmonare emorragico definito come danno da riperfusione. Modifiche della tecnica, proposte da cardiochirurghi anche di fama internazionale, come la spremitura dei polmoni proposta da D. Cooley, non portarono a un miglioramento dei risultati. La discrepanza tra la semplicità dell’intervento e gli scarsi risultati ottenuti mi fece supporre che l’alta mortalità potesse essere legata a cause ancora misconosciute. La costante osservazione, durante l’intervento di embolectomia polmonare, che lo svuotamento delle arterie dai trombi e dal sangue non determinava una retrazione delle loro pareti con obliterazione del lume, ma la persistenza di un ampio lume beante, mi ha fatto intuire come possibile causa un massivo riempimento del circolo polmonare di aria. Nel lontano 1985 avanzai l’ipotesi che una possibile causa di morte nell’embolectomia fosse la trasformazione dell’embolia organica in embolia gassosa diffusa. Questa ipotesi non venne presa in nessuna considerazione per la convinzione, ancora comune nel mondo medico, che l’entrata di aria nel circolo polmonare non determina nessuna complicanza, perché facilmente eliminata a livello della barriera alveolo-capillare. Finalmente, agli inizi degli anni ’90, comparvero numerosi studi sperimentali, condotti su animali, che dimostrarono come l’aria iniettata nelle arterie polmonari causa un’ipertensione polmonare proporzionale alla quantità iniettata e una reazione infiammatoria a livello alveolo capillare con edema polmonare, spesso emorragico. Queste complicanze sono del tutto sovrapponibili a quelle riscontrate negli operati di embolectomia polmonare. Confermata l’ipotesi dell’embolia gassosa come causa di morte, si presentava il problema di come eliminare, a fine intervento, l’aria dalle arterie polmonari. L’aria, come i trombi residui, è localizzata prevalentemente nelle arterie polmonari


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periferiche e la sua rimozione è tecnicamente impossibile. Basandoci sul presupposto anatomico dell’assenza di valvole unidirezionali nelle arterie polmonari, per la rimozione dell’aria e dei trombi periferici abbiamo invertito la circolazione polmonare. A fine intervento, con il paziente ancora in CEC, abbiamo collegato la linea arteriosa della circolazione extracorporea con l’atrio sinistro e instaurato una circolazione retrograda: il sangue dall’atrio sinistro perfonde le vene polmonari e raggiunge il microcircolo, da dove riempie progressivamente prima le arterie periferiche poi le arterie polmonari principali. Il passaggio del flusso sanguigno dalle arterie di piccolo calibro a quelle di calibro sempre maggiore determina un facile trasporto all’esterno sia dell’aria che dei trombi. L’inversione della circolazione polmonare è una metodica utilizzata da noi per la prima volta nell’uomo. Con questa tecnica sono stati operati 23 pazienti per EPAM in fase di shock. Tre pazienti hanno avuto un arresto cardiaco durante l’induzione anestesiologica. Due pazienti hanno avuto un arresto cardiaco in reparto e, sotto massaggio cardiaco, sono stati trasferiti direttamente in sala operatoria. Non si è verificato nessun decesso ospedaliero e il decorso clinico è stato sovrapponibile a quello di un intervento a basso rischio cardiochirurgico. La semplicità della tecnica chirurgica e i risultati ottenuti aprono nuove prospettive nel trattamento dell’EPAM e impongono alcune considerazioni. Se diagnosticata, l’embolia polmonare può essere curata e non è più ammissibile l’alto errore diagnostico che caratterizza questa patologia. Il medico, di fronte ad un paziente portatore di rischio embolico maggiore, che presenti improvvisa e grave dispnea, ha l’obbligo di sospettare sempre una embolia polmonare. Questa grave complicanza è poco conosciuta dalla popolazione e la conseguenza è che molti pazienti muoiono senza poter ricorrere alle cure mediche. Come per l’ischemia cardiaca, anche per l’embolia polmonare, il fattore tempo riveste un ruolo fondamentale. Tutti dovremmo sapere che in presenza di un rischio embolico maggiore, come un intervento di protesi agli arti inferiori o un intervento chirurgico addominale, la comparsa, in pieno benessere, di improvvisa e grave dispnea, è indice di embolia polmonare. Se il paziente riconosce questo sintomo e ricorre alle cure mediche ha un’alta possibilità di sopravvivenza, altrimenti un successivo attacco embolico potrebbe risultargli fatale.

Interventi di cardiochirurgia effettuati presso il Gruppo Policlinico di Monza nell’anno 2007 Descrizione Interventi su valvole cardiache e altri interventi maggiori cardiotoracici con cateteri Bypass coronarico con cateterismo cardiaco Bypass coronarico senza PTCA o cateterismo cardiaco Interventi su valvole cardiache e altri interventi maggiori cardiotoracici senza cateteri Altri interventi cardiotoracici Interventi maggiori su sistema cardiovascolare Altri interventi

Totale

CASI 543 280 194 163 38 30 62

1.310


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G La spalla, un'articolazione importante e complessa

Il dott. Alberto Graziano Unità Operativa di Ortopedia della Clinica Eporediese

li studi sulla patologia della spalla hanno realizzato in questi ultimi anni notevoli progressi sia a livello delle conoscenze di base (biomeccanica) che delle sindromi cliniche e delle metodiche terapeutiche.

La spalla è un’articolazione complessa il cui movimento è legato a una perfetta sincronia di diverse articolazioni stabilizzate da complessi capsulo-legamentosi e attivate da gruppi muscolari differenti. Stabilità e mobilità devono necessariamente trovare un compromesso. Molte delle patologie della spalla sono in effetti localizzate nelle strutture deputate alla stabilità (capsula, legamenti) e alla mobilità (tendini della cuffia degli extrarotatori). Il miglioramento delle tecniche chirurgiche, convenzionali e/o artroscopiche, ha notevolmente esteso l’indicazione al trattamento chirurgico, anche in età avanzata, di numerose patologie della spalla; è sicuramente durante gli anni ’80 che l’artroscopia della spalla non soltanto ha fornito una migliore comprensione della patologia intra-articolare, ma è anche divenuta un affidabile strumento per il trattamento di molte comuni patologie. Inizialmente la sua applicazione è stata limitata alla diagnosi, al lavaggio articolare e alla rimozione di corpi liberi. Durante gli ultimi 15 anni l’indicazione si è estesa al trattamento della patologia dell’instabilità, delle lesioni della cuffia dei rotatori e del tendine del bicipite, delle affezioni acute e croniche dell’articolazione acromioclaveare, della capsulite adesiva e di molte altre affezioni. L’affermarsi di tecniche artroscopiche prima sul versante diagnostico e poi su quello chirurgico ha dato un impulso a una sorta di nuova anatomia funzionale per arrivare a individuare strutture cardine per il buon funzionamento della spalla che devono essere indagate con una diagnostica di immagine fine e mirata allo scopo di confermare il dato clinico e permettere al chirurgo una corretta indicazione al trattamento. Qui di seguito sono trattate alcune delle patologie di più frequente riscontro clinico.

Le lesioni della cuffia dei rotatori La cuffia dei rotatori è costituita dall’insieme dei tendini che permettono l’ampio grado di libertà di movimento tipico della spalla. Come una cuffia ricopre la testa così l’insieme di questi quattro tendini ricopre e riveste la testa omerale. È quindi chiaro come una lesione a carico di uno o più tendini della cuffia dei rotatori (figura 1) sia in grado di alterare profondamente e in maniera ingravescente il normale movimento della spalla. È opportuno ricordare che nel soggetto anziano quasi mai la lesione è conseguenza di un trauma quanto di un'usura eccessiva delle porzioni di cuffia più sollecitate. Condizioni anatomiche di restringimento dello spazio entro cui sono obbligati a scorrere i tendini (spazio sottoacromiale) durante il normale uso funzionale della spalla, sono capaci di creare una situazione reattiva infiammatoria locale caratterizzata dal dolore. Se si compensa solo il sintomo dolore senza rimuovere le cause si apre la strada a un peggioramento dell’usura tendinea che conduce inevitabilmente alla lesione degenerativa ingravescente della cuffia dei rotatori. Tipica è la storia di ripetute crisi algiche, etichettate come periartrite e trattate con infiltrazioni di preparati cortisonici, che specie nelle ore notturne disturbano il paziente con progressiva limitazione dei movimenti di elevazione della spalla. Classica è la difficoltà riferita nel pettinarsi o nel togliersi la giacca quando si deve combinare il movimento di elevazione con quello di rotazione esterna. Qualora ci sia un acromion ispessito che determini una riduzione “critica” dello spazio sottoacromiale, è possibile artroscopicamente ampliare lo spazio rimuovendo anche i tessuti infiammati interposti. Quando uno o più tendini della cuffia sono rotti questi possono essere riparati utilizzando anche in questo caso tecniche chirurgiche artroscopiche che prevedono la reinserzione del tendine all’osso utilizzando piccole viti (ancore) cui sono collegati fili di sutura (figura 2). Il programma postoperatorio prevede un periodo di immobilizzazione in un tutore che consente la cicatrizzazione dei tessuti riparati, seguito da un periodo di mobilizzazione passiva e quindi attiva mirato alla riconquista di un normale trofismo muscolare. Tutto questo può significare un periodo di tempo che va dai 3 ai 6 mesi e il risultato finale dipende molto dalla determinazione e capacità dei pazienti di seguire nei particolari il programma riabilitativo.


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L’instabilità gleno-omerale

Il dott. Giovanni Villani Unità Operativa di Ortopedia della Clinica Santa Rita di Vercelli

L’instabilità gleno-omerale è una patologia caratterizzata dall’incapacità della testa omerale a rimanere centrata all’interno della cavità glenoidea durante alcuni specifici movimenti della spalla. Clinicamente si manifesta con episodi di lussazione (perdita totale dei rapporti articolari) o con episodi di sublussazione (perdita parziale dei rapporti articolari). Le instabilità gleno-omerali possono variare fra loro per direzione (anteriore o posteriore), modalità d’insorgenza (traumatica o atraumatica) e frequenza degli episodi (recidivante o abituale). Vista la variabilità delle lesioni che si possono riscontrare nell’instabilità di spalla, anche il trattamento chirurgico, quando indicato, risulta variabile da caso a caso. Generalmente la riparazione chirurgica avviene sotto controllo artroscopico e prevede il riancoraggio del legamento distaccato all’osso utilizzando anche in questo caso dei fili di sutura (eventualmente con microscopiche ancorette metalliche o riassorbibili). A fine intervento verrà posizionato un tutore da mantenere per un periodo di 21 giorni circa. In alcuni casi può essere necessario intervenire con tecniche chirurgiche convenzionali a cielo aperto laddove la frequenza degli episodi di lussazione abbia creato danni anatomici alla testa dell’omero tali da rendere poco affidabile in termini di rischi di recidiva la riparazione artroscopica.

La periartrite calcifica È una patologia caratterizzata dalla presenza di depositi calcifici nel contesto del tessuto vitale tendineo. Le donne sono più colpite rispetto agli uomini e viene colpito specialmente il lato destro. Per quanto concerne la localizzazione il tendine più colpito è il sovraspinoso. Alcuni depositi di calcio possono determinare l'erosione progressiva fino alla distruzione di una parte dei tendini della cuffia dei rotatori. Clinicamente, la patologia evolve attraverso tre stadi: acuto, subacuto e cronico. Il dolore acuto, in genere dovuto allo spasmo muscolare e a un’eventuale rigidità della spalla, può accentuarsi durante la notte. L’ infiammazione in fase acuta può essere trattata con impacchi di ghiaccio, riposo del braccio e farmaci antiinfiammatori per via orale; nel caso in cui il dolore sia molto severo già da alcuni giorni e non si attenui in maniera significativa con i provvedimenti sopra descritti allora trova indicazione un’iniezione di antiinfiammatori cortisonici direttamente nell'area dei depositi di calcio, che è in grado di dare sollievo nell'ambito di poche ore. Quando si verificano due o tre episodi ricorrenti di sintomi dolorosi della spalla o si possono vedere alle radiografie i depositi di calcio che crescono di dimensioni, allora si può prendere in considerazione l'ipotesi di rimuoverli mediante chirurgia per via artroscopica. Qualora i depositi di calcio determinino la formazione di un buco nella cuffia dei rotatori allora può rendersi necessaria una riparazione del danno alla cuffia (se possibile) ed eventualmente una decompressione sottoacromiale per ridurre gli attriti.

L’artrosi di spalla L’artrosi di spalla è una condizione morbosa che può colpire più articolazioni, specialmente il ginocchio, l’anca e la colonna vertebrale, meno frequentemente la spalla. Quando si sviluppa l’artrosi, la cartilagine articolare si erode, si frammenta e provoca una reazione infiammatoria a livello articolare che si manifesta clinicamente con dolore, rigidità e conseguente impotenza funzionale. Il dolore può variare da modesto a molto intenso in base a molteplici fattori tra cui la severità della malattia (la maggior parte dei casi si tratta di processi su base degenerativa ma in alcuni casi la causa può essere l’artrite reumatoide) e dalla fase o meno d’acuzie. I casi più avanzati possono essere diagnosticati sulla base di una radiografia e dell’esame clinico dell’articolazione colpita. Nel caso di artriti su base infiammatoria come quelle reumatoidi sono utili anche specifici esami ematochimici. Il trattamento dell’artrosi della spalla dipende da quanto sia invalidante e dolorosa la patologia. In alcuni casi può essere utile fare riferimento ad un reumatologo per stabilire un’appropriata terapia medica. Utili ed efficaci sono spesso la fisioterapia e la riabilitazione in acqua, soprattutto per mantenere il completo arco di movimento


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dell’articolazione e rinforzare i muscoli della spalla. Se l’artrite è in stato avanzato, determinando importante dolore e limitazione funzionale, allora può essere preso in considerazione un intervento chirurgico, che nei casi non troppo gravi potrà essere di tipo artroscopico. Con questa operazione il chirurgo provvederà a rimuovere i tessuti infiammati e i frammenti di cartilagine deteriorata e rotta. Ovviamente questo trattamento non risolve alla base la patologia ma ne limita i sintomi per un lungo periodo. Nei casi più avanzati di evoluzione della patologia potrebbe rendersi necessaria una protesi articolare con la quale si sostituiscono le superfici articolari danneggiate irreversibilmente (figura 3). La spalla sarà fatta riposare in un apposito tutore per il tempo necessario alla cicatrizzazione di tendini e muscoli. Gli esercizi di riabilitazione passiva potranno iniziare fin dai giorni subito successivi all’intervento chirurgico con movimenti del gomito, del polso e della mano. In breve tempo potranno essere effettuati anche esercizi di mobilizzazione passiva della spalla di tipo pendolare. Gli esercizi di rinforzo potranno iniziare dopo il primo mese, dopo aver sospeso l’uso del tutore.

Figura 1

Patologie della spalla, il trattamento chirurgico

Il dottor Bruno Arosio, responsabile della II Divisione di Ortopedia del Policlinico di Monza

Figura 2

Figura 3

Negli ultimi anni il trattamento delle patologie della spalla, sia di tipo degenerativo che traumatico, ha subito un’evoluzione indirizzandosi sempre di più verso un’aggressione chirurgica mini invasiva. L’artroscopia della spalla sta assumendo un ruolo che dal diagnostico vira sempre più verso il chirurgico. Se un tempo l’artroscopia serviva soprattutto per fare una diagnosi ora si tende sempre di più a eseguire interventi chirurgici anche complessi con questa metodica. Indubbiamente l’uso di un approccio che prevede solo 3 o 4 fori è per il paziente più accettato che non una ferita chirurgica anche se piccola, e l’immediato postoperatorio è meno doloroso nel primo caso. Anche presso il Policlinico di Monza viene seguito questo indirizzo, e l’artroscopia di spalla in casi dubbi o nei quali si ipotizza l’assenza di rotture dei tendini della cuffia dei rotatori e la necessità di allargare lo spazio sottoacromiale o di rimuovere una borsa ipertrofica, rimane la procedura di scelta. Ma nei casi in cui è presente una rottura dei tendini soprattutto se, come spesso accade, c’è una retrazione dei monconi, preferiamo rinunciare all’artroscopia e procedere subito a un intervento tradizionale con una incisione chirurgica. Le ragioni di questa scelta sono da attribuire indubbiamente a una certa dimestichezza da parte del chirurgo con questa metodica, ma questa non è la sola ragione. Da prendere in considerazione c’è anche la rapidità del tempo chirurgico, la maggiore accuratezza con cui si riesce a riparare una lesione la cui sutura avviene di norma affondando i bordi in un solco osseo sull’omero senza lasciare “scalini” tendinei, la possibilità di eseguire scollamenti di aderenze e trasposizioni di tendini per coprire eventuali perdite di sostanza e la possibilità di non usare ancorette o chiodini metallici che rimangono poi all’interno dell’osso, ma utilizzando solo fili di sutura. Veniamo ora a descrivere come avviene questo tipo di intervento per rotture dei tendini della cuffia dei rotatori. L’anestesia è di regola loco-regionale con una plessica che anestetizza solo l’arto interessato e che lascia soprattutto un’analgesia che perdura per qualche ora dopo l’intervento, con notevole riduzione del dolore postoperatorio. L’incisione chirurgica, di regola della lunghezza di 3 o 4 cm, viene effettuata


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longitudinalmente e anteriormente sulla spalla in una zona che di norma è coperta nelle donne dalle spalline della biancheria intima e che quindi dal punto di vista estetico è poco visibile. L’intervento prosegue con il parziale scollamento del muscolo deltoide dall’osso acromiale, con l’esecuzione della cosiddetta acromionplastica cioè con l’asportazione di una spicola ossea che permette di allargare lo spazio nel quale scorre la parte tendinea che si è rotta, si asportano i tessuti della borsa che sono infiammati e ingrossati, si ricercano i monconi tendinei, si scollano dalle aderenze. Si prepara un solco osseo nella testa dell’omero e quindi si suturano i lembi tendinei nel solco preparato avendo l’accortezza di non lasciare bordi sporgenti che possano disturbare il normale scorrimento della cuffia sotto l’osso acromiale durante i movimenti della spalla. Si colloca un drenaggio e si esegue la chiusura del deltoide e quindi della cute. Se l’entità della lesione del tendine che si è retratto non è superiore ai 2 cm, si applica un semplice reggibraccio che dovrà essere portato per 4 settimane; se invece è presente una retrazione tendinea di entità superiore, e quindi la sutura è stata effettuata in forte tensione, viene applicato un divaricatore (una specie di cuscino) che manterrà il braccio sollevato sempre per 4 settimane. Il ricovero per questo intervento dura 2 giorni. Fondamentale però nel postoperatorio è l’effettuazione di una prolungata fisioterapia che consentirà progressivamente il recupero del movimento della spalla. Di norma tale periodo è di circa 2 mesi. I buoni risultati ottenuti e soprattutto la soddisfazione dei pazienti operati ci incoraggiano a proseguire su questa strada. Ovviamente nella spalla non c’è solo questo tipo di lesione; una grossa parte di patologia riguarda l’instabilità della spalla, in gran parte dovuta a eventi traumatici con episodi di lussazione dell’articolazione. Dopo un primo episodio la lussazione può ripresentarsi più volte anche senza traumi importanti. In alcuni casi il movimento che provoca la lussazione è il tentativo di accendere la luce sul comodino quando si è a letto o il movimento di sfilarsi una maglia. Questo è dovuto a una rottura di una parte dell’articolazione che prende il nome di “cercine glenoideo”. Questa struttura assomiglia ai menischi del ginocchio, ha la funzione di contenere la testa dell’omero e non ha capacità di ripararsi da sola perché è poco vascolarizzata. Per ovviare a questa patologia è quindi necessario ricorrere a un intervento chirurgico. Anche in questo caso si può ricorrere all’artroscopia con il posizionamento di viti o uncini che riattacchino la parte lesionata all’osso o che rinforzino la capsula articolare e i legamenti mediante una duplicatura della stessa. Si può anche, ed è la procedura che preferiamo, ricorrere alla chirurgia aperta risuturando la parte lesionata all’osso con robusti punti transossei o addirittura spostando una bratta ossea con inseriti dei tendini fino ricoprire la breccia aperta attraverso la quale avviene la lussazione. I risultati di questa metodica, se sono meno brillanti dal punto di vista estetico (la cicatrice è di solito più visibile rispetto ai casi di lesione della cuffia), sono però molto buoni dal punto di vista funzionale con rarissimi casi di recidiva dell’instabilità e con il ripristino della motilità della spalla quasi normale. Anche in questi casi è fondamentale un periodo di fisioterapia da eseguire dopo l’intervento. Un capitolo numericamente non rilevante ma importate è la parte di chirurgia protesica. In alcuni casi di fratture molto comminute della testa dell’omero, in cui i frammenti ossei hanno perso l’apporto di sangue per la rottura dei vasi sanguinei, oppure in gravi casi di artrosi della articolazione, si deve procedere alla sostituzione della parte fratturata con una protesi metallica analogamente a quanto avviene per la testa del femore. I risultati di questo tipo di interventi se sono buoni per quanto riguarda il dolore, sono meno brillanti per quanto riguarda la completa ripresa del movimento e solo un’intensa e prolungata fisioterapia può garantire il raggiungimento di buoni risultati.


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L’attività ad Alessandria e Asti

Il dott. Massimo Brignolo (a sinistra) ed il dott. Andrea Lisai (a destra) Unità Operativa di Ortopedia della Clinica Città di Alessandria, Clinica Salus di Alessandria e San Giuseppe di Asti

Presso le cliniche Salus di Alessandria e San Giuseppe di Asti è dal 2006 operativa l’équipe ortopedica Artroteam, diretta dal dottor Massimo Brignolo e caratterizzata da una forte specializzazione nella chirurgia della spalla: proprio in questo ambito l’équipe ha all’attivo centinaia di interventi e rappresenta una realtà consolidata a cui si rivolgono pazienti provenienti anche da altre regioni. Nel tempo si sono costantemente potenziate le attività chirurgiche e degli ambulatori convenzionati presso la Clinica Salus di Alessandria, dove ad affrontare le patologie della spalla per Artroteam è il chirurgo ortopedico Andrea Lisai. Esiste la cura ideale per la spalla dolorosa? “Non è possibile circoscrivere il trattamento delle patologie della spalla entro protocolli schematici. Bisogna costruire la strategia terapeutica intorno al singolo paziente e questo è più facilmente perseguibile in ambito superspecialistico”. I pazienti tipici? “Persone sottoposte a lavori usuranti, sportivi professionisti e anziani con patologie degenerative della cuffia dei rotatori”. Qual è per voi il percorso del paziente con la spalla dolorosa? “Il percorso inizia con una accurata prima visita che prevede, tra l’altro, la raccolta dei dati che fanno di ogni caso un caso unico e la compilazione di una scheda che farà parte di un fascicolo. Il fascicolo seguirà il paziente lungo il cammino terapeutico; in pratica si mette a punto il ‘manuale d’uso’ personale della spalla di quel determinato paziente”. Passiamo alla terapia. “Fatta la diagnosi viene proposta la terapia che può essere chirurgica o di tipo riabilitativo. A questo punto il paziente viene informato che l’atto chirurgico è solo una parte del percorso terapeutico, che la guarigione può richiedere tempi lunghi e variabili a seconda dei casi. Ad esempio, non è detto che nel suo caso specifico i periodi coincidano con quelli di altri conoscenti operati qualche tempo prima”. Può fare qualche esempio per chiarire questa variabilità? “A un paziente operato di pulizia o di sblocco articolare verrà prescritta una precoce mobilizzazione e spesso non sarà indicato l’uso di un tutore. Un paziente operato per una lesione dei tendini o dei legamenti necessiterà di un tutore e di un certo numero di settimane di riposo per non vanificare la ricostruzione effettuata. Un paziente che ha dolore da molto tempo e che ha instaurato dei compensi può impiegare parecchio a guarire e può necessitare di un trattamento riabilitativo post-operatorio lungo e impegnativo. Gli esempi sono infiniti”. Cosa richiedete al paziente in questo percorso? “Di essere costantemente consapevole di cosa lo affligge e di cosa gli stiamo facendo. Il paziente deve collaborare; deve seguire delle regole e noi gli forniamo gli strumenti e le informazioni per farlo. A fronte di questo non deve mai sentirsi abbandonato. Siamo costantemente a disposizione dei medici di famiglia e dei terapisti per chiarimenti sulle strategie terapeutiche. Nella modulistica sono riportati i numeri di riferimento”. Per concludere quali sono le tecniche chirurgiche che utilizzate? “Ci occupiamo della chirurgia della spalla a 360°: dall'artroscopia agli interventi ‘a cielo aperto’ per la protesica di spalla e la traumatologia. Le cuffie dei rotatori vengono operate in artroscopia con ricovero di un giorno, generalmente in anestesia loco-regionale. Le instabilità di spalla nell’ottanta per cento dei casi in artroscopia e nel venti per cento a cielo aperto”.


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L’attività a Biella

Il dott. Pier Giorgio Castelli, responsabile dell’Unità Operativa di Ortopedia della Clinica La Vialarda, Biella

L’Unità Operativa di Ortopedia della Clinica La Vialarda riserva una particolare attenzione alla diagnosi e al trattamento delle patologie della spalla. La maggiore richiesta funzionale da parte di pazienti anziani, la diffusione della pratica sportiva e l’incremento della durata della vita lavorativa in associazione con l’evoluzione delle tecniche diagnostiche e chirurgiche hanno determinato una domanda sempre maggiore di prestazioni rivolte al trattamento di problematiche della spalla. L’Unità Operativa di Ortopedia, diretta dal dott. Pier Giorgio Castelli ha trattato, fin dalla sua istituzione, un ampio spettro di patologie della spalla; dalle più comuni lesioni tendinee e instabilità articolari a problematiche più complesse come le artriti degenerative, gli esiti di fratture e le revisioni di impianti protesici con l’impiego di tutte le più attuali procedure di trattamento chirurgico. Le più comuni affezioni della spalla (patologie tendinee di varia natura, rotture della cuffia dei rotatori, instabilità articolari acquisite o costituzionali) vengono in tutti i casi trattate con tecnica artroscopica (Fig. 1). Nei casi di tendinopatia si esegue l’asportazione del tessuto infiammatorio e si possono rimuovere eventuali calcificazioni presenti nella compagine tendinea. In caso di rotture tendinee l’artroscopia permette di valutare anatomicamente la morfologia della lesione e di eseguire una riparazione personalizzata. In caso di instabilità articolari l’artroscopia consente di osservare direttamente la lesione che Fig. 1 causa l’alterazione dell’articolarità, la sua direzionalità e soprattutto la corretta calibrazione della riparazione effettuata. Vengono eseguiti annualmente oltre 350 trattamenti con tecnica artroscopica in anestesia loco-regionale, limitando il ricovero, dato l’ottimo controllo del dolore postoperatorio, ad un’unica giornata di degenza, contenendo così al minimo i disagi per il paziente.Nuovi campi di particolare interesse si sono rivelati nel trattamento delle patologie correlate a malattie reumatiche, a turbe ormonali e a situazioni di sovraccarico su base professionale. La collaborazione con le Unità Operative di Reumatologia operanti sul territorio ha consentito di trattare numerosi pazienti reumatici (artrite reumatoide). La particolare localizzazione pluri-articolare di queste malattie ha richiesto piani di cura personalizzati in cui i trattamenti artroscopici, per la loro minima invasività, hanno consentito di limitare al minimo i tempi di immobilizzazione su soggetti con invalidità complesse (sinoviectomie, e tenotomie del capo lungo del bicipite) senza limitare la funzionalità degli arti superiori in casi di uso abituale di presidi per la deambulazione. Sono stati trattati numerosi pazienti affetti da patologie tendinee e articolari in diabete e alterata funzionalità tiroidea in collaborazione con le unità di cura endocrinologica del territorio. Fin dall’inizio dell’attività dell’Unità Operativa, si è riservato un interesse specifico per le Fig. 1 patologie da sovraccarico di natura


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professionale istituendo un canale preferenziale di valutazione e trattamento per soggetti dediti ad attività usuranti in ambito industriale (Fig. 2). La particolare omogeneità della manodopera del Biellese in ambito tessile ha consentito di sviluppare un’approfondita esperienza nel trattamento delle tendinopatie da sovraccarico e usura, con particolare riguardo allo sviluppo di strategie di rapido recupero e reinserimento lavorativo grazie alla coordinazione con le unità di fisiatria e di medicina del lavoro operanti nel Biellese. Viene altresì mantenuto un rapporto di collaborazione con tutte le principali società sportive dilettantistiche e professionistiche biellesi (basket, volley, rugby, atletica) per la diagnosi e il trattamento delle patologie di spalla. La chirurgia protesica della spalla, per il trattamento di patologie degenerative, traumatiche e secondarie a problematiche dei tendini della cuffia dei rotatori, ha subito uno sviluppo significativo. Oltre agli abituali impianti protesici, effettuati per artrosi primitiva di spalla o per frattura, si eseguono impianti con tecnica “a conservazione” di tessuto osseo (protesi di rivestimento. Fig. 3) e soprattutto gli impianti di protesi “inverse” (Fig. 4) che consentono, in pazienti anziani, un rapidissimo recupero della funzionalità articolare elementare e un’altrettanto rapida ripresa della vita autonoma. In particolare, dal 2007, si è organizzato un programma di formazione per l’istruzione di chirurghi, provenienti da altri centri nazionali, alle moderne tecniche di impianto protesico.

Fig. 3

Artrosi e le malattie tendinee della spalla: colpiscono tutti, prima o poi?

Fig. 4

Alcuni consigli dell’Ortopedico Ferdinando Priano Cari pazienti, se il vostro medico vi dice: "Lei ha l'artrosi all'articolazione della spalla, o addirittura a tutte e due, la prima reazione è di grande sgomento e spavento. Da un lato vi sentite ancora troppo giovani e attivi o, dall'altro, pensate: "Sono vecchio, ora?". O forse nascono paure del tipo: "Che ne sarà di me, se non sarò più in grado di muovermi come prima? Che succederà, se non potrò più camminare?" Anche se alcuni studiosi spiegano che l'artrosi è solo una manifestazione di vecchiaia e non di malattia, tuttavia ciò non ci rassicura affatto. Dati alla mano, circa otto milioni di persone nella Repubblica Italiana soffrono di artrosi della spalla; una visita medica su due è resa necessaria a causa di dolori all'apparato motorio e 16 milioni di giornate lavorative perse per motivi di malattia sono da ricondurre a malanni articolari. Ciò comporta che le cure ortopediche rappresentano la voce maggiore nel bilancio dell'assistenza sanitaria. Sulle radiografie di metà della popolazione intorno ai 40 anni si riscontra già l'artrosi e la sua frequenza, nonché l'intensità del dolore, le quali aumentano con l'età. Ecco dunque che non vi trovate ad essere soli ad affrontare la malattia. Tuttavia questo fatto non vi renderà lo stesso particolarmente felici. Ma proprio perché tanta parte


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dell'umanità soffre per le conseguenze dell'artrosi, gli studiosi di tutto il mondo cercano di approfondire le cause che ne provocano l'insorgere, allo scopo di affrontare il male alla radice. Una guarigione completa non è, a tutt'oggi, ancora possibile. Tuttavia, per la prima volta, nasce una speranza fondata di poter fermare l'incalzare della malattia, dato che, finalmente, si è riusciti a scoprire un fattore determinante per il suo insorgere. E c'è un'altra buona notizia. Alcune proteine prodotte dal nostro corpo possono proteggere le articolazioni malate da ulteriori processi degenerativi. Come ciò sia possibile lo verrete a sapere leggendo questo articolo. Dato che è importante per voi capire la vostra malattia, al fine di evitare fattori di rischio e contribuire responsabilmente al miglioramento dei disturbi, siamo lieti di informarvi sul quadro clinico, sui rischi e sulle misure da adottare, sui centri informativi cui rivolgere le vostre domande e su un nuovo metodo di trattamento che sfrutta i meccanismi naturali del nostro corpo per intervenire nel decorso della malattia.

Domande scottanti quando la diagnosi è: artrosi. Quando ci troviamo confrontati con la diagnosi "artrosi" ecco che sorgono spontanee domande importanti.

Il prof. Ferdinando Priano direttore del Dipartimento Piemontese di Ortopedia del Gruppo Policlinico di Monza

Artrosi: è grave? L'artrosi ha molte facce: tuttavia essa è generalmente il prezzo che si paga per l'avanzare dell'età. Ci troviamo dinnanzi ad un processo del tutto naturale se, ad esempio, le articolazioni delle spalle si consumano e si logorano dopo molti anni: in fin dei conti esse devono portare costantemente il peso del nostro lavoro e sono sempre in movimento, giorno dopo giorno. Vista così l'artrosi non è una malattia pericolosa, bensì, nella maggioranza dei casi, una conseguenza naturale del processo di invecchiamento del nostro corpo. Tuttavia essa può essere provocata anche da molti altri fattori. Le conseguenze di questa malattia non sono affatto innocue, trattandosi di un'affezione cronica. Essa causa forti dolori, infiammazioni e, alla lunga, può portare alla deformazione delle articolazioni o addirittura al loro irrigidimento totale. Artrosi: si può guarire? L'aspetto insidioso dell'artrosi delle spalle è dato dal fatto che per lo più essa progredisce molto, molto lentamente, nel corso di parecchi anni, così che percepiamo i dolori che essa provoca solo quando è già in atto. In linea di principio ciò può accadere ad ogni articolazione: se la malattia continua ad avanzare, il nostro corpo non è più in grado di porre rimedio da sé ai danni da essa provocati ed ha bisogno di ricorrere ad aiuti esterni, ad esempio i farmaci. L'invecchiamento è un processo biologico cui non possiamo sottrarci, ma non è detto che dobbiamo accettare l'artrosi senza cercare di porvi rimedio. Essa non sparisce da sé, ma al giorno d'oggi esistono trattamenti che influiscono positivamente sugli effetti che essa provoca. Cosa si può fare per contrastarla? L'artrosi a tutt'oggi non si può guarire, poichè, se così fosse, esisterebbero anche dei mezzi per evitare l'invecchiamento; ma ci sono molte possibilità di alleviarne la sindrome dolorosa. Eppure la cosa essenziale sarebbe riuscire a fermare il progredire continuo della malattia, per poter conservare il più a lungo possibile la mobilità delle articolazioni. A queste tre scottanti domande troverete risposte più esaurienti rivolgendovi ai nostri medici presso la Clinica Città di Alessandria, San Gaudenzio di Novara, La Vialarda di Biella. Innanzi tutto dovete decidere se preferite assistere inerti all'avanzare della malattia o, invece, volete assumervi la responsabilità di apportare un contributo ai fini di migliorare la situazione: Dove sta l'artrosi? L'artrosi si annida nelle articolazioni L'artrosi - o "reumatismo articolare degenerativo" - è una malattia cronica che può espandersi a tutte le articolazioni del nostro corpo. Tra le più frequenti è l'artrosi della spalla. Circa il 50 % della popolazione di età superiore ai 65 anni ha l’artrosi; ad un'età superiore ai 75 anni essa colpisce il 100 % della popolazione. Senza che ce ne rendiamo conto, le nostre articolazioni eseguono giorno per giorno


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migliaia e migliaia di movimenti, ammortizzano colpi bruschi, ci offrono sostegno e stabilità. Così non c'è da meravigliarsi che esse siano quelle maggiormente a rischio, poiché il loro carico è enorme. Ogni loro parte può essere colpita dall'artrosi: così conviene cominciare ad osservare come si può trattare questa articolazione da vicino. Si può tentare per via artroscopica salvando l’articolazione oppure sostituire con protesi l’articolazione malata

Il prof. Ferdinando Priano durante un intervento in artroscopia alla spalla

Esistono inoltre oggi delle nuove opportunità terapeutiche per il trattamento delle tendinopatie della spalla in artrosi. I tendini sono strutture facilmente vulnerabili agli insulti traumatici o microtraumatici in particolare quando l’organismo è carente dei microelementi nutrizionali essenziali per il buon funzionamento e la conservazione del tendine stesso, come nel caso di sovraccarico funzionale che comporta, insieme ad una forte sollecitazione delle articolazioni e dei tendini, anche il rapido esaurirsi dei micronutrienti necessari al benessere del tendine stesso, con conseguente aumento della probabilità di evocare una tendinopatia. Tale evenienza è particolarmente avvertita dai pazienti artrosici. Le tendinopatie meno gravi vengono abitualmente trattate con terapia farmacologica locale e in generale con l’obiettivo di recuperare al più presto la mobilità, mentre quelle più gravi, sottoposte ad accertamenti diagnostici sofisticati (ecografia e RM o ArtroRM), debbono essere comunque monitorizzate e deve essere applicata una terapia farmacologica che permetta al paziente di iniziare il più rapidamente possibile esercizi di controllo muscolare. Da una nostra analisi della letteratura internazionale è emerso che l’apporto di determinati microelementi sia fondamentale per prevenire, mitigare, trattare i danni tendinei provocati dall’attività muscolare. Esistono trattamenti tradizionali ed innovativi nelle tendinopatie della spalla. Tra gli innovativi quelli che effettuiamo routinariamente da qualche tempo nelle Cliniche del Gruppo Policlinico di Monza, in particolare si tratta di cure non invasive, di tipo farmacologico e di stimolo strutturale del tendine malato e poi di trattamento con terapia chirurgica microtraumatica conservativa e sostitutiva.


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Immagine in artroscopia di intervento di acromionplastica

Protesi di spalla di ultima generazione

Interventi su spalla presso il Gruppo Policlinico di Monza nell’anno 2007 Descrizone

Casi

Riduzione cruenta di lussazione della spalla Artroscopia della spalla Incisione di capsula articolare, legamenti o cartilagine della spalla Sinoviectomia della spalla Sostituzione totale della spalla (con protesi sintetica) Sostituzione parziale della spalla (con protesi sintetica) Riparazione di lussazione ricorrente della spalla Altra riparazione della spalla

15 2074 37 16 85 10 94 1924

Totale

4255


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Clinica Salus: l’Ortopedia ha un nuovo primario

Pierpaolo Mauro, torinese di 47 anni, dal 1 gennaio 2008 è primario di Ortopedia alla Clinica Salus di Alessandria, dove peraltro già lavorava da anni come libero professionista del gruppo GOST del professor Priano. Un nuovo primario, quindi, ma non nuovo alla realtà della clinica e già perfettamente ambientato nel suo posto di lavoro. Una sua nota biografica dovrebbe però iniziare con l’esperienza fatta a Savigliano, durata 15 anni (di cui 6 come responsabile della traumatologia), nel centro di chirurgia protesica diretto dal prof. Massè, un luminare molto noto e non solo in Piemonte. “Un periodo fondamentale per la mia formazione, in cui ho avuto modo di apprendere moltissimo”, sottolinea l’interessato. Dopo Savigliano, Mauro è approdato all’Ospedale Civile di Alessandria, quale responsabile di sala operatoria. Qui resta per 4 anni, dopodiché giunge alla Salus con l’equipe di Priano, come si è già detto. “Accettato senza riserve”, tiene a sottolineare, nonostante l’appartenenza a una scuola di pensiero (ortopedicamente parlando) diversa. Dottor Mauro, può descriverci brevemente le specialità medico-chirurgiche nelle quali è maggiormente specializzato? “Gli interventi che ho eseguito con maggiore frequenza in passato sono fondamentalmente di due tipi: chirurgia protesica dell'anca e del ginocchio. Si tratta di aree chirurgiche caratterizzate negli ultimi anni da una straordinaria evoluzione, dettata in primo luogo dal miglioramento tecnologico dei materiali. Grazie ad essa oggi possiamo impiantare protesi anche in persone di 40–50 anni, con la prospettiva di un solo reintervento nell’arco della vita”.

Il dott. Pierpaolo Mauro responsabile dell’Unità Operativa di Ortopedia della Clinica Salus di Alessandria

Secondo lei, in quale settore ortopedico si sono ottenuti i risultati più importanti? “Specie nella protesi d’anca, l’introduzione di nuovi materiali ha consentito di realizzare modelli protesici dotati non solo di una maggiore durevolezza, ma anche di una stabilità articolare intrinseca che fino a pochi decenni fa sarebbero state semplicemente impensabili. La combinazione di vari fattori migliorativi delle componenti protesiche ha portato anche ad un aumento della motilità articolare. Un esempio: la testa femorale di grande diametro, prima era improponibile in quanto causava formazione di micro particelle che avrebbero determinato a loro volta usura e scollamento (tecnicamente: malattia da debridment). Oggi si riesce, grazie a nuove leghe metalliche durissime, che si usurano ancora meno della ceramica, a garantire una durata d’impianto di gran lunga superiore. Un grandissimo passo in avanti è stato compiuto poi con l’introduzione della protesi di superficie che permette di conservare la testa femorale, rivestendola e mantenendo i diametri originali. Nel ginocchio la situazione è leggermente diversa: nel corso degli ultimi 15 anni i materiali sono sostanzialmente rimasti gli stessi, che si tratti di metalli o di polietilene. È solo da pochi anni a questa parte che si comincia a parlare di materiali alternativi, come ceramiche o particolari leghe di titanio, per le protesi di ginocchio. Pur essendo utilizzati da anni per le protesi d'anca, questi materiali non davano infatti sufficienti garanzie, avendo il ginocchio caratteristiche biomeccaniche completamente diverse. Va detto che pur venendo meno il rischio di rottura, la ceramica è a tutt'oggi utilizzata ancora con cautela, in casi selezionati e soprattutto nei pazienti con allergie accertate ai metalli. Sempre in riferimento questa articolazione, occorre aggiungere che i maggiori progressi si sono registrati piuttosto nella tecnica di impianto, nel rispetto della biologia articolare e negli strumentari”. A suo parere, quali esperienze risultano più formative nella carriera di un ortopedico? “Un aspetto che considero fondamentale è la traumatologia, che purtroppo molti giovani ortopedici non conoscono. Sono personalmente convinto che si tratti dell’unica chirurgia ortopedica che insegni a eseguire accessi chirurgici su tutte le articolazioni. Dirò di più: la traumatologia è un passaggio formativo ineludibile per il buon ortopedico. Anche perché consente di passare dalla chirurgia ‘aperta’ a quella artroscopica, laddove il processo inverso presenta maggiori difficoltà e molti più rischi”. Cosa significa, per un ortopedico, lavorare alla Salus? “Un vantaggio del lavorare alla Salus è la presenza in questa clinica di un ottimo reparto di riabilitazione funzionale, dove si adottano tecniche riabilitative d’avanguardia. Essendo


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il reparto interno alla struttura, consente un’interazione molto stretta tra ortopedico, fisiatra e riabilitatore, a tutto beneficio del paziente, che può essere seguito in modo costante e con la massima efficacia”. Tecniche riabilitative avanzate: cosa si intende? “Oggi disponiamo di protocolli riabilitativi dagli standard talmente evoluti da permettere il carico immediato dopo l’intervento di chirurgia protesica. In questo modo si riducono drasticamente i tempi del recupero funzionale e si fa sì che il paziente possa essere restituito nel più breve tempo possibile alla sua vita familiare, ed eventualmente lavorativa, minimizzando nel contempo le complicanze legate all’immobilizzazione articolare”. Capita sempre più spesso di trattare pazienti anziani, debilitati o con gravi patologie: con quali rischi? “Grazie alle procedure riabilitative accelerate cui ho accennato prima e a tecniche anestesiologiche periferiche (l’anestesia generale è stata pressoché abbandonata) i pazienti con patologie polidistrettuali possono essere operati con un rischio molto minore rispetto a qualche anno fa. Le nuove metodiche e i nuovi materiali hanno abbassato il limite di età per l’impianto protesico, mentre hanno di pari passo elevato quello dell’operabilità. Tanto per fare un esempio, un intervento di chirurgia protesica su un ultraottantenne è ormai diventato semplice routine”. Quali progetti ha, nella sua veste di nuovo primario, per la Salus? “La clinica sta lavorando a pieno ritmo e in modo esponenzialmente crescente. Se confrontiamo i dati relativi al solo 2007, l’attività è quasi raddoppiata rispetto all’anno precedente. In questa situazione in cui le capacità di medici e strutture sono già impiegate al meglio, possiamo solo puntare a un ulteriore incremento della qualità, aspetto verso il quale siamo peraltro sempre stati particolarmente attenti. Ma, si sa, non c’è cosa che non sia perfettibile. Di conseguenza tra i principali obiettivi per il 2008 figurano sicuramente il miglioramento dell’integrazione dei tre gruppi di specialisti: Gost e le équipes di Asti e della Chirurgia vertebrale, quella dell’organizzazione di reparto (leggasi: posti letto, prericoveri e gestione complessiva del reparto) e, infine, l’integrazione dei protocolli riabilitativi comunitari affinché si accordino alle diverse mentalità, ovvero alle differenti scuole ortopediche. Compiti resi peraltro ormai improcrastinabili dalla grande mole di attività lavorativa, degna di una struttura di dimensioni di gran lunga maggiori. Ho già cominciato ad operare in questo senso, con la collaborazione preziosissima della responsabile della qualità, della responsabile dei servizi e del direttore generale, oltre che naturalmente delle ottime ed efficienti capo sala. Abbiamo così già individuato dei protocolli di profilassi antibiotica e tromboembolica, ma anche dei protocolli riabilitativi che sono stati già approvati e sottoscritti. A breve discuteremo, insieme ai diversi responsabili, l’organizzazione del pre-ricovero. D’altra parte i numeri in continuo aumento richiedono la messa a punto di procedure idonee a garantire ai nostri ospiti la massima tranquillità e il maggior comfort possibile. Nel corso dell’anno prevediamo di dover preparare per l’intervento circa 3000 pazienti. Una previsione che sembra essere confermata dai dati del mese di gennaio 2008, che fanno già registrare un incremento del 20% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Il passo successivo? Il miglioramento della gestione delle sale operatorie, soprattutto sotto il profilo della formazione del personale”.


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Direttore Scientifico: Prof. Elio Guido Rondanelli Monza Via Amati 111 - Monza Tel. 039 28101 www.policlinicodimonza.it Dir. Sanitario: Dott. Giulio Cesare Papandrea

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Novara Via Bottini 3 - Novara Tel. 0321 3831 www.clinicasangaudenzio.com Dir. Sanitario: Prof. Ugo Filippo Tesler

Cardiochirurgia, Chirurgia generale, Neurochirurgia, Ortopedia, Oculistica, Cardiologia, Medicina interna, Terapia fisica, Riabilitazione e Fisiokinesiterapia, Emodinamica, Terapia intensiva

Alessandria Via Bruno Buozzi 20 Alessandria - Tel. 0131 314500 www.nccalessandria.it Dir. Sanitario: Dott. Manlio Accornero

Cardiochirurgia, Chirurgia generale, Oculistica, Ortopedia, Urologia, Cardiologia, Medicina generale, Emodinamica, Terapia intensiva

Vercelli Via dell’Aeronautica 14/16 - Vercelli Tel. 0161 2221 www.clinicasrita.it Dir. Sanitario: Dott. Salvatore Pignato

Chirurgia generale, Ginecologia, Oculistica, Ortopedia, Urologia, Medicina generale, Riabilitazione neuromotoria e bronco-pneumo-cardio respiratoria, Terapia intensiva

Ivrea Via Castiglia 27 - Ivrea Tel. 0125 645611 www.clinicaeporediese.it Dir. Sanitario: Dott. Biagio Spaziante

Chirurgia toracica, Chirurgia vascolare, Neurochirurgia, Ortopedia, Medicina generale, Medicina riabilitativa (1° livello), Emodinamica, Terapia intensiva

Biella Via Ramella Germanin 26 - Biella Tel. 015 35931 www.lavialarda.it Dir. Sanitario: Dott. Roberto Terzi

Chirurgia generale, Chirurgia vascolare, Ortopedia e Traumatologia, Urologia, Cardiologia, Medicina generale, Nucleo per pazienti in stato vegetativo permanente, Emodinamica, Terapia intensiva

Alessandria Via Trotti 21 - Alessandria Tel. 0131 29461 www.clinicasalus.it Dir. Sanitario: Prof. Renzo Penna

Chirurgia generale, Day Surgery, Ortopedia, Medicina generale, Neurologia, Neuro Riabilitazione III Livello, Riabilitazione neuromotoria II Livello

Asti Via De Gasperi 9 - Asti Tel. 0141 34385 Dir. Sanitario: Dott.Giuseppe Veglio

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Chirurgia generale, Otorinolaringoiatria, Urologia, Oculistica, Medicina Generale, Medicina di lungodegenza, Neuropsichiatria

Anno V numero 12 - Febbraio 2008 Autorizzazione del Tribunale di Monza n. 1724 del 5 marzo 2004 Direttore responsabile: Marco Pirola Stampa: Grafica Santhiatese, Santhià Progetto grafico: Brunazzi&Associati, Torino Immagini: Policlinico di Monza


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