G. Sasso, Dante. L'imperatore e Aristotele

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GENNARO SASSO

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Di’ oggimai che la Chiesa di Roma, per confondere in sé due reggimenti, cade nel fango, e sé brutta e la soma.

Il ritorno polemico del tema delle due guide e dell’usurpazione che l’una (la Chiesa di Roma) aveva fatta e faceva dell’altra 62 interrompe, quasi all’improvviso, la contemplazione elegiaca dell’antica età. E la polemica politica che aveva ad oggetto il romano pontefice e il clero corrotto risuona alta nell’esempio che, e contrario, viene proposto dei « figli di Levì » che « dal retaggio » furono « essenti » 63, per interrompersi di nuovo e dar luogo, dopo la brevissima digressione sul « buon Gherardo » che Marco Lombardo dice di non conoscere « per altro sopranome », « s’io nol togliessi da sua figlia Gaia » 64, alla bellissima, di nuovo rasserenante, conclusione: « Dio sia con voi, ché più non vegno vosco./ Vedi l’albor che per lo fummo raia/ già biancheggiare, e me convien partirmi/ – (l’angelo è ivi) – prima ch’io li paia. – Così tornò, e più non volle udirmi » 65. Non a spunti teorici che direttamente concernano la distinzione e la connessione dei due poteri, o ad altro che alla teoria sia pertinente, dà luogo il lungo discorso che nel ventesimo canto Dante fece pronunziare a Ugo Capeto: la teoria infatti non vi è presente se non in forma implicita. Ma piuttosto, e di nuovo, alla ripresa dei temi polemici relativi alla passione antimperiale del regno di Francia 66, e all’azione nefasta che, 62 Deve per altro ribadirsi che il tema è assunto senza che a esso Dante conferisse, qui, alcun svolgimento teorico. 63 Purg. XVI 131-32. 64 Cfr., al riguardo, Barbi, Per Gaia da Camino, in Con Dante e i suoi interpreti, pp. 341-42. 65 Purg. XVI 141-45. 66 Un accenno esplicito alla posizione, come l’ho definita, antimperiale dei re francesi, a rigore, qui e altrove, manca. Ma la si può indirettamente cogliere ai vv. 43-45: « io [Ugo Capeto] fui radice de la mala pianta/ che la terra cristinana tutta aduggia,/ sì che buon frutto rado se ne schianta ». Non saprei dire se in questa veemente invettiva operi, sia pure obliquamente, l’avversione che forse Dante nutrì nei confronti dei giuristi francesi che fin dall’inizio del secolo decimoquarto (F. Ercole, Da Bartolo all’Althusio. Saggi sul pensiero pubblicistico del Rinascimento italiano, Firenze 1932, pp. 161 ss., e anche F. Calasso, I glossatori e la teoria della sovranità, Milano 1957, pp. 43-45, 57 ss., passim) sostennero la tesi dell’autonomia della monarchia di Francia. Citazioni esplicite in questo senso nei suoi scritti non si trovano. Il passo di Mon. I XI 11-12, concernente la cupidiglia che, assente nell’Imperatore, caratterizza i regni particolari, esemplifica que-

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09/11/2009, 15.00


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