Francesco, “Il contagio della speranza”

FRANCESCO Il contagio della speranza

Prefazione di Giovanni Mosciatti

Francesco

Il contagio della speranza A cura di Eugenio Dal Pane Prefazione di Giovanni Mosciatti

Francesco

Il contagio della speranza

www.itacaedizioni.it/il-contagio-della-speranza Prima edizione: maggio 2020 © Libreria Editrice Vaticana per i testi di Francesco © 2020 Itaca srl, Castel Bolognese Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-526-0634-2 Stampato nel mese di maggio 2020 da Modulgrafica Forlivese, Forlì (FC) In quarta di copertina: Gesù incontra i discepoli di Emmaus Chiostro del monastero di San Domenico di Silos, Spagna Foto © De Agostini Picture Library/Scala, Firenze

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Prefazione

È accaduto qualcosa di straordinario. Abbiamo avuto la possibilità di fare l’esperienza dei discepoli di Emmaus.

Erano in cammino, tristi, conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto e a un certo punto Gesù si affianca a loro, ma non lo riconoscono perché non aveva il volto che loro pensavano. Gesù cammina accanto a noi, ma normalmente i nostri occhi sono incapaci di riconoscerlo perché ha un altro volto, il volto di chi ci è accanto oggi, adesso, lì a casa… e così pensiamo che Lui non ci sia, che questa vita che risorge e che è presente non ci sia, che Lui non abbia vinto la morte.

Non lo riconosciamo, ma egli si affianca a noi: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi?» (Lc 24,32). Il nostro cuore non può fallire perché lo ha fatto Lui. È il cuore che riconosce la positività di vita, di parola, di presenza che emerge da Lui. «Le mie pecore ascoltano la mia voce» dice il Buon Pastore, «io le conosco ed esse mi seguono» (Gv 10,27).

L’esplosione della pandemia ha rappresentato una «irruzione della realtà» nelle nostre vite solitamente anestetizzate nell’illusione di avere tutto sotto controllo. La realtà ha messo a nudo la nostra fragilità e insieme risvegliato

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le nostre domande di significato. Le circostanze hanno scombinato i nostri progetti e ci hanno chiamato a rispondere, a prendere sul serio la nostra vita.

La realtà non ci dà tregua e ci costringe a fare i conti con le domande che ci costituiscono come uomini e che avevamo messo da parte: qual è il significato dell’esistenza? Perché ci sono il dolore e la morte? Perché vale la pena vivere? Da qui rinasce la religiosità autentica, il risveglio della nostra umanità. È accaduto proprio così durante quel momento straordinario di preghiera in Piazza San Pietro. La piazza vuota, il buio che cala. La pioggia. E un uomo vestito di bianco che, davanti al Crocifisso, invoca Dio usando le parole dei discepoli: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Non t’importa di me, di noi? E poi quei due minuti di silenzio, che in televisione sono incredibili, le immagini dell’ostensorio e del Papa che prega dinanzi al Santissimo. È accaduto quello che dice il Vangelo, quando Gesù si è commosso di fronte alla gente perché erano come pecore senza pastore. Parlando ai Vescovi nel 2013 papa Francesco descriveva così il compito del pastore: «Camminare con il Popolo di Dio: camminare davanti, indicando il cammino, indicando la via; camminare in mezzo, per rafforzarlo nell’unità; camminare dietro, sia perché nessuno rimanga indietro, ma, soprattutto, per seguire il fiuto che ha il Popolo di Dio per trovare nuove strade».

Il Papa si è messo davanti, accanto, dietro al popolo, e le “pecore” hanno riconosciuto in lui il pastore da seguire, che dà la vita per le sue pecore, che le va a cercare ad una ad una, le accarezza, come vediamo raffigurato

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in un famoso mosaico nel mausoleo di Galla Placidia a Ravenna. Francesco ha cercato tutti i modi possibili per essere vicino alla gente, nel mondo intero, ad esempio con la diretta quotidiana della Santa Messa a Santa Marta e con la preghiera costante per le vittime, i loro familiari, il personale sanitario, i volontari, i sacerdoti, i lavoratori, le famiglie.

Non ci ardeva forse il cuore nel petto quando lui ci diceva tutte quelle cose? Abbiamo riconosciuto nella sua voce Cristo stesso che cammina con noi. È di questo che il mondo ha bisogno. Di parole, certo, ma anche di gesti, di gesti e di un cuore che ama. È il compito del pastore, è il compito del papa. È papa proprio perché pastore di tutti i cristiani e del mondo intero, anche di chi non lo riconosce: è il mandato che ha ricevuto da Cristo.

In quella preghiera di fine marzo, in una piazza deserta Francesco ha indicato una strada. Preziosissima per chi sta provando a seguirla. Questa circostanza nuova, capace di smascherare «la nostra vulnerabilità», di ribaltare le «false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende», di farci toccare con mano quanto abbiamo bisogno di Cristo Risorto, non è una condanna. È un’occasione preziosa. È «il tempo del nostro giudizio». Non «del tuo giudizio», ha detto Francesco rivolgendosi a Dio con coraggio, ma «del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è». Ci viene chiesto proprio uno sguardo.

A chi guardare, cosa cercare. È un passo di conoscenza nuova, di noi stessi e della realtà.

Ma il Signore non ci dà indicazioni di cammino senza

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accompagnarci. Lui stesso cammina con noi. Gesù Cristo, «Via, Verità e Vita» (Gv 14,6), è il vero orizzonte che guida i nostri passi nell’attraversare il deserto della nostra esistenza. Occorre accorgerci che Lui è vicino, che è con noi, ci guarda e ci indica la strada dicendoci: “Stai con me! Seguimi!”.

Ho ancora negli occhi il suo abbraccio al crocifisso in Piazza San Pietro: «Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà».

Cristo, riconosciuto vivo e presente in mezzo a noi, trasforma ogni deserto in via percorsa con Lui, con Lui che è il senso e la pienezza della vita: «Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza».

Questo libro vuole essere strumento perché tale annuncio continui a risuonare, sostenga il tempo che ci attende, aiuti le persone a un cammino «verso di Te, Signore, e verso gli altri». ✠ Giovanni Mosciatti Vescovo di Imola

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Introduzione

Era sembrata una cosa lontana, che non ci riguardava. Poi le prime avvisaglie: il virus era alle porte, anzi aveva varcato i confini, era tra noi come un nemico invisibile che minacciava le nostre vite. Con stupore assistemmo alla chiusura di alcune città fino a quando tutti fummo costretti a chiuderci in casa con un repentino cambiamento del nostro solito modo di vivere, mentre negli ospedali infuriava la battaglia tra la vita e la morte. Due sentimenti in quei giorni si scolpirono nel cuore di tutti: il dolore e l’angoscia per le tante vittime e lo stupore e la gratitudine per la dedizione fino allo sfinimento di quanti erano chiamati a prendersene cura, ben oltre il dovere.

Accanto alle preoccupazioni per la salute, da subito si resero evidenti le gravi ripercussioni che il lockdown avrebbe avuto sul tessuto economico del Paese, principalmente costituito da una miriade di piccole e medie imprese – produttive, artigiane, commerciali, dei servizi – che danno lavoro a milioni di persone e sono il fulcro della vita sociale.

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Il virus della paura Chi scrive appartiene alla innumerevole schiera dei piccoli imprenditori. Quando mi resi conto di quanto stava accadendo, mi chiesi che ne sarebbe stato di Itaca, la casa editrice da me fondata trent’anni fa, dopo aver lasciato l’insegnamento. Da mesi stavo organizzando i festeggiamenti per questo importante anniversario, previsti in occasione della festa di San Giuseppe, ma inaspettatamente ero stato costretto a cambiare programma.

Seguirono giorni di grande fatica in cui mi sentivo spossato fisicamente e psicologicamente. Avvertivo che le mie ansie e i miei timori erano le stesse ansie e gli stessi timori di titolari di imprese, di esercizi commerciali, di artigiani, di professionisti, messi in ginocchio dall’improvviso venir meno dei ricavi, preoccupati di vedere vanificati in poche settimane i sacrifici di anni di lavoro, compromessi gli investimenti fatti, sconvolte le prospettive future non solo per sé e per la propria attività, ma anche per le persone che in esse lavorano.

Quei giorni mi portarono ad accorgermi che, al fondo, la grande paura che cova dentro di noi è quella di essere abbandonati a noi stessi, e che da questa paura non possiamo liberarci da soli. Per rialzare lo sguardo occorre qualcuno che ci venga incontro, ci parli, si metta al nostro fianco, ci accompagni nel cammino.

Me ne resi conto attraverso la presenza e la compagnia operosa di mia moglie e delle mie figlie, i dialoghi con alcuni amici, uno in particolare che sapevo sommerso da tante incombenze, eppure si ricordava di me e si rendeva presente tramite una telefonata, un messaggio, facendomi tornare alla mente un versetto del Salmo 8: «Cos’è mai

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l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?».

Fu l’inizio della liberazione dalla paura e subito avvertii l’urgenza di “contagiare la speranza”, il motto che coniai in quei giorni di metà marzo e che ha identificato i numerosi percorsi di letture proposti da Itaca nelle settimane seguenti tramite il sito di e-commerce.

Quando fondai la casa editrice ero mosso unicamente da questo desiderio: pubblicare e diffondere libri che entrassero nel vivo del dramma del vivere mostrando l’irriducibile positività dell’esistenza. Proprio in vista dei trent’anni, per identificare il focus dei nostri libri e delle nostre mostre, avevamo creato l’espressione “prodotti culturali che ridestano il cuore”. Non era forse di questo che c’era urgente bisogno?

Ci sentimmo interpellati da quanto stava accadendo, chiamati a una consapevolezza e a una dedizione nuove.

Il virus toglieva il respiro non solo ai polmoni, ma anche al nostro cuore, e col nostro lavoro potevamo alimentare la speranza. Non dopo, ma mediante il lavoro.

A me non era stata risparmiata la paura. Avevo sperimentato personalmente che proprio la paura era il grande nemico da combattere, perché si annida e si radica in tutte le fibre del nostro essere, cosicché ci ripieghiamo su noi stessi, guardiamo in basso, con gli occhi spenti, come se tutto fosse finito e non ci fosse più futuro. Ma avevo altresì intravisto la strada della speranza e volevo condividerla con tutti.

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L’evento di Piazza San Pietro La battaglia tra paura e speranza ha trovato nell’evento del 27 marzo in Piazza San Pietro il momento decisivo di svolta. Papa Francesco ha ascoltato la paura della gente, l’ha presa su di sé, come il buon pastore che va in cerca della pecora sperduta e impaurita e, quando la trova, se la carica sulle spalle. Tutti lo abbiamo visto affaticato, con voce stanca, come uno che si è addossato il peso dell’umanità, smarrita e incredula, per presentarne a Dio il grido: “Signore, salvaci!” e fare risuonare nel cuore delle persone la risposta di Gesù: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».

In lui abbiamo visto il sommo pontefice, colui che fa da ponte tra Dio e gli uomini, al quale Dio ha assegnato il compito di confermare i fratelli nella fede. La piazza deserta, il suo camminare in solitudine verso l’ingresso della basilica di San Pietro dove era esposta l’icona della Madonna, «salvezza del popolo romano», lo sguardo implorante rivolto al Crocifisso miracoloso di San Marcello, l’adorazione eucaristica, la benedizione con il Santissimo Sacramento sono immagini che resteranno nella memoria, emblematica rappresentazione del deserto e dell’attesa del mondo a cui Dio si fa vicino.

Per la prima volta tutta l’umanità si è trovata sulla stessa barca e ha guardato il Papa – credenti e non credenti – attendendo da lui una parola che potesse rischiarare le tenebre. Nel Papa la gente ha percepito la commozione di Dio per l’umanità, il suo curvarsi su di essa, il suo salire sulla barca perché gli uomini non si sentano soli, in balia della tempesta, ma possano fare esperienza di una Presenza buona, in grado di dominarla.

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Nel cuore di una “strana” Quaresima e di una insolita Pasqua, in cui non erano possibili gesti di culto, sono risuonati, nel vivo del dramma che tutti stavano vivendo, l’appello proprio della Quaresima: “Convertitevi” e l’annuncio cristiano nei suoi termini essenziali: la fede in Cristo, morto e risorto, come il sicuro fondamento su cui edificare la vita e le opere.

Nelle settimane successive il Papa si è reso costantemente presente, bussando con discrezione alle porte delle nostre case, per farci sentire la sua vicinanza, pregando per le diverse categorie di persone, ringraziando ora l’una ora l’altra per il servizio prestato e il contributo al bene comune. Così ha reso credibile il Dio che si fa vicino per consolare il suo popolo, per condividerne i dolori e le sofferenze, per sostenerlo nella prova, incoraggiarlo, rimetterlo in cammino indicandogli un orizzonte di speranza certa: “Non temere, io sono con te, il mio abbraccio non viene mai meno”.

Il dono di sé, strada per ricostruire Nella meditazione di Piazza San Pietro Francesco aveva invitato a guardare «tanti compagni di viaggio esemplari» i quali ci fanno comprendere che «le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni […] che stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia», donando la propria vita.

Mettendo in luce la testimonianza di tante persone comuni, in qualche modo ha indicato il dono di sé come strada maestra per il tempo che ci attende.

Può sembrare una espressione astratta, velleitaria, ma il

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grande lavoro di ricostruzione che sta davanti a noi dovrà avere negli occhi e nella memoria ciò che abbiamo visto nei medici, negli infermieri, negli operatori sanitari, nei volontari, nei sacerdoti, nelle religiose, in chi ha procurato il cibo a chi non l’aveva… Nella prova abbiamo visto tanti dare il meglio di sé, tutto di sé, fino al sacrificio della vita. L’ammirazione, lo stupore e la gratitudine che abbiamo provato sono come una scintilla che deve accendere il fuoco nel cuore di ognuno perché, nel pezzo di mondo che gli è affidato, qualunque esso sia, possa dare il meglio di sé, tutto di sé, accettando il sacrifico necessario.

Come suonano attuali le parole di Manzoni nei Promessi Sposi: «Del dolore, ce n’è, sto per dire, un po’ per tutto. […] E per questo si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio». E conclude: «I guai […] quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore» (xxxviii).

Il contagio della speranza C’è una immagine che mi ha accompagnato in queste settimane, un bassorilievo nel quale è rappresentato Gesù che incontra e cammina assieme ai due discepoli diretti a Emmaus. In un primo momento mi sono identificato nella loro stanchezza e sfiducia; successivamente mi sono chiesto quale gioia doveva essere scoppiata nel loro cuore quando hanno riconosciuto il Signore tanto da avere l’energia per tornare di corsa a Gerusalemme dopo una intensa giornata.

Questo cammino, dalla paura alla gioia, mi ha fatto ve-

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rificare ancora una volta quanto sia conveniente la compagnia di Gesù, il riconoscerne la presenza, per affrontare la quotidianità della vita, dalla famiglia al lavoro. Mentre la paura paralizza e fa sentire la realtà come minaccia, producendo lamento e rabbia, la certezza che Dio è fedele mette all’opera e rende capaci di una impensabile dedizione al compito che ci è affidato, fa guardare all’altro come un bene e desiderare che questo bene abbracci e si comunichi a tutto il mondo.

Così è nato il libro, dall’attrattiva destata dalla testimonianza di Francesco e dal desiderio che la speranza che lui ha trasmesso al mio cuore potesse contagiare il cuore di tanti altri e, attraverso loro, di altri ancora. Da cuore a cuore, da persona a persona.

In queste pagine ho riportato il lavoro da me svolto sui testi del Papa. Titoli, introduzioni, suddivisione dei testi in paragrafi, focalizzazione di alcune parole e temi mi hanno aiutato a cogliere più in profondità quella che a me è parsa una sorta di “enciclica” sulla speranza, nata sul campo, di cui abbiamo bisogno per riprendere il cammino, come un “compagno di viaggio” al quale guardare e di cui riascoltare le parole perché anche il nostro cuore arda e possiamo contribuire, con la nostra vita e il nostro lavoro, a costruire un pezzo di mondo rinnovato.

Eugenio Dal Pane Fondatore e direttore editoriale di Itaca

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Indice

Prefazione Giovanni Mosciatti

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Introduzione Eugenio Dal Pane

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il contagio della speranza «Perché avete paura? Non avete ancora fede?»

Meditazione, 27 marzo 2020

» 17

La risposta di Dio al problema della morte Angelus, 29 marzo 2020

» 27

«Dov’è Dio?» «Vicino a te» Udienza, 8 aprile 2020

» 33

Gesù ha condiviso la condizione umana Omelia, 5 aprile 2020

» 41

La Pasqua, annuncio di speranza Omelia, 11 aprile 2020

» 49

Il potere di Dio: trasformare il male in bene Messaggio Urbi et Orbi, 12 aprile 2020

» 57

La misericordia, inizio di un mondo nuovo Omelia, 19 aprile 2020

» 65

Dove poggia la nostra sicurezza Omelia, 14 aprile 2020

» 73

Siamo fatti per il Cielo 111 La nostra fedeltà è risposta alla fedeltà di Dio Omelia, 15 aprile 2020

p. 79

Nel cammino della vita in compagnia di Gesù Regina Caeli, 26 aprile 2020

» 85

Il nocciolo del cristianesimo è l’incontro con Gesù Omelie, 26 e 27 aprile 2020

» 91

Il lavoro è la vocazione dell’uomo Omelia, 1 maggio 2020

» 99

Siamo fatti per il Cielo Regina Caeli, 10 maggio 2020

» 105

In questa notte è risuonata la voce della Chiesa: «Cristo, mia speranza, è risorto!». È un altro “contagio”, che si trasmette da cuore a cuore – perché ogni cuore umano attende questa Buona Notizia. È il contagio della speranza.

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