La svolta di Camaldoli

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La svolta di Camaldoli

di Paolo I;piilio Taviani

In questi ultimi anni si è risvegliato l'interesse per il Codice di Camaldoli. Esso era stato il testo base sul quale si erano orientati i democratici cristiani nel loro contributo alla stesura delle norme costituzionah specie nella III Commissione della Costituente. Dopo di allora, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, il ricordo di Camaldoli si è andato purtroppo af fievolendo. « Civitas » ha già dato un consistente apporto al risveglio di cui s'è detto. Ripubblica oggi - rapidamente esaurita l'edizione di due anni fa - il testo del Codice con l'aggiunta degli «enunciati preparatori» finora inediti e l'ausilio interpretativo di due saggi di Maria Luisa Paronetto Valier - depositaria del prezioso archivio del marito - e di Mario Falciatore. Lo ripubblica con la precisa intenzione di sottolineare il valore essenziale del Camaldoli: una vera e propria svolta - sul piano della dottrina economico-sociale - del movimento politico dà cattolici. Perché svolta? Perché è il momento del definitivo passaggio dalle concezioni e dalle impostazioni della scuola sociale cristiana della fine Ottocento e dei primi del Novecento a quelle ben più realistiche, che tengono conto del mutamento verificatosi con la rivoluzione industriale nell' economia in particolare e, in genere, in ogni aspetto della vita pubblica e privata. La preistoria di questa scuola risale agli articoli di Lamenais su L'Avenir (1830) e di Ozanam su L'Ère nouvelle (1848). Ma soltanto sul finire del secolo scorso si ebbe un vivace sviluppo di studi~ di proposte, d'iniziative sociali ed economiche da parte di cattolici impegnati nella vita politica o anche soltanto culturale, in Belgio, 3


Francia, Italia,- Germania, · Spagna. Tale sviluppo fu prima una delle cause e poi effetto della Rerum Novarum Purtroppo, caratteristica costante delle dottrine e della prassi di questo movimento fu il richiamo a concezioni adeguate al!' economia rurale o artigianale, se non proprio medievale, comunque preindustriale. Il grave difetto perdurò parecchi decenni. Quando un economista cattolico di grande ingegno, come Tonio/o o Périn, prendeva coscienza dei presuppost,i e . delle. condizioni dell'economia industriale, finiva inevitabilmente per coordinare in qualche modo le teorie del!' economia liberale con i prindpi della sociologia cristiana. Con approfonditi argomenti ancor oggi vivi e attuali si criticava e si ripudiava da un lato il collettivismo marxista e dal!' altro il capitalismo individualista. Ma quando dalla demolizione si passava alla costruzione, il tentativo di una terza via si riduceva nel ricorso a islituti - come la -cooperativa e la partecipazione al profitto -, che non sono certo condannevoli, anzi sono - là dove possibili altamente auspicabili~ ma non possono in alcun modo assumersi a chiavi di volta universalmente valide per la soluzione della 'questione sociale'. . Un altro tentativo consisteva nello sforzo di adegùarsi - non per piaggeria~ ma per ancestrale convinzione radicata nella memoria storica dei comuni del Trecento d'Italia e di Fiandra - al corporativismo degli anni Trenta dell'Italia, del Portogallo ·e dell'AuStn·a: Di qui l'illusione non solo di padre Brucculeri, ma anche della seconda edizione del Codice di Malines, di poter distinguere, anzi separare il sistema economico corporativo dal regime politico della dittatura e del partito unico, accettando il primo e non il secondo. Mentre avrebbe dovuto risultare chiaro - come risultò agli autori del Codice - specie a Paronetto e Saraceno e a chiproveniva dalla Normale di Pisa ·- che, nel!' età industriale, un sistema corporativo non è conciliabile con la democrazia, anzi esige non solo la dittatura, ma ancor più il partito unico. · Ecco perché il Codice costituì una svolta. A Camaldoli queste teorie e impostazioni di vetero cattolici furono abbandonate. Si ripudiò l'illusione di risolvere la 'qu-estione sociale' con il corporativismo o con gli istituti - pure validi~ ma solamente là dove possibili - della cooperativa e della partecipazione al profitto. Tenendo anche conto del!' esperienza dell'Iri~ il Codice segnò · l'adesione dei cattòlici a una terzi.I via, che può 4


chiamarsi di «economia mista», adeguata alle insopprimibili esigenze dell'età industriale. Grandi complessi industriali già sussistevano in Italia, sia pure con un numero di occupati di gran lunga inferiore a quello de__gli occupati in agricoltura. Ma nel giro di poco più di un decennio la situazione si sarebbe capovolta e l'industria avrebbe sovrastato nettamente l'agricoltura. Il processo si sarebbe poi ulteriormente sviluppato, collocando l'Italia al settimo posto nella graduatoria mondiale dei Paesi industrializzati. È stata in venticinque annz~ una vera e propria rivoluzione: gli addetti all'agricoltura sono passati dal 42% (nel 1951) al 15% (nel 1975),· quelli addetti all'industria dal 32% al 44%. Nessuno degli autori del Camaldoli poteva prevedere un fenomeno tale, che sarà citato negli annali di storia economica come un caso unico. Tuttavia, con grande realismo, gli estensori del Camaldoli vollero e seppero guardare all'avvenire anziché al passato, e con spirito di preveggenza fissarono prindpi che servirono di base e di sicuro riferimento ai politici d'ispirazione cristiana impegnati nella Costituente, nella ricostruzione dello Stato, e nelle grandi riforme degli anni Cinquanta e Sessanta: il ripudio del/' autarchia e del protezionismo; la liberalizzazione degli scambi con l'estero,· il piano Fanfani-casa; la Cassa per il Mezzogiorno; le opere per le aree depresse del Centro-Nord; la riforma agraria; la costituzione dell'Eni e dell'Efim e il riassetto dell'Iri> le ampie riforme previdenziali> il piano autostradale,· la nazionalizzazione delle fonti d'energia. Oggi non è ancora finito il passaggio dall'agricoltura all'industria, che già si sta preparando - favorito dall'automazione - un altro mutamento con la stessa ampiezza e la stessa forza dirompente: il passaggio verso il terziario. Già attualmente, nel più potente Paese agricolo e industriale del mondo, gli Stati Unitz~ oltre il 70% della popolazione lavora nel terziario, e si prevede che, fra una generazione, soltanto il 15% della popolazione si dedicherà all'industria e all'agricoltura messe insieme. È un cammino inarrestabile, che coinvolgerà anche l'Italia: nessuna politica governativa lo può fermare. Come è stato giustamente sostenuto di recente, le politiche dei governi potranno solo decidere se coloro che restano nell'industria e nell'agricoltura produrranno in modo efficiente, cioè in modo da garantire a tutta la società un elevato tenore di vita, o se produrranno invece in modo inefficiente, dando così vita a un terziario residuale. In

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ogni caso sarà il terziario a dominare la vita della nostra società. In questa prospettiva della rivoluzione postindustriale il sistema - che con un termine forse approssimativo abbiamo chiamato della «economia mista» e altri chiamano «terza via» - rimane ancora quello valido, l'unico conciliabile con la democrazia. Ci rendiamo conto che incombono sempre il rilievo e la critica che, sin dagli incontri cospirativi del '43, uno dei maggiori economisti italiani del nostro tempo, Angelo Costa, rivolgeva a un abbozzo delle 'idee della Dc' sulla proprietà, quelle stesse che l'autore di questa nota elaborò negli enunciati per il Codice di Camaldoli e poi nei lavori preparatori della Costituzione. Il rilievo e la critica riguardano il tema della corruzzone. La corruzione si ridimensiona da sé nel sistema liberale. Nei regimi socialisti la corruzione si riduce a una somma di numeri; numerosi; si~ ma pur sempre ciascuno di valore modesto, non associabile né moltiplicabile, perché non investibile in beni immobili; né in beni comunque fruttiferi, né in imprese comportanti il servizio di lavoratori dipendenti. Nell'economia mista, la convivenza di beni di Stato, o allo Stato riconducibili; e di beni privati - anche immobilz; anche imprese con lavoratori dipendenti - rende difficile identificare ed eliminare la corruzione. E questo il problema più grosso del nostro tempo: è la questione morale, che non si risolve con i sermoni; né con gli interventi giudiziari; doverosi e utili; purché siano serti. La questione morale va affrontata ricorrendo a nuovi metodi e a istituti nuovi. Non ci illudiamo che essi possano riuscire a eliminarla del tutto (del resto neppure i sistemi liberale e socialista la eliminano in toto), ma certamente potrebbero renderla meno occulta, meno strisciante, più trasparente, e quindi più reprimibile, soprattutto impedirne, alle origini; talune delle più inquietanti manifestazioni. E il problema del nostro tempo, e non solo in Italia. Se ne deve avere coscienza, senza sognare impossibili ritorni al sistema liberale, o utopistiche illusioni di realàzare un impossibile «socialismo reale» rispettoso delle libertà e della dignità umana. L'economia mista, la terza via, più che un ideale, è una necessità, per chi creda e voglia conservare il metodo 6


democratico, essenziale garanzia della libertà e dell'umana dignità. Perché non è e non è mai stato conciliabile con il metodo democratico il sistema del «socialismo reale» e non è più conciliabile con il metodo democratico il sistema dell'economia liberale, come è dimostrato, fra l'altro, da quanto è avvenuto e sta avvenendo nel Corno sud delle Americhe. PAOLO EMILIO TAVIANI

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